L abitudine al fumo nei luoghi di lavoro con particolare riferimento agli ambienti sanitari: strategie di prevenzione

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1 UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DEL PIEMONTE ORIENTALE A. AVOGADRO Dipartimento di Medicina Traslazionale in collaborazione con Università Cattolica del Sacro Cuore e Università di Milano Bicocca MASTER IN SCIENZE DELLA PREVENZIONE MSP-ASPP ADVANCED SCHOOL OF PREVENTION AND HEALTH PROMOTION L abitudine al fumo nei luoghi di lavoro con particolare riferimento agli ambienti sanitari: strategie di prevenzione Davide Marinoni Anno accademico

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3 I N D I C E ABSTRACT 1 INTRODUZIONE L ABITUDINE AL FUMO NELLA POPOLAZIONE ITALIANA I DETERMINANTI DEL FUMO E DELLA CESSAZIONE L IMPATTO ECONOMICO E SOCIALE IL FUMO NEI LUOGHI DI LAVORO Il fumo tra le professioni mediche e sanitarie L esposizione a fumo passivo nei luoghi di lavoro OBIETTIVI MATERIALI E METODI RISULTATI L ambiente di lavoro Interventi nei luoghi di lavoro Programmi di incentivazione Politiche senza fumo CONCLUSIONI BIBLIOGRAFIA... 46

4 ABSTRACT Introduzione. L abitudine al fumo di tabacco è ormai riconosciuta universalmente come un importante problema di salute pubblica i cui effetti sanitari sono documentati dalla letteratura scientifica da diversi anni. Nel luogo di lavoro c è un importante esposizione a fumo attivo e passivo e questo sembra essere un ambiente particolarmente favorevole per attuare interventi utili a promuovere la cessazione del fumo attivo e per contribuire ad eliminare o ridurre l esposizione al fumo passivo, infatti, possono essere facilmente raggiunti e aiutati numerosi fumatori. In Italia, tra i diversi luoghi di lavoro, gli ambienti sanitari, meritano un attenzione particolare poiché diversamente da altri paesi sviluppati, la prevalenza del fumo tra i professionisti della salute è estremamente elevata, prossima se non addirittura maggiore della popolazione generale con inevitabili ripercussioni nell attività di contrasto al fumo che il medico dovrebbe attuare. L obiettivo di questo lavoro è descrivere, attraverso una revisione bibliografica di letteratura, gli esiti della ricerca sulla promozione della cessazione dell abitudine al fumo di tabacco attraverso l attuazione di interventi di prevenzione nei luoghi di lavoro, con particolare riferimento agli ambienti sanitari. Materiali e metodi. E stata condotta una revisione della letteratura internazionale per individuare gli interventi, i metodi e le strategie efficaci per la cessazione nei confronti dei fumatori e di protezione nei confronti dei non fumatori; sono state consultate le banche dati biomediche PubMed, Cochrane Library e di Linee Guida. Risultati. Attraverso la ricerca sono stati identificati numerosi studi di cui 12 sono stati inclusi nel report. Gli studi selezionati sono riconducibili a quattro aree di informazione: ambiente di lavoro, interventi per la cessazione del fumo, incentivi finanziari e politiche antifumo nei luoghi di lavoro. Conclusioni. Il luogo di lavoro è un ambiente favorevole per l attuazione di interventi per aiutare i lavoratori a smettere di fumare. Al momento non ci sono interventi di provata efficacia specifici e unici per il luogo di lavoro né tantomeno per gli ambienti sanitari, ma gli interventi efficaci nel luogo di lavoro sono generalmente quelli di provata efficacia negli altri contesti. L ambiente di lavoro influenza inevitabilmente il comportamento di fumo dei lavoratori, infatti, elevate esigenze di lavoro aumentano la quantità di sigarette fumate, aumentano la probabilità di ricaduta e, così come le risorse elevate, aumentano la probabilità di cessazione. Gli interventi individuali e di gruppo come il counselling individuale, la terapia di gruppo, i brevi consigli e la farmacoterapia sono le azioni più efficaci per aiutare i lavoratori a smettere di fumare. Gli incentivi monetari sono interventi dall efficacia limitata perché non ci sono prove sufficienti per determinare se queste azioni aumentano direttamente i tassi di cessazione tra i dipendenti, tuttavia, possono migliorare i tassi di partecipazione ad interventi di prevenzione attuati nel luogo di lavoro. Le politiche antifumo e i divieti anche nelle aree esterne attuati nei luoghi di lavoro per proteggere i dipendenti dal fumo passivo sono un opzione efficace per promuovere la cessazione tra i dipendenti fumatori. Parole chiave: smoking cessation; second-hand smoke; workplace; hospitals; health professions; workers; outdoor smoking ban; smoke free policy

5 1 INTRODUZIONE L Organizzazione Mondiale della Sanità stima che le malattie non trasmissibili (MNT) sono responsabili della morte di oltre trentasei milioni di persone ogni anno. L 80% di queste morti si verifica nei paesi a medio-basso reddito e oltre 9 milioni di tutti i decessi attribuibili a malattie non trasmissibili avvengono prima dei 60 anni. Più dell 80% di tutti i decessi attribuibili a malattie non trasmissibili appartiene a quattro grandi gruppi di malattie: le malattie cardiovascolari che colpiscono 17,3 milioni di persone ogni anno, i tumori (7,6 milioni), le malattie respiratorie (4,2 milioni) e il diabete (1,3 milioni). I quattro principali fattori di rischio sono legati a comportamenti individuali modificabili come il consumo di tabacco, l inattività fisica, l abuso di alcol e le diete scorrette. Ogni anno oltre 5 milioni di persone muoiono a causa del consumo di tabacco, di queste, circa 1,5 milioni sono donne, la maggior parte delle quali (il 75%) vive in paesi a medio-basso reddito. Nel mondo il fumo passivo provoca oltre morti ogni anno, il 64% di questi decessi si verifica tra le donne (WHO, 2010). L abitudine al fumo di tabacco è ormai riconosciuta universalmente come un importante problema di salute pubblica i cui effetti sanitari sono documentati dalla letteratura scientifica da diversi anni: il fumo attivo è la principale causa di morbosità e mortalità prevenibile in Italia e in tutto il mondo occidentale. L Organizzazione Mondiale della Sanità ha definito il fumo di tabacco come la più grande minaccia per la salute nella Regione Europea (WHO, 1998) dove l uso del tabacco è uno dei principali fattori di rischio comportamentali modificabili e la principale causa prevenibile di morte e di malattia. In Europa, infatti, il 16% dei decessi è attribuibile al tabacco, il tasso più alto a livello mondiale (WHO, 2013). Il tabacco è l unica droga legale che uccide molti dei suoi consumatori quando viene utilizzata esattamente come previsto dai produttori e uccide più della tubercolosi, del virus dell immunodeficienza umana / sindrome da immunodeficienza acquisita (HIV / AIDS) e della malaria insieme. L Organizzazione Mondiale della Sanità prevede che nei prossimi due decenni il numero di morti all anno a causa del tabacco dovrebbe salire oltre gli 8 milioni (dei quali 2,5 milioni sarebbero donne) e che oltre l 80% di queste morti si verificherà in paesi a basso e medio reddito. Il tabacco ha già causato 100 milioni di morti durante il XX secolo, pertanto, in assenza di misure efficaci, il consumo di tabacco potrebbe uccidere nel nostro secolo oltre 1 miliardo di persone (WHO, 2012). Secondo l Organizzazione Mondiale della Sanità, per ogni tonnellate di tabacco prodotto, circa persone finiranno per morire. Nel mondo quasi il 20% della popolazione adulta fuma sigarette; nel 2009 i fumatori hanno consumato circa miliardi di sigarette con un incremento del 13% del consumo negli ultimi dieci anni. La prevalenza di fumatori è più elevata tra gli uomini rispetto alle donne, tuttavia i tassi di fumo sono in aumento tra le donne: si stima che nel mondo gli uomini fumino quasi cinque volte di più delle donne, anche se i tassi di prevalenza per genere variano notevolmente da un paese all altro. 1

6 Nei paesi ad alto reddito come l Australia, il Canada, gli Stati Uniti e la maggior parte dell Europa occidentale, infatti, le donne fumano allo stesso livello degli uomini mentre in molti paesi a medio e basso reddito le donne fumano molto meno degli uomini. Quasi un miliardo di uomini adulti in tutto il mondo fuma sigarette, circa il 35% nei paesi sviluppati e il 50% nei paesi in via di sviluppo. In entrambe i paesi, sviluppati e in via di sviluppo, le tendenze mostrano che i tassi di fumatori maschi hanno ormai raggiunto il picco e, seppure lentamente, sono in calo. Circa 200 milioni di fumatori nel mondo sono donne, circa il 22% nei paesi sviluppati e il 9% nei paesi in via di sviluppo. L abitudine al fumo tra le donne sembra essere in declino in diversi paesi sviluppati come l Australia, il Canada, il Regno Unito e negli Stati Uniti anche se questa tendenza non si registra in tutti i paesi. In diversi paesi del sud dell Europa centrale e orientale, infatti, il fumo di sigaretta tra le donne non ha mostrato alcun declino o è ancora in aumento. Lo studio svolto da Ng et al. (2014) ha stimato le tendenze della prevalenza del fumo per età e per sesso e il consumo di sigarette in 187 paesi tra il 1980 e il 2012 registrando una diminuzione del 25% della prevalenza tra gli uomini e del 42% tra le donne; nel periodo interessato all indagine, infatti, la prevalenza tra gli uomini è scesa dal 41,2% del 1980 al 31,1% del 2012 con un tasso medio annuo di declino dello 0,9%, mentre tra le donne la prevalenza è scesa dal 10,6% del 1980 al 6,2% del 2012 con un tasso di declino pari all 1,7% all anno. Questo studio ha registrato che l andamento della riduzione della prevalenza per entrambe i sessi sembra aver seguito tre fasi distinte: ad una prima fase ( ) di progressi modesti con un tasso medio di declino pari allo 0,6% annuo è seguito un decennio di progressi più rapidi (tasso medio annuo di declino del 1,7%) al quale è seguito un periodo ( ) con un calo delle riduzioni (tasso medio annuo di declino del 0,9%) con un apparente incremento dal 2010 per gli uomini. I risultati di questo studio hanno evidenziato che sebbene i progressi nella riduzione della prevalenza del fumo quotidiano, il numero dei fumatori è aumentato costantemente in tutto il mondo, da 721 milioni nel 1980 a 967 milioni nel La rilevante crescita della popolazione in questo periodo ha contribuito a un incremento del 41% del numero dei fumatori quotidiani maschili e del 7% per quelli di sesso femminile (Fig. 1). Fig. 1. Prevalenza del fumo quotidiano per anno (A) e tasso annuale di variazione della prevalenza del fumo quotidiano per anno (B) From: Smoking Prevalence and Cigarette Consumption in 187 Countries, JAMA. 2014;311(2): doi: /jama

7 Per quanto riguarda il consumo di tabacco, questo studio ha rilevato che il numero di sigarette fumate in tutto il mondo tra il 1980 e il 2012 è aumentato del 26%, passando da a miliardi. I rischi per la salute collegati all esposizione al tabacco sono strettamente dipendenti dalla diffusione e dall intensità del fenomeno; Ng et al. hanno rilevato che i maggiori rischi si riscontrano in quei paesi con alta prevalenza ed elevato consumo, tra questi la Cina, la Grecia, l Irlanda, l Italia, il Giappone, il Kuwait, la Corea, le Filippine, l Uruguay, la Svizzera e diversi altri paesi dell Europa orientale, come la Russia (Fig. 2). Fig. 2. Intensità e prevalenza del fumo nel 2012 From: Smoking Prevalence and Cigarette Consumption in 187 Countries, JAMA. 2014;311(2): doi: /jama A fronte di un quadro epidemiologico così significativo e dei costi economici e sociali che ne derivano, sono diverse le raccomandazioni e le direttive a più livelli che ne sollecitano una soluzione e che sanciscono la necessità e l urgenza di interventi di sanità pubblica che riducano il consumo e l esposizione al fumo di sigarette. Il programma d azione dell Unione Europea ( ) in materia di salute individua come priorità tematiche la promozione della salute, la prevenzione delle malattie e l incoraggiamento alla costituzione di ambienti favorevoli a stili di vita sani, tenendo conto del principio della salute in tutte le politiche attraverso l attuazione di misure di promozione e prevenzione per affrontare fattori di rischio, quali tabagismo e fumo passivo, abuso di alcol, cattive abitudini alimentari e inattività fisica. Un altro importante documento è la Convenzione per il controllo del tabacco promossa dall Organizzazione Mondiale della Sanità e ratificata il 1 dicembre 2004 (WHO, 2005) da oltre 170 Paesi. Essa rappresenta uno strumento di supporto nella lotta contro l uso del tabacco e 3

8 costituisce un importante iniziativa internazionale che esprime l esigenza di controllare il fumo per motivi di sanità pubblica. Tra i contenuti qualificanti della Convenzione particolare rilievo assumono le dichiarazioni attraverso le quali, in tema di protezione dall esposizione al fumo di tabacco, i paesi aderenti hanno riconosciuto che le prove scientifiche hanno inequivocabilmente stabilito che l esposizione al fumo di tabacco è causa di morte, malattie e disabilità. Di conseguenza, ciascun paese si farà carico di adottare e attuare nelle zone di giurisdizione nazionale efficaci misure legislative, esecutive, amministrative e/o altre misure, prevedendo la protezione dall esposizione al fumo di tabacco nei luoghi di lavoro chiusi, mezzi di trasporto pubblico, nei locali pubblici e, se opportuno, in altri luoghi pubblici. La lotta contro il tabacco diventa quindi un azione fondamentale per contribuire a ridurre le malattie non trasmissibili; l abitudine al fumo può essere combattuta con successo attraverso una serie completa di misure di controllo del consumo del tabacco e attraverso una serie di azioni che mirano ad impedire o ritardare l inizio, a favorire la disassuefazione e a eliminare o ridurre l esposizione al fumo passivo. 1.1 L abitudine al fumo nella popolazione italiana In Italia il carico di malattia associato alle malattie non trasmissibili è pari all 88% dei DALYs, seguito da incidenti (8,5%) e dalle malattie trasmissibili (3,5%). I principali fattori di rischio a cui è possibile attribuire la perdita di salute (DALYs) sono l alimentazione, l ipertensione e il fumo di tabacco seguiti da alto BMI e inattività fisica; il carico di malattia associato al fumo di tabacco è pari al 10,1% dei DALYs rispetto a tutte le cause (rispettivamente il 14,6% per gli uomini e il 5,6% per le donne), corrispondente a anni di vita persi dei quali lo 0,32% è attribuibile al fumo passivo che corrisponde a anni di vita persi (Fig. 3). Fig. 3. Percentuale di DALY per fattore di rischio Italia (2010) From: 4

9 Il sistema di sorveglianza PASSI è un altro strumento attraverso il quale è possibile raccogliere informazioni dalla popolazione italiana adulta tra i 18 e i 69 anni e avere una panoramica sugli stili di vita e fattori di rischio comportamentali, tra i quali l abitudine al fumo. Secondo i dati PASSI 2012 il 27,9% degli adulti italiani nella fascia anni è classificabile come fumatore, mentre il 54% è classificato non fumatore e il 18,2% come ex fumatore. Sotto il profilo socio-demografico, l abitudine al fumo ha una prevalenza maggiore fra gli uomini (33%) rispetto alle donne (23%) e fra i soggetti economicamente più svantaggiati (38%) e con basso livello di istruzione (33%); una minore prevalenza, infatti, si registra tra i soggetti senza difficoltà economiche (23%) e con alti livelli di istruzione (20%). La fascia di età anni è quella a maggiore prevalenza (33%), seguita da quella anni (32%) e anni (29%). Da un punto di vista geografico, anche se i dati mostrano una variabilità geografica tra le regioni molto contenuta, quelle del centro-sud, in particolare Lazio e Campania, sono caratterizzate dalla maggiore prevalenza di fumatori, pari al 31%, mentre il Veneto e la Basilicata sono le regioni che sono caratterizzate da valori significativamente più bassi, pari al 24%, rispetto alla media nazionale. Il fumatore italiano consuma mediamente tredici sigarette al giorno; tra questi, un fumatore su tre consuma almeno un pacchetto di sigarette al giorno pertanto è considerato un forte fumatore. Per quanto riguarda il fumo nei luoghi di lavoro, nel periodo , si registra un significativo e costante incremento del rispetto del divieto, riferito nel 2012 dal 91% dei lavoratori. I dati PASSI 2012 permettono di analizzare le informazioni relative alle persone che hanno deciso di smettere di fumare; nel 2012 il 38% delle persone che fumava nei dodici mesi precedenti ha provato a smettere, purtroppo, l 80% di questi tentativi è stato fallimentare. Nel 94% dei casi, il fumatore ha tentato di smettere senza aiuti; farmaci o cerotti sono stati utilizzati da meno del 3% dei fumatori, mentre solo l 1% ha fatto ricorso alle proposte offerte dai servizi pubblici delle ASL. Secondo i dati dell indagine demoscopica DOXA 2013, condotta su di un campione rappresentativo della popolazione italiana di 15 anni e oltre, i fumatori rappresentano il 20,6% pari a 10,5 milioni su di un totale di 51,1 milioni di popolazione suddivisi nel 26,2% (pari a 6,4 mil.) tra gli uomini e 15,3% (4,1 mil.) tra le donne. Da un punto di vista occupazionale, l indagine rileva che il 46,8% dei fumatori è inquadrato come lavoratore dipendente mentre il 13,8% è un lavoratore autonomo. I risultati dello studio svolto da Gallus et al. hanno registrato che nel 2010 la prevalenza complessiva del fumo in Italia è stata del 21,7%, rispettivamente il 23,9% tra gli uomini e il 19,7% tra le donne, che rappresenta il valore più basso registrato negli ultimi 50 anni; l Italia ha ormai raggiunto la fase finale della epidemia del tabacco. Gallus et al. hanno osservato che la prevalenza del fumo tra il 1957 e il 2008 (Fig. 4) è diminuita sia complessivamente (dal 35,4% al 21,7%) che negli uomini (dal 65,0% al 23,9%), mentre è aumentata nelle donne (dal 6,2% al 17,9% con un picco massimo del 25,9% nel 1990), nel 2009 è stato osservato un incremento sia in generale sia in entrambe i sessi, mentre nel 2010 la prevalenza è tornata a diminuire complessivamente e per uomini e donne (Gallus et al., 2011). 5

10 Fig. 4. Prevalenza del fumo nella popolazione adulta secondo 14 sondaggi DOXA e per sesso (Italia, ) From: Silvano Gallus, Raya Muttarak, Jose M. Martínez-Sánchez, Piergiorgio Zuccaro, Paolo Colombo, Carlo La Vecchia, Smoking prevalence and smoking attributable mortality in Italy, 2010, Preventive Medicine, Volume 52, Issue 6, 2011, A fronte di una graduale riduzione del numero di fumatori, il fumo in Italia resta la principale causa di mortalità prevenibile; le stime dell ISTAT del 2012 attribuiscono al fumo di tabacco dalle alle morti l anno e oltre una su quattro di queste morti riguarda soggetti di età compresa tra i 35 e i 65 anni. Una delle principali patologie fumo correlate è il tumore del polmone la cui incidenza in Italia è in calo tra gli uomini ma in aumento tra le donne; a causa di tale patologia si sono persi anni pari al 4,39% del totale DALYs. Oltre al tumore del polmone il fumo è il principale fattore di rischio per le malattie respiratorie non neoplastiche ( anni persi pari all 1,96% del totale DALYs), fra cui la bronco pneumopatia cronica ostruttiva (BPCO) ed è uno dei più importanti fattori di rischio cardiovascolare ( anni persi pari al 3,58% del totale DALYs). Un fumatore, infatti, ha un rischio di mortalità causato da una coronaropatia superiore da 3 a 5 volte rispetto a un non fumatore; un soggetto che fuma per tutta la vita ha il 50% di probabilità di morire per una patologia direttamente correlata al fumo e la sua vita potrebbe non superare un età compresa tra i 45 e i 54 anni. Gallus et al. hanno trovato che dal 1998 le morti attribuibili al fumo sono diminuite di circa il 15% e hanno stimato che nel 2010 i decessi causati dal fumo sono stati , rispettivamente uomini e donne, pari al 12,5% della mortalità totale (Gallus et al., 2011). Questi decessi attribuibili al fumo sono avvenuti a causa di cancro al polmone ( decessi), altre neoplasie maligne ( morti), malattie cardiovascolari ( decessi) e malattie respiratorie non neoplastiche ( decessi). 6

11 1.2 I determinanti del fumo e della cessazione Per diversi anni fumare è stato considerato come un abitudine sociale e come una scelta individuale; solo negli ultimi anni del secolo scorso ha iniziato ad essere sempre più accettato il ruolo fondamentale di sostegno svolto dalla nicotina nell abitudine al fumo. Al giorno d oggi, quindi, è ormai ampiamente riconosciuto che l abitudine al fumo è in primo luogo una manifestazione di dipendenza da nicotina e che ogni fumatore ha caratteristiche individuali di preferenza riguardo l assunzione di nicotina. In ogni caso, la dipendenza da nicotina non significa che il comportamento del fumatore sia esente da altre influenze; infatti i fattori sociali, economici, personali e politici svolgono un ruolo molto importante nel determinare il profilo dell abitudine e della cessazione del fumo (Jarvis 2004). Comprendere i determinanti del fumo di tabacco è importante per aiutare gli operatori sanitari, i responsabili politici e gli individui a sviluppare e utilizzare strategie per smettere di fumare, riducendo così il carico di malattia associato con l abitudine; attualmente, tuttavia, le determinanti del comportamento dei fumatori non sono ben conosciute. Due possibili importanti determinanti del fumo sono lo stress in generale e lo stress lavoro correlato; i risultati dello studio di Heikkila et al., una meta-analisi basata sui dati raccolti da 15 studi europei condotti tra il 1985 e il 2008 in Belgio, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Paesi Bassi, Svezia e Regno Unito, dimostrano che rispetto ai soggetti non fumatori, i fumatori abituali hanno in media l 11% in più di probabilità di riferire stress lavorativo (OR=1.11; 95% CI: 1.03, 1.18); le probabilità di segnalazione di stress lavorativo sono simili tra gli ex-fumatori e tra coloro i quali non hanno mai fumato (OR=1.00; 95% CI: 0.93, 1.06). Lo stress lavoro correlato è stato anche associato con l intensità del fumo; i fumatori esposti a stress lavoro correlato hanno riferito di fumare, in media, tre sigarette a settimana in più rispetto ai fumatori che non hanno riferito di esserne esposti. (Heikkila et al., 2012). Il fatto che un fumatore riesca a smettere di fumare è strettamente collegato al bilancio tra due fattori: le motivazioni individuali del fumatore, poiché gli interventi per aiutare le persone a smettere di fumare non funzioneranno nei fumatori non fortemente motivati e il grado di dipendenza del fumatore poiché questo influisce sul tipo di intervento (West 2004). La motivazione a smettere e la dipendenza, quindi, sono molto spesso in stretta relazione tra loro: da tenere in considerazione che la motivazione a smettere, oltre che variabile nel tempo, può essere influenzata dall ambiente esterno. Per smettere di fumare, l aspetto più importante è riuscire a mantenere la motivazione per fare più tentativi in caso di insuccessi; i tentativi di smettere devono essere considerati come sessioni di pratica, come un occasione per imparare una nuova abilità, ad un certo punto si spera di farlo bene e di prendere consapevolezza che la probabilità di successo aumenta ad ogni tentativo (Hughes 2003). Uno studio (Gallus et al., 2013) evidenzia come la maggioranza dei fumatori smette per motivi di salute legati al consumo di tabacco e solo una minoranza smette per evitare una malattia futura, di conseguenza i medici dovrebbero incoraggiare maggiormente i fumatori a smettere, fermo restando che i prezzi attuali delle sigarette in Italia non sono sufficientemente elevati da scoraggiare le persone dal continuare a fumare. Una delle principali strategie di prevenzione a livello di popolazione per contrastare l iniziazione e il consumo di tabacco riguarda infatti gli aspetti 7

12 economici legati al prezzo delle sigarette. Uno studio condotto da Gallus et al. nel 2006 ha analizzato la variazione della domanda di tabacco in base al prezzo delle sigarette attraverso una raccolta dati in 52 paesi della regione europea. I risultati di questo studio, coerentemente con altri studi precedenti, supportano con forza l associazione inversa tra prezzo e fumo di sigaretta. In Europa, infatti, il consumo di tabacco si riduce del 5-7% per un aumento del 10% del prezzo reale delle sigarette. Tra le diverse misure di controllo del tabacco c è la previsione dei divieti di fumo: la legge 3/2003 ha introdotto in Italia il divieto di fumo nei locali pubblici e in quelli privati aperti al pubblico. Nel periodo a seguito dell introduzione di questa legge il consumo di sigarette è diminuito annualmente del 2% (98,9-87 milioni di chili) e la prevalenza del fumo ogni anno è diminuita del 1-3% negli uomini e del 0,4-2,0% nelle donne. Nel 2005 in seguito all introduzione di questo provvedimento, il consumo di sigarette è diminuito del 6,2% e il 3,5% di questa riduzione è attribuibile all introduzione del divieto; nello stesso anno le vendite di medicinali alla nicotina sono aumentate del 69% (Gorini 2011). In accordo con gli studi precedenti è stato rilevato che il calo della prevalenza e del consumo del fumo è dovuto, almeno in parte e in particolare per le generazioni più giovani, alla legislazione antifumo globale adottata in Italia (Gallus et al., 2007), che i divieti di fumo sono stati quasi universalmente accettati e che la legislazione antifumo non sembra aver inciso sfavorevolmente l attività di ristoranti o bar (Gallus et al., 2006). In ogni caso, i risultati dello studio al primo ampio divieto di fumo in un grande paese mostrano i vantaggi delle legislazioni antifumo, che possono avere importanti implicazioni per la salute pubblica. La realizzazione di politiche antifumo sembra possa determinare una riduzione a breve termine del numero di ricoveri per infarto miocardico acuto (Barone-Adesi et al., 2006). Carreras et al. (2013) hanno descritto gli andamenti nel tempo e hanno stimato le proiezioni future della prevalenza di ex fumatori in Italia, registrando un costante aumento del numero di ex fumatori nei prossimi decenni; le proiezioni mostrano che la prevalenza degli ex fumatori raggiungerà il 42,7% negli uomini e il 32,1 % nelle donne nel Con queste stime, considerate insieme con la specifica prevalenza dei fumatori e dei non fumatori, secondo Carreras et al., è possibile stimare approssimativamente che la fine del fumo in Italia avverrà intorno agli anni 2060 e 2055 rispettivamente in uomini e donne, una stima quest ultima più ottimista rispetto ad una analoga ricerca inglese che stimava la fine del fumo nel L impatto economico e sociale La stima dell impatto economico e sociale causato dall abitudine al fumo di tabacco non è di facile determinazione. In relazione alla tipologia del sistema sanitario, le stime dei costi diretti sono variabili: tra i paesi europei assimilabili all Italia i costi diretti variano dagli 8 miliardi di dollari in Germania a oltre 9 miliardi di dollari, fino a oltre i 16 miliardi di dollari in Francia. Per la determinazione dell impatto economico le stime prendono in considerazione i costi diretti delle spese sanitarie sostenute connesse alle patologie fumo-correlate (prevenzione, diagnosi, 8

13 terapia e riabilitazione), i costi indiretti connessi alla perdita di produttività e ai danni procurati all ambiente e i costi intangibili legati alle sofferenze di coloro i quali si ammalano (Tab. 1). COSTI TANGIBILI SANITARI Medicina generale Attività di prevenzione Prescrizione di farmaci Ricoveri e prestazioni ospedaliere Prestazioni sanitarie per riabilitazione ECONOMICI Perdita di produttività conseguente a morte prematura o malattia legata al fumo Ridotta produttività (assenza per malattia) Perdita di lavoro per malattia legata al fumo Sovvenzioni/assistenza pensionistica Incendi e incidenti Distruzione della proprietà (pubblica/privata) Inquinamento e smaltimento RICERCA ED ISTRUZIONE COSTI INTANGIBILI PERDITA DELLA VITA riferita ai fumatori riferita ai fumatori passivi DOLORE e SOFFERENZE riferita ai fumatori riferita ai fumatori passivi Tab. 1. Classificazione dei costi sociali e sanitari connessi alle patologie fumo-correlate From: Russo, R., & Scafato, E. (2002). Fumo e salute: impatto sociale e costi sanitari. Roma: OssFAD, (2002). Due studi hanno analizzato attraverso l analisi delle schede di dimissione ospedaliera (SDO) l impatto economico e sociale che l abitudine al fumo apporta al Servizio Sanitario Nazionale: lo studio di Russo (2001) mette in evidenza che in Italia nel 1999 il costo per l assistenza ospedaliera per le patologie attribuibili al fumo è stimabile in ,580 miliardi di lire, pari all 8,3% della spesa sanitaria pubblica del 1999 che costituisce lo 0,4% del PIL, mentre la perdita di produttività corrispondente a giornate di assenza dall attività lavorativa a causa dell abitudine al fumo è risultata pari a 260 miliardi di lire (Russo et al., 2001). In un altro studio (Sgambato et al., 2001) sono stati valutati i costi relativi all assistenza ospedaliera della principali patologie fumo correlate. Nel 1997 la patologia maggiormente incidente sulle risorse del servizio sanitario nazionale è stata la cardiopatia ischemica con un costo di oltre 557 miliardi di lire. Lo studio A study on liability and the health costs of smoking. Final report del 2009, commissionato dall UE, ha stimato che per l anno 2000 i costi sanitari in Italia sarebbero stati pari a oltre 4,5 miliardi di euro mentre la perdita di produttività causata da assenteismo e pensionamento anticipato sarebbe pari a più di 1 miliardo. Per quanto riguarda il mercato dei prodotti del tabacco l Italia si colloca al nono posto nella classifica mondiale dei maggiori paesi produttori di tabacco, con una quota dell 1,7% sulla produzione totale (Rossi et al., 2006); secondo stime dei produttori il volume delle vendite dei prodotti del tabacco nel nostro paese nel 2010 è stato pari a 18,4 miliardi di euro e le entrate fiscali provenienti dalla tassazione sono state pari a 13,7 miliardi di euro. La produzione italiana si estende 9

14 su una superficie di circa 28 mila ettari e l intera filiera (produzione, distribuzione e vendita) occupa oltre 204 mila persone. Da non sottovalutare anche l inquinamento ambientale e i possibili rischi sanitari legati al rilascio in ambiente dei mozziconi di sigarette che rappresentano da soli il 50% dei rifiuti mondiali raccolti nelle aree urbane (parchi, strade) e il 40% di quelli raccolti nel Mar Mediterraneo; ogni anno in Italia vengono rilasciati in ambiente circa 72 miliardi di mozziconi di sigarette. Considerando un valore di 75 mbq per mozzicone, il carico di inquinante totale del composto radioattivo Polonio 210 è di milioni di Becquerel (Bq), oltre a tonnellate di composti organici volatili (Martino et al., 2013). A questo proposito una direttiva europea del 2008 sui rifiuti ha introdotto il concetto di responsabilità estesa del produttore secondo il quale l azienda produttrice è responsabile delle spese di raccolta, trasporto e smaltimento del prodotto; in Italia nel 2012, nell ambito della responsabilità estesa del produttore, è stata presentata una proposta di legge che classifica i mozziconi come rifiuti speciali. 1.4 Il fumo nei luoghi di lavoro I principali ambienti in cui vi è un importante esposizione a fumo attivo e passivo sono quello domestico e quello di lavoro. Il luogo di lavoro è un ambiente particolarmente favorevole per attuare interventi utili a promuovere la cessazione del fumo attivo e per contribuire a eliminare o ridurre l esposizione al fumo passivo; negli ambienti di lavoro, infatti, possono essere facilmente raggiunti e aiutati gruppi numerosi di fumatori. Rischio occupazionale Il fumo attivo e l esposizione al fumo passivo possono determinare un interazione tra il fumo e l esposizione sul posto di lavoro ad agenti fisici, chimici e agenti biologici. Il National Institute of Occupational Safety and Health (NIOSH, 2002) ha individuato alcune possibili modalità attraverso le quali il fumo di tabacco può interagire con gli altri agenti nocivi presenti nel luogo di lavoro: lavoratori esposti sul luogo di lavoro a sostanze chimiche tossiche possono ricevere esposizioni supplementari dalla presenza di quelle stesse sostanze chimiche tossiche presenti nel fumo di tabacco; prodotti chimici sul posto di lavoro possono essere trasformati dal fumo in agenti più nocivi; il fumo di tabacco può diventare un vettore di agenti tossici presenti nei luoghi di lavoro attraverso l inalazione, l ingestione e il contatto cutaneo; il fumo può contribuire ad un effetto (cioè, stesso organo bersaglio ed effetto sanitario) paragonabile a quella che può derivare da esposizione ad agenti tossici presenti nei luoghi di lavoro, provocando così un effetto biologico additivo; il fumo può agire in sinergia con agenti tossici presenti nel posto di lavoro provocando un effetto maggiore di quello causato dal singolo agente. 10

15 Gli effetti benefici derivanti dalla cessazione dell abitudine al fumo di tabacco sono stati ampiamente documentati oltre che in termini di salute anche in termini di assenteismo, infortuni ed incidenti. Benefici in termini di salute Uno studio ha determinato l aumento dell aspettativa di vita ottenuto dalla cessazione dell abitudine al fumo ed ha dimostrato che le persone vivono molto più a lungo quando smettono di fumare, indipendentemente dalla età in cui hanno smesso (Taylor et al., 2002). La maggior parte della mortalità in eccesso causata dal fumo potrebbe essere evitata smettendo di fumare all età di 35 anni e gran parte della mortalità in eccesso smettendo nella mezza età; il guadagno maggiore dell aspettativa di vita si manifesta tra i fumatori che smettono di fumare in giovane età, infatti, l aspettativa di vita tra i fumatori che smettono a 35 anni supera quella dei fumatori che continuano da 6,9-8,5 anni per gli uomini e 6,1-7,7 anni per le donne. I benefici riguardano anche i fumatori che smettono in età più avanzata; tra i fumatori che smettono di fumare all età di 65 anni, gli uomini hanno un guadagno di 1,4-2,0 di anni di vita mentre le donne hanno un guadagno di 2,7-3,7 anni. Significativi cambiamenti sono stati riscontrati rispetto alla salute mentale dopo la cessazione del fumo rispetto a continuare a fumare; smettere di fumare è associato a benefici per la salute mentale, ad una riduzione della depressione, dell ansia e dello stress nonché al miglioramento dell umore e della qualità della vita rispetto a continuare a fumare (Taylor et al., 2014). Benefici in termini di assenteismo e infortuni La cessazione dell abitudine al fumo nel luogo di lavoro apporta notevoli benefici anche in termini di assenteismo dal posto di lavoro. Il fumo infatti sembra aumentare sia il rischio sia la durata dell assenteismo; i fumatori hanno un aumento del 33% (che si riduce al 14% negli ex-fumatori) del rischio di assenteismo e restano assenti dal posto di lavoro in media 2,74 giorni in più all anno rispetto ai non fumatori. Per esempio, il costo totale delle assenze causate dal fumo nel Regno Unito nel 2011 è stato stimato in 1,4 miliardi di sterline (Weng et al., 2013). A risultati analoghi era giunto uno studio precedente svolto da Kelloway et al. secondo i quali vi era una forte associazione tra fumo e assenteismo dal lavoro che portava i fumatori ad assentarsi per 2,07 giorni per ogni anno in più rispetto ai non fumatori. Nel loro studio Kelloway et al. hanno osservato che gli effetti del fumo di tabacco sulla assenza dal lavoro sono stabili in tutti i paesi, indipendentemente da differenze nazionali e culturali nei modelli di fumare e di assenteismo (Kelloway et al., 2002). Gli studi delle cause di assenza dal lavoro tendono ad indicare in modo uniforme che i fumatori perdono più lavoro rispetto ai non fumatori e che l associazione tra fumo e assenteismo era attribuibile ai fumatori più probabilmente giovani, da moderati a forti bevitori, operai e che lavorano per brevi periodi (Ault et al., 1991). Al fumo è attribuita altresì una consistente quota di ricoveri e di giornate lavorative perse, in particolare tra la popolazione maschile; rispetto ai non fumatori, i fumatori hanno tassi più elevati di ospedalizzazione a breve termine e la perdita di giorni di lavoro per una vasta gamma di patologie (Robbins et al., 2000). Un altro aspetto importante riguarda i benefici in termini di riduzione degli infortuni sul lavoro; oltre alle ben documentate conseguenze in termini di salute, il fumo può essere associato anche ad 11

16 un aumento del rischio di lesioni. Alcuni studi correlano il rischio relativo di infortuni con l abitudine al fumo; uno studio prospettico svolto tra il 1986 e il 1989 su 2537 impiegati delle Poste di Boston (Ryan et al., 1992) ha osservato nei fumatori un eccesso del 29% di incidenti industriali e del 40% di infortuni sul lavoro. Un altro studio (Sacks et al., 1994) effettuato tramite un analisi della letteratura dal 1966 al 1993 ha stimato che i fumatori, rispetto ai non fumatori, hanno una probabilità 1,5 volte maggiore di avere un incidente stradale e 1,4-2,5 volte maggiore di subire un infortunio sul lavoro Il fumo tra le professioni mediche e sanitarie Il fumo rappresenta un elemento chiave nella professione medica perché i medici assumono un ruolo di esempio per gli studenti di medicina, per i loro colleghi, per i loro pazienti e svolgono un ruolo di primo piano nella prevenzione dell uso di tabacco; oltre all impatto sulla comunità, il fumo è anche un importante problema di salute occupazionale nella professione medica. Una revisione di studi condotti dal 1974 al 2004 (Smith et al., 2007) relativi al tema del fumo di tabacco tra i medici ha descritto come la prevalenza complessiva del fumo sembra aver seguito due distinte tendenze. In primo luogo negli ultimi 30 anni i paesi più sviluppati sembrano aver vissuto un costante declino dei tassi di fumo tra i medici: quattro studi svolti dal 2000 hanno dimostrato che la prevalenza del fumo tra i medici americani è inferiore al 10%, mentre tre indagini svolte nel 1990 in Australia hanno rilevato una prevalenza di circa il 5%, così come in Nuova Zelanda dove i dati di un censimento hanno rilevato nello stesso periodo un tasso simile e tra i medici britannici la cui abitudine al fumo è stata oggetto di diversi studi. In questi paesi sono stati costantemente documentati i più bassi tassi di prevalenza del fumo tra i medici. I risultati di questa revisione illustrano come queste tendenze non sono uniformi in tutti i paesi sviluppati, infatti, alcuni paesi mantengono tassi di prevalenza di fumo tra i medici piuttosto elevati; è il caso di paesi come l Italia, il Giappone e la Francia dove diverse indagini hanno sempre documentato tassi di prevalenza di fumatori oltre il 25%. Una seconda tendenza riguarda alcuni paesi in via di sviluppo come in Cina, Estonia, Bosnia Erzegovina e Turchia, dove i tassi sono particolarmente elevati e dove addirittura in alcuni casi sono in aumento; un tasso sorprendentemente basso è stato registrato in Nigeria (3%) evidenziando come anche nel gruppo dei paesi in via di sviluppo sono ancora possibili delle eccezioni. Complessivamente nello studio di Smith et al. (2007) i tassi di fumatori più bassi sono stati documentati negli Stati Uniti (2%) in Australia (3%) e nel Regno Unito (3%), mentre i più elevati sono stati registrati in Grecia dove circa la metà dei medici risulta essere fumatore abituale (49%), in Cina (45%) e tra i medici giapponesi (43%); risultati simili si sono rilevati anche in Kuwait (38%) e negli Emirati Arabi Uniti (36%) in particolare tra i medici di sesso maschile (rispettivamente il 45% e il 44%) così come in India dove quasi la metà dei medici di sesso maschile (48%) risulta essere un fumatore abituale. Smith et al. (2008) hanno osservato che in Italia il tasso di medici fumatori non ha mostrato la stessa tendenza costante al ribasso che è stata osservata in altri paesi come gli Stati Uniti, l Australia e la Nuova Zelanda; nel nostro paese, infatti, i tassi di medici fumatori sono simili se non addirittura superiori a quelli della popolazione generale, dato che almeno un quarto dei medici è 12

17 fumatore e la maggior parte di essi fuma mentre è in servizio: tra il 1985 e il 2001 almeno 10 studi internazionali hanno rilevato tassi di medici fumatori in tal senso. Secondo i risultati di questo studio, nelle regioni meridionali si registrano percentuali più alte di medici fumatori rispetto a quelle settentrionali; da una prospettiva di genere, inoltre, lo studio svolto da Smith et al. (2008) mette in evidenza che mentre nei medici uomini è stata registrata una discreta riduzione nel tempo, nelle donne i valori sono rimasti praticamente stabili. Uno studio pubblicato nel 2010 (Ficarra et al., 2010) condotto in sette ospedali italiani (Roma, Napoli, Perugia, Chieti e Torino) ha stimato la prevalenza del fumo e ha valutato le conoscenze e gli atteggiamenti verso l uso del tabacco tra un campione composto da 1082 professionisti ospedalieri italiani. I risultati di questo studio hanno evidenziato che la prevalenza del fumo tra i professionisti della salute è del 44%, più del doppio di quello della popolazione generale (22%) stimata nel La prevalenza di fumatori è stata osservata tra i medici (33,9%), infermieri (49,8%), studenti di medicina (35%), studenti post-laurea (52,9%), tecnici (41,1%), studenti infermieri (48,2), ausiliari (50,4) e altri (33%). Studi precedenti, seppur individuando tassi più bassi del precedente, indicano comunque che la prevalenza di fumatori nelle professioni mediche e sanitarie è più alta rispetto alla popolazione generale: lo studio di Muzi (2001) svolto in un ospedale dell Italia centrale ha trovato una prevalenza di fumatori del 36,0% negli uomini e del 36,7% nelle donne dimostrando che il fumo è più diffuso nei lavoratori ospedalieri rispetto alla popolazione generale (27,5%). La più alta prevalenza di fumatori è stata trovata tra gli inservienti di reparto (45,2%), tra gli infermieri (38,9%) e tra i medici (26,3%): in questo studio (Muzi et al., 2001) la prevalenza del fumo è risultata simile in tutte le divisioni professionali - cliniche, chirurgia, diagnostica e amministrazione; in un altro studio (Masia et al., 2006) effettuato presso l Azienda Ospedaliera Universitaria di Sassari è stata rilevata una percentuale di fumatori pari al 31% distribuita tra gli infermieri (35,5%), tra i medici (21,4%) e tra il personale di servizio (40,4%); un altro studio (Incorvaia et al., 2008) svolto presso gli Istituti Clinici di Perfezionamento di Milano ha riscontrato che il 25,8% erano fumatori correnti, il 20,6% sono stati ex-fumatori e il 45,7% sono stati i non fumatori ma esposti a fumo passivo. Alcuni studi hanno indagato le abitudini e le conoscenze sul fumo dei futuri medici utilizzando il metodo GHPSS (Global Health Professions Student Survey). Il GHPSS è questionario che raccoglie i dati sul consumo di tabacco e la consulenza per la cessazione tra gli studenti delle professioni sanitarie in tutti gli Stati membri dell OMS sviluppato dall Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), il U.S. Centers for Disease Control and Prevention (CDC) e il Canadian Public Health Association (CPHA). Il GHPSS fa parte del sistema di sorveglianza globale tabacco (STG), che raccoglie i dati attraverso tre indagini: il Global Youth Tobacco Survey (GYTS), il Global School Personnel Survey (GSPS), e GHPSS. Questo strumento si è dimostrato valido ed affidabile nel contesto italiano (Gualano et al., 2012) La Torre et al. (2012) hanno esaminato la prevalenza di fumatori, le conoscenze e le attitudini in tema di fumo tra gli studenti di 12 scuole di medicina di quattro paesi europei (Germania, Italia, Polonia e Spagna) attraverso il metodo GHPSS (Global Health Professions Student Survey). L indagine effettuata nel 2009 ha trovato una prevalenza globale del fumo tra gli studenti di medicina pari al 29,3% con tassi che variano dal 28% in Germania al 31,3% in Italia, rilevando una prevalenza superiore rispetto a quella della popolazione generale. In termini di atteggiamenti e 13

18 credenze, questo studio ha trovato che più di due terzi degli studenti credono che gli operatori sanitari siano modelli di comportamento per i pazienti, mentre in tema di formazione solo il 16,5% degli studenti aveva ricevuto una formazione per smettere di fumare con significative differenze tra l Italia (3,5%) e gli altri paesi. Studi analoghi in Italia effettuati con il metodo GHPSS (Global Health Professions Student Survey) confermano che il tasso di fumatori correnti tra gli studenti di medicina e dei corsi professionali sanitari è superiore a quello della popolazione generale (Ferrante et al., 2013; Gualano et al., 2012). Lo studio di Ferrante et al. (2013) svolto presso l Università di Catania ha trovato una prevalenza di fumatori pari al 38, 2% (29,5% in Medicina e Odontoiatria; 49,2% in scuole sanitarie professionali come farmacia, diagnostiche, fisioterapia, infermieristica); lo studio di Gualano (2012) svolto nel 2009 in cinque scuole italiane di medicina (Università La Sapienza e Sacro Cuore di Roma, Chieti, Torino e Palermo) ha rilevato una prevalenza pari al 31,4%. Diversi i risultati a cui è prevenuto un altro studio (Saulle et al., 2013) svolto anche in questo caso con il metodo GHPSS tra gli studenti di nove scuole di medicina (Torino, Padova, Firenze, Brescia, Ferrara, Varese, Udine, Palermo e Salerno) che ha riscontrato una prevalenza di fumatori del 20,4% (maschi 22,4%, femmine 19,1%). In ogni caso, da questi studi (Ferrante et al., 2013; Saulle et al., 2013; Gualano et al., 2012) emerge che più della metà del campione crede che gli operatori sanitari siano un modello comportamentale per i pazienti in quanto forniscono consigli o informazioni sulla cessazione del fumo e, in accordo con un altro studio svolto nel 2010 in quattro scuole di medicina italiane (Grassi et al., 2012), questi studi confermano che le scuole di medicina non offrono una formazione adeguata in tema di dipendenza dal tabacco e che i curriculum di studio non includono ulteriori informazioni sul trattamento della dipendenza da tabacco. La Torre et al. (2014) in uno studio multicentrico trasversale svolto tra i medici specializzati in 24 scuole italiane di Salute Pubblica hanno trovato una prevalenza di fumatori elevata (oltre il 20%), proprio tra i professionisti della salute con il ruolo chiave negli interventi di sanità pubblica per la promozione di stili di vita sani. Grassi et al. (2014) hanno confrontato la conoscenza dell epidemiologia del fumo e gli effetti sulla salute tra studenti che frequentano scuole di medicina e studenti di scuole non mediche ed ha studiato l effetto di un breve intervento educativo sulla conoscenza del fumo. Questo studio (Grassi et al., 2014) è stato svolto su un campione composto da 1191 studenti di quattro diverse scuole di medicina (Università La Sapienza e Cattolica di Roma, Udine e Verona) e di una scuola di architettura e di giurisprudenza (Università La Sapienza di Roma); agli studenti è stato somministrato un questionario composto da 60 item relativi alla conoscenza dell epidemiologia del fumo, sugli effetti sulla salute e sull efficacia dei trattamenti per smettere. Successivamente gli studenti di medicina del quarto anno hanno ricevuto una lezione sulla dipendenza del tabacco e hanno compilato lo stesso questionario, uno e due anni più tardi. I risultati dello studio hanno rilevato una prevalenza di fumatori significativamente più altra tra gli studenti di architettura (26,2%) e di giurisprudenza (26,2%) rispetto agli studenti di medicina (16,9%). Lo studio rileva inoltre che gli studenti di medicina hanno una conoscenza leggermente superiore sulle malattie legate al fumo e sui metodi per favorire la cessazione rispetto agli studenti delle scuole di architettura e giurisprudenza anche se la differenza è apparsa relativamente piccola se si considera che gli studenti di medicina avevano già ricevuto tre anni di formazione medica. L aver assistito ad una lezione sulla dipendenza da nicotina è stata associata ad una migliore conoscenza un anno dopo, anche se l effetto è stato moderato e di breve durata. 14

19 C è un emergenza da fumo di tabacco tra gli operatori sanitari in Europa? E questo il quesito che sorge alla luce della revisione di La Torre (2013), in accordo con gli studi illustrati, dalla quale emerge che tra i professionisti della salute nella maggior parte dei paesi europei, vi è paradossalmente un alta prevalenza di fumatori con le sole eccezioni di Regno Unito e Svezia dove vi è una bassa prevalenza di fumatori tra gli operatori sanitari (6-7%) spesso associata ad un più alto supporto per il divieto di fumo. La prevalenza del fumo di tabacco tra i professionisti della salute è estremamente elevata, maggiore o almeno uguale a quella relativa alla popolazione generale (ad esempio: Grecia, Italia, Spagna, Portogallo, Francia e Polonia), più di altre categorie professionali e questo, secondo La Torre (2013), potrebbe essere in parte attribuito a un basso peso che il fumo di tabacco occupa nel curriculum medico di futuri medici, che contribuirà in modo determinante alle scelte sane dei loro pazienti. In Italia, infatti, nei curricola scolastici delle scuole mediche non esiste un corso sulla prevenzione e sul controllo del fumo di tabacco che copra tematiche quali la dipendenza da nicotina, l epidemiologia del tabacco, le patologie legate al fumo, la motivazione alla base dell iniziazione al fumo, gli aspetti economici e le competenze per il trattamento di un fumatore che vuole smettere. L abitudine al fumo contrasta con il modello di stile di vita salutare che il medico dovrebbe proporre e l essere fumatore influenza negativamente l attività di contrasto al fumo che il medico dovrebbe attuare con l attività di counselling. Lo studio svolto in Germania da Ulbricht et al. (2009) ha osservato che i pazienti che avevano ricevuto un intervento di counselling per la disassuefazione da parte di medici di medicina generale non fumatori avevano più probabilità di trarre beneficio in confronto ai pazienti che erano stati consigliati da un medico di medicina generale fumatore. Lo status di fumatore del medico sembra incidere in maniera significativa sulle opinioni sul fumo e sulla cessazione, sulle attività cliniche legate al fumo e allo stesso modo potrebbe costituire un ostacolo a fornire aiuto ai pazienti per smettere di fumare (Pipe et al., 2009). I medici fumatori sembrano essere meno disposti rispetto ai medici non fumatori a informarsi sull uso del tabacco, a consigliare la cessazione, a fornire assistenza ai pazienti e sono meno propensi a credere che il fumo sia una grave minaccia per la salute dei loro pazienti e che smettere di fumare sia una priorità assoluta. Questa situazione potrebbe non essere un problema in quei paesi come il Canada, gli Stati Uniti, la Svezia, l Australia e il Regno Unito dove i tassi di medici fumatori sono molto bassi, mentre potrebbe rivelarsi un problema in tutti quei paesi dove il tasso di medici fumatori è prossimo o addirittura superiore alla popolazione generale poiché ciò potrebbe compromettere gli sforzi globali per aiutare i fumatori a smettere (Pipe et al. 2009). Una recente indagine italiana (Nobile et al. 2014) ha analizzato le conoscenze, le attitudini e le attività fornite ai pazienti per smettere di fumare in un campione di medici di base operanti nel Servizio Sanitario Nazionale (n=1050; n=50 per una ASL scelta a caso per ciascuna delle 21 regioni italiane). Nobile et al. hanno trovato che le principali carenze di conoscenza non riguardano tanto la consapevolezza di base dei rischi per la salute del fumo ma in particolare gli interventi di provata efficacia, maggiormente in evidenza nei medici laureati molti anni fa che hanno una conoscenza significativamente inferiore. 15

20 In alcuni paesi come l Italia, la percentuale di fumatori che riceve dal medico di base consigli sulla possibilità di smettere di fumare è molto bassa. Secondo Coleman (2004), i medici non intervengono su questo problema adducendo le seguenti giustificazioni: i pazienti spesso non sono motivati a smettere e/o non ascoltano i consigli; smettere di fumare spesso non è una priorità per i fumatori; mancanza di tempo; consigli non richiesti possono infastidire i pazienti; difficoltà a convincere i pazienti dell importanza di non fumare; non sapere come trattare con i fumatori che non sono motivati a smettere. Secondo le linee guida cliniche per promuovere la cessazione dell abitudine al fumo (ISS 2002) i medici dovrebbero fornire consulenza ad ogni fumatore ad ogni visita; chiedere a tutti i soggetti che si presentano in ambulatorio, indipendentemente dal motivo della visita, se sono fumatori e raccomandare a tutti i soggetti fumatori di smettere di fumare fornendo loro consigli sono raccomandazioni molto forti supportate da prove di efficacia basate su revisioni sistematiche o su studi controllati randomizzati. Uno studio (Ferketich et al., 2008) ha rilevato che solo il 22% dei fumatori ha ricevuto consiglio di smettere di fumare dal loro medico, pertanto questi dati evidenziano chiaramente come le linee giuda non vengono seguite come raccomandato; si stima che negli Stati Uniti il 55% dei fumatori ha ricevuto consigli di smettere di fumare dai loro medici, mentre in Australia i dati indicano che il consiglio è stato ricevuto da circa il 27% dei fumatori. Un basso livello di consapevolezza delle linee guida, la mancanza di competenze in tema di cessazione e l alto tasso di fumatori tra i medici possono essere le ragioni di una così bassa prevalenza di consulenza. In considerazione delle evidenze sulle conseguenze che il fumo ha sulla salute e sull effetto dannoso che i medici fumatori hanno sulla loro capacità di assistere i pazienti fumatori, viene da chiedersi per quali motivi i medici fumano. Forse perché i medici ritengono il fumo un problema importante ma non una priorità. Oppure perché essi potrebbero pensare che aiutare le persone a smettere di fumare sia un azione di prevenzione e quest ultima non è sostenuta dalla maggior parte dei medici, più orientati al trattamento dei pazienti piuttosto che aiutare ad evitare di ammalarsi. In verità i fumatori sono già soggetti malati, infatti, la dipendenza da nicotina dalla quale essi sono affetti è inclusa nella Classificazione Internazionale delle Malattie dell OMS e nel Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali dell Associazione Americana di Psichiatria. Aspettare l insorgenza di una malattia fumo correlata prima di intervenire determina un danno enorme e l aver perso una quota significativa dell aspettativa di vita (Cattaruzza et al. 2013) L esposizione a fumo passivo nei luoghi di lavoro Il fumo passivo è uno dei principali fattori di rischio per la salute pubblica ed è ancora oggi uno degli inquinanti indoor più comuni in tutto il mondo al quale sono esposti il 40% dei bambini, il 35% delle donne e il 33% degli uomini. E stato stimato che nel 2004 il fumo passivo ha causato morti e 10,9 milioni di DALY in tutto il mondo, corrispondenti all 1% di tutti i decessi e allo 0,7% del carico mondiale di malattia in DALY; la causa di quasi due terzi di tutti i decessi in adulti e bambini e un quarto dei DALY attribuibili al fumo passivo è attribuibile a malattie 16

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