MECCANICA APPLICATA ALLE MACCHINE

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1 1 Alessandro Gasparetto MECCANICA APPLICATA ALLE MACCHINE Appunti delle lezioni

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3 Indice 1 Meccanica delle superfici Richiami sulle caratteristiche dei solidi Proprietà di volume Fenomeni superficiali Contatti superficiali Contatti lineari e puntiformi Forze agenti negli accoppiamenti Contatto di strisciamento e attrito radente Influenza della rugosità delle superfici Influenza delle condizioni operative Relazioni fondamentali dell usura Coefficiente di durata Forze di contatto per le coppie elementari Attrito di rotolamento Coppia prismatica Coppia rotoidale Piano inclinato Il rendimento Rendimento delle macchine poste in serie Rendimento delle macchine poste in parallelo Moto retrogrado Accoppiamento motore-utilizzatore Caratteristica del motore Funzionamento da motore, da freno o da generatore Campi operativi di un motore Curva caratteristica del carico Luogo dei carichi Accoppiamento diretto motore-utilizzatore Accoppiamento motore-utilizzatore mediante riduttore di velocità Riduzione all asse motore e all asse utilizzatore Trasformazione di un moto rotatorio in un moto rettilineo Funzionamento a regime e in transitorio I

4 II INDICE 4.9 Stabilità del funzionamento a regime Transitorio e tempo di avviamento Il transitorio in un sistema motore-utilizzatore con riduttore di velocità Effetti della variazione del rapporto di trasmissione Criteri di verifica e di scelta del motore e del riduttore Scelta del motore e del riduttore per carichi a velocità costante Scelta del motore e del riduttore per carichi statici Adattamento statico dei campi operativi Cambi di velocità Scelta del motore e del riduttore per carichi dinamici Adattamento dinamico del motore al carico Regime periodico Inerzia e coppia ridotta alla coordinata libera per un sistema meccanico a un grado di libertà Grado di irregolarità del moto periodico Progetto del volano Equilibramento dei rotori Progetto del contrappeso per l equilibramento statico di un meccanismo 81 5 Organi per la trasmissione del moto: gli ingranaggi Ruote di frizione Ruote dentate piane ad evolvente Ruote dentate cilindriche a denti diritti Ruote cilindriche a denti elicoidali Ingranaggi conici Ingranaggi ad assi sghembi Ingranaggi elicoidali ad assi sghembi Ingranaggi ipoidi Ingranaggi a vite Rotismi Rotismi ordinari Rotismi epicicloidali Altri organi di trasmissione del moto Trasmissione del moto mediante organi flessibili Cinghie Catene Paranchi di sollevamento Confronto tra organi a rapporto di trasmissione costante Giunti Giunto di Cardano Doppio giunto di Cardano e altri giunti omocinetici Altri giunti Sistemi vite-madrevite Vite-madrevite a filetto rettangolare

5 INDICE Vite-madrevite a filetto trapezio Vite a circolazione di sfere Frizioni Frizioni a disco Frizioni coniche Freni Cuscinetti Classificazione dei cuscinetti Criteri di selezione dei cuscinetti Camme Legge del moto del cedente Tracciamento di una camma Camma piana con punteria centrata a rotella Camma piana con punteria eccentrica a rotella Camma piana con punteria a piattello piano Camma piana con bilanciere a rotella Analisi cinetostatica Leggi del moto elementari Meccanica delle vibrazioni Oscillatore semplice Risposta libera Risposta in frequenza Risposta a forzanti non sinusoidali Risposta ad una forzante periodica Risposta ad un impulso Risposta ad una forzante generica Vibrazioni torsionali

6 2 INDICE

7 Capitolo 1 Meccanica delle superfici Lo studio delle interazioni superficiali fra i membri, modellati come corpi solidi, è un argomento fondamentale della Meccanica delle Macchine. Infatti: l attrito è legato al movimento relativo dei membri (in genere deve essere combattuto come fonte di perdite e di temperature elevate, altre volte è necessario al funzionamento delle macchine) l usura colpisce le superfici dei membri a contatto delle macchine provocando un decadimento progressivo delle caratteristiche funzionali. L usura, inoltre è fonte di: aumento dei giochi aumento della rumorosità comparsa dei fenomeni d urto aumento delle vibrazioni e di sollecitazioni per fatica disuniforme distribuzione delle pressioni imprecisioni di funzionamento La classificazione delle interazioni fra i membri solidi può essere fatta dal punto di vista geometrico, da quello chimico-fisico e da quello cinematico. Dal punto di vista geometrico (Fig.1.1) si hanno contatti: superficiali lineari puntiformi Sotto il profilo fisico-chimico il contatto può essere diretto fra i due membri accoppiati indiretto o mediato dalla presenza di sostanze lubrificanti 3

8 ??? v 4 CAPITOLO 1. MECCANICA DELLE SUPERFICI Figura 1.1: Tipi di contatto geometrici ω v Rotolamento Urto Strisciamento????? Figura 1.2: Tipi di contatto cinematici In termini cinematici (Fig.1.2) i contatti possono essere di strisciamento di rotolamento d urto 1.1 Richiami sulle caratteristiche dei solidi Le deformazioni dei solidi possono essere di tipo elastico o anelastico (plastiche o viscoelastiche). Per i metalli, la deformazione elastica è praticamente indipendente dalla velocità di deformazione e il ritorno allo stato indeformato è pressoché istantaneo con ciclo di isteresi irrilevante. La presenza di un eventuale fase di deformazione plastica prima della rottura caratterizza il materiale come duttile o fragile. Dopo ogni deformazione plastica, al cessare della sollecitazione che l ha provocata, il materiale duttile non torna nella configurazione originaria ma resta soggetto ad una deformazione residua (nel grafico in Fig.1.4 tale deformazione residua è indicata con ǫ 0 ).

9 1.1. RICHIAMI SULLE CARATTERISTICHE DEI SOLIDI 5 Figura 1.3: Caratteristiche dei solidi Figura 1.4: Materiali duttili, materiali fragili ed elastomeri

10 6 CAPITOLO 1. MECCANICA DELLE SUPERFICI Proprietà di volume Tra le proprietà di volume è importante ricordare la durezza, che è definita come la resistenza offerta dal materiale alla penetrazione di un corpo più duro. Di solito viene utilizzata la durezza alla penetrazione HB (prova di Brinell) (Fig.1.3). Per i metalli puri la durezza di Brinell è pari a circa tre volte il carico unitario di snervamento 1 σ s : HB = 3σ s (1.1) 1.2 Fenomeni superficiali I fenomeni superficiali determinano la grandezza e la direzione delle forze scambiate negli accoppiamenti, l entità e la natura dei fenomeni dissipativi, il deterioramento delle caratteristiche funzionali per effetto dell usura, imponendo vincoli nella scelta dei materiali da costruzione e dei trattamenti cui gli stessi debbono essere sottoposti e vincoli nella forma dei membri accoppiati. Dal punto di vista geometrico si è già visto come i contatti possano essere superficiali, lineari o puntiformi: i contatti fra superfici di contatto nominalmente combacianti sono tipici delle coppie elementari (guide, viti, cuscinetti) i contatti lineari e puntiformi sono caratteristici di molte coppie superiori con membri rigidi: ruote dentate, camme, piste con interposti elementi rotolanti. Questa suddivisione teorica, che trae origine dalla forma geometrica ideale dei membri a contatto, non è tuttavia realizzata in pratica per varie cause, quali: la presenza di giochi l irregolarità delle forme dei corpi la deformabilità delle loro superfici Contatti superficiali Si considerino due superfici accoppiate soggette all azione di una forza esterna normale F n all area di contatto. Essa teoricamente è estesa all intera superficie, in realtà è limitata ad alcune areole deformate, in quanto le superfici dei corpi solidi a contatto presentano ondulazioni e rugosità superficiali (Fig.1.5). La massima distanza fra i picchi delle ondulazioni superficiali, per superfici prodotte industrialmente, è in genere compresa fra 0.7 mm e 1.2 mm. La rugosità superficiale (Ra) varia invece tra millesimi e centesimi di millimetro. Imprecisioni di lavorazione e deformazione dei membri, per effetto delle tensioni e/o della temperatura, fanno dunque sì che il contatto avvenga non su tutta la superficie geometrica, ma solo su piccole aree. 1 Si tratta di una relazione puramente sperimentale

11 1.2. FENOMENI SUPERFICIALI 7 Figura 1.5: Tipi di contatti geometrici Per la presenza delle ondulazioni, tali aree sono localizzate in zone definite: il numero dei contatti dipende dal carico applicato dalla rugosità delle superfici Nel caso dei contatti diretti fra superfici idealmente combacianti è quindi possibile distinguere più aree di contatto fra i membri solidi accoppiati. In particolare si deve distinguere tra: Area apparente o geometrica di contatto A g : è definita dalle dimensioni dei solidi a contatto ed è indipendente dal carico Area reale di contatto A r : è la somma di tutte le piccole aree attraverso le quali i solidi si toccano. Per contatti fra superfici di acciaio soggette a pressioni specifiche modeste l area reale può essere, per esempio, dell ordine di 1/1000 di quella geometrica. Quando il carico esterno aumenta e la pressione locale supera il carico unitario limite di snervamento σ s del materiale più tenero quest ultimo comincia a deformarsi plasticamente, di solito in punti posti immediatamente al di sotto della superficie. Se il carico aumenta ancora, il materiale attorno a questi punti diventa plastico sinché tutta la regione attorno agli originali punti di contatto è deformata plasticamente e l estensione della nuova area di contatto è in grado di sopportare il carico. Raggiunto l equilibrio, la pressione media dei contatti p m, detta pressione di snervamento triassiale, è pari al valore di durezza determinato mediante la prova di Brinell. Quando è raggiunta la completa plasticità, p m è indipendente dal carico esterno. Questo significa che ogni aumento del carico fa aumentare l area reale di contatto, in modo tale che p m resti costante. L area reale di contatto può quindi essere calcolata, in prima approssimazione e per carichi statici, mediante la relazione: A r = F n p m (1.2)

12 8 CAPITOLO 1. MECCANICA DELLE SUPERFICI Figura 1.6: Definizione dei raggi di curvatura nel punto teorico di contatto In zone sufficientemente lontane dalle asperità a contatto, la deformazione delle superfici è ancora elastica, mentre nelle zone che costituiscono le zone di effettivo contatto tra i membri accoppiati (Fig.1.5) si presentano legami di natura atomico-molecolare, detti comunemente di adesione, la cui intensità varia con la natura e con lo stato delle superfici Contatti lineari e puntiformi All inizio del contatto due corpi con superfici a diversa curvatura hanno idealmente un solo punto o al più una linea di contatto. Per effetto del carico esterno il punto di contatto si espande fino a diventare una piccola area. Di conseguenza, anche se la forza esterna è modesta, la sollecitazione indotta nella zona di contatto è di solito elevata. Ad esempio, non sono rare nei cuscinetti a rotolamento sollecitazioni di compressione superiori a 1.4 kn/mm 2. Poiché l area interessata dalle deformazioni aumenta rapidamente, al di sotto della superficie di contatto le sollecitazioni di compressione non si estendono a tutto il corpo e nel complesso i corpi in contatto possono ancora essere considerati rigidi e si possono applicare macroscopicamente le leggi della dinamica dei corpi rigidi. La teoria classica dei contatti superficiali elastici fu stabilita da Hertz. L analisi di Hertz, valida per contatti puntiformi o lineari, parte dalle seguenti ipotesi: 1. i solidi a contatto sono omogenei e isotropi 2. le deformazioni sono elastiche e contenute entro limiti di elasticità lineare

13 1.2. FENOMENI SUPERFICIALI 9 3. le dimensioni dell area di contatto sono piccole, rispetto al raggio di curvatura dei corpi non deformati in vicinanza della zona di contatto 4. i raggi di curvatura della zona di contatto sono grandi, se confrontati con le dimensioni dell area di contatto 5. fra i due solidi non vi sono forze di attrito radente e quindi durante il contatto agisce solo la forza normale: vengono dunque trascurati le sollecitazioni di taglio e gli spostamenti nel piano tangente comune ai corpi a contatto. Per contatti puntuali, il modello hertziano prevede che la forma della zona di contatto sia data da un ellisse (vedi Fig.1.6), rappresentata dall equazione: z = Ax By Cx 1 y 1 (1.3) rispetto ad un sistema di riferimento con l origine posta nel punto di contatto P, prima della deformazione, e con assi x 1 e y 1 giacenti nel piano tangente comune ai corpi a contatto. I coefficienti A e B sono definiti dalle curvature principali r = 1/R delle superfici a contatto secondo le relazioni: 2 (A + B) = 1 R 1M + 1 R 1N + 1 R 2M + 1 R 2N (1.4) ( 1 Λ = 1 R 1M ( 1 Γ = 2 1 R 1M R 1N 2 (B A) = Γ + Λ (1.5) R 1N ) 2 + ( 1 R 2M 1 ) ( 1 R 2M 1 R 2N R 2N ) 2 (1.6) ) cos (2β) (1.7) ove β è l angolo formato dai due piani contenenti le curvature r 1M = 1/R 1M e r 2M = 1/R 2M. In generale i piani contenenti i raggi di curvatura principali delle due superfici a contatto non sono coincidenti. Per semplicità grafica, in (Fig.1.6) essi sono stati disegnati nel caso particolare di β = 0. Indicando con F n la forza normale di contatto a e b i semiassi dell ellisse che rappresenta l area deformata di contatto d l avvicinamento dei due corpi D la quantità D = 1 ν2 E (1.8) che tiene conto delle caratteristiche meccaniche del materiale (essendo ν il modulo di Poisson, E il modulo di Young)

14 10 CAPITOLO 1. MECCANICA DELLE SUPERFICI Figura 1.7: Valori di a, b e d il modello di Hertz giunge a stabilire le dimensioni dell area deformata e il valore dello schiacciamento, che sono rispettivamente dati da: a = a 3 3 F n (D 1 + D 2 ) (1.9) 4 A + B b = b 3 3 F n (D 1 + D 2 ) (1.10) 4 A + B d = d F n (D 1 + D 2 ) 2 (A + B) (1.11) ove i coefficienti a,b,d sono funzioni solo del rapporto (A/B) e sono uguali a uno quando i due corpi in contatto hanno la stessa forma. Nel caso i corpi a contatto abbiano diversa curvatura sono unicamente funzione di B A B + A = 1 A B 1 + A B (1.12) Alcuni valori di a,b,d sono riportati in (Fig.1.7)). La teoria hertziana permette inoltre di derivare la legge di distribuzione delle pressioni nella zona di contatto mediante la relazione: p = 3F n 2πab ( ) x 2 ( ) y 2 1 = pmax a b ( ) x 2 ( ) y 2 1 (1.13) a b

15 1.3. FORZE AGENTI NEGLI ACCOPPIAMENTI 11 Figura 1.8: Distribuzione delle pressioni nella zona deformata di contatto il cui massimo, ottenuto per x = 0,y = 0, vale: p MAX = 3F n (1.14) 2πab Le pressioni nei vari punti del area deformata di contatto hanno quindi una distribuzione semiellissoidale (Fig.1.8). Nel caso di contatti lineari, ad esempio fra corpi cilindrici con assi paralleli di uguale lunghezza l, l area deformata diventa un rettangolo di larghezza b data da: b = 2F n (D 1 + D 2 ) = (r 1M + r 1N ) + (r 2M + r 2N ) (1.15) πl (A + B) e la distribuzione delle pressioni normali ha la forma di un semicilindro, con valore p dato da: p = 2F ( ) n y 2 1 (1.16) πlb b il cui massimo si ha ovviamente per y = Forze agenti negli accoppiamenti Contatto di strisciamento e attrito radente L esperienza dimostra che tra due solidi a contatto si sviluppano, anche in assenza di moto relativo, forze di superficie aventi direzione tangenziale tra le superfici a contatto.

16 12 CAPITOLO 1. MECCANICA DELLE SUPERFICI Consideriamo dapprima un corpo 1 che viene premuto contro un corpo 2 con una forza N normale alla superficie comune di contatto. Per l equilibrio, il corpo 2 eserciterà sul corpo 1 un insieme di forze la cui risultante F N sarà uguale ed opposta a N, e avrà la stessa retta d azione di N, in modo tale che il momento risultante sia nullo. Supponiamo ora di applicare al corpo 1 una piccola forza T parallela alla superficie di contatto: sperimentalmente si osserva che il corpo rimane fermo nella posizione iniziale. Dovrà quindi essere che tra i due corpi, lungo la superficie di contatto, si origina un insieme di forze la cui risultante F T è uguale ed opposta a T. Affinché sussista l equilibrio statico del corpo 1, la forza F N si sarà spostata lungo la superficie di contatto, in modo tale che la coppia formata da F N e N equilibri quella formata da F T e T (che hanno rette d azione diverse). La forza F T, esercitata dal corpo 2 sul corpo 1 in condizioni di equilibrio statico, è detta forza di attrito statico o forza di aderenza. Aumentando il valore della forza tangenziale T applicata al corpo 1, si osserva che il corpo continua a rimanere in equilibrio statico: ciò significa che anche l intensità di F T aumenta di conseguenza sino a raggiungere un valore limite, che rappresenta la massima forza di attrito statico (o aderenza) che si può sviluppare tra le superfici a contatto. Per valori di T superiori a questo valore limite, non sussistono più le condizioni di equilibrio statico, e il corpo 1 si muove strisciando sul corpo 2. Anche in questa situazione di strisciamento sussistono delle forze lungo la superficie di contatto, la cui risultante ha direzione parallela a quella del moto relativo dei due corpi e verso opposto a quello della velocità del corpo 1 relativa al corpo 2. Tale risultante è detta forza di attrito dinamico o forza di attrito cinetico o, qualora non si dia adito ad ambiguità, semplicemente forza di attrito. Nel suo complesso, il fenomeno descritto prende il nome di attrito di strisciamento o attrito radente. Dalla descrizione fatta, si può evincere che la proprietà fondamentale delle forze di attrito è di avere sempre verso tale da opporsi al moto relativo tra i corpi a contatto. Il fenomeno dell attrito radente può anche essere modellato considerando, oltre alle forze di contatto normale F N e tangenziale F T, anche la loro risultante F, la cui inclinazione rispetto alla normale è data dall angolo ϕ = arctan F T F N (1.17) come indicato in Fig.1.9. L angolo ϕ prende il nome di angolo di attrito. Il rapporto tra le componenti tangenziale e normale delle forze di contatto è definito coefficiente (o fattore) di attrito: f = F T F N (1.18) Risulta f = tanϕ. f è quindi un coefficiente adimensionale. Se vi è movimento relativo tra i corpi a contatto, f è detto coefficiente di attrito dinamico (f d ) o coefficiente di attrito cinetico (f c ), se siamo in situazione di equilibrio statico f prende il nome di coefficiente di attrito statico (f s ) o coefficiente di aderenza (f a ). Si può allora dire che la condizione di equilibrio statico fra due corpi a contatto permane finché il rapporto F T /F N tra i moduli delle componenti tangenziale e normale delle forze

17 1.3. FORZE AGENTI NEGLI ACCOPPIAMENTI 13 Figura 1.9: Risultante delle forze di contatto e cono di attrito di contatto non è superiore al coefficiente di aderenza, ovvero finché F T /F N f a. Non appena il valore della componente tangenziale supera il valore limite F T = f a F N, si inizia ad avere strisciamento tra i due corpi a contatto, il fenomeno di attrito diventa dinamico ed è governato dall equazione: F T = f d F N (1.19) Con riferimento alla Fig.1.9, la condizione da soddisfare affinché sussista l equilibrio statico può essere formulata graficamente, imponendo che l angolo formato dalla risultante delle forze di contatto con la normale alla superficie sia minore dell angolo di aderenza in condizioni limite, ovvero ϕ ϕ a = arctan(f a ) (1.20) In altre parole, in condizioni di equilibrio statico il vettore della risultante può assumere qualunque direzione, purché giacente all interno del cono (cono di attrito) avente come asse la normale alle superfici a contatto e come generatrice la retta d azione della risultante in condizioni limite di aderenza (ovvero la retta inclinata dell angolo ϕ a rispetto alla normale). In condizioni di strisciamento, la risultante delle forze scambiate è invece inclinata rispetto alla normale di un angolo pari a ϕ = arctan(f d ). L attrito tra corpi solidi prende il nome di attrito coulombiano. Secondo Coulomb il fattore di attrito f: dipende dalla natura dei materiali che si toccano e dallo stato delle superfici a contatto non dipende dalle forze normali, né dall estensione del contatto, né dalla forma delle superfici coniugate

18 14 CAPITOLO 1. MECCANICA DELLE SUPERFICI Figura 1.10: Andamento dell attrito in funzione della velocità non dipende dalla velocità relativa di strisciamento Il modello coulombiano dell attrito ha il pregio della semplicità e per questo motivo viene comunemente utilizzato per rappresentare il fenomeno dello strisciamento tra corpi solidi, per quanto esso non risulti, ad una verifica sperimentale, particolarmente preciso. Il fenomeno dell attrito è infatti estremamente complesso da un punto di vista fisico e rifugge pertanto da una modellazione accurata. Ad esempio, da risultati sperimentali è emerso che il coefficiente d attrito non è indipendente dalla velocità (come assunto nel modello coulombiano), ma ha piuttosto un andamento del tipo raffigurato in Fig.1.10: dopo una brusca diminuzione passando da velocità nulla (attrito statico) a velocità piccolissime, il coefficiente di attrito subisce un certo aumento al crescere della velocità. Per velocità maggiori di un dato valore, il coefficiente d attrito rimane dapprima costante, poi tende a decrescere con la velocità. Vediamo ora di capire le motivazioni fisiche del fenomeno dell attrito. Come abbiamo già avuto modo di sottolineare, il contatto fra due corpi solidi con superfici nominalmente combacianti non si attua sull intera area geometrica di contatto, ma su una somma di areole (l area reale di contatto). Non appena la distanza fra le superfici diventa così piccola da rendere operanti le forze intermolecolari, si manifestano fra di esse legami di adesione. Come rappresentato in Fig.1.11, la resistenza al movimento relativo di due superfici a contatto è dovuta ad un complesso di fenomeni, fra loro interagenti. Si ha dunque che la componente tangenziale della forza di contatto è data dalla somma di vari contributi: che sono rispettivamente: F t = F t1 + F t2 + F t3 + F t4 (1.21) F t1 : la forza necessaria per vincere i legami di adesione (microgiunzioni) F t2 : la forza necessaria per produrre deformazioni viscoelastiche F t3 : la forza necessaria per asportare le asperità che interferiscono geometricamente

19 1.3. FORZE AGENTI NEGLI ACCOPPIAMENTI 15 Figura 1.11: Componenti della forza tangenziale tra superfici F t4 : la forza necessaria per produrre solcature plastiche Il valore di ciascuna componente è funzione dei materiali a contatto, delle caratteristiche delle superfici, della presenza o meno di lubrificanti e delle condizioni operative. Il grafico (Fig.1.12) mette in luce la variazione del fattore d attrito in funzione dei materiali e delle condizioni di lubrificazione. Come si vede, le caratteristiche dei materiali incidono sensibilmente sul fattore d attrito in assenza di lubrificazione, ma perdono importanza quando il contatto fra i solidi avviene in condizioni di lubrificazione limite. La componente F t1 è legata al carico unitario di taglio τ del materiale meno duro, secondo la: F t1 = A r τ = F nτ p m (1.22) Il componente del fattore d attrito legato a questo fenomeno risulta perciò: f 1 = F t1 F n = τ p m (1.23) con i valori di τ e p m che variano a seconda dei materiali. Per molti materiali metallici risulta: τ = 0.6σ s (1.24) p m = HB = 3σs (1.25) essendo σ s il carico unitario di snervamento. Perciò il rapporto τ/p m vale all incirca 0, Influenza della rugosità delle superfici I contributi alla forza d attrito espressi dai due ultimi termini (F t3 e F t4 ) della (1.21) sono legati principalmente alla rugosità delle superfici, quali risulta dalle lavorazioni tecnologiche che le hanno prodotte.

20 16 CAPITOLO 1. MECCANICA DELLE SUPERFICI Figura 1.12: Variazione del fattore di attrito in funzione dei materiali e delle condizioni di lubrificazione Come si può vedere dalla Fig. 1.14, nel campo di valori di rugosità di componenti metallici prodotti da ordinarie lavorazioni tecnologiche (Ra = µm), non si hanno sensibili variazioni del fattore di attrito. In generale, se la rugosità è molto bassa, l attrito tende ad essere alto perché l area reale di contatto aumenta notevolmente e sono esaltati i fenomeni di adesione. Anche in presenza di rugosità molto alta l attrito aumenta per la necessità di sollevare continuamente una superficie al di sopra delle asperità dell altra. Nel campo intermedio, invece, l influenza della rugosità sul fattore d attrito è modesta Influenza delle condizioni operative Prove sperimentali hanno dimostrato che il fattore d attrito varia anche sensibilmente, a parità di caratterizzazione fisico-chimiche delle superfici, in funzione del tempo di contatto, delle velocità di strisciamento, della pressione media di contatto, della temperatura dell interfaccia delle condizioni di lubrificazione dell atmosfera, specie nel caso dei polimeri.

21 1.3. FORZE AGENTI NEGLI ACCOPPIAMENTI 17 Figura 1.13: Valori medi dei fattori d attrito per diversi accoppiamenti

22 18 CAPITOLO 1. MECCANICA DELLE SUPERFICI Figura 1.14: Variazione del fattore di attrito in funzione delle rugosità superficiali delle superfici a contatto Influenza del tempo di contatto Numerose esperienze hanno mostrato che il fattore d attrito statico, in assenza di lubrificazione, è funzione del tempo di contatto fra i corpi. Esso varia rapidamente in un brevissimo periodo iniziale del contatto (0.1s), poi cresce più lentamente sino a stabilizzarsi (Fig.1.15). Influenza della velocità relativa Il fattore di attrito cinetico, fra superfici in moto relativo, è generalmente inferiore al fattore di attrito statico. L andamento generale del fattore di attrito in funzione della velocità è riportato in Fig Risultati sperimentali, condotti su un campo di velocità più ristretto e per varie coppie di materiali a contatto, sono raffigurati nelle Fig.1.16 e Influenza della pressione di contatto L influenza della pressione di contatto va analizzata distinguendo i casi di pressioni normali ed elevate. Queste ultime si hanno quando la pressione specifica si avvicina o supera il carico unitario di snervamento del materiale. In questo caso all aumentare della pressione (Fig.1.18) il fattore di attrito diminuisce. Influenza della temperatura Nei metalli le variazioni di temperatura dovute ad effetti esterni non provocano, in generale, sensibili variazioni del fattore di attrito, anche perchè i due termini τ e p m risentono nello stesso modo della variazione di temperatura. Solo nel caso di brevi surriscaldamenti dell in-

23 1.3. FORZE AGENTI NEGLI ACCOPPIAMENTI 19 Figura 1.15: Variazione del fattore di attrito in funzione del tempo di contatto fra i solidi Figura 1.16: Variazione del fattore di attrito con la velocità per alcuni metalli

24 20 CAPITOLO 1. MECCANICA DELLE SUPERFICI Figura 1.17: Variazione del fattore di attrito con la velocità per alcuni polimeri Figura 1.18: Variazione del fattore di attrito in presenza di elevate pressioni

25 1.3. FORZE AGENTI NEGLI ACCOPPIAMENTI 21 Figura 1.19: Variazione del fattore di attrito di polimeri in funzione della temperatura ambiente terfaccia per effetto di alte velocità di strisciamento, il fattore di attrito diventa più basso, con ogni probabilità perché il carico di taglio τ diminuisce più di p m. I polimeri presentano invece una maggiore variabilità del coefficiente di attrito con la temperatura (Fig.1.19).

26 22 CAPITOLO 1. MECCANICA DELLE SUPERFICI Figura 1.20: Contatto di strisciamento. Calcolo del volume del materiale usurato 1.4 Relazioni fondamentali dell usura Quando due membri solidi sono animati da moto relativo di strisciamento il volume del materiale asportato per usura V può essere valutato mediante l equazione proposta da Holm: V = k F n p m s = ka r s (1.26) essendo k un fattore adimensionale sperimentale, F n la forza normale esterna, p m la pressione di snervamento superficiale (misurata dalla durezza di Brinell HB) s lo spazio percorso. Se A è l area geometrica di contatto e h l altezza usurata, si può riscrivere la precedente in funzione della pressione di contatto p nella forma: h = V A = k F n p m A s = k 1 p m F n A s = k p p m s (1.27) o in quella equivalente che esprime la velocità di usura: h t = k p p m s t = k p p m v (1.28) Il fattore k è funzione dei materiali a contatto e dello stato delle loro superfici, della durezza e delle dimensioni delle particelle abrasive. Varia sensibilmente a seconda del meccanismo prevalente di usura (adesiva, abrasiva, ecc.) In ogni caso, va tenuto presente che i risultati sperimentali presentano una limitata ripetibilità, anche per test condotti su componenti identici.

27 1.4. RELAZIONI FONDAMENTALI DELL USURA 23 Figura 1.21: Coefficiente di durata per vari tipi di guarnizioni per freni Coefficiente di durata Nello studio dei freni il volume di usura è spesso espresso in modo da mettere in luce il rapporto fra lavoro di frenatura L e il volume di usura V. Dalla V = k F n p m s = ka r s (1.29) si ottiene la relazione che esprime la cosiddetta ipotesi di Reye: il volume del materiale asportato per usura è direttamente proporzionale al lavoro compiuto dalle forze di attrito V = k F n p m s = k p m f F t s = k 1 L (1.30) sicché l usura specifica, V/L, può essere espressa dal rapporto, misurato in mm 3 /kj: k 1 = k p m f (1.31) detto coefficiente di usura. Dai grafici di figura (Fig.1.21) si nota che il fattore di usura dipende fortemente dal tipo di materiale per guarnizioni da freno e aumenta più del fattore di attrito, passando da un tipo di guarnizione all altro. Il reciproco dell usura specifica k 2 = 1 k 1 = p mf k (1.32) è detto coefficiente di durata. Valori tipici di k 2 per i freni vanno da 2 a 100 kj/mm 3.

28 24 CAPITOLO 1. MECCANICA DELLE SUPERFICI

29 Capitolo 2 Forze di contatto per le coppie elementari 2.1 Attrito di rotolamento Il contatto di rotolamento può avvenire soltanto fra coppie rigide e non combacianti; ad esempio fra un cilindro ed un piano, fra due cilindri, fra una sfera ed un piano. In molti casi della pratica non si ha un contatto di puro rotolamento, bensì un contatto con rotolamento e strisciamento sovrapposti (ad esempio, il contatto fra i denti di due ruote dentate). In questi casi, dal punto di vista della distribuzione delle pressioni valgono le considerazioni che svolgeremo nel presente paragrafo, mentre dal punto di vista dell attrito l effetto dello strisciamento prevale, di solito, su quello del rotolamento, per cui in molti casi si può prescindere da quest ultimo contributo. Figura 2.1: Area di contatto e distribuzione delle pressioni: a) sfera, b) cilindro Nel contatto fra superfici a doppia curvatura la distribuzione delle pressioni può essere trovata, come visto nel capitolo precedente, utilizzando i risultati della teoria di Hertz. A 25

30 26 CAPITOLO 2. FORZE DI CONTATTO PER LE COPPIE ELEMENTARI stretto rigore tale teoria è valida per corpi perfettamente elastici caricati entro il limite di proporzionalità; in realtà i suoi risultati sono applicabili con ottima approssimazione ai materiali comunemente impiegati nelle costruzioni meccaniche. Figura 2.2: Distribuzione delle pressioni di contatto in presenza di rotolamento Ciò premesso, consideriamo un rullo rotolante su di un piano fisso. Se la distribuzione della pressione normale fosse hertziana e mancassero azioni tangenziali, non si avrebbe spesa di energia. Invece l esperienza dimostra che anche in questo moto di puro rotolamento si ha dissipazione di energia. Cerchiamo di esaminarne le cause. Queste sono molteplici e spesso concomitanti: imperfetta elasticità del rullo e del corpo fisso; fenomeni di elasticità ritardata; urti fra le asperità superficiali dei due corpi; slittamento fra i due corpi, che si manifesta quando al rullo sia applicata, oltre ad una forza Q normale alla direzione del moto, anche una forza T parallela a questa direzione. Tralasciando le altre cause di dissipazione, che intervengono sensibilmente soltanto in casi particolari, soffermiamoci brevemente sugli effetti dell imperfetta elasticità (e su quelli dell elasticità ritardata, con essi strettamente collegati). Se i due corpi non sono perfettamente elastici, parte dell energia spesa nella deformazione non viene resa nella successiva fase di restituzione, ma viene dissipata per vincere le resistenze di attrito interno del materiale. Può anche accadere che parte dell energia accumulata nei due corpi come energia potenziale elastica venga restituita con ritardo e che pertanto finisca con essere anch essa dissipata. Ragionando in termini di forze, invece che in termini di energie, possiamo dire che la distribuzione di pressione nel contatto non è simmetrica rispetto alla direzione della forza Q, poiché la pressione nella zona anteriore risulta mediamente più elevata della pressione nella zona posteriore. II diagramma della pressione dà luogo, pertanto, ad una risultante

31 2.1. ATTRITO DI ROTOLAMENTO 27 che ha sempre modulo pari alla Q, ma la cui retta di azione è spostata in avanti, nel senso del moto, rispetto alla Q. Chiamiamo parametro dell attrito volvente tale spostamento, che indichiamo con il simbolo δ. Per mantenere il rullo in rotazione con velocità angolare costante è necessario applicare ad esso una coppia che eguagli il momento dato dal prodotto della forza Q per il braccio δ: M m = Qδ (2.1) Il lavoro speso per spostare in avanti l asse del rullo di una distanza s è pertanto dato da: s L p = M m R = Q δ R s (2.2) dove R è il raggio del rullo. Il rapporto δ è chiamato coefficiente di attrito volvente. Lo indicheremo con il R simbolo f v. In tal modo si avrà: L p = f v Qs (2.3) che è formalmente analoga alla espressione che dà il lavoro perduto per attrito fra due corpi striscianti l uno sull altro, premuti da una forza Q. La forza orizzontale T da applicare al rullo per farlo rotolare a velocità costante è dunque data da: T = f v Q (2.4) II valore del coefficiente di attrito volvente può essere determinato soltanto in via sperimentale; ma il suo ordine di grandezza può essere valutato anche con considerazioni teoriche. Ad esempio i risultati della teoria di Hertz permettono di fissare un limite superiore al valore di f v. Soffermiamoci, a questo proposito, sul contatto fra un rullo ed un piano. Dall espressione della semilarghezza nel caso di due rulli paralleli: ponendo R 2 otteniamo: Q b = 1.52 E ( ) (2.5) 1 R R 2 l b = 1.52 Q E ( ) (2.6) 1 R 1 l É evidente che deve essere δ < b (spesso δ è dell ordine di 0.1b) e quindi: f v < 1.52 Q E ( ) (2.7) 1 R 1 l Si osserva che f v è di solito molto piccolo (vedasi tabella) e che, pertanto, il consumo di energia nel rotolamento è di ordine di grandezza molto inferiore a quello che si ha nel contatto di strisciamento fra superfici.

32 28 CAPITOLO 2. FORZE DI CONTATTO PER LE COPPIE ELEMENTARI Cuscinetti radiali orientabili a sfere 0,0010 Cuseinetti assiali a sfere 0,0013 Cuscinetti radiali rigidi a sfere 0,0015 Cuscinetti a rulli cilindrici 0,0011-0,0020 Cuscinetti orientabili a rulli 0,0018 Cuscinetti a rulli conici 0,0018 Cuscinetti obliqui a sfere 0,0020-0,0024 Ruota su rotaia (D è il diametro della ruota in mm) 0.026/ D Pneumatico su strada (a velocità inferiore a c. 100 km/ora) 0,01 Tabella 2.1: Valori orientativi del coefficiente di attrito volvente 2.2 Coppia prismatica Consideriamo una coppia prismatica realizzata con un asta rigida guidata da due collari A e B; conoscendo i coefficienti di attrito fra l asta e i due collari, vogliamo determinare l intensità della forza motrice P (della quale si conoscono la retta d azione e il verso) necessaria per vincere la forza resistente Q nota. Figura 2.3: Coppia prismatica con due collari Le reazioni R A e R B dei collari sull asta hanno ciascuna una componente normale e una componente tangenziale, dovuta all attrito; per determinare le rette d azione di R A e R B, occorre innanzitutto stabilire quali sono i versi delle componenti normali. Per fare ciò, basta considerare le condizioni di equilibrio dell asta alla rotazione attorno ai punti in cui le rette d azione di R A e R B incontrano la retta d azione di Q. Per l equilibrio dei momenti di R B e di P rispetto al punto di incontro delle rette d azione di R A e di Q, ad esempio, si vede che R B è orientata verso il basso; con un ragionamento analogo, si vede che R A è invece orientata verso l alto. Le componenti di attrito di R A e R B hanno sempre versi tali da opporsi all avanzamento dell asta, per cui si può concludere che le rette d azione di R A e R B sono quelle riportate in figura. Se le rette d azione di P e di Q fossero state tali da incontrarsi in un punto compreso fra i due collari, anzichè in un punto esterno ad essi, le forze R A e R B sarebbero state orientate entrambe o verso l alto o verso il basso.

33 2.2. COPPIA PRISMATICA 29 Una volta determinate le rette d azione di R A e R B, il problema è quello di scomporre la forza nota Q in tre forze P, R A e R B aventi rette d azione assegnate. Il problema si può risolvere con metodi grafici o analitici. Graficamente, si può osservare che se le rette d azione di tre forze passano tutte per uno stesso punto, esterno alla retta d azione della forza rimanente, si verifica l impuntamento dell asta: in tali condizioni infatti non esiste alcun valore finito dell intensità della quarta forza che possa fare equilibrio alla risultante delle prime tre. Risolviamo ora il problema con il metodo analitico, applicando cioè all asta le equazioni di equilibrio statico secondo Newton. Ciò ci permetterà anche di formulare analiticamente la condizione di impuntamento. Con riferimento alla Fig. 2.4, sia P la forza resistente, con retta d azione passante per l asse della coppia prismatica, e F la forza di trazione, parallela a P ma con retta d azione traslata di una quantità pari a e (eccentricità). Nei punti di contatto A e B l asta è soggetta alle reazioni vincolari della guida, essendo T A e T B le componenti parallele all asse, N A e N B le componenti perpendicolari. Figura 2.4: Fenomeno dell impuntamento Scriviamo le due equazioni di equilibrio alla traslazione dell asta, e l equazione di equilibrio alla rotazione prendendo come polo il punto A:

34 30 CAPITOLO 2. FORZE DI CONTATTO PER LE COPPIE ELEMENTARI F T B P T B = 0 N B N A = 0 N B h 2aT B Pa + F(a e) = 0 (2.8) Se ora si vuole trovare il valore della forza minima necessaria per muovere l asta, è sufficiente porsi nelle condizioni limite di aderenza. Tra le componenti tangenziali e normali delle reazioni vincolari sussiste dunque la relazione: { TA = f a N A (2.9) T B = f a N B Sostituendo tali relazioni nel sistema precedente, si ricava che la minima forza necessaria per muovere l asta è data da: F = P 1 2fae h (2.10) Pertanto F è tanto maggiore quanto maggiori sono P, f a ed e, ed è tanto minore quanto maggiore è h. Il caso dell impuntamento si verifica quando 2f a e/h = 1, perché il denominatore si annulla e F tende ad infinito. 2.3 Coppia rotoidale Esaminiamo ora l equilibrio della coppia rotoidale. Supponiamo che il perno rotante sia caricato da due forze esterne non passanti per l asse della coppia: una forza resistente Q ed una forza motrice P. La forza R 12 trasmessa al perno dalla sua sede deve fare equilibrio alla risultante della P e della Q. La forza resistente Q è nota ed è nota la sua linea di azione. Altri elementi noti sono: la linea di azione della P, e l angolo di attrito ϕ nel contatto fra gli elementi cinematici della coppia rotoidale. Si vuole trovare l intensità della forza P capace di equilibrare la Q in condizioni di moto uniforme. In Fig. 2.5 è rappresentata una possibile realizzazione della coppia. Sono anche indicate le forze agenti nel piano medio della coppia. Se non ci fossero attriti la reazione R 12 sarebbe diretta secondo un raggio del perno e pertanto passerebbe per l asse della coppia rotoidale. A causa dell attrito fra perno e sede la R 12 risulta inclinata dell angolo ϕ rispetto al raggio del perno passante per il punto del contorno in cui la R 12 può considerarsi applicata. Ne discende che la R 12 è tangente ad una circonferenza di raggio ρ = Rsinϕ (R è il raggio del perno). Tale circonferenza è chiamata circolo di attrito (spesso il raggio del circolo di attrito è espresso, in via approssimata, come prodotto di R per il coefficiente di attrito f. Con i valori usuali di ϕ questa approssimazione è di solito legittima). La R 12 deve passare anche per il punto di incontro di Q e P. Le due condizioni, unitamente alla considerazione che la R 12 deve dare, rispetto all asse del perno, momento che si oppone al moto, permettono di individuare la retta di azione della R 12.

35 2.4. PIANO INCLINATO 31 Figura 2.5: Coppia rotoidale Nota la linea di azione di R 12, la P può essere immediatamente calcolata in via grafica, con la costruzione del triangolo delle forze. Volendo procedere per via analitica conviene esprimere l equilibrio dei momenti delle forze attorno all asse del perno. Si ottiene: P = Qa + R 12ρ b Inoltre, applicando il teorema di Carnot al triangolo delle forze, si può scrivere: R 12 = Da queste due equazioni si possono calcolare P e la R 12. (2.11) P 2 + Q 2 2PQ cos θ (2.12) 2.4 Piano inclinato Consideriamo infine l equilibrio di un grave che poggia su di un piano inclinato (Fig. 2.6). Tale sistema può essere considerato una coppia piana. Supponiamo noti, oltre al peso del grave (forza resistente Q), l inclinazione α del piano di appoggio rispetto ad un piano orizzontale, l angolo di attrito ϕ e l angolo θ che la forza motrice P forma con la normale al piano inclinato. Ci proponiamo di calcolare l intensità della forza P, in condizioni di moto uniforme. Non essendo richiesta la determinazione di R 12, una sola equazione è sufficiente per la soluzione del quesito. Essa può essere scritta considerando l equilibrio delle forze secondo una direzione ortogonale alla R 12. Proiettando su tale direzione si ottiene: P sin (θ + ϕ) = Q sin (α + ϕ) P = Q sin(α+ϕ) sin(θ+ϕ) (2.13)

36 32 CAPITOLO 2. FORZE DI CONTATTO PER LE COPPIE ELEMENTARI Figura 2.6: Piano inclinato

37 Capitolo 3 Il rendimento Le forze (e le coppie) agenti sulle macchine possono essere classificate secondo diversi punti di vista. Così, per esempio, una classificazione consiste nel distinguere le forze in motrici e resistenti. Una forza è motrice, se nel movimento della macchina compie lavoro positivo; è resistente, se compie lavoro negativo. Distingueremo pure le forze in esterne ed interne. Le forze esterne derivano dall azione di campi di forze (peso, forze d inerzia) o di corpi esterni alla macchina, Le forza interne sono le forze trasmesse fra i membri della macchina. Due corpi a contatto fra loro si trasmettono una forza, nella quale in genere (sempre, se fra i due corpi c è moto relativo) è presente una componente dovuta all attrito. Questa componente d attrito costituisce una resistenza passiva e durante il moto compie lavoro negativo, cioè dissipa energia. Un effetto analogo danno pure resistenze passive di altro genere, come la resistenza che un fluido esercita su un corpo che si muove immerso in esso, gli attriti interni dei fluidi viscosi, e cosi via. Un indice che ben si presta alla valutazione dell energia spesa per attrito, così in una coppia cinematica come in una macchina nel suo complesso, è il rendimento. Consideriamo una macchina alla quale siano applicate dall esterno una o più forze (o coppie) resistenti ed una o più forze (o coppie) motrici. Dopo un certo periodo di funzionamento della macchina le forze resistenti esterne abbiano assorbito il lavoro L r e le forze motrici abbiano erogato il lavoro L m. Come si è accennato poco sopra, le componenti d attrito delle forze interne assorbono lavoro. Indichiamo con L p, questo lavoro perduto per attrito, riferito allo stesso periodo di tempo. Indichiamo con E l energia cinetica della macchina (somma delle energie cinetiche dei suoi membri) e prendiamo i lavori in valore assoluto. 33

38 34 CAPITOLO 3. IL RENDIMENTO Se le variazioni di energia interna, come ad esempio quella elastica, sono trascurabili, vale il seguente bilancio energetico: L m L r L p = E (3.1) cioè la somma algebrica dei lavori compiuti, in un certo intervallo di tempo, da tutte le forze agenti sulla macchina, è uguale alla variazione subita dall energia cinetica nello stesso intervallo di tempo. Se il secondo membro dell equazione si mantiene costantemente uguale a zero per un certo intervallo di tempo del funzionamento della macchina, diciamo che la macchina funziona in condizioni di regime assoluto. In tale situazione vale la relazione: L m = L r + L p (3.2) Può accadere che durante il funzionamento di una macchina il secondo membro della (3.1) risulti uguale a zero soltanto al termine di regolari intervalli di tempo. Può cioè accadere che valga ancora l equazione (3.2), ma a condizione che i lavori vengano valutati per tempi uguali, o multipli interi, di un tempo base, chiamato periodo. Quando si verificano queste circostanze si dice che la macchina funziona in condizioni di regime periodico. É ovvio che le condizioni di regime, sia assoluto sia periodico, sono condizioni particolari, per quanto frequenti, di funzionamento per una macchina. In generale (per esempio all avviamento, all arresto, nel passaggio da un regime all altro) il secondo membro della 3.1 è diverso da zero, potendo essere, a seconda dei casi, positivo (ad esempio all avviamento) o negativo (ad esempio all arresto). Di conseguenza, nel primo caso il lavoro motore prevale sulla somma del lavoro resistente e del lavoro perduto; l opposto accade nel secondo caso. Questa condizione generale è chiamata transitorio meccanico Ciò premesso, consideriamo una macchina che funzioni in condizioni di regime; valga cioè la (3.2), con le limitazioni sopra menzionate per il caso di regime periodico. In tale situazione definiamo rendimento della macchina il rapporto: η = L r L m (3.3) É evidente che il rendimento è un numero sempre minore di uno. In alcuni casi (per certe coppie o per certe macchine strutturalmente semplici, realizzate con cura, funzionanti in condizioni particolarmente favorevoli) il rendimento può assumere valori prossimi ad uno. In altri casi il suo valore può scendere a valori molto bassi, fino ad annullarsi o addirittura a divenire negativo; caso questo cui corrisponde impossibilità di movimento. Al rendimento può essere data anche un espressione diversa. Se immaginiamo che la macchina funzioni in condizioni ideali di assenza di attrito, si ha la seguente relazione: L m0 = L r (3.4) nella quale con L m0 si è indicato il lavoro motore richiesto in questa situazione puramente ideale.

39 3.1. RENDIMENTO DELLE MACCHINE POSTE IN SERIE 35 Si può così scrivere: η = L m0 L m (3.5) ossia il rendimento è anche dato dal rapporto fra il lavoro motore in condizioni ideali ed il lavoro motore in condizioni reali. Tale espressione del rendimento può essere ulteriormente trasformata. Se indichiamo con P la forza motrice, con P 0 la forza motrice in condizioni ideali di assenza di attrito, ricordando che il lavoro è uguale al prodotto scalare della forza per il suo spostamento (che è lo stesso sia per P, sia per P 0 ), si può scrivere: η = P 0 P Indichiamo con perdita di rendimento la quantità: (3.6) 1 η = L p L m (3.7) Nel calcolo e nella determinazione sperimentale del rendimento di una macchina di rendimento elevato, è spesso conveniente fare uso di quest ultima espressione; conviene, cioè, giungere alla valutazione di η attraverso quella di 1 η. Per rendersene conto basta osservare che l uso di tale espressione permette l introduzione, nel calcolo di L p e di L m di espressioni approssimate, spesso preferibili, perchè più maneggevoli, alle espressioni esatte; infatti eventuali errori, percentualmente anche sensibili, commessi nel calcolo di L p ed L m incidono poco sul calcolo di 1 η, se η è prossimo ad uno. Analogamente nella determinazione sperimentale di 1 η poco incidono, se η è prossimo ad uno, errori percentualmente sensibili compiuti dagli strumenti nella misura di L p ed L m. 3.1 Rendimento delle macchine poste in serie Si consideri la trasmissione meccanica rappresentata in figura. In essa un motore M pone in movimento una macchina operatrice O attraverso un certo numero di dispositivi intermedi (una trasmissione a cinghia ed un riduttore R). Lo schema è un esempio di come si realizza una disposizione di macchine in serie. Tutti i componenti della serie sono interessati, prescindendo dalle perdite per attrito, dall intera potenza fornita dal motore, la quale viene in definitiva utilizzata sulla macchina operatrice. In generale un sistema di macchine disposte in serie può essere schematizzato come nella figura successiva, dove fra il motore e la macchina operatrice sono stati inseriti n elementi intermedi. Si dimostra facilmente che il rendimento della serie di n componenti è uguale al prodotto degli n rendimenti parziali. A tal fine osserviamo che, se indichiamo ad esempio con L r1 il lavoro resistente utile compiuto dalla macchina T 1, e con L m2 il lavoro motore erogato alla macchina T 2, è L r1 = L m2. Analogamente si ottiene L r2 = L m3... Il rendimento della trasmissione è per definizione: η = L rn L m1 (3.8)

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