UNA SOCIETÀ MULTIETNICA NELLA BASILICATA MEDIEVALE E MODERNA

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1 UNA SOCIETÀ MULTIETNICA NELLA BASILICATA MEDIEVALE E MODERNA Non solo storie di emigrati e di emigrazione. La Basilicata di età medievale e moderna si caratterizza, al contrario, come terra di forti movimenti immigratori, di varietà e di consistenza tali da potersi a giusto titolo parlare di una vera e propria società multietnica, nel senso più attuale e moderno del termine. Forestieri d altre nazioni estere o italiane, costituitisi in comunità ben organizzate, si susseguono nell abitare il suolo lucano, con i loro costumi e i loro usi giuridici, in un rapporto di convivenza con la popolazione locale a volte sereno e addirittura cordiale, altre volte conflittuale e litigioso. L incontro di culture differenti esercita sui costumi e sulla mentalità della gente lucana un influenza estremamente persistente, riscontrabile anche a distanza di secoli. POPOLI E USI GIURIDICI Sono motivi politici a condurre da noi prima i romani, poi i longobardi e i bizantini, i normanni e gli svevi. Tutto ciò implica la sovrapposizione e la sopravvivenza di diritti diversi fra la popolazione, con notevoli conseguenze soprattutto nell ambito della vasta sfera del diritto privato e familiare. Le donne viventi secondo il diritto longobardo o franco, ad esempio, continuano per secoli ad essere soggette alla tutela perpetua, il mundio, in base al quale per qualsiasi loro atto giuridico esse dovranno ottenere l autorizzazione di un uomo, il mundualdo. Le donne che invece vivono secondo il diritto romano continuano ad agire senza bisogno di mundualdo né d altra specie di tutore. Riflessi di tale situazione si riscontrano ancora in documenti del XVI secolo: il 6 dicembre del 1546, ad esempio, a Saponara 1, vendendo al magnifico Giovanni Parisano di Moliterno la quarta parte di un mulino e un piano di battinderio, Donna Altabella Petitti dichiara di vivere jure franco e per questo agisce col consenso del proprio coniuge e mundualdo 2. Il 16 febbraio del 1570, a Tito, Ippolita de Cava dichiara di vivere jure longobardo 3. Vent anni dopo, nel 1592, donna Lucia Impunto di Senise dichiara invece di vivere jure romano 4. Tracce dei vari diritti si riscontrano in numerosissimi atti privati. Il 17 dicembre del 1562 a Marsicovetere viene redatto l inventario dei beni degli eredi del defunto Francesco Fiatarone, al fine di restituire alla vedova risposata non solo la dote ma anche la quarta, assegno maritale di tradizione longobarda, secondo cui alla moglie superstite spetta un tanto (all origine forse, un quarto delle sostanze del marito defunto), quale lucro di sopravvivenza 5. Di tradizione normanno-franca è invece l adurno, assegno maritale destinato agli oggetti formanti l ornamento della sposa e della casa, che l onorabile Marco Nicolai di Morigerati promette nel 1571 all onesta donna Caterina Loisii di Pisticci, sua futura sposa 6. Nel testamento di Natalia de Traficante di Baragiano, redatto a Bella il 3 febbraio 1575, si fa riferimento, ancora, ad una legge romana, la Falcidia, la quale garantisce agli eredi almeno un quarto dell eredità 7. Esempi di tale genere se ne trovano a centinaia nei protocolli notarili di epoca moderna conservati negli Archivi di Stato della regione. GRECO-ALBANESI Sono probabilmente motivi di autodifesa, ma anche, allo stesso tempo, il di Valeria Verrastro 199

2 Fig. 1 - Venosa, 19 agosto Vendita di un poderetto fatta da Nifo, abate del monastero di San Nicola di Morbano, a Faraone e a Santoro, rispettivamente fratello e figlio del defunto Pietro de Faraone. (ASPZ, Pergamene del Capitolo cattedrale di Venosa, n. 22) desiderio di trovare luoghi adatti alla preghiera e all eremitaggio, a condurre in Basilicata, nella seconda metà del X secolo, un gran numero di monaci greci provenienti dalla Sicilia e dalla Calabria meridionale. La Basilicata, del resto, riconquistata alla fine del sec. IX all impero bizantino, conta già una considerevole popolazione greca; inoltre, istituito il tema di Lucania e costituito il catepanato, nel 968 il patriarca di Costantinopoli concede all arcivescovo di Otranto il potere di consacrare i vescovi di Acerenza, Matera, Tricarico e Tursi, costituendo così una nuova provincia ecclesiastica greca. I monaci fuggono dunque dalla Sicilia, dove la situazione dei cristiani è diventata molto più precaria in seguito alle lotte intestine tra i diversi gruppi di musulmani che hanno occupato l isola. Ma emigrano anche perché mossi da un intimo desiderio di luoghi che permettano loro l isolamento dal mondo e una più facile applicazione dei comandamenti del Signore 8. La Basilicata si riempie di moltissimi insediamenti monastici, la maggior parte dei quali molto piccoli, soprattutto nella zona occidentale del Pollino e nel Lagonegrese, lungo il medio corso del Sinni, nelle valli dell Agri, del Basento e del Bradano e, a nord, nella regione del Vulture. La loro influenza sulla popolazione è duplice. Dal punto di vista economico e sociale, essi avviano una vasta opera di bonifica, favorendo l insediamento rurale; insegnano ai contadini la pratica della rotazione delle colture, la concimazione delle terre con il debbio, la tecnica dell innesto degli alberi fruttiferi e della costruzione delle case 9. Dal punto di vista strettamente spirituale, è notevole l impressione lasciata nella popolazione da figure carismatiche di santi monaci, come san Saba, san Vitale da Catronuovo e san Luca abate di Armento 10, con la coralità della loro vita religiosa, fortemente orientata verso l esterno, con la loro predicazione persuasiva ed immediata, attraverso la quale riescono ad aver ragione di molte pratiche superstiziose. La gran parte di questi monasteri, però, ha vita piuttosto breve e non riesce a sopravvivere alla forte latinizzazione operata dai Normanni. Fra le poche comunità ancora attestate alla fine del XIV secolo, vi è quella di S. Nicola di Morbano di Venosa. Alcune pergamene provenienti dall archivio di questo monastero sono conservate nel fondo membranaceo del Capitolo della cattedrale di Venosa, ora depositate nell Archivio di Stato di Potenza. Particolarmente emblematica la pergamena n. 22, contenente un atto del 19 agosto 1256, attraverso il quale Nifo, l abate del monastero, insieme al priore Taddeo, vendono un poderetto comprendente l area occupata da un mulino a ruota appartenente al predetto monastero e ubicato in rivulo balneare. Elemento interessante del documento sono le sottoscrizioni in greco dei monaci, tra cui quella dell abate Nifo, «per grazia di Dio igumèno del monastero di S. Nicola di Morbano 11». (Fig. 1) Immigrazioni di popolazioni greco-albanesi si verificano anche nei secoli successivi. In una prima ondata arrivano verso la fine del XV secolo, in seguito alla caduta dell Epiro nelle mani dei musulmani. Un secondo consistente flusso migratorio si verifica nel secolo seguente, in seguito alla caduta della città di Corone, avvenuta nel In Basilicata gli esuli trovano accoglienza in vari centri come Barile, Ginestra, Melfi, Rionero, Maschito, S. Costantino Albanese e S. Paolo Albanese. Nel 1647, ancora, a Barile e a Maschito giungono nuclei provenienti da Maina e dalla Lacconia, mentre nel 1774 un altro gruppo di albanesi si trasferisce dall Abruzzo a Brindisi di Montagna 12. La convivenza di queste popolazioni con le comunità locali è piuttosto conflittuale. Gli albanesi, in particolare, dimostrano una particolare tenacia nel difendere e mantenere la propria identità e riescono a non far morire la liturgia della chiesa bizantina. I patriarchi di Costantinopoli e gli arcivescovi di Ocrida, infatti, hanno esteso nella prima metà del Cinquecento la loro giurisdizione sopra le colonie greche ed albanesi d Italia, e il papa Paolo III dispone che i greci possano liberamente professare il loro rito tra i latini senza essere molestati. Numerosi sono i contratti matrimoniali tra greci e albanesi conservati nei protocolli dei notai di quel periodo. Il 19 dicembre 1557 a Melfi, ad esempio, Domitro Sgoro, greco, promette di prendere in moglie Chyranna Constantinopoli «secondo lo uso et consuetudine de li grieci et loro natione» 13 : l atto riporta in calce le sottoscrizioni dei testimoni, anch essi greci. (Fig. 2) Riflettendo il diverso 200

3 orientamento emerso dal Concilio di Trento, nel 1564 Pio IV sopprime la giurisdizione concessa ai prelati greci profughi e, pur lasciando la libertà di professare il rito orientale, dà ai vescovi e ai sacerdoti latini la facoltà di cercare con tutti i mezzi di farlo scomparire. Obiettivo che riesce a raggiungere nel 1632 il vescovo di Melfi e Rapolla, mons. Diodato Scaglia, relativamente ai casali di Rionero e di Ginestra. Il diverso rito liturgico, del resto, come si apprende dalle denunce dello Scaglia, si accompagna a particolari usi e consuetudini. Durante la celebrazione del matrimonio, ad esempio, gli albanesi fanno ricorso a canti e a danze e vivaci festini, accompagnati da spari e baldorie, si succedono per l intera giornata lungo le vie del paese 14. Bisogna ricordare, tra l altro, che i greco-albanesi ammettono il divorzio quoad vinculum. Essi usano inoltre rendere omaggio alla luna nuova con cantilene e saluti vari. Nei riti funebri, depongono sui cadaveri vino, legumi, frutta, erbe o capelli narrando lamentosamente la vita del defunto, intrecciano le mani dopo la sepoltura, fanno abluzioni e distribuiscono in chiesa pane, vino e dolciumi. Essi negano la sepoltura ecclesiastica alle donne morte durante o dopo il parto e, comunque, prima di ricevere la benedizione, e ai morti ammazzati. Le puerpere non ricevono alcun sacramento neppure nei casi di estrema necessità, prima dei quaranta giorni ritenuti necessari per la purificazione. Trascorsi quest ultimi, esse vanno in chiesa a ringraziare Dio della prole ricevuta, ma solo dopo aver cambiato le calzature, e infine escono dalla chiesa retrocedendo, senza cioè dare le spalle all altare. Tra le feste celebrate dagli albanesi, vi è quella, molto famosa, detta dell Arciporco, consistente in una sorta di passeggiata chiassosa, con musica e danza, per le vie del paese dopo un banchetto, con imitazioni di animali 15. Ma se da una parte gli albanesi sono fermi nella volontà di non perdere nulla delle loro tradizioni, anche se talora in aperto contrasto con la cultura delle popolazioni ospitanti, è anche vero che altrettanta fermezza dimostrano le comunità locali nel negare loro pieni diritti. Il giurisperito venosino Roberto Maranta, ad esempio, sostiene la tesi che i grecoalbanesi, in base al diritto e alle consuetudini locali, non possono dirsi pleno iure dei cittadini, ma al più dei residenti. Fatto che spinge i coronei di Melfi a trasferirsi nel 1597 a Barile. Non ben visti dalla popolazione, in molti casi gli albanesi vengono considerati uomini bellicosi e Fig. 2 - Melfi, 19 dicembre Capitoli matrimoniali tra Domitro Sgoro e Chyranna Costantinopoli, entrambi greci viventi in Melfi. ( di Melfi, notaio Giovanni Vincenzo Pinto, vol. 19, cc. 53v-54v) amanti delle armi. Ma i documenti dimostrano facilmente che non è sempre così: il 22 novembre del 1556 viene stipulato a Melfi un contratto di matrimonio tra Nicolaus de Radace di Venosa, scavonus, e la vedova Stana de Pettico di Melfi, anch essa scavona. In questo contratto Nicolaus, in un tempo in cui gli accordi matrimoniali sono soppesati dalla consistenza delle doti, promette di prendere per moglie Stana solo per amore caritativo, senza dote, accettando persino di tenere con sé la figlia di lei Diamante 16. Altro che tutti ladroni e gente senza scrupoli! Notizie sull attività degli albanesi si ritrovano non solo nei protocolli dei notai ma anche, in modo piuttosto insolito, in fonti cartografiche. Come nella platea dei beni del Capitolo della cattedrale di Venosa redatta nel 1785 dagli agrimensori Giuseppe Pinto e Vito Montesano, dove inaspettate notizie vengono fornite grazie al sistema adoperato per l identificazione dei collegamenti viari, descritti non solo come tracciati congiungenti due luoghi, ma anche come percorsi funzionali, a volte estremamente specializzati rispetto a traffici e scambi. Nella platea troviamo, tra l altro, una «via che fanno gli Albanesi per andare a macinare al mulino della Trinità», una altra via che «fanno gli Albanesi dal mulino della Trinità per ripartirsi al loro paese», un altra via ancora «che facevano gli Albanesi quando venivano dal mulino della Torre all ora, che macinava»

4 ARMENI Secondo vari studiosi, gli armeni sarebbero arrivati in Italia al seguito di Niceforo Foca, il grande artefice della riconquista bizantina delle province meridionali. Oltre alle notizie più o meno certe riguardanti gli insediamenti armeni di Bari, Taranto e Napoli, diversi indizi farebbero pensare alla presenza di analoghi insediamenti in terra lucana. A Matera, ad esempio, la chiesa ipogea di Santa Maria de Armeniis potrebbe essere stata scavata da elementi di questo gruppo etnico 18. La loro presenza parrebbe attestata anche a Forenza, dove ancora oggi esistono i ruderi dell antica chiesa medioevale di Santa Maria degli Armeni, probabilmente risalente all XI secolo. Secondo Cosimo Damiano Fonseca, essi potrebbero essere arrivati a Forenza attraverso percorsi provenienti da Bari o da Matera, dove appunto già esistevano comunità armene. La chiesa di Forenza, inoltre, come testimoniano alcune antiche pergamene di recente edite, sarebbe stata originariamente una «chiesa privata», governata da un certo giudice Demetrio, alla stessa stregua della chiesa di San Giorgio fatta erigere a Bari tra la fine del X e l inizio dell XI secolo dal chierico armeno Mosese 19. Poco si sa di questa minoranza etnica: pare, tra l altro, che gli armeni non credessero nelle tre persone della Ss. Trinità e che si facessero il segno della croce con un dito solo 20. SARACENI È facile ricollegare la presenza in Basilicata di popolazioni musulmane alle feroci incursioni operate da questi infedeli sulle sue coste e nell entroterra. Ne sono una testimonianza le numerose torri costiere disseminate lungo le coste e le spiagge lucane 21. Le vicende documentate storicamente, del resto, non danno luogo a dubbi. Nell 872 i saraceni attaccano e saccheggiano Grumento in Val d Agri, nel 907 Abriola e Pietrapertosa cadono nelle loro mani, nel 994 assediano e saccheggiano Matera. Negli anni il catepano d Italia riesce a cacciarli da Pietrapertosa, ma nell anno seguente essi tornano alla carica tentando invano di prendere Montescaglioso. Nel 1565, quando ormai da due anni è cominciata la lunga campagna per la costruzione delle torri costiere nel Regno di Napoli, un gruppo di musulmani fa incursione nel feudo di San Basilio di Pisticci, all epoca dipendente dalla certosa di Padula: anche alcuni monaci vengono coinvolti nello scontro e forse deportati insieme ad altri contadini in Nordafrica. La località conserva ancora oggi il toponimo di Scannaturco. Al 1568 risale il decreto regio che istituisce un corpo di cavallari addetti alla sorveglianza lungo la costa jonica tra le torri site nei comuni di Rocca Imperiale, Bollita (l attuale Nova Siri), Tursi, Montalbano, Pisticci e Bernalda. Il 25 luglio del 1677 si verifica un ulteriore incursione barbaresca lungo il litorale ionico lucano e la cattura di contadini di Bernalda, Pisticci, Montalbano e Rocca Imperiale. Il feudatario di Pisticci paga un forte riscatto, ma i prigionieri vengono deportati in Nord- Africa. Alcuni riusciranno a fuggire e a ritornare in patria, ma di altri si perderanno completamente le tracce 22. Se però è vero, come emerge dai dati storici, che il rapporto con la popolazione locale è prevalentemente di violenza aggressiva, è anche vero che i lunghi episodi di insediamento in centri come Tursi, Tricarico e Pietrapertosa implicano necessariamente anche rapporti di coesistenza. Ancora oscure, in verità, sono le vicende di alcuni ribàt, impianti fortificati di confine destinati alla concentrazione di milizie impegnate in azioni belliche, che si trasformano successivamente in rabàtane, cioè in quartieri residenziali islamici 23. Circa la diffusione di insediamenti saraceni, la toponomastica ci offre alcune indicazioni molto chiare, come ad esempio quelle di Castelsaraceno e Pescopagano, ma mancano a tuttoggi studi sistematici. Anche nella onomastica sacra troviamo tracce molto interessanti ma ancora non spiegate, come ad esempio il titolo dato alla Madonna dei Saraceni o del Monte Saraceno a Calvello. Non da ultima, va presa in considerazione la diffusione di cognomi come Saraceno (a Potenza e Atella) o Saracino (a Matera, Pisticci, Potenza, Cancellara). Non poche le indicazioni provenienti dal mondo dell arte e dell architettura. Un certo interesse islamizzante parrebbero rivelare gli impianti urbanistici di Venosa e degli stessi Sassi di Matera, mentre Tricarico e Tursi conservano la denominazione di rabàtane nei rioni già abitati da colonie saracene. Tricarico, inoltre, conserva ancora oggi una porta saracena affiancata da una torre cilindrica. Non rari sarebbero inoltre i segni di una larga influenza dell arte musulmana, più chiari nella pratica decorativa che nell esperienza strutturale dell architettura. Influenze musulmane si avvertirebbero ad esempio, come scrive la studiosa Emilia Zinzi, «nell adozione non rara dell arco acuto islamico; in un elaborazione misurata e parca del tema della tarsia, fornita dalla disponibilità dei materiali vulcanici del Vulture; nella presenza in portali e cornici, di forme tipiche del lessico ornamentale dell Islam (dente di sega, raggere di bozze, motivi a zig-zag, fasce di losanghe in pietra lavica ed arenaria), con episodi di persistenza rilevabili sino all età sveva.» 24 Tracce di questi episodi figurativi si ritroverebbero in alcune chiese, come in quella diruta di S. Angelo al Raparo, nell abbazia della Ss. Trinità di Venosa, nella chiesa di S. Maria di Pierno, a S. Maria del Casale di Pisticci, nella chiesa di S. Maria di Anglona. EBREI Uno dei più notevoli centri giudaici, nella nostra regione, è stato quello di Venosa, riccamente documentato da tre complessi catacombali nei quali è 202

5 stato rinvenuto materiale assai interessante, tra cui decine di epigrafi in greco, latino ed ebraico. Nella cittadina di Orazio gli ebrei arrivano a costituire, nel IV secolo d.c., una buona metà della popolazione: si tratta di una comunità ben organizzata, con i suoi arcisinagoghi, presbiteri, rabbini, molti componenti della quale partecipano al governo della città. I rapporti fra gli ebrei di Venosa e la terra d Israele sono intensi: la comunità è spesso visitata da inviati della madre patria detti apostuli, il più delle volte emissari delle comunità di Giudea o della Galilea in cerca di sussidi. Una testimonianza dell alto livello spirituale raggiunto dalla comunità ebraica venosina nei secoli VIII-IX è costituita dall attività del poeta Silano, autore di numerosi componimenti liturgici. Il rinvenimento di un epitaffio dedicato a un Anastasio proselito rivela inoltre che gli ebrei di Venosa, non disdegnando il proselitismo, fanno nuovi adepti tra i superstiti pagani della città. I loro rapporti con la popolazione cristiana sono verosimilmente pacifici, come sembra dimostrare la contiguità dei sepolcreti appartenenti alle due comunità: ebrei e cristiani non avrebbero accettato che i loro morti dormissero in tombe separate da un sottile diaframma di roccia se si fossero sentiti reciprocamente ostili. Fra tardo antico e alto medioevo sono documentate comunità di ebrei anche in altri centri della Basilicata, come a Potenza, a Grumento, a Matera e, forse, anche a Lavello. Fig. 3 - L appezzamento il Giudego in territorio di Venosa, disegnato nella platea dei territori della Ss. Trinità nel Dopo il IX secolo nulla più si sa di questi insediamenti, probabilmente decimati dalle scorrerie musulmane e dalle violenze antigiudaiche esplose durante la crociata del Il disgusto per questi eccidi provoca la conversione al giudaismo di un prete normanno di Oppido Lucano, Giovanni di Dreux, che una volta convertito si chiamerà Odadyah. Molto versato nella musica sacra, forse appresa nell abbazia benedettina della Ss. Trinità di Venosa, egli diviene autore di apprezzate melodie sinagogali 25. In epoca normanna sembra che la maggior parte degli ebrei lucani si sia concentrata a Melfi, dove il viaggiatore giudeo Beniamino de Tudela trova, tra il 1159 ed il 1167, una comunità di ben 200 persone. La comunità cessa di esistere nel 1294, allorquando ben settanta famiglie sono indotte dalle pressioni angioine ad abbracciare il cristianesimo. Una ripresa della presenza ebraica si verifica in Basilicata con gli ultimi angioini, e, soprattutto, durante il governo degli aragonesi. Uno dei centri giudaici più importante è quello di Tricarico, le cui vicende ci sono note grazie all abbondante documentazione conservata presso l Archivio di Stato di Napoli, riguardante per lo più contese di natura economica. Una delle liti sostenute dagli ebrei di Tricarico è quella scoppiata nel 1494 col vescovo Cicinelli, il quale si oppone all ampliamento della loro sinagoga. Gli ebrei fanno ricorso alla Camera della Sommaria che dà loro ragione. Le attività principali svolte dagli ebrei sono costituite dal commercio, dal prestito di denaro, dall artigianato e dall esercizio della medicina. La caduta del Regno in mano alla Spagna, agli inizi del XVI secolo, segna il principio della fine per le comunità ebraiche lucane che, in seguito alla prima prammatica di espulsione del 1510, cominciano a cercare contrade più ospitali. La loro partenza si rivela un fatto negativo soprattutto per i ceti più umili della popolazione, costretti a rivolgersi agli strozzini cristiani, assai più avidi ed esigenti. Così, in molti casi, gli ebrei vengono richiamati: a Venosa, ad esempio, nel 1535 l università stipula dei patti con Sabato di Daniele per l apertura di un banco di prestito. Ma si tratta di un ritorno di breve durata: è del 1541 il bando che impone improrogabilmente a tutti gli ebrei di uscire dal Regno 26. Dell antica presenza nel territorio lucano di comunità ebraiche rimangono i segni nella toponomastica di molti centri. Stanno a provarlo, tra l altro, diversi documenti cartografici, come alcune platee settecentesche contenenti le mappe dei territori del baliaggio della Ss. Trinità di Venosa, nelle quali viene segnalato un piccolo appezzamento di un tomolo e mezzo chiamato il Giudego 27. (Fig. 3) Facendo un salto di secoli arriviamo all epoca contemporanea. Nel corso del ventennio fascista, le autorità locali, dando seguito alle istruzioni ministeriali, prendono informazioni circa la presenza di elementi ebraici nella regione. Il Corriere della Sera del 18 agosto 1938, in un riquadro riportante i dati relativi ai nuclei di ebrei in Italia, segnala per la Basilicata il numero più basso rispetto alle altre regioni: soltanto due individui. In un telegramma del 26 settembre dello stesso anno al Ministero dell Interno il prefetto di Potenza comunica che la «situazione razzistica non dà luogo particolari rilievi questa Provincia, ove ad 203

6 eccezione soltanto di alcuni elementi di razza ebraica già censiti et segnalati at codesto Ministero con lettera 1015/1 del 31 agosto scorso, non esistono altri elementi di razza non italiana come cinesi, mongoli orientali, negri, armeni, ecc. Per quanto riguarda problema ebraico et situazione ebrei nelle cariche pubbliche, comunicasi che nessun ebreo ricopre cariche di carattere politico amministrativo sindacale aut esplica attività commerciali et industriali at termini telegramma Gabinetto codesto Ministero n del 17 agosto scorso. Ebrei censiti sono di modeste condizioni economiche et uno solo di essi svolge attività industriale di carattere familiare di irrilevante importanza economica.» 28 Così ingloriosamente si chiude la storia degli ebrei in Basilicata. ITALIANI D ALTRE NAZIO- NI In questa sommaria panoramica sulla presenza in Basilicata di vari gruppi etnici, non si può non fare un cenno alla presenza di ben nutrite comunità di forestieri provenienti da diversi Stati italiani, che raggiungono i centri lucani più interni e si assimilano alla popolazione locale. Nella maggior parte dei casi, come nel resto del Regno, si tratta di mercanti che vi si stabiliscono per svolgere i loro affari ottenendo soluzioni vantaggiose grazie all esenzione dai tributi locali e alla concessione di privilegi che assicurano loro la possibilità di buoni guadagni. La loro presenza è del resto vantaggiosa per la stessa popolazione locale alla quale essi procurano manifatture che, come ha rilevato Giuseppe Coniglio, «sarebbe stato antieconomico produrre nel paese, ove la richiesta interna soltanto poteva essere soddisfatta e quindi il maggior costo per spese d impianto, ammortamento di capitale, trasporto di materie prime, non avrebbe potuto essere compensato da una forte vendita.» 29 Sin dal XIV secolo è documentata a Melfi la presenza, come scrisse nel 1729 Angelo Antonio della Monica, di «sì ricchi negozianti che fino dalle più remote parti dell Epiro e dell Italia, ed in particolarmente da Bergamo, Brescia e Pistoia vi si eran annidati per esercitarvi le lor copiose mercanzie.» Di particolare rilievo anche la colonia di fiorentini, la cui maggiore attività è costituita dal commercio della lana che esportano verso la loro città. Di questa numerosa comunità rimane testimonianza nel testamento del nobile Francesco Eustasio de Portinarii, rogato a Melfi l 11 settembre 1373 e pubblicato da Raffaele Ciasca 30. Un altra interessante prova del gran numero di forestieri che in questo periodo popolano la cittadina lucana è costituita da una delle pergamene di Melfi attualmente conservate nell Archivio Segreto Vaticano. Si tratta di un atto del 16 maggio 1358, mediante il quale un certo Busone di Fabriano promette di costruire un ospedale per tutti i poveri e gli infermi «undecumque venientium extra et prope civitatem Melfie»: l affluire di numerosi forestieri nella città rende evidentemente indispensabile la costruzione di un secondo ospedale, alternativo a quello già esistente nella città, verosimilmente destinato ai soli poveri di Melfi 31. La presenza di numerosi forestieri a Melfi continua anche nei secoli seguenti. Ancora nel Cinquecento sono attivi i toscani, ma anche i lombardi, specialmente bergamaschi che si occupano di spezie, tessuti, ferramenta, prodotti agricoli. La loro principale attività rimane comunque quella legata alla lana grezza, che viene inviata presso le tessiture settentrionali. Famiglie come i Donadoni, i de Grigis, i de Sio, si stabiliscono a Melfi proprio sulla scia di questa attività 32. Altri forestieri, invece, si stabiliscono a Melfi con il preciso intento di occuparsi di masserie. Esponenti di questa comunità sono personaggi consueti nei protocolli notarili di epoca moderna. Molti sono ad esempio i matrimoni misti fra melfitani e bergamaschi, così come anche i matrimoni fra soli bergamaschi. Il 16 luglio del 1586, ad esempio, il «magnificus Joannes de Laurencio de Adobado de lo status Bergamj», agente per conto dell «honeste iuvenis Margarite de Adobado eius filie», promette in sposa Margherita al «magnificus Donatus de Grigis de status Bergamj». I due bergamaschi si appellano agli usi matrimoniali della città di origine: essi infatti «declarano et voleno che tutti detti capitoli siano et se intendano secondo l usanza bergamascha». Anche la dote, assai cospicua, è promessa nella moneta corrente a Bergamo, gli scudi. I sottoscrittori del documento, infine, sono tutti bergamaschi 33. La presenza in diverse aree della regione di toponimi o di dedicazioni di chiese facenti riferimento ai Lombardi potrebbe costituire una spia dell insediamento di altre comunità. A Tricarico, ad esempio, è presente l antica chiesa di S. Maria dei Lombardi, ove è stata attiva una omonima confraternita 34. La mancanza di studi specifici sull argomento non consente però di trarre conclusioni affrettate al riguardo. Anche in altre zone della Basilicata è documentata, nel XVI secolo, la presenza di toscani, soprattutto pisani e fiorentini, prevalentemente dediti alla commercializzazione del grano, come Joanne Marini e Simone Spini, agenti del mercante fiorentino Tommaso Cambio 35. A Tricarico la presenza di questi forestieri implica una particolare normativa fiscale da parte dell università la quale statuisce che «tutti li forastieri, che abbitano in Tricarico e sono numerati nell altre terre, deveno pagare la buonatenenza, se tengono beni in Tricarico, e se non avranno altro che la persona, sono obligati pagare la loro industria, e deveno pagare la fida, e si deveno monire li gabelloti, che non li facisino pagare gabelle, acciò l università non venghi poi a pagare il loro foco e saria megliore.» 36 L immigrazione di italiani d altre nazioni rimane essenzialmente legata agli 204

7 interessi commerciali. Forse in questo quadro si possono spiegare i vari tentativi falliti, nei primi decenni del XVI secolo, da parte delle autorità di governo, di ripopolare tramite gruppi di forestieri casali da tempo deserti: ciò, sia allo scopo di dare un impulso alla ripresa demografica all indomani del forte decremento del secolo XV, bensì anche al fine di stabilire un più composito assetto colturale e produttivo in alcune aree della regione. Il 28 febbraio 1519, ad esempio, Raimondo de Cardona, maestro giustiziere del Regno di Sicilia, vice re, capitano e luogotenente generale, concede al commendatario dell abbazia di S. Martino di Venosa, un tempo monastero bizantino passato poi all ordine di S. Benedetto, la facoltà di riedificare il casale volgarmente detto di Morbano e di farvi costruire case ed abitazioni dove possano liberamente abitare forestieri lombardi o di altra na- zione non numerati nei cedolari della regia Camera della Sommaria né soliti assolvere ad altri oneri fiscali. Egli concede inoltre ai predetti abitanti del casale per i futuri dieci anni l esenzione da ogni imposizione fiscale ordinaria o straordinaria compresa quella del sale 37 (Fig. 4). Il riferimento alle popolazioni della Lombardia non è casuale, considerato che questa regione si configura storicamente come una delle aree a più alto tasso di emigrazione 38. In questo caso, però, il tentativo dell abate commendatario di S. Martino di ripopolare Morbano non ha alcun seguito 39. Note Abbreviazioni archivistiche e bibliografiche: ASPZ=Archivio di Stato di Potenza ASMT=Archivio di Stato di Matera PERRONE CAPANO COM- PAGNA=Testi lucani del Quattro e Cinquecento, a cura di Anna Maria Perrone Capano Compagna, Napoli, Liguori, Così si chiamava all epoca l attuale Grumento Nova; 2 ASPZ, Pergamene della chiesa collegiata di S. Antonino martire di Grumento Nova, n. 11; 3 di Potenza, I versamento, Notaio Antonio Cappellani, vol. 70, cc. 40r-42r; 4 di Lagonegro, I versamento, Notaio Giuseppe De Federiciis, vol. 95, c. 87. Cfr. anche PERRONE CAPANO COMPAGNA, pp , ; 5 di Potenza, I versamento, Notaio Massenzio Carmisano, vol. 69, cc. 7r-10v: cfr. PERRONE CAPANO COM- PAGNA, pp ; 6 ASMT, Archivi Notarili, vol. 46, cc. 7r-8v: cfr. PERRONE CAPANO COMPAGNA, pp. Fig. 4 - Napoli, 28 febbraio Raimondo de Cardona concede al commendatario di S. Martino di Venosa la facoltà di riedificare il casale di Morbano e di farlo abitare da forestieri lombardi o di altra nazione. (ASPZ, Pergamene del Capitolo cattedrale di Venosa, n. 40) ; 7 di Melfi, I versamento, Notaio Orazio Matone, vol. 89, cc. 2r-3v: cfr. PERRONE CAPANO COMPAGNA, pp ; 8 Cfr. Monasticon Italiae, vol. III: Puglia e Basilicata, a cura di Giovanni Lunardi-Hubert Houben-Giovanni Spinelli, Cesena, Badia di Santa Maria del Monte, 1986, pp ; 9 Cfr. Nicola Cilento, Luoghi di culto, iconografia e forme della religiosità popolare nella società lucana fra medioevo e età moderna, in Società e religione in Basilicata nell età moderna, Atti del convegno di Potenza-Matera (25-28 settembre 1975), Roma, D Elia, 1977, vol. I, pp ; 10 Cfr. Augusta Acconcia Longo, Santi monaci italogreci alle origini del monastero di S. Elia di Carbone, in Il monastero di S. Elia di Carbone e il suo territorio dal Medioevo all Età Moderna, Atti del convegno internazionale di studio (Potenza-Carbone, giugno 1992), a cura di Cosimo Damiano Fonseca e Antonio Lerra, Galatina, Congedo, 1996, pp ; 11 ASPZ, Pergamene del Capitolo della cattedrale di Venosa, n. 22; 12 Cfr. Pietro De Leo, Le immigrazioni dal tardo medioevo all età moderna, in Minoranze etniche in Calabria e in Basilicata, a cura di Pietro De Leo, Cava dei Tirreni, Di Mauro, 1988, pp ; Giuseppe Maria Viscardi, Chiesa ed etnie nella Basilicata moderna: albanesi e zingari tra tolleranza e riforma religiosa (secoli XVI-XVIII), in «Ricerche di storia sociale e religiosa», 51, gennaio-giugno 1997, pp ; 13 di Melfi, I versamento, 205

8 Notaio Giovanni Vincenzo Pinto, vol. 19, cc. 53 v - 54 v.; 14 Cfr. Anna Lisa Sannino Cuomo, Il matrimonio in Basilicata prima e dopo il Concilio di Trento, in Il Concilio di Trento nella vita spirituale e culturale del Mezzogiorno tra XVI e XVII secolo, Atti del Convegno di Maratea (19-21 giugno 1986), a cura di Gabriele De Rosa e Antonio Cestaro, Venosa, Osanna, 1988, vol. II, pp ; 15 Cfr. Giuseppe Maria Viscardi, Magia, stregoneria e superstizioni nei sinodi lucani del Seicento, in «Ricerche di storia sociale e religiosa», 27, gennaio-giugno 1985, pp ; 16 di Melfi, I versamento, Notaio Antonello de Cassandra, vol. 54, cc. 153r - 154v.; 17 ASPZ, Atti depositati dalla Curia vescovile di Melfi, Venosa e Rapolla, vol. 2: Platea del Capitolo della cattedrale di Venosa, pp , 28, 31: cfr. Gregorio Angelini - Luigi Di Vito - Antonietta Groia, Venosa: saggio per una carta storica del territorio comunale, in «Storia della città», 49, gennaio-marzo 1989, p. 104; 18 Cfr. Cosimo Damiano Fonseca, Particolarismo istituzionale e organizzazione ecclesiastica del mezzogiorno medioevale, Galatina, Congedo, 1987, pp ; 19 Cfr. ID., Presentazione, in Teresa Colamarco, Le carte della chiesa di S. Maria degli Armeni in Forenza ( ), Napoli, Istituto internazionale di studi federiciani - ESI, 1995, p. V.; 20 Cfr. ID., Particolarismo istituzionale... cit., pp ; 21 Cfr. Il sistema difensivo in Basilicata. Le torri costiere, a cura di Luigi Bubbico, Francesco Caputo, Annunziata Tataranno, Potenza, Ministero per i beni culturali e ambientali, Soprintendenza per i beni ambientali e architettonici della Basilicata, 1995; 22 Cfr. Luigi Bubbico-Francesco Caputo, Cristiani e Musulmani nel Mediterraneo. Breve repertorio cronologico, in Il sistema difensivo in Basilicata... cit., pp ; 23 Cfr. Emilia Zinzi, Presenze e memorie della cultura figurativa islamica in Calabria e in Basilicata, in Minoranze etniche... cit., p. 252; 24 Ibid., p. 261; 25 Sulla figura di Obadyah cfr. Antiche civiltà lucane. Atti del convegno di studi di archeologia, storia dell arte e del folklore (Oppido Lucano 5-8 aprile 1970), a cura di Pietro Borraro, Galatina, Congedo, 1975, pp ; 26 Cfr. Cesare Colafemmina, Gli Ebrei in Basilicata, in «Bollettino storico della Basilicata», 7, 1991, pp. 9-32; ID., Gli Ebrei in Calabria e in Basilicata, in Minoranze etniche... cit., pp ; ID., Basilicata, in L Ebraismo dell Italia Meridionale Peninsulare dalle origini al Società, Economia, Cultura, Atti del Convegno internazionale di studio organizzato dall Università degli Studi della Basilicata in occasione del Decennale della sua istituzione (Potenza-Venosa, settembre 1992), a cura di Cosimo Damiano Fonseca, Michele Luzzati, Giuliano Tamani, Cesare Colafemmina, Galatina, Congedo, 1996, pp ; 27 ASPZ, Raccolta cartografica di agrimensori venosini (XVIII- XIX secolo), vol. 1: Mappe dei territori del Baliaggio della Ss. Trinità di Venosa, 1743, c. 1; Corporazioni religiose, vol. 200: Cabreus confectus sumptibus excellentissimi domini Francisci Josephi Marie Cicinelli baiuli baiulatus Sanctissime Trinitatis civitatis Venusii, 1774, p. 135; 28 ASPZ, Prefettura, Gabinetto, II vers., I elenco, b.2; 29 Cfr. Giuseppe Coniglio, Il Regno di Napoli al tempo di Carlo V, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 1951, pp ; 30 Cfr. Raffaele Ciasca, Per la storia dei rapporti tra Firenze e la regione del Vulture nel sec. XIV, Firenze, Olschki, 1929; Eugenio Ciasca, Terre comuni e usi civici nel territorio di Melfi ( ), Roma, Stabilimento Aristide Staderini, 1958, pp ; 31 ID., pp ; Angelo Mercati, Le pergamene di Melfi all Archivio Segreto Vaticano, in Miscellanea Giovanni Mercati, vol. V, Storia ecclesiastica - Diritto, Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, MCMXLVI, pp ; 32 Cfr. Enzo Navazio, I Doria, la Chiesa e l Universitas, in «Area», 5, 1989, p.10; 33 di Melfi, I versamento, Notaio Antonello De Cassandra, vol. 75, cc. 123v - 124v.; 34 Cfr. Carmela Biscaglia, Il patrimonio archivistico di Tricarico, in «Rassegna storica lucana», 11, giugno 1990, p. 97; 35 Cfr. ID., L archivio privato dei Putignani e degli Armento di Tricarico. Secc. XVI-XIX, Venosa, Osanna, 1994, pp ; ID., I Corsuto da Tricarico (secc. XIV-XVI), in «Rassegna storica lucana», 23, giugno 1996, p. 51; Jole Mazzoleni, Regesto della cancelleria aragonese di Napoli, Napoli, Archivio di Stato di Napoli, 1951, p. 5; 36 Cfr. ID., L archivio privato... cit., p. 20, nota 92; 37 ASPZ, Pergamene del Capitolo della cattedrale di Venosa, n. 40: cfr. Rocco Briscese, Le pergamene della Cattedrale di Venosa, in «Archivio storico per la Calabria e la Lucania», 10, 1940, fasc.4, pp ; Valeria Verrastro (a cura di), Materiali per un codice diplomatico della Basilicata. Venosa, Saponara, Armento, Potenza, Archivio di Stato di Potenza - Ermes, 1991, pp ; 38 Cfr. Giovanni Pizzorusso - Matteo Sanfilippo, Rassegna storiografica sui fenomeni migratori a lungo raggio in Italia dal basso Medioevo al secondo dopoguerra, in «Bollettino di demografia storica», 13, 1990, pp. 20 sgg.; 39 Cfr. Gregorio Angelini - Luigi Di Vito - Antonietta Groia, Venosa: saggio per una carta storica... cit., pp

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