Lavoro & Previdenza La circolare su temi previdenziali e giurislavoristici

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1 Lavoro & Previdenza La circolare su temi previdenziali e giurislavoristici N Licenziamento individuale: il punto dei CdL I CdL riepilogano le norme contenuti nell art. 18 dello Statuto dei Lavoratori, alla luce degli ultimi orientamenti sui licenziamenti individuali Categoria: Previdenza e Lavoro Sottocategoria: Varie La Fondazione Studi dei CdL, con la circolare n. 6/2014, ha analizzato i punti cardine del rivisitato art. 18 dello Statuto dei Lavoratori (L. n. 300/1970), alla luce degli ultimi orientamenti giurisprudenziali. Particolare attenzione viene dedicata agli orientamenti dottrinali sulla manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento; sul punto, il Giudice chiarisce che si dovrebbe valutare il mero fatto materiale. In particolare, a fronte di un licenziamento illegittimo il giudice dovrebbe ordinare la reintegrazione quando il fatto che ha determinato il licenziamento non sussiste; mentre la sanzione sarebbe solo di tipo indennitario quando quel fatto, seppure esistente, non integra la causa legittimante il recesso. Premessa Licenziamento illegittimo La Riforma Fornero, entrata in vigore nell estate del 2012, ha notevolmente modificato l'orizzonte dei licenziamenti e ridisegnato l'art. 18 dello Statuto dei Lavoratori (L. n. 300/1970). Nel frattempo si sono susseguiti sul tema una serie di pronunciamenti giurisprudenziali e dottrinali che la Fondazione Studi dei CdL ha cercato di analizzare, dedicando particolare attenzione ai contenuti e modalità degli atti di risoluzione del rapporto di lavoro. Vediamoli nel dettaglio. Partendo dai licenziamenti illegittimi, gli esperti della Fondazione Studi evidenziano che i concetti di giusta causa e giustificato motivo soggettivo non hanno subito mutamenti, come anche il giustificato motivo oggettivo. 1

2 La riforma, però, ha cambiato il regime sanzionatorio in caso di licenziamento dichiarato illegittimo; in luogo della sola reintegra si è passati a quattro possibili diverse conseguenze sanzionatorie: 1. la tutela reale piena; 2. la tutela reale attenuata; 3. la tutela indennitaria piena; 4. e la tutela indennitaria ridotta. In via generale, le prime due tutele si applicano in caso di declaratoria di nullità del licenziamento, mentre la tutela reale attenuata trova accoglimento in ipotesi di licenziamento dichiarato illegittimo per insussistenza del fatto o quando i fatti posti a base del licenziamento per GMO si rivelano manifestamente insussistenti. La tutela indennitaria piena, poi, trova accoglimento nelle altre ipotesi di licenziamento dichiarato inefficace. Nullità di licenziamento In via preliminare, i CdL rammentano che sono nulli i licenziamenti intimati: 1. per discriminazione (art. 3, Legge 11 maggio 1990, n. 108); 2. per matrimonio (art. 35, D.Lgs., 11 aprile 2006, n.198); 3. per violazione dei divieti posti a tutela della maternità e paternità (art. 54, commi 1, 6, 7 e 9, D.Lgs., 26 marzo 2001, n. 151); 4. per motivo illecito determinante (art cod. civ.); 5. negli altri casi previsti dalla Legge; 6. per discriminazione anche quando sia formalmente adottato per GMO (art. 18, comma 7, ultimo periodo); 7. perché intimato in forma orale, individuale o collettivo (art. 15, D.D.L. comma 3). Nullità di licenziamento: in breve L atto di recesso non può esser motivato da ragioni discriminatorie né comminato a causa di matrimonio, come anche per un motivo illecito determinante. Inoltre, la risoluzione del rapporto, non può essere intimata in forma orale (ciò sia in caso di licenziamento individuale che collettivo) ed in violazione dei divieti posti a tutela della maternità e paternità. Quindi, la conseguenza di un licenziamento reso contravvenendo a quanto appena precisato è la nullità dell atto di recesso con reintegra del lavoratore nel posto di lavoro e condanna del datore alla corresponsione di un'indennità risarcitoria commisurata all'ultima retribuzione globale di fatto maturata dal giorno del licenziamento sino a quello dell'effettiva reintegrazione, dedotto quanto percepito, nel periodo di estromissione, per lo svolgimento di altre attività lavorative. 2

3 In ogni caso, la misura del risarcimento non potrà essere inferiore a cinque mensilità della retribuzione globale di fatto. Il datore di lavoro è condannato inoltre, per il medesimo periodo, al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali. LE RAGIONI DISCRIMINATORIE Può ritenersi motivato da ragioni discriminatorie, il recesso intimato per l adesione ad un sindacato o per la non adesione, per ragioni politiche, religiose, razziali, di età, di lingua, di sesso, convinzioni personali e da orientamenti sessuali (art. 18, comma 1). Ciò vale anche quando la motivazione discriminatoria non sia espressa in maniera esplicita, ma venga mascherata da giustificato motivo oggettivo (art. 18, comma 7, ultimo periodo). La prova della discriminazione, in particolare è affidata al lavoratore che le assume come posta a fondamento del licenziamento; questi potrà fornire prova diretta o per presunzioni: per prova diretta può intendersi il fornire le evidenze di un comportamento discriminatorio che ha motivato unicamente il licenziamento; la prova resa per presunzioni, invece, viene offerta in vario modo ma sempre attraverso l elencazione di comportamenti datoriali gravi, precisi e concordanti, che possano ricondurre ad una condotta volta ad intento discriminatorio, unico effettivo motivo del licenziamento. LICENZIAMENTO PER CAUSA DI MATRIMONIO Altra ipotesi di licenziamento vietato è quello intimato a causa di matrimonio (art. 35, D.Lgs., 11 aprile 2006, n. 198) nel periodo dalle pubblicazioni all anno immediatamente successivo, per cui si presume la discriminazione salvo le note deroghe, cioè: 1. colpa grave da parte della lavoratrice, costituente giusta causa per la risoluzione del rapporto di lavoro; 2. cessazione dell attività dell azienda cui essa è addetta; 3. ultimazione della prestazione per la quale la lavoratrice è stata assunta o di risoluzione del rapporto di lavoro per la scadenza del termine. 3

4 VIOLAZIONE DEI DIVIETI POSTI A TUTELA DELLA MATERNITÀ E PATERNITÀ Risulta parimenti nullo il licenziamento posto in essere contravvenendo ai divieti posti a tutela della maternità e paternità (art. 54, commi 1, 6, 7 e 9, D. Lgs., 26 marzo 2001, n. 151); anche in questo caso esistono le suddette deroghe. Maternità-paternità e discriminazione Non è possibile motivare il recesso per ragioni discriminatorie inerenti lo stato di genitore o per la presentazione di istanze inerenti la cura della prole; anche in tale ambito, però, operano i principi di prova visto in materia di discriminazione: [ ] l onere della prova della natura discriminatoria del licenziamento è a carico della lavoratrice e può essere desunto dalla natura non veritiera della motivazione legata al giustificato motivo oggettivo qualora emergano ulteriori e illeciti motivi di allontanamento dal posto della lavoratrice madre, pochi giorni dopo che questa abbia chiesto di fruire di un congedo parentale [ ] (Trib. Como, ordinanza, ). Cessazione dell attività In ipotesi di cessazione dell attività la giurisprudenza ha affermato che [ ] la deroga al divieto di licenziamento durante il periodo di tutela della lavoratrice madre in caso di cessazione dell'attività di azienda non si può estendere all'ipotesi di chiusura di un reparto [ ] (Cassazione civile, sez. lav., 31/07/2013, n ) ma debba essere collegata alla completa cessazione dell attività aziendale. Contratti a tempo determinato Con riferimento a contratti a tempo determinato, la giurisprudenza evidenzia che [ ] la sopravvenuta gravidanza della lavoratrice assunta in sostituzione di altro dipendente assente per ferie non costituisce valido motivo per la risoluzione "ante tempus" del contratto di lavoro a termine, neppure se le mansioni per le quali la sostituta è stato assunta sono incompatibili con lo stato di gravidanza, posto che tale eventualità non è ricompresa nell'elenco tassativo delle cause di legittima risoluzione del rapporto durante la maternità ex art. 54 D.Lgs. 26 marzo 2001 n (cfr. Tribunale Pavia, 28/04/2011). IL MOTIVO ILLECITO DETERMINANTE Come affermato in precedenza, deve ritenersi nullo il licenziamento intimato per motivo illecito determinante (art cod. civ.) che sia unica motivazione del recesso. 4

5 La prova del motivo illecito determinante grava sul lavoratore che la potrà rendere nelle modalità già esaminate per la discriminazione. LICENZIAMENTO ORALE È inefficace il licenziamento individuale o collettivo (art. 15, D.D.L comma 3) intimato in forma orale; tale disposizione vale anche per imprese con meno di quindici dipendenti. Giusta causa e giustificato motivo soggettivo È considerato lecito il licenziamento per giusta causa o giustificato motivo soggettivo: 1. le cui circostanze fattuali siano rispondenti a reale sussistenza; 2. il fatto si valuta in raffronto a: a) fattispecie indicate nel CCNL (badando che non prevedano sanzioni conservative per fattispecie anche assimilabili); b) alla volontarietà della condotta; c) all assenza o meno di precedenti provvedimenti disciplinari; d) all anzianità di servizio; e) all oggetto delle mansioni affidate; f) alla scarsa offensività o anche irrilevanza del comportamento posto in essere; g) al ruolo ricoperto dal lavoratore; h) al grado di professionalità richiesto per la mansione. Giusta causa e giustificato motivo: in breve Affinché un licenziamento per giusta causa o giustificato motivo soggettivo possa ritenersi lecito, ai sensi della vigente disciplina, i fatti contestati e posti a suo fondamento non devono essere insussistenti ed il CCNL applicato non deve prevedere, in luogo del licenziamento, sanzioni di natura conservativa. Si rammenta che il giustificato motivo soggettivo è il notevole inadempimento del lavoratore degli obblighi derivanti dal rapporto di lavoro; la giusta causa, invece, è di regola inadempimento che, oltre ad essere notevole, elimina del tutto la fiducia del datore di lavoro in ordine alla regolarità ed esattezza delle future prestazioni e in quanto tale (cfr. art c.c.) [ ] non consente la prosecuzione del rapporto, legittimando il recesso senza preavviso, previsto invece per il giustificato motivo soggettivo. Risulta essenziale, però, determinare adeguatamene il fatto contestato, affinché esso non risulti insussistente. 5

6 Licenziamento per giustificato motivo oggettivo e manifesta insussistenza del fatto È lecito il licenziamento per giustificato motivo oggettivo: 1. le cui circostanze fattuali siano rispondenti a reale sussistenza; 2. motivato da ragioni di carattere organizzativo: a) effettivamente sussistenti (quindi concretamente riscontrabili); b) attuali (non inerenti accadimenti futuri non ancora realizzatisi); c) specificamente indicate nella comunicazione di recesso; d) che impongono la soppressione di una specifica posizione lavorativa; e) per cui non può disporsi una utile riallocazione neanche adibendo la risorsa a mansioni inferiori; f) se la soppressione del posto di lavoro interessa posizioni di natura fungibile, dovranno osservarsi i criteri di scelta previsti in caso di licenziamento collettivo. Anche il licenziamento per giustificato motivo oggettivo prevede alcune incertezze interpretative con riferimento al concetto di manifesta insussistenza, che illustriamo di seguito. GLI ORIENTAMENTI DOTTRINALI SULLA MANIFESTA INSUSSISTENZA DEL FATTO Secondo una prima impostazione il fatto posto a base del licenziamento che il Giudice dovrebbe valutare sarebbe il mero fatto materiale. A fronte di un licenziamento illegittimo il giudice dovrebbe ordinare la reintegrazione quando il fatto che ha determinato il licenziamento non sussiste, mentre la sanzione sarebbe solo di tipo indennitario quando quel fatto, seppure esistente, non integra la causa legittimante il recesso. La verifica del giudice, secondo questa impostazione, dovrebbe essere effettuata senza alcuna discrezionalità: il fatto o c è o non c è. Altri autori affermano, sul punto, che il concetto in esame deve intendersi come il fatto per effetto del quale la produzione o il regolare funzionamento dell organizzazione del lavoro assumono rilevanza rispetto all interesse del lavoratore alla conservazione del suo posto di lavoro. Altra parte della dottrina ritiene che il fatto posto alla base del licenziamento debba essere il fatto inteso in senso giuridico e non il fatto materiale. Secondo tale orientamento il fatto e la valutazione giuridica dello stesso sono strettamente connessi nel giustificato motivo oggettivo. Termine di efficacia del licenziamento La Legge Fornero, infine, ha disposto che il licenziamento intimato all'esito del procedimento disciplinare oppure all'esito della procedura prevista per il licenziamento per giustificato motivo oggettivo, produce effetto dal giorno della comunicazione con cui il procedimento medesimo è stato avviato. 6

7 Sul punto, i CdL non riscontrano molti precedenti giurisprudenziali; tuttavia, la Corte di appello di Milano, ha affermato che la società datrice di lavoro ha correttamente individuato il temine di risoluzione del rapporto alla data della contestazione dell addebito, con cui si disponeva anche la sospensione cautelare dal servizio. Sul punto, in particolare, si è affermato che [ ] ove il procedimento disciplinare si concluda in senso sfavorevole al dipendente con l'adozione della sanzione del licenziamento, la precedente sospensione dal servizio - pur strutturalmente e funzionalmente autonoma rispetto al provvedimento risolutivo del rapporto, giacché adottata in via meramente cautelare in attesa del secondo - si salda con il licenziamento legittimando il recesso retroattivamente, con perdita ex tunc del diritto alle retribuzioni a far data dal momento della sospensione medesima [ ] (cfr. Corte d'appello Milano, Sez. Civile Sentenza 18 gennaio 2013, n. 1649). - Riproduzione riservata - 7

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