LUMEN GENTIUM. Mercoledì 13 di novembre 2013 Milano Santa Maria Annunciata in Chiesa Rossa Catechesi adulti / 3
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1 Mercoledì 13 di novembre 2013 Milano Santa Maria Annunciata in Chiesa Rossa Catechesi adulti / 3 LUMEN GENTIUM 0. Preghiera iniziale O Dio, che nella tua provvidenza hai voluto estendere il tuo regno sino agli estremi confini della terra per rendere partecipi tutti gli uomini dei benefici della redenzione, fa che la Chiesa, sacramento universale di salvezza, manifesti e attui nel mondo il mistero del tuo amore. Per Cristo nostro Signore. Amen. 1. Introduzione Nella riflessione sulla Chiesa, raccolta nella Costituzione Lumen Gentium, il Concilio Vaticano II si è posto tre domande fondamentali: da dove viene la Chiesa? Che cos è la Chiesa? Dove va la Chiesa? Rispondendo a questo triplice interrogativo, il Concilio supera alcuni limiti della riflessione ecclesiologica precedente, approfondendo l origine trinitaria della Chiesa (cap. I), presentando la forma trinitaria della Chiesa come comunione e come popolo di Dio (cap. II- VI), fino a sottolinearne la destinazione trinitaria mediante la riscoperta dell indole escatologica della Chiesa pellegrina nel tempo (cfr. cap. VII). Questa triplice chiave aiuta a entrare nelle ricchezze dell ecclesiologia del Vaticano II. 2. Un po di storia Prendiamo in considerazione due personaggi che esprimono una visione della Chiesa che ha dominato per anni ma da cui il Vaticano II ha preso le distanze. Il primo personaggio è il papa Gregorio VII, il secondo personaggio è san Roberto Bellarmino. Uno dei più grandi papi del Medioevo, Gregorio VII, nel 1075 pubblicò un documento (il c.d. Dictatus Papæ) di poche pagine (erano esattamente 27 affermazioni), che sta alla base di una delle più importanti riforme della Chiesa cattolica, quella che porta giustamente il suo nome, la riforma gregoriana. 1
2 L immagine di Chiesa che emerge si fonda su tre elementi portanti. Il primo è il primato della verità per ciò che riguarda la salvezza e, di conseguenza la necessità di un istituzione forte in vista della sua difesa e proclamazione. La figura del papa adempie esattamente a questo compito: egli è il defensor veritatis e per assolvere a questo compito esercita il potere spirituale direttamente e quello temporale per mezzo dei vari re e imperatori. La terza figura chiave della riforma gregoriana è il sacerdote che assicura l insegnamento della verità ai fedeli, vigila sui costumi, amministra i sacramenti. Il nemico peggiore in quell epoca era l eretico, colui che metteva in discussione la verità del Credo 1. Una Chiesa strutturata secondo questo modello è lontana dalla Chiesa apostolica. Rischia di pensarsi come societas e non come corpo mistico, si struttura sul Codice di diritto canonico e non sull apertura allo Spirito, tendenzialmente si arrocca su se stessa invece di aprirsi alla missione e al dialogo. Il secondo personaggio è il Bellarmino. Egli elaborò, dopo il Concilio di Trento (1621) una sintesi organica dell ecclesiologia della controriforma: la Chiesa era definita dalla visibilità (contro la Chiesa spirituale) e dall autorità (contro le libere interpretazioni); si ribadisce cioè il valore della tradizione insieme alla Scrittura. La vera Chiesa, dunque, si riconosce dalle sue note (unità, santità, cattolicità, apostolicità). Dopo di lui la teologia sarà controversista e l ecclesiologia sarà caratterizzata dal tridentinismo, un interpretazione estremista di Trento: la Chiesa è cioè descritta come societas perfecta guidata dalla gerarchia (in primo luogo dal papa) e dotata di tutto ciò che le serve per raggiungere i suoi fini. 3. Verso il Vaticano II Che il Vaticano II dovesse essere un Concilio sulla Chiesa era un attesa di molti. Da una parte aleggiava l eredità del Valicano I ( ), il Concilio sospeso a causa della presa di Porta Pia; d altra parte l andamento del magistero da Pio IX ( ) a Pio XII ( ) portava a ritenere che della Chiesa il futuro Concilio dovesse occuparsi in un senso riepilogativo: occorreva ricercare una formula che rivendicasse che la vera Chiesa era la Chiesa romana (e viceversa), contro le altre esperienze di fede. Presidente della commissione teologica era il cardinale Ottaviani (capo del Sant Uffizio), ma un ruolo fondamentale fu assegnato in fase preparatoria al 1 Cfr. Ghislain LAFONT, Immaginare la Chiesa cattolica. Linee e approfondimenti per un nuovo dire e un nuovo fare della comunità cristiana (L abside. Saggi di teologia 23), San Paolo, Cinisello Balsamo (Milano) 1998,
3 gesuita Tromp; tale scelta indicava che anche negli ambienti curiali si sentiva il bisogno di introdurre altri elementi oltre a quelli giuridico-disciplinari. La commissione preparò un documento, il De Ecclesia, sostanzialmente una sintesi di scuola, dove l impianto fondamentale ribadiva la struttura societaria della Chiesa. Tuttavia già il 18 ottobre 1962 si iniziarono ad affilare le armi per la discussione sul De Ecclesia: proprio il fatto che il documento era nato negli ambienti del Sant Uffizio, in netta opposizione a tutte le altre istanze e prescindendo da ogni collaborazione col Segretariato per l Unità dei cristiani, lo aveva reso totalmente vulnerabile alle obiezioni di chi si aspettava dal Concilio non un riassunto del magistero precedente, ma un atto di discernimento del vangelo nel tempo. Il testo uscito dalla commissione preparatoria era tutto ispirato dalla ossessione per la visibilità della Chiesa: insistenza sull autorità del Papa, banalizzazione della questione ecumenica, assunzione di tutti i rapporti della Chiesa entro la dimensione dottrinale e dunque disciplinamento dei laici, dei vescovi e dei rapporti col mondo. I teologi per iniziativa dei belgi iniziarono a riesaminare lo schema il 25 ottobre 1962 in una riunione che vide presenti, tra gli altri, teologi come Congar, Philips, Colombo, Rahner, Ratzinger e altri. Per Rahner lo schema era lungo, scolastico, apastorale, privo di uno spirito ecumenico, superficiale nell uso probatorio della Scrittura, confuso nella sua qualificazione teologica, rigido sui non cattolici, minimale sui laici, esagerato sull autorità, senza senso dei carismi. Diversa fu la strategia di Philips. Registrate le insoddisfazioni circolanti, iniziò a far qualche controproposta: non uno schema alternativo, ma brevi assaggi di capitoli ripensati, che confluirono in una sorta di documento programmatico in lingua francese dal titolo Ciò che ci attendiamo e speriamo dalla Costituzione dogmatica sulla Chiesa. Lo schema di Philips attutiva l impronta giuridica che segnava e irrigidiva la versione preparatoria. Nella parte dedicata ai membri della Chiesa, invece, Philips prendeva atto che esistono battezzati che hanno un adesione diversa alla vita della Chiesa cattolica o che sono senza comunione col Papa, ma che condividono la fede in Cristo, il battesimo, la liturgia. Fra l 1 e il 7 dicembre parlano in San Pietro 11 Padri e si raccolgono 85 pareri scritti. Ci sono coloro che lodano lo schema per ciò che è: il cardinale Siri di Genova, il cardinale Ruffini di Palermo; altri però sono contrari e prendono di petto l impianto del testo, demolendolo. Quando il 29 settembre 1963 si riapre il Vaticano II, il nuovo Papa, Paolo VI, si trova a dover gestire una ripartenza assai complessa. Lo si capisce fin dall allocuzione di apertura della nuova sessione, che indica fra i compiti del Concilio una piena definizione della nozione o della coscienza di Chiesa: il Papa elenca una pluralità di immagini con le quali viene definita la Chiesa, ma 3
4 propone che la sua più piena definizione si compia con una indagine sulla natura, la definizione e la costituzione della Chiesa. 4. Il documento 4.1. Il mistero della Chiesa (cap. I) Leggiamo l incipit: Cristo è la luce delle genti: questo santo Concilio, adunato nello Spirito Santo, desidera dunque ardentemente, annunciando il Vangelo ad ogni creatura (cfr. Mc 16,15), illuminare tutti gli uomini con la luce del Cristo che risplende sul volto della Chiesa. E siccome la Chiesa è, in Cristo, in qualche modo il sacramento, ossia il segno e lo strumento dell intima unione con Dio e dell unità di tutto il genere umano, continuando il tema dei precedenti Concili, intende con maggiore chiarezza illustrare ai suoi fedeli e al mondo intero la propria natura e la propria missione universale. Le presenti condizioni del mondo rendono più urgente questo dovere della Chiesa, affinché tutti gli uomini, oggi più strettamente congiunti dai vari vincoli sociali, tecnici e culturali, possano anche conseguire la piena unità in Cristo (n. 1). Il nuovo schema sulla Chiesa, voluto dai padri conciliari in sostituzione del precedente, ha un punto di partenza chiaramente cristocentrico (n. 1): «Cristo Signore è la luce delle genti», come afferma l incipit. Con questo si superano di colpo ben quattro secoli di controversie fra cattolici e protestanti, andando a quanto li accomuna, cioè a Cristo come riferimento essenziale. Non solo, ma si passa subito alla scelta principale della Costituzione, che è la scelta trinitaria. In tal modo si riconosce come opera del Padre (n. 2) l inserimento della Chiesa nelle cinque tappe della storia di salvezza (prefigurata, preparata, istituita, manifestata, compiuta), mentre il Figlio (n. 3) l ha annunciata nell Ultima Cena e realizzata con il sacrificio della Croce, e lo Spirito Santo (n. 4) la realizza in tempi e luoghi diversi sino alla fine dei tempi. In altre parole, il Concilio presenta la Chiesa come una realtà che sgorga dalla Trinità e dall azione combinata in un ideale ritmo circolare delle tre Persone divine, riflettendo in tal modo l insegnamento della Scrittura (nei nn. 5-7 ci sono varie immagini della Chiesa, un ottantina, che culminano in quella del Corpo di Cristo ) e della Tradizione, in una parola, della Rivelazione. Il capitolo si conclude (n. 8) con il richiamo all unità tra le dimensioni visibili e invisibili della Chiesa e soprattutto all esempio di Cristo povero e umile Il popolo di Dio (cap. II) Dopo il capitolo circa l unità, la costituzione dogmatica sulla Chiesa parla della sua cattolicità, uno spazio indubbiamente smisurato. La struttura del cap. II ha 4
5 una premessa (n. 9) e una conclusione (n. 17), ma ha pure un numero che funge da cerniera, interamente dedicato alla nota della cattolicità (n. 13), che rende tutto il capitolo profondamente ecumenico. Prima di essere una nota che caratterizza la Chiesa verso l esterno la cattolicità deve caratterizzare la sua vita dall interno. A ciò siamo tutti deputati in virtù dei sacramenti dell iniziazione cristiana (Battesimo, Cresima, Eucaristia), che ci comunicano la facoltà di parlare lingue diverse come appunto è successo a Pentecoste. Il sacerdozio comune dei fedeli viene esplicitamente riconosciuto dal Vaticano II, come essenzialmente distinto da quello ministeriale (n. 10). In virtù di tale sacerdozio abbiamo l accesso anche agli altri Sacramenti (n. 11), un modo in cui si diversifica il culto cristiano, e a quello spirito profetico e carismatico che accompagna puntualmente ogni manifestazione autentica di vita cristiana (n. 12) I laici (cap. IV) In duemila anni di storia ecclesiale il Vaticano II è il primo Concilio che dedica una vera attenzione al laicato. Il capitolo IV resta fondamentale per capire quale visione del laico abbia la Chiesa, alla luce della tradizione risalente agli stessi Apostoli. Per tutto il capitolo ricorre la raccomandazione che i rapporti fra gerarchia e laicato siano costantemente improntati alla più schietta carità, a una ministerialità reciproca e complementare, alla collaborazione e cooperazione nella comune impresa dell edificazione del regno di Dio: tutto questo si riassume oggi con il termine di corresponsabilità, come di un dovere che accomuna clero e laicato in virtù del sacerdozio comune, che ricevono da Cristo con l iniziazione cristiana. Leggiamo il n. 31: Col nome di laici si intende qui l insieme dei cristiani ad esclusione dei membri dell ordine sacro e dello stato religioso sancito nella Chiesa, i fedeli cioè, che, dopo essere stati incorporati a Cristo col battesimo e costituiti popolo di Dio e, nella loro misura, resi partecipi dell ufficio sacerdotale, profetico e regale di Cristo, per la loro parte compiono, nella Chiesa e nel mondo, la missione propria di tutto il popolo cristiano. Il carattere secolare è proprio e peculiare dei laici. Infatti, i membri dell ordine sacro, sebbene talora possano essere impegnati nelle cose del secolo, anche esercitando una professione secolare, tuttavia per la loro speciale vocazione sono destinati principalmente e propriamente al sacro ministero, mentre i religiosi col loro stato testimoniano in modo splendido ed esimio che il mondo non può essere trasfigurato e offerto a Dio senza lo spirito delle beatitudini. Per loro vocazione è proprio dei laici cercare il regno di Dio trattando le cose temporali e ordinandole secondo Dio. Vivono nel secolo, cioè implicati in tutti i diversi doveri e lavori del mondo e nelle ordinarie condizioni 5
6 della vita familiare e sociale, di cui la loro esistenza è come intessuta. Ivi sono da Dio chiamati a contribuire, quasi dall interno a modo di fermento, alla santificazione del mondo esercitando il proprio ufficio sotto la guida dello spirito evangelico, e in questo modo a manifestare Cristo agli altri principalmente con la testimonianza della loro stessa vita e col fulgore della loro fede, della loro speranza e carità. A loro quindi particolarmente spetta di illuminare e ordinare tutte le cose temporali, alle quali sono strettamente legati, in modo che siano fatte e crescano costantemente secondo il Cristo e siano di lode al Creatore e Redentore (n. 31). Il punto di partenza è la nozione di laico (n. 31), stabilita dapprima negativamente (né chierico, né religioso) e poi positivamente (cristiano della secolarità), sfruttando soprattutto i notevoli chiarimenti raggiunti dall Azione Cattolica nei decenni centrali del Novecento, in consonanza con una tradizione ecclesiale risalente a Clemente Romano e agli stessi apostoli. Il suo ruolo è sia all interno che all esterno della Chiesa (nn ), soprattutto laddove la gerarchia non può giungere e si esplica secondo la triplice funzione sacramentale (consacrazione del mondo a Dio [n. 34]), profetica (specialmente nella vita coniugale e familiare [n. 35]) e regale (affermazione dello spirito di Cristo contro il peccato e i vizi [n. 36]). Conclude il capitolo il tema delle relazioni dei laici con il mondo (n. 38), decisamente qualificanti per gli stessi La vocazione alla santità (cap. V) Afferma il Concilio: La Chiesa, il cui mistero è esposto dal sacro Concilio, è agli occhi della fede indefettibilmente santa. Infatti Cristo, Figlio di Dio, il quale col Padre e lo Spirito è proclamato «il solo Santo», amò la Chiesa come sua sposa e diede se stesso per essa, al fine di santificarla (cfr. Ef 5,25-26), l ha unita a sé come suo corpo e l ha riempita col dono dello Spirito Santo, per la gloria di Dio. Perciò tutti nella Chiesa, sia che appartengano alla gerarchia, sia che siano retti da essa, sono chiamati alla santità, secondo le parole dell Apostolo: «Sì, ciò che Dio vuole è la vostra santificazione» (1 Ts 4,3; cfr. Ef 1,4). Orbene, questa santità della Chiesa costantemente si manifesta e si deve manifestare nei frutti della grazia che lo Spirito produce nei fedeli; si esprime in varie forme in ciascuno di quelli che tendono alla carità perfetta nella linea propria di vita ed edificano gli altri; e in un modo tutto suo proprio si manifesta nella pratica dei consigli che si sogliono chiamare evangelici. Questa pratica dei consigli, abbracciata da molti cristiani per impulso dello Spirito Santo, sia a titolo privato, sia in una condizione o stato sanciti nella Chiesa, porta e deve portare nel mondo una luminosa testimonianza e un esempio di questa santità (n. 39). Compito di questo capitolo è quello di enunciare un concetto di santità veramente cristiano, che sia cioè in linea con la Scrittura e la Tradizione, dal momento che tutti i fenomeni religiosi umani vi tendono in qualche modo, 6
7 confondendo il più delle volte ciò che è santo con quanto è sacro. Già l Antico Testamento ricorda sovente, soprattutto nel Levitico e nel suo Codice di santità (cap ) che soltanto la relazione personale con Dio rende santi (Lev 19,2), e soprattutto la sua elezione del popolo eletto, che a questo fine è stato separato da tutti gli altri popoli (cfr. Es 19,6; Dt 7,6). Con il Nuovo Testamento appare la novità del concetto di santità portatoci dall incarnazione del Figlio di Dio, la cui santità diventa immanente all umanità, e quindi è a essa comunicabile tramite i sacramenti della Chiesa, la quale «già sulla terra è adornata di una santità vera, anche se imperfetta» (n. 48). Più concretamente, il cap. V afferma sin dall inizio in che cosa consista questa santità che si manifesta nella Chiesa per mezzo della vita dei suoi fedeli, i quali «giungono alla perfezione della carità edificando gli altri» (n. 39); la stessa idea è ribadita dopo un estesa argomentazione, affermando che «tutti i fedeli di qualsiasi stato e grado sono chiamati alla pienezza della vita cristiana e alla perfezione della carità; da questa santità è promosso un tenore di vita più umano» (n. 40b); è confermata trattando il multiforme esercizio della santità nei vari stati di vita cristiana con l esercizio delle virtù teologali (n. 41) e nell esortazione finale conclusiva del capitolo: «Tutti si sforzino di rettamente dirigere i propri affetti, affinché non siano impediti di tendere alla carità perfetta» (n. 42). 7
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