Un referendum sul mito della devoluzione, non uno stop alle riforme (versione aggiornata il 15 luglio 2006)
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- Irene Antonucci
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1 Referendum costituzionale 2006 Un referendum sul mito della devoluzione, non uno stop alle riforme (versione aggiornata il 15 luglio 2006) A cura di Salvatore Vassallo L Istituto Cattaneo di Bologna ha effettuato alcune elaborazioni dei risultati del voto dato nel in occasione del referendum costituzionale. Fra i risultati più importanti se ne possono citare tre: 1. Al Sud la partecipazione non è stata più bassa di quanto ci sarebbe dovuti aspettare sulla base della storia elettorale passata 2. Lombardia e Veneto, dove ha vinto il Sì, non sono casi eccezionali. Si inseriscono in una tendenza assolutamente lineare che vede crescere la percentuale di elettori del centrodestra che tradiscono le indicazioni dei loro leder quanto più si scende dal Nord al Sud. Questa e- videnza dimostra che la consultazione è stata vissuta dalla gran parte degli elettori come un referendum sulla «devolution» voluta dalla Lega Nord. 3. Il prevalere del No non può essere quindi interpretato come il prevalere dell opinione secondo cui «la Costituzione non si tocca». Segnala invece che i leader del centrosinistra sono riusciti a persuadere molti loro elettori di avere sul serio intenzione di fare le riforme con un metodo diverso 1. La partecipazione, poca o tanta, è stata «pari» al Sud e al Nord Secondo le interpretazioni risultate prevalenti nei primi commenti, la partecipazione al referendum costituzionale è stata molto elevata e comunque «superiore alle attese». In realtà, in questo caso le «attese» erano inevitabilmente frutto di umori soggettivi. Non esiste infatti alcun termine di confronto ragionevole per dire se la partecipazione sia stata bassa o elevata. Nel passato, tutti i referendum, incluso l unico altro che abbia avuto ad oggetto modifiche della costituzione (quello del 2001), hanno fatto storia a sé. Il tasso di partecipazione ai referendum è sempre stato molto variabile, in ragione di diversi fattori, tra cui soprattutto: l interesse suscitato nell opinione pubblica dall oggetto della scelta, il grado di competenza che gli elettori ritenevano di avere in merito all oggetto stesso, l intensità della campagna elettorale e l univocità dei messaggi lanciati da ciascuna forza politica, l eventuale decisione di alcune componenti politiche o sociali, in presenza del quorum, di spingere il proprio elettorato ad astenersi per invalidare il risultato. Ad esempio, in occasione del referendum del 2001, pur formalmente simile a quello del 2006, la campagna elettorale fu molto blanda e nessun partito sostenne posizioni radicalmente contrarie al contenuto della riforma. I leader della Casa delle Libertà criticarono il progetto in quanto dicevano di considerarlo insufficiente e non in quanto lo ritenessero pericoloso. Benché si fossero opposti all approvazione della legge costituzionale, tornati al governo, preferirono incassa- 1
2 re in silenzio il doppio regalo che il centrosinistra aveva fatto loro. Approvando da solo la riforma del Titolo V, il centrosinistra aveva infatti da un lato posto un precedente per ulteriori riforme varate a maggioranza, dall altro aveva aperto un varco per successivi interventi «correttivi» proprio sul terreno del federalismo, e cioè su un tema determinante per uno dei partner della CdL ma al tempo stesso difficile da digerire (quasi un tabù) per altri componenti della coalizione. Per di più il «federalismo» costituiva una bandiera che alcune componenti politiche e territoriali dell Ulivo non potevano agitare senza imbarazzo. Cosicché neppure la campagna a favore del «Sì» fu particolarmente convinta e vivace. Il tasso di partecipazione aggregato al livello nazionale fu del 34% e il «Sì» prevalse con il 64% dei voti validi. Andarono a votare solo gli elettori più fedeli, sospinti dall abitudine o da un generico senso di responsabilità istituzionale. Mentre la geografia del «Sì» tra le province italiane coincise quasi perfettamente con la geografia del voto all Ulivo (R 2 corretto pari a 0,80). La posta in gioco nella consultazione dello scorso 24 e 25 giugno era molto più elevata. Alcune componenti della CdL avrebbero certamente provato ad usare una vittoria dei «Si» come una spallata debilitante, ancorché non definitiva, alla esile maggioranza su cui poggia il governo Prodi. Dall altra parte, alcune componenti dell Unione hanno continuato a dipingere la riforma approvata dal centrodestra con toni apocalittici, come un «attentato bonapartista» alla «Costituzione nata dalla resistenza», come una minaccia ai valori costituzionali, all unità del Paese e alla tutela dei diritti sociali nelle regioni del Sud. Il ventaglio degli aspetti toccati dalla riforma, inoltre, era assai più ampio e avrebbe dunque dovuto sollecitare l attenzione di una platea diversificata di favorevoli e contrari. Ed in effetti non vi fu niente di paragonabile nel 2001 con le prese di posizione di magistrati e costituzionalisti viste nel Si noti infine che quando le consultazioni referendarie sono realmente contese, mentre la presenza del quorum può costituire un incentivo a disertare le urne, l assenza del quorum costituisce un incentivo ad andare a votare. Come è noto, in presenza del quorum, e di un astensionismo naturale crescente, c è una strategia molto agevole per «vincere con meno voti» da parte dei sostenitori dello status quo. Basta sommare all astensionismo naturale il proprio astensionismo strategico 1. Al contrario, in assenza del quorum, l unico modo per far pesare le proprie preferenze è esprimerle. Tutto ciò considerato, è difficile dire se il tasso di partecipazione registrato il 24 e 25 giugno, pari al 54% degli aventi diritto al voto, con il 61% dei «No», sia molto o poco, rispetto al 34% del 2001 o rispetto al 77% del referendum elettorale del 1993, o ancora al tasso di partecipazione al referendum del 1999 sulla quota proporzionale, quando molti leader politici propagandarono l astensione e quasi tutti i contrari effettivamente si astennero. In quella occasione partecipò il 49,6% degli «iscritti nelle liste elettorali» (ma se dalle liste fossero stati espunti residenti all estero e defunti il 50% sarebbe stato sicuramente superato) e i «Sì» ottennero il 91,5% dei voti validi. Ciò detto, il 54% è poco o è tanto? Personalmente credo che da questi confronti si possa soltanto ricavare la conclusione che all intensità degli stimoli prodotti da leader politici e opinion makers non abbia fatto riscontro una risposta ugualmente intensa degli elettori. Il 54%, con i tempi che corrono, è una percentuale che crea sollievo tra i pessimisti ma non può far gridare al miracolo. 1 Si tratta di una strategia disponibile per i soli favorevoli allo status quo sia quando il referendum è abrogativo (lo status quo è costituito in questo caso dalla legge, già in vigore, soggetta ad eventuale abrogazione) sia qualora il quorum fosse previsto per la validità di un referendum confermativo (lo status quo sarebbe costituito dalla normativa preesistente alla legge, non ancora in vigore, oggetto del referendum). 2
3 In ogni caso, è molto più proficuo ai fini dell interpretazione del voto chiedersi se la partecipazione sia stata alta (o bassa) «allo stesso modo» nelle varie parti del paese. In altri termini, ci sono aree del paese in cui si è votato di più? La risposta ovvia è: si è votato di più al Nord. Ma questo accade sistematicamente, ad ogni elezione. La domanda va quindi posta in modo diverso. Al Nord (o al Sud) si è votato di più o di meno di quanto ci si sarebbe dovuti attendere, considerando le tendenze registrate nelle diverse aree del paese in passato? Vari indizi mostrano che il tasso di partecipazione è stato, da questo specifico punto di vista, perfettamente in linea con ragionevoli attese basate sull esperienza passata. Una prima conferma viene dall esame del coefficiente di correlazione tra il tasso di partecipazione registrato al livello provinciale al referendum del 2006 e il tasso di partecipazione registrato in ciascuno dei precedenti referendum che, con l eccezione di quelli tenuti nel 1997 e nel 2003, risulta molto elevato. Si può avere una conferma più diretta e immediatamente comprensibile di questa interpretazione se si considerano nel loro insieme tutti i referendum che si sono svolti dal 1993 al In media, in tutti questi referendum, il tasso di partecipazione nel Sud è stato del 41,6%, mentre il tasso di partecipazione al livello nazionale è stato del 48,8%. Al Sud si è registrato insomma, in media, un tasso di partecipazione inferiore di 7,2 punti percentuali rispetto alla media nazionale, e cioè uno scarto negativo rispetto alla media nazionale del 14,6%. Al referendum del 2006 si è registrato un differenziale solo di poco maggiore (8,2 punti percentuali) pari ad uno scarto negativo del 15,3%. La ridottissima differenza tra 14,6 e 15,3 segnala come la partecipazione registrata nel 2006 nel Sud sia stata perfettamente in linea con le «ragionevoli attese» che si potevano nutrire a riguardo dopo avere saputo quale era stata l affluenza al livello nazionale. Se si usa questo stesso indicatore regione per regione (tabella 1, terza colonna da sinistra) si notano ovviamente scostamenti un po più ampi. Si può notare ad esempio che la partecipazione è stata significativamente superiore alle abitudini consolidate in Molise e Calabria mentre è stata apprezzabilmente inferiore alle consuetudini in Trentino e in Alto Adige, ma tutti gli altri scostamenti non sono correlati in maniera univoca con la dimensione Nord-Sud. Già qui troviamo comunque un primo indizio circa il tema che ha orientato la scelta degli elettori pro o contro la riforma: è ragionevole ipotizzare che in Molise e Calabria il federalismo evocato da Bossi e Calderoli sia visto con particolare timore mentre il dibattito sulla devolution non susciti molto interesse nelle province di Trento e Bolzano. 3
4 Tab. 1 Indicatori di partecipazione e confronto tra il risultato delle elezioni politiche e la consultazione referendaria del 2006 per regione Regione Ref [a] Ref 06 [b] Indice di partecip. [c] % CdL Cam06 [d] % Sì RefCost [e] Differenza e - d Trentino AA 42,5 47,9-13,0 36,3 35,3-1,0 Lombardia 45,4 60,6 3,6 56,9 54,6-2,3 Veneto 46,9 62,2 3,0 58,6 55,3-3,3 Friuli VG 43,0 57,7 4,0 54,9 49,2-5,7 Piemonte 46,1 58,2-2,5 50,0 43,4-6,6 Emilia-Romagna 52,4 64,3-6,2 40,1 33,5-6,6 Toscana 48,2 61,6-1,2 38,3 29,0-9,3 Liguria 44,6 58,2 1,2 46,4 37,0-9,4 Marche 44,7 58,2 0,8 44,8 33,9-10,9 Umbria 44,3 59,2 3,7 42,5 31,3-11,2 Abruzzo 39,9 52,8 2,3 47,1 33,3-13,8 Lazio 43,6 53,6-5,1 49,9 34,6-15,3 Basilicata 33,3 44,4 2,5 39,7 23,1-16,6 Sardegna 36,2 46,6-0,2 46,4 27,7-18,7 Molise 34,1 49,3 9,9 49,1 28,3-20,8 Campania 32,1 40,2-2,3 48,9 24,7-24,2 Puglia 34,4 43,1-2,6 51,6 26,5-25,1 Calabria 28,0 42,3 11,5 43,0 17,5-25,5 Sicilia 33,7 43,6 0,1 58,0 30,1-27,9 [a] Media dei tassi di partecipazione registrati in tutti i referendum tenuti tra il 1993 e il 2005 [b] Tasso di partecipazione al referendum costituzionale del 2006 [c] Differenza percentuale tra la partecipazione al referendum costituzionale e la media dei tassi di partecipazione del periodo : (b-a) / a * Un referendum sul «federalismo della Lega» Nel complesso, la geografia della partecipazione sembra escludere che vi sia stato un astensionismo particolarmente marcato tra gli elettori di una sola parte politica. E poiché i leader di CdL e Unione si sono presentati sostanzialmente compatti, rispettivamente, nel sostenere e nel contrastare l approvazione della riforma, è facile capire chi sia riuscito a convincere elettori del concorrente e chi abbia perso i propri. Dato che nelle elezioni di aprile le liste elettorali rimaste fuori dai due poli si sono ridotte ai minimi termini, il confronto Sì-CdL è sostanzialmente lo specchio del confronto No-Unione. I dati riportati nella prima colonna da destra della Tabella 1 ci dicono in che misura al netto dei flussi incrociati, che pure possono esserci stati gli elettori della CdL hanno tradito le indi- 4
5 cazioni dei loro leader. Le regioni in quella tabella sono ordinate, dall alto in basso, proprio in relazione a questo indicatore, che comincia così a rendere evidente quale sia stata la principale motivazione sottostante al voto referendario. Ma andiamo con ordine. In tutte le regioni la percentuale di «Si» è risultata inferiore alla percentuale di voti validi ottenuta dalla CdL nelle recenti elezioni politiche. Il risultato del referendum in Lombardia e nel Veneto è stato segnalato con particolare enfasi nelle prime interpretazioni del voto perché in quelle due regioni il «Sì» ha superato il 50% dei voti validamente espressi. Ma in realtà anche Lombardia e Veneto, si inseriscono in una tendenza nazionale che vede crescere in maniera abbastanza lineare la quota degli elettori di centrodestra che tradiscono la loro coalizione di riferimento quanto più si scende da Nord a Sud. Ma naturalmente, si intende che non sono «la geografia» o «la latitudine», in se stesse, a spiegare i comportamenti di voto, quanto il diverso grado in cui, alle diverse latitudini, si può avere fiducia nell autogoverno regionale e si può vedere la «devoluzione» come un rischio per il proprio benessere. Un apprezzabile conferma empirica a questa ipotesi si trova nei dati di una ricerca condotta nell ambito dell Istituto Cattaneo nel La ricerca fu condotta mediante un sondaggio telefonico rivolto ad un campione di cittadini italiani maggiorenni. Il campione era costruito in modo da avere un numero di casi minimo per ciascuna regione proprio al fine di ricavare indicatori in merito agli atteggiamenti dei rispettivi elettorati. Il questionario conteneva anche domande sul «federalismo». Venne chiesto agli intervistati di dire quale delle tre proposizioni che seguono rappresentasse meglio il loro punto di vista: a) Il federalismo non va bene per un Paese come l Italia; b) il trasferimento di poteri alle regioni è utile, ma serve comunque un forte governo nazionale; c) il federalismo è assolutamente necessario per il benessere del Paese. Inoltre, a coloro i quali ritenevano che il federalismo non vada bene per l Italia fu chiesto di scegliere tra varie possibili giustificazioni, tra cui quella secondo cui «il federalismo sarebbe una minaccia per l unità nazionale e farebbe aumentare le differenze tra Nord e Sud». La percentuale dei rispondenti che in ciascuna regione ha fatto propria (nel 2001) questa ultima proposizione sembra costituire un buon indicatore del fattore che spiega il risultato del 24 e 25 giugno (2006). Come mostra il grafico di Fig. 1, la correlazione, al livello territoriale aggregato, tra questo indicatore e ciò che dovevamo spiegare (la percentuale di elettori del centrodestra che hanno tradito i propri leader) è in effetti piuttosto elevata (R 2 pari a 0,82). 2 Cfr. Salvatore Vassallo, Regioni, governatori e federalismo. Come la leadership può cambiare la geografia, Istituto Carlo Cattaneo,
6 Il federalismo è una minaccia per l'unità del paese, acuirebbe il divario Nord-Sud (2001) 20,0 15,0 10,0 5,0 Sic Pug Cal Camp Molise Sard Bas Laz Abr Mar Umbria Tos Lig R Sq Linear = 0,817 Fvg Trent Ven Piem Lomb EmRom -30,0-25,0-20,0 Differenza tra % di Sì al referendum e % di voti per la CdL alla Camera (2006) _ Fig. 1 Relazione tra timore per il federalismo e differenza tra voto alla CdL e Sì al referendum -15,0-10,0-5,0 0,0 3. Non un voto per l immobilismo La riforma costituzionale approvata nella XIV legislatura è stata «giudicata» insomma dagli e- lettori soprattutto per la parte che riguarda la «devolution». Il centrodestra non è riuscito a sanare il vizio di fondo che, sul piano simbolico molto più che nel contenuto, ha contrassegnato la formazione del progetto. A nulla è servito il tentativo di annacquare le quattro righe con cui sarebbero state devolute alla competenza delle regioni l organizzazione sanitaria e scolastica, la polizia amministrativa regionale e locale (la devolution in senso stretto), inserendole nel quadro di un consistente riaccentramento dei poteri su altri fronti. La riforma, per il grande pubblico, ha continuato ad essere identificata con quella sua piccola parte, di fatto largamente depotenziata. Se questo è vero, è corretto attribuire al risultato referendario il significato di un «No» contro ogni riforma della costituzione? 6
7 Per rispondere possiamo fare ricorso ai risultati di una indagine condotta nell ambito del programma di ricerca Itanes 3. Si tratta della tradizionale indagine post-elettorale, condotta mediante lunghe interviste faccia a faccia su un campione abbastanza numeroso. La gran parte delle interviste sono state effettuate immediatamente dopo le elezioni politiche di aprile e quindi quando ancora la campagna elettorale per il referendum non era entrata nel vivo. Le domande di cui diremo tra breve erano state poste cioè quando ancora molti elettori non erano stati sollecitati a riflettere sulle implicazioni della riforma dai leader dei rispettivi partiti di riferimento. Agli intervistati erano state poste due domande esplicitamente riferite alle riforme oggetto del referendum. La prima recitava: «Pochi mesi fa il parlamento ha approvato una riforma della costituzione con cui vengono rafforzati i poteri del Capo del Governo. Lei è favorevole ad un cambiamento di questo tipo?» La seconda: «Il Parlamento, con la stessa legge di riforma costituzionale, ha anche approvato la cosiddetta devolution con la quale è stata aumentata l autonomia delle Regioni in materia di sanità e scuola. Lei è favorevole ad un cambiamento di questo tipo?». Probabilmente, molti dei rispondenti non erano consapevoli degli specifici contenuti della riforma, per cui le loro risposte vanno interpretate come indicatori di un loro atteggiamento mentale verso quel tipo di innovazioni, piuttosto che come una valutazione meditata delle riforme stesse. Ciò detto, fatti cento tutti gli elettori con orientamenti di voto in qualche modo identificabili, il 48% si dichiarava favorevole, il 37% contrario e il 15% incerto nei confronti del «rafforzamento dei poteri del primo ministro». Nonostante la domanda indicasse chiaramente che la riforma era stata approvata prima delle e- lezioni (quindi dal centrodestra), si sono dichiarati favorevoli al rafforzamento dei poteri del Premier il 35% degli elettori del centrosinistra (Cfr. Tab 2). Una percentuale che rimane sostanzialmente uniforme anche se si prendono in considerazione le varie componenti interne dell Unione, separando gli elettori della sinistra radicale dagli elettori dell Ulivo. Se dal «premierato» si passa alla «devolution» le cose, nell aggregato nazionale, non cambiano. Anzi la quota di elettori incerti cala e il consenso verso le riforme cresce, sia nel complesso del campione, sia tra gli elettori dell Unione. Si potrebbe congetturare che questo atteggiamento genericamente favorevole a riforme costituzionali che rafforzino il Primo ministro e aumentino i poteri delle Regioni, alligni soprattutto tra elettori poco sofisticati. Ma invece non ci sono, su questi aspetti, all interno del campione Itanes, differenze tra elettori con diversi titoli di studio, o tra elettori che dicono di occuparsi poco o molto di politica, così come tra persone che, sulla base di un preciso test, risultano poco o molto informate. Ci sono invece, come ci si poteva attendere, a maggior ragione dopo il risultato del referendum, differenze notevoli in relazione alla zona di residenza. Si noti che quest ultima influisce nella medesima direzione, ma solo nel caso della devolution, sugli elettorati di entrambi gli schieramenti. La stessa tendenza segnalata dai risultati aggregati (Tab 1) la si ritrova insomma nei dati 3 La rilevazione è stata svolta dalla Doxa su commissione di «Itanes»: Italian National Election Studies, con riferimento ad un campione degli elettori italiani rappresentativo per sesso, età ed area geografica. L indagine è iniziata nel mese di aprile ed è attualmente in fase di completamento. Qui viene usato un subcampione, comunque sufficientemente robusto (N = 1554). I dati presentati nella tabella 2 sono frutto di ponderazione con riferimento alla coalizione votata alle elezioni politiche del
8 Tab. 2 Atteggiamenti degli elettori della CdL e dell Unione verso la riforma del centrodestra (aprile-maggio 2006) Unione CdL Pochi mesi fa il parlamento ha approvato una riforma della costituzione con cui vengono rafforzati i poteri del Capo del Governo. Lei è favorevole ad un cambiamento di questo tipo? Nord Zona Rossa Sud Italia Nord Il Parlamento, con la stessa legge, ha anche approvato la cosiddetta devolution con la quale è stata aumentata l autonomia delle Regioni in materia di sanità e scuola. Lei è favorevole ad un cambiamento di questo tipo? Zona Rossa Sud Italia Favorevole 36,7 24,8 38,8 35,2 57,1 34,4 27,3 38,9 Contrario 55,6 58,7 47,3 52,5 35,7 54,9 61,9 51,6 Non sa 7,7 16,5 13,8 12,3 7,1 10,7 10,8 9,5 Totale 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 (N) (196) (121) (260) (577) (196) (122) (260) (578) Favorevole 66,7 63,8 56,3 61,4 85,4 74,1 58,1 71,1 Contrario 18,8 24,1 22,2 21,0 8,3 17,2 25,1 17,3 Non sa 14,6 12,1 21,5 17,7 6,3 8,6 16,8 11,6 Totale 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 (N) (240) (58) (279) (577) (240) (58) (279) (577) Fonte: Itanes 2006 di sondaggio (Tab. 2). Più si va a Sud, più la diffidenza verso la «devoluzione» cresce. Questo vale sia per gli elettori dell Ulivo sia per gli elettori della CdL, anche se, ovviamente, all interno di ciascuna area territoriale, la riforma ottiene molti più consensi tra i primi che non tra i secondi. Ma mentre nel Nord il 57% degli elettori dell Unione si sono detti favorevoli ad un decentramento di competenze verso le regioni, al Sud erano solo il 27%. Al contrario non ci sono differenze tanto marcate nell atteggiamento che gli elettori delle varie aree territoriali hanno nei confronti del «premierato», il quale riceve ad esempio una quota lievemente maggiore di consensi tra gli elettori di sinistra del Sud e del Nord che tra gli elettori di sinistra della zona rossa (Tab. 2). 4. Conclusioni Alla luce dell analisi proposta sembra dunque si possa concludere che tra i vari aspetti toccati dalla riforma costituzionale, o meglio, tra i temi evocati nella campagna elettorale, quello che ha esercitato più influenza sui comportamenti di voto sia stato il rischio (o lo spettro) di una possibile riduzione della qualità dei servizi sociali nelle regioni meno attrezzate dal punto di vista economico ed amministrativo. 8
9 Come abbiamo visto, nonostante la chiara connotazione politica del testo approvato nella XVI legislatura, anche una quota non disprezzabile di elettori del centrosinistra dimostrava di avere, prima che si entrasse nel vivo della campagna elettorale, un generico pregiudizio positivo nei confronti di riforme che accrescano i poteri del primo ministro e l autonomia delle regioni. Difficile credere dunque che, votando «No», abbiano voluto dire che la «Costituzione non si tocca». È più probabile che i leader del centrosinistra siano riusciti a convincere anche quella quota di elettori ad andare a votare, e a votare «No», proprio nella misura in cui si sono riappropriati in positivo del tema delle riforme costituzionali. In questo modo hanno preso un impegno ad «ammodernare le istituzioni» di cui verrà loro chiesto conto al termine del mandato. La riduzione del numero dei parlamentari è la parte meno importante del «contratto» ma certamente quella più facile da memorizzare. Istituto Carlo Cattaneo Tel / Sito web: 9
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