CONVEGNO PUBBLICHE AMMINISTRAZIONI E DIVERSITA' ROMA, 11 MAGGIO 2006

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1 CONVEGNO PUBBLICHE AMMINISTRAZIONI E DIVERSITA' ROMA, 11 MAGGIO 2006 AL CROCEVIA DELLE POLITICHE DI PARI OPPORTUNITA' NELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE: LA DIFFERENZA LESBICA Giovanna Camertoni, segreteria Arcilesbica nazionale In questo intervento cercherò di precisare perché a mio avviso, le politiche di promozione di una cultura delle differenze all'interno della pubblica amministrazione, sia essa locale o nazionale, debbano rimanere ancorate alle politiche di pari opportunità tra uomini e donne, o meglio debbano considerare come prioritaria nel proprio operato l'attenzione alla dimensione di genere degli individui. Permangono infatti ancora troppe, eccessive disuguaglianze tra uomini e donne per consentire un superamento delle politiche di pari opportunità fondate sulla differenza di genere, verso politiche di promozione di pari opportunità per tutti, in cui la componente di genere possa presentarsi neutralizzata. Ciò vale in particolar modo per il nostro paese, vista la gravità della situazione rispetto ad altri paesi europei, e considerato il disastro prodotto anche nell'ambito delle politiche di pari opportunità da parte del governo Berlusconi. 1 Tale situazione non ci permette, purtroppo, ancora, di parlare di "cultura delle differenze" collocando la dimensione di genere tra le tante esistenti, ma ci impone una sua considerazione particolare. Il punto di vista secondo cui, la promozione del rispetto delle differenze tra gli individui vada considerato non prescindendo dalla loro dimensione di genere, trova piena condivisione anche nell'ambito delle politiche antidiscriminatorie europee, le stesse cioé che fondano il proprio operato sull'art. 13 del Trattato di Amsterdam, nel quale dimensioni quali il sesso, la razza e l'origine etnica, l'orientamento sessuale, ecc vengono messe sullo stesso piano e ogni "gerarchia" tra differenti forme di discriminazione appare azzerata. 1 Su questo punto vedi: SHADOW REPORT (2004) dall introduzione: Il presente documento, definito SHADOW REPORT, in quanto alternativo a quello del governo italiano sulla attuazione della Piattaforma di Pechino in Italia, è stato elaborato in seguito a una decisione in tal senso assunta dall Assemblea del 2 ottobre 2004, che si è svolta alla Casa Internazionale delle Donne, ed è stata promossa da: Arcidonna, Candelaria, Casa Internazionale delle donne, Caucus delle donne-comitato romano, Cooperativa Generi e Generazioni, Coordinamento italiano della Lobby europea delle donne, Paese delle donne, Associazione Zora Neale Huston, con l obiettivo di dar vita a un Rapporto OMBRA sulla situazione italiana e su quella mondiale, vista con gli occhi delle donne italiane. Testo scaricabile: 1

2 La Commissione europea, all'interno della tabella di marcia per la parità tra donne e uomini, resa pubblica a marzo 2006 afferma inoltre come intenda: "monitorare e rafforzare l'integrazione della dimensione di genere, segnatamente: nelle attività nazionali e comunitarie relative all'anno europeo delle pari opportunità per tutti (2007) ". 2 Lo stesso passaggio è contenuto nella proposta di decisione presentata dalla Commissione europea al Parlamento e nella comunicazione al Consiglio "Una strategia quadro per la non discriminazione e le pari opportunità per tutti", entrambe datate 1 giugno 2005 e relative all'istituzione del 2007 come "Anno europeo per le pari opportunità per tutti". 3 E' indubbio che nel nostro paese, così come negli altri paesi europei, si siano compiuti notevoli progressi nell'attuazione della parità tra i generi grazie al corpus normativo messo a punto, ai richiami all'integrazione della prospettiva di genere nelle politiche, a provvedimenti specifici volti a promuovere la condizione femminile, ai programmi di azione, al dialogo sociale e a quello con la società civile. Tuttavia le disuguaglianze permangono e lo scarto esistente tra la condizione di vita degli uomini e quella delle donne, nonostante tutto, ovvero nonostante le azioni positive ricordate sopra, sembra mantenersi inalterato, anzi tenda ad aumentare. Nella comunicazione della Commissione europea del primo marzo 2006 si afferma inoltre come: "le disuguaglianze uomo/donna rimangano e possano aggravarsi, poiché l'incremento della concorrenza economica su scala mondiale richiede forza lavoro più mobile e flessibile", e sottolinea come tale 'esigenza' possa pregiudicare maggiormente le donne. Il permanere, nonostante tutto, ovvero le azioni positive finora messe in campo, di questo scarto tra uomini e donne che appare difficilmente colmabile, colpisce tutte le donne, lesbiche comprese. Questa banale e ovvia affermazione, ovvero che lo scarto esistente tra uomini e donne, colpirebbe, danneggiando, tutte le appartenenti al genere femminile precisando l'esistenza di comunanze fra donne di cui si però si puntualizzano consapevolmente le differenze, non è tuttavia una affermazione scontata quando, ad esempio, nelle amministrazioni si passano al vaglio le politiche pubbliche per valutarne l'impatto di genere. Come pure non è scontata, sempre a livello di politiche pubbliche, l'affermazione secondo cui, esisterebbero delle ricadute di intensità esponenziale quando alle dinamiche di disuguaglianza uomo/donna si aggiungono uno o più fattori di discriminazione "altra", producendo situazioni di 2 COM (2006) 92 3 Per informazioni sull'anno europeo per le pari opportunità per tutti vedi: COM (2005) 224 e COM (2005)

3 rischio ancora più elevato che può determinare disuguaglianze doppie, sovrapposte, incrociate, ovvero una articolazione di disuguaglianze. Spesso l'assenza di politiche di pari opportunità tra uomini e donne declinate prestando attenzione alle differenze interne agli uomini e alle donne, veicola un duplice messaggio: l'inconsistenza del significato della differenza lesbica che a sua volta mette in dubbio l'esistenza stessa delle lesbiche. E' pertanto indispensabile un ripensamento delle politiche di pari opportunità finora condotte nel nostro paese. E' altresì necessaria una riflessione sui molteplici effetti che tali politiche producono a catena quando evitano di considerare le differenze al proprio interno poiché le ricadute di tale impostazione producono effetti negativi su tutti, e non soltanto in termini di esclusione dei portatori di specifiche istanze. Tale lacuna produce cioè una serie di discorsi che disconoscendo la dimensione lesbica delle pratiche affettivo-sessuali delle donne, possono far pensare: 1. all'insignificanza della differenza lesbica come paradigma interpretativo della condizione femminile in generale; 2. che le lesbiche non siano investite tanto quanto le etero dai problemi "classici" attorno a cui ruotano gli interventi in materia di pari opportunità tra uomini e donne, che potrebbero essere riassunti con il termine conciliazione, e quindi ad una sottovalutazione dell'impatto di questo problema sulle lesbiche e da parte delle lesbiche stesse che potrebbero non identificarsi e quindi mettere in atto processi di presa di distanza da questi argomenti; 3. dall'altra impediscono di rilevare come queste disuguaglianze, già gravi di per sé, in realtà tendano ad approfondirsi e a produrre situazioni di rischio potenzialmente maggiore in soggetti passibili di discriminazione multipla. Penso ad esempio al tema del lavoro. In Italia le donne trovano difficoltà sia per quanto riguarda l'accesso al mercato del lavoro (in particolare nelle aree meridionali) che per quanto riguarda la permanenza, in particolare dopo la nascita dei figli. Nonostante nel nostro paese nascano meno bambini che negli altri paesi europei, si registra un tasso di occupazione delle donne senza figli inferiore al tasso di occupazione delle donne con figli registrata in tutti gli altri paesi europei. Tale risultato mette in evidenza che le difficoltà che in Italia le donne incontrano nell'accesso all'occupazione avvengono ancor prima di avere figli. Uno dei problemi principali è la carenza di buone occasioni di lavoro (s'intende un lavoro stabile, sicuro, regolare), corrispondenti alle aspirazioni delle giovani che si affacciano sul mercato del lavoro e di canali di accesso che permettano il superamento delle discriminazioni da parte delle imprese nei confronti del lavoro femminile (ed in particolare nei confronti della maternità vista come un costo per l'impresa). 3

4 In Italia inoltre l'ingresso delle donne nel mercato del lavoro non è stato accompagnato da un adeguato processo di riorganizzazione della società e delle politiche pubbliche e ciò ha fatto emergere i problemi legati alla conciliazione, problema particolarmente sentito in un contesto culturalmente poco favorevole e preparato all'abbandono delle donne del ruolo domestico e familiare. 4 La mancata riorganizzazione della società e delle politiche pubbliche con l'ingresso delle donne nel lavoro è un tema che riguarda tutte le donne, comprese le lesbiche, con la dovuta precisazione però che, questo non è un "problema delle donne", in realtà "è un problema che riguarda sia le donne che gli uomini e anche la società nel suo insieme" 5 e con l'ulteriore precisazione che però le conseguenze di questo problema ricadono prevalentemente sulle donne, in particolare sui soggetti a potenziale rischio di discriminazione multipla. A volte si sente dire che le lesbiche occupano posizioni lavorative migliori rispetto alle etero. A volte questo viene motivato dall'assenza di figli e ciò le escluderebbe da "ritorsioni" in caso di maternità: non facendo figli, le lesbiche farebbero più carriera, non perderebbero il lavoro, non sarebbero a rischio di licenziamento per maternità, anzi, non facendo figli rappresenterebbero un capitale umano ricercato tra i datori di lavoro. Inoltre le lesbiche sarebbero esentate dai problemi di conciliazione, poiché condividendo la loro esistenza con un'altra donna, questo le metterebbe al riparo da questo fenomeno. Questi assunti sono profondamente sbagliati e intrisi di pregiudizi. Un pregiudizio ha a che fare con lo specifico lesbico, il secondo con le donne in generale: il primo tende a negare la maternità lesbica, che pure esiste, il secondo dice che le donne sono discriminate sul lavoro quando fanno figli, in realtà le donne, come ho detto prima, sono discriminate sul posto di lavoro ancora prima di fare figli, ovvero sono discriminate in quanto donne e basta e indifferentemente se li faranno o meno. Il terzo, considerando la conciliazione un problema "privato" da risolversi nella contrattazione interna alla coppia eterosessuale, se da una parte esclude la possibilità di vedere la problematica della conciliazione nel vissuto lesbico oscurandone una comprensione più complessiva delle dinamiche, dall'altra distoglie l'attenzione dalla possibilità di affrontare questo tema anche attraverso un miglior intervento pubblico e un diverso modo di lavorare. La sottovalutazione del rischio di discriminazione delle lesbiche nei luoghi di lavoro in quanto donne e non in quanto lesbiche, impedisce a sua volta, di comprendere alcune delle motivazioni che possono spingere le lesbiche a non diventare madri e che non hanno, a mio avviso, sempre e solo a che vedere con le motivazioni solitamente addotte relative allo "specifico" lesbico, che pure esiste e 4 Su questo punto vedi: INCHIESTA (2004) Anno XXXIV, n. 146, ottobre-dicembre 2004, Famiglie genere e relazioni economiche, a cura di Carla Facchini 5 Ponzellini Anna M., Tempia A. (2003), Quando il lavoro è amico. Aziende e famiglie: un incontro possibile", Edizioni Lavoro, Roma, pagina15. 4

5 andrebbe adeguatamente considerato, dalla difficoltà a rendersi visibili, all'impossibilità nel nostro paese di accedere alle tecniche di fecondazione assistita, ecc Io penso cioè che se le lesbiche non fanno figli, ciò accade anche (ovviamente non solo) per gli stessi motivi per cui non li fanno le etero, ovvero a causa dell'inesistenza di condizioni favorevoli alla loro partecipazione al lavoro in quanto donne, che le consenta di realizzare il proprio desiderio di maternità. Condizioni favorevoli che,, nel caso delle lesbiche, possono assottigliarsi ulteriormente, quando, ad esempio, il desiderio di maternità nasce all'interno di una coppia di lesbiche precarie, magari anche visibili, quindi potenzialmente più a rischio di esclusione dal mercato del lavoro, di discriminazione e quindi di povertà. Nelle indagini sullo scarto esistente tra figli realizzati e figli desiderati dalle giovani, che collocazione può trovare una lesbica che desidera avere un figlio insieme alla propria compagna? Nel momento in cui non si prende in considerazione la condizione di una donna che sta crescendo un figlio assieme ad una compagna, in quale categoria di indagine questa donna viene riposizionata? Nella categoria delle cosiddette "madri sole"? Il disconoscimento di una scelta di maternità e di co-genitorialità lesbica, depotenzia la possibilità di affermare una scelta di maternità indipendente da parte delle donne ossia indipendentemente dalla presenza di un uomo, oltre ad allontanare la pensabilità di una battaglia da parte di chi si occupa di pari opportunità per la fruizione da parte della co-madre dei congedi parentali secondo la legge 53/2000. La non considerazione della dimensione lesbica nell'esperienza femminile e nelle politiche di pari opportunità volte a ridurre il divario esistente tra uomini e donne, produce una distorsione nella comprensione dei problemi di non marginale gravità e permette il proliferare di visioni stereotipate che investono sia le donne eterosessuali che quelle lesbiche producendo un circolo vizioso in cui gli stereotipi tendono a generarsi e a rinforzarsi l'uno con l'altro, l'uno attraverso l'altro. La considerazione sistematica della dimensione lesbica nelle politiche di parità permetterebbe invece una più efficace rottura con i pregiudizi e le visioni stereotipate che investono le donne e un rilancio delle politiche di parità con effetti di maggiore incisività di cui tutte le donne e tutti gli uomini potrebbero beneficiare. Esistono poi ovviamente dimensioni di discriminazione specifiche esperite dalle lesbiche e a cui le politiche di parità o promozione di una cultura delle differenze dovrebbero dare ascolto e che spesso sono comuni all'esperienza gay. L'assunto di eterosessualità che permea tante situazioni della vita quotidiana, dalla scuola al lavoro, alla fruizione di servizi sociosanitari, ecc pone continuamente delle sfide alle lesbiche, relativamente alla "gestione" dello stigma sociale che le investe. Il primo è lo stigma visibile, formulato esplicitamente. Il secondo è lo stigma non ovvio, non visibile, che pone una sfida diversa, quella delle strategie di "gestione delle informazioni". In questo caso sono i 5

6 prevedibili danni che la circolazione di informazioni riguardo alla propria omosessualità può causare a rendere le persone vulnerabili. In questo intervento ho cercato di spiegare perché a mio avviso la promozione di una cultura delle differenze nella pubblica amministrazione, in cui la dimensione dell'orientamento sessuale trovi un proprio spazio di dignità, sia indispensabile, e non possa prescindere da una attenzione alla dimensione di genere degli individui. Dall'altra ho cercato di spiegare perché a mio avviso la promozione di una cultura delle differenze vada integrata con le cosiddette politiche di pari opportunità tra uomini e donne e chiarito perché queste ultime dovrebbero inscrivere nei loro programmi una attenzione alla dimensione lesbica. 6

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