DIOCESI DI SENIGALLIA LA CHIESA COMUNIONE. Documento conclusivo del secondo anno del Sinodo dedicato alla Chiesa comunione

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1 DIOCESI DI SENIGALLIA LA CHIESA COMUNIONE Documento conclusivo del secondo anno del Sinodo dedicato alla Chiesa comunione

2 Premessa L assemblea sinodale consegna al Vescovo e alla diocesi il documento frutto del lavoro del secondo anno del Sinodo dedicato alla Chiesa comunione e approvato nell assemblea del 6, 7 e 8 giugno Il percorso che ha portato al presente documento ha visto la consegna ai sinodali e a tutti i fedeli dello strumento di lavoro sulla Chiesa comunione durante la Veglia Missionaria dell ottobre Parrocchie, associazioni, gruppi, movimenti, uffici diocesani hanno lavorato su questo documento fornendo dei contributi. Poi è seguito il lavoro dei sinodali che in sette gruppi di lavoro hanno steso la bozza di documento da consegnare a tutti i sinodali per il confronto in assemblea. Ne è uscito un documento diviso in sette capitoli: La Chiesa di Cristo (parte teologica); Il popolo di Dio; I soggetti della comunione; La diocesi e la parrocchia; Strumenti, risorse e luoghi a servizio della comunione; Le aggregazioni laicali e i ministeri; Parrocchie in comunione. Dopo ampia discussione il testo, con le opportune modifiche è stato approvato con voto palese la sera dell 8 giugno Il testo è preceduto da un intervento del Vescovo che ha sintetizzato in nove punti il documento sinodale con lo scopo di avere una sintesi immediatamente fruibile. 2

3 Indicazioni del Vescovo mons. Giuseppe Orlandoni a conclusione del secondo anno del Sinodo A conclusione del secondo anno del Sinodo Diocesano propongo alla nostra Chiesa senigalliese alcune indicazioni fondamentali che emergono dalle riflessioni e dal documento sinodale discusso e approvato dai sinodali nei giorni 6, 7 e 8 giugno scorso, indicazioni grazie alle quali vogliamo continuare a servire il Signore e gli uomini del nostro tempo. 1. Un grande dono di cui fare tesoro Il cammino sinodale è un grande dono di Dio, che, grazie allo Spirito Santo, guida e sostiene la nostra Chiesa. Anzitutto ringrazio il Signore che con il suo Spirito ha guidato il nostro cammino sinodale illuminandoci nel discernimento delle situazioni e nelle scelte da prendere. Grazie poi a tutti coloro che hanno contributo ad accogliere questo dono straordinario di Dio: le parrocchie, i gruppi, le associazioni, i movimenti e in particolare tutti i sinodali che hanno partecipato con vivo interesse dimostrando un vero amore per la nostra Chiesa e un docile ascolto allo Spirito. Il cammino sinodale è lo stile che vogliamo avere sempre nella nostra chiesa per questo il Sinodo, oltre che un dono da accogliere, è anche un bene da coltivare. 2. La comunione nella Chiesa Questo anno è stato improntato alla riflessione sulla comunione nella Chiesa e abbiamo potuto raccogliere abbondanti frutti. Alla luce dell insegnamento del Concilio Vaticano II il nostro punto di partenza è il mistero della Ss. Trinità, comunione d amore alla quale siamo chiamati a prendere parte come battezzati e che chiede di vivere concretamente una spiritualità di comunione. La comunione ecclesiale si configura più precisamente come comunione organica, simile a quella di un corpo, caratterizzata dalla diversità e dalla complementarietà dei doni e delle responsabilità e come comunione gerarchica, secondo la quale i ministri ordinati sono al servizio dell unità dei battezzati. La Chiesa comunione nasce dall ascolto della Parola di Dio, si realizza sommamente e si manifesta nell Eucaristia, si esprime nella testimonianza della carità fraterna. Le immagini di Chiesa comunione che abbiamo evidenziato (Chiesa famiglia di Dio, Chiesa nello stile dell amicizia, Chiesa del servizio) è importante diventino delle icone da riprendere costantemente nella pastorale. Infatti le caratteristiche della comunione che derivano da queste immagini devono ispirare le nostre scelte come abbiamo già iniziato a fare nel cammino di quest anno. 3. La corresponsabilità. L immagine di Popolo di Dio in cammino esprime bene la multiforme composizione della nostra Chiesa, ricca di diversi doni e carismi dello Spirito e di storie di fede ed ecclesiali diverse. Dalla comunione scaturisce la corresponsabilità, che è più della semplice collaborazione; infatti la corresponsabilità nasce quando ogni membro del popolo di Dio sente la Chiesa come sua famiglia. La Chiesa vede nella corresponsabilità di ogni battezzato in riguardo all annuncio del Vangelo e alla sua santità una via concreta di comunione da percorrere con sempre più decisa determinazione. Da qui l invito alla partecipazione alla vita della Chiesa locale fatta dal Sinodo a tutti persone, associazioni, movimenti, gruppi, istituzioni affinché la nostra comunità ecclesiale possa arricchirsi del contributo di tutti. Per questo va offerta a tutti i battezzati la possibilità di cammini di progressiva integrazione alla comunità stessa e opportunità concrete per sentirsi responsabili della missione della Chiesa. Al riguardo è importante, in particolare, coltivare la cura delle relazioni improntate sulla stima reciproca, con le caratteristiche dell amicizia cristiana, mettendo l amore reciproco prima dei propri ruoli e delle proprie visioni ideali o ideologiche. 4. Il discernimento comunitario Il metodo del discernimento comunitario dà corpo alla vita di comunione nella Chiesa e permette di applicare la corresponsabilità alle scelte concrete. Il discernimento comunitario è lo stile e il metodo che la comunità cristiana assume per leggere la storia cercandovi i segni della presenza di Dio, per 3

4 progettare il cammino della propria comunità, per affrontare le diverse tematiche che chiedono il suo intervento. Come stile, evidenzia il volto comunionale e sinodale di una comunità che si lascia guidare dallo Spirito; come metodo, è quel percorso che porta a confrontarsi insieme, con passaggi logici e ordinati, per analizzare una situazione, valutarla alla luce del vangelo e dei valori cristiani, per giungere a esprimere un giudizio e a operare delle scelte adeguate. E necessario che il discernimento comunitario sia al centro dei cammini formativi e diventi sempre più il metodo di formazione e di programmazione pastorale. 5. I soggetti che costruiscono la comunione Tra i vari soggetti che costruiscono la comunione nella chiesa ne evidenzio due: i presbiteri e i laici. La figura e la vita del ministero ordinato viene riletto come un ministero che ha una responsabilità fondamentale nell alimentare la corresponsabilità e la partecipazioni dei fedeli alla vita della chiesa, iniziando dal ministero del Vescovo, pastore e guida della Chiesa locale. Lo stesso ministero sacerdotale viene ricompreso come ministero necessariamente solidale con quello di tutti i sacerdoti uniti nel Presbiterio al proprio Vescovo e come costruttore di comunione nella corresponsabilità e partecipazione diffusa di tutti. Anche i laici, ognuno per la sua esperienza e situazione ecclesiale ed esistenziale, sono interpellati in questo cammino di comunione ad essere corresponsabili e partecipi nella Chiesa sentendosi parte integrante di essa e superando alcune dicotomie che possono contrapporre il laicato alla struttura gerarchica della Chiesa. Una via concreta indicata è la promozione di una ministerilità diffusa non solo all interno della vita della Chiesa ma anche nell impegno della sua missione evangelizzatrice. I laici sono costruttori di comunione, non soltanto all interno della comunione ecclesiale, ma anche e in particolare nel mondo. 6. La vita comune e comunione dei beni Oltre alla corresponsabilità il Sinodo ha sottolineato la vita comune e la fraternità come via specifica per la costruzione della comunione. Questa via può essere percorsa sia dai presbiteri della stessa parrocchia o unità pastorale, sia dai laici, incentivando una certa forma di comunione fra le famiglie. Il Sinodo suggerisce di agevolare forme di vita comune anche fra le diverse vocazioni: sacerdoti, diaconi, consacrate e laici singoli o famiglie. Inoltre è stata proposta anche la via di una qualche forma di comunione nei beni fra le famiglie, all interno della comunità parrocchiale e fra le parrocchie stesse nella forma di perequazione dei beni. La vita comune, la fraternità e la comunione dei beni sono, alla luce del Vangelo e dell esperienza della Chiesa apostolica, un grande segno di profezia nei confronti della nostra società che può rappresentare un grande impulso anche alla forza testimoniale della Chiesa e alla sua missione. In questa dimensione la pratica di stili di vita evangelici improntati alla sobrietà diventa via obbligata per la comunità cristiana 7. La Parrocchia La parrocchia è centrale nella struttura pastorale della nostra Diocesi. In essa il Consiglio Pastorale Parrocchiale è il luogo privilegiato per l esercizio di una effettiva corresponsabilità e per agevolare la partecipazione nella vita della comunità cristiana. Pertanto sollecito ogni parrocchia a verificare sia la effettiva costituzione di tale organismo parrocchiale sia a dar seguito alla sua centralità nella programmazione e verifica della sua attività pastorale. Sottolineo, inoltre, la centralità per la costruzione di una comunità fraterna e solidale con i più deboli, della Celebrazione Eucaristica domenicale, che va, quindi, curata e vissuta come momento culmine della vita di fede dei singoli e dell intera comunità. 8. Le associazioni e i movimenti. Anche nella nostra Chiesa senigalliese lo Spirito Santo ha suscitato una multiforme presenza di associazioni e movimenti ecclesiali. Sono una ricchezza che va accolta e sostenuta, affinché nella diversità dei diversi carismi possa risplendere l unica fede nel Signore Gesù Cristo. Tra queste realtà 4

5 un ruolo specifico è svolto dall Azione Cattolica, che assume come proprio il programma della diocesi e che ritengo necessaria per la formazione del laicato. La Consulta delle aggregazioni laicali è il luogo in cui la comunione delle associazioni e dei movimenti con la diocesi e tra di loro trova il suo naturale luogo: per questo è importante che sia potenziata e sentita propria da ogni aggregazione laicale. 9. La pastorale integrata e le unità pastorali Una strada da percorrere con coraggio è quella della cosiddetta pastorale integrata che consiste nell integrazione pastorale fra i diversi soggetti ecclesiali: il rapporto delle parrocchie tra loro e con la diocesi, la vita consacrata, la valorizzazione delle associazioni, dei movimenti e delle nuove realtà ecclesiali. Alla base della pastorale integrata sta quella spiritualità di comunione che precede le iniziative concrete e purifica la testimonianza dalla tentazione di cedere a competizioni e personalismi. La pastorale integrata rende la comunità in grado di entrare più efficacemente in comunicazione con un contesto variegato, bisognoso di approcci diversificati e plurali, per un fecondo dialogo missionario. Il Sinodo ha poi sottolineato l urgenza di percorrere anche nella nostra diocesi la via delle unità pastorali. Essa non è tanto una riorganizzazione della struttura territoriale, quanto una adeguata risposta per costruire una vera comunione fra le diverse parrocchie mettendo in comune le varie risorse ed energie proprie di ogni singola comunità. Le ricadute pastorali sono molteplici sia per quanto riguarda la vita e il ministero dei parroci sia per quanto riguarda l ulteriore incentivazione della corresponsabilità che superi l autoreferenzialità in cui ogni parrocchia potrebbe rinchiudersi. Conclusione Gli indirizzi e i suggerimenti che emergono dal Sinodo e che come Pastore della nostra Chiesa di Senigallia propongo a tutti i membri della nostra comunità ecclesiale attendono ora di essere tradotti in prassi di vita quotidiana. In effetti dobbiamo continuamente educarci alla comunione. La comunione è un cammino da fare insieme, sotto la guida dello Spirito Santo, verso la meta dei cieli nuovi e terra nuova (Ap 21,1). E un cammino lungo, che deve durare tutta la vita. E un cammino che vogliamo compiere in sintonia con gli orientamenti pastorali della Chiesa italiana per il prossimo decennio: Educare alla vita buona del Vangelo. In fondo non si tratta altro che educarci ed educare alla vita in comunione con Cristo, rivelatore e comunicatore dell amore del Dio trinitario, e in comunione tra di noi. Tutte le nostre attività pastorali, i nostri impegni sul piano dell evangelizzazione, della liturgia e della carità, devono scaturire dalla comunione e portare alla comunione. Tutta la missione pastorale è un educazione alla comunione. Dopo aver riflettuto sull identità della Chiesa come comunione, il Sinodo si avvia ora alla sua fase conclusiva che sarà precisamente dedicata alla missione. Anche quest ultima fase dell assise diocesana vogliamo considerarla nell ottica dell educazione alla fede e allo slancio missionario della Chiesa. Che il Signore, per intercessione di Maria SS. e dei Santi della nostra terra, ci aiuti a perseverare nello stile e a sperimentare il gusto del camminare insieme. Senigallia, 6 luglio 2011, festa di S. Maria Goretti. Giuseppe Orlandoni Vescovo 5

6 CAPITOLO 1 LA CHIESA DI CRISTO Parte teologica del documento del secondo anno del Sinodo I. L IDENTITÀ DELLA CHIESA 1. Gesù ha fondato la Chiesa. La comunione di Gesù con i suoi All inizio della sua predicazione, Gesù chiamò a sé quelli che voleva perché stessero con lui (Mc 3,14-15): è la sua comunità; il gruppo dei primi discepoli che lo seguirà costantemente. Gesù intende creare una comunità capace di accogliere la novità di ciò che egli proclamava dicendo: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino» (Mc 1,15); una comunità che vive con lo stile dell amore e della comunione: Come il Padre ha amato me, anch io ho amato voi... Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati» (cfr. Gv 15,9.12). Questo piccolo gregge (Lc 12,32) riceve l eredità del comandamento nuovo della carità fraterna e in questo stile di comunione - che naturalmente nella Chiesa non può prescindere dalla dottrina della fede come suo essenziale presupposto -, la missione di annunciare il regno a tutti gli uomini, con l aiuto dello Spirito che il Padre ha effuso. 2. La comunione nella Chiesa si fonda sulla Trinità. La Chiesa è mistero La vita del Dio Trinità, vita che è amore, si partecipa agli uomini radunandoli in una comunità, il nuovo Israele, che è la Chiesa. La Chiesa realizza il disegno di amore presente da sempre nel cuore della Trinità: il Padre - l Amante - ha deliberato di incontrare e salvare gli uomini. Il Figlio - l Amato - è il realizzatore di questo disegno. Lo Spirito - l Amore - è Colui che tiene unita la comunità e l abilita alla sua missione di annunciatrice del regno per rendere tutti gli uomini familiari di Dio (Ef 2,19). Questo eterno disegno d amore della Trinità è chiamato dalla Scrittura mistero (cfr. Ef 1) e viene rivelato nella storia della salvezza agli uomini, che lo accolgono mediante la fede. Poiché la Chiesa partecipa al mistero di Dio e ne è strumento di attuazione è essa stessa mistero: una sola complessa realtà risultante di un duplice elemento, umano e divino (Lumen Gentium 8) manifestata da uomini e donne concreti. Per questo la comprensione di che cos è la Chiesa non si esaurisce nell osservare solo ciò che si vede, vale a dire la sua dimensione storico-istituzionale, né è sufficiente servirci di categorie sociologiche per descrivere la Chiesa e la sua opera. 3. Chiesa sacramento La Chiesa, comunità concreta di uomini e donne che noi incontriamo e vediamo nelle sue varie articolazioni ed espressioni, ci mette in comunione con la vita divina della Trinità, partecipata alla comunità degli uomini. Perciò la Chiesa è sacramento, cioè segno e strumento dell intima unione con Dio e dell unità di tutto il genere umano (Lumen Gentium 1): chi guarda ad essa deve essere messo in grado di vedere oltre e la comunità cristiana è autenticamente tale se col suo modo di vivere suscita in chi la vede la nostalgia della comunione trinitaria: Vedi la Trinità, se vedi l amore (S. Agostino). 4. Natura escatologica della Chiesa La Chiesa che vive nel mondo non annuncia se stessa e non è sufficiente a se stessa. Ha il compito di prolungare la missione del Cristo annunciando il regno che è già stato inaugurato. Essa vive nel frattempo - nel già e non ancora - in attesa della ricapitolazione. Per questo, sebbene nel suo essere soprannaturale è indefettibilmente santa e immacolata, nel suo lato umano non sarà mai Chiesa compiuta, ma tenderà sempre alla Gerusalemme celeste, alla contemplazione e bellezza della perfezione trinitaria e sentirà sempre urgente il compito di permeare dell amore di Dio tutta la storia, portando tutti a Cristo e Cristo a tutti. 6

7 5. Il servizio dell autorità nella Chiesa Il Signore Gesù ha dotato la sua comunità di una struttura che rimarrà fino al pieno compimento del Regno. Innanzi tutto vi è la scelta dei Dodici con Pietro come loro capo (Catechismo della Chiesa Cattolica 765). Gesù Cristo ha edificato la santa Chiesa e ha mandato gli apostoli, come egli stesso era stato mandato dal Padre (cfr. Gv 20,21), e ha voluto che i loro successori, cioè i vescovi, fossero nella sua Chiesa pastori fino alla fine dei secoli. Affinché poi lo stesso episcopato fosse uno e indiviso, prepose agli altri apostoli il beato Pietro e in lui stabilì il principio e il fondamento perpetuo e visibile dell'unità di fede e di comunione (Lumen Gentium 18). La comunione ecclesiale è dunque una comunione gerarchica: la gerarchia, costituita dal Papa e dai vescovi in comunione con lui e coadiuvati nel loro ministero da preti e diaconi, ha nella Chiesa il compito di custodire e trasmettere fedelmente il genuino insegnamento divino, di porre i segni sacramentali nel nome del Signore, di guidare pastoralmente la comunità, con l autorità che proviene da Cristo stesso. Coloro infatti che nella Chiesa sono rivestiti di autorità servono i loro fratelli, perché tutti coloro che appartengono al popolo di Dio, e perciò hanno una vera dignità cristiana, tendano liberamente e ordinatamente allo stesso fine e arrivino alla salvezza (Lumen Gentium 18). Infatti nella Chiesa la gerarchia manifesta il primato del servizio, ha il fine di suscitare la collaborazione e la corresponsabilità, promuove la dignità battesimale propria di ogni battezzato, è principio visibile di unità. Particolare valore riveste il servizio all unità e alla comunione del Sommo Pontefice nei confronti della Chiesa universale e del Collegio episcopale per le singole Chiese particolari. Egli, sempre sottoposto alla Parola di Dio e alla fede della Chiesa, va amato, rispettato ed evangelicamente obbedito da tutti i cristiani. 6. Corpo di Cristo Tre aspetti ci conducono a meglio penetrare il mistero della Chiesa: la coesione di un corpo, l unione sponsale e l unità di un popolo. Cristo risorto, comunicando il suo Spirito, ci costituisce misticamente come suo corpo, di cui Egli è capo, raccogliendoci da tutte le genti. La vita di Cristo si comunica in tutto il corpo attraverso i sacramenti; incorporati al Signore diventiamo membra gli uni degli altri (cfr. Rm 12,5). Tale incorporazione rimane al di là della morte, infatti nel Credo professiamo la Comunione dei santi, e l unità di fede e comunione è tale sia nello spazio sia nel tempo. Lo Spirito Santo unificando il Corpo diffonde e stimola la carità tra tutte le membra, affinché siano le une a servizio delle altre. Come nel corpo umano, anche nella struttura del Corpo mistico c è diversità di membri e di compiti (cfr. 1Cor 12,1-12). Lo Spirito Santo distribuisce largamente carismi e doni per l esercizio dei vari ministeri. 7. Sposa di Cristo L unità di Cristo con la sua Chiesa è espressa anche attraverso l immagine dello sposo e della sposa. Questa immagine, oltre che esprimere l unione, esprime anche la distinzione per una relazione di reciprocità (cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica 796). Infatti Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei, per renderla santa, purificandola per mezzo del lavacro dell'acqua accompagnato dalla parola, al fine di farsi comparire davanti la sua Chiesa tutta gloriosa, senza macchia né ruga o alcunché di simile, ma santa e immacolata (Ef 5,25-27); questo amore chiede una risposta di fedeltà e di santità da parte dei membri della Chiesa, sull esempio di Maria che ne è Madre. 8. Chiesa popolo di Dio in cammino La Chiesa è il nuovo popolo di Dio, quello fondato da Gesù Cristo stesso con il suo sacrificio, mediante un legame non semplicemente umano, ma più profondo, che si costituisce nello Spirito. Cristo è il capo del suo popolo e lo chiama a vivere nella dignità e nella libertà dei figli di Dio. La legge donata ad esso è il precetto dell amore: La moltitudine di coloro che erano venuti alla fede aveva un cuore solo e un anima sola (At 4,32). Il fine a cui tende è il Regno di Dio, incominciato in 7

8 terra dallo stesso Dio, e che deve essere ulteriormente dilatato, finché alla fine dei secoli sia da lui portato a compimento (Lumen Gentium 9). Questo popolo, pur non essendo ancora composto dall intera umanità, costituisce per tutti il germe più forte di unità, di speranza e di salvezza (Lumen Gentium 9), strumento di redenzione, inviato dal Signore a tutto il mondo. 9. L Eucaristia manifesta e costruisce la Chiesa C è una speciale manifestazione della Chiesa nella partecipazione piena e attiva di tutto il popolo santo di Dio alle medesime celebrazioni liturgiche, soprattutto alla medesima eucaristia, alla medesima preghiera, al medesimo altare cui presiede il vescovo circondato dai suoi sacerdoti e ministri (Sacrosanctum Concilium 41). Il Concilio Vaticano II ha ricordato che la Celebrazione eucaristica è al centro del processo di crescita della Chiesa. Infatti, dopo aver detto che la Chiesa, ossia il regno di Cristo già presente in mistero, per la potenza di Dio cresce visibilmente nel mondo, quasi volendo rispondere alla domanda Come cresce?, aggiunge: Ogni volta che il sacrificio della Croce col quale Cristo, nostro agnello pasquale è stato immolato (1Cor 5,7) viene celebrato sull altare, si effettua l opera della nostra redenzione. E insieme, col sacramento del pane eucaristico, viene rappresentata e prodotta l unità dei fedeli, che costituiscono un solo corpo in Cristo (cfr. 1 Cor 10,17) (Ecclesia de Eucharistia 21). Infatti l incorporazione a Cristo, realizzata attraverso il Battesimo, si rinnova e si consolida continuamente con la partecipazione al Sacrificio eucaristico, soprattutto con la piena partecipazione ad esso che si ha nella comunione sacramentale (Ecclesia de Eucharistia 22). L eucaristia dà forma alla vita della Chiesa, plasmandola come comunità al servizio di Dio e degli uomini. ( ) Quando si parla di Chiesa eucaristica, si dovrebbe pensare non tanto o non solo alla Chiesa che celebra l eucarestia, quanto alla Chiesa plasmata dall Eucaristia, alla forma che l Eucaristia conferisce al volto della Chiesa. La forma eucaristica della Chiesa è quella della diaconia, del servizio, di una vita spesa nell amore, a servizio di tutti gli uomini (E. Bianchi, Eucaristia e Chiesa, 2010). La comunione nella Chiesa si costruisce sempre attorno all Eucaristia ed essa è un dono che va accolto, custodito, desiderato, invocato, costruito con la grazia di Dio giorno dopo giorno. II. LE CATEGORIE CHE ISPIRANO UN CAMMINO DI CHIESA: A. Chiesa, famiglia di Dio Non siete più stranieri né ospiti, ma siete concittadini dei santi e familiari di Dio (Ef 2,19). 10. Relazioni gratuite La comunità ecclesiale è una grande famiglia formata da famiglie cristiane (Familiaris consortio 69). Pensiamo dunque alla nostra Chiesa come alla famiglia di Dio, una comunità familiare, un luogo di relazioni dirette e calde, in cui essere e stare insieme anche se diversi, all insegna del volersi bene, anzi, dell amore totale. La Chiesa è la casa di Dio, nella quale abita la sua famiglia (Lumen Gentium 6). La Chiesa come famiglia di Dio è l immagine di una comunità in cui, a fronte di relazioni fragili, conflittuali o di tipo consumistico non di rado presenti nella società, si vive la possibilità di relazioni gratuite, forti e durature, rese salde dalla Grazia, dall accettarsi a vicenda e dal perdono reciproco. 11. Lo stile della famiglia di Dio Nella famiglia di Dio si vive l unità nella legittima diversità, a partire dal rapporto di reciprocità tra l uomo e la donna, i quali rappresentano l immagine stessa di Dio (cfr. Gen 1,27). C è la cura costante dei piccoli da crescere e da educare e l attenzione a trasmettere loro il patrimonio di fede e di vita proprio di ogni famiglia, con le parole, i gesti e le sue tradizioni. L unione, in famiglia, non vuole dire uniformità, perché ogni persona deve essere aiutata a trovare il proprio percorso; similmente la Chiesa essendo cattolica, nel ritrovarsi attorno alla fede, accetta varie 8

9 forme di vita cristiana, di liturgia, di patrimoni teologici, in una comunione che può essere declinata al plurale. Come in una famiglia, nella comunità cristiana la teologia e la spiritualità della comunione, infatti, ispirano un reciproco ed efficace ascolto tra Pastori e fedeli, tenendoli, da un lato, uniti a priori in tutto ciò che è essenziale, e spingendoli, dall altro, a convergere normalmente anche nell opinabile verso scelte ponderate e condivise Occorre a questo scopo far nostra l antica sapienza che, senza portare alcun pregiudizio al ruolo autorevole dei Pastori, sapeva incoraggiarli al più ampio ascolto di tutto il Popolo di Dio San Paolino di Nola esorta: Pendiamo dalla bocca di tutti i fedeli, perché in ogni fedele soffia lo Spirito di Dio (Novo Millennio ineunte 45). 12. La misericordia L essere famiglia di Dio vuol dire anche vivere sotto il segno della misericordia. Una Chiesa famiglia che saprà usare misericordia, che non abbandonerà i propri figli peccatori pur condannando il loro peccato, correggendoli con franchezza e carità, questa Chiesa potrà raccontare i tratti di Gesù, suo Signore ed essere più ascoltata e vicina agli uomini. Essere testimone di comunione e di riconciliazione è uno dei grandi servizi che la Chiesa può rendere all umanità, infatti l unione della famiglia umana viene molto rafforzata e completata dall unità della famiglia dei figli di Dio fondata sul Cristo (Gaudium et Spes 42). B. Chiesa nello stile dell amicizia Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici. Non vi chiamo più servi ma vi ho chiamati amici (Gv 15,13.15). 13. L amicizia al cuore della Chiesa Gesù stesso nel Vangelo di Giovanni esprime la sua relazione con i discepoli nei termini dell amicizia, una amicizia che arriva fino al dono di sé ed è piena comunione di intenti e di vita: Vi ho chiamato amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre l'ho fatto conoscere a voi. Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto (Gv 15,15-16). Da questo fondante legame amicale con Gesù, scaturisce il clima di amicizia che deve caratterizzare la vita della comunità ecclesiale. Anche per i Padri della Chiesa l amicizia è la caratteristica delle relazioni tra i cristiani. S. Giovanni Crisostomo afferma: Pensa al tempo degli apostoli: non c era allora il mio e il tuo. Questa è amicizia: non ritenere proprie le cose proprie, ma quelle del prossimo; aver riguardo dell anima del prossimo come della propria. Molti di noi che ci raduniamo neppure ci conosciamo. Si dice: E a causa del numero. Nient affatto: piuttosto la nostra trascuratezza. Erano tremila e tutti erano un anima sola. Ora invece ognuno ignora il fratello e non si vergogna di dare la colpa al numero. Anche il Magistero recente richiama tale categoria quando sottolinea che: Spiritualità della comunione significa anzitutto sguardo del cuore portato sul mistero della Trinità che abita in noi, e la cui luce va colta anche sul volto dei fratelli. Spiritualità della comunione significa inoltre capacità di sentire il fratello di fede nell unità profonda del Corpo mistico come uno che mi appartiene, per saper condividere le sue gioie e le sue sofferenze, per intuire i suoi desideri e prendersi cura dei suoi bisogni, per offrire una vera e profonda amicizia (Novo Millennio ineunte 44). 14. Amicizia ed universalità della Chiesa La categoria dell amicizia riesce ad esprimere il legame fra noi e Cristo e quindi i reciproci rapporti intraecclesiali, fornendo molta luce alla prassi ecclesiale. Inoltre Sant Agostino così diceva: Amate tutti gli uomini e anche i vostri nemici, non perché sono vostri fratelli, ma perché lo divengano; bruciate sempre di questo amore fraterno per colui che è vostro fratello e per il nemico affinché lo diventi. Oggi la società è molto sensibile al richiamo dell amicizia, all importanza della cura delle relazioni e la Chiesa è chiamata a saper tradurre in uno stile umano, accogliente, amicale le sue grandi verità. Mostrare il vangelo come il manuale che insegna ad amare, ad essere realmente amici, diventa una via facilmente praticabile per la nuova evangelizzazione. 9

10 C. Chiesa del servizio Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi (Gv 15,12). Il Figlio dell uomo non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti (Mc 10,45). 15. Amare come Cristo L Amore con cui Gesù chiede ai suoi discepoli di amarsi ha la misura nel come del suo Amore. Non c è comunione cristiana, in famiglia, fra amici, in parrocchia, in diocesi, laddove si cercano facili scorciatoie. L amore di Cristo è concreto, si fa carico della vita dell altro, lo mette al primo posto, si spoglia delle sue ricchezze: è amore che si dona totalmente e immolandosi genera nuova vita. Al contrario, quando vogliamo amare senza il riferimento a Cristo la nostra comunione scivola nel sentimentalismo, la carità nel moralismo, la fraternità in uno sterile perbenismo. Gesù di Nazareth passò beneficando e risanando tutti coloro che stavano sotto il potere del diavolo (At 10,38). Essere prolungamento di Cristo nel mondo è avere come Lui mani che guariscono, parole che confortano, sguardi che perdonano (cfr. Lc 10,29-37): è un amore concreto quello che è chiesto alle nostre comunità che non si limita ad insegnare, ma si china sull uomo, su ogni uomo e ogni donna e si fa carico della sua storia, del suo dolore o della sua gioia. Il cristiano nella concretezza della sua vita è chiamato a mettere in pratica il grande comandamento di Cristo di prodigarsi al servizio del fratelli (Gaudium et Spes 57). 16. La scelta preferenziale dei poveri La via di Cristo è la via dell umiltà; umiltà che ci è chiesta nei confronti di Dio, perché possa operare in noi secondo la sua volontà per il bene del suo popolo, e umiltà nei confronti degli altri: la vera comunione nasce laddove non cerchiamo il dominio, il prevalere delle nostre idee personali, ma l amore, che a volte si manifesta nel lasciare spazio all altro, nel chinarsi sui suoi piedi stanchi, nel lasciargli il primo posto nelle assemblee. Lo stile di Cristo è la scelta preferenziale dei piccoli, dei poveri, dei deboli, dei forestieri, dei peccatori come commensali e compagni di strada (cfr. Lc 14,12-14). La Chiesa in cammino non vive per se stessa ma per il Regno; è a servizio di Dio e degli uomini per la costruzione del Regno, per questo non cerca il potere e la ricchezza, ma è attenta ai poveri ed essa stessa sente il desiderio di imitare Colui che da ricco che era si è fatto povero (2 Cor 8,9). Perciò la Chiesa è chiamata a scegliere i piccoli, per ricordare che nessuno è lontano dal Cuore di Dio, e che in essi è racchiuso il segreto di un amore che non fa calcoli ed è continuo rendimento di grazie. 17. Il dono totale di sé La via di Cristo è la scelta del dono totale di sé, del rifiuto della logica dell egoismo e dell accaparramento: ne deriva l invito ad essere comunità cristiana dove c è solidarietà tra parrocchie ricche e povere, dove si condivide gioiosamente con i paesi più poveri, perché tutto ciò che abbiamo, la nostra vita, la comunità, i sacerdoti, sono dono di Dio e mai Egli ci farà mancare ciò che ci è necessario. Cristo ci ama per primo. Gratuitamente ci ama. Nelle nostre comunità sperimentiamo la bellezza di metterci a servizio gratuitamente (cfr. Mt 10,8), sperimentiamo così quanto è vera e feconda la promessa di Dio che c è più gioia nel dare che nel ricevere (cfr. At 20,35). Chi vive l amore al modo di Cristo prima o poi sperimenta la croce. È il dolore per l amore non corrisposto, rifiutato, tradito, è il dolore di fronte alla morte e al peccato. Se le nostre comunità scelgono di vivere l amore al modo di Cristo non potranno eludere questo dolore, non potranno eludere la croce, e allora la forza della comunità sta nel ricordarci l un l altro che di qui passa la nostra salvezza, perché solo accettando la croce possiamo sperare nella risurrezione. 10

11 CAPITOLO 2 IL POPOLO DI DIO I. IL POPOLO DI DIO CHE È NELLA CHIESA DI SENIGALLIA 18. Il popolo di Dio Tutti gli uomini sono chiamati a formare il popolo di Dio. Perciò questo popolo, pur restando uno e unico, si deve estendere a tutto il mondo e a tutti i secoli, affinché si adempia l intenzione della volontà di Dio, il quale in principio creò la natura umana una e volle infine radunare insieme i suoi figli dispersi (Lumen Gentium 13). Si appartiene al popolo di Dio non per la nascita fisica, ma per la nascita dall alto, dall acqua e dallo Spirito cioè mediante la fede in Cristo e il Battesimo. Popolo di Dio è quindi la Chiesa, l insieme dei battezzati, e tuttavia l umanità intera è chiamata a farne parte. Questo popolo ha per capo Gesù Cristo; ha per condizione la dignità e la libertà dei figli di Dio. Ha per legge il nuovo precetto di amare come lo stesso Cristo ci ha amati. Ha per missione di essere il sale della terra e la luce del mondo; ha per fine il regno di Dio, incominciato in terra dallo stesso Dio e che deve essere ulteriormente dilatato, finché alla fine dei secoli sia da lui portato a compimento (cfr. Lumen Gentium 9; Catechismo della Chiesa Cattolica 782). 19. La partecipazione agli uffici di Cristo Cristo è profeta, sacerdote e re, cioè vive la sua funzione di evangelizzatore, di santificatore e guida del popolo cristiano. Ogni donna e uomo del popolo di Dio, grazie al battesimo, partecipa a questi tre uffici di Cristo essendo chiamato a diffondere il Vangelo, santificare e guidare le persone. Ma questa partecipazione è donata ai singoli in quanto parte del corpo di Cristo che è la Chiesa. Così, proprio perché deriva dalla comunione ecclesiale, la partecipazione dei fedeli al triplice ufficio di Cristo esige d'essere vissuta e attuata nella comunione e per la crescita della comunione stessa (Christifideles laici 14). 20. Sacerdozio comune e sacerdozio ministeriale Nel popolo di Dio tutti i battezzati sono sacerdoti, perché partecipano dell unico sacerdozio di Cristo che offre se stesso per la salvezza dell umanità. Questo sacerdozio si distingue in comune e ministeriale. Il sacerdozio comune dei fedeli vuol dire che ogni battezzato offre a Dio se stesso e tutte le dimensioni della sua vita (la vita familiare, il lavoro, ogni attività di impegno nel mondo e nella Chiesa) consacrando così il mondo a Dio. Il sacerdozio ministeriale è vissuto da coloro che sono consacrati con il sacramento dell ordine sacro ed è a servizio del sacerdozio comune; infatti forma e regge il popolo sacerdotale, compie il sacrificio eucaristico nel ruolo di Cristo e lo offre a Dio a nome di tutto il popolo (Lumen Gentium 10). 21. La Chiesa di Senigallia: porzione del popolo di Dio Per la Chiesa che è in Senigallia essere popolo di Dio vuol dire essere una Chiesa in cammino, popolo sinodale, realtà viva e in movimento, ma con un unica storia che la accomuna, perché i credenti sono tutti fratelli in quanto figli di Dio, membri di un unica famiglia, animati dalla gioia dello stare insieme con Cristo e tra di loro, con uno stile di sempre maggiore convivialità. La conseguenza è che essendo membra vive di un unico corpo il peccato di uno fa del male a tutti, così come il bene di uno diviene grazia per tutti: perciò si è consapevoli che la Chiesa che è in Senigallia ha luci e ombre. 22. Le luci Tra le luci si vede innanzitutto che c è nel tessuto della diocesi una preziosa eredità di santità, una vivacità di vocazioni alla vita laicale, religiosa e sacerdotale, una bella ricchezza di esperienze di fede nelle parrocchie, nelle associazioni e nei movimenti. Questa realtà è alimentata con legami forti, coltivati da una grande comunione, sicuri che questa non nasce da un livellamento, ma dall unione e condivisione dei doni ricevuti. La diversità dei carismi è ricchezza per la costruzione della comunità cristiana e per una testimonianza autentica di vita e di 11

12 amore. Questo vuol dire che ognuno deve mettere del suo affinché la comunità sia autentica e che la ricchezza di uno deve diventare la ricchezza di tutti: sia per vivere il servizio in spirito di gioia e di umiltà, sia per vivere la bellezza di quella convivialità delle differenze che fa la Chiesa. Così ci si educa all unità e alla comunione con l accoglienza e l ascolto reciproco che si fa intenso e vero lì nelle situazioni di vita delle persone, per esempio in occasione di eventi che toccano profondamente il senso della vita come i funerali o durante le benedizioni pasquali, conoscendo la realtà che sta intorno a partire dai bisogni dei più poveri. 23. Le ombre Tra le ombre si sperimenta che, nonostante il cammino fatto, ci sia bisogno di curare di più le relazioni tra le persone, a fronte di un incapacità a tessere e mantenere rapporti autentici e a comunicare con gli altri l esperienza quotidiana della fede. Si dedica poco tempo e poca attenzione all incontro autentico con l Altro che è Dio e con l altro che è il fratello, soprattutto perché indaffarati da troppi impegni: eppure chi opera in parrocchia è chiamato ad essere non tanto attivo quanto significativo, cioè sale della terra e luce del mondo. In particolare, poi, molti soffrono una certa freddezza di rapporto tra le parrocchie, soprattutto tra quelle della periferia e quelle del centro diocesi. Inoltre si chiede una maggior vicinanza dei sacerdoti e del Vescovo alle persone anche al di fuori delle occasioni formali. La qualità delle relazioni è il nodo centrale della questione, a cui non si possono fare sconti: solo la paziente disponibilità di tutti all ascolto e all incontro reciproco può condurre a relazioni vere. II. LO STILE DEL POPOLO DI DIO PER COSTRUIRE LA COMUNIONE 24. Lo stile di relazione Come può il popolo di Dio della diocesi di Senigallia vivere maggiormente nell unità, per essere un cuor solo e un anima sola? Innanzitutto è l esperienza di relazione personale con Gesù Cristo e con i fratelli che porta alla costruzione della comunione. La relazione con Cristo e con l altro nella vita del cristiano sono complementari e reciproche, come due facce della stessa medaglia. Deve crescere la consapevolezza che il legame di comunione all interno del popolo di Dio fa parte del suo statuto e porta un beneficio a tutti nell insieme e a ciascuno in particolare. Per questo ogni componente della Chiesa di Senigallia è chiamato ad aprirsi al dialogo, ad accettare umilmente limiti e povertà proprie ed altrui suscitando e prendendo parte a incontri di comunicazione spirituale, di revisione di vita, di correzione fraterna, facendo sì che tutti gli incontri ecclesiali divengano un occasione di dialogo nella fede, non solo occasioni funzionali o meramente organizzative. 25. Il Battesimo, fondamento della corresponsabilità Per il cristiano il fondamento della corresponsabilità è nel Battesimo, sacramento dal quale scaturisce per tutti i soggetti della Chiesa la loro dignità e la chiamata alla responsabilità nella costruzione del Regno, attraverso i carismi che vengono loro donati. Non si tratta di una generica collaborazione o cooperazione, ma di una risposta data insieme, illuminati dalla Parola di Dio, alle necessità e ai bisogni del proprio tempo e del proprio territorio. La corresponsabilità non va dunque riduttivamente declinata nel concedere un po più di spazio o di autonomia ai laici, poiché tutta la Chiesa è portatrice della missione salvifica affidatale da Cristo e tutti i membri della Chiesa partecipano della dignità profetica, sacerdotale e regale. Non è cosa riservata agli impegnati a livello ecclesiale o agli operatori pastorali: si è corresponsabili in quanto battezzati, a prescindere da qualunque ruolo o servizio. A tutti i battezzati va offerta la possibilità di cammini di progressiva integrazione alla comunità stessa e opportunità concrete per sentirsi responsabili della missione della Chiesa. 12

13 26. La domanda di corresponsabilità Nelle dinamiche di relazione che caratterizzano la società le persone fanno parte di équipe e commissioni dove ci si ascolta, si mettono a confronto proposte e valutazioni per decidere in forma condivisa e attuare in modo corresponsabile. Il pluralismo della cultura ha poi portato alla progressiva perdita del principio di autorità: oggi è la libertà il tratto tipico di questo tempo, nella quale si riconosce un carattere originario che Dio stesso ha posto nel cuore di ogni uomo e donna da cui parte il viaggio interiore di ogni persona. Ma armonizzare i bisogni e la libertà di tutti e di ciascuno e orientarli alla buona convivenza è la scommessa di questi nostri tempi; la Chiesa senigalliese dovrebbe operare un cambiamento di mentalità e di prassi abbandonando i residui di una visione piramidale ereditata dal passato, in cui ruoli e responsabilità sono chiusi e definiti, ad una visione più comunionale, che ha come perno centrale il principio della corresponsabilità, nel rispetto e nella promozione dei doni e dei ministeri di cui ciascuno è portatore. 27. Il discernimento comunitario, spazio di corresponsabilità battesimale È un tema tradizionale nella Chiesa ma oggi, nel contesto di cambiamenti permanenti, diventa fondamentale per individuare il passo concreto da compiere affinché il Regno di Dio si realizzi: il discernimento comunitario edifica la Chiesa come comunità di fratelli e di sorelle, di pari dignità, con doni e compiti diversi. Il discernimento comunitario è espressione dinamica della comunione ecclesiale e metodo di formazione spirituale, di lettura della storia e di progettazione pastorale: deve diventare sempre più prassi ecclesiale da diffondere nei vari organismi e realtà come i consigli pastorali diocesani e parrocchiali, commissioni, équipes, gruppi, comunità educative, famiglie religiose, unità pastorali. Il discernimento comunitario rappresenta una vera e propria scuola di vita cristiana, una via per sviluppare l amore reciproco, la corresponsabilità, l inserimento nel mondo a cominciare dal territorio senigalliese. 28. I ruoli nel discernimento comunitario Il discernimento comunitario compete a tutta la Chiesa nella quale tutti sono soggetti di discernimento, ma ciascuno in forma diversa e particolare. I laici propongono le istanze degli uomini e delle donne, offrono elementi per una comprensione approfondita della realtà umana, sociale, culturale ed ecclesiale, condividono la loro valutazione fatta sulla base della propria esperienza di fede, mettono a disposizione tutto quanto può aiutare all individuazione delle vie concrete per rispondere alle istanze sollevate in armonia con la fede. Nell ottica della corresponsabilità, ogni aspetto della vita ecclesiale, sia di principio che di azione concreta, va affrontato e offerto al comune discernimento, perché ciascuno può avere qualcosa di buono da dire, siano essi laici e preti, uomini e donne, giovani e adulti. Spetta infine ai pastori conferire, con il loro giudizio e la propria autorità, un sigillo di autenticità ecclesiale alle decisioni prese. Sotto l azione dello Spirito e alla luce della Parola, le decisioni prese in modo condiviso, alle quali si è giunti mediante un fecondo discernimento comunitario, sono da accogliere come manifestazioni della volontà di Dio sulla Chiesa, nella quale tutti i membri della comunità cristiana si riconoscono. 29. I luoghi del discernimento È necessario che l intera comunità conosca e condivida le scelte pastorali e abbia spazi adeguati per confrontarsi e proporre le proprie idee, in ascolto dei segni dei tempi e alla luce della Parola di Dio; spetta ai presbiteri valorizzare e, se necessario, promuovere e diversificare le occasioni in cui la comunità si confronta, discerne e decide, sotto l azione dello Spirito, sulle questioni ritenute fondamentali. Il discernimento comunitario comprende docilità allo Spirito e umile ricerca della volontà di Dio nella preghiera comunitaria, ascolto fedele della Parola, interpretazione dei segni dei tempi alla luce del Vangelo, valorizzazione dei carismi nel dialogo fraterno, creatività spirituale, missionaria, culturale e sociale. 30. Le esigenze del discernimento comunitario Per essere fedeli alla logica della corresponsabilità all interno del processo di discernimento e dell attuazione di quanto deciso, è necessario avere la pazienza dei tempi lunghi. È certamente più 13

14 sbrigativo ed efficace che il parroco (o chi per esso) prenda le decisioni da solo, mentre unicamente se entriamo tutti nel processo decisionale del discernimento comunitario potremo cominciare a parlare di corresponsabilità. Crescere nella corresponsabilità è educare all ascolto, al dialogo, alla conflittualità come occasione preziosa di confronto e di crescita. La scelta della corresponsabilità richiede di ripensare i ruoli di ognuno, rifondare la propria vocazione nella coscienza della missione che Gesù ha dato a tutti i suoi discepoli (cfr. Mc 3, 13-15). 31. La scelta della corresponsabilità Vivere la corresponsabilità, in questo momento storico e tenendo conto delle abitudini ecclesiali che si sono stratificate nel tempo, è una scelta per la comunità e per il singolo, che va continuamente rinnovata, scelta che non è scontata e non è spontanea, ma che è un compito che sta sempre davanti a noi. Per questo ogni attività e ogni modo di vivere la Chiesa andrebbero ripensati all insegna della corresponsabilità. E ogni soggetto ecclesiale è chiamato ad esercitare il ruolo di sentinella della corresponsabilità. La corresponsabilità non è solamente una modalità partecipativa, ma una vera testimonianza di vita evangelica. Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri; come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri (Gv 13,34-35). È la misura della credibilità dei credenti in quanto strumento per rendere visibile ed efficace il volto di Chiesa: solo se esiste comunione nell essere e nell agire di tutti i soggetti si saprà annunciare e vivere il dono dell essere cristiani. Per questo scegliere la corresponsabilità non vuol dire solo applicare una serie di pratiche o raccomandazioni pastorali per essere più efficaci e più credibili, ma è frutto di una conversione del cuore e dei pensieri, una conversione che è la stessa che chiede quotidianamente il Vangelo, quella dell amarsi gli uni gli altri, del fare a gara nello stimarsi vicendevolmente. Solo così la corresponsabilità non rimarrà un obiettivo sulla carta, ma un nuovo modo di vivere la Chiesa. 32. Lo stile del dialogo Lo stile del dialogo è tipico del popolo di Dio (cfr. Ecclesiam suam 67): dialogo con Dio, dialogo con i fratelli di fede, dialogo con il mondo oltrepassando le frontiere religiose e di nazionalità. Una sottolineatura particolare merita quest ultima forma di dialogo, perché la chiesa diocesana rischia di vivere staccata dalla realtà sociale, non facendo proprie le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini e delle donne di oggi (cfr. Gaudium et Spes 1). E necessario invece promuovere, in particolare nel settore dell educazione, una collaborazione fattiva con tutti gli uomini e le istituzioni di buona volontà per servire il bene comune. Temi quale lavoro, economia, ambiente, politica, giustizia, pace, vita, relazioni tra persone, salute, famiglia, fisco, occupazione, natalità, uso del danaro, stili di vita, acquisti e qualsiasi risvolto che richiama la vita sociale è necessario siano nell agenda della vita del popolo di Dio, perché concretizzi nel quotidiano la propria fede. 33. La partecipazione La partecipazione è un segno del nostro tempo: non esiste persona matura, né cristiano dalla fede autentica, né comunità cristiana, che possa essere segno chiaro e intellegibile della comunione che professa senza partecipazione cosciente, libera e responsabile. L amore creativo di Dio, che ha dotato ciascuno di intelligenza e libertà, ci chiama a partecipare in modo creativo alla comunità umana, per maturare la nostra identità, esprimere le nostre qualità, contribuire alla trasformazione evangelica del mondo. Concretamente nella comunità diocesana, nelle diverse realtà parrocchiali, vicariali, associazioni, movimenti si tratta di diffondere una cultura partecipativa, di promuovere luoghi formali e informali di partecipazione che pongano in relazione tutti i membri della comunità ecclesiale, che mettano i battezzati in condizione di essere soggetti attivi di tutto ciò che riguarda la vita e la missione della Chiesa di Senigallia, di educare e di educarsi alla partecipazione attiva attraverso processi sistematici di consultazione, informazione, dialogo, verifica e valutazione comune su ciò che costituisce la vita e la missione della comunità cristiana. 14

15 34. La santità della vita Le comunità cristiane rischiano di comunicare un Dio o troppo lontano o troppo interiore senza reale significato per la vita. Ridire la santità vuol dire coniugare lo stile di comunione nella vita personale e comunitaria. Attraverso la Chiesa, volto delle differenti forme di santità, è possibile un incontro con Cristo, come duemila anni fa, per ogni uomo. Il rischio è che il popolo cristiano non creda più in un Dio vivente e il cristianesimo sia ridotto semplicemente a una morale, anche se più alta di altre morali. Per evitare questo rischio, nel quale si è già caduti, c è necessità di far riscoprire nella vita delle parrocchie il volto di Gesù vivo e vero. Ancora: c è grande distanza tra fede e vita. Una fede che non parla alla vita e una vita che non parla alla fede, con la conseguenza che, mancando l incontro con Cristo vivo che trasforma la vita, la fede diventa una tradizione da rispettare, un sentimento, una buona ispirazione. Occorre dunque una rinnovata fioritura di santità, frutto di una spiritualità incarnata nella concretezza della vita quotidiana e della storia, che sappia coniugare lo stile di comunione nella vita personale e comunitaria e si caratterizzi per la scelta dell ascolto, del dialogo, della partecipazione, della corresponsabilità. Sono di grande incoraggiamento, con accento particolarmente persuasivo, i moltissimi santi della tradizione cristiana, anche senigalliese, che hanno illuminato la storia di questo territorio. 35. Discernimento e condivisione della Parola La lettura e la comune meditazione della Parola diventino una priorità nelle comunità cristiane: La Parola di Cristo dimori fra voi abbondantemente (Col 3,16). Questo richiede, da una parte, una formazione condivisa ai metodi della lectio divina e della revisione di vita - vedere giudicare e agire - che si integrano a vicenda: il primo partendo dal testo per arrivare alla trasformazione del cuore e della vita, il secondo partendo dai fatti della vita per comprenderne il significato e il messaggio alla luce della Parola di Dio. In entrambi si sperimenta così come l interiorità cristiana non sia intimismo soggettivo, ma interiorizzazione della Parola di Dio che è venuta nella storia e viene ora a plasmare la nostra esistenza. Dall altra, richiede di incoraggiare la formazione di piccoli gruppi di condivisione della Parola, in cui laici, preti, diaconi e religiosi si mettano all ascolto delle sfide della storia e delle illuminazioni del testo biblico come discepoli dell unico Signore. 36. La formazione Ci si educa a essere popolo di Dio nella consapevolezza che il popolo di Dio non si forma da solo, ma è il Signore che chiama uomini e donne a camminare verso di Lui e con Lui, suscitando in questo pellegrinaggio frutti di conversione; è dunque possibile vivere una vera comunione di persone solo alimentandola con una formazione continua e perseverante. Infatti per essere persone di comunione occorre essere persone spirituali e questo necessita di una formazione continua, di un grande lavoro personale spirituale, con la purificazione dalla propria volontà dall invidia e dai protagonismi per imparare a gareggiare nello stimarsi a vicenda, frequentare costantemente le Sacre Scritture, la preghiera personale, l approfondimento orante del grande patrimonio spirituale della Chiesa, la pratica degli esercizi spirituali. È necessaria poi una migliore preparazione teologica per riuscire a dare ragione della speranza che è in ogni credente e per maturare una giusta appartenenza alla chiesa secondo l ecclesiologia di comunione. 37. Obbedienza e franchezza Dalla formazione scaturiscono molti atteggiamenti da vivere per il credente; se ne sottolineano due. Il primo è l obbedienza nei confronti della Chiesa e di coloro che in essa si trovano ad avere responsabilità. E un obbedienza filiale e non rinuncia alla propria coscienza, che comunque deve essere ben formata, ma ascolto rispettoso e fiducioso. E un ordinamento d amore nell esecuzione del proprio compito senza voler invadere il campo del servizio altrui; è radicale messa in discussione del proprio parziale modo di vedere e giudicare; è riconoscere una verità altra che non può essere posseduta solo da alcuni, ma che continuamente va ricercata e vissuta. 15

16 Accanto all obbedienza è necessaria la parresia che è quella franchezza con cui si ha il diritto e dovere di dire alle persone responsabili il proprio punto di vista sulle questioni che si considerano importanti. Questa franchezza favorisce la correzione fraterna, permette di sapere i dubbi e le fatiche che uno si porta dentro, è stimolo ad una maggiore condivisione. Inoltre, di fronte alla violazione dei principali diritti individuali e collettivi che purtroppo sono presenti nel mondo, se necessario occorre una giusta indignazione, alla maniera di Gesù con i mercanti nel tempio di Gerusalemme. 38. La comunione di intenti e la comunione spirituale In una prospettiva di reale corresponsabilità, conseguenza necessaria della comunione ecclesiale, i luoghi di decisione dovranno essere luoghi di ascolto reciproco, di accoglienza per opinioni e idee diverse, per superare le eventuali conflittualità come momento di crescita comune e convergere verso scelte ampiamente condivise. In un clima amicale e fraterno, scevro da ogni approccio ideologico, le scelte effettuate saranno applicate con impegno, entusiasmo da ogni componente interessato con sincero e vero spirito di servizio in cui il bene comune da perseguire prevale su ogni particolarismo. La comunione di intenti richiede la comunione nello Spirito. Nella preghiera personale e comunitaria saranno sempre presenti le persone e i bisogni dei singoli e di tutta la comunità, fino ad abbracciare la Chiesa universale e l umanità intera. Comunione spirituale è amicizia in Cristo, che non è vago sentimento di simpatia e cameratismo, ma decisione profonda e irrevocabile di amare e condividere, di stimare ad aiutare l altro nella misura che il Signore mi concederà, di gioire delle sue gioie e piangere dei suoi dolori, di dialogare e conoscersi in profondità. 39. Lo stile di condivisione e la comunione dei beni La condivisione è il valore che trova origine e compimento nell Eucaristia che, come discepoli del Signore, non possiamo disattendere:... date loro stessi da mangiare... non abbiamo che cinque pani e due pesci... portatemeli qua (Mt 14,16-18). Donare senza trattenere per sé: in ciò consiste lo specifico servizio dei discepoli di Gesù verso il mondo, un servizio la cui qualità ed efficacia non dipendono da un calcolo umano. Si tratta, non soltanto di fare, ma del consegnare a Dio - nello spazio orante del discernimento spirituale e pastorale - tutto ciò che si condivide con la gente, cioè i pochi pani e i pochi pesci. La condivisione e la comunione dei beni sollecita l intera Chiesa diocesana, ad ogni livello di persone, di famiglie e di strutture ecclesiastiche, a percorrere concrete vie affinché questa testimonianza possa risplendere ancora oggi nelle comunità rendendole maggiormente attraenti nel mondo. Alcuni esempi sono la necessaria condivisione dei laici nella responsabilità e nella gestione dei beni patrimoniali, bilanci pubblici e trasparenti, la messa a disposizione dei locali di proprietà della diocesi e delle parrocchie per situazioni di difficoltà. Oltre alla comunione dei beni in senso stretto, è auspicabile si possano mettere in comune le competenze professionali e lavorative delle singole persone, così da offrire servizi qualificati a persone che altrimenti non vi potrebbero accedere. 40. Due sottolineature: l apertura alla Chiesa universale e l ecumenismo Siamo popolo di Dio in comunione con tutti i credenti in Cristo e l attenzione alle chiese di tutto il mondo dà nuova linfa e vigore alla chiesa locale. In tutte le nazioni della terra vi sono risorse e forme di vita dei popoli che debbono essere favorite, accolte e scambiate come ricchezze per tendere verso la pienezza nell unità. La realtà della comunione è anche il primo riflesso della Chiesa davanti al mondo: la Chiesa, cosciente della sua missione universale, può entrare in comunione con le diverse forme di cultura; tale comunione arricchisce tanto la Chiesa stessa quanto le varie culture (Gaudium et Spes 58). Non si tratta dunque di un impegno che spetta solo al singolo o a un gruppo di missionari, ma piuttosto di un processo che domanda l impegno continuo di tutto il popolo di Dio, il quale vive la sua fede in seno ad una Chiesa particolare e la incarna nel suo contesto culturale. L esperienza dei gemellaggi di diocesi e parrocchie con comunità in terre di missione indica, inoltre, la necessità di acquisire lo stile di quelle chiese, dove la corresponsabilità ecclesiale, in particolare attraverso la figura del catechista nelle comunità, è pane quotidiano. 16

17 Se è vero che la comunione intraecclesiale è la premessa necessaria per iniziare qualunque discorso di comunione, occorre anche prevedere una sosta di meditazione sulla comunione tra le chiese cristiane separate, nonché sul dialogo possibile, auspicabile, fraterno con le fedi non cristiane dove si crede che lo Spirito abbia comunque deposto semi di fecondità e di verità. Mentre un dialogo va cercato con tutti, atei o credenti di ogni fede, per vivere fino in fondo la dinamica dell accoglienza e della fraternità con tutti gli uomini che sono amati dal Signore per il solo fatto di essere sue creature, si ritiene particolarmente necessaria la ricerca della comunione con i fratelli e le sorelle delle cosiddette chiese separate. In diocesi lo spostamento di popoli in questi anni ha portato una presenza di cristiani provenienti dall Europa dell est di fede ortodossa, ma anche, da varia provenienza, presenze di fede anglicana e protestante, presenza che vanno cercate e con le quali va vissuto un atteggiamento ecumenico. 17

18 CAPITOLO 3 I SOGGETTI DELLA COMUNIONE 41. Il fondamento trinitario della Chiesa Popolo riunito dall unità del Padre, del Figlio, e dello Spirito Santo, la Chiesa viene dalla Trinità, è strutturata ad immagine della Trinità e cammina verso il compimento trinitario della storia. A partire da questo fondamento trinitario, si comprende come l unità dei battezzati nella Chiesa preceda la distinzione dei singoli soggetti ecclesiali e ne sia insieme fondamento e fine. La comunione ecclesiale, vivificata dallo Spirito, principio di unità e sorgente di varietà carismatica e ministeriale si presenta come un insieme di diversità riconciliate, una varietà unificata nella carità e nella reciprocità, intorno al ministero dei pastori, attraverso lo stare nella storia dei laici, a partire dal ministero unificante del Vescovo. I. IL VESCOVO 42. Il ministero del Vescovo Il ministero episcopale può essere sinteticamente definito come presidenza della Chiesa locale e come legame tra le Chiese locali. La funzione prima del Vescovo è di essere pastore in una porzione di Popolo di Dio, perpetuando la funzione apostolica di annuncio della Parola, di celebrazione dei sacramenti e di guida della Chiesa particolare. Lo stesso Vescovo è visibile principio e fondamento dell unità nella propria Chiesa particolare, ed è pure il legame visibile della comunione ecclesiastica tra la sua Chiesa particolare e la Chiesa universale. Ogni Vescovo, così, è quasi punto di congiunzione della sua Chiesa particolare con la Chiesa universale e testimonianza visibile della presenza dell unica Chiesa di Cristo nella sua Chiesa particolare (Pastores Gregis 55). Per questo il Vescovo per primo ha il compito di farsi promotore e animatore di una spiritualità di comunione, adoperandosi instancabilmente per farne uno dei principi educativi di fondo (Pastores Gregis 22), incoraggiandola in particolare all interno del suo presbiterio, tra i diaconi, i consacrati e le consacrate. 43. Il Vescovo costruttore di comunione Se la comunione esprime l essenza della Chiesa, è normale che la spiritualità di comunione tenda a manifestarsi nell ambito sia personale che comunitario suscitando forme sempre nuove di partecipazione e di corresponsabilità nelle varie categorie di fedeli. Il Vescovo si sforzerà, pertanto, di suscitare nella sua Chiesa particolare strutture di comunione e di partecipazione, che consentano di ascoltare lo Spirito che vive e parla nei fedeli, per poi orientarli a porre in atto quanto lo stesso Spirito suggerisce in ordine al vero bene della Chiesa (Pastores gregis 44). È, questa, la sintesi di come il Vescovo, sposo della Chiesa locale, è invitato a vivere la comunione in vista dell unità dei cristiani sotto l unico pastore che è il Signore. Nei confronti della Chiesa universale il Vescovo è chiamato a custodire nel cuore la necessità che tutti gli uomini e le donne di ogni luogo possano incontrare Cristo: un modo concreto per vivere tale corresponsabilità è promuovere, da parte di ogni Diocesi, un attenzione per una Chiesa missionaria, con cui instaurare rapporti di autentica comunione e di reciproco aiuto. Fra questi dovrebbe essere tenuto in costante considerazione l eventuale invio in missione di preti Fidei donum, nella certezza che ogni dono alla missione non è una perdita, al contrario, può rivelarsi portatore di molti frutti anche per la Chiesa che invia. Nei confronti della Chiesa presente nel territorio nazionale il Vescovo è chiamato a condividere in modo collegiale con gli altri vescovi le sollecitudini e soprattutto i problemi del paese, tenendo comunque ben presenti le peculiarità della propria Diocesi. 44. Il Vescovo garante della sinodalità Riveste poi una particolare importanza il rapporto tra Vescovo e sacerdoti: la corresponsabilità all interno del presbiterio è chiamata proprio ad incarnare la carità dono del Signore. Il presbiterio è pertanto il luogo della comune responsabilità tra sacerdoti e Vescovo, il luogo in cui l unità di tutta la Chiesa diocesana diventa preminente rispetto a particolarismi e opinioni individuali. 18

19 Il Vescovo garantisce il pieno coinvolgimento delle comunità religiose maschili e femminili, presenti nel territorio, nella Chiesa diocesana, sia tenendo conto del loro originale carisma, sia promuovendo con nuova sollecitudine la loro corresponsabilità. Nei confronti dei laici il Vescovo mostri costante disponibilità all ascolto non soltanto negli organi ecclesiali di partecipazione, ma anche mediante un contatto personale. Nell ottica della corresponsabilità di tutta la Chiesa, il Vescovo abbia un costante confronto con quei laici che hanno assunto importanti incarichi di responsabilità o di rappresentanza nelle comunità parrocchiali o di gruppi, associazioni e movimenti. Con le comunità parrocchiali, i momenti di incontro con il Vescovo sono di solito legati a celebrazioni o eventi programmati che hanno spesso un carattere istituzionale e rigido. Per questo sarebbe importante favorire tra laici e Vescovo momenti di incontro più fraterni, in cui ci sia una effettiva conoscenza, non tanto delle realtà pastorali parrocchiali, quanto degli uomini e donne che lì vi si incontrano. È importante anche riscoprire un nuovo modo di relazionarsi con il Vescovo, che non sia condizionato dalla distanza dovuta ai ruoli, anche nel modo di rivolgersi e negli atteggiamenti, ma che permetta di rapportarsi in un modo amicale e fraterno. Una proposta è di promuovere in ogni parrocchia un periodo di alcuni giorni di visita residenziale del Vescovo, che gli permetterebbe di intessere, nella quotidianità della preghiera e della vita pastorale, dei rapporti di vicinanza e di amicizia con le persone coinvolte nella vita comunitaria della parrocchia. Lo stesso stile di dialogo e scambio reciproco viene vissuto dal Vescovo nei confronti di chi ha responsabilità sociali e politiche, con cui il Vescovo condivide la sollecitudine e l attenzione per il bene comune. II. IL PRESBITERIO 45. I presbiteri e il Vescovo Collaboratori preminenti e necessari del ministero del Vescovo sono i presbiteri che con lui formano un unico presbiterio; infatti riferimento imprescindibile e obiettiva condizione di comunione per i presbiteri è il presbiterio diocesano. Il ministero episcopale si prolunga nel carattere comunionale del ministero presbiterale; diventare prete significa entrare nel presbiterio di un Vescovo. Non si è preti da soli, ma nel presbiterio di un Vescovo (J. Ratzinger, Elementi di teologia fondamentale, p. 153). Questo reciproco rapporto tra Vescovo e presbiterio, che si attua a livello sacramentale e ministeriale, influenza anche i rapporti dei presbiteri dello stesso presbiterio e la communio che intercorre fra loro, poiché l appartenenza dei presbiteri al presbiterio deriva dalla loro partecipazione al ministero stesso del Vescovo. Per cui tutti i sacerdoti del presbiterio diocesano partecipano in solidum sia al ministero pastorale del Vescovo, sia anche al compito globale del presbiterio stesso, di cui il Vescovo è il capo. La responsabilità personale del Vescovo non si dissolve, però, in una responsabilità collettiva di tutti i presbiteri per il fatto che il potere decisionale non è affidato a una maggioranza, ma a una persona che ne è investita in forza del sacramento. 46. I presbiteri e la chiesa locale La dedicazione del presbitero diocesano alla Chiesa si esprime attraverso l inserimento nella Chiesa locale e per suo tramite nell intera Chiesa cattolica. Egli si mette al servizio della fisionomia propria che il dono di Dio assume attraverso l evento della Chiesa locale. E perciò ne studia la storia, ne ammira il volto spirituale, ne raccoglie l eredità, ne sviluppa la vita, intessendo una ricca trama di rapporti con i diversi membri della comunità (Cei, Seminari e vocazioni sacerdotali 36). Questi rapporti dei presbiteri con i membri della comunità che si costruiscono nel tempo e nella pluralità degli incontri, sono una ricchezza preziosa da non disperdere con una eccessiva mobilità dei parroci, motivata solo da nomine a tempo e non da reali necessità. Del presbiterio della Diocesi fanno parte anche i religiosi e i membri delle società di vita apostolica che partecipano del comune sacramento dell ordine. Sotto la guida del Vescovo, si coltiveranno rapporti di fraterna comunione e collaborazione pastorale tra presbiteri diocesani e religiosi e tra i presbiteri religiosi delle diverse famiglie. Il ministero presbiterale è chiamato, e potrà assumere ancor 19

20 più nettamente la sua identità specifica, all interno della comunione con altre forme di ministero, quali quello dei ministeri ecclesiali (istituiti e non) e, in particolare, con il ministero diaconale. 47. Il ministero pastorale e la vita comune Per rendere più efficace la cura delle anime va caldamente raccomandata la vita comune dei sacerdoti, specialmente di quelli addetti alla stessa parrocchia; essa, mentre giova all attività apostolica, offre ai fedeli esempio di carità e di unità (Christus Dominus 30). Questa raccomandazione circa la vita comune si attua attraverso la realizzazione di fraternità presbiterali, il cui fondamento è la condivisione della fede, della preghiera, del vissuto spirituale, del discernimento pastorale, senza dei quali non ha senso parlare di fraternità per il solo fatto che si mangi alla stessa mensa o si dorma sotto lo stesso tetto. Nelle fraternità presbiterali (parrocchiali, vicariali o di unità pastorale) le varie capacità e inclinazioni dei singoli componenti vengono esaltate, anche tenendo conto della varietà inter-generazionale. È inoltre possibile valorizzare le competenze e impiegare in modo migliore le risorse, liberando anche il tempo per la cura delle relazioni, per la formazione permanente - possibilmente condivisa - e per il riposo. La fraternità presbiterale rappresenta una risorsa anche nei momenti della malattia e della convalescenza, come presenza amicale e come aiuto concreto alla persona e al ministero. Per la loro attuazione sarà possibile accogliere la disponibilità di sacerdoti che intendono vivere insieme nella corresponsabilità, ma sarà anche necessario incentivarle con nomine specifiche all interno di una progettazione e di condivisione della cura pastorale. Il naturale luogo di accoglienza del sacerdote anziano o malato non dovrebbe essere l ospizio, ma la comunità parrocchiale e le famiglie dovrebbero prendersene cura in spirito di servizio e di collaborazione 48. Vita comune di diverse vocazioni Una ulteriore prospettiva, su cui lavorare in Diocesi, è formare altri tipi di fraternità presbiterali che prevedano comunità con una specifica vocazione apostolica dove siano presenti i vari carismi: il sacerdote, le religiose/religiosi, la donna consacrata (Ordo Virginum), la famiglia che senta questa specifica vocazione (famiglia diaconale). Verrebbero così vissute le diverse relazioni umane nella loro ricchezza e molteplicità con benefico riverbero nella vita della comunità cristiana. Quella sacerdotale e quella matrimoniale sono due vocazioni in rapporto di reciprocità, che si arricchiscono e si illuminano a vicenda, facendo sì che ogni soggetto apprezzi più autenticamente le motivazioni e il percorso che lo hanno portato alla sua scelta. È bene che la ricchezza della vita quotidiana dei presbiteri in fraternità sia sempre più evidente agli occhi del popolo di Dio, anche come implicito appello vocazionale capace di semplice attrazione, dove la bellezza e la bontà della vita evangelica risplendono proprio nel tesoro di relazioni riuscite, vere e significative. La vita comune, così intesa, anche grazie alla fatica che essa comporta, è la prima grande testimonianza evangelica. Se veramente cristiana, essa non toglie energie per gli altri, ma abilita chi la vive, e quindi anche i presbiteri, a parlare in modo credibile di comunione e comunità. 49. I presbiteri costruttori di comunione E necessaria per i presbiteri, sotto la guida unificante del Vescovo, una coscienza comune della situazione del mondo e della Diocesi alla luce della fede; una volontà comune nel voler convergere verso stili di vita e di ministero coerenti con la visione di Chiesa-comunione e con le sfide dell attuale momento storico; la comune intenzione di convergere verso obiettivi apostolici condivisi; un comune sentire spirituale che renda possibile decisioni corresponsabili; la fattiva cooperazione nel riconoscimento di carismi e ministeri, la promozione della loro complementarietà e il concreto coinvolgimento di ciascuno nella comune responsabilità. Anzitutto sarà opportuno incentivare la dimensione fraterna tra i sacerdoti appartenenti alla medesima vicaria o unità pastorale sia attraverso momenti condivisi di spiritualità e di progettazione pastorale, sia attraverso apposite iniziative. Il vicario foraneo riveste una particolare importanza nel curare questa dimensione fraterna fra i sacerdoti e nel sostegno alle diverse proposte che debbano essere presentate. 20

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