È battaglia finale Esami con laurea: decide l adunanza generale del CdS

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1 Ordine dei giornalisti della Lombardia Associazione Walter Tobagi per la Formazione al Giornalismo Istituto Carlo De Martino per la Formazione al Giornalismo Anno XXXVI n. 3 Marzo 2006 Direzione e redazione Via Antonio da Recanate, Milano Telefono: Telefax: odgmi@odg.mi.it Poste Italiane SpA Sped.abb.post. Dl n. 353/2003 (conv. in L. 27/2/2004 n. 46) art. 1 (comma 2). Filiale di Milano Accolta la richiesta avanzata dal presidente dell Ordine dei Giornalisti della Lombardia. La seduta fissata per il 13 marzo. È battaglia finale Esami con laurea: decide l adunanza generale del CdS L assemblea degli iscritti giovedì 23 marzo 2006 Oro a 24 colleghi per 50 anni di Albo Milano, 15 dicembre Sono 24 i colleghi (18 professionisti e 6 pubblicisti) che nel 2006 compiono i 50 anni di iscrizione negli elenchi dell'albo. Riceveranno la medaglia d'oro dell Ordine della Lombardia in occasione dell assemblea annuale degli iscritti che si terrà giovedì 23 marzo (ore 15) al Circolo della Stampa. Ed ecco i loro nomi: PROFESSIONISTI Domenico Alessi, Paolo Arzano, Dario Baldi, Vincenzo Bettiza, Romano Cantore, Mirella Casei, Gianluigi Cossu, Maurilio Degiorgis, Salvatore La Pietra, Giovanni Marin, Luciano Micconi, Romolo Mombelli, Sergio Nunziata, Ibio Paolucci, Enrico Giovanni Pavesi, Pietro Radius, Adriano Sollazzo, Silvano Taugeri. PUBBLICISTI Pietro Ambrosetti, Francesco Catania, Guido Granata, Gloria Lunel, Cassio Morosetti, Romain Rainero. Nel corso dell assemblea verranno premiati anche i vincitori del Concorso Tesi di laurea sul giornalismo e verrà consegnata la tessera di praticante giornalista agli allievi dell Ifg Carlo De Martino, della Scuola di Giornalismo dell Università Cattolica e del Master in Giornalismo dell Università Iulm. All ordine del giorno dell assemblea degli iscritti all Albo figura l approvazione del bilancio preventivo 2006 e del conto consuntivo ALLE PAGINE 6-13 LE BIOGRAFIE DEI COLLEGHI PREMIATI La posizione del ministero dell Università sostenuta con forza anche dal ministero della Giustizia e dal ministero degli Affari regionali. La sezione Atti normativi del Consiglio di Stato (CdS) il 27 febbraio ha rinunciato ad occuparsi del Dpr Siliquini. Roma, 27 febbraio Svolta nell iter del Dpr Siliquini, che coniuga, come vuole la legge 4/1999 (art. 1, comma 18), gli esami di Stato di 21 professioni intellettuali (compresa quella giornalistica) e le lauree della riforma universitaria. La Sezione per gli Atti nomativi del Consiglio di Stato (CdS) oggi ha gettato la spugna e ha investito del problema, come aveva richiesto il presidente dell Ordine dei giornalisti della Lombardia, l adunanza generale del Consiglio di Stato. Saranno i magistrati delle 7 sezioni del massimo giudice amministrativo della nazione a rassegnare il 13 marzo il parere al Governo sullo Schema di decreto del Presidente della Repubblica concernente Regolamento recante disciplina dei requisiti per l ammissione all esame di Stato, ai sensi dell articolo 1, comma 18, della legge 14 gennaio 1999, n. 4. La Sezione Atti normativi il 23 gennaio aveva chiesto chiarimenti al ministero dell Università con il parere interlocutorio n. 50. La risposta è arrivata il 22 febbraio successivo con una memoria firmata dall avv. Daniela Salmini, capo dell Ufficio legislativo del ministero dell Università (Miur) sostenuta da analoghe memorie del ministero della Giustizia e del ministero degli Affari regionali. Il parere favorevole del Cds precede la pubblicazione del Dpr nella Gazzetta ufficiale. SEGUE A PAGINA 2 IL DLGS 40/2006, CHE MODIFICA IL CPC, È UNA MAZZATA PER I LAVORATORI IN LITE CON LE AZIENDE Cause di lavoro alle Calende greche Il giudice del lavoro, alla prima udienza, in caso di necessità di risolvere in via pregiudiziale questioni relative all efficacia, alla validità e alle interpretazione dei contratti collettivi, dovrà farlo in via immediata con sentenza che non sarà soggetta ad appello ma immediatamente ricorribile per Cassazione, con conseguente sospensione del giudizio di merito fino alla definizione della questione pregiudiziale. di Patrizia Sordellini, avvocato in Milano Il D. Lgs. 2 febbraio 2006 n. 40 ( Modificazioni al codice di procedura civile in materia di processo di cassazione in funzione nomofilattica ) inserisce nel Codice di procedura civile l art. 420 bis ( accertamento pregiudiziale sull efficacia validità ed interpretazione dei contratti e accordi collettivi ), che recita Quando per la definizione di una controversia di cui all'articolo 409 è necessario risolvere in via pregiudiziale una questione concernente l'efficacia, la validità o l'interpretazione delle clausole di un contratto o accordo collettivo nazionale, il giudice decide con sentenza tale questione, impartendo distinti provvedimenti per l'ulteriore istruzione o, comunque, per la prosecuzione della causa fissando una successiva udienza in data non anteriore a novanta giorni. La sentenza è impugnabile soltanto con ricorso immediato per cassazione da proporsi entro ses- ORDINE santa giorni dalla comunicazione dell'avviso di deposito della sentenza. Copia del ricorso per cassazione deve, a pena di inammissibilità del ricorso,, essere depositata presso la cancelleria del giudice che ha emesso la sentenza impugnata entro venti giorni dalla notificazione del ricorso alle altre parti; il processo è sospeso dalla data del deposito. Poche righe per attirare l attenzione sugli inevitabili problemi e sugli ulteriori ritardi che tale norma comporterà per molte cause di lavoro. In pratica, il giudice del lavoro, alla prima udienza, in caso di necessità di risolvere in via pregiudiziale questioni relative all efficacia, validità e interpretazione dei contratti collettivi, dovrà farlo in via immediata con sentenza che non sarà soggetta ad appello ma immediatamente ricorribile per Cassazione, con conseguente sospensione del giudizio di merito fino alla definizione della questione pregiudiziale. Fino ad ora l interpretazione dei contratti collettivi di diritto comune era riservata al giudice di merito e non era censurabile in sede di legittimità se non per violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale e per vizi della relativa motivazione. La nuova norma introdotta estende invece alla Corte di Cassazione un sindacato diretto sull interpretazione e l applicazione dei contratti collettivi nazionali di diritto comune, che sono contratti di diritto privato la cui l interpretazione, tra l altro, potrebbe comportare la necessità di compiere accertamenti in fatto che la Corte non può fare. Tra l altro la devoluzione alla Corte non solo delle questioni riguardanti l interpretazione ma anche l applicazione dei contratti collettivi di diritto comune tende a trasformare il giudizio di cassazione in un normale giudizio di merito con uno stravolgimento di principi giuridici fondamentali ed un prevedibile aumento del carico di lavoro della Corte che non avrà altro risultato che quello di ulteriormente dilatare i tempi, già non brevi, dei giudizi di lavoro. 1

2 Segue dalla prima pagina È battaglia finale. Esami con laurea: decide l adunanza generale del CdS Con nota n. 50 del 23 gennaio 2006, la Sezione consultiva per gli atti normativi del Consiglio di Stato ha richiesto al Miur un supplemento istruttorio sullo schema del Dpr Siliquini (dal nome del sottosegretario, che è stata l anima della riforma) relativamente ai seguenti aspetti: 1. il fondamento costituzionale della potestà regolamentare esercitata ai sensi dell articolo 1, comma 18, della legge 14 gennaio 1999, n. 4, in materia di esami di Stato; 2. la collocazione della disciplina dei titoli di studio richiesti per l ammissione all esame di Stato che, secondo il Consiglio di Stato, trascenderebbe la materia esame di Stato, attenendo alla individuazione dei principi fondamentali che regolano l accesso alle professioni intellettuali; 3. l ambito della citata potestà regolamentare, che andrebbe limitato soltanto ad interventi riformatori consequenziali alla riforma del diploma di laurea, mentre non comprenderebbe le professioni per le quali tale titolo di studio non è già richiesto dalle disposizioni vigenti. Questa l articolata risposta dell avvocato Daniela Salmini 1.Con riferimento alla potestà regolamentare dello Stato in materia di esami di Stato, si ritiene di dover ribadire quanto già espresso nella relazione illustrativa in ordine alla sussistenza della potestà legislativa esclusiva dello Stato dalla quale deriva anche la relativa potestà regolamentare. Le materie di competenza esclusiva statale, infatti, in seguito alla riforma del Titolo V della Costituzione, non sono solo quelle elencate nell art. 117, secondo comma, ma anche tutte quelle attribuite espressamente allo Stato da altre disposizioni costituzionali non modificate dalla riforma del Titolo V. Tra queste ultime rientra certamente l art. 33, che attribuisce alla legge statale la disciplina dell esame previsto per l accesso alle professioni art. 33 quinto comma, e la disciplina dell autonomia universitaria art. 33 sesto comma. In tal senso si è già espressa la Corte costituzionale, con un consolidato orientamento, in materia di autonomia universitaria. Al riguardo, la Corte ha anche chiarito che l attribuzione di una materia alla competenza concorrente può accompagnarsi alla attribuzione di specifici profili della stessa materia alla competenza legislativa esclusiva statale. Infatti, dopo aver chiarito che l autonomia universitaria rientra nella potestà legislativa statale, la Corte Costituzionale ha altresì attribuito allo Stato la materia della ricerca scientifica e tecnologica che si svolge presso le strutture universitarie, e ciò pur in presenza della disposizione di cui all articolo 117, terzo comma, che include la ricerca scientifica tra le materie di legislazione concorrente. In sostanza, quindi, la Corte ha ritenuto che la riserva di legge statale, sancita dall articolo 33 della Costituzione, ricomprenda in sé anche i profili relativi all attività di ricerca scientifica che si svolge, in particolare, presso le strutture universitarie (cfr., ex multis, le sentt. n. 423 del 2004 e 31 del 2005). Va ulteriormente sottolineato che la Corte ha attribuito la ricerca scientifica e tecnologica, svolta presso le strutture universitarie, alla competenza legislativa esclusiva statale sulla base di una interpretazione sistematica del testo costituzionale. A maggior ragione le medesime conclusioni valgono per la materia dell esame di Stato, attribuita espressamente alla potestà legislativa esclusiva statale da una specifica norma costituzionale (art. 33, quinto comma). La predetta interpretazione del combinato disposto degli articoli 33 e 117 terzo comma della costituzione con riferimento alla materia delle professioni è pure confortata da autorevole dottrina; con riferimento all art. 117, terzo comma, Cost., infatti si è affermato che tale riparto di competenze debba essere letto alla luce dell art. 33, quinto comma, Cost. il quale, prescrivendo un esame di Stato per l abilitazione all esercizio della professione, configura una competenza legislativa esclusiva dello Stato (cfr., sul punto, V. CAIANIELLO, L inserimento delle professioni nel titolo V della Costituzione, in Atti del Convegno nazionale Quale federalismo per le professioni del 18 marzo 2002, tenutosi a Codroipo di Udine con il patrocinio della Regione autonoma del Friuli-Venezia Giulia, p. 50). Sulla base di tali premesse si ritiene che dalla materia di legislazione concorrente professioni resti esclusa la disciplina degli esami di abilitazione professionale, di competenza esclusiva dello Stato, competenza che il legislatore costituzionale del 2001 non ha inteso modificare. Consistendo, infatti, l esame di Stato in una prova tecnica circondata da particolari garanzie di imparzialità, serietà e professionalità specifica, volta a verificare la professionalità acquisita dal candidato (cfr., in tal senso, Corte cost., sent. n. 127 del 1985), la sua regolamentazione impone una disciplina omogenea su tutto il territorio nazionale, in funzione di tutela dell affidamento ingenerato negli utenti dei servizi professionali. In conclusione, si ribadisce che dal combinato disposto degli artt. 33, quinto comma, e 117, terzo e sesto comma, della Costituzione, discende la competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di esami di Stato per l abilitazione alle professioni, e la connessa potestà regolamentare. 2.Con riferimento alla collocazione della disciplina dei titoli di studio richiesti per l ammissione all esame di Stato si osserva: come ricordato dallo stesso Consiglio di Stato nella richiesta di chiarimenti in oggetto, la giurisprudenza costituzionale ha più volte precisato che l art. 33 Cost. reca in sé un principio di professionalità specifica, richiedendo che l esercizio di attività professionali rivolte al pubblico avvenga in base a conoscenze sufficientemente approfondite ed ad un correlato sistema di controlli preventivi e successivi di tali conoscenze, per tutelare l affidamento della collettività in ordine alle capacità di professionisti le cui prestazioni incidono in modo particolare su valori fondamentali della persona: salute, sicurezza, diritti di difesa, etc. (Corte cost. sentt. 23 dicembre 1993, n. 456, e 26 gennaio 1990, n. 29). Appare dunque evidente l inscindibile connessione esistente tra la fase dell acquisizione delle conoscenze, attraverso il percorso formativo ed il momento della verifica delle stesse, consistente nell esame di Stato, volto a garantire l effettiva competenza ed affidabilità del professionista. In altri termini, la disciplina dei titoli che danno accesso all esame di Stato, cioè il titolo di studio ed il tirocinio, è inscindibile sul piano logico dalla disciplina dell esame di Stato stesso, posto che le prove d esame mirano a verificare proprio le conoscenze e competenze acquisite dal candidato e sono su di esse calibrate. Pertanto, l individuazione dei titoli di studio richiesti quali requisiti per l accesso all esame di Stato non può che essere ricompresa nella disciplina dell esame di Stato. Nel nostro ordinamento, infatti, l esame di Stato per l accesso alle professioni non è aperto a chiunque, ma esclusivamente a coloro che possiedono i necessari requisiti. Non è vero, d altronde, che i titoli di studio richiesti per l accesso all esame di Stato costituiscano di per sé titoli per l accesso alle professioni. Invero, nel nostro ordinamento delle professioni regolamentate, il requisito per l accesso alla professione è esclusivamente l abilitazione professionale conseguita a seguito del superamento dell esame di Stato. Occorre altresì rilevare che la disciplina degli esami di Stato è inscindibilmente connessa alla disciplina dell autonomia universitaria, come emerge d altra parte dalla collocazione nel medesimo articolo 33 (commi quinto e sesto) di entrambe le materie. Al riguardo l art. 17, comma 95, della legge 15 maggio 1997, n. 127, ha previsto la delegificazione degli ordinamenti degli studi universitari, rimettendone la disciplina a decreti ministeriali che definiscono i criteri per l autonomia didattica degli Atenei. In attuazione del citato articolo 17, è stato emanato il regolamento di cui al D.M. n. 509 del 1999, successivamente sostituito dal D.M. n. 270 del 2004; e sono state altresì definite con appositi decreti ministeriali le classi di laurea e di laurea specialistica. Pertanto, nel nuovo ordinamento, attuato da tutti gli Atenei fin dall anno accademico , i corsi di studio sono istituiti dagli stessi Atenei nell ambito delle classi. Nella stessa classe, possono essere attivati più corsi di studio diversi, che peraltro condividono i medesimi obiettivi formativi e le medesime attività formative indispensabili ed hanno di conseguenza il medesimo valore legale. Nel nuovo ordinamento, quindi, i titoli di studio ed il relativo valore legale sono individuati non più per legge, ma sulla base di provvedimenti ministeriali di natura regolamentare e non regolamentare. La flessibilità dei percorsi formativi, assicurata da atti normativi di rango sublegislativo, si propone di garantire l adeguamento continuo dei percorsi universitari al mutare delle esigenze formative derivanti dal mondo del lavoro e, in particolare, da quello delle professioni. In tale quadro normativo si inserisce anche la scelta operata dal legislatore con la legge n. 4 del 1999 che ha delegificato la materia degli esami di Stato. Il regolamento, infatti, è apparso al legislatore lo strumento più idoneo ad individuare i titoli di studio che danno accesso agli esami di Stato, tenendo conto della continua evoluzione dei percorsi formativi ad opera dei decreti ministeriali e dei regolamenti di ateneo. Da quanto sin qui detto deriva che la scelta di individuare i titoli di studio che danno accesso all esame di Stato mediante lo strumento regolamentare non soltanto è costituzionalmente legittima, ma appare anche l unica idonea, posto che l individuazione per legge di tali titoli contrasterebbe con la disciplina delle fonti, in quanto equivarrebbe a rimettere alla legge l individuazione di titoli riservati a fonti non legislative. Le considerazioni espresse ai punti 1 e 2 trovano inoltre supporto normativo nel decreto legislativo 2 febbraio 2006, n. 30, recante Ricognizione dei principi fondamentali in materia di professioni, ai sensi dell'articolo 1 della legge 5 giugno 2003, n. 131, pubblicato sulla Gazzetta ufficiale n. 32 dell Al riguardo, va osservato che la Corte costituzionale ha recentemente affermato il valore interpretativo della legge n. 131 del 2003 ( Disposizioni per l adeguamento dell ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale n. 3 del 2001 ) in ordine alla riforma del Titolo V della Costituzione (cfr. sent. n. 12 del 2006). Ne deriva che il medesimo valore deve essere attribuito anche ai decreti legislativi attuativi delle disposizioni di delega ivi contenute. Ciò premesso, occorre soffermarsi in particolare sulle disposizioni contenute nel decreto n. 30 del 2006, approvato all esito di un iter complesso che ha ampiamente coinvolto le Regioni e dalle quali è stato condiviso: a) L art. 1, al comma 3, stabilisce che La potestà legislativa regionale si esercita sulle professioni individuate e definite dalla normativa statale. Tale disposizione, facendo riferimento in modo generico alla normativa e non alla legislazione dello Stato, riconosce sostanzialmente che costituiscono limiti della potestà legislativa regionale in materia di professioni non solo i principi fondamentali della materia, stabiliti da leggi dello Stato, ma anche la potestà legislativa esclusiva dello Stato sulle materie attinenti alle professioni intellettuali elencate al successivo comma 4 per la disciplina delle quali lo Stato può utilizzare, oltre alla fonte legislativa, anche quella regolamentare. Le materie elencate al comma 4, infatti, non costituiscono una mera previsione negativa, ma concorrono ad individuare positivamente i limiti posti alla legislazione regionale dal comma 3; b) il comma 4 predetto riconosce la competenza esclusiva statale, limitatamente alle professioni intellettuali, riguardo alla disciplina degli esami di Stato, e relativi titoli, compreso il tirocinio, [ ] richiesti per l esercizio professionale, facendo chiaramente riferimento a tutti i requisiti previsti dall ordinamento per l accesso all esame di Stato, inclusi, in primis, i titoli di studio, che rappresentano un specificazione della più ampia categoria dei titoli ; c) l art. 4, che definisce i principi in materia di accesso alle professioni, ha pertanto una portata limitata alle professioni diverse da quelle intellettuali, disciplinate dall articolo 1, comma 4. La norma, pertanto, non si riferisce all accesso alle professioni intellettuali, per le quali è previsto l esame di Stato, ma esclusivamente all accesso alle altre professioni, non regolamentate, per le quali spetta allo Stato la definizione, sub specie di principi fondamentali, dei requisiti tecnico-professionali e dei titoli professionali. 3.Con riferimento all ambito della potestà regolamentare in questione, si ritiene che la disposizione dell art. 1, comma 18, della legge n. 4 del 1999, non debba essere intesa con riferimento alle sole professioni per le quali è già richiesto il diploma di laurea dalle disposizioni vigenti. Infatti, la predetta norma attribuisce la potestà regolamentare con riferimento a tutte le professioni per il cui esercizio la normativa vigente già prevede l obbligo del superamento di un esame di Stato ; l oggetto della norma di delegificazione è pertanto costituito dalla disciplina delle professioni per le quali è previsto l esame di Stato, mentre le disposizioni contenute nelle lett. a), b) e c) costituiscono principi e criteri direttivi per l esercizio della potestà regolamentare stessa. Tale interpretazione della norma in questione è del resto confermata dal parere facoltativo reso da codesto on.le Consiglio nell Adunanza della sezione seconda il 13 marzo 2002, n. 448/2001, proprio con riferimento alla possibilità di includere la professione di giornalista nella citata disciplina regolamentare; in tale parere si afferma la natura di esame di Stato della prova di idoneità prevista per l accesso alla professione di giornalista e si conclude per l insussistenza di motivi ostativi alla riforma dell ordinamento professionale dei giornalisti ai sensi dell art. 1, comma 18, della legge n. 4 del ORDINE

3 Bando di concorso V Premio giornalistico Mauro Gavinelli Il Gruppo Altomilanese giornalisti (Gag), istituito nel 1993, con sede in Legnano, intende ricordare la figura di Mauro Gavinelli, che fu tra i soci fondatori e primo presidente del Gag. A tale scopo, bandisce la quinta edizione del Premio giornalistico Mauro Gavinelli. REGOLAMENTO art.1 - Il concorso premia il miglior articolo giornalistico, pubblicato su un quotidiano o un periodico italiani, che affronti un tema inerente l attualità politica, economica, sociale, sportiva della Lombardia. Sono ammessi anche articoli pubblicati da riviste on line. art. 2 - Il premio è riservato ad autori fino a 35 anni d età (compiuti entro il 21 marzo 2006), non necessariamente iscritti all Ordine dei giornalisti, nell intento di valorizzare le intuizioni e l impegno di Mauro Gavinelli sulla formazione professionale dei giovani colleghi e degli aspiranti giornalisti. art. 3 - Il vincitore del Premio riceverà la somma di euro (duemilacinquecento). art. 4 - Ad un concorrente selezionato dalla giuria sarà inoltre offerta la possibilità di realizzare un reportage di viaggio da una capitale europea. Il servizio sarà pubblicato sulla rivista dell Ordine dei giornalisti della Lombardia, Tabloid. Le spese di viaggio e soggiorno sono a carico della famiglia Gavinelli che finanzia il Premio. art. 5 - L iscrizione al concorso è gratuita. art. 6 - Ogni concorrente può partecipare presentando un solo articolo che sia stato pubblicato tra il 1 marzo del 2005 e il 20 aprile del art. 7 - Non sono ammessi articoli già premiati in altri concorsi giornalistici. art. 8 - Entro il 30 aprile del 2006 ogni concorrente dovrà far pervenire alla segreteria del Premio - recapito a mano o servendosi del servizio postale - una copia originale del giornale sul quale è stato pubblicato l articolo firmato o siglato (nel caso di testate on line una stampata della home page), accompagnata da: a) una breve domanda d iscrizione al concorso redatta in carta semplice, corredata dai dati anagrafici, dal curriculum vitae e dal recapito del concorrente; b) cinque fotocopie dello stesso articolo con cui si intende concorrere al Premio. Copie originali dei giornali e fotocopie inviate non saranno restituite. art.9 - La segreteria del Premio, alla quale indirizzare domanda d iscrizione, articoli in concorso e relative fotocopie è fissata nelle sede legale del Gag: presso Studio avvocato Fabrizio Conti, via della Liberazione 13, Legnano (MI). art.10 - Ogni concorrente conserva la proprietà letteraria dell articolo in concorso. art.11 - La Giuria del concorso, che valuterà gli articoli giunti alla segreteria stabilendo il vincitore del premio, è composta da tre membri del Consiglio direttivo del Gag fra cui il presidente in carica, da un membro della famiglia Gavinelli e dal presidente dell Ordine dei giornalisti di Milano o da un giornalista da questi indicato. Il giudizio della Giuria è insindacabile e inappellabile. art.12 - I presidenti del Gag e dell Ordine nomineranno un presidente di Giuria. La vice presidenza è ricoperta da una persona designata della famiglia Gavinelli. art.13 - Tutti i partecipanti al concorso riceveranno l invito alla cerimonia di premiazione che si terrà entro fine luglio art.14 - La partecipazione al Premio implica la piena accettazione delle norme contenute nel presente regolamento. La non osservanza di quanto richiesto comporterà l esclusione dal concorso, senza che sia dovuta comunicazione al concorrente. A Paolo Rumiz il premio NEOS-Porsche Italia 2006 Milano, 21 febbraio È Paolo Rumiz, giornalista e scrittore inviato di Repubblica, il vincitore della settima edizione del Premio NEOS-Porsche Italia. Il riconoscimento viene attribuito ogni anno dalla NEOS, associazione di giornalisti e fotografi professionali di viaggio, a un personaggio di primo piano della pubblicistica che si sia distinto per la qualità, l ampiezza e la profondità del suo lavoro, nonché per il contributo di conoscenza offerto sui grandi temi del viaggiare come esperienza umana, culturale, etnografica e antropologica. Istituito nel 2000, il premio si avvale della partnership di Porsche Italia e nelle passate edizioni è stato conferito a Fosco Maraini, Walter Bonatti, Folco Quilici, Ettore Mo, William Allen (direttore di National Geographic) e Gianni Minà. Con il triestino Paolo Rumiz, autore di avvincenti reportage su realtà soprattutto - ma non solo - italiane e balcaniche, viene premiato un narratore brillante e un viaggiatore curioso, particolarmente attento alle vicende storiche e umane di quella che definisce la parte più sensibile d Europa. Oltre che in reportage, Rumiz ha tradotto le sue numerose e talvolta insolite esperienze in libri come Tre uomini in bicicletta (Feltrinelli), viaggio semiserio dall Italia a Istanbul compiuto su due ruote. Tra le sue opere, premiate con la Colomba d Oro per la pace, c è anche Gerusalemme perduta che racconta un pellegrinaggio dalle Alpi in Terrasanta alla ricerca dei cristiani d Oriente. I vincitori del Premio La montagna della Valle Camonica La giuria presieduta da Rino Felappi ha assegnato i premi del quarto Concorso giornalistico internazionale La Montagna della Valle Camonica verso l Europa. Salvaguardia e valorizzazione dell ambiente: lo sport agonistico e lo sport escursionistico. Ecco i vincitori. Vincitore Premio sezione A, inchieste, servizi, articoli giornalistici pubblicati su quotidiani nazionali, regionali e provinciali: Emanuele Turelli, con l articolo La mia vita a pane e sci con il pallone nel cuore pubblicato sul Corriere della Sera. Vincitori Premio Sezione B: inchieste, servizi, articoli giornalistici pubblicati su settimanali e periodici: Franco Michieli con Senza orologio, senza rifugi e Il viaggio continua, Alpi Grandi Montagne - Monte Bianco 1 e 2. Franco Brevini con Correre nel cielo, Airone. Alberto Nardi con Neve e racchette sul Blem, Orobie, Itinerari - Alta Val del Caffaro. Vincitori Premio Sezione B: reportages fotografici: Sci - Umberto Isman, con Scialpinismo a vista. Particolari segnalazioni per la Sezione B: Laura Lombari, Sulle orme di Balto, Selezione dal Reader s Digest; Luigi Maculotti, No alle motocross e alle motoslitte in Montozzo e in Tonale, Giornale della Valcamonica; Rivista del Trekking, Clementi Editore. Vincitore Premio Sezione D: inchieste, servizi televisivi andati in onda. Carlo Brena, Il sentiero delle Orobie e un sogno lungo nove ore, Promoevanti Sport. Vincitore Premio Sezione E dedicato al tema del doping nello sport: Riccardo Venturi, Piccoli dopati crescono, L Espresso on line. Particolari segnalazioni Sezione E: Riccardo Oldani, Caccia al doping, Quark. ORDINE

4 I N T E R V I S T A Antonio Scurati, premio Campiello In sintesi, qual è la critica che fa ai giornali? Parlano troppo poco di tutto ciò che non dice la televisione, non ci informano bene sugli esteri, parlano solo del cortile di casa oppure, se per caso guardano fuori dal cortile, è solo se è connesso col nostro cortile. Vorrei sapere e conoscere tutto ciò che non posso sapere vedendo la televisione e che sia anche trattato in modo profondo e ampio. Manca sempre più la profondità, c è un auto referenzialità del sistema. La violenza è sempre più immagine. La mente ne risulta traumatizzata Antonio Scurati, vincitore del premio Campiello con il romanzo Il sopravissuto edito da Bompiani, è professore di Teoria e tecnica del linguaggio televisivo e di Sociologia della comunicazione all Università di Bergamo, dove coordina il Centro studi sui linguaggi della guerra e della violenza. Scurati è professore, dunque, oltre che scrittore. Lo abbiamo incontrato nella sua abitazione a Milano e gli abbiamo chiesto una riflessione sulla televisione e sui giornali e sui contenuti della violenza oggi dominanti nei media. La violenza in televisione è ormai un dato quotidiano. La violenza è sempre più immagine ed evento televisivo e il telespettatore è disarmato di fronte a questo assalto che ha la forza di un arma. La mente ne risulta traumatizzata, perché è una violenza che non viene elaborata e non produce conoscenza. Secondo lei i giornali come affrontano questa materia? La carta stampata non è a sé stante riguardo a questo argomento. È secondaria rispetto alla televisione, non trova un modo per rovesciare la centralità delle immagini. Una centralità che con l 11 settembre è diventata invasiva. Dopo l 11 settembre i giornali hanno pubblicato e ripubblicato a colori le immagini dell impatto sulle torri, in modo ossessivo e quasi liturgico, tutto è diventato un fatto oscuro e incomprensibile, le platee di spettatori e lettori si sono inginocchiate di fronte a queste immagini che sono diventate un idolo. La notizia, invece, ha subito un black out, uno strappo nel linguaggio, siamo diventati tutti indifferenti. La televisione non ha prodotto e non produce più significati. La carta stampata usa le immagini come mai prima d ora per inseguire lo strapotere della televisione; in più ha messo in campo anche titoli sempre più grandi. Qual è l effetto sul lettore? Il linguaggio dei giornali a titoli grandi e caratteri cubitali non è un linguaggio verbale, ma preverbale. È la visività, sono le immagini che parlano. La costituzione dell immaginario infantile è legata ormai alla televisione, io stesso cono cresciuto con Sandokan, i manga giapponesi, Goldrake. C è uno statunitense David Forster Fallace, che è stato il primo degli scrittori che possiamo dire cresciuti con la televisione e che ne ha fatto un genere, ora ce ne sono anche molti altri. L immaginario collettivo è costruito con la televisione. Il nostro tempo è questo. Credo che non dovremmo però essere succubi di questo linguaggio. Anche se c è chi è in affannosa ricerca del linguaggio egemone, anche se la narrativa è sempre più sceneggiatura, sempre più cinema, immagini. Lei ha detto che la televisione ha una logica propria che tende a costruire un uomo inumano, disinibito, barbarico e violento. La televisione è un metamezzo, cioè non è soltanto un mezzo di conoscenza del mondo, ma è qualcosa che determina la nostra conoscenza degli altri mezzi, il modo in cui leggiamo, in cui conosciamo. La televisione fa solo primi piani ed è povedi Paola Pastacaldi ra, il cinema che si gira in Italia è sempre più televisivo, studiato per funzionare nel passaggio in televisione. Una delle opere di maggior interesse di questi anni La meglio gioventù di Marco Tullio Giordana era uno sceneggiato, un tipico prodotto televisivo, fatto da un regista che ha cultura e grazia, ma sempre televisivo. Molti fatti di cronaca finiscono per diventare solo prodotti dei media, oltre i contenuti. Cogne, per fare un esempio recente. Con Cogne siamo stati di fronte ad una assoluta mancanza di accadimenti dal punto di vista della rilevanza sociale, vicini direi allo zero. Se le scelte giornalistiche fossero state di tipo sostanziale, avremmo avuto su Cogne solo due righe. Il fatto è stato sovradimensionato dai mass media, perché non è l uccisione del bambino ma l apparizione della madre infanticida che è servita a fare spettacolo in televisione. Il plastico della casetta non serviva per la nostra informazione, non rimandava alla realtà. Si è creato un evento spettacolare attraverso il plastico che aveva il suo fine in se stesso. E l informazione dov è finita? Non esiste più. Lei, scusi, che giornali legge? Repubblica e Corriere, in Internet The Guardian, Liberation, New York Times. Leggo anche Internazionale che ha avuto uno straordinario successo di vendite, perché riempie un vuoto lasciato da tutta la stampa, perché vi trovo le informazioni sul resto del mondo che nessuno racconta. I giornali d opinione, come il Foglio, per esempio, vengono letti in realtà da altri giornalisti, e provocano dunque un scadimento del giornalismo informativo. C è un opinionismo dilagante. Leggo con piacere, invece, The New Yorker. Sento molto in Italia la mancanza di un autentico magazine culturale, come è stato in passato Playboy. In sintesi, qual è la critica che fa ai giornali? Parlano troppo poco di tutto ciò che non dice la televisione, non ci informano bene sugli esteri, parlano solo del cortile di casa oppure, se per caso guardano fuori dal cortile, è solo se è connesso col nostro cortile. Vorrei sapere e conoscere tutto ciò che non posso sapere vedendo la televisione e che sia anche trattato in modo profondo e ampio. Manca sempre più la profondità, c è un autoreferenzialità del sistema. Ci spieghi. I giornali parlano della televisione e in televisione girano personaggi televisivi che non sanno niente. Tornando ai giornali e alla violenza, che risultato ottengono secondo lei con questa invasione di immagini? Molte immagini sono violente, ma c è anche una violenza fatta dalle immagini, che INTERPRETAZIONE CON LA MATITA Franco Matticchio, nato a Varese nel 1957, pubblica nel 1979 il suo primo lavoro sul Corriere della Sera. Da allora i suoi disegni sono apparsi su Linus, King, Moda, Salve, Linea d'ombra, ecc. Nel 1994 realizza disegni per la sigla di testa del film Il Mostro di Roberto Benigni, e l'anno successivo viene premiato a Trevisocomics per il libro Sensa Senso (Edizioni Milano Libri, 1994). Attualmente collabora con L'Indice, L'Internazionale, Vivimilano, e realizza copertine per la casa editrice Garzanti. rendono impossibile qualunque discorso. Noi siamo sommersi da queste immagini e ciascuna immagine di guerra è, come ho detto un arma, una bomba che traumatizza la persona e che non serve a niente, che entra in una zona di non senso. La violenza genera violenza, lei crede sia questo il problema? Il principale effetto della violenza massmediatica e della guerra in particolare non è di generare altra violenza, ma piuttosto la vittimizzazione del pubblico, che da un lato viene traumatizzato dal profluvio di immagini che ha un effetto di assalto psichico. Dall altro contribuisce alla rappresentazione sociale di un mondo in cui il rischio percepito è molto alto. Mi sento, come cittadino, esposto sempre di più alla violenza e alla paura, mi sento un sopravvissuto, uno scampato al disastro. Come nel suo romanzo il professore, Il Sopravvissuto appunto, è l unico a non morire sotto i colpi dell allievo. Anche lui dovrà andare in televisione ma lo farà con una straordinaria consapevolezza di quanto il mezzo sia in grado di distruggere sia la persona che la verità dei contenuti. Nel suo romanzo la ricercatezza con cui spiega il dilemma dell apparizione televisiva del professore, protagonista, è molto interessante. Le nostre credenze sulla realtà ormai sono allineate sulle immagini della televisione e non più su quelle reali. Nessuno mi ha aggredito ma io, telespettatore o cittadino, mi sento esposto al rischio della violenza della guerra e del terrorismo, perciò non esco, sto chiuso in casa e guardo la televisione, vedo i terroristi che mettono le bombe. Così sono preso sempre più dalla paura di uscire e sono sempre meno disposto ad andare all aperto, ad andare fuori, ad aprirmi ad una politica di dialogo progressista. È solo la televisione ad educarmi. La televisione, dunque non informa, ma costruisce rappresentazioni sociali della realtà cui devo adeguarmi. Il problema è che fatto come Cogne rinviano ad un mondo dove le mamme uccidono, dove si tirano le bombe in metrò... Si ha di conseguenza la sensazione di vivere perennemente con due linee di febbre, privati da quella che gli americani chiamano la capacità di agire. C è da aggiungere che nell epoca del terrorismo mediatico la guerra è una rappresentazione rassicurante, perché di fronte all oscurità e all angoscia del terrorismo, la guerra nella sua forma immaginata con gli eserciti è quasi tranquilizzante. Il terrorismo mediatico è, a mio parere, una violenza politica realizzata come un calcolo strategico. La diffusione della guerra in televisione, iniziata con la guerra del Golfo sulla Cnn, è parte di un calcolo che diffondeva l immagine degli Stati Uniti come unica potenza militare, dopo i danni che ha subito con il Vietnam. E della concentrazione di vari media in un unico gruppo? È l ovvio indiscutibile. La cultura in televisione: c è ancora qualcosa? Se è intesa come arte, letteratura, teatro, direi che non c è più. Era legata ad una particolare tipologia del fare tivù negli anni Settanta, durata fino a metà del Novanta. Lei, dopo il Campiello, è stato invitato sovente in televisione. Come è stata questa esperienza? Ho smesso di andarci. Se potessi, vorrei mi fosse permessa una sfida: vorrei poter fare un programma culturale per dimostrare che la storia del mercato è un alibi. Naturalmente un programma che stia nel mercato. L idea è che possa esistere una cultura televisiva che non sia totalizzante, che possa nonostante la sua forza imperiale essere in grado di accogliere le altre culture e che diventi foriera di un pluralismo culturale. Siamo d accordo che i media, dunque, non lavorano più per il cittadino o per raccontare la realtà. La dimensione sociale non esiste più, i media hanno contribuito a creare questo. Il discredito dei mass media è altissimo, la gente non crede più ai giornali. La linea di fede che c è tra il lettore il medium si è spezzata. 4 ORDINE

5 I N T E R V I S T A Incontro con don Gianni Zappa Il responsabile dell Ufficio per le comunicazioni sociali della diocesi di Milano con il cardinale Tettamanzi. E i media ci raccontino anche che cosa accade nei tre quarti di mondo di cui non si parla mai e ci facciano sapere come finiscono le storie. Basta con l informazione-spettacolo, occorre un etica della parola e delle immagini Abbiamo incontrato a Milano don Gianni Zappa, responsabile dell Ufficio per le comunicazioni sociali della diocesi di Milano, e gli abbiamo posto alcuni quesiti sulla questione dei media. Che ne pensa, don Zappa, della stampa italiana? La stampa italiana ha una tradizione molto bella e importante fatta di grandi firme che hanno qualificato gli strumenti di comunicazione e in parte quando sono riusciti ad entrare in contatto, hanno contribuito ad elevare il tono culturale e di attenzione delle famiglie. Abbiamo l esempio di grandi scrittori che sono stati giornalisti con un gusto dello scrivere e con una capacità di dare qualità alle parole e insieme un senso anche esteticamente efficace. Citiamo Buzzati, Montale, Parise, ma anche Montanelli e tanti altri. Si capisce allora che con questa tradizione alle spalle, da un certo punto di vista, è anche pesante per i giornalisti portare avanti la qualità. Come prima osservazione direi che oggi mi sembra sia fortissima la tentazione di limitare l azione del giornalista all esposizione frettolosa della cronaca oppure all opinione, che però troppo facilmente rischia di cadere nella battuta. Uno degli aspetti che impressiona di più è che i nostri giornali sembrano quasi più una successione di titoli che non di argomentazioni che aiutino a capire. C è una specie di utilizzo surf delle parole dove viene sempre meno il pudore del non esagerare. In questo senso arriva a prevalere la forza della battuta rispetto alla verità della sostanza. Come secondo punto, noto come vengono relegate le argomentazioni più di sostanza in paginoni enormi che sono difficili da leggere e con articoli lunghissimi. Forse dovrebbero fare meno pagine e dare un po più il senso dell essenzialità delle cose. Sarebbe utile avere il coraggio di guardare dietro le immagini per cercare di mettere in luce anche le questioni più autentiche rispetto alle emozioni. In estrema sintesi i giornali italiani sono piuttosto emotivi. E con della pubblicità negli articoli. Credo che la pubblicità sia un messaggio e, da un certo punto di vista, l affermazione di un modello, di uno stile di vita, che sia l acquisizione dell idea che un certo prodotto rende la vita più felice. Questa è sostanzialmente la pubblicità. Ma il fatto che chi vende prodotti ritenga conveniente acquistare spazi di comunicazione, non lo esime dalla responsabilità di conoscere l effetto che le sue comunicazioni hanno sulle persone. L aver pagato dei soldi per spazi non dà di per se stesso a questi soggetti il diritto di dire tutto quello che vogliono. Un giornale che accoglie pubblicità a pagamento non dovrebbe essere così, diciamo, prostrato da accogliere qualsiasi cosa, non deve dare l impressione che i soldi siano la cosa più importante. Coloro che acquistano i quotidiani, acquistano anche i contenuti e dunque si aspettano qualche cosa. Insomma credo che i giornali non devono essere solo contenitori pubblicitari. La pubblicità mascherata ormai è invasiva e viene infilata nei pezzi a dispetto della deontologia che prevede la sepadi Paola Pastacaldi ratezza e la chiarezza rispetto ai contenuti dell informazione. Non fa onore a chi la fa. Anzi, faccio fatica ad immaginare chi scrive, i giornalisti, asservibili ad una prospettiva del genere. E come considera la televisione, grande fratello dell informazione, oggi dominante sulla carta? La carta stampata dipende dalla televisione, perché il linguaggio televisivo è di altissima suggestione nelle immagini e nei suoni. È un linguaggio complesso che tocca corde differenti e che fa reagire globalmente. È difficile avere un senso critico rispetto alla tivù, molto più che rispetto alla carta stampata. Questa è la forza della televisione. La televisione ha anche la possibilità e la facilità di parlare sempre e di rinnovarsi sempre, soprattutto. Per tanti aspetti alla fine diventa rumore. Se cede a questa sua forte propensione al rumore, rischia di stravolgere quello che nella comunicazione dovrebbe essere fatto di dinamica e di potente relazione con i suoi utenti. Cosa ci si può, dunque, aspettare o che cosa si può chiedere al mezzo televisivo? Che mi faccia entrare in relazione con alcune realtà e persone e che abbia la forza di portarmi dentro questo mondo, questi aspetti della realtà. Ma l impressione prevalente ora è che sia spettacolo e che non mi metta in relazione con niente o poco. Lei la guarda la televisione? A dire la verità io mi sento personalmente sempre respinto. Sono rammaricato, ma devo ammettere che non riesco a finire un programma. La televisione mette le persone in poltrona. Ti fa stare lì e ti vuole tenere lì, ma non ti provoca una reazione attiva come potrebbero essere delle battute di risposta. E i tiggì? Quello che ho appena detto vale anche per i telegiornali. Si sono spettacolarizzati. Non vogliamo i tiggì grigi compassati e tristi, ma si ha l impressione che vengano chiamate a parlare persone che non hanno competenze specifiche, vengono chiamate a dare giudizi sui grandi avvenimenti che hanno rilievo per tutti. Un etica della parola e delle immagini è sempre più necessaria. Tutto è spettacolo, un grande mercato globale. Una delle cose che mi colpisce di più della tv è che mi sembra un grande fratello che giudica. Io mi sento giudicato dai modelli che vengono prodotti riguardo al successo, alla bravura, in tutto. Anche il dolore. Prevale una emozione di un certo tipo. In alcuni programmi, quelli per esempio dove si vedono i ricongiungimenti o situazioni problematiche che la televisione si offre di risolvere, si tende ad offrire dei cliché che non rispondono a quello che una persona normale è, quando patisce o gioisce; questo modello tende a diventare una espressione tipica e quindi un giudizio su come gli altri vivono in modo differente le emozioni, su come ridono, soffrono, gioiscono. Io non rido, non soffro non gioisco in quella maniera e, rispetto ai criteri che mi offrono, l unico senso critico che ho a disposizione è di usare il telecomando per cambiare canale o spegnere. Ha dunque una pessima opinione della tivù. Sono convinto che il criterio di lettura della televisione è un criterio falsamente democratico, perché vuole tutto qui e subito. E la guerra vista attraverso le immagini all ora di pranzo, senza filtri, né emozioni se non l orrore dell eccesso? Mi viene da risponderle con una battuta: abbiamo visto troppi film. Insomma, attraverso quelle immagini abbiamo esorcizzato i nostri sentimenti, per cui anche quando viene trasmessa la guerra in diretta, non ne siamo pienamente coinvolti, ci sentiamo un po troppo spettatori. Quello che riusciamo a vedere della guerra e della sofferenza ci rimane un po troppo estraneo, esterno a noi. La televisione riesce a metabolizzare in fretta anche le cose più difficili, se uno vuole riesce a non pensare mai. Immagini si succedono ad immagini; anche quando si vede un programma molto drammatico, intenso, forte, viene interrotto con un messaggio sui pannolini elastici o altre banalità. Il mostro di Firenze, Cogne, i rapimenti un tempo, tanti temi che vengono mediatizzati e che finiscono nel tritacarne dei media. I fatti si confondono con le opinioni. Questi fatti come altri mi fanno paura, quando si crea una forte tensione, una sorta di attaccamento morboso ad un determinato fatto, tutto ciò che è morboso fa male e non serve e può anche essere violento. E poi non si capisce perché tutto ciò debba accadere, a chi serve. C è una indubbia perdita di tensione etica a scapito dei contenuti. Far entrare in gioco la responsabilità nel sistema della comunicazione se da un lato è necessario, dall altro è imbarazzante, il sistema è talmente contorto, complesso che o le regole le rispettano tutti oppure è molto difficile cambiare le cose. Il cardinale Dionigi Tettamanzi ha detto chiaramente che il mondo ormai vive nei media e che la visione del mondo è sempre più spesso legata ad opinioni e sondaggi del tutto relativi. Ha anche sottolineato la necessità di un uso critico dei media. Credo che sarebbe bene per i lettori acculturarsi fuori dai media, penso che un lettore dovrebbe dare più credito a se stesso, ai suoi interessi e prendere sul serio le proprie domande. Non avere fretta di trovare le risposte, avere la curiosità di compiere percorsi di ricerca e confidare di più nella possibilità di approfondimento che si può costruire nell acculturarsi. Prima di guardare la televisione o leggere un giornale, consiglierei di fare un bel giro in città a piedi e di lasciare che siano le persone oltre ai fatti a parlare, le situazioni reali, i volti. Dopo si potrà leggere e guardare la televisione con un po più di senso critico. Una domanda personale, don Zappa, come lettore. Lei cosa e quanto legge? Leggo otto, nove quotidiani al giorno, i giornali stranieri li prendo da Internet, sono molto ricchi. Sono El Pais, The Times, l israeliano Haretz, dopo di che ho l abitudine di girare, vagare cercare anche altre notizie altri giornali a seconda delle giornate. Dedico solitamente un ora alla mattina e altrettanto la sera di solito tardissimo, riprendo le stesse notizie che nel giorno si sono sviluppate e noto come erano state presentate rispetto all evoluzione che hanno avuto, cosa era stato detto e che cosa non era stato detto. Se avesse qui alcuni direttori di giornale a cui poter rivolgere delle domande, che cosa chiederebbe come lettore, come vorrebbe che cambiasse il loro modo di fare i giornali? La prima cosa che chiederei è: diteci, per favore, cosa accade nei tre quarti di mondo di cui non ci parlate mai o di cui parlate troppo poco o per schemi fissi. La Cina non è solo un alluvione o delle magliette sotto costo, cosa succede davvero in Africa, in America Latina che conosco bene Non tagliate fuori tre quarti del pianeta dai giornali. L altra richiesta è di sapere come finiscono le storie: in Argentina le donne hanno finito di andare in piazza a battere le pentole? È stato sollevato un polverone, poi non si è saputo più nulla. Chiedo in sostanza che mi si porti alla conclusione delle cose, abbiamo sentito i politici promettere, ma poi non abbiamo più saputo come sono stati spesi i soldi. Terza richiesta, cercate di offrirci qualcosa che ci spinga ad andare oltre. Sogno, infine, che la televisione mi dia qualche programma (qualche volta è anche successo) che mi stimoli a non spegnere la tivù, ma caso mai ad andare a vedere dal vivo musei, paesi, storie e che mi stimoli ad aprirmi alla realtà. Si discute da tempo del problema degli editori che accumulano proprietà di giornali di carta e di televisioni creando una problematica forte sulla libertà di stampa. In alcuni vostri documenti ho letto affermazioni critiche verso questi gruppi che definite oligopolistici. Ci spieghi. I mezzi oggi sono tali che lasciano spazio alla voce di tutti. Lo sviluppo delle tecnologie apre questa possibilità. Tutti possono aprirsi un sito Internet, questo da un certo punto di vista. Da un altro, invece, permane una forte dipendenza da coloro che la comunicazione, l informazione la sanno fare. Chi diventa proprietario di mezzi di comunicazione e riesce a fare giornali che vengono letti o siti che vengono visitati direi che è bravo e ha una capacità significativa, questo gli va riconosciuto come merito. Il problema di fondo però rimane quello di chiedersi perché lo fa. È disposto a mettere i suoi talenti a disposizione della dignità della persona oppure decide di utilizzare questi suoi talenti per altri interessi? La risposta è davanti ai nostri occhi nei giornali pieni di spettacolarizzazioni e non di fatti. Andrebbe sottolineata una cosa: la carità sta all inizio, nelle intenzioni primarie, non arriva alla fine. Sarebbe importante, prima di iniziare un lavoro giornalistico, una impresa editoriale, che la mia intenzione fosse quella di elevare la dignità dell uomo e non di dare le briciole della carità dopo, quando sono diventato ricco ed è ovviamente più facile. La dignità umana permea molto del diritto che riguarda la libera espressione dell uomo e della comunicazione intesa come giornalismo, sia nel flusso di informazioni che nell uso dei dati (vedi privacy) e delle immagini, sia nella quantità che nell essenzialità e ovviamente nelle qualità. Il rispetto dell uomo. Dignità umana nei media è quando si lascia parlare la persona, quando la si prende sul serio, quando non la si giudica. Quando infine la si chiama per nome perché dietro c è una storia, la vita stessa della persona, e la si conosce. ORDINE

6 L assemblea degli iscritti giovedì 23 marzo 2006 Enzo Bettiza si sottopone volentieri all'intervista, ma dopo pochi minuti è lui che inizia a chiedere all intervistatore quali sono stati i suoi studi, quali i suoi interessi e le sue opinioni. È un giornalista, non c è dubbio, e anche oggi che lo si vuole celebrare per i 50 anni di iscrizione all Albo è lui a tenere in mano il taccuino con le domande. Un giornalista di rango, un giornalista quasi per natura, un giornalista che voleva fare il pittore. Perché quando nel 1945 il giovane Bettiza lasciò la natia Spalato non pensava certo ai quotidiani, e alla macchina per scrivere preferiva tela e pennelli. Invece arrivò il giornalismo e venne nel modo più naturale possibile, affascinando il giovane Bettiza soprattutto con la promessa di viaggiare. Nel 1952 entra a Epoca, prima come impiegato, poi come praticante. Allora la procedura del praticantato era diversa. Il sistema era pragmatico, migliore, afferma senza esitazione. Si doveva esser presentati da due giornalisti affermati: nel mio caso, il poeta Alfonso Gatto, caposervizio della sezione Italia Domanda, e Guido Piovene, grande giornalista e scrittore. Dopo c erano i 18 mesi da praticante e alla fine era il direttore a dare il giudizio. Il direttore in questo caso rispondeva al nome di Enzo Biagi. L istituzione nell Albo non era vincolata all esito dell esame di Stato. Dopo mesi di didascalie e tagli di foto, arrivarono i primi pezzi. Bettiza si occupava di cultura e il primo articolo fu un intervista a Ignazio Silone. Cominciarono gli elogi e qualche servizio più lungo, ma come ricorda lui non si sprecavano a farmi scrivere. Eppure il segretario di redazione Igino Mariotto mandò a Carlo De Martino, presidente della sub- Enzo Bettiza Con Indro portai al Giornale il meglio del liberalismo commissione per la tenuta dell Albo, questa lettera conservata negli archivi di via Antonio da Recanate: Il Bettiza ha una buona stoffa di scrittore e giornalista e viene da noi usato per servizi speciali, inchieste, interviste e articoli di ogni genere. Insomma svolge a Epoca un autentico lavoro giornalistico. Un ottima ragione per cercare più spazio altrove. Nel 1957 passò a La Stampa, dove fece il corrispondente prima da Vienna ( C era una grande tensione per i fatti dell Alto Adige ) e poi in Russia nel periodo di Krusciov e della destalinizzazione. È più facile fare il corrispondente coi computer. Io scrivevo due pezzi al giorno e li dettavo al telefono, ricorda. E affonda la lama: Gli esteri poi nei giornali italiani sono sacrificati rispetto all esplosione pettegola della politica interna, trattata come un immenso spogliatoio sportivo. Il lavoro a Mosca era andato bene e quelli che lui stesso definisce vagabondaggi da esule si trasformarono nel 1964 nell assunzione al Corriere della Sera, diretto allora da Alfio Russo. Per lui, Bettiza sarà inviato speciale ed editorialista e manterrà il ruolo sotto Giovanni Spadolini e Piero Ottone. Ottone aveva creato nel giornale un clima da compromesso storico. Voleva portare la grande industria dalla parte dei comunisti ricorda Bettiza, aggiungendo che era una linea politica che non approvavamo e che suscitava nel Corriere articoli di deriva populistica, demagogica. Era sia la gestione tecnica del giornale sia la linea politica che non convincevano. Sembrava un quotidiano fatto in uno scantinato da carbonari impazziti. E ancora: Il giornale si assemblearizzò in maniera permanente. Vi era disprezzo per le firme, cioè per la meritocrazia. I giornali, se funzionano, devono avere una gerarchia ben organizzata. Lo strappo fu inevitabile e, capitanati da Montanelli, Bettiza e altri 40 giornalisti abbandonarono via Solferino per fondare Il Giornale Nuovo. Un nuovo giornale si fonda con la follia. Ci volle coraggio per abbandonare posizioni sicure per affrontare il vuoto in un mondo, anche borghese, che ci era completamente ostile. Io e Montanelli a quell epoca eravamo molto isolati a Milano ricorda adesso. Fondammo un vero Corriere abbandonando quello falsificato. Portammo il meglio della cultura liberale di Parigi e del dissenso russo. Creammo un grande giornale di apertura liberale. Montanelli divenne direttore e Bettiza condirettore: Indro era un uomo capriccioso, spesso contraddittorio, grande talento e, più che giornalista, un brillantissimo scrittore per quotidiani, più bravo come editorialista che come organizzatore. Bettiza precisa che una gran parte organizzativa ricadeva sulle sue spalle e spesso era lui che teneva i contatti con le firme de Il Giornale: Gli storici Renzo De Felice e Rosario Romeo, un filosofo come Abbagnano, il critico letterario Pampaloni e molti scrittori dell Est come François Feito, che gestiva la redazione di Parigi. Nel 1983 però ci fu la rottura anche con Montanelli, per motivi politici : Il giornale si stava democristianizzando, mentre io ero per un appoggio laico a Craxi, la posizione lib-lab. Le scelte politiche dei due uomini alla guida del giornale erano sempre state diverse. Già dal 1976 Bettiza sedeva in Parlamento tra i senatori del Partito liberale italiano e, da esponente del Pli prima e da indipendente del Psi poi, sarebbe diventato europarlamentare, guidando delegazioni ufficiali in Cina, Urss e Jugoslavia. Fu così che si arrivò alla separazione consensuale da Montanelli, e Bettiza lasciò, ancora una volta senza un alternativa sicura. L ex condirettore de Il Giornale fu assunto poi come direttore editoriale del Gruppo Monti che allora comprendeva Il Resto del Carlino e La Nazione ( Quando erano giornali veri, non distrutti come lo sono oggi ) e Il Piccolo di Trieste. Poi ci fu un infiltrazione della P2 che mi sorprese e detti subito le dimissioni e ancora una volta rimasi in bianco. Ci vollero sei mesi perché la situazione si sbloccasse e Bettiza vedesse rientrare nella propria vita il Corriere, stavolta diretto da Piero Ostellino. Rimase tre anni prima di accettare un ottima offerta da La Stampa e ritornare nel quotidiano dove aveva iniziato e dove collabora tuttora. Il pittore mancato di Spalato non ha rinunciato a nulla nel corso della sua vita. All attività di giornalista e di parlamentare ha da tempo affiancato quella di autore di libri sugli argomenti che più lo hanno appassionato. Come il Vietnam durante la guerra o la Cina della rivoluzione culturale, o Praga occupata dai sovietici. E lui c era, esempio di una vita costellata di scelte coraggiose. Nelle piazze della grande storia e nelle redazioni dei giornali. Daniele Barzaghi La malattia di un padre può condizionare le scelte di vita di un giovane non ancora trentenne. Così è stato per l avvocato Francesco Catania, costretto ad abbandonare il giornalismo a tempo pieno e a seguire le orme paterne divenendo civilista ed ereditando lo studio di famiglia. La passione per la scrittura e per i quotidiani era venuta presto, ancora sui banchi del liceo, quando, a anni, Catania cominciò a collaborare con i giornali della sua città, Como. Il suo battesimo professionale avvenne a Il Corriere della provincia, un settimanale del lunedì diretto da Paolo Tocchetti, ma fu nell antico quotidiano cattolico L Ordine che Catania incontrò Francesco Catania Una scelta sofferta tra giornalismo e diritto quelli che ancora considera i suoi maestri: il direttore don Peppino Brusadelli, Gilardi, il capocronista che ogni giorno voleva un capocronaca di bianca, e soprattutto Giorgio Mottana, futuro direttore della Gazzetta dello Sport. Al giornale comasco Catania scrisse di arte e cultura, le sue grandi passioni, ma non si fece mancare nulla. La lezione di Mottana era chiara: in un giornale di provincia tutti dovevano saper fare tutto e, come sempre, questo riguardava in primo luogo i giovani della redazione. E Catania ne fu un esempio, occupandosi anche di cronaca e di sport. L Ordine, per il quale lavorava gratuitamente, gli permise di iniziare collaborazioni retribuite coi giornali e le riviste del circuito cattolico (che allora comprendeva almeno 6 testate) e poi con Il Tempo di Roma, Il Popolo di Milano, La Notte e con il pomeridiano Corriere Lombardo, per il quale seguiva la pagina di Como e Varese. Nel frattempo frequentava giurisprudenza all Università Cattolica di Milano e lì, nel 1958, si laureò con mons. Francesco Olgiati con una tesi in filosofia del diritto: La libertà di stampa alla luce della filosofia giuridica classica. Non male come inizio per una vita eternamente divisa tra diritto e giornalismo. Daniele Barzaghi Guido Granata Io, medico dei lettori appassionato di omeopatia Un piacevole diversivo. Questo è stato il giornalismo per il professor Guido Granata, libero docente di pediatria presso l Università degli Studi di Milano. Nato nel 1923, Granata si è laureato in medicina a Milano, dove ha anche conseguito le specializzazioni in pediatria e in cardiologia. L attività pubblicistica del professor Granata ha inizio nel 1953 al Messaggero: Conoscevo il capo della redazione milanese, Sandro Dini, che mi propose di scrivere un articolo, sapendo che il loro collaboratore medico non era particolarmente amato da quelle parti. Così mandai il pezzo, che piacque e fu pubblicato. La collaborazione con Il Messaggero, all epoca di proprietà della famiglia Perrone (titolare anche del Secolo XIX di Genova, dove furono ripubblicati alcuni degli articoli di Granata), è durata oltre vent anni, fino al 1974, anno del turbolento cambio di proprietà in via del Tritone. I miei articoli avevano un grande successo - sorride Granata - ricordo che ricevevo tante lettere. Il professore ha collaborato anche con L Europeo e il Giornale, prima di passare a dirigere, nel 1979, i Quaderni di Agopuntura Tradizionale, trimestrale di agopuntura cinese e di scienze mediche alternative alla medicina tradizionale occidentale, pubblicato fino ai primi anni Novanta dalle edizioni So-Wen in collaborazione con il Centro studi sull agopuntura di Milano. Mi sono sempre interessato all omeopatia, fin da studente, ricorda Granata. Ne ho ripreso gli studi dalla fine degli anni Sessanta, dopo aver concluso le esperienze alla clinica pediatrica dell università di Milano e come cardiologo del Comune di Milano, e da allora mi dedico alle medicine alternative e all agopuntura cinese. Numerose le pubblicazioni scientifiche del professor Granata, tra le quali Difendiamo la nostra salute, Omeopatia in pediatria e Compendio di omeopatia. Attualmente ricopre la carica di presidente dell Aico, Associazione italiana di clinica omeopatica. Cleto Romantini 6 ORDINE

7 Ventiquattro medaglie d oro per cinquant anni nell Albo Una vita lavorativa piena, cinquant anni di giornalismo fra Milano e Roma presso le testate più prestigiose. Dario Baldi, cremonese classe 1927, ha sempre voluto diventare giornalista. Studia stenografia ed è questa a permettergli l assunzione nel 1956 al quotidiano romano Momento sera, dove riceve, stenografa e rielabora le telefonate dei cronisti dai campi di calcio. Dopo alcuni anni, il passaggio a La Settimana Incom diretta da Lamberto Sechi, prima come segretario di redazione, ORDINE Dario Baldi TV: l idea che accese il suo Sorrisi e canzoni Domenico Alessi parla del suo passato con disincanto, quasi con ironia. Ascoltandolo si capisce che non ha più nulla da chiedere a un mondo che ha fatto parte della sua vita per quarant anni. Se lavoro ancora per qualche giornale? No, non si possono fare sempre le stesse cose. Certo, resto un accanito consumatore d informazione, ma oggi mi piace occupare diversamente il mio tempo. In estate, ad esempio, passo tre mesi su un isola greca e cerco di non interessarmi troppo delle vicende italiane. Una scelta significativa. Anche quando era in Rai, Alessi non ha mai amato sentirsi protagonista: Sono sempre stato un uomo di macchina, uno che opera dietro le quinte. Non ho mai scritto un libro e mi sono occupato di aspetti gestionali e organizzativi per tutta la carriera. La carriera, appunto: Domenico Alessi diventa giornalista subito dopo il liceo, quando si trasferisce da Trieste in Sicilia e poi come redattore. Il passo successivo è il trasferimento a Milano alla redazione del femminile Arianna, in qualità di capo redattore. In breve tempo, a soli trent anni, è nominato direttore della stessa rivista. Dieci anni dopo fa ritorno a Roma, dove assume la direzione di Sorrisi e Canzoni per rilanciare la rivista e trasformarla in un giornale di massa, ad alta tiratura. Sotto la sua guida il settimanale cambia radicalmente: aggiunge TV alla testata e soprattutto ottiene una notevole diffusione guadagnando il secondo posto nelle classifiche di vendita, preceduto solo da Famiglia Cristiana. Un risultato raggiunto grazie all attenzione che riserva alle pagine dei programmi televisivi, dettagliate e ricche di informazioni, e ai servizi dedicati a cantanti e attori cinematografici. Tra le molte iniziative promosse dalla rivista va ricordata l ideazione del Telegatto, il più famoso premio per Domenico Alessi Dalla palestra dell agenzia al battesimo del Tg regionale Romano Cantore Terrorismo e trame nere per il Panorama di Sechi Sulla strada, alla ricerca di storie vere, senza filtro e senza compromessi con il potere e i poteri. La carriera di Romano Cantore (foto Fotogramma) è un libro aperto. E non a caso l ha raccontata proprio in un libro, Subito ieri, uscito di recente per i tipi di Marco Tropea Editore. A noi ha dato appuntamento nella sede del gruppo editoriale Il Saggiatore in via Melzo, a Milano. Nato nel 1931 a Castelnuovo Magra, in provincia di La Spezia, Cantore ha iniziato a fare il giornalista quasi per caso, dopo una serie di lavori di vario genere: scaricatore al mercato ortofrutticolo, venditore di torte, attacchino e impiegato al centro culturale San Fedele. Il primo giornale dove mette piede è 24 Ore, nel 1955, prima di passare nel 1959 al concorrente Il Sole. Esperienze poco edificanti - afferma -. Il giornale dove ho cominciato a fare vero giornalismo, almeno per come lo intendo io, è stato Stasera, gemello milanese del Paese Sera romano, diretto dal mitico Mario Melloni alias Fortebraccio, un democristiano di sinistra passato al Pci dopo la rottura con Fanfani. Purtroppo durò appena un anno: Melloni era un vero anticonformista e il suo giornalismo evidentemente era considerato troppo poco organico al partito. Dopo la chiusura di Stasera, Cantore abbandona il giornalismo per un impiego nel mondo della pubblicità. Ma la vacanza è breve: il richiamo della foresta riecheggia forte, e lui, che durante gli anni passati a lavorare in pubblicità aveva continuato a frequentare ambienti giornalistici, torna in pista come collaboratore delle pagine provinciali del Giorno. Finita anche l esperienza al quotidiano dell Eni, Cantore trova per un breve periodo un posto alla Rai di Milano, come redattore del telegiornale delle 13,30: Avevo un contratto a termine e per rimanere dovetti partecipare a un concorso interno. Mi classificai primo dei non promossi con un sei meno. Dopo soli due mesi arriva la chiamata di Andrea Caprotti che propone a Cantore la direzione del settimanale popolare ABC, fondato da Gaetano Baldacci. Per un anno, tra il 1968 e il 1969, Cantore prende in mano con successo un giornale che si segnala tra i protagonisti della rivoluzione dei costumi di quel periodo, attraverso ad esempio la pubblicazione di alcuni fotogrammi del film Teorema di Pasolini, bloccato dalla censura, o la pubblicazione di un tagliando che permetteva, tramite un accordo con una compagnia di assicurazione svizzera, di ottenere l assistenza legale dello studio di Giorgio Ambrosoli ( Un caro amico e un vero galantuomo, ricorda Cantore) per le prime cause per divorzio che la legge Fortuna-Baslini avrebbe di lì a poco consentito. Iniziative poco gradite al Governo e alla magistratura, che disponeva immancabilmente il sequestro delle copie del giornale, sempre con l accusa di pubblicazione oscena. Proprio come avvenne l 8 luglio 1969, quando, oltre al sequestro del settimanale, fu addirittura disposto l arresto di Cantore: Avevo pubblicato un dossier segreto della Nato che un mio inviato aveva ricevuto da un alto ufficiale cecoslovacco durante un servizio a Praga. Il documento conteneva il progetto americano di trasformare l Italia in una portaerei di terraferma a loro disposizione. Dopo una settimana arrivarono al giornale due agenti dei servizi segreti che mi chiesero nome e provenienza di chi aveva passato il documento. Naturalmente risposi che non ero tenuto a dirlo. La sera stessa il vicecapo della Squadra la televisione italiana, e il giro d Italia a cavallo di Battisti e Mogol. Nel 1976 Baldi lascia Tv sorrisi e canzoni e divide la propria attività fra Roma e Milano. Nella capitale dirige l Automobile, il mensile dell Aci, mentre a Milano cura tutti i supplementi allegati a Panorama. Nel 1986 decide di trasferirsi definitivamente a Milano. Qui accetta una nuova sfida: creare e dirigere il primo esperimento di settimanale allegato a un quotidiano, ViviMilano per il Corriere della Sera. La collaborazione però dura poco, perché Baldi preferisce accettare la proposta di Giorgio Mondadori: crea e dirige alcune nuove testate fra cui Argos, dedicato agli animali domestici, e AM, per i cultori dell automobile. Solo nel 1992, a 65 anni, decide di andare in pensione. Collabora per un breve periodo a Class poi stacca definitivamente, scegliendo di dedicarsi alla famiglia, alle passeggiate, ai libri di storia e alla sua amata musica classica. Chi ha lavorato con lui lo ricorda come un direttore esigente, ma disponibile e gentile. Un po accentratore forse, che metteva il naso ovunque e controllava il lavoro dei grafici: un direttore a tutto tondo, attento a ogni dettaglio perché sapeva bene che sono i dettagli a fare la differenza. Ilaria Sesana diventa redattore di Ultimissime, un quotidiano catanese della sera. Una scelta senza dubbio originale, che lo porta lontano dalla sua città e da papà Gioacchino, che nel 19 era diventato direttore del Piccolo. Ma quella di mio padre è un altra storia, che c entra poco con la mia vita professionale, dice oggi. Dopo brevi esperienze all Isola, un altro quotidiano catanese, Alessi risale in due tappe l Italia, trasferendosi prima alla redazione romana dell Ansa, e poi a Milano dove per sette anni è redattore ordinario de Il Tempo. Nelle grandi redazioni metropolitane impara cos è il giornalismo: Un lavoro faticosissimo, come a volte dico ai miei amici. L agenzia, in particolare, è una scuola formidabile: bisogna fare tutto, presto e bene. Io la renderei obbligatoria per tutti quelli che vogliono fare questo mestiere. Nonostante la palestra dell Ansa, Alessi abbandona presto la carta stampata: ancora giovane, firma un contratto in Rai, dove lavora per 29 anni. All inizio mi occupavo della radio e del Gr, ero caposervizio. Poi, con la nascita dei Tg regionali, ho tenuto a battesimo il telegiornale lombardo con un collega: eravamo sia curatori che realizzatori di un prodotto che aveva poca udienza tra i colleghi. In ogni modo tutti si dovettero ricredere molto presto: gli ascolti furono sempre molto buoni. Era un giornalismo da pionieri, nel quale bisognava sopperire con la volontà alle carenze tecniche. Negli anni Sessanta non c erano strutture idonee e bisognava fare il telegiornale con quello che si aveva. Nonostante questo, mi sono sempre molto divertito. Al punto da non rimpiangere mai i suoi diciott anni e non pentirsi per le sue scelte. La professione per me è sempre stata una prosecuzione della scuola: è come se fossi stato al liceo per cinquant anni. Perché il giornalismo nasconde un grande segreto: consente di arrivare con freschezza infantile agli anni della saggezza. Luca Bianchin mobile, scortato da due volanti, mi consegnò un mandato di cattura con l accusa di pubblicazione oscena. Fui portato a San Vittore, dove restai per un paio di giorni. Ufficialmente mi contestavano una fotografia dello spettacolo Oh, Calcutta!, in scena da tre mesi a Londra. La foto ritraeva donne e uomini nudi in fila sul palcoscenico, anche se avevo fatto coprire gli attributi sessuali con una pecetta nera. Al termine di questa disavventura Cantore lascia la direzione di ABC: Caprotti e Giovanni Carle, grande industriale di macchine per il cioccolato e finanziatore di ABC, mi imposero di farla finita con le notizie di politica. Non accettai il diktat e me ne andai. Dopo quell esperienza non ho mai più voluto fare il direttore, nonostante avessi ricevuto diverse offerte. Si apre quindi l era di Panorama e delle grandi inchieste sulla violenza politica e sulla criminalità organizzata. Dalla strage di piazza Fontana al terrorismo rosso, dalle trame nere fino alle indagini sui crack delle banche di Michele Sindona e del Banco Ambrosiano Veneto di Roberto Calvi, Cantore scandaglia in lungo e in largo l Italia e gli Stati Uniti sulle tracce dei grandi scandali e degli eterni misteri italiani: Sono grato a Panorama per avermi dato i mezzi e la libertà di muovermi e di scoprire una realtà inquietante, fatta di intrecci politico-mafiosi impressionanti. Mai come in quella occasione ho detestato il comandamento del mio giornale: i fatti separati dalle opinioni. Nel 1989 il passaggio a L Europeo: una breve parentesi poco felice ( Nonostante la buona volontà del direttore Vittorio Feltri, ormai era una testata finita, consumata nella stretta tra i due colossi Panorama e L Espresso ) prima del ritorno a Panorama dal 1991 al Ormai, però, anche il glorioso settimanale fondato da Lamberto Sechi aveva perso la sua fisionomia: L avvento dell era di Berlusconi in Mondadori era il presagio dell introduzione di un tipo di giornalismo che non è più il mio, certo non è più quello che mi piaceva fare. Il 31 dicembre 1994 Romano Cantore lascia definitivamente Panorama e si ritira a vita privata. Per capirne davvero a fondo la vita e la carriera forse basta leggere l epigrafe del suo libro, una frase dello storico Paul Avrich: In una forma o nell altra l anarchismo sarà sempre con noi. Cleto Romantini 7

8 L assemblea degli iscritti giovedì 23 marzo 2006 Jason aspetta sull uscio di casa, abbaiando una, due volte. Non si preoccupi. Come può vedere dai suoi occhi, non farebbe male a una mosca. Ed è così. Ci sono cani da guardia e cani compagni di vita: Jason, un labrador, fa sicuramente parte di quest ultima categoria. Si sposta in salotto, anticipando il percorso del padrone. Attende che lo raggiunga e si segga sulla poltrona, prima di accucciarsi al suo fianco in posizione di ascolto privilegiato. Resterà immobile per più di due ore, come incantato dalle parole dell amico. Entrare nel soggiorno della casa di Pietro Radius - classe vuol dire immergersi in un mondo fatto di quadri, statuette di cani e orologi. Ho ereditato i quadri da mio padre. La collezione di statuette è, invece, una passione di mia moglie. Per quanto riguarda gli orologi, non saprei dire perché ne ho molti, non c è un motivo preciso. Radius non pare ossessionato dallo scorrere del tempo. Non degna le innumerevoli lancette di uno sguardo in tutta la conversazione. In pensione, infatti, lui ci sta benissimo. Leggo molto, soprattutto quotidiani e saggi. Poca narrativa, non mi ha mai interessato molto. Inoltre guardo la tv, perlopiù documentari, anche se purtroppo in questi giorni il mio decoder non funziona. Rinviato così, per cause di forza maggiore, l appuntamento con History Channel e National Geographic. Dice che il giornalismo non gli manca più di tanto, ma tradisce un velo di malinconico risentimento: Sono già un paio d anni che non scrivo una riga. Non ne sento una particolare esigenza e di certo non vado a proporre pezzi sul giornalismo andato, come vedevo fare dai vecchi cronisti quand ero ragaz- Pietro Radius Quando Afeltra diceva di scrivere pane e salame Adriano Solazzo Lavorare con tenace umiltà non mollando mai la presa Io veramente sono contrario a queste premiazioni: ci danno una medaglia solo perché siamo vivi. Esordisce spiazzando subito l'intervistatore, Adriano Solazzo, storico cronista giudiziario del Corriere della Sera. Sul giornale leggerete che siamo tutti bravi, che abbiamo tutti alle spalle una splendida carriera, un po come si fa nei necrologi: nell ambiente invece ci conosciamo e sappiamo perfettamente quali sono i vizi e le virtù dei nostri percorsi professionali. Personalmente preferirei che il mio amico Franco Abruzzo ci premiasse per i nostri meriti, sarebbe più produttivo e interessante. È un po raffreddato Solazzo, ma non ha certo perso lo smalto del buon vecchio cronista: la passione per questo mestiere non va mai in pensione, come testimoniato tra l altro dalla sua collaborazione con il Corriere che ancora prosegue, sia pure in modo saltuario. Ai miei tempi credo di essere stato l unico giornalista a entrare in questo mondo senza parenti o conoscenti che erano già dentro, racconta. E allora come ci è riuscito? Un po per merito e un po per fortuna. Nel 1954 scrissi una lettera di presentazione a tutti i giornali che avevano una redazione qui a zo. Però, ecco, se qualcuno me lo chiedesse, forse. Di cose da raccontare Radius ne ha senz altro molte. Partendo dagli inizi, nel 1955: Un giorno mio padre, dopo essersi accorto che i miei studi di giurisprudenza procedevano con difficoltà, mi presentò all allora direttore del Corriere d Informazione, Gaetano Afeltra. Iniziai così, come tanti altri giovani, da abusivo. Tale condizione ai tempi era così frequente che il cosiddetto abusivato era quasi considerato un istituzione. I primi tempi servirono a Radius per imparare le tecniche del giornalismo ( Afeltra ci diceva sempre di scrivere pane e salame, senza fronzoli ) e abituarsi agli elevati ritmi lavorativi ( per vedere la ragazza dovevo portarla con me mentre facevo i servizi, altrimenti non c era mai tempo ). Degli anni al Corriere d Informazione Radius ricorda quando, nel 1963, fu inviato a Belluno per raccontare il disastro del Vajont: Dovevo scrivere quattro articoli al giorno, due per il Corriere d Informazione e due per il Corriere della Sera. In effetti mi sentivo un po schiavizzato. Le pause erano rare: mi alzavo ogni mattina alle cinque e andavo a letto a tarda notte. Tornai da Belluno dimagrito di 15 chili. Milano. Una lettera semplice e ingenua, in cui dichiaravo candidamente di essere attratto dal giornalismo ma di non avere alcuna esperienza: non sapevo nemmeno come si usava la macchina per scrivere. Tutti i giornali risposero garbatamente che non avevano bisogno. Tutti tranne uno, Il Popolo. Il direttore Vittorio Chesi e il suo vice Guglielmo Zucconi, padre di Vittorio, rimasero colpiti dalla lettera e telefonarono al giovane Solazzo. Rispose mia madre dalla tintoria. Pensavo che sarebbe stato il solito, cordiale rifiuto, e invece no. Vengo anche subito! gridai entusiasta, ma mi fecero aspettare. Il fatto curioso fu però che la segreteria convocò in redazione, per errore, un altro aspirante giornalista. Fortunatamente il direttore si accorse dello sbaglio, perché non riconobbe in quella persona tutta la voglia di fare e l ingenuità giovanile dell autore della lettera. I primi tempi non furono facili: Iniziai a lavorare con una macchina per scrivere presa a noleggio e scrissi il mio primo articolo su un tassista che era stato picchiato. Visto il pezzo, però, il direttore lo cestinò senza battere ciglio e, con rispetto e con grande calma, mi spiegò la differenza tra un tema scolastico e un articolo di giornale. Fu una lezione straordinaria che mi sono portato sempre appresso. Dopo Il Popolo, Solazzo lavora come cronista all Avanti!, al Corriere Lombardo, alla Rai, alla Stampa, all Ansa. Fino all approdo al Corriere della Sera, in cui si occuperà di cronaca nera con una particolare vocazione per l inchiesta. Sotto questa veste seguirà gli sviluppi della strage di piazza Fontana, del delitto Calabresi, degli omicidi delle Brigate Rosse e del Salvatore La Pietra Dalla Sicilia al Corriere. Ecco il giornalista manager Palermo, fine anni 40. In una città piena di problemi, ancora ferita dalla guerra, c è un ragazzo di quindici anni che anziché andare a divertirsi con i suoi coetanei preferisce spiare dalla finestra la redazione e la tipografia del Giornale di Sicilia. Salvatore La Pietra, detto Toti, ha il pallino del giornalismo, sa perfettamente cosa vuol fare da grande. Il suo sogno inizia ad avverarsi nel 1951, quando scrive una lettera al settimanale Lo Sport di Milano, diretto da Emilio De Martino, lamentando la mancanza di articoli sugli avvenimenti sportivi in Sicilia. Per tutta risposta il caporedattore Angelo Rovelli gli propone una collaborazione: Toti coglie l occasione al volo e a 17 anni scrive il suo primo articolo sul giro ciclistico dell isola. Con questo biglietto da visita, Salvatore La Pietra entra finalmente al Giornale di Sicilia. Il primo incarico, ovviamente gratuito, è la cronaca di una partita di promozione su un polveroso campetto di periferia. Tra servizi, articoli e correzioni di bozze, La Pietra fa le ore piccole e si guadagna la fiducia della redazione: diventa redattore, inviato, segretario di redazione, capo servizio. Nel 1979 La Pietra segue il suo direttore Roberto Ciuni e si trasferisce a Napoli per fare il vicecaporedattore del Mattino. Tre anni dopo arriva il trasferimento a Milano, al Corriere della Sera, dove viene assunto con la qualifica di assistente editoriale: per la prima volta la dirigenza Quando nel 1974 Montanelli fondò Il Giornale, in polemica con la linea imposta da Piero Ottone, Radius decise di seguirlo. Del grande Indro fa un ritratto inedito: Sicuramente è stato un importantissimo giornalista e un valente direttore, che ha lasciato sempre lavorare i suoi redattori in assoluta indipendenza. La consapevolezza di essere ritenuto un mito, però, lo aveva reso fin troppo pieno di sé: aveva una superbia che definirei satanica. Di certo non poteva essere manovrato da nessuno, poiché non era schiavo del denaro o dei potenti. Il suo unico punto debole, semmai, erano le donne. Vorrei morire a cent anni ucciso da un marito geloso era una delle frasi preferite di Indro. Proprio insieme a Montanelli, Radius venne querelato da Pietro Valpreda, nel 1978, per un articolo intitolato Il Sid coprì Valpreda. La querela venne ritirata quasi subito. D altronde non era molto fondata, visto che il mio pezzo si basava su un documento ufficiale dei servizi segreti stessi che provava la copertura di Valpreda. Nel 1983 Radius passa all Avvenire, nonostante il padre Emilio (firma storica del Corriere e direttore di Oggi) gli sconsigli di andare a lavorare dai preti. Tra i motivi dell abbandono del Giornale anche la gelosia: I giornalisti sono gelosi, un po come gli attori. Quando Mario Cervi fu inviato a San Salvador al mio posto non la presi molto bene. Anche perché la questione salvadoregna aveva, agli inizi degli anni Ottanta, un importanza paragonabile all Iraq attuale. Sei anni dopo, l ultimo trasferimento, a Famiglia Cristiana. La differenza tra un settimanale e un quotidiano sta tutta nella tensione lavorativa. Al quotidiano hai l assillo del pezzo da presentare in giornata, mentre al settimanale puoi lavorare con più rilassatezza. Un vecchio orologio a pendolo suona le cinque e mezza. Radius si alza dalla poltrona e si dirige verso la porta, seguito immediatamente da Jason. Quanto è mite il riposo del giornalista in pensione Marco Guidi crack del Banco Ambrosiano, fino agli inizi di Mani Pulite. Inchieste di cui preferisce non parlare, altrimenti qui facciamo notte. Adriano Solazzo è stato anche direttore dell Istituto Carlo De Martino per la Formazione al Giornalismo dal 1994 al 1996, quando la scuola era ancora nella vecchia sede di via Soderini: ricorda il suo biennio come un esperienza importante in cui ho cercato di insegnare agli allievi tutto quello che ho imparato con l esperienza. Ai ragazzi che oggi stanno entrando nel mondo del giornalismo raccomando di leggere tantissimo e di essere preparati su tutto. Il giornalista deve essere una personalità dinamica, sempre curiosa e in cordiale gara con i colleghi per arrivare per primi e meglio alla notizia: bisogna lavorare con tenace umiltà, non mollando mai la presa. Il tutto tenendo però conto dell etica e del buon senso, che nel cronista di nera si riassume soprattutto nel rispetto della riservatezza dei soggetti coinvolti. Ma come è cambiato il ruolo del cronista rispetto ai tempi in cui Solazzo era al Corriere? Direi che i cambiamenti sono avvenuti soprattutto in due direzioni. In primo luogo i giornalisti vanno sempre meno a caccia di notizie, troppo spesso si accontentano delle versioni istituzionali senza approfondire l argomento. In secondo luogo un tempo si faceva il cronista praticamente per tutta la vita, come ho fatto io. Oggi invece - continua - i direttori tendono a farli ruotare molto frequentemente, e questo è un errore perché ogni volta si perde tutto quel patrimonio di conoscenze e confidenze che il bravo giornalista riesce a farsi sul campo. Il consiglio più grande a chi vuole diventare cronista è ovviamente quello di stare sempre ai fatti, lezione che ho imparato soprattutto nell Ansa di Sergio Lepri. Questo principio, che dovrebbe essere valido per tutti i settori, trova nella cronaca nera la sua ragione più profonda: il commento spetta ad altri. Massimo Lanari crea una figura di coordinamento tra editore e redazione, affidando questa mansione a un professionista abituato a parlare il linguaggio dei giornalisti, ma esperto anche nella gestione grazie ai suoi anni da segretario di redazione. Negli anni 90 ai periodici Rcs viene introdotto il sistema informatico. Una rivoluzione che La Pietra prepara organizzando corsi per i giornalisti e scrivendo dei piccoli manuali, in cui spiega alle vecchie glorie della macchina per scrivere come accendere un computer o il significato della parola Internet. Massimo Lanari 8 ORDINE

9 Ventiquattro medaglie d oro per cinquant anni nell Albo Un giornalista dovrebbe abitare in una zona elegante della città dove lavora. Magari non centralissima, ma almeno prestigiosa. Soprattutto se il giornalista in questione è stato una colonna portante, anzi un architrave, del Corriere della Sera. Invece mi trovo davanti a un anonimo palazzone vicino a piazza Abbiategrasso, alla periferia sud della città. Al citofono mi presento timidamente come Il ragazzo della scuola di giornalismo. Sesto piano, risponde una voce metallica. Ed eccomi a suonare alla porta. Mi aspetto un signore appesantito dagli anni, visto che la sua scheda all Ordine indica come data di nascita il Invece trovo un brillante ottantatreenne circondato da due gatti che gli si rotolano attorno. Luciano Micconi vive in una casa che sa di mobilia pregiata, di legno d epoca. Lui, esperto di antiquariato, nello stringermi la mano mi apostrofa: Ti chiami Alessandro, al citofono dovevi dire il tuo nome, non essere timido. Tieni sempre la testa alta!. Primo appunto di un incontro che varrà quanto un ciclo di conferenze. Ci accomodiamo nel suo studio, mentre i due gatti si accovacciano ai miei piedi. Un tavolino di legno, centinaia di libri sugli scaffali, dal vetro della finestra intravedo piazza Agrippa. Capisco subito che prendere appunti sarà arduo: il signor Micconi - lo chiamerò così lungo l intera chiacchierata - è un fiume in piena. Dapprima fatica a ricordare il suo passato, poi ORDINE Luciano Micconi Segretario a vita, architrave del Corriere Una mission impossible per un giovane correttore di bozze: scrivere le didascalie di un servizio fotografico su un intervento endocranico: così nel 1953, ha inizio l avventura giornalistica di Luigi Cossu, allora pubblicista al giornale Le Ore. Un assunzione giunta come una benedizione per un venticinquenne che per cinque anni aveva vissuto in ristrettezze economiche, vendendo libri e intimo per signora porta a porta. Restai a Le Ore sino alla notte del 31 dicembre 1956 ricorda quando passai al Giorno, perché lì c era la possibilità di essere assunto come redattore grafico. Il 1 febbraio 1956 venne iscritto all Albo dei professionisti: iniziò così una carriera di grafico lunga 35 anni, vissuta quasi sempre di notte, trascorsa fra i menabò, le pagine e il piombo. Nel novembre 1968 un nuovo cambio, e Cossu venne assunto come caposervizio per creare Avvenire, il quotidiano della Cei. L obiettivo era quello di realizzare un organo di Luigi Cossu Una vita vissuta di notte tra menabò, pagine e piombo Una vita tra rombi di motore e ticchettii di macchine per scrivere. Parte da Vittorio Veneto la storia di Giovanni Marin, decano del giornalismo motoristico italiano. L amore per questo mestiere - racconta - iniziò da giovanissimo, quando mi chiesero di scrivere un articolo sulla corsa Vittorio Veneto-Cansiglio per Auto Italiana. La collaborazione con la prestigiosa rivista porterà Marin a Milano, dove diventerà redattore capo. La vera svolta nella carriera arriva però nel 1972, quando al telefono c è Edilio Rusconi: Senta Marin, facciamo comincia con gli aneddoti senza tralasciare le regole per un buon giornalismo. Sono di Parma, ma vivo a Milano da settant anni ormai. Già alle medie alla Cardinal Ferrari scrivevo sul giornalino della scuola, ricorda. Comincia ben presto a collaborare con riviste e quotidiani. Ad aiutarlo contribuì la passione per l antiquariato, tanto che nel 1960 il settimanale Amica gli commissionò un giro d Italia alla ricerca delle botteghe più prestigiose. E sempre sull antiquariato Micconi scriverà vari libri che riceveranno premi in Italia e all estero. Nel 1963, la svolta. Ecco l assunzione da praticante al Corriere, dove rimarrà fino al Redattore, caposervizio degli interni, capo redattore centrale: infine, per nove anni, segretario di redazione, la macchina del giornale, colui che ha in mano tutto. Un ruolo ricoperto in maniera talmente speciale che, al momento dell addio, gli sono stati tributati onori esclusivi. Di solito un segretario accoglieva il nuovo direttore alla maniera di un maggiordomo; giro nelle redazioni per la presentazione ai colleghi, incontri con le autorità cittadine nei giorni successivi all insediamento. Quando Micconi ha lasciato il Corriere, i ruoli si sono invertiti: il direttore Ugo Stille lo ha accompagnato di persona all uscita. Mai accaduto prima di allora. Ancora, dieci anni dopo, Ferruccio de Bortoli ha voluto che tornasse per un giorno in via Solferino 28 a salutare i vecchi compagni di viaggio e all evento ha dedicato addirittura l apertura di una finta prima pagina, distribuita in redazione. Infine, lo ha nominato segretario di redazione a vita. Luciano Micconi non parla quasi mai di giornalisti, riferendosi all ambiente dove ha lavorato per oltre vent anni; preferisce chiamarli corrieristi. Troppo diverso, troppo amato il Corriere rispetto al resto. Non a caso ha contribuito alla stesura di Come si scrive il Corriere, una sorta di summa sugli stampa che permettesse di abbattere gli steccati, gettando i primi ponti fra la sinistra democristiana e i moderati del Partito comunista: un compromesso storico ante litteram. La forza innovatrice di Avvenire non si risolveva solo nei contenuti, ma anche nel progetto grafico: l articolo di fondo, generalmente di carattere religioso, era stato spostato dalla posizione originale e collocato in apertura di pagina. Sono stato il primo al mondo a fare questo, dice con una punta di orgoglio mentre mostra una copia su rame del primo numero di Avvenire appesa al muro del suo studio. Giovanni Marin A 300 all ora sul lago salato per scrivere di automobili una rivista di auto?. Nasce così Gente Motori, periodico che rispetto al concorrente Quattroruote affronta il mondo delle auto in modo più popolare e accessibile, sul modello di Gente. I primi tempi non furono facili - ricorda il giornalista - ma improvvisamente, nell agosto del 1975, la rivista decollò quando in copertina mettemmo una Dune Buggy, un fuoristrada e un Alfa Romeo Spider. Il motivo dell improvviso decollo? Francamente non lo so. Da un mese all altro siamo passati da poche migliaia a 300mila copie vedute. Tra la fine degli anni 70 e l inizio degli 80 Marin trova un modo tutto suo per promuovere la rivista da lui diretta: inventa i raid, spericolati viaggi in giro per il mondo con auto di serie. E attraversa il Sudafrica con un Alfa 33, la Cina con un Opel Corsa, l Amazzonia con una Fiat Tipo, l Alaska con una Lancia Delta. A Salt Lake City, il giornalista-pilota porta la sua Alfa 155 alla velocità record di 313 chilometri orari, mentre nelle più quiete stanze della stili delle componenti del più celebre quotidiano italiano. Non a caso ha rifiutato incarichi di prestigio in altri giornali per poter rimanere a casa sua. Ero un bel rompiscatole - ammette - ma anche oggi chi mi voleva male mi apprezza. Cosa non sopporta, a parte i computer? L arroganza di chi arriva nelle redazioni con la pretesa di saper fare già tutto, la smania di firmare il pezzo, l accontentarsi di scrivere un articolo solo basandosi sulle agenzie di stampa. Due eventi, nel bene e nel male, hanno segnato la carriera giornalistica di Micconi. Il primo, a pochi giorni dal Natale del 1965, quando gli è stato possibile incontrare papa Montini dopo una serie infinita di peripezie e contrattempi divertenti. Risultato: quella che doveva essere un ampia cronaca dell evento si è trasformata in un breve pezzo di colore pubblicato nel gennaio Ben più triste il secondo, l assassinio di Walter Tobagi. Una mattina strana, iniziata con un flash di cronaca: Hanno ammazzato un uomo in via Solari. Vai tu a pensare che sia una brutta notizia. Poi, la stilettata al cuore: Hanno ucciso Tobagi. La sede del giornale che si svuota, gli inquirenti che arrivano in via Solferino e affollano i corridoi, la camera ardente affollata, le lacrime del direttore del Corriere, Franco di Bella, al funerale. E ogni volta che nomina Walter, Luciano Micconi si illumina. Guai a pensare male di lui, che ha dato la vita per la verità!, sembra che voglia gridare. Lui stesso, nel 2000, ha voluto allestire, con i ragazzi dell Ifg, una mostra in ricordo di Tobagi presso il Circolo della Stampa. Regolarmente, poi, si reca al cimitero di Cerro Maggiore per deporre, a nome del Corriere, un mazzo di fiori sulla tomba del giornalista nato a Spoleto. Della stampa odierna salva poco: ritmi troppo frenetici, titoli sparati a nove colonne quando meriterebbero meno spazio, eccessivo numero di pagine, e di conseguenza, pochi controlli da parte dei caporedattori. La fiducia non manca. L importante è non montarsi la testa, essere imparziali, non guardare in faccia nessuno: le riflessioni vanno lasciate ai lettori. Alessandro Ruta Non ho meriti specifici - aggiunge -. Ho avuto una gran fortuna dal punto di vista professionale. Penso di essere stato uno zero, che cambia di valore in base alla posizione che prende. E poi ho avuto la fortuna di avere dei colleghi grandissimi. Ho lavorato in cinque testate, con dieci direttori diversi. Ho conosciuto un sacco di giornalisti veramente bravi e questo me lo porto dentro. I nomi sono tanti, tantissimi. Ciascuno è ricordato con grande precisione e affetto, e su tutti uno giganteggia: Indro Montanelli. Credevo che non sarei mai riuscito a lavorare al Giornale con lui, perché eravamo troppo diversi - spiega -. Ma da quando sono stato assunto nel 1988, sono iniziati 10 anni di amicizia vera. Io lavoravo con Montanelli e non solo per lui, curando l impaginazione. Scrivevo solo pochi titoli di economia e di turismo; di politica parlavamo solo in privato. Quando sfoglia i giornali di oggi Cossu ha qualche rammarico: gli errori, troppo comuni da quando non ci sono più i correttori di bozze, e la superficialità di una professione che ha perso il gusto per l inchiesta. Ma è convinto che il futuro della carta stampata sia in buone mani: Probabilmente un giovane che inizia oggi ha più di quanto non abbia avuto io. I nuovi giornalisti sono più dotati di quelli dei miei tempi, che uscivano dalla guerra con addosso una gran fame. Una fame vera. Ilaria Sesana redazione di Gente Motori inventa una fortunata serie di interviste ai presidenti delle case automobilistiche. Nel 1992 Marin lascia il gruppo Rusconi e dirige prima Auto Capital e poi Auto Più, mensile che guida ancora oggi insieme a 16 Voglia di 4x4. Nel corso della sua carriera ne ha viste tante: soprattutto ha visto come è cambiato in cinquant anni il mondo dei motori, e di riflesso il modo di fare il giornalista in questo settore. Una passione d elite che si è trasformata prima in fenomeno di massa e poi in un qualcosa sempre più dominato dalla tecnologia, in cui la creatività dell uomo ha un peso sempre minore. Un tempo - spiega - dietro ogni auto c era un tecnico che con le sue idee ti tirava fuori prodotti come la Lancia Delta integrale, insuperabile esempio di tecnologia subordinata alla creatività dell uomo. Oggi invece le auto nascono interamente al computer, mentre le case automobilistiche si limitano ad assemblare i pezzi scegliendoli con un criterio esclusivamente economico. Le macchine insomma non hanno più un anima, sono tutte uguali: dov è finita la fantasia, la passione? Rimane solo dietro grandi marchi come Ferrari, Lamborghini, Porsche o Maserati. Lì puoi ancora toccare con mano un auto vera, capace di darti emozioni forti. Massimo Lanari 9

10 L assemblea degli iscritti giovedì 23 marzo 2006 Romain Rainero Il professore e l Africa. Storia di amore e di studio Presidente del Comitato italo-francese di studi storici, ufficiale della legion d onore, grand ufficiale della Repubblica italiana, dottore honoris causa all università di Nizza, accademico dell Accademie française d histoire d outremer, accademico dell Accademie royale d histoire d outremer di Bruxelles. Questa è solo una parte dell impressionante serie di onorificenze ricevute da Romain Rainero, professore in congedo della cattedra di Storia contemporanea alla facoltà di Scienze politiche della Statale di Milano. Titoli che impressionerebbero chiunque, particolarmente un giovane intervistatore, e il resoconto della conversazione tra i due si trasformerebbe facilmente nell elenco dettagliato dei momenti di imbarazzo tra interlocutori troppo distanti tra loro. Sarebbe successo questo se aprendo la porta del suo ufficio in dipartimento il giovane non si fosse trovato davanti un uomo sorridente, ospitale e felice di lasciarsi andare a battute e a citazioni in francese. Il professor Rainero che fin dal nome proprio denota un origine non completamente italiana, col suo accento e i suoi modi fa pensare subito ad atmosfere transalpine. Suo padre era un profugo politico rifugiatosi a Parigi durante gli anni del regime fascista e a Cannes, alla fine di giugno del 29, nacque il professore. Tantissimo in lui richiama la Francia: il rigore, la classe, lo spirito profondamente laico che non stride col suo essere praticante cattolico e, soprattutto, un eterno dualismo tra amor patrio e tensione verso problematiche internazionali. Il suo ritorno in Italia avvenne negli anni dell università, quando Rainero scelse l ateneo di Torino, si laureò in Scienze politiche con Norberto Bobbio e cominciò la sua carriera vincendo un concorso indetto dal ministero degli Esteri. In palio c era un posto presso l ufficio studi dell Istituto di studi politici internazionali (Ispi), ove vi resterà per 14 anni, dopo aver raggiunto la carica di responsabile della sezione Medio Oriente - Africa. La posizione conseguita, anche grazie a una licenza in lingua araba e istituzioni coraniche conferitagli dal prefetto della Biblioteca ambrosiana monsignor Galbiati, gli permise di intraprendere una carriera giornalistica parallela. L Ispi pubblicava già allora una rivista di scienze politiche, Relazioni internazionali, e Rainero iniziò a frequentare la redazione. Agli inizi era suo l oneroso compito di andare in tipografia a chiudere la pubblicazione. È il ciclo delle cose. Questi compiti toccano sempre ai più giovani e io vi passavo Ferragosto, Pasqua, Natale e Capodanno, a ultimare i numeri speciali che sarebbero usciti subito dopo. Il ricordo comunque è tutt altro che negativo, tanto che tuttora afferma: Fu l attività giornalistica all origine della mia affermazione. L esperienza non fu isolata e se tra le riviste culturali a cui ha collaborato Rainero annovera anche Il Mulino e Il Mercurio (dell Eni) ugualmente notevole fu il rapporto intrapreso con la France Press. Forte della sua perfetta conoscenza del francese, il professore era diventato corrispondente notturno dell agenzia di stampa parigina e quotidianamente mandava pezzi sugli incidenti e su cose non nobili ma molto giornalistiche la bianca, la rosa, la nera. Di tutto, perché come lui Cassio Morosetti L artigiano della vignetta giornalista a sua insaputa Dove cercare il segreto di una vita? In vecchi album di ritagli impilati con ordine, in una poesia esibita discretamente sulla penombra di una parete, in un sorriso opaco. Lo studio di Cassio Morosetti è un appartamento che profuma di antico. Quando dirigevo l Agenzia disegnatori riuniti qui era tutto un turbine e il suo sguardo corre per le stanze, sulle scrivanie ampie e spoglie, sulle matite macchiate di china. È un vecchio signore dall aspetto curato e dalla riservatezza un po scontrosa. Non parla molto; soprattutto non parla di cose Pietro Ambrosetti Per il ciclismo sulla rosea disse no anche a Gianni Brera I fogli sono appoggiati su una mensola dello studio: appunti, ritagli di giornale, fotocopie, bozze. Tutto materiale indispensabile per scrivere un enciclopedia dello sport varesino, un progetto che sto curando per l Università dell Insubria, che ha sede proprio a Varese. Pietro Ambrosetti, per tutti Nuccio, a quasi ottant anni hon ha affatto l aria del pensionato. Lavoratore instancabile, Ambrosetti non ha mai smesso di raccontare lo sport, una malattia trasmessagli geneticamente. Zio Antonio è stato l uomo che ha portato in Italia, nella sua Varese, i Mondiali di ciclismo del Quel giorno vinse lo svizzero Kubler battendo una squadra italiana fortissima, guidata da un commissario tecnico d eccezione, Alfredo Binda, primo campione del mondo della storia del ciclismo nonché cugino di Nuccio. Anche per questo non stupisce che lui abbia cominciato la sua attività giornalistica proprio con il ciclismo. Anno 1946: l Italia sceglie tra monarchia e repubblica, a Norimberga si processano i gerarchi nazisti e a Varese un Nuccio Ambrosetti non ancora ventenne si presenta alla redazione della Prealpina. Il ragazzo conosce il ciclismo e con la penna ci sa fare: in breve si guadagna uno spazio fisso sul quotidiano varesino, con cui collaborerà per quattro anni. Nel 1950, la grande occasione: il Guerin Sportivo che non conosce e già da questo capisci che non è un giornalista. Infatti Cassio Morosetti non è un giornalista professionista. L hanno iscritto nell Albo pubblicisti nel 56, a sua insaputa, e da allora si considera un intruso. Lui si definisce un disegnatore, un disegnatore di seconda serie, perché altri hanno fatto di meglio e sarebbe disonesto non ammetterlo. Ma anche in questa professione è entrato per caso. Nel 47, dopo la guerra, viene a Milano dalla sua Jesi per trovare un lavoro. Prova una quindicina di concorsi e, alla fine, entra al servizio meteo di Linate. Un giorno, durante una lezione di climatologia, abbozza una vignetta che circola tra i colleghi e gli fa perdere il posto. Strano effetto, pensa: che abbia del talento? È un caso, ma un caso fortunato. Cassio Morosetti comincia subito a collaborare per la Settimana Enigmistica e il Corriere dei Piccoli, poi approda al Candido di Giovanni Guareschi. stesso afferma: Avevo bisogno di un po di grano il problema all inizio è sempre quello. Situazione comune a molti, per carità, ma il fatto che sia toccata anche all eminente cattedratico lo rende all improvviso incredibilmente più vicino all intervistatore. Rainero ebbe contatti anche con Il Popolo, il giornale della Democrazia Cristiana, e per qualche tempo fu tentato dalla professione giornalistica a tempo pieno. Il vaticanista Pio Bondioli lo voleva assolutamente in redazione, ma gli interessi di Rainero lo portarono a guardare altrove. Erano gli anni delle grandi speranze legate all Eni di Mattei, dei rapporti sempre più stretti tra le sponde del Mediterraneo, e il professore, con la sua specializzazione, sapeva di poterne fare parte. Tenne lezioni nelle più importanti università dell Africa mediterranea, organizzò col presidente Pertini missioni in Algeria e fondò perfino un Istituto di storia nazionale libica intessendo rapporti con Gheddafi, che lo aveva voluto come consigliere, e col ministro degli Esteri Andreotti, che autorizzò il trasferimento di documentazioni di proprietà italiana. Tuttora Raniero non sembra conoscere sosta nella sua attività di studioso e oggi, che è stimato tra i cattedratici stranieri così come tra i colleghi e discepoli del dipartimento, appare in tutto il suo essere un maestro, più propenso ad aiutare i giovani che a difendere il proprio ruolo. Quando uno ha un autorità i casi sono due - afferma il professore - o mantiene col sorriso una gestione dei rapporti serena, cercando di aiutare tutti, o sceglie una gestione mussoliniana, elencando i propri meriti. Poi serafico continua: Ma le cose cambiano. Cambiano sempre. E se non hai pensato agli altri ti dicono Hai finito? Allora fuori dalle palle!. Io sono andato in pensione l anno scorso e tutti mi hanno voluto tenere, e non per i volumi - quattromila, ndr - che ho donato al dipartimento. Non sono importante continua. Sono in servizio e il servizio va svolto fino alla fine, fino a quando c è testa, gambe e cuore. E io per servizio ho regalato i miei volumi al dipartimento. I ragazzi hanno bisogno di libri e i libri buoni non sono facili da trovare. Un po come i buoni maestri che, come Rainero, ogni tanto si incontrano. Daniele Barzaghi Ho conosciuto Guareschi da un punto di vista professionale, ma lo stimavo moltissimo. Avevo un contratto di esclusiva per dodici vignette alla settimana. Quando il Candido chiuse, Giovannino mi mandò una lettera di ringraziamento che terminava così: Se risorgerò dalle ceneri, per primo chiamerò Lei. La collaborazione con Guareschi segna la carriera di Morosetti, precludendogli molti ambienti di sinistra. Ma Guglielmo Zucconi, che selezionava le vignette per il Corriere dell Informazione, lo chiama al suo giornale e gli affida anche il settore enigmistico. In quell occasione Morosetti comincia a reclutare giovani talenti e organizza una squadra che diventerà poi l Agenzia disegnatori riuniti. Un testimone dunque, oltre che un grande artigiano. Testimone di quell evoluzione della vignetta che la vedrà fiorire negli anni 50 e 60 e poi lentamente decadere con l avvento della televisione. Era una parabola inevitabile, già avvenuta nella stampa estera: la tv ha assunto quel tono scanzonato e distensivo che prima apparteneva alla vignetta. Oggi sui giornali c è posto solo per la satira politica, ma quello è un genere diverso di cui non mi sono mai occupato. Ora che l Agenzia ha chiuso e che la vignetta è tramontata, Morosetti vive sereno. Si gode il meritato riposo nel suo appartamento che profuma di antico. Luca Gualtieri di Gianni Brera e la Gazzetta dello Sport cercano un corrispondente da Varese. Nuccio Ambrosetti è l uomo che fa per loro. Da quel giorno la Gazzetta è diventata la mia seconda famiglia, dice oggi. Non ho mai voluto lasciarla, nemmeno quando Brera, il più grande di sempre, mi chiese di seguirlo a Il Giorno. Non me ne sono mai pentito. Con la rosea Ambrosetti si scopre giornalista poliedrico: scrive di basket e ciclismo, di calcio e pugilato, diventando amico di campioni come Rivera, Loi e Mazzola. A vent anni ero un ciclista troppo brocco per poter arrivare a correre con i campioni, ma grazie alla Gazzetta ho avuto la possibilità di stare vicino ai grandi. E poi il giornalismo non mi ha mai chiesto di rinunciare ai progetti della mia vita. Progetti che nel corso degli anni si sono chiamati Velo Club Varese, fondato da Ambrosetti a metà Novecento, Olimpia, società calcistica varesina di cui è stato dirigente, e soprattutto Milanogomme. Un giorno decisi di creare una squadra di calcio e la chiamai con il nome dell officina di famiglia che ancora gestisco. Anche Urbano Cairo, oggi editore e presidente del Torino, indossò la maglia del Milanogomme, granata come quella del Toro. Per lui deve essere stato un segno del destino. Tra mille attività Ambrosetti trova anche il tempo di contribuire all evoluzione del giornalismo sportivo, creando le schede statistiche di cui oggi si abusa soprattutto in televisione. Mi serviva un idea da proporre in Gazzetta e pensai di prendere spunto dal basket, sport in cui le statistiche abbondano. Iniziai con una scheda su Suarez. Tiri in porta, tiri fuori, palle perse, cose così. Ai tempi queste cose non le faceva nessuno e per mia fortuna la proposta prese piede. Il resto è storia degli ultimi anni: Nel 2002 sono rientrato nel giro giornalistico curando una serie di iniziative per il centenario dalla nascita di Binda. Poi, l anno scorso, l Università dell Insubria mi ha chiesto di curare la sezione sportiva di una Storia di Varese che verrà pubblicata nel È un lavoro sterminato, ma non potevo tirarmi indietro: ho deciso che a ottant anni era arrivato il momento di fare qualcosa per la mia città. Ambrosetti cerca tra i fogli sulla mensola e trova un indice provvisorio dell enciclopedia, cinquecento pagine di aneddoti e biografie. Tra gli autori ci sono tutti i grandi nomi del giornalismo sportivo varesino, più una mezza dozzina di firme di fama nazionale. L unico a non comparire è il curatore dell opera, che ha preteso di lavorare senza ricevere denaro. Luca Bianchin 10 ORDINE

11 Ventiquattro medaglie d oro per cinquant anni nell Albo Gloria Lunel Cinema e fotografia un avventura stupenda Interno. Un appartamento al terzo piano di un palazzo nel centro di Milano. Mensole affollate di libri, videocassette e dischi, stampe e quadri alle pareti, un gatto grigio accovacciato sui tasti del pianoforte: il tempo passato e il tempo vissuto si vedono dalle case strapiene. A casa di Gloria Lunel si respira il profumo speziato dei ricordi, misto a quello acre del tabacco. Nata a Bologna il 17 maggio 1927 da padre livornese e madre romana, ha studiato a Torino e successivamente a Roma presso l'accademia di arti drammatiche grazie a una borsa di studio. Nella capitale lavora inizialmente nel mondo del cinema. Sono gli anni del neo-realismo e poi della Dolce vita, quando le pellicole italiane erano al centro dell attenzione e le più grandi personalità del cinema mondiale passavano per Roma. Ho collaborato con i più grandi registi - spiega la signora Lunel -. Visconti, Fellini, Antonioni, Lizzani. È stata un avventura stupenda. Inizialmente ho fatto la segretaria di dizione, successivamente l aiuto regista e l assistente alla regia. Potrebbe aspirare a diventare regista, ma cambia idea, per un Enrico Pavesi L impegno nel sindacato e l intuizione (con Luigi Marinatto) dell Ifg Ci aspetta nel posto concordato. Una stretta di mano, vigorosa. Un sorriso aperto. Poi entriamo in un bar-bugigattolo dove ci identificano subito come giornalisti. Qui ne vediamo tanti, butta lì il cameriere incerto tra l'ironia e l adulazione. Pavesi risponde con una smorfia: lui al fascino della professione non ci crede, forse ne ha viste troppe... Ordina un caffè, si abbandona sulla sedia e inizia a raccontare. La sua voce arrochita arriva appena nel chiasso del locale. Le mani corrono vivaci lungo il perimetro del tavolo, indugiando ora sulla tazzina, ora sul registratore - speriamo non lo spenga! - ora su una copia di giornale. Il busto sporto in avanti con innocua prepotenza crea subito un intimità. E il racconto corre via come una confidenza di cui è lecito sorridere. La storia di Enrico Pavesi inizia proprio davanti al bar in cui sediamo, nella redazione dell Italia. Era il giornale della curia milanese, l unico che, con i suoi stipendi da fame, assumesse praticanti. All epoca Pavesi era un giovanotto che aveva studiato in un collegio religioso e poi si era iscritto all Università di Urbino pur senza frequentare molto; dopo il servizio militare mollò tutto per darsi al giornalismo contro il volere della fa- caso bizzarro. Trova, abbandonata su una panchina romana, una macchina fotografica: all interno ci sono una serie di scatti su Esther Williams. Non la restituisce, ma inizia a utilizzarla: a soli 23 anni inizia a fotografare e solo da poco si è fermata. Ha smesso quando le macchine digitali hanno sostituito quelle analogiche. Sul finire degli anni 60 lascia Roma, che pure adora, per stabilirsi a Milano dove inizia una carriera nel mondo della pubblicità. Anche con il capoluogo lombardo è scattato un feeling immediato, quasi un matrimonio con la città vista dall alto di una mansarda molto romantica e bohemien, a Palazzo Borromeo, dove ha abitato per 46 anni. Sono stata soprattutto una fotografa free-lance dice perché preferisco essere libera. Ho sempre scelto io dove andare e proponevo i miei servizi ai giornali. Ho girato quasi tutto il mondo: l Africa, l Europa, l Asia. I ricordi si rincorrono, emergono i mille aneddoti di una vita avventurosa: un camper che si ribalta nel deserto afghano, le notti trascorse sotto le tende dei pastori in Mauritania, la tensione della guerra d Algeria. Troppi ostacoli per una donna che sceglie questo mestiere? Assolutamente no. Non ci sono difficoltà particolari per una donna - spiega - basta avere un po di grinta. Serve per superare i tanti ostacoli che ci si trova di fronte. E in questo Gloria aveva una grinta pazzesca, aggiunge Olivia Mattiuzzi, amica e compagna di tante avventure. Ti ricordi di quella volta in Germania. In ogni luogo un clic, in ogni paese uno scatto. Ma non è il soggetto a rendere una fotografia bella, e neppure il luogo. Un immagine è perfetta quando viene supportata da un idea vincente, da una storia. Uno scatto deve poter parlare, restituire la voce, le risate, i suoni dell ambiente. Un reportage deve raccontare una vicenda senza bisogno del testo scritto, in caso contrario non ha senso. Ogni volta che mi veniva in mente un idea iniziavo a fotografare. E a un certo punto ho iniziato a fotografare i mestieri che sparivano e le tradizioni lombarde. Sono nati così i libri Lunario Lombardo e L altra Lombardia. Opere che hanno richiesto un certosino lavoro di ricerca, di verifica alla scoperta delle tradizioni lombarde più antiche e quasi dimenticate come il carnevale di Schignano, oppure il paesino dove le donne si sposavano in abito nero, o ancora l uccisione del maiale a Gaggiano. Poi il viaggio e la realizzazione del servizio in condizioni spesso rese difficili dalla pioggia, dal freddo e dalla poca luce. Sacrifici coronati spesso da buoni risultati, perché la macchina fotografica non falsa la realtà, al contrario la rende ancora più viva. Un profondo nord sconosciuto ai più è stato intrappolato e reso eterno negli scatti in bianco e nero di queste opere. Ogni immagine ha la sua storia - spiega - Riesco ancora a sentire la risata di questa donna, ricordo perfettamente questo liutaio e indica ora questa, ora quell immagine. Cala la luce e l ultima sigaretta ormai è spenta, mentre gli sguardi si fermano, quasi saturi, sulle ultime foto. Sulla soglia, come se stesse dando un consiglio, la signora Lunel ricorda: Con la macchina fotografica si racconta sempre. L importante è saper guardare la realtà che ci circonda, le persone, le cose. Tutto può essere raccontato. Ilaria Sesana miglia. All Italia Pavesi rimase quasi quattro anni fino allo scadere del contratto, poi lo licenziarono. Seguirono 11 anni al Corriere Lombardo - dove si occupò di cronaca nera e bianca - 9 anni in Rizzoli, 6 mesi al Mondo e 15 anni al Corriere della Sera. Nel 1990 fu prepensionato, un atto di mobbing provocato da divergenze politiche, come ironicamente lo definisce. Tra una collaborazione e l altra, Pavesi arrotondava con altre esperienze: ha scritto per il giornale della Fiera di Milano, ha lavorato all ufficio stampa della Montedison, e ha collaborato per altri uffici stampa e ha avuto dei contatti con il mondo del fumetto. Mi sono sempre considerato uno spirito libero - dice - Quando mi stufavo di un lavoro lo mollavo e ne cercavo un altro. L unica cosa di cui Pavesi è orgoglioso, il coronamento della sua vita professionale, è stato l impegno nel sindacato tra il 68 e il 76. Furono gli anni in cui cambiammo la Fnsi, facendone un organo forte e radicato nelle redazioni. Prima di allora il sindacato praticamente non esisteva. Nel comitato di redazione del Corriere della Sera Pavesi collabora con i celebri Raffaele Fiengo e Massimo Riva e fa la storia di quel giornale. Ma non posso dire di aver dedicato la vita al sindacato: c è chi si è impegnato più di me!. Anche il lavoro all Ordine dei giornalisti della Lombardia lo ha gratificato profondamente. Una figura molto importante è stato Luigi Marinatto, il segretario dell Ordine che, insieme a me e De Martino, ebbe l idea di istituire la scuola di giornalismo. L Ifg è stata l opera più importante della mia vita. Pavesi sentiva l esigenza di un accesso democratico alla professione che limitasse l influenza degli editori. Ai miei tempi entravi in un giornale per gentile concessione dell editore e, all inizio, non venivi neanche pagato. La Scuola di giornalismo fu creata per imporre una scrematura autenticamente meritocratica e fare del cronista una figura ad alto profilo professionale. Oltretutto in quegli anni nascevano nuovi giornalismi, quello televisivo e quello radiofonico, che si differenziavano profondamente dalla carta stampata; poi sono emersi gli uffici stampa aziendali, una nuova e preziosa fonte di occupazione: la preparazione tecnica e la conoscenza dei diversi ambiti divenne una priorità a cui le scuole avrebbero dovuto fornire una risposta. Oggi come oggi la scuola è imprescindibile per ogni giornalista. Pavesi fu tra coloro che garantirono per l affitto dei locali degli Ifg e sostennero attivamente la didattica. Ma le scuole hanno cambiato il giornalismo italiano? Lui, allora, diventa scettico. Da quando ho lasciato il Corriere non mi occupo più di giornalismo e sorride per sviare il discorso. Forse l indipendenza che credeva di aver assicurato al cronista si è rivelata un illusione. Gli editori continuano a essere impuri e il dibattito tanto acceso trent anni fa è ormai spento. Forse gli unici puri furono i Crespi per il Corriere della Sera perché non misero mai il giornale al servizio di un azienda e garantirono una ragionevole indipendenza alla testata. Rizzoli junior era una bella promessa, ma si inguaiò con la P2 e ne venne fuori una gran porcheria. Dagli anni 80 in poi la commistione editoria e affari divenne sempre più ambigua e nessuno si pose più il problema dell indipendenza. Conclusa l intervista ci alziamo, usciamo dal bar e ci incamminiamo in complice silenzio. Non so cosa scriverai: forse con me non farai bella figura!. E ride roco nel chiasso della città. Luca Gualtieri ORDINE Mirella Casei Una signora cronista, alla corte di De Martino Mirella Casei è una signora, una vera signora che ha trovato nel giornalismo la sua espressione migliore, dal 55 come pubblicista e dal 70 come professionista. Nata a Todi decise di trasferirsi a Milano per frequentare l Università Bocconi e laurearsi in inglese con una tesi su William Shakespeare. All agenzia Italia i suoi primi contatti col giornalismo: correggeva i testi e li mandava ai giornali. Poi intervenne il destino. Il direttore non poteva occuparsi personalmente di un pezzo su Amundsen e glielo affidò, chiedendole di consegnarlo al Corriere Lombardo. Arrivai e vidi la redazione della cronaca. Erano tutti uomini, indaffaratissimi, ma non così tanto da non notare una ragazza racconta Casei anticipando l incontro con colui che ancora è per lei un esempio di correttezza: Carlo De Martino arrivò come un lampo, lesse il mio pezzo e disse Non male, signora. Cominciò così una collaborazione di diversi anni e sulle pagine della cronaca apparve la firma di M. Casei: M e non Mirella perché non si capisse che a scrivere fosse una donna. Una donna che girava Milano col fotografo, in sella a una Lambretta. Dalla cronaca passò alla terza pagina e iniziò a occuparsi di libri e lì, per colpa della sigla con cui firmava, le capitò anche di subire le attenzioni di una donna di spicco dell editoria. Poi venne il periodico Settimana TV, per il quale Casei realizzò interviste agli emergenti della scena musicale italiana e, dopo otto anni, iniziò a collaborare col Corriere d Informazione. Il richiamo verso la cronaca era forte, ma alcune circostanze la portarono altrove: in stato interessante come era dovette lasciare una pericolosa inchiesta sul racket di sigarette e non riuscì a trovare il cinismo per intervistare i genitori di una ragazza gettatasi nel Naviglio: Mentre salivo le scale li sentivo piangere dietro al porta ricorda. Tornò agli spettacoli, a Visto, intervistò Celentano e ne divenne l insegnante d inglese. Poi fu la volta di Famiglia Cristiana e di Bolero e in entrambi scrisse di tematiche femminili, iniziando a specializzarsi sempre più in problematiche legate a bellezza e cosmesi. Non le mancò neppure un esperienza televisiva, con la trasmissione Shaker della Globo Tv, a coronare quella che è stata ed è ancora una solida carriera nelle riviste femminili (oggi scrive per Bookmoda) così come nelle pagine di cronaca di storici quotidiani. Daniele Barzaghi 11

12 L assemblea degli iscritti giovedì 23 marzo 2006 Ibio Paolucci Dalle colonne dell Unità le passioni degli anni 70 È triste che un popolo non sappia più leggere la propria storia. Un velo di malinconia s impossessa di Ibio Paolucci. Siamo seduti, uno di fronte all altro, in un ufficio milanese. È la sede dell Unità, il giornale cui Paolucci ha dedicato la vita. È un mattino terso e dalle vetrate lo sguardo si tuffa sulla città spruzzata di neve. La Stazione Centrale a poche centinaia di metri, e il Pirellone poco più in là: una distrazione a cui è difficile sfuggire. Ma torniamo a Paolucci, alla sua malinconia e alla causa che l ha suscitata. Recentemente ha pubblicato un testo su Giovanni Pesce, il comandante partigiano; si intitola Giovanni Pesce Visone, un comunista che ha fatto l Italia ed è stato scritto a quattro mani con Franco Giannantoni. Oltre a essere un mio amico, Pesce è un monumento della nostra storia - dice, accalorandosi per un attimo -. Appena diciottenne andò volontario in Spagna con le Brigate Internazionali; volontario come Hemingway, Bernanos, Orwell. Poi fu confinato a Ventotene e, durante la Resistenza, prese parte alla lotta contro il nazifascismo. Nel dopoguerra gli è stata conferita la medaglia d oro al valor militare. Eppure è triste che, a destra come a sinistra, il valore di eroi come Pesce sia misconosciuto. Il riferimento è al disegno di legge sulla parificazione tra partigiani e repubblichini e ai libri di Giampaolo Pansa. È sconfortante il modo in cui la storia viene raccontata azzerando ogni valore. Ibio Paolucci è nato a Castiglione della Pescaia, vicino a Grosseto, nel Nel dopoguerra, a Genova, mentre era funzionario del Partito comunista, si è occupato di critica teatrale. E dopo aver seguito la prosa per diversi anni, Paolucci è entrato nell organico dell Unità come cronista. A quei tempi le edizioni del quotidiano erano quattro - Torino, Genova, Milano e Roma - e ogni edizione aveva una sua spe- Silvano Tauceri Dopo Biagi e Montanelli lavoro solo per il tennis Von Taucher non ci sta. Il giornalismo negli ultimi dieci anni ha fatto dei passi indietro e a me non piace più dice convinto. Anche quando guardo lo sport in televisione abbasso il volume fino a zero e mi risparmio un infinità di luoghi comuni. Parola di Silvano Tauceri, per molti colleghi Von Taucher da quando Gianni Clerici, ieri firma del tennis de Il Giorno e oggi per Repubblica, lo ribattezzò così in onore di alcuni avi austroungarici. Triestino di nascita e formazione, Tauceri ha scritto di sport per il Corriere e La Gazzetta, per Il Giornale e Epoca, senza rinunciare allo stile asciutto, preciso che lo ha reso tra i giornalisti più apprezzati anche da Montanelli. Capitava che Indro portasse ad esempio qualche mio articolo. Nei pezzi di Tauceri, diceva, le cinque W ci sono sempre. Oggi nessuno rispetta queste regole, ma il giornalismo è tutto lì. Un incontro, quello tra Tauceri e Montanelli, decisamente particolare: Un giorno trovai per caso Bettiza in un bar. Lui e Montanelli stavano progettando Il Giornale. Ecco l uomo che Quarant anni in Rai sognando Toscanini Tranquillo, placido in poltrona così come placida è la vita nel condominio dove risiede, con la moglie Edda, a Trezzano sul Naviglio. Maurilio Degiorgis, per tutti Ilio, da giovane sognava una carriera da direttore d orchestra. Nato ad Alessandria, il destino aveva già messo le mani avanti. Suo padre era, infatti, il direttore del teatro locale. Una carriera nella cultura, insomma, nella lirica in particolare; come inizio, la rivista di famiglia, il Corriere del Teatro, che conta 57 anni ed è attivissima ancora oggi nel settore della lirica. Decisiva, però, la carriera in Rai: più di 40 anni trascorsi nel servizio pubblico con la possibilità di approfondire numerosi ar- cificità che la rendeva riconoscibile; in seguito le edizioni di Milano e Genova furono accorpate, e Paolucci venne a lavorare nel capoluogo lombardo. Il nostro punto di riferimento non era la Pravda, ma il Corriere della Sera; è sbagliato credere che l Unità fosse al di fuori del sistema giornalistico italiano: la diaspora dei nostri cronisti negli altri quotidiani ne è la prova. Se qualcuno gli chiede cosa abbia imparato durante gli anni della gavetta, Paolucci non ha dubbi: tutto. Al di là dei valori politici di cui l Unità si faceva portatrice, la lezione più importante è stata quella tecnica. Il giornale insegnava a stare sulla notizia, vagliando attentamente le fonti, e trasmetteva un etica della professione. Tra il 1958 e il 1961 fu mandato a Varsavia come inviato e in quel periodo fece conoscere il Diario di David Rubinowicz.Si trattava delle memorie di un ragazzino ebreo trovate in un cassonetto della spazzatura. Essermi imbattuto in quel testo e averne incoraggiato la pubblicazione è un gesto di cui ancora oggi vado molto orgoglioso. E la situazione attuale dell Unità? Paolucci sospira: È inutile rimpiangere i tempi eroici, la situazione non è certo quella di una volta! Oggi il giornale è rinato, diffonde 60mila copie al giorno e sta decorosamente sulla piazza. Contentiamoci. Un altro rapporto importante fu quello con l Ordine dei giornalisti della Lombardia di cui è stato consigliere per molti an- cerchiamo disse Bettiza quando mi vide. Per unirmi al loro progetto lasciai il Corriere della Sera, per cui lavoravo da anni: una scelta istintiva, come tutte quelle della mia vita. Altrettanto spontanea fu la decisione di diventare giornalista. Cominciai a 14 anni con Il semaforo, un settimanale triestino dice oggi Tauceri. Poi lavorai sia per Il Piccolo che per Radio Trieste, gestita dagli angloamericani che amministravano la città. Quindi il trasferimento in Lombardia, meditato per anni ma realizzato in modo un po casuale: Un lunedì mattina avevo un colloquio a Milano con Biagi: io scrivevo già un paio di pezzi al mese per Epoca e cambiare residenza era da sempre un mio pallino. Due giorni prima, però, Biagi venne licenziato per aver scritto un articolo critico su Tambroni, che al tempo era presidente del Consiglio. Anche quella volta decisi d istinto: dovevo restare a Milano, allora o mai più. Fu in quel momento che iniziai a lavorare con il Corriere dell informazione. Proprio in quegli anni, Tauceri ebbe la grande intuizione della sua vita giornalistica: tenere le statistiche del tennis. Se oggi si conosce il numero di errori, punti vincenti e discese a rete di ogni tennista, il merito è suo. Un idea che lui difende dalle contaminazioni degli ultimi anni. Oggi si confondono statistiche e rilevazioni. La differenza sta nell elaborazione: non basta prendere dei dati e renderli pubblici, bisogna trovare una chiave interpretativa, contestualizzarli. E oggi, purtroppo, questo lavoro lo fanno in pochi. Maurilio Degiorgis gomenti. Degiorgis ricorda quando, per un servizio sulla condizione dei camionisti, dovette percorrere la tratta Milano- Genova in compagnia di due uomini politicamente schierati alle due estremità opposte. Sette giorni di battibecchi e vita vissuta da cui, trent anni fa, venne tratto un documentario intitolato Vado e torno. Anche con Enzo Biagi il rapporto è stato ottimo, corroborato dalla collaborazione, per un reportage, stavolta sulla vita notturna milanese. E poi altri lavori, ad esempio sulla Scala o sui vini, quasi sempre per il settimanale Tv7. Dulcis in fundo, tra i vari premi, anche il Madonnina d Oro per ni. Una figura fondamentale fu proprio il presidente dell Ordine Carlo De Martino: Con lui mi sono sempre trovato benissimo. Fu un presidente notevole, forse il migliore che la Lombardia abbia mai avuto. In proposito ricorda un episodio. Nel 1974 Ibio Paolucci, al tempo cronista di giudiziaria, riportò sull Unità alcune dichiarazioni di Dario Fo. Secondo il futuro premio Nobel, il giudice Sossi aveva aperto delle indagini a sfondo politico sul suo conto. In tribunale Fo venne assolto mentre Paolucci e il direttore Galimberti furono condannati al pagamento di un ammenda. In quell occasione Carlo De Martino difese a spada tratta i due giornalisti. Sul giornalismo di oggi si mostra esitante. Non vorrei sembrare passatista come tutti i vecchi, ma la situazione mi sembra abbastanza precaria. Credo che la tecnologia abbia impoverito i cronisti nuocendo alla loro professionalità. Manca spesso l approccio diretto con i fatti e il controllo delle fonti è approssimativo. In cinquant anni Ibio Paolucci ha visto nascere e crescere la democrazia italiana e ne ha vissuto con trepidazione le fasi più oscure. Una di queste sono stati gli anni 70, un periodo di grandi disastri ma anche di grandi passioni. C era una fortissima tensione ideale che percorreva tutto il mondo del giornalismo, e non solo. In quegli anni, da cronista di giudiziaria, conobbe una persona particolare della quale sarebbe diventato amico: il pubblico ministero Emilio Alessandrini, ucciso il 29 gennaio 1979 dai terroristi di Prima Linea. Mantengo tuttora buoni rapporti con la famiglia; ci telefoniamo spesso e qualche mese fa sono andato al matrimonio del figlio Marco. Tempi difficili quelli. Tempi di bombe e omicidi. Ma Paolucci li rimpiange: Oggi c è troppo disincanto. Credo che il venir meno delle grandi passioni abbia anche impoverito il giornalismo. Senza passione questo mestiere diventa superfluo e intollerabile. Alla fine dell intervista si mette bonariamente in posa per un paio di foto. Poi una stretta di mano e un arrivederci. E lo lasciamo lì, al lavoro, nel suo ufficio affacciato su Milano. Luca Gualtieri A Il Giornale Tauceri trasferì questa precisione mettendola al servizio del genio giornalistico di Montanelli, il direttore per eccellenza: Indro dimostrò di essere un motivatore eccezionale, oltre che una penna fantastica. Quando scriveva per il Corriere veniva in redazione molto raramente e viveva soprattutto tra Cortina, Roma e Venezia. Da direttore cambiò tutte le sue abitudini: a 70 anni cominciò a stare dodici ore al giorno in redazione, dimostrando una cordialità insospettabile. Una sola volta il grande Indro fu insistente. Nel 1982 decisi di andare in pensione, anche se avevo solo 55 anni. Era il primo luglio: l Italia giocava in Spagna un Mondiale che sarebbe passato alla storia e Montanelli non si aspettava certo che io lasciassi proprio in quel momento. Mi chiamò per tre giorni di fila per convincermi a restare, ma ormai avevo deciso. Anche quella volta, senza pensarci troppo. Da quel giorno, Tauceri si è dedicato al tennis, la sua vera passione. Frequenta il Bar Galleria, elegantissima casa di molti appassionati della racchetta a due passi dal Duomo, e presiede l Associazione internazionale dei tennisti giornalisti. Un piacevole impegno, che mi ha consentito di girare l Europa ed essere ricevuto da molte personalità, su tutti Gerard Schroeder. Anche all ex cancelliere tedesco Tauceri deve aver raccontato del giorno in cui Luca Cordero di Montezemolo lo chiamò per sfruttare la sua enciclopedica conoscenza statistica. Mi telefonò e mi disse Ci serve qualcuno che curi la banca dati dei Mondiali di Italia 90. Deve venire domattina: alle 10 troverà all aeroporto un prepagato per raggiungermi. Tauceri, inutile dirlo, non ci pensò troppo. Alle dieci prese l aereo e per un mese registrò risultati, punteggi e marcatori. Gli stessi che oggi ripete a chi gli chiede, tra un set e l altro, di raccontare i giorni in cui Schillaci illuse una nazione intera. Luca Bianchin un documentario sul Teatro alla Scala e Arturo Toscanini. Grazie all esperienza in Rai, Ilio ha avuto modo di conoscere alcune tra le personalità dell epoca: il cancelliere Adenauer, papa Roncalli, Mattei, i più grandi direttori d orchestra e celeberrimi cantanti lirici. Una volta sono stato a mangiare con Totò - racconta - e me lo immaginavo vispo, scherzoso, come nei film. Invece mi sono trovato davanti un uomo triste, taciturno; come la maggior parte dei veri comici. Assai più divertente un aneddoto riguardante Gianni Morandi. L ho intervistato quando faceva il militare a Pavia, e quando era di sentinella c era un passaggio continuo di ragazze. Credo di essere uno dei pochi a possedere ancora il disco Ciao Pavia, la canzone che ha inciso in quel periodo. Alessandro Ruta 12 ORDINE

13 Ventiquattro medaglie d oro per cinquant anni nell Albo ORDINE Paolo Arzano Mezzo secolo in redazione con Bergamo nel cuore Meglio essere il numero uno a Bergamo che uno dei tanti a Milano. Parola di Paolo Arzano, giornalista che proprio alla città orobica ha legato a doppio filo il suo nome e la sua professione. Arzano è nato ad Alba, in provincia di Cuneo: Mio padre era un ufficiale dell esercito, pertanto la mia famiglia ha girato l Italia in lungo e in largo, prima di stabilirsi definitivamente a Bergamo, che è diventata la mia città. Giornalista sportivo, Arzano ha mosso i primi passi come collaboratore dell Eco di Bergamo e corrispondente di Sergio Nunziata Olimpiadi e Tour de France. Poi fu febbre da cavallo Iniziò tutto con una partita di calcio dilettantistico in Campania. Sedeva ancora tra i banchi del liceo classico Genovesi di Napoli, Sergio Nunziata, quando venne mandato per la prima volta dalla redazione partenopea del Corriere dello Sport in un campetto di provincia. Cominciai quasi per gioco. Un mio compagno di liceo mi disse che Il Corriere dello Sport cercava giovani volenterosi per le cronache di avvenimenti sportivi locali. Decisi di provarci. Trasferitosi con la famiglia a Milano, nel 1956 Nunziata approdò al Corriere Lombardo diretto da Benso Fini. Un maestro, oltre che un galantuomo. Quando nel 1961 fu costretto a lasciare il giornale, a causa degli screzi con l'editore Pesenti, riunì la redazione e disse: 'Tenete bene in mente una cosa. i giornali non sono solo carta scritta, ma hanno anche un'anima. Ricordatevelo sempre. Grazie allo sport ho girato il mondo Uno dei lati positivi del mestiere di cronista sportivo è quello di dover raggiungere per lavoro ogni angolo del mondo. Sono stato più volte in Giappone, in Australia, negli Stati Uniti, in Canada, a Cuba, in Venezuela una volta anche in Nicaragua, per i campionati del mondo di baseball. Avere la possibilità di conoscere tutti questi posti, lavorando, è bellissimo. Romolo Mombelli ha girato i cinque continenti nella sua duplice veste di giornalista sportivo e di matchmaker (in particolare del campione di pugilato Sandro Mazzinghi). Il tutto in perfetta sintonia con la ricerca continua di emozioni che sin dall'adolescenza lo ha contraddistinto. A 17 anni sono stato volontario della Repubblica di Salò. Più che dagli ideali, fu una scelta dettata dal mio spirito d'avventura. Nel dopoguerra Mombelli coltiva due passioni: il ballo e MEMORIA Se ne è andata in silenzio, a pochi mesi dal cinquantesimo anniversario di matrimonio con l Ordine dei giornalisti lombardi. Ha perso la battaglia contro il male che l aveva colpita un anno fa e si è spenta, lontana dai clamori. Un addio dietro le quinte: così era stato il suo lavoro. Luciana Falda era entrata nel giornale economico-finanziario 24 ore nel momento della sua fondazione, avvenuta nel mese di settembre del 1946, e aveva raggiunto la posizione di segretaria di redazione. Mansione che portava a stare dietro le quinte, pur dando un contributo prezioso. Stadio prima di essere assunto dal Giornale del Popolo, dove ha svolto il praticantato. Professionista dal 1956, oltre al lavoro nei quotidiani (dal 1964 passa a L Eco di Bergamo dove resta per 15 anni, 12 dei quali da caposervizio dello sport) Arzano ha diretto diverse testate locali, come il quindicinale Boxe Match (1954), il mensile Bergamo Motori (1957) e il quindicinale Lombardia Nove (1968). Tra le creature di Arzano anche un agenzia di stampa - l Alin (Agenzia lombardia informazioni) - pubblicata settimanalmente a mezzo ciclostile proprio : Un idea mutuata dalle agenzie nazionali di Roma. Mandavamo il foglio ciclostilato con le notizie più significative della settimana a tutti i cittadini bergamaschi. È durata tre anni. Altra esperienza ricordata da Arzano, una collaborazione con la Regione Lombardia presieduta da Piero Bassetti Proprio dalla massima di Fini si innesca una riflessione sul giornalismo odierno: I quotidiani di oggi sono fatti di macchine. L'uomo è diventato una componente marginale, perché si è persa la voglia di andare a cercarsi le notizie per strada, sui marciapiedi. Ora i giornalisti stanno tutti incollati al desk, mentre il mio, ecco, era un giornalismo da marciapiede. Al Corriere Lombardo Nunziata vive gli anni più intensi della sua carriera: le Olimpiadi di Roma, il Tour de France del '61 seguito in sella a una moto Guzzi, sino al passaggio dallo sport alla cronaca nel I due anni e mezzo alla cronaca sono stati quelli di maggior impegno, ma anche i più formativi nella mia vita professionale. Era eccitante sentire intorno la città che pulsava, mutava, e tu eri chiamato a raccontarne uno spicchio, un aspetto. La cronaca, si sa, non concede Romolo Mombelli Luciana Falda Segretaria di redazione con grinta e correttezza Nata a Milano il primo luglio 1921, Falda è sempre stata legata alla sua città. La passione per il giornalismo è germogliata di pari passo con l amore per la musica e la lirica. Proprio l ascolto di arie e gorgheggi ha forse alleviato l ultimo, doloroso anno di malattia. La grinta non le è mai mancata fin da quando aveva mosso i primi passi all interno della redazione di 24 ore e, in seguito, del Sole-24 Ore. Eccola, quindi, al seguito delle più importanti personalità politiche, economiche e finanziarie. Il tutto con un obiettivo ben preciso: contribuire alla rinascita sociale e civile del ( ): Creammo Nuova Lombardia, una sorta di antesignano dei vari ViviMilano e TuttoMilano. Arzano dirige Nuova Lombardia fino al 1975, quindi approda a Bergamo Radio (la prima emittente bergamasca), di cui è direttore fino al Nel 1984 è nominato condirettore di Bergamo Oggi e dal 1997 al 1999 è direttore editoriale del Nuovo Giornale di Bergamo. Dal 2002 al 2004 è stato infine addetto stampa del Comune di Bergamo. Tre sono i maestri ricordati da Paolo Arzano: Ugo Cuesta, ex direttore del Tempo di Milano e della Gazzetta di Parma e mio direttore al Giornale del Popolo; Alessandro Minardi, che subentrò al grande Giovannino Guareschi alla direzione di Candido e che sostituì Cuesta al Giornale del Popolo, e monsignor Andrea Spada, storico direttore dell Eco di Bergamo. Grande appassionato di jazz (è direttore artistico di Bergamo Jazz), Arzano ha scritto anche diversi libri, tra i quali Una storia dell Atalanta (con Elio Corbani), Bergamo da scoprire (con Paolo Sparaco), Jazz live in Bergamo e Papa Giovanni, missione nei Balcani (con Maurizio Minardi). Cleto Romantini pause o momenti liberi. Capii che, da sposato, non potevo insistere con quella vita da mezzo zingaro. Memore del mio vecchio amore per purosangue e trottatori, traslocai nella redazione del Trotto Sportsman. Lì Nunziata rimase trent'anni, diventando prima vicedirettore e poi, per un anno, direttore. Due i ricordi più vivi: il resoconto in prima pagina sull'alluvione di Firenze del 1966 e la colonna e mezzo sul St Leger inglese del 1967, dettata a braccio dall'ippodromo di Doncaster a un giornalista improvvisatosi stenografo. In ultimo, una citazione di Joseph Pulitzer per chi vuole intraprendere il mestiere: Se vuoi vendere molte copie del tuo giornale domani, sii sensazionale. Se vuoi vendere molte copie del tuo giornale sempre, sii onesto. Marco Guidi la scrittura. Nel 1948 divenni campione nazionale di danze latine. Nel frattempo scrivevo in continuazione, soprattutto novelle e sketch radiofonici per il comico Fausto Tommei. Abbandonate le piste da ballo, la prima collaborazione alla Notte. Era il 1952: Mombelli non poteva nemmeno immaginare che avrebbe scritto sul quotidiano del pomeriggio per 42 anni. Nino Nutrizio creò La Notte appositamente per le elezioni politiche di quell'anno. Doveva durare 6 mesi, finì per essere uno dei giornali più importanti dell'italia repubblicana. All'inizio scrivevo per pochi quattrini. La domenica ero pagato 1500 lire, una miseria. Davvero non avrei pensato di fare lì la mia carriera giornalistica. Divenuto professionista nel 1957, Mombelli si dedicò allo sport a 360 gradi, sia all'interno del giornale, dove raggiunse la carica di caposervizio, sia come capoufficio stampa dell'ignis e della Sis. Poche, ma fondamentali, le regole cui attenersi per un giornalista sportivo. Una in particolare: Separare l'amicizia dalla professione. Quando scrivevo per il giornale non risparmiavo nessuno. Dai calciatori Skoglund e Nesti, con cui giocavo a poker durante le trasferte dell'inter, al mio grande amico Duilio Loi, forse il miglior pugile italiano del dopoguerra. E alla nobile arte della boxe Mombelli ha dedicato un'enciclopedia scritta nel 1968, Il Pugno d'oro. Mi manca molto il giornalismo, dice adesso. Dal fascino perduto delle vecchie tipografie a quella sensazione di essere sempre di corsa. Non scrivo più, ormai mi limito a leggere. Marco Guidi Paese in un periodo così difficile come quello della ricostruzione. Dieci anni di gavetta fino al 1956 quando giunge l iscrizione all Albo dei giornalisti professionisti. Sempre segretaria di redazione, un ruolo di solito ricoperto da uomini, ma che Falda riusciva a svolgere con la massima disponibilità e correttezza. Le chiavi della macchina del giornale non sono mai state in mani più sicure, tra rimborsi spese, contatti con i corrispondenti e incontri con i colleghi. Ci sarà un grande vuoto al Circolo della Stampa al momento della cerimonia. Chiunque dovrà custodirne la memoria perché si sappia che è scomparsa una grande giornalista. Soprattutto una grande donna. Alessandro Ruta 13

14 T E S I D I L A U R E A Pubblichiamo la sintesi della tesi di Enrico Simone Benincasa (discussa nell'aprile 2005) Il Sole-24 Ore da quotidiano a fabbrica di notizie. Benincasa si è laureato nell'aprile 2005 all'università degli Studi di Milano Bicocca, facoltà di Sociologia, laurea in Sociologia a indirizzo comunicazione. Relatore professor Francesco Abruzzo, correlatore professor Giorgio Grossi. Il Sole-24 Ore da quotidiano a fabbrica di Enrico Simone Benincasa La nascita de Il Sole: l idea originale di Gaetano Semenza e Francesco Vallardi Il panorama giornalistico a Milano, negli anni immediatamente successivi all unificazione italiana, si presenta molto diversificato. A farla da padrone è Il Pungolo, a cui si affiancano La Perseveranza e La Gazzetta di Milano. La città è già da tutti considerata uno dei più importanti centri economici della penisola ed ospita sul suo territorio la sede di una delle più grandi borse italiane (insieme a quella di Genova): è facile, quindi, immaginare come all interno della società lombarda si sia sviluppato un ceto borghese-imprenditoriale particolarmente attivo nei mercati e negli affari in generale. Ed è proprio a questa emergente formazione sociale che guarda Gaetano Semenza, imprenditore tessile lodigiano trasferitosi a Londra qualche anno prima. Egli è convinto della necessità di un giornale che sia espressione di quel liberalismo progressista lombardo che tanto ha contribuito alla crescita non solo economica della regione e del suo capoluogo. Semenza, nonostante i buoni intenti, non può esporsi economicamente in maniera tale da coprire gli interi costi di realizzazione e gestione del giornale e si accorge ben presto della necessità di coinvolgere in questa avventura persone disposte ad investire capitali nel progetto. Fortunatamente tra le sue conoscenze c è anche l editore milanese Francesco Vallardi che si dimostra fin da subito sensibile all iniziativa. Oltre ad occuparsi della stampa, Vallardi si dichiara disponibile a sottoscrivere una quota della futura società facente capo al foglio. Il progetto di Semenza, comunque, necessita ancora di ulteriori capitali. L imprenditore lodigiano riceve aiuto anche dai suoi familiari come i fratelli Pennocchio (uno di essi era suo cognato), anch essi imprenditori nel campo della seta. Successivamente intervengono nuove forze a sostenere questa iniziativa editoriale: sono gli industriali Eugenio Cantoni, Ercole Lualdi, Pietro Brambilla, Filippo Weil Schott e Vittorio Ferri, tutti soci della neonata Il Sole - F.lli Pennocchio e Comp., costituita il 20 dicembre Il quotidiano esce per la prima volta il 1 agosto 1865 con la dicitura giornale commerciale e politico. Reca anche un sottotitolo: per tutti splende. Questa particolarità, come spiega il corrispondente da Parigi don Marzio il 27 agosto dello stesso anno, riprende un detto transalpino. Come egli stesso scrive, Il Sole è un giornale che deve illuminare e scaldare la libertà. Gli è per questo che si vede in testa il vecchio proverbio francese le soleil luit pour tout le monde, per indicare che nella moderna società vi sono vantaggi, ai quali tutti hanno il diritto di partecipare. La prima pagina del primo numero del quotidiano risulta suddivisa in sei colonne tutte dedicate all economia. Sono presenti notizie dalla borsa di Genova, i prezziari della seta e del cotone sul mercato di Milano, i dispacci dell agenzia Stefani, le quotazioni dei cambi e i commenti sull andamento delle borse. Il modello grafico a cui si fa riferimento è quello del più importante giornale britannico, il Times di Londra. Il primi due anni di vita del giornale sono abbastanza tormentati, sia per via della scarsa stabilità economica della società editrice, sia per la difficoltà nel trovare una linea editoriale dopo il prematuro abbandono del primo direttore Guerzoni ed in seguito i dissensi con la proprietà avuti dal suo successore Mussi. Rossi, illustre esponente degli imprenditori sulle pagine de Il Sole, porta all arrivo di altre importanti firme come Camillo Olivetti, Giovanni Agnelli, Alberto Pirelli, Pio Perrone e Giorgio Falck. L arrivo di Bersellini alla direzione de Il Sole coincide con la formazione del governo Giolitti, divenuto primo Ministro in seguito alla scomparsa di Zanardelli. Giolitti inizia il suo mandato all insegna delle riforme tra cui c è anche quella tributaria, aspettata da tempo anche da Il Sole. A tali promesse non seguono i fatti e le riforme, compresa quella fiscale, rimangono accantonate. Il quotidiano milanese, quindi, non esita a schierarsi apertamente contro questo esecutivo anche per via dell immobilismo dimostrato di fronte al problema degli scioperi che agitano la società italiana. La posizione del giornale di Bersellini è perfettamente in linea con il giudizio del mondo imprenditoriale, impensierito per le aperture di Giolitti nei confronti dell ala socialista del Parlamento. Desta preoccupazione, inoltre, il tentativo del premier piemontese di allargare la sua base attraverso l inserimento delle masse cattoliche nella vita politica italiana tramite il famoso Patto Gentiloni del Solo la politica coloniale di quest ultimo avvicinerà Il Sole al governo. La poca considerazione dimostrata nei confronti degli imprenditori porta Il Sole di Bersellini a sposare la causa dell associazionismo industriale, dando risalto alla formazione della Lega di Torino (1906) e alla pubblicazione dello Statuto della Confederazione dell industria (1910). La direzione Bragiola Bellini Il 1 aprile 1867 è un giorno importante per Il Sole: da questa data, infatti, parte l era Bragiola Bellini. Il giornalista vicentino, collaboratore del foglio fin dalla sua fondazione, vede approvato il suo progetto di rifondazione della testata da parte di Semenza e Cantoni. Oltre a contemplare un ridimensionamento del formato, tale progetto viene incontro alle esigenze della proprietà in quanto prevede la riduzione della parte politica del giornale in favore di quella economica. Cambia anche la dicitura del foglio, che diventa economico, finanziario, commerciale. Da questo momento, inoltre, Pietro Bragiola Bellini è il nuovo direttore del quotidiano Il Sole (succede a Cesare Parenzo, reggente del quotidiano insieme a Billia in seguito alla dipartita di Mussi). La fiducia di cui il nuovo direttore de Il Sole gode nell area mazziniana e in quella democratica lo aiuta nel convincere illustri personaggi a collaborare con la sua testata. Tra di loro c è anche Dario Papa che, a partire dal 1870, ancor prima di affrontare la sua famosa esperienza americana, scrive diversi articoli per Il Sole. Vanno inoltre ricordate altre prestigiose firme di questo periodo del giornale come Vittorio Ellena, Pietro Rota, Alessandro Romanelli e Gaetano Cantoni, Gabriele Rosa e Felice Cameroni. Altra caratteristica che contraddistingue Bragiola Bellini è senz altro la sua grande capacità di mediazione. Questa sua dote lo aiuta a far convivere all interno de Il Sole personalità di orientamenti diversi come l economista Luigi Luzzatti e l imprenditore Alessandro Rossi. Nonostante qualche scontro (come il forte contrasto tra i due sull abolizione del corso forzoso), la contemporanea presenza trentennale di questi due portatori di punti di vista differenti dà notevole lustro al foglio, consacrandolo come una delle arene di discussione più libere nell intero panorama giornalistico italiano. Il Sole di Bragiola Bellini si configura come un giornale laico, economico, europeo e pacifista. Il quotidiano si impegna in diverse battaglie, tra le quali spicca quella legata al completamento del disegno unitario, e per alcune conquiste sociali, come il suffragio universale per i non analfabeti e il divieto di introduzione della pena di morte. Seppur dichiaratamente equidistante in politica, il foglio ha maggiori simpatie per la sinistra moderata, simpatie che verranno meno in seguito ai primi cenni di trasformismo da parte di Depretis. Anche con Crispi Bragiola Bellini non si dimostra tenero. Tra i tanti argomenti di scontro tra Il Sole e il nuovo premier spicca la politica coloniale di quest ultimo, basata su presupposti imperialistici e sul desiderio di porre la penisola italiana come punto di riferimento nel Mediterraneo. L aspetto commerciale del colonialismo, argomento molto caro al quotidiano milanese (nel 1878 promotore insieme a Carlo Erba di una spedizione esplorativa proprio in Africa), non sembra essere preso in considerazione dal governo Crispi. Anche il governo guidato da De Rudinì (successore di Crispi, dimessosi in seguito alla disfatta di Adua del 1896). È inizialmente accolto con simpatia dal quotidiano, simpatia che però non trova seguito per via della tremenda repressione ordinata dal governo in seguito ai tumulti di piazza scoppiati per l aumento del prezzo del pane del Analoga sorte tocca a Pelloux: i suoi tentativi di limitare la libertà di stampa e la funzione di controllo del Parlamento sul governo sono vivamente osteggiati da Bragiola Bellini e dai suoi collaboratori. L arrivo di Achille Bersellini Nel 1905, con la costituzione della nuova società editrice del giornale Società Anonima La Stampa Commerciale, termina anche la direzione di Pietro Bragiola Bellini che abdica in favore del genero Achille Bersellini, socio di maggioranza della neonata società. Bersellini prosegue l opera di Bragiola Bellini apportando poche ma significative migliorie al quotidiano, tra cui una maggiore attenzione al mondo accademico e a quello bancario. La sua amicizia con Bonaldo Strigher porta alla pubblicazione della relazione annuale del direttore generale della banca d Italia, appuntamento destinato a ripetersi nel corso degli anni. L arrivo di commentatori degli scenari economico-politici provenienti dal mondo universitario è capeggiato da Federico Flora e Gino Borgatta, mentre la scomparsa di Alessandro Il Sole e la prima guerra mondiale Alla vigilia della prima guerra mondiale la stampa italiana si divide sull opportunità o meno di partecipare all imminente conflitto. Il Sole è inizialmente fautore della neutralità che, secondo il giornale, è la migliore soluzione per l industria italiana. Con l avvicinarsi del 1915, però, il giornale assume decisamente posizioni interventiste come la quasi totalità della stampa italiana (unica eccezione di rilievo è l Avanti!). In seguito all entrata in guerra dell Italia al fianco di Francia e Inghilterra il quotidiano di Bersellini si concentra prevalentemente sugli aspetti economici del conflitto, rivendicando una maggiore attenzione per le problematiche dell industria. Ampio spazio, ad esempio, viene dato alla polemica riguardante la tassazione dei sovrapprofitti delle imprese causati dal grande aumento della domanda interna e alle tematiche riguardanti la riconversione industriale. In questo momento, gli orientamenti de Il Sole e quelli della classe imprenditoriale italiana sono vicini come mai in precedenza. Di contro, questa comune visione tra il foglio milanese e il mondo industriale fa perdere al quotidiano quella pluralità di voci che lo aveva contraddistinto sin dalla sua nascita. Il Sole, anche dopo la fine della guerra, continua a fare propri i problemi e le paure dell imprenditoria italiana. La crescita sproporzionata delle industrie italiane, dovuta in gran parte all aumento della domanda dello Stato per le commesse di guerra, rischia di bloccarsi improvvisamente per via dell inevitabile riconversione: il mercato interno non è in grado di assorbire l eccesso di offerta derivante dall espansione delle industrie perché colpito dall inflazione e rincari. Per questo il giornale chiede al governo guidato da Nitti di maggiori tutele per il settore industriale: quest ultimo, però, sembra essere più sensibile alle rivendicazioni dei movimenti operai. La crescita della sinistra socialista in Parlamento e l aumentare degli scioperi spinge Il Sole verso posizioni più conservatrici. Questo spostamento a destra del quotidiano si manifesta con l interesse verso i nuovi movimenti nazionalisti e verso iniziative come la conquista dannunziana di Fiume. 14 ORDINE

15 Ordine dei giornalisti della Lombardia Supplemento al numero 3 di Ordine Tabloid - Marzo 2006 Ifg, via Fabio Filzi Milano, tel fax Reg. Tribunale di Milano n 213 del 26 maggio 1970 direttore responsabile Franco Abruzzo Associazione Walter Tobagi per la Formazione al Giornalismo Istituto Carlo De Martino per la Formazione al Giornalismo Report Scienza e informazione, due mondi più vicini SMENTITE DALLA GENETICA LE TESI MASCHILISTE DEL RETTORE DI HARVARD MISTER X IL CROMOSOMA DELLE DONNE Lo scorso gennaio Larry Summers è salito alle luci della ribalta. Non per il suo ruolo istituzionale di rettore di Harvard, ma per una sua polemica affermazione: l uomo sarebbe più capace, più portato della donna a fare scienza. La genetica smentisce: una ricerca pubblicata su Nature nel marzo 2005 identifica nel cromosoma X, il cromosoma femminile, la sede di numerosi geni deputati ad alte funzioni cognitive. E le donne hanno due cromosomi X in ciascuna cellula, al contrario degli uomini, nei quali il gemello è una versione ridotta, il cromosoma Y. Le donne usano solo uno dei due cromosomi X per ogni cellula, mentre l altro non è attivo. Quindi, se uno dei due cromosomi ha un difetto, solo le cellule in cui questo è attivo La ricerca Usa più avanzata lancia la sfida: il sesso debole è più intelligente del sesso forte ne soffriranno. Nel maschio, invece, ogni disordine genetico dell unico cromosoma X, magari a livello cerebrale, emergerà inevitabilmente. Le donne, però, aspettino a esultare: la persona non è solo il suo patrimonio genetico, ma l interazione di questo con l ambiente. Non tutte le caratteristiche del genio, inoltre, risiedono nel cromosoma X. La lotta tra i sessi per la pole position della scienza può quindi concludersi, con buona pace di Larry Summers, in un onesto pareggio. Luca Giacomelli D ue mondi a volte lontani, legati da un rapporto colorato di contrasti: interesse e superiorità, gelosia e curiosità, superficialità e conoscenza. E ppure i giornali e la TV sono sempre più pieni di scienza, ci raccontano delle nuove tecnologie e della nostra salute, da un lato esponendo i limiti degli uomini di scienza nel comunicare e dall altro mettendo spesso in luce la scarsa preparazione dei giornalisti verso il linguaggio e i tempi della ricerca e della scienza in generale. M olte iniziative negli ultimi anni hanno cercato di avvicinare questi due mondi: corsi di aggiornamento per giornalisti (alcuni organizzati proprio dall Ordine dei giornalisti della Lombardia), e master universitari, che cercano di formare una coscienza scientifica nei giornalisti o tentano di fornire alle figure professionali che ruotano attorno alla ricerca gli strumenti minimi per muoversi nel mondo dell informazione. Q ueste pagine rappresentano il lavoro degli studenti di uno di questi corsi di specializzazione: il Corso in comunicazione scientifica organizzato dalla facoltà di Farmacia dell Università di Milano in collaborazione con l associazione W. Tobagi e la Regione Lombardia, giunto alla sua decima edizione. Sono dieci anni che il Centro studi comunicazione farmaco cerca di coniugare scienza e informazione attraverso la formazione di giovani (e meno giovani) laureati in materie prevalentemente scientifiche. Gli studenti del corso sperano quindi di essere riusciti a stimolare la curiosità dei colleghi maggiori verso l intricato ma affascinante mondo scientifico. Luca Arzuffi La lunga e complessa avventura evolutiva dei cromosomi del sesso Trecento milioni di anni fa, l epoca in cui i mammiferi hanno iniziato a differenziarsi dai rettili, X e Y erano cromosomi assolutamente normali, non diversi dagli altri. Ma l evoluzione aveva riservato loro un compito preciso: determinare il sesso dell individuo. Per raggiungere lo scopo era necessario trasformare i due cromosomi in qualcosa di diverso. A scoprire quando e come questo è avvenuto sono stati Bruce Lahn e David Page, genetisti dell Università di Chicago: i due ricercatori, in un articolo pubblicato su Science lo scorso ottobre, hanno distinto le tappe evolutive che hanno condotto all attuale modalità di determinazione del sesso nei mammiferi. Molti geni del cromosoma X hanno i loro omologhi in quello Y. Queste coppie di geni omologhi sono per Lahn e Page i veri testimonial della storia evolutiva dei cromosomi sessuali. TABLOID Come due gemelli, separati dal tempo Analizzando il numero di mutazioni avvenute nella forma X e nella forma Y del medesimo gene è stato possibile datare l inizio del loro differenziamento: il primo passo sarebbe avvenuto quando, grazie a una mutazione, uno dei cromosomi ha acquisito il gene chiamato SRY o Sex determining Region Y. Nel corso del tempo i cromosomi X e Y hanno cessato di ricombinarsi, di effettuare cioè quello scambio di DNA che avrebbe Nelle pagine interne Scienze e media: divulgazione o spettacolo consentito loro di mantenere l identità genetica. I due studiosi sono convinti che all origine di tutto vi siano quattro diverse mutazioni che sarebbero avvenute in momenti successivi. Più specificamente si sarebbe trattato di inversioni, particolari mutazioni in cui una porzione di DNA si riposiziona al contrario sul cromosoma. Ogni inversione avrebbe portato i futuri cromosomi del sesso a differire sempre di più tra loro. A causa della mancata ricombinazione, le mutazioni sfavorevoli si sarebbero sommate molto più velocemente sul cromosoma Y, determinandone la degenerazione e l accorciamento. Al contrario, il cromosoma X avrebbe mantenuto la sua integrità genetica e le sue dimensioni essendo comunque in grado di continuare a ricombinarsi nelle femmine con il suo omologo, l altro cromosoma X. Paolo Sparaciari Quando le mutazioni possono diventare causa di gravi patologie Basta un x in più per creare il caos Determina il sesso, regola molte abilità intellettive, ma a volte diventa un pericolo. Anomalie importanti a carico di questo cromosoma, infatti, sono incompatibili con la vita ed eventuali mutazioni possono portare allo sviluppo di tumori e di malattie genetiche. Alterazioni nel numero dei cromosomi sessuali sono correlate a gravi patologie: la presenza di una X supplementare causa nei maschi l insorgenza della sindrome di Klinefelter. Si tratta di una patologia piuttosto frequente, colpisce uno su 500 nati, ma la manifestazione dei sintomi caratteristici è abbastanza rara. Molti uomini affetti vivono senza mai sospettare di avere un cromosoma supplementare. I sintomi sono alta statura, obesità, ingrossamento del seno, mancanza di barba, ipogonadismo, sterilità e un aumentato rischio di disordini autoimmuni. I maschi XXY non presentano ritardi mentali, ma possono andare incontro a difficoltà verbali che si manifestano fin dalla prima infanzia. Da un punto di vista ormonale, si ha una riduzione dei livelli di testosterone accompagnata da un aumento di estradiolo, che conferisce caratteri sessuali secondari femminili al malato. Una cura a base di testosterone dall inizio della pubertà aumenta la resistenza ed il volume dei muscoli e favorisce l incremento della produzione pilifera. La sindrome di Turner, invece, si manifesta solo nelle donne, con una frequenza di una su 2000, ed è dovuta alla presenza di un solo cromosoma X accanto ai 44 cromosomi somatici. Questo comporta una serie di anomalie di differente gravità. Alla nascita si può notare un gonfiore del dorso delle mani e dei piedi, un aumentata distanza fra i capezzoli e la presenza di gomiti valghi. Nella donna adulta, i segni caratteristici sono bassa statura, ritardi nel processo di ossificazione dello scheletro, gabbia toracica di forma anomala, malformazioni renali e cardiache, e insufficienza ovarica con amenorrea e infertilità, che comporta una ridotta produzione di estrogeni. Il corretto sviluppo sessuale è così compromesso. La somministrazione di ormone della crescita ed eventualmente di androgeni può stimolare lo sviluppo corporeo, permettendo la cura sintomatica della patologia. Prendersi cura del proprio X per evitare la trasmissione di malattie genetiche di generazione in generazione: una meta ancora lontana, ma alla quale volge speranzoso l occhio vigile della ricerca. Chiara Chiodini 1(15)

16 Scienza e media: divulg L a scienza in tv è nata insieme alla televisione stessa. La sua prima apparizione è del 1954 con Piccola enciclopedia scientifica : un conduttore in studio presentava pillole di scienza al pubblico della prima serata. Per vedere un cambiamento sostanziale bisogna arrivare alla fine degli anni 60, quando la TV comincia a essere oggetto di studio. È allora che si comprende come il grande successo del mezzo televisivo si debba proprio al suo peculiare codice comunicativo, che è quello delle immagini. Filmati, interviste, animazioni, grafica vanno ad arricchire i programmi di informazione e di divulgazione. In altre parole, si fa leva sullo spettacolo per attrarre lo spettatore. Il primo e insuperato esempio di questo genere di programmi è Quark, di Piero Angela. Il processo di spettacolarizzazione ha il suo apice negli anni 90, quando nella scienza televisiva fa il suo ingresso addirittura la fiction : attori impersonano Leonardo, Galileo, Lavoisier e mostrando anche l ambiente in cui lavoravano e gli strumenti che utilizzavano. La fiction scientifica è però soprattutto di provenienza anglosassone e i programmi italiani (come La macchina del tempo o Sfera ) utilizzano materiale tradotto. «In effetti, lo spettacolo è la modalità con cui la gente guarda la televisione» - dice Sonia Borella, esperta di scienze della comunicazione - «Di per sé, quindi, è qualcosa di positivo perché ha una grande capacità attrattiva. L importante è che G li spazi radio che riguardano scienza e medicina sono in aumento, ma mai un radiogiornale quotidiano era stato interamente dedicato alla salute: la novità è arrivata lo scorso aprile con Salute e Benessere, trasmesso dal lunedì al sabato su una rete di emittenti locali. Ho colto la sfida con entusiasmo perché sono convinta che la salute sia un argomento che interessi tutto il pubblico, spiega Michela Vuga, curatrice del radiogiornale. La salute non è più trattata come materia da rubrica settimanale ma acquista dignità di notizia quotidiana. Il radiogiornale informa sulle novità, iniziative e scoperte in ambito medico-scientifico. Michela Vuga, già divulgatrice di scienza in radio con programmi quali Essere e benessere di Radio 24, spiega che non è semplice rendere divulgabile la ricerca scientifica: bisogna essere semplici per essere alla portata di tutti senza sminuire il contenuto della ricerca e allo stesso tempo accattivanti per non perdere l attenzione TV Il ricatto dell audience resti un mezzo per comunicare delle idee, non il fine». Il mezzo e non il fine: ma è proprio così? Guardando gli esempi di divulgazione scientifica in televisione ci si rende conto che lo spettacolo prevale sulle idee. Anche quando trattano temi molto distanti tra loro, la salute o la difesa dell ambiente, e quando utilizzano stili comunicativi diversi, le domande del pubblico al grande medico o il documentario naturalistico, i programmi televisivi scientifici hanno le stesse caratteristiche. C è un conduttore garante della serietà dei contenuti, un esperto per ognuno dei temi affrontati e, soprattutto, c è spettacolo sotto diverse forme: filmati di forte impatto, interviste a vip della scienza, testimonianze dirette. Che cosa manca allora, perché lo spettacolo non sia solo il fine? «Attraverso le immagini noi possiamo veicolare un prodotto ma non un processo. Ciò che lo spettacolo della scienza televisiva non riesce a spiegare compiutamente è il processo di costruzione del sapere scientifico, la pluralità dei contributi dai quali nascono quelle teorie che poi vengono date in pasto al telespettatore come dati di fatto». RADIO E la medicina viaggia in FM degli ascoltatori. Il radiogiornale fornisce un aggiornamento di circa cinque notizie, di cui due brevi interviste ad esperti, e va in onda in diretta su circa 40 emittenti locali. Conclude la giornalista: Se tutte queste piccole emittenti rappresentassero un unica radio, questa sarebbe seconda solo a Radio1. La scienza in radio riscuote sempre più ascolti perché ciò che fino a poco tempo fa costituiva il sapere di pochi esperti finalmente è diventato alla portata di tutti, grazie a redattori e a conduttori che propongono al pubblico gli argomenti in maniera chiara e comprensibile. Uno sguardo generale mostra come i format si differenzino da radio a radio per proporre prodotti nuovi al pubblico. Da anni Radio 24 manda in onda GIORNALI La salute, che passione La scienza non fornisce verità assolute, ma solo interpretazioni della realtà. A guardare la scienza in televisione si direbbe invece che siamo rimasti fermi alle idee del positivismo: la scienza fornisce risposte certe e univoche e risolve i problemi dell uomo. Nella televisione che vive degli introiti pubblicitari è spesso la scienza-spettacolo a prevalere. Qualcosa di diverso, e di maggior qualità, si può vedere sui canali tematici a pagamento, come Discovery Channel. «Nella televisione generalista mancano figure professionali che diano maggiore visibilità alla scienza, mantenendo vivo l interesse di un pubblico vasto continua Sonia Borella. Si tratta di sperimentare nuove modalità, penso a qualcosa di simile a una tavola rotonda, che possa mettere a confronto diversi scienziati e ricercatori su un tema e far emergere le finalità di una ricerca, le sue basi fondanti e le sue prospettive future». Si tratta di coprire una lacuna informativa della televisione attuale: l esempio dell ultimo referendum sulla fecondazione assistita ha dimostrato come tutti noi, in qualità di cittadini, siamo chiamati a compiere scelte che presuppongono conoscenze che vanno oltre il sapere scientifico di base. Forse, quando scienziati e ricercatori si decideranno a scendere nell arena mediatica, riusciranno a fornire un informazione scientifica degna di tale nome. Letizia Bertini Essere e benessere, un programma sulla salute. Il palinsesto tende a dare un informazione completa sulla patologia trattata di volta in volta: cos è la malattia, quali sono le cause, l incidenza, la diagnosi e le terapie. Di conseguenza, il pubblico interessato anche in prima persona ne ricava un informazione semplice ed esauriente, cosa non sempre facile da ottenere dal medico di famiglia o in ospedale. Un altro tipo di programma è stato ideato da Radio 3, che propone, con la nuova trasmissione Radio 3 Scienza, un microfono aperto agli interventi degli ascoltatori. Il programma supera il tradizionale modello didattico-divulgativo e offre un opportunità d incontro e di dibattito tra comunità scientifica e grande pubblico. Il fine è di mettere la scienza è in primo piano grazie al contributo degli ascoltatori, invitati a partecipare in diretta al programma o via e- mail, attraverso un dialogo paritario che analizzi anche le complesse questioni sociali ed etiche poste dai progressi scientifici. Luisa Franco L a scienza e le tematiche legate alla salute sono tra gli argomenti che più interessano i lettori di quotidiani. Secondo il primo rapporto annuale sulla comunicazione in Italia curato dal Censis, scienza e salute si collocano al secondo posto dei temi preferiti dopo l attualità. La fonte di informazione scientifica preferita è la televisione, seguita in ordine dalla stampa, dalla radio, dalla scuola, da internet e infine dalle pubblicazioni specialistiche. Il Centro studi comunicazione farmaco dell Università di Milano cura un Osservatorio sui quotidiani per le tematiche legate alla salute, analizzando gli articoli dei quattro principali quotidiani italiani: Corriere della Sera, la Repubblica, La Stampa e il Giornale. Tra il marzo e il maggio 2004 la testata con il maggiore numero di articoli sulla salute è risultata essere il Giornale, seguita dal Corriere della Sera, la Repubblica e infine da La Stampa. La media degli articoli pubblicati in una settimana è andata da un minimo di 5,38 fino ad un massimo di 8,54. Nell 80% dei casi, le pagine ospitanti sono state quelle di cronaca, il resto è stato inserito in quelle di scienza e medicina, presenti solo nel Corriere della Sera e nel Giornale, e in quelle che si occupano di altri argomenti non direttamente correlati alla salute. Nel trimestre considerato, i temi maggiormente trattati sono stati la psichiatria e la psicologia, la cardiologia e le patologie cardiovascolari, l infettivologia, la ginecologia e la fecondazione assistita, l oncologia. Se si analizzano per argomenti, si nota che il Corriere della Sera ha dedicato più spazio alla farmacologia, la Repubblica alle biotecnologie, La Stampa alla genetica, il Giornale all odontoiatria. Tutti e quattro i quotidiani hanno dato particolare rilievo alla salute, avendo pubblicato più della metà degli articoli su tre o più colonne. Le immagini sembrano essere considerate uno strumento di divulgazione efficace, considerando che circa i due terzi degli articoli presi in considerazione sono arricchiti da una foto e circa un terzo da un approfondimento grafico. Negli ultimi tempi i quotidiani hanno sviluppato sempre più l infografica posta a corredo degli articoli scientifici con lo scopo di chiarire meglio i concetti espressi: la Repubblica è la testata che ne fa più uso, seguita dal Corriere della Sera, La Stampa e il Giornale. L aspetto maggiormente considerato negli articoli risulta essere quello generale, che abbraccia vari settori, seguito dalla terapia, dalla prevenzione, dalla ricerca e dalla diagnosi. Katherine Salessi-Nia Una parete concava inondata di flutti virtuali e una vera baleniera al centro della stanza; manovrando il timone la linea dell orizzonte si inclina, la barca beccheggia sulle onde e in fondo, avvolto dalla bruma e sfumato dalla pioggia, si intravede il promontorio di Capo Horn, meta della navigazione. Una rivoluzione nei musei dalla teca al multimediale È la Sala della Tempesta di Galata Museo del Mare di Genova. Un sistema interattivo multimediale 3D ricrea suoni e immagini che simulano in tempo reale il mare, il moto ondoso, gli eventi atmosferici e visualizza il modello in tre dimensioni di Capo Horn. La rivoluzione nel concetto di educazione scientifica e di museografia è approdata da San Francisco a Parigi nel 1986 e si è incarnata nella Cité des Sciences et de l Industrie nel Parc de la Villette. L analogo italiano è la ormai nota Città della Scienza di Napoli. Non meno attivi, però, sono i centri più piccoli come l Explora di Roma, il Museo interattivo delle scienze di Foggia e la Città dei Bambini di Genova. Proprio Genova è da due anni lo scenario del Festival della Scienza. Piazze, teatri e musei della città per tredici giorni danno voce al sapere scientifico usando media e linguaggi diversi: danza, arte, documentari televisivi, teatro, cinema, dibattiti e incontri con scienziati, filosofi e intellettuali. La manifestazione privilegia l approccio interattivo e multimediale, ormai indispensabile per attrarre le giovani generazioni, la trasversalità degli eventi e degli argomenti e un linguaggio capace di veicolare la scienza a tutti: grande pubblico, bambini e ragazzi, specialisti ed appassionati. Le Frontiere della conoscenza sono state il tema del 2005, quelle del nostro pianeta e dell universo, della fisica e di numerose altre discipline, fino a quelle della scienza stessa. Viene da chiedersi, tuttavia, se la scienza spettacolarizzata non rischi di occultare la propria storia di lenti e complessi processi esplorativi e di diminuire la propria credibilità, se l aspetto educativo non sia offuscato dall intrattenimento fine a se stesso, se i musei non si riducano a dei luna park e le grandi scoperte scientifiche a dei videogiochi. Indubbiamente sono rischi possibili, ma meno preoccupanti della disaffezione ai temi scientifici e della desolazione dei vecchi musei pieni di polvere e teche trasparenti, dove la scienza risultava incomprensibile e noiosa. Sempre più spesso invece è parte della quotidianità, spesso ne usiamo i principi senza conoscerli, è in continua e rapida evoluzione e così dovrebbe essere anche il suo linguaggio. Claudia Ortugno 2(16) TABLOID

17 azione o spettacolo? In Spagna è nato un immenso contenitore per un sapere da vivere A Valencia è quasi completata la costruzione di una città nella città. La Comunidad Valenciana è stata capace di creare uno sfarzoso polo culturale e del divertimento di respiro internazionale. Il progetto per la Città delle Arti e delle Scienze di Santiago Calatrava è situato lungo il letto ormai secco del fiume Turia. Una striscia di terra di otto chilometri di lunghezza per 200 metri di larghezza. Eccone i pezzi : - Planetario del Museo della Scienza e della Tecnica del Umbraculo del Il Palazzo delle Arti, inaugurato l'8 ottobre Paesaggi incantati e animali insoliti: queste sono le prime immagini che vengono in mente pensando alla fotografia nella scienza. Questi modelli riportano al ruolo attribuito fin dalle origini al mezzo fotografico, ovvero quello documentaristico. Che si tratti di paesi esotici, di foto segnaletiche o di microorganismi, la fotografia ha la caratteristica, almeno presunta, di fissare la realtà sulla carta per documentarla e conservarla per successive osservazioni. Con la fotografia la ricerca acquista il fascino della grande opera d arte Estensione e potenziamento dell occhio umano, la macchina fotografica fissa ciò che l occhio osserva e, congelandolo, restituisce particolari talvolta inaspettati. Ma dietro la macchina fotografica esiste una persona che sceglie quale realtà raccontare e, così facendo, racconta la verità che il suo occhio vede. Se la fotografia scientifica fosse soltanto un mezzo per documentare la realtà, verrebbe quindi persa la caratteristica che fa di questo mezzo un arte, oltre che uno strumento. D altra parte, come esprimere la bellezza della scienza che per sua natura dovrebbe essere rigorosa, imparziale e riproducibile? Agli occhi degli scienziati il connubio tra scienza e bellezza non è una novità: un esperimento può essere definito bello e una teoria elegante, la difficoltà semmai nasce dal trasmettere questi concetti al pubblico. Come far cogliere a un occhio inesperto il fascino intrinseco di un esperimento scientifico? Molti scienziati fotografi si sono recentemente cimentati in questa sfida riuscendo a rappresentare la bellezza del lavoro scientifico in una forma artisticamente lodevole. È il caso, per esempio, di Felice Frankel, ricercatrice del Massachusetts Institute of Technology, le cui immagini sono apparse più volte sulle copertine di riviste scientifiche come Nature. Le mostre della Frankel sono infatti un richiamo anche per il grande pubblico. L ultima raccolta di immagini, intitolata L incanto della scienza e pubblicata in un libro dallo stesso titolo, è stata esposta anche in Italia nell utima edizione del Festival della Scienza di Genova. Nel suo lavoro la ricercatrice, con l utilizzo di una macchina fotografica talvolta collegata a un microscopio, ha fotografato alcuni esperimenti scientifici e, collaborando con gli autori degli esperimenti, ha riportato un immagine affascinante di esperimenti reali. Ferrofluid, una delle immagini di Felice Frankel, scienziata del MIT Le immagini sono spettacolari, ma il rischio è che la pura bellezza, la perfezione delle simmetrie finiscano per sopravanzare il racconto di un duro lavoro. Esiste anche un altro rischio: le immagini, per essere rese così spettacolari, sono necessariamente elaborate. I colori talvolta non sono quelli naturali e anche il taglio e la visuale vengono modificati in modo tale che l oggetto dello studio mostri il lato migliore di sé. Per quanto non privo di difetti, il lavoro dell autrice ha comunque il merito di avvicinare il grande pubblico alla scienza attraverso l uso dei nostri occhi, in un modo accessibile a tutti e di facile comprensione. Questo modo di comunicare la scienza sta diventando così importante da spingere il MIT a organizzare una manifestazione in proposito. L Image and Meaning, che si è tenuto a giugno, è solo alla sua seconda edizione ma ha già raccolto numerosi consensi, riuscendo a radunare in un unica manifestazione scienziati, scrittori, fotografi e architetti per mostrare come sia possibile comunicare la scienza attraverso le immagini. Valeria Maida Quelli che si limitano saggiamente a considerare solo ciò che è possibile non avanzano mai di un passo : così afferma il professor Renato Cacciappoli, raccontato da Mario Martone in Morte di un matematico napoletano. Nel suo primo lungometraggio del 1992, il regista narra gli ultimi giorni di vita dello scienziato partenopeo, morto suicida. Sullo sfondo di una Napoli anni 50 emerge la figura di un uomo insofferente, schivo e stanco della vita. Superman o genio incompreso così il cinema vede lo scienziato Il cinema ha spesso dipinto figure problematiche di scienziati, privilegiando l aspetto psicologico dei personaggi all attività scientifica. Che si tratti di eroi atti a salvare il mondo, di geni incompresi ed emarginati, di scienziati pazzi o inventori fantascientifici, le storie solleticano le nostre emozioni, i nostri sentimenti, specie quelli più neri. Se l intreccio è poi tratto da una storia reale, fatta di scienziati e uomini esistiti veramente, sia il cinema italiano che quello hollywoodiano tendono a lasciare sensazioni aspre e pungenti, a turbare emotivamente. Di John Nash, brillante matematico americano vincitore nel 1994 del premio Nobel per l economia, A beautiful mind preferisce narrare la malattia più che il suo essere uomo di scienza. In questa produzione cinematografica del 2001, Ron Howard prende spunto dal libro di Sylvia Nasar per raccontare la vita di colui che contribuì alla teoria dei giochi con la scoperta degli equilibri non cooperativi, tuttora capisaldi dell economia. Fin da ragazzo Nash è scostante, solitario, eccentrico. Ha scarse capacità relazionali sia nella vita privata che sul lavoro, dove rifiuta la collaborazione dei colleghi. È ossessionato dalla ricerca di un idea originale che lo renda importante con le sole sue forze. Questi disturbi comportamentali sono segnali della schizofrenia che lo terrà a lungo lontano dalla scienza. Per Ettore Majorana invece il distacco dalle ricerche sulla fisica nucleare è meditato. È ciò che Gianni Amelio racconta nel film del 1988 I ragazzi di Via Panisperna, il famoso gruppo di fisici, capeggiato da Enrico Fermi, capaci di creare elementi radioattivi artificiali e di realizzare la fissione nucleare. Il film è incentrato sul rapporto fra lo sperimentale Fermi e il teorico Majorana, suo allievo. La figura di Fermi è marginale, mentre risalta l oscura e difficile immagine di Majorana: un uomo ombroso e riservato, tormentato e inquieto, forse a disagio nel ruolo di genio. Si renderà consapevole prima di tutti della pericolosità delle sue ricerche e si allontanerà dal gruppo, per poi scomparire misteriosamente. Ha voluto lasciarci e non lasciare la certezza della sua morte. È stato un genio anche in questo, dirà Fermi. Come biasimare quindi Amelio, se l intrigante vicenda e l enigmatico carattere del protagonista lo hanno catturato più del suo precoce talento nel determinare le forze che regolano la stabilità del nucleo? Francesca Belinghieri I ragazzi di via Panisperna in una celebre foto del 1934 TABLOID (17)

18 STATISTICHE L ITALIA MAGLIA NERA IN EUROPA BEVONO PER SOLITUDINE E PAURA DEL DOMANI, PER VINCERE LA TIMIDEZZA, PERCHÉ NON SI STIMANO. BEVONO PER SENTIRSI MEGLIO. I RAGAZZI ITALIANI BEVONO TROPPO E INIZIANO TROPPO PRESTO. Secondo l Osservatorio Fumo, Alcol e Droga (Ossfad) dell Istituto Superiore di Sanità, in Italia il primo bicchiere si consuma a anni: l età più bassa d Europa, dove la media è invece di 14 anni e mezzo. L Organizzazione Mondiale della Sanità ha inoltre individuato nell alcolismo la principale causa di morte nella fascia d età tra i 12 e i 29 anni. In Italia, per la verità, i dati evidenziano come il consumo di alcol sia più basso che in tutti gli altri Paesi europei, sebbene sia in aumento del 25% tra i giovani. Nel nostro paese, il 51.6% dei ragazzi e il 41.6% delle ragazze fra i 14 e i 16 anni consuma bevande alcoliche: a quattro maschi e due femmine ogni centomila abitanti sotto i quattordici anni sono diagnosticate malattie dovute all abuso di alcol. I giovani e il dramma ALCOL A 11 anni il primo bicchiere ANNA: quando all aranciata e alla Coca Cola si sostituiscono le birre e la sangria Possiamo dire addio ai bevitori di una volta, nascosti da qualche parte con una bottiglia di vino o di whisky. Di recente si è infatti verificato un significativo mutamento nella rappresentazione sociale del bere, caratterizzato dal passaggio dal consumo di vino a quello della birra e dei superalcolici, e al delinearsi di una nuova figura di bevitore, il cosiddetto social drinker, che spazia tra i vari tipi di alcolici e lo fa in gruppo. Inoltre, il bicchiere quotidiano sta scomparendo per lasciare posto alla sbronza del fine settimana: i giovani vogliono perseguire quello stato di euforia e benessere o quella disinibizione che risulta funzionale all interno di un gruppo di adolescenti. Lo scopo della serata diventa il binge drinking, ovvero l abbuffata d alcol. Sono le alcopops a dare il via alle danze: si tratta di bevande alcoliche premiscelate con bibite a base di zucchero e anidride carbonica, studiate per conquistare il mercato giovanile, dove l alcol è presente ma è mascherato da frutta e aromi. Emanuele Scafato, direttore del Centro per la ricerca sull alcol dell OMS, è molto chiaro al riguardo: Se è vero che in Italia il limite alcolemico per chi guida è stato ridotto da 0,8 a 0,5 grammi/litro, è altrettanto vero che un ragazzino può acquistare indisturbato bevande alcoliche. Chiara Finotti Anna sorride e i suoi occhi si riempiono di una luce particolare. Di quella luce che si trova solo in chi si lascia dietro qualcosa di brutto e decide di ricominciare. Per amore ho smesso di bere Avevo iniziato per caso, senza accorgermene, durante le festicciole che si fanno da ragazzini quando all aranciata e alla Coca Cola si sostituiscono le birre e la sangria. Quando bevevo mi sentivo leggera, la mia timidezza spariva e lasciava spazio a una spavalderia mai provata. Durante la settimana non vedevo l ora che arrivasse il sabato per poter bere, o a qualche festa o fuori con gli amici. Non perché la cosa mi piacesse in sé, ma perché mi faceva stare bene. Dopo un po di tempo, avrò avuto circa 18 anni, mi sono detta che non era necessario aspettare il sabato e che potevo bere tutti i giorni. MESSAGGIO TERRIFICANTE LA RAGAZZA È LA STESSA Anna si stringe nelle spalle, sospira e prosegue: Avevo ormai anche cambiato gusti, la birra non bastava più, per darmi la carica prima di andare a scuola bevevo un sorso di whisky che tenevo nascosto in una scatola dentro l armadio e per non farmi scoprire masticavo una gomma per mascherare l alito. I miei genitori non si accorgevano di nulla, anche perché mi sapevo regolare nel bere e non stavo mai malissimo, penso che il mio organismo si fosse in un certo senso abituato. Una volta diplomata, Anna ha trovato un lavoro ed è andata a vivere da sola. Quando tornavo a casa alla sera, iniziavo a bere ad oltranza, visto che ormai nessuno mi poteva controllare; al mattino avevo sempre nausea e mal di testa: un aspirina e via, pronta per una nuova giornata. Oggi non bevo, mi dicevo andando al lavoro, e invece poi ogni occasione era buona per farlo: la pausa pranzo, l aperitivo all uscita dall ufficio, la sera davanti al televisore, il fine settimana con gli amici. Una china molto pericolosa, quella intrapresa da Anna. Fino all arrivo di un lui : Iniziammo ad uscire insieme quasi per gioco e dopo circa un paio di mesi mi chiese se ero capace di stare un giorno senza toccare l alcol. Certo, gli risposi, ma dentro di me sapevo che non era vero. Pensavo che la cosa fosse finita lì e, invece, dopo una settimana, mi fece conoscere una sua amica che mi disse di essere psicologa presso un centro per alcolisti. Ricorda: Cominciò così la mia lunga disintossicazione dall alcol all inizio era veramente dura, pensavo che non ce l avrei mai fatta, ma ora sono a posto e non bevo più. Adesso Anna è libera, serena e si è sposata con il ragazzo che l ha salvata. Katherine Salessi-Nia Quando l amaro serviva anche per curare il colera La pubblicità di alcolici in Italia ha la sua data d inizio nel 1848, quando la ditta Marengo pubblica sulla Gazzetta Piemontese un inserzione per propagandare la sua "birra di marzo La seconda metà dell Ottocento, dunque, segna l inizio della diffusione di manifesti e inserzioni pubblicitarie sui giornali: all inizio solo delle piccole xilografie in bianco e nero sui quotidiani e poi litografie a colori sui periodici destinati alla borghesia. I prodotti maggiormente pubblicizzati sono gli amari, dei quali vengono esaltate le presunte capacità curative. Nel 1866, un noto prodotto ancora oggi in commercio viene descritto come anticolerico: Serve a prevenire quanto a guarire questo micidiale morbo, si legge nelle indicazioni. Lo stesso amaro, trent anni dopo, diventa invece utile per prevenire le indigestioni ed è raccomandato per chi soffre di febbre intermittente e germi; la sua azione principale è quella di correggere l inerzia e la debolezza del ventricolo; è sommamente antinervoso e si raccomanda a quelle persone soggette a quel malessere prodotto dallo spleen nonché a mal di stomaco e capogiri. Poiché l amaro è un liquore aromatico a base di estratti vegetali spesso utilizzati anche in medicina, la tendenza era quella di sottolineare l effetto benefico che si poteva trarre dal loro consumo. L avvento dell era televisiva cambia la pubblicità, privilegiando l immediatezza dell immagine e del messaggio. L amaro diventa digerire è vivere : ormai il bicchierino si beve alla fine di un lauto pasto e non più per guarire dal colera. E se nel 1929 i manifesti pubblicitari di un noto marchio sostenevano che Chi beve birra campa NON BERE E GUIDARE cent anni, negli anni Ottanta lo slogan Sono bionda, spumeggiante, fresca, invitante chiamami sarò la tua birra dice definitivamente addio alle presunte proprietà curative degli alcolici stuzzicando invece, con il riferimento ad un immagine femminile bella e provocante, l antico binomio sesso e alcol. Prima si pubblicizzavano le facoltà curative, poi si è puntato sull abbinamento col sex-appeal Il messaggio che viene trasmesso, soprattutto ai più giovani, è che bere alcolici equivale ad avere successo, classe, sex-appeal. L ultima moda in fatto di alcolici indirizzati ai giovani è poi costituita dai cosiddetti alcopop, bevande a bassa gradazione alcolica, fruttate e colorate vivacemente, vendute come se fossero dei succhi di frutta. Del resto, il messaggio è che sono easy to drink, facili da bere. Ciò che non viene sottolineato, però, è che chi inizia a consumare bevande alcoliche prima dei quindici anni è quattro volte più a rischio di alcolismo di chi inizia sei anni dopo. Le pubblicità create per combattere l abuso di alcol non sembrano molto convincenti e l unico tema che hanno sviluppato è quello legato agli incidenti stradali. La più efficace è quella di una birra olandese, nella quale un cane lecca la birra caduta dal tavolino di un bar. Alla fine, quando si allontana a fianco del suo padrone con un incedere traballante, lo spettatore scopre che è un cane guida per non vedenti. K.S.N A cura dell Istituto Carlo De Martino per la Formazione al Giornalismo - Direttore: Massimo Dini - Corso in Comunicazione scientifica - Coordinatore didattico e scientifico: Flavia Bruno 4(18) ORDINE TABLOID

19 di notizie Il Sole del primo novembre del Ore del 12 settembre1946. Il Sole-24Ore del 9 novembre Il Sole e il fascismo: da quotidiano economico a bollettino ORDINE La costituzione del Partito fascista, avvenuta nel Novembre del 1921, scuote internamente il panorama politico italiano. Negli ambienti conservatori questa forza politica viene considerata l unica in grado di frenare l avanzata delle sinistra socialista. La paura che episodi come la rivoluzione bolscevica possano verificarsi anche in Italia è molta ed il fascismo sembra essere, almeno sulla carta, in grado di riportare l ordine in una società profondamente scossa dalle agitazioni operaie di fine dopoguerra. Anche il quotidiano economico milanese guidato da Bersellini, come del resto buona parte della stampa italiana, guarda con interesse all operato di Mussolini e del suo partito. È evidente, dalla cronaca di questo periodo, come Il Sole giustifichi le intimidazioni della nuova destra considerandole necessarie per debellare lo spirito bolscevico dalle masse e comunque transitorie. Tutti al giornale milanese sono convinti che, una volta conquistato il potere, il fascismo tornerà ad operare nell ambito della legalità e del diritto. Questo appello alla moderazione viene lanciato anche alla vigilia della marcia su Roma del 1922, che segna l inizio della stagione politica di Mussolini. La tanto auspicata svolta democratica del partito fascista purtroppo non avviene. Salito al governo su invito del re in seguito alla marcia su Roma del 28 ottobre 1922, Mussolini forma un esecutivo che comprende anche esponenti di altre formazioni politiche come i liberali. A ciò non segue però lo scioglimento degli squadroni fascisti; anzi, i militanti continuano ad essere usati come strumento di intimidazione nei confronti degli oppositori e anche dei giornali non allineati (si calcola che solo nel 1921 ben ventinove testate siano state oggetto di minacce e devastazioni da parte dello squadrismo fascista). Fin da subito si nota un impoverimento del livello giornalistico: le pagine di politica interna dei quotidiani sono, già nelle prime settimane del governo Mussolini, poco brillanti e carenti di notizie, ad eccezione dei fogli di pieno sostegno al nascente regime. Anche Il Sole, in linea con gli altri giornali, è povero di informazioni di politica interna. La scarsa attenzione data a queste tematiche sarà una costante del quotidiano milanese per tutta la durata del governo Mussolini. L interesse del foglio è, in questo momento, spostato sui provvedimenti di carattere economico presi dal nuovo ministro delle Finanze De Stefani, come la soppressione dell imposta patrimoniale e della tassa di successione, la diminuzione dell imposta sui consumi, l eliminazione della nominatività obbligatoria dei titoli di Borsa, l abolizione delle sovvenzioni alle cooperative, la revoca del monopolio di Stato sulle assicurazioni sulla vita (vecchio pallino del quotidiano) e l apertura ai privati del mercato telefonico. Più che l appoggio ai provvedimenti di De Stefani, stupisce l apparente abbandono della fiducia nei principi classici del mercato da parte del foglio di Bersellini. L ottica liberista, tanto osannata in precedenza, viene messa da parte davanti ai buoni risultati economici di un governo che non si limita a compiti di coordinamento e controllo del mercato e della produzione. L adesione alla politica economica del fascismo si interrompe, però, in occasione della decisione del Ministro De Stefani di imporre l obbligo di un deposito anticipato pari al 25% per gli acquirenti di titoli a breve termine. La scelta viene contestata da alcuni giornalisti de Il Sole, come Carlo Vimercati ed Egisto Ginella, e dalla Confindustria. In altre situazioni, però, il comportamento del giornale torna ad essere ambiguo, come nel caso della politica monetaria. Dopo qualche tentennamento, il giudizio del quotidiano sulla rivalutazione della lira torna ad essere in linea con quello del governo. Bersellini, spaventato dal trattamento riservato alle testate non allineate, è disposto a perdere un po di credibilità e coerenza pur di continuare a pubblicare il suo giornale. In questa situazione di incertezza, nel 1926 avviene un importante cambiamento al vertice della testata: Achille Bersellini cede la poltrona di direttore a suo figlio Mario, già vicedirettore dal 1924, che continua l opera del padre senza portare grossi cambiamenti nella struttura del giornale. Nel frattempo, la tiratura del giornale è salita a circa copie. Due anni dopo, nel 1928, arriva l ufficializzazione dell inquadramento del giornale nell universo fascista: in seguito ad un accordo con la Confederazione dei Commercianti, il quotidiano assume la nuova denominazione di Giornale del Commercio, dell Industria, della Finanza e dell Agricoltura - Bollettino quotidiano della Confederazione Nazionale Fascista dei Commercianti. La nuova natura di bollettino comporta per Il Sole un ulteriore abbassamento del livello giornalistico, soprattutto nelle cronache e nei commenti ai fatti di politica interna che ripropongono fedelmente i comunicati della Stefani e, successivamente, del Minculpop. Anche altre sezioni del giornale, come la politica estera, si limitano a riportare i comunicati ufficiali. Di conseguenza, il giornale supporta in pieno la spedizione italiana in Etiopia e i successivi accordi politici con la Germania di Hitler. Lo scoppio della seconda guerra mondiale non cambia la linea de Il Sole, che segue le vicende del conflitto solo attraverso i comunicati ufficiali diffusi dal Minculpop. Tale appiattimento rimane inalterato fino alla caduta di Mussolini del 25 luglio Nell incertezza che domina la fase transitoria del Ministero Badoglio il quotidiano lancia appelli alla calma e alla moderazione; ciò, però, non impedisce qualche presa di posizione da parte dei giornalisti, come quella di Ernesto Ginella che il 4 agosto dello stesso anno scrive: confessiamo di non aver più da pesare le parole, di non dover più reprimere penosamente il sapere, di non essere oltre costretti alla fatica della perifrasi e delle metafore l oppressione degli spiriti è finalmente tramontata. Durante i quarantacinque giorni del governo Badoglio il giornale esce in edizione ridotta per via della scarsità di risorse finanziarie ed è costretto a interrompere le pubblicazioni per tre giorni, dal 16 al 19 settembre. Quando rientra in edicola Il Sole è firmato da Enrico Papa, uno dei suoi più anziani redattori. Papa è virtualmente il direttore della testata milanese per tutto il periodo della Repubblica di Salò. Dopo la liberazione, il giornale torna in edicola con la firma di Achille Bersellini e con un altra denominazione rispetto ai giorni del fascismo: scompare la dicitura bollettino, ora Il Sole è semplicemente il giornale dell industria, del commercio, della finanza e dell agricoltura. Il giornale, nell immediato dopoguerra, non è soggetto ad alcuna forma di epurazione e continua ad uscire con lo stesso nome. Il secondo dopoguerra e la vendita alla Confindustria Il periodo immediatamente successivo alla fine del secondo conflitto mondiale registra un cambiamento nella linea editoriale de Il Sole. Mario Bersellini, ritornato a dirigere la testata, riporta il giornale su posizioni decisamente più liberali. L obiettivo è quello di tornare a fare un giornale di informazione economica specializzata vicino agli ambienti degli industriali e dei professionisti, e che sia in grado di ospitare le loro prese di posizione mantenendo sempre la propria indipendenza. In questo periodo l attenzione del quotidiano di via Ciovasso è rivolta ai modi con cui affrontare la ricostruzione in uno Stato ancora dominato dall apparato burocratico fascista. È necessario, secondo Il Sole, tornare alle urne il prima possibile per avere un governo figlio della volontà popolare e non di quella dei partiti. Sul referendum repubblica-monarchia Bersellini non prende una posizione netta, giudicando la questione secondaria rispetto al problema della ricostruzione. In campo economico, invece, il giornale si dichiara estremamente contrario all introduzione della nominatività dei titoli di Borsa e all ingresso di rappresentanti del mondo operaio nei consigli di gestione delle fabbriche. In questo periodo, inoltre, partono gli aiuti relativi al Piano Marshall: Il Sole, inizialmente timido nei confronti del provvedimento, dedicherà in seguito ampio spazio al programma illustrando le prospettive di attuazione nell industria e nei servizi. Il decennio si chiude con un importante novità: la società editrice del giornale, dopo anni di egemonia delle famiglie Bragiola Bellini e Bersellini, passa di proprietà: ad acquistarlo è l Istituto nazionale fiduciario, una società del gruppo Ina. Nonostante il cambio di proprietà Mario Bersellini, coadiuvato dal figlio Guido, continua a mantenerne la direzione. Tre anni più tardi, nel 1952, il giornale cambia ancora proprietario: l Ina cede la sua quota di maggioranza della società editrice alla Confindustria. Mario Bersellini e suo figlio Guido, che avrebbero preferito cercare un accordo con Enrico Mattei, rimangono comunque alla guida del giornale. A presiedere il Cda della società editrice per conto della Confindustria viene chiamato Mario Dosi, futuro deputato Dc. Questi passaggi di proprietà determinano un leggero cambiamento di linea del quotidiano rendendolo più filo-governativo rispetto al passato. La minore autonomia di cui gode la direzione si fa sentire anche sulla qualità del foglio, da molti giudicato poco moderno rispetto ai suoi nuovi concorrenti, il 24 Ore di Piero Colombi e Il Globo di Luigi Barzini jr. Gli anni cinquanta: la fine dell era Bersellini Il passaggio di proprietà, almeno inizialmente, non è estremamente traumatico, sia per la continuità data dalla direzione Bersellini, sia per la presenza di Angelo Costa alla guida di Confindustria. Lo scenario cambia con l avvicendamento tra Costa e Alighiero De Micheli, che esercita un controllo sul quotidiano decisamente maggiore rispetto al suo predecessore. La mancanza di intesa tra i Bersellini e il nuovo numero uno di Confindustria è palese. La situazione si risolve a favore di quest ultimo in breve tempo, con la sostituzione di Mario Bersellini con Italo Minunni (18 febbraio 1955). Minunni si dimostra direttore molto più vicino all ottica di De Micheli, il quale si serve spesso delle pagine de Il Sole per intervenire nel dibattito economico e politico e per pubblicizzare le sue iniziative come la nascita di Confintesa. La velata indipendenza dalla proprietà che i Bersellini avevano cercato di mantenere non c è più: tutti, oramai, considerano il giornale come l organo ufficiale della Confindustria. Oggetto del dibattito economico, a metà degli anni cinquanta, è il problema energetico, con i tentativi di sfruttamento civile dell energia nucleare e con la nascita dell Eni in Italia. In ambito politico, invece, il decennio è segnato dalla firma del trattato di Roma del 25 marzo 1957, che sancisce la nascita del primo embrione della futura Comunità Europea. L accoglienza de Il Sole alla costituzione del mercato comune è fredda: il giornale, che ha un forte passato europeista, interpreta in pieno le paure degli industriali e mette in evidenza la possibilità di eccessive pressioni concorrenziali per le industrie italiane. 19 (23)

20 T E S I D I L A U R E A Gli anni sessanta e la fusione con il 24 Ore Con l inizio degli anni sessanta si attenua un po la simpatia del giornale per il governo, soprattutto in seguito agli episodi di Genova avvenuti con Tambroni presidente del Consiglio. In ambito economico, invece, Il Sole scende in campo con tutte le sue forze per contrastare la realizzazione del monopolio nel settore dell energia elettrica. Il nuovo decennio vede cambiamenti anche in Confindustria, con l arrivo di Cicogna al posto di De Micheli. Con Cicogna presidente si allenta il rapporto di dipendenza de Il Sole nei confronti della sua proprietà: se da un lato il giornale continua a riflettere in pieno l indirizzo politico dell associazione degli industriali, dall altro esso viene esentato dall obbligo di riportare tutti i comunicati e le dichiarazioni ufficiali dei suoi esponenti. Il ritorno ad una formula più vicina a quella della direzione di Mario Bersellini del secondo dopoguerra si completa il 30 aprile del 1962 con l avvicendamento alla guida del foglio tra Italo Minunni e Gennaro Pistolese. Minunni, nonostante l adesione totale alla linea De Micheli, ha il merito di aver introdotto, durante gli ultimi anni della sua direzione, importanti novità che hanno contribuito a svecchiare un po il giornale: tra queste è da segnalare l introduzione del grafico degli indici di Borsa con il relativo commento, che compare in prima pagina dal 15 novembre La gamma dei servizi è poi ampliata rispetto al passato, con maggiore attenzione alla nuove tecnologie, ai trasporti, all energia; viene anche curata maggiormente la parte grafica, con un crescente uso di fotografie e di titolazioni e caratteri più vistosi e incisivi. Inoltre gli anni della direzione Minunni vedono l assunzione di nuovi collaboratori che in seguito si riveleranno estremamente preziosi per Il Sole 24 Ore, tra cui lo stesso Pistolese, Alberto Mucci e Vieri Poggiali. Il Sole compie 100 anni il 1 agosto del Le celebrazioni per il suo centenario vengono però rimandate alla fine di ottobre dello stesso anno, in coincidenza con l uscita di un volume giubilare che ripercorre la storia del giornale economico milanese. Pochi giorni dopo le celebrazioni del centenario, esattamente l 8 novembre 1965, la Confindustria annuncia la fusione de Il Sole con l altra testata di sua proprietà, il 24 Ore. I motivi che hanno spinto l associazione degli industriali a compiere questa scelta sono perlopiù finanziari: entrambi i quotidiani sono in forte passivo, dovuto principalmente ad una lievitazione dei costi di gestione e di quelli sostenuti per migliorare il prodotto giornalistico. Dalla fusione tra le due testate nasce un nuovo quotidiano, Il Sole 24 Ore, che esce per la prima volta il 9 novembre del 1965; la guida di questo nuovo progetto editoriale viene affidata a Mauro Masone, ultimo direttore dell ex giornale di Piero Colombi. Una cartolina de Il Sole del Ore ( ) Il 12 settembre 1946, giorno dell inaugurazione della Fiera di Milano, il panorama giornalistico italiano si arricchisce di un nuovo quotidiano economico: proprio in questa data, infatti, esce il primo numero del 24 Ore, giornale milanese tenacemente voluto da un piccolo gruppo di antifascisti liberali lombardi: Libero Lenti, Roberto Tremelloni e Ferdinando Di Fenizio, Federico Maria Pacces e Piero Colombi. Pubblicato solo dopo la liberazione, 24 Ore è un progetto editoriale che risente fortemente di un esperienza giornalistica di dieci anni prima, Borsa, che però ebbe vita breve cessando le sue pubblicazioni dopo solo 27 numeri. Con la scomparsa del fascismo Lenti, Tremelloni e Di Fenizio, insieme a Pacces e Colombi, riprovano l avventura editoriale e danno vita alla Nuova Società Editrice, primo editore di 24 Ore (dal 1947 in poi sostituita dalla SPEM di proprietà di Colombi, Pacces e Parri). Il primo numero del quotidiano economico, messo in vendita al prezzo di 5 lire, è di sole due pagine per via dei problemi dovuti al razionamento della carta nell immediato dopoguerra. Nonostante ciò, 24 Ore desta sin da subito l attenzione di molti lettori per il suo colore rosa-salmone, cosa che lo distingue da tutti gli altri quotidiani in commercio. Sin dal primo numero gli editori manifestano il loro intento: parlare di economia, che non è materia di ideologie né di fedi politiche, è materia di fatti. I fatti non sono mai identici in tempi e paesi diversi. Così le soluzioni concrete non possono essere identiche. Anche se la guida del giornale viene inizialmente affidata ad Adolfo Borzoni, Piero Colombi è il direttore in pectore del 24 Ore sin dal suo primo numero; assumerà ufficialmente la carica due anni più tardi, il 1 febbraio 1948, mantenendola fino alla sua scomparsa (21 agosto 1960). Il giornale, sin dai suoi primi mesi di pubblicazione, appare decisamente diverso dal suo concorrente diretto Il Sole. La caratteristica che più lo differenzia dal foglio di via Ciovasso è il rapporto con i suoi lettori. 24 Ore si presenta, come del resto il suo più anziano avversario, con la duplice natura di quotidiano di informazione economica e non e di strumento di lavoro per operatori finanziari e professionisti; rispetto alla concorrenza, però, in via Montebello si cerca di coinvolgere il lettore-utente con inchieste, sondaggi e rubriche (tra cui spicca la posta del risparmiatore ) destinate a fornire un servizio di consulenza e assistenza. Il tentativo di costruire un rapporto di reciproca influenza con i lettori risulta vincente già nel breve periodo: 24 Ore, dopo 13 mesi dall uscita del suo primo numero, vende circa copie al giorno in edicola e può già contare su abbonati. Il discreto successo iniziale di vendite, unito alla stabilità data dalla direzione Colombi, permettono a 24 Ore di superare senza eccessive difficoltà i primi mesi di vita che, come spesso accade, sono decisivi per quel che riguarda le sorti di un progetto editoriale. La stabilità necessaria a guardare al futuro senza troppa paura arriva qualche anno dopo, esattamente nel febbraio del 1952, con la nuova ripartizione delle quote della società editrice: ora il 49% è in mano a Piero Agostoni (responsabile di un gruppo finanziario che in seguito si scoprirà essere sotto il controllo della Confindustria), Libero Lenti ha il 2% mentre Colombi detiene il restante 49%. Colombi, all atto di questo rimpasto delle quote, ottiene comunque delle agevolazioni che gli permettono di dirigere il giornale come meglio crede senza il pericolo di ingerenze esterne. Un nuovo giornale Sin dalla sua fondazione 24 Ore si dimostra vicino al Partito liberale e a uomini politici come Malagodi e Parri; in campo economico, invece, Colombi sposa in pieno la concezione einaudiana del liberismo, mentre l altro fondatore Di Fenizio è sensibile al pensiero keynesiano. In seguito, però, il quotidiano avverserà fortemente le politiche eccessivamente interventiste dello Stato nell economia. L avversione per lo Stato-imprenditore contraddistingue gran parte dell esperienza di Colombi alla guida di 24 Ore. Forte della sua ottica liberista, il direttore contrasta con vigore le misure interventiste, trovando almeno inizialmente convergenza con il mondo industriale. Questa posizione porterà il giornale a schierarsi apertamente contro i monopoli, a cominciare da quello dell energia elettrica, e a promuovere l ingresso dell Italia nelle organizzazioni internazionali. Non è un caso che proprio 24 Ore sia tra le testate che accoglie più favorevolmente la firma del Trattato di Roma del Altro pallino per il quotidiano di via Montebello è la questione legata all eccessiva burocratizzazione dell apparato statale italiano, ancora fortemente condizionato dal modello imposto dalla dittatura fascista. L Italia, che dopo due decenni di autarchia torna al libero mercato, necessita di una struttura più snella di quella attuale che crea solo profondi squilibri. Gli esecutivi che si succedono in questi anni, però, non sembrano capire l importanza del problema: 24 Ore, tramite la penna di Luigi Sturzo e Luigi Parri, può solo commentare l ennesima creazione di un ente statale inutile e costoso. Seppur molto attento alla vita politica, Colombi eviterà sempre di schierarsi apertamente con qualche formazione politica. È chiaro, però, come il suo interesse principale sia quello di mettere in evidenza le anomalie del sistema politico italiano che dà eccessivo vantaggio ai partiti di massa a discapito dei cosiddetti partiti d opinione. Questa considerazione porterà 24 Ore ad appoggiare la famosa legge truffa relativa alle elezioni politiche del 1952, in quanto considerata uno strumento per aumentare il peso politico dei partiti che compongono la maggioranza con la Democrazia Cristiana. La schiettezza con cui 24 Ore si pone nel panorama giornalistico italiano lo porta spesso a scontrarsi con altre testate, come Il Giorno e Il Mondo. La polemica con il settimanale di Pannunzio è frequente, soprattutto per la diversa opinione in merito allo Stato imprenditore. I diverbi con Il Giorno, invece, nascono per via della politica monopolistica di Enrico Mattei nel settore petrolifero e degli idrocarburi. 24 Ore rimane un giornale indipendente nella sostanza fino alla prematura scomparsa di Piero Colombi, avvenuta nel I suoi eredi, infatti, cedono le loro quote alla Confindustria poco dopo la sua morte. A succedere a Colombi è Mauro Masone, già caporedattore del quotidiano. Masone alleggerisce i toni rispetto a Colombi, dimostrandosi meno rigido su uno dei temi fondamentali di quegli anni ovvero l interventismo statale in economia. Non tutti sono contenti di questa scelta benevola nei confronti della proprietà: tra questi, il più risentito sembra essere Bruno Leoni, collaboratore del giornale sin dai suoi esordi. 24 Ore continua a svolgere ottimamente la sua funzione di informazione economico-finanziaria, ma perde gran parte delle caratteristiche che lo hanno positivamente distinto rispetto alla concorrenza. Ed in questo clima di accettazione dell asse DC-Confindustria si arriva alla fusione con il rivale Il Sole, avvenuta l 8 novembre Il 9 novembre 1965 si apre un nuovo capitolo nella storia della stampa economica italiana: in questa giorno, infatti, esce il primo numero de Il Sole 24 Ore, il nuovo quotidiano economico della Confindustria. Perché Il Sole 24 Ore è da considerarsi un quotidiano nuovo? Mario Masone, primo direttore del neonato giornale (oltre che ultimo direttore di 24 Ore), prova a rispondere a questa domanda nell editoriale del primo numero del quotidiano intitolato Strumento di lavoro (unendo due tradizioni) : i lettori si accorgeranno che si tratta, in fondo, di un nuovo giornale, perché i nostri sforzi sono diretti a far convergere i pregi (eliminando le incompletezze, ove ve n erano) delle due precedenti testate. Riteniamo insomma di poter offrire ai nostri lettori, che rappresentano poi il nerbo dell economia italiana, un valido strumento di lavoro. Il primo numero de Il Sole 24 Ore (venduto a 50 lire) è di 12 pagine, tutte di 9 colonne, su carta color rosa-salmone, la stessa di 24 Ore. La testata (ottenuta dalla somma delle due precedenti senza nessuna novità nel carattere) reca la nuova dicitura quotidiano economico finanziario. Rimangono evidenti i contatti con le due precedenti esperienze giornalistiche, tanto che ritroviamo sulle pagine di questo nuovo giornale rubriche come Lettere al giornale e La posta del risparmiatore (già presenti nel 24 Ore di Colombi) ed inserti come Settegiorni (speciale settimanale de Il Sole). L influenza di 24 Ore, comunque, sembra essere più marcata rispetto a quella de Il Sole. Nei suoi primi quattro anni Il quotidiano mantiene la struttura datagli dal direttore Masone, continuando ad uscire su 12 pagine (talvolta a 14 e a 16) da martedì a domenica. Unica novità di rilevo è la pubblicazione di Guida Normativa, un inserto staccabile pubblicato tre volte al mese che occupa le 4 pagine centrali (divise a loro volta in 4 facciate) sulle novità in materia di norme e tributi. L inserto, che esce per la prima volta con Il Sole 24 Ore venerdì 14 gennaio 1966, è curato da Silvio Moroni, noto commercialista milanese. Il Sole 24 Ore, in questi anni, segue da vicino le vicende di politica interna ed estera, dimostrando di non aver perso di vista le sue origini profondamente europeiste. L economia è, ovviamente, la principale protagonista ed il giornale segue con attenzione le vicende italiane (come la fusione Montecatini-Edison) e non (come la nascita del Mec). Alla vigilia degli anno settanta, Il Sole 24 Ore subisce importanti cambiamenti: il 1 gennaio 1969 Alberto Mucci, dopo aver curato per circa un anno il giornale come vicedirettore responsabile, ne assume ufficialmente la direzione (Masone aveva lasciato l anno precedente). Inoltre, la sede del giornale viene trasferita da via Ciovasso a via Monviso, sempre a Milano. Anche la grafica della testata cambia: la scritta 24 Ore assume maggiore spazio e rilevanza rispetto alla scritta Il Sole, ora relegata in alto a destra. Il quotidiano esce più spesso a 14 pagine, con molta più pubblicità rispetto ai primi tempi (si cominciano a vedere paginoni centrali e ultime pagine comprate interamente dagli inserzionisti). Il prezzo è ora 20 (24) ORDINE

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