ALMA MATER STUDIORUM UNIVERSITÀ DI BOLOGNA
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- Ignazio Pinto
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1 ALMA MATER STUDIORUM UNIVERSITÀ DI BOLOGNA FACOLTA DI MEDICINA E CHIRURGIA CORSO DI LAUREA IN INFERMIERISTICA LA COMUNICAZIONE INFORMATIVA DI PROGNOSI INFAUSTA AL PAZIENTE ADULTO IN AMBITO SANITARIO. CRITICITA ED OPPORTUNITA NELL ESERCIZIO DELLA PRATICA INFERMIERISTICA Relazione di laurea in SCIENZE UMANE PRESENTATA DA RELATORE PIERLUIGI TOMASELLO Prof.ssa PATRIZIA CANINI
2 INDICE Capitolo 1 INTRODUZIONE Pag. 4 Capitolo 2 LA MORTE COME COSTRUZIONE DI SIGNIFICATO PER L UOMO 2.1 Raffigurazione del morire Pag Un accenno al significato della morte nelle principali culture mondiali Pag Uno sguardo sulla filosofia dal XVIII al XX secolo Pag Il punto di vista sociologico Pag La situazione attuale Pag. 32 Capitolo 3 ANTROPOLOGIA ED ETICA DELLA MORTE 3.1 Cenni sull antropologia della morte Pag Le attuali tendenze di pensiero Pag L informazione e la bioetica Pag. 40 Capitolo 4 ANALIS I DEL QUADRO NORMATIVO E DEONTOLOGICO IN ITALIA 4.1 Il Piano Sanitario Nazionale Pag Il Piano Sanitario Nazionale Pag Il Piano Sanitario Nazionale Pag Il Piano Sanitario Regionale dell Emilia Romagna Pag Il Codice Deontologico Medico Pag Il Codice Deontologico Infermieristico Pag Cenni su ulteriori vincoli deontologici e normativi Pag. 69 2
3 Capitolo 5 LE FIGURE COINVOLTE 5.1 La famiglia Pag Il medico Pag Il paziente Pag L istituzione sanitaria Pag L infermiere Pag. 124 Capitolo 6 STUDI E R ICERCHE PUBBLICATI 6.1 La comunicazione di prognosi infausta. Indagine: multiculturale Pag Il coinvolgimento delle figure sanitarie Pag. 154 Capitolo 7 CONC LUS IONI Pag. 159 Bibliografia Pag 167 3
4 Capitolo 1 - INTRODUZIONE L infermiere si attiva per l analisi dei dilemmi etici vissuti nell operatività quotidiana e ricorre, se necessario, alla consulenza professionale e istituzionale contribuendo così al continuo divenire della riflessione etica 1. Questo è il punto da cui prende avvio questo lavoro, ed è contemporaneamente il punto a cui questo lavoro approderà. Un principio che è anche una fine, un quesito da indagare che è anche la risposta ultima. Ultima non nel senso di definitiva, univoca, inappellabile, e nemmeno nel senso di unica risposta corretta. Il risultato a cui si vuole approdare al termine di questo lavoro, è il conseguimento di un indicazione, il più ampiamente possibile condivisibile da tutti gli operatori sanitari, circa il tipo di atteggiamento da tenersi necessariamente per poter affrontare i quotidiani problemi che scaturiscono attorno il tema della comunicazione della prognosi infausta al paziente, in ambiente ospedaliero. In altri termini, si vuole trovare un punto di incontro su cui tutti gli attori coinvolti possano concordare, al fine di mantenere il supporto assistenziale al paziente, all interno del genuino senso del prendersi cura, inteso quale manifestazione massima di umanità e solidarietà. E questo perché se si pretendesse di sciogliere il dilemma sull opportunità o meno di informare il paziente sul fatto che la sua vita stia per terminare in un tempo più o meno determinabile e prossimo (in termini di giorni, settimane, massimo mesi), con una definitiva ed implacabile scientifica soluzione, ci si addentrerebbe in un meccanismo generatore di deludenti frustrazioni, senza possibilità alcuna di dar luogo al tracciamento di un percorso comune di riferimento a cui ricorrere ed intraprendere ogni qual volta gli operatori sanitari incontrino questa problematica nel loro quotidiano operato. Tutto ciò avverrebbe, principalmente, solo per 1 Codice Deontologico Infermieristico del Punto
5 il semplice fatto, che le incognite presenti nelle interazioni sono troppe ed irriducibili essendo legate, solo per citarne alcune: - alla cultura sociale alla quale si fa riferimento; - al tempo ed alle risorse a disposizione; - alla capacità personale dell operatore, di sostenere un argomento di questo tipo con il diretto interessato; - alla tutto sommato concepibile percentuale di fallibilità della medicina quale strumento predittivo; - alle personali condizioni psicologiche, morali, etiche, religiose, familiari e quant altro del paziente; - alle implicazioni deontologiche di salvaguardia della vita umana degli operatori sanitari; - alle ricadute giuridiche di pertinenza della strutture sanitarie nelle quali gli operatori sanitari operano; - alla non infallibilità degli operatori coinvolti e delle loro reti organizzative dei rapporti professionali; e questo appunto, solo per citarne le più macroscopiche. Tuttavia, può ritenersi un utile risultato quantomeno il raggiungimento della presa di coscienza intorno al problema, il solo domandarsi quali siano gli elementi in gioco, quali siano le implicazioni positive e negative, soprattutto alla luce della responsabilità che implica l essere operatore sanitario, nonché l aver assunto come scopo principale dell infermiere, la totale presa in carico del paziente, presa in carico che presuppone l erogazione di un assistenza tesa al sostegno fisico ma anche, ed è soprattutto questo il caso, psichico del paziente, in maniera tale da sostituirsi sempre meno allo stesso paziente, che nel frattempo viene sempre di più messo nelle condizioni di autoconsapevolezza prima, e di avere accesso, alle proprie risorse interne, poi. Nel caso specifico, la vicenda, o meglio i due episodi che hanno costituito l innesco del bisogno di indagare quanto più fosse possibile, il circolo virtuale degli elementi che stanno tra un ideale punto di partenza, costituito dalla domanda se sia giusto o meno mettere al corrente il paziente sul suo stato più o meno prossimo di 5
6 morente, unitamente alla relativa astratta risposta, ed il punto di arrivo, costituito da una molteplicità di risposte, almeno una per ogni paziente, che non consentono di approdare ad una univoca affermazione, sono rappresentati dall esperienza vissuta in prima persona in qualità di studente, in tempi diversi, ed in diversi reparti ospedalieri, alla messa in scena di quella che viene oramai comunemente definita la congiura del silenzio, attorno a due diversi pazienti. Di più, dall aver assistito successivamente alla morte di questi pazienti, alla quanto mai drammatica e straziante rielaborazione, da parte dei familiari, delle conseguenze scaturite dalla loro scelta di mantenere questo silenzio con il loro caro, con la relativa serie di dubbi e di incertezze che questa rielaborazione sulla condotta adottata comportava. In queste persone sembrava di intravedere quello che, come meglio descritto dal sociologo Marco Marzano a proposito della decisione di non rivelare al padre la prognosi infausta che lo riguardava, era il sospetto, presto divenuto certezza, che la decisione presa nei primi giorni della malattia, di mentire al padre circa la gravità del suo male, di dargli, d accordo con il medico di fiducia, una versione edulcorata della realtà nel timore delle conseguenze che sarebbero seguite ad una rivelazione piena ed autentica della prognosi, fosse stata sbagliata e dannosa. 2 Queste situazioni, che quotidianamente gli operatori sanitari incontrano nell esercizio della loro professione nell ambito delle istituzioni sanitarie - operatori ai quali, a differenza di coloro che non operano all interno della sanità è richiesto un atteggiamento consapevole, mirato e competente in risposta alle complesse problematiche che si vengono a creare al verificarsi degli eventi - risultano oggi più che mai evidenti, dal momento che oramai, e sono parole della Dott.ssa Felicita Mosso del Servizio di Cure Oncologiche ed Hospice dell Ospedale Mauriziano di Lanzo 2 Marco Marzano Scene finali. Morire di cancro in Italia Ed. Mulino Bologna 2004 pagg
7 Torinese 3, viviamo in una società che ha nascosto, allontanato, mascherato, rimosso e negato l idea della morte, dove le persone hanno una gran paura di morire. Infatti con il progredire della ricerca medica nella soluzione di patologie anche gravi, ci vengono dati messaggi di relativa tranquillità e sicurezza, ma diminuisce sempre di più in noi la capacità morale di affrontare la malattia, la sofferenza e la morte, e chi muore viene relegato in solitudine. Poiché invece, la sofferenza e la morte fanno parte della nostra vita, il nostro mandato di operatori sanitari, come continua l autrice, che lavorano accompagnando, è di aiutare i malati e le loro famiglie a guardare in faccia queste realtà, per viverle con una corretta elaborazione sul piano fisico, psicologico e spirituale, contenendo il dolore e la sofferenza con tutti i mezzi e le risorse che la medicina moderna mette a nostra disposizione. 4 Il motivo pertanto che ha fornito la guida per la redazione di questo lavoro, lo ripetiamo, con scopo puramente conoscitivo e non risolutivo, è stato fornito dalla consapevolezza che l incontro tra una persona, la sua malattia e la sua morte sono esperienze uniche ed irripetibili 5, e quindi non vanno assolutamente inglobate e catturate dal vortice quotidiano di tecnica, ritmi, efficienza, imperturbabilità ed abitudini che le istituzioni sanitarie molto spesso producono. Tanto più che, siccome la morte e il morire sono, in un certo senso, processi sociali 6, sarebbe un affronto alla dignità umana del paziente non renderlo partecipe in prima persona, secondo le sue possibilità, della propria vita rimanente, dal momento che come nota Marzano, troppo spesso una persona comincia a morire di cancro socialmente all indomani di una prognosi infausta, ovvero nel momento in cui qualcuno (il medico, se non altro) sa che egli è destinato a morire in un lasso di tempo piuttosto breve (alcune 3 Felicita Mosso Le cure palliative e di accompagnamento: l esperienza di Lanzo Torinese 4 Idem 5 Ibidem 6 Clive F. Seale Constructing death: the sociology of dying and bereavement Cambridge 7
8 settimane o, al limite, pochi mesi) in conseguenza di un tumore maligno. 7. Ciò che si vuole evitare con il presente lavoro è proprio questo. Inoltre, lo afferma Sandro Spinsanti, nonostante sia troppo presto per individuare le implicanze filosofiche dei recenti sviluppi delle scienze biologiche e della medicina, si può notare un nuovo interesse per il morente e per la dignità umana negli ultimi stadi della vita, caratteristico di fenomeni quali l eutanasia e la tanatologia. In generale, si può affermare che dal tardo Medioevo non vi è stata tanta considerazione per i problemi connessi alla morte, quanta ve ne è attualmente. 8 Così come nonostante l antropologo Geoffrey Gorer affermasse nel 1965 che esisteva una cospirazione del silenzio a proposito della morte, come se si trattasse di un argomento pornografico, è ora chiaro che Philippe Ariès aveva ragione quando scrisse, agli inizi degli anni 70, che la morte, ancora una volta, sta diventando qualcosa di cui si può parlare. 9 Non va dimenticato che accanto a questa tendenza ne esiste anche un altra volta all evitamento di un tema angoscioso come la morte, altrui e propria. Affermava ironicamente il regista Wood y Allen: non ho paura della morte, ma quando arriverà preferirei non esserci. 10 Secondo Sandro Spinanti, e qui ancora una volta viene segnalato il motivo della necessità di elaborazione di questo lavoro, una domanda che viene posta frequentemente è se gli individui che non hanno elaborato completamente i loro sentimenti circa la propria morte siano in grado di lavorare in modo efficace con altri che stanno per morire. Sebbene non esistano prove empiriche, l opinione prevalente tra i professionisti è che chi ha gravi problemi dovuti ai propri sentimenti riguardo alla morte, avrà senz altro University Press Marco Marzano Scene finali. Morire di cancro in Italia Ed. Mulino Bologna 2004 pagg Sandro Spinsanti et al La morte umana. Antropologia diritto etica Edizioni Paoline Cinisello Balsamo Mi 1987 pag Philippe Aries L homme devant la mort Seuil Parigi, Mauro Marin L assistenza ai pazienti vicino alla morte. Il ruolo del medico nell assistenza ai 8
9 problemi anche nei rapporti con coloro che stanno per morire. Ciò non significa, tuttavia, che tutti i residui della paura della morte debbano essere eliminati prima di lavorare con i morenti, o che i medici che non hanno affrontato i propri sentimenti circa la morte non siano in grado di lavorare efficacemente con i morenti dal punto di vista medico. 11 Infatti le eventualità che l autore delinea sono rappresentate: A) dal caso in cui l operatore sanitario, in questo caso il medico (ma è possibile comunque estendere entro certi limiti l indicazione a tutti gli operatori sanitari) non intenda affatto intrattenere rapporti psicosociali con i pazienti, e diventa preferibile in questo caso piuttosto che gestire male un interazione, lasciare che qualcun altro (più adeguato) assolva il compito; B) dal caso in cui invece l operatore sanitario decida di accettare sino in fondo il proprio ruolo, e se così è, diventa ragionevole che sviluppi un suo proprio sistema di sostegno interno, od esterno appoggiandosi a figure di riferimento. Il limite maggiore che incontrerà la stesura di questo lavoro, sarà in ordine, come peraltro già anticipato, alla reperibilità di indicazioni scientifiche, valide ed utilizzabili comunque a scopo informativo ma non idonee per elaborare delle linee guida, per esempio, perché sebbene già esista un modesto numero di ricerche e saggi, la fase di raccolta dati e opinioni sta appena cominciando. Contemporaneamente, anche le questioni etiche vengono considerate sempre più importanti...il potenziale danno psicologico di quanti partecipano a studi sugli atteggiamenti nei confronti della morte; la validità delle affermazioni di coloro che rispondono ai questionari circa l atteggiamento nei confronti della morte e il problema dell eventualità di considerare i risultati quale base per le misure da prendere; la necessità di modificare il sistema di morenti, alle persone che tentano il suicidio e a quelle in lutto. 11 Sandro Spinsanti et al La morte umana. Antropologia diritto etica Edizioni Paoline Cinisello Balsamo Mi 1987 pag
10 finanziamento in campo sanitario per creare nuovi tipi di assistenza al morente; l elaborazione di principi da seguire nel rapporto diretto con il morente; la necessità di norme per chi svolge un opera di pedagogia della morte, sopratutto per quanti operano nel sistema scolastico pubblico; e l impatto sugli studenti dei nuovi programmi educativi circa la morte. Esistono pochi motivi per dubitare che l attuale interesse per la morte e il morente non sia soltanto un capriccio ma stia diventando una moda. Non si sa ancora fino a che punto tale moda si sia incuneata nel tessuto sociale dell Occidente e di altre nazioni. 12 A conclusione di questa breve introduzione, si richiama alla mente l immagine del guaritore ferito e cioè di colui secondo il quale divento capace di aiutare gli altri nella misura in cui divento capace di vivere anch io la ferita della morte, di tante morti parziali, di perdite ricorrenti, che integro alla mia persona. Il vivere profondamente un esperienza di perdita, di distacco, ecc. suscita in me attitudine alla comprensione ed alla partecipazione che mi abilitano a una relazione di aiuto Richard A. Kalish in: La morte umana. Antropologia diritto etica (S. Spinsanti) Ed. Paoline Cinisello Balsamo Mi 1987 pag Vito D Alessandro L infermiere e il malato grave Edizioni Camilliane Torino
11 Capitolo 2 - LA MORTE COME COSTRUZIONE DI SIGNIFICATO PER L UOMO 2.1 RAFFIGURAZIONE DEL MORIRE La morte ed il morire hanno sempre assunto nell immaginario collettivo una configurazione ideativa che consentiva una rappresentazione mentale di un evento di cui si intuiva e si apprendeva la concretezza attraverso la visione del morente o della morte nel prossimo. Il tema più ricorrente nelle varie culture risulta essere quello del ponte pericoloso che deve essere superato per raggiungere il soggiorno dell aldilà. 14 La più antica attestazione del motivo si trova nell Avesta, il testo sacro della più antica religione mai conosciuta, diffusasi primariamente in Iran e Persia a partire dal 1000 a.c. Infatti alle anime dei buoni esso sembra largo una parasanga ed esse lo superano felicemente, mentre alle anime dei malvagi esso si presenta stretto così che esse precipitano nell abisso 15. Nelle successive tradizioni musulmane si presenta invece lo Sirât, ovvero un passaggio più tagliente di una spada e più sottile di un capello. Nel Dialogo di San Gregorio si ritrova la leggenda del guerriero morto di peste che, ritornato in vita, narra di essere stato condotto presso al ponte di un fiume nero e caliginoso, oltre il quale erano prati di fiori odoriferi e alberi fronzuti e belle abitazioni fatte di pietre aurate: ma lungo le acque erano case fetide e di orrido aspetto. Quel ponte tutti dovevan passarlo, ma solo i buoni vi riuscivano, cadendo gli altri nelle acque puzzolenti Sonia Maura Bacillari Immagini dell Aldilà Meltemi editore srl Roma 1998 pag Idem 16 Alessandro D Ancona I precursori di Dante Firenze 1874 s.d.34, sg E45 11
12 Il motivo ritorna in varie altre visioni medioevali dell Aldilà (D Ancona cit. 45 n.2) come ad esempio la Visione di San Paolo che 12
13 risale all undicesimo secolo. Esso è rappresentato anche nel folklore francese contemporaneo. 17 Un altro importante crogiuolo di immagini dell Aldilà, si ritrova nella cultura contadina del Sud nella quale i morti hanno un loro specifico spazio mitico, contiguo, pur nella sua radicale separatezza, a quello dei vivi, con individuati punti di passaggio, una puntuale organizzazione interna e una delineata topografia 18. Infatti allo spazio dei morti si giunge attraverso un viaggio che l anima deve compiere, viaggio che diviene nella cultura folkloristica secondo l autrice, una rappresentazione densa di realismo mitico, di capacità di avvalorazione semantica dei due termini che si potenziano reciprocamente, ovvero il tema del viaggio si delinea come dialettica specifica pieno-vuoto e quindi si configura come metafora di spazio-nulla, vita-morte; correlativamente, quello della morte si svolge come itinerario, passaggio da uno spazio a un altro nell incombente rischio della nullificazione 19. Così facendo il viaggio diviene simbolo di esperienza rischiosa, rappresentazione del passaggio per antonomasia, della trasformazione di status e trasferimento dal mondo dei vivi a quello dei morti. Pertanto la morte come viaggio, costituendo un passo decisivo della separazione tra regno dei vivi e regno dei morti, o meglio tra il regno della vita ed il regno della morte, necessita di particolari raffigurazioni dell itinerario del viaggio per semplificarlo, per garantire che il percorso abbia termine solo al raggiungimento della meta; necessita insomma, di particolari accorgimenti e tecniche identificative poste cautelativamente ad impedire che la morte resti irretita nella vita minacciandone la stessa possibilità di essere 20. Tutto ciò trova un ancestrale ancoraggio nella ritualizzazione funeraria, tendente ad agevolare il viaggio dell anima del defunto verso la meta finale ed evitando che questa rimanga in qualche 17 Idem 18 Sonia Maura Bacillari Immagini dell Aldilà Meltemi editore srl Roma 1998 pagg Idem 13
14 maniera impigliata tra i vivi attraendo parte del mondo dei morti tra i vivi, e contemporaneamente definendo il confine della vita Costituendo il mondo terreno uno spazio in cui l uomo esiste, anzi fatica per esistere, il mondo dell Aldilà diventa raggiungibile dall anima solo attraverso l attraversamento di uno stretto ponte, carico di insidia vista l esigua larghezza ( sottile come un capello 21 ); e l attraversamento l anima lo effettua con l aiuto dei familiari e dei propri cari che, quantomeno debbono prestare attenzione a non creare ostacoli (ad esempio come ricordato in una credenza di origine abruzzese, attraverso l evitamento del pianto disperato e prolungato che renderebbe il passaggio scivoloso a causa delle lacrime versate). Sempre nel Sud d Italia, le credenze folkloristiche vogliono che il ponte (detto di San Giacomo) sia sorgente di rumore tipico del legno di cui è costituito, durante l attraversamento dell anima, pertanto la prova dell avvenuto attraversamento è ritenuta essere uno scricchiolio della bara indotto dal cadavere, che un parente deve riconoscere. 22. Anche tutte le operazioni magico-rituali tendenti ad agevolare l agonia, e cioè a rendere meno tormentato il passaggio dalla vita alla morte, sono volte ad evitare che l anima resti impigliata nel corpo e, quindi, a eliminare ogni impedimento al viaggio mitico dell anima 23. Come descritto dalla Bacillari, nel nicastrese, durante l agonia del moribondo, è d uso togliere dal collo del morente la catenina o qualunque altro oggetto che possa intraversare l uscita dell anima dal corpo, a sottolineatura del vero e proprio carattere fisico che riveste la concezione della fase di attraversamento della zona di confine tra mondo terreno e mondo ultraterreno. Se, come aveva già notato Aristotele, universalmente si crede che gli dei abbiano anch essi i loro re, perché i popoli, gli uni anche ora, tutti nell antichità, erano soggetti ai re, e gli uomini 20 Ibidem 21 Ibidem 22 Ibidem 14
15 attribuiscono agli dei le loro proprie sembianze, così assimilano al proprio anche il modo di vivere degli dei 24, e quindi gli uomini tentino di ricreare nelle loro rappresentazioni un Aldilà in una modalità risultante di impronta folkloristica, ovvero raffigurante in tutto e per tutto una realtà verosimilmente paragonabile a quella data di conoscere nella vita terrena, nell incapacità di elaborare concetti, spazi e tempi diversi dal proprio conosciuto, eccedenti il proprio orizzonte terreno, si contrappone invece una maggiore alterità di questo approccio nel pensiero religioso. Infatti, come osservato dalla Bacillari, la creazione di una dimensione alternativa alla vita terrena avviene nella religione di molte culture, in maniera mitica, stante su un piano veramente alternativo a quello della rappresentazione della quotidianità della condizione umana, un piano rispondente pur tuttavia, nonostante le intenzioni creative, alla soddisfazione di bisogni, frustrazioni, paure, speranze di cui è concretamente scandita l umana esperienza nel mondo 25. E così accade che per esempio nell organizzazione strutturale fondante della assiologia cristiana, l alternativa alla vita terrena è improntata ad una connotazione positiva. Di più, la morte fisica, all interno di un quadro di lettura in cui si registra l opposizione tra il concetto di vita ed il concetto della sua negazione, non vita, morte, non rappresenta affatto una fine definitiva, un ingresso nel nulla, ma una morte solo apparente attraverso la quale ci si libera infatti da una vita sofferente che è solo veicolo per la vita vera, quella eterna 26. La negatività della vita umana risiede nel qui ed ora della vita terrena, pertanto per accedere ad una dimensione alternativa, migliore, dove sono bandite tutte le ingiustizie che normalmente si incontrano sulla vita terrena, dove è ristabilito un ordine sociale attraverso la mortificazione dei potenti e 23 Ibidem cit. pag Politica, I Sonia Maura Bacillari Immagini dell Aldilà Maltemi editore srl Roma 1998 pagg Sonia Maura Bacillari Immagini dell Aldilà Maltemi editore srl Roma 1998 pagg
16 l esaltazione degli oppressi 27, dove soprattutto si raggiunge la condizione di una perpetuazione eterna del vivere beato, ebbene occorre aver fiducia nell Aldilà e prima di tutto, aver la forza e la determinazione di rinunciare a tutte le insidie che caratterizzano il vivere terreno della condizione umana. Quindi viene creata una condizione di positività nella vita successiva alla morte terrena, la prima si vita vera e piena; e posponendo questa positività viene creata una sorta di aspettativa speranzosa capace di guidare l uomo nel suo cammino terreno reso provvisorio e quindi aggiungiamo, più sopportabile in virtù di questa visione che antepone alla realtà una promessa per un futuro radioso in un altra dimensione, non conoscibile diversamente. E questa, sia pure senza la stessa lucidità e determinazione 28, è la stessa strada perseguita da altri popoli per millenni sino ancor oggi, pur con tutte le differenze e caratterizzazioni che contraddistinguono caso per caso i dettami religiosi, e con cui popoli di culture e religioni diverse condividono con una maggiore o minore rassegnazione, la rinuncia a quello che si è e a come si è per un altrove extramondano di cui si sono persino stabiliti i caratteri fisici e strutturali 29. Così, il tribunale ultimo supremo davanti al quale tutti gli esseri umani dovranno sottostare alla fine dei propri giorni, produrrà l ultima, inappellabile e definitiva sentenza che condurrà l imputato verso un luogo concreto quanto non sostanzialmente definito spazialmente e temporalmente ma al contrario vagamente collocato e caratterizzato, paradisi o infermi che siano. Ed in attesa di questo giudizio finale, tutti gli uomini vengono sottoposti quotidianamente ad un resoconto comportamentale a cui rispondere. Sembra che gli uomini non abbiano saputo concepire una via d uscita meno sperimentata e banale 30 visto che, per esempio, come rilevato dalla Bacillari, la meta ultima più ambita risultano essere le 27 Idem 28 Ibidem 29 Ibidem 16
17 uri del Paradiso islamico, ossia le vergini che lo popolano per allietare il soggiorno di chi lo raggiunge, mentre la più crudele pena prevista è il fuoco, sorte che fino al Settecento era riservata, nella civile Europa, ai condannati a morte non solo per eresia 31. Così, in questo scenario apocalittico, l ultima costruzione concettuale mistica umana della dimensione ultraterrena, cioè il Purgatorio, risulta essere concepito quale mezzo per evitare la dannazione eterna in cambio del pentimento e dell espiazione, costituendo un parallelo con la realtà terrena in cui si concedono sconti di pena ai condannati pentiti (Le Golf 1982). I modelli di questa rappresentazione mistica si ritrovano sin dal Libro dei morti, composto probabilmente nel Basso Egitto intorno al 2100 a.c, il cui motivo centrale per il dopo la morte, risulta quello di pensare le anime. E, per di più, anche in testi successivi in cui vengono rappresentati questi paradisi ed inferni, sono spesso presenti demoni il cui compito è quello di occuparsi delle esecuzione delle pene i quali, presentano già essi stessi nomi spaventosi come Impiccatore, Pressatore, Orribile, Torchiatore, riempiendo l Inferno di urla, talvolta sprizzando fuoco dagli occhi, in altre circostanze incatenando i dannati, ed attizzando la brace sotto le grandi caldaie bollenti nelle quali vengono cotti e fatti bollire i peccatori condannati. Basti in questo caso pensare alla creazione letteraria a noi più vicina, quella dell Inferno dantesco nel quale i riferimenti geografici (Achetone, Stige, etc) nonché tanatologici (Caronte, Minasse, Cerbero, etc.), risultano direttamente derivati dalla cultura classica; né è da dimenticare che la strutturazione del Paradiso è una eredità delle culture dell antico Oriente secondo quanto filtra dal sogno biblico di Giacobbe e più direttamente dal libro arabo della Scala. 32 Ma alla fine di tutto, come rivela la Bacillari, il significato ultimo delle le costruzioni culturali e religiose del Paradiso e dell Inferno, 30 Ibidem 31 Ibidem 32 Paratore 1993: 463 sgg: Saccone
18 altro non sono se non la proiezione simbolizzata delle aspirazioni dell uomo alla perpetuazione della propria esistenza, aspirazione vissuta come una necessità del superamento della paura di essere finito e dover un giorno terminare, soccombendo sotto il peso di un destino incontrollabile, annichilente e nullificante. Invece, attraverso questo meccanismo, e come più volte sostenuto con fermezza dalla Chiesa Cattolica, il futuro ultraterreno è un luogo in cui ci si riappropria della vita, anche se in un altra dimensione, tanto che come è anche possibile ritrovare in altre culture, ai defunti, comunque sia ipotizzata la loro destinazione ultima, sono riconosciuti bisogni non diversi dai vivi, da soddisfare con alimenti e con candele e lumini, simboli di luce e di calore vitale. Anzi, il rapporto tra aldilà ed aldiqua si perpetua grazie ad una sorta di patto più o meno tacito e consapevole, in vigore presso molti popoli, tra morti e vivi, patto che ogni anno in un giorno determinato consacrato appunto al ricordo dei primi, viene tacitamente rinnovato ed in virtù del quale i vivi hanno l obbligo dell assistenza ai morti, questi quello di assicurare la rinascita dei cicli vitali, vegetali e animali che dalla terra, nelle cui profondità abitano, promuovono. Per questa ragione i morti appunto nel giorno della loro celebrazione ritornano per richiedere il rispetto di questo contratto e per ribadirlo (Elide 1976; Lévi-Strauss 1995; Buttata 1995). In questo modo viene di fatto riaffermata l indissociabilità, la continuità ma anche l ambiguità del rapporto tra l aldilà e l aldiqua Sonia Maura Bacillari Immagini dell Aldilà Maltemi editore srl Roma 1998 Pagg
19 2.2 UN ACCENNO AL SIGNIFICATO DELLA MORTE NELLE PRINCIPALI CULTURE MONDIALI LA CULTURA CINESE Spinsanti 34 rileva come tradizionalmente i cinesi abbiano dato particolare rilievo all evitare o superare le implicazioni della morte, tanto da riscontrare l esitazione di molti letterati (compreso, in modo particolare, Confucio stesso) a speculare e approfondire il destino dei morti. 35 Ciò premesso, risulta per l autore parimente evidente come gran parte del pensiero cinese abbia riconosciuto la morte come l inevitabile epilogo della vita umana e l abbia interpretata come una trasformazione in nuovi, sebbene limitati, modi di esistere. In particolare, il pensiero classico cinese ha considerato la morte come la dispersione del complesso delle anime - spesso due, cioè una associata al principio yang (maschile) e una al principio yin (femminile) - e del corpo che costituisce ogni singolo essere umano, quale processo attraverso il quale l uomo viene trasformato per assumere il ruolo di antenato e, allo stesso tempo, inizia un esistenza post-mortem concepita sia in termini di piacere celeste che di pene infernali 36. Questa parte, insieme alla estensione del sistema della reciprocità familiare e della pietà filiale che tradizionalmente sono stati il fulcro praticamente di ogni aspetto della cultura cinese dal periodo delle prime dinastie fino al ventesimo secolo, rappresenta la più antica, la più diffusa e la più consolante visione della morte. In questo contesto è possibile riconoscere come, da una parte ogni individuo abbia un ruolo preciso e previsto al quale attenersi (morente, parenti, etc) e dall altro, in virtù anche di ciò, tutto il processo venga raffigurato come attendibile serenamente, in quanto prevedibile, ineluttabile 34 Sandro Spinsanti et al La morte umana. Antropologia diritto etica Edizioni Paoline srl Cinisello Balsamo (Mi) 1987 Pagg Idem 19
20 ma soprattutto, come si vedrà in seguito, necessario per assurgere a ciò che tutti condividono essere una miglior forma di esistenza. 37 E anche vero che, almeno durante il lungo periodo medioevale della storia cinese, grandi fasce della popolazione erano convinte che alla morte sarebbe successa un esistenza post-mortem in cui le virtù e la pietà sarebbero state ripagate o (più probabilmente) i peccati e le trasgressioni sarebbero stati puniti 38. Nonostante la seconda visione sia la meno dissimile da quella riconducibile alla tradizione cattolica e nonostante tradizionalmente la maggior parte dei cinesi credesse che le anime degli individui continuassero ad esistere dopo la morte, molti dei pensatori più profondi si resero conto che il fenomeno della continuazione, anche se vero, non costituiva la soluzione finale del problema della morte. Essi riconobbero invece, che le diverse anime, così come il corpo a cui erano associate, dovevano prima o poi ritornare alla fonte cosmica naturale da cui provenivano. Come ci si può aspettare, dato l atteggiamento fondamentalmente positivo che i cinesi hanno sempre avuto nei confronti di ciò che consideravano essere la fonte cosmica naturale della vita (Tao), i pensatori che arrivarono a tale conclusione interpretarono raramente la dissoluzione finale in modo completamente negativo o morboso 39. E ovvio che in una realtà così vasta come quella cinese esistevano differenze chiaramente notevoli nell atteggiamento dei diversi saggi e delle diverse tradizioni 40. In particolare la maggior parte dei seguaci di Confucio, quando considerava questo processo di ricongiungimento, e lo faceva raramente, assumeva un atteggiamento caratterizzato più dalla serenità d animo che non dall entusiasmo, mentre secondo molti taoisti cultori della filosofia, il processo del ritorno dell individuo al Tao era considerato l essenza della saggezza la cui 36 Ibidem 37 Ibidem 38 Ibidem 39 Ibidem 40 Ibidem 20
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