VENTI ANNI DI INNOVAZIONE

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1 1 VENTI ANNI DI INNOVAZIONE L esperienza del Master in management, innovazione e ingegneria dei servizi Riccardo Varaldo Pisa, 15 ottobre 2010

2 2 INTRODUZIONE:VENTI ANNI DI INNOVAZIONE PERSI PER L ITALIA? Nel 1990, quando fu varata la prima edizione del Master in Management dell'innovazione, in Italia di ricerca e di innovazione si parlava poco. Oggi se ne parla tanto, ma queste cose sono come allora in coda all'agenda delle priorità del Sistema Paese. La critica situazione delle finanze statali e il permanere di un sistema industriale poco ancorato alla conoscenza scientifica che considera la ricerca un costo e non un investimento - hanno inciso nel non consentire di aumentare le spese di ricerca e sviluppo (R&S) in modo tale da attivare un percorso di recupero del divario rispetto agli altri grandi paesi europei, per non parlare del Giappone e degli Stati Uniti (fig. 1). Cosa ancora più grave è che nel tempo non è neppure maturata la consapevolezza che nell era contemporanea in Italia senza ricerca: - la capacità innovativa risulta molto depotenziata con una forte penalizzazione del tasso di crescita e di internazionalizzazione dell'economia e delle imprese; - il processo di transizione ad un'economia basata sulla conoscenza, in atto a partire dagli anni '70, viene rallentato con un conseguente disallineamento dagli altri paesi industrializzati in fatto di trasformazioni e avanzamenti nella società, nel sistema produttivo e nel sistema universitario e della ricerca; - il modello di specializzazione produttiva rimane fermo ad una trama di prodotti, costituito in prevalenza da beni di consumo finale, dove si presenta critica la sfida competitiva con i nuovi paesi emergenti; - è difficile adattarsi appropriatamente ai processi della globalizzazione con imprese e una offerta di beni e servizi non in grado di sfruttare il crescente potenziale di domanda proveniente dai mercati emergenti; - non si compie quell'evoluzione della struttura dell'occupazione, tipica dei settori industriali e dei servizi tecnologicamente avanzati, che consente di attrarre e valorizzare il capitale umano con più elevate competenze ed una maggiore educazione formale, con conseguenti ricadute positive sul sistema dell istruzione superiore, deputato a prepararlo. Tutte queste debolezze e mancanze rivelano che il peso politico del sistema della ricerca e della formazione, e di riflesso del sistema universitario, è eccezionalmente debole nel nostro Paese. Di conseguenza molto modesta è la sua capacità di incidere sulle scelte di politica economica, mentre si trova a dover sempre subire la concorrenza di altre priorità e delle emergenze che via via costellano il panorama nazionale. D'altra parte, sul fronte della politica industriale l Italia è da sempre in difetto. Non sa andare oltre logiche di puri sussidi settoriali e interventi tampone che servono a coprire emergenze ma non a fornire spinte all innovazione. La conseguenza è che agli operatori di avanguardia mancano i riferimenti di contesto e gli indirizzi guida per guardare al futuro con cognizione di causa e

3 3 compiere appropriate scelte di investimento nell innovazione delle produzioni, con l apporto di nuove conoscenze tecnologiche e di nuove competenze. La politica dell innovazione di un Paese non può essere lasciata al caso, alla speranza che il mercato da solo faccia il miracolo; deve invece tener conto della reale situazione e dei punti di forza del Paese per poter individuare gli obiettivi a lunga scadenza su cui gli investitori e le imprese possono far convergere consapevolmente le proprie scelte. L'innovazione industriale, sostenuta da impegnativi investimenti in ricerca e tecnologia, deve inoltre trovare una sponda sul mercato interno, non solo per assicurarsi uno sbocco commerciale più sicuro, ma anche per dare una spinta alle imprese innovatrici e consentire di valorizzare al meglio tutto ciò che di creativo può provenire dai fornitori, dai clienti e dai consumatori finali. Una politica industriale orientata all innovazione deve guardare non solo al lato dell offerta ma anche al lato della domanda cercando di strutturare e cadenzare gli interventi secondo una logica di catena del valore che dalla ricerca arriva al mercato, passando per l ingegnerizzazione delle nuove idee e la loro industrializzazione. Altrimenti si rischia di avere invenzioni senza mercato oppure, viceversa, un mercato senza invenzioni. E questo a ben vedere il rischio a cui è da sempre esposto il nostro Paese, che da un lato disperde i frutti della ricerca, da un altro deve far ricorso ad importazioni dall estero quando scatta la domanda interna di nuovi beni prodotti altrove. La mancanza di una robusta politica industriale è uno dei fattori che oggi più pesa sul futuro della economia italiana e sulla tenuta competitiva del nostro apparato produttivo, in presenza di un quadro dell'economia mondiale che, nonostante alcuni sintomi di ripresa, rimane molto incerto. L Italia ha dimostrato finora di sapersi destreggiare nella crisi economica facendo appello alle sue collaudate doti di flessibilità e adattabilità, e ad innate capacità di arrangiarsi. Ma oggi sta segnando il passo in fatto di appropriabilità della ripresa, così come stanno facendo altri paesi industrializzati ed alcuni grandi paesi emergenti, in particolare la Cina, che hanno saputo reagire alla crisi con un lungimirante piano di stimolo dell economia, dotandolo di ingenti investimenti per la ricerca e l innovazione. In questi ultimi casi l ottica è quella che la crisi deve servire a trasformare l industria e non solo a conservare l esistente, come invece sta cercando di fare, per di più con scarsi risultati, l Italia. E comune sentimento che questa crisi sia destinata a produrre cambiamenti profondi e duraturi nel sistema delle infrastrutture, nei mezzi di trasporto, nelle fonti energetiche, nelle reti di comunicazione, nell organizzazione delle città e nei sistemi di cura della salute per effetto di forti spinte all innovazione sociale, con un impatto sugli stili di vita e le abitudini di consumo, che portano a far

4 4 crescere un senso comune della responsabilità sociale e della sostenibilità. Si profila così uno scenario ideologico-culturale, socio-economico e tecnologico sfidante dove l attività di ricerca è destinata a diventare una leva strategica per coltivare e sfruttare le nuove opportunità di business scaturite dal processo schumpeteriano di distruzione creatrice, dando spazio ad un ciclo di investimenti pubblici e privati fortemente orientato su settori innovativi a forte crescita. Di fronte ad una crisi economica strutturale come l attuale, l Italia sta accumulando un preoccupante ritardo rispetto agli altri grandi paesi industrializzati e ad alcuni dei paesi emergenti più dinamici perché soffre di una grave forma di miopia politica che impedisce di esprimere una comune visione del futuro e una guida a tutti gli attori dell ecosistema dell innovazione (istituzioni, grandi imprese, start-ups tecnologiche, banche, università e centri di ricerca) per far loro attivare i progetti di sviluppo e le aggregazioni di capitali pubblici e privati per metterli in opera, assicurando prospettive di ritorno degli investimenti in tempi ragionevoli. Quello che sta accadendo con le incertezze decisionali sul futuro della banda larga, delle grandi infrastrutture, dell energia nucleare, delle fonti rinnovabili, e con i ritardi nell adozione di riforme istituzionali chiave (giustizia, fisco, mercato del lavoro, università e così via) ben esprime e giustifica il senso di disagio di tutti coloro che vorrebbero poter guardare e lavorare per un futuro meno precario del Paese. I venti anni che ci separano dal 1990, anno di lancio del Master in Management dell Innovazione, sono stati quindi anni di rallentamento del processo di modernizzazione e di avanzamento del Paese, dovuto in particolare al mancato uso dell investimento in conoscenza, come nuova leva della crescita economica e sociale. Il che non ha consentito all Italia di mantenere un allineamento con gli altri Paesi industrializzati, che con più lungimiranza hanno capito quali erano i nuovi motori della crescita, costituiti dall accumulazione e dalla trasmissione di nuove conoscenze, tramite la ricerca e la formazione. La Scuola Superiore Sant Anna, così come le altre istituzioni universitarie, ha risentito del ritardo del processo di modernizzazione e di innovazione del Paese, ma è riuscita a muoversi in controtendenza, mettendo in atto nel corso del ventennio un proprio percorso di crescita, adottando una visione e quindi una policy per interpretare e governare in modo nuovo la missione universitaria. Se si considera che fino al 1987 la Scuola aveva una struttura di Collegio di eccellenza, ereditata dalla storia iniziata agli inizi degli anni 1930 come Spin-off della Scuola Normale Superiore dedicata al settore giuridico e medico, ben si capisce il senso e la dimensione del cambiamento vissuto per passare ad un modello vicino alle cosiddette research universities di stampo americano.

5 5 Alcuni dati servono a bene rappresentare questo fondamentale passaggio. Nel periodo le entrate proprie, derivanti per il 90% da progetti e commesse di ricerca, sono aumentate ad un tasso medio annuo del 18% facendo così salire la relativa incidenza sui finanziamenti pubblici ministeriali dal 30% all 85%. Oggi il budget annuale di ricerca è di 16 milioni di euro. La Scuola ha quindi spostato nettamente la sua missione verso la ricerca e per farlo ha cercato di rafforzare e qualificare la sua capacità di autofinanziamento ed il perimetro delle collaborazioni a livello nazionale e internazionale con università, enti e imprese. L'attività di alta formazione, dove si inserisce anche il Master di cui oggi festeggiamo il primo ventennale, ha seguito questo trend, per i suoi legami sinergici con la ricerca secondo il modello della research university. Questo indica il significato del ruolo che il suo varo ha avuto nella storia della Scuola come momento significativo nel suo processo di crescita che ha visto continuamente aumentare il peso dei post-graduate courses che oggi costituiscono più del 60% dell intero settore formativo, dove come attività tradizionale rimangano i corsi undergraduate per gli allievi ordinari, reclutati a livello nazionale ed inseriti alla Scuola dietro un severo esame di ammissione a forte carattere selettivo dell eccellenza. La decisione di dar vita ad un corso di Master ha assunto un particolare significato nel caso della Scuola che va oltre il dato di aprire una nuova filiera formativa. Il fatto è che l ambito di interesse, quello dell economia, della politica e del management dell innovazione ha fatto assumere al Master un significato di valenza strategica. Da un lato come una sorta di ponte interdisciplinare verso l ambito della ricerca scientifica e tecnologica già allora coltivata ad alti livelli da parte del settore di ingegneria della Scuola. Da un altro perché si voleva aprire una finestra sul nascente ramo scientifico dell economia e del management dell innovazione per contribuire alla formazione nel Paese di una cultura specialistica nel campo, da alimentare e diffondere tramite la formazione e la ricerca. A partire dagli anni 90, sulla scia dei crescenti sviluppi dell economia della conoscenza, i Master in Management dell Innovazione si sono diffusi celermente a livello europeo ed extraeuropeo. L Europa con 86 Master si colloca al primo posto della specifica graduatoria (fig. 2), seguita dagli Stati Uniti con 21 e dall East Asia con 13. Nella graduatoria per nazioni (fig. 3) l Italia con 14 Master occupa la terza posizione dopo la Gran Bretagna che ne conta 33 e gli Stati Uniti 18.

6 6 Nell insieme quindi risulta che l Europa e l Italia emergono in fatto di interesse per lo studio dell economia e del management dell innovazione, ma a questo non corrisponde un eguale primato nella pratica dell innovazione. Siamo di fronte ad un aspetto di quel fenomeno noto come paradosso europeo, per cui l Europa mentre per un verso riesce a mantenere un buon ranking in fatto di pubblicazioni scientifiche per un altro soffre di un progressivo declino come quota di brevetti, prodotti ed export-tecnologici e ricavi da licenze 1. Si tratta di un paradosso che colpisce in modo particolare il nostro Paese, con la conseguenza che per le imprese italiane più avanzate la via dell innovazione fondata sulla ricerca e la tecnologia è decisamente più irta di difficoltà. Ed è una via che per percorrerla con successo richiede un impegno di mezzi ed un livello di rischi decisamente superiore a quello dei concorrenti stranieri. Origini del Master: la convenzione tra la Scuola e l'iri Il Master in Management dell'innovazione ha mosso i primi passi grazie alla convenzione sottoscritta il 18 settembre 1990 tra la Scuola superiore Sant'Anna e l'istituto per la Ricostruzione Industriale IRI. La convenzione prevedeva l'assegnazione di borse biennali per lo svolgimento di programmi di formazione e di ricerca avanzata post-laurea. Alcune di queste borse erano destinate alle seguenti aree: - fattori imprenditoriali ed organizzativi di successo nei settori delle alte tecnologie; - economia e gestione dell'innovazione. L'architettura del corso di formazione avanzata in collaborazione con l'iri si ispirava nei punti cardine al modello dei corsi triennali di perfezionamento postlaurea (dottorato) della Scuola ma si poneva sostanzialmente come un nuovo modello di formazione avanzata. Nel caso specifico si è puntato a valorizzare massimamente l'esperienza della collaborazione tra la Scuola e il grande gruppo industriale. Il fatto che rappresentanti dell IRI fossero inseriti oltre che nella commissione giudicatrice anche nella commissione didattica ben indica il comune desiderio di realizzare una forte integrazione nel rendere l'impegnativo programma ispirato dalle visioni e dalle proposte del mondo delle imprese, ma ancorandolo ai valori e alle tradizioni educative e culturali proprie di una istituzione universitaria di 1 R. Varaldo, A. Di Minin, Il nuovo capitalismo imprenditoriale del Research in Italy, Roma, Occasional paper Finmeccanica, 2009

7 7 eccellenza. Era ben presente ad entrambi i partner di essere di fronte ad un progetto formativo che richiedeva un particolare impegno ideativo e progettuale atteso che il management dell innovazione agli inizi degli anni 90 in Italia era praticamente sconosciuto non solo in campo universitario ma anche nel mondo delle imprese. Per cercare di coprire questo deficit culturale e scientifico si è quindi organizzato alla Scuola un programma di seminari e di incontri con illustri docenti e ricercatori statunitensi, allo scopo di poter acquisire elementi e indirizzi per meglio progettare e costruire il nostro corso. Ricordo tra gli altri i professori David Teece University Of California Berkeley, Oliver E. Williamson della Wharton School di Filadeifia, premio Nobel 2009 e Samuel Rabino della Northeastern University di Boston. A distanza di Vent anni la capacità di lavorare insieme alle imprese, sperimentata per la prima volta con l IRI, rimane uno dei punti qualificanti del Master in Management, Innovazione e Ingegneria dei Servizi che include come proprio asset strategico un gruppo prestigioso di grandi imprese (fig. 4). Il Master in Management dell Innovazione: una importante novità per il sistema universitario italiano La Scuola Superiore Sant Anna con l'iniziativa del Master in Management dell'innovazione ha cercato in un certo senso di entrare in sintonia con le esigenze del mercato del lavoro qualificato, guardando in particolare alle imprese più avanzate e più pronte al cambiamento. Nel fare questo passo c'è stato di conforto il framework di un dibattito svolto in sede di Associazione ex allievi Sant'Anna tenutosi nella sede della Scuola poco tempo prima del varo del Master, il 29 ottobre 1988, con alcuni amici illustri come Sabino Cassese, Alfonso Desiata, Giuseppe Are, Emilio Rosini, Alberto Mazzoni, Marcello Claric, Eugenio Ripepe, Francesco D. Busnelli, oltre al sottoscritto. Con il varo nel 1990 del Master il primo nella storia delle Università italiane ed uno dei primi su scala europea - la Scuola ha compiuto una scelta istituzionalmente innovativa e coraggiosa rispetto alla tradizionale, predominante visione dell Università come di una "cittadella accademica" che non deve formare per il mercato del lavoro ma formare solo attitudini e capacità culturali e critiche per elevare il livello educativo della popolazione. Di fatto fino agli anni '90 le università italiane non offrivano nulla dopo la laurea mentre a quell'epoca in altri paesi nel campo della formazione indirizzata al mercato del lavoro era già operante e attiva una sorta di industria.

8 8 La Scuola è andata in controtendenza, ha compiuto una scelta sbagliata sul piano teorico ma appropriata sotto il profilo dell'attualità e delle istanze della società e dell economia. Ma lo ha fatto con la consapevolezza che per una istituzione universitaria di eccellenza, in linea di principio meno esposta al rischio di mettere in gioco la propria credibilità, era importante dare un buon esempio sul fronte della sperimentazione di un nuovo modo di intendere e praticare la tradizionale missione educativa dell'università. Le Università statali degli anni 90 in Italia erano pure, grandi e medie fabbriche di laureati. L'unico problema che si ponevano era la scarsa produttività del loro ciclo di produzione, con molti iscritti ai primi anni dei corsi (circa 250 mila immatricolati) e relativamente pochi laureati, (circa ) al termine del ciclo formativo, e con tanti abbandoni già a partire dal secondo anno. E l incubo per la scarsa quantità dei laureati era tale da far passare in seconda e terza linea la preoccupazione per la qualità dei laureati. La scarsa soddisfazione delle imprese e degli enti per il tipo di laureati forniti dalle università in Italia ha portato alla proliferazione di istituti privati e corsi per integrare la formazione data in sede universitaria o addirittura, da parte di alcune grandi imprese, alla costituzione di proprie Scuole di management. Non essendo stato capace di cogliere i sensi del cambiamento il mondo universitario italiano di fatto ha ceduto ad altri il ciclo della formazione postlaurea orientata al mondo del lavoro facendo proliferare un mercato formativo parallelo senza regole e talvolta poco qualificato. In questo quadro, appare in tutta evidenza l importanza dell iniziativa della Scuola nel cercare di portare un qualificato contributo per far recuperare al sistema universitario italiano un proprio ruolo nella modernizzazione degli studi tramite l introduzione di corsi di formazione orientata al mercato del lavoro qualificato post-laurea. Questo contributo si è sviluppato anche sul piano istituzionale essendo partita dal Sant Anna la proposta al Ministero dell Università, con deliberazione del Senato accademico del 13 aprile 1999, per il recepimento nell ordinamento degli studi universitari della possibilità di attivare corsi e di rilasciare titoli di Master Universitari. Questo recepimento è stato ufficializzato con il Decreto MIUR n. 509 del 3 novembre 1999 e successivamente confermato con Decreto MIUR n. 270 del 22 ottobre Un master diverso dai MBA (Master in Business Administration) Con il Master in Management dell Innovazione si è pensato e progettato un Master diverso dai più tradizionali e più conosciuti MBA, nati negli Stati Uniti, dove all'inizio degli anni '90 se ne contavano circa settecento.

9 9 In quel Paese già a partire dagli anni 80 si è incominciato a percepire, da parte di alcuni avveduti ambienti universitari e di esponenti illustri dell'industria, che: - i MBA erano troppo strettamente focalizzati su skills come la contabilità e la finanza; - mancavano corsi e prodotti formativi capaci di educare e preparare alla diagnosi di problemi aziendali complessi; - si sentiva l'esigenza di un salto culturale nei processi formativi per preparare i managers ad affrontare i loro compiti con approcci innovativi. I più accreditati editorialisti, esperti del sistema della formazione manageriale, imputavano queste carenze dei MBA al fatto che molte Business schools mantenevano la rigida struttura organizzativa di una grande azienda manifatturiera degli anni Si rilevava altresì che i docenti delle Business schools fossero spesso così isolati dall'ambiente esterno e dai cambiamenti nel mondo dell'economia reale e dell organizzazione delle imprese da essere lenti nella sfida del cambiamento e nel comprendere il bisogno di riformare sè stessi, e quindi rinnovare i contenuti dei propri corsi secondo un'ottica non strettamente circoscritta al proprio limitato sapere. Per questo, il mondo delle aziende era allora decisamente più avanti dell'università nel promuovere teams, processi cross-funzionali, e i project groups, cioè metodi organizzativi capaci di mettere insieme e far lavorare persone con profili educativi, competenze ed esperienze diverse. Alla Scuola non siamo andati alla ricerca di un rapporto biunivoco tra preparazione fornita dal Master e mestiere. Non abbiamo avuto la pretesa di porci la domanda "cosa faranno dopo, i nostri diplomati?". E non abbiamo voluto inculcare nella mente dei candidati che al Master si venisse per imparare un mestiere, una professione, quella di manager dell'innovazione. Ci siamo, d'altra parte, resi ben presto conto che per la gran parte delle imprese italiane, anche quelle di grandi dimensioni, era difficile entrare in sintonia con un prodotto formativo singolare come un "Master in Management dell'innovazione". Il recruiting da parte delle società di consulenza e delle imprese allora ed in parte ancora oggi avviene secondo schemi precostituiti e logiche di stretta integrazione e corrispondenza con la struttura organizzativa e il costrutto delle comunità professionali. Per cui era abbastanza comune che un'impresa non sapesse immaginare una collocazione organizzativa appropriata ad un laureato fornito di un Master in Management dell Innovazione. L approccio educativo nel nostro caso ha sempre cercato di premiare la preparazione culturale di base e interdisciplinare piuttosto che una formazione strettamente tecnicistica, attinente una specifica funzione aziendale. Ci siamo

10 10 adoperati per rispondere ad un'esigenza di professionalità evoluta piuttosto che a fornire formule e regole, cercando di creare un profilo di laureato capace di affrontare in modo creativo temi complessi come quelli che riportano al magmatico e indefinito campo dell'innovazione. Il MAINS trova un solido ancoraggio negli sviluppi dell analisi economica in connessione al ruolo assunto dalla scienza e dalla tecnologia come drivers della crescita, ma ha adottato un concetto di innovazione endogena al sistema economico, come campo di attività specifica delle imprese. In un economia knowledge-based la produttività e la dinamica economica e competitiva delle imprese sono determinate dagli avanzamenti tecnologici, in uno con l accumulazione di capitale umano e di capitale organizzativo, che determina il modo e la velocità con cui il progresso tecnologico e organizzativo fa crescere la produttività aziendale. Questo obiettivo oggi è largamente dipendente dalla valorizzazione delle competenze e delle capacità del capitale umano anche grazie ad un impiego intelligente delle ICT. La produttività del capitale digitale a sua volta tende ad essere influenzata dai cambiamenti organizzativi introdotti dalle imprese e questi implicano l impiego di risorse umane più qualificate. La triade costituita dal capitale digitale, dal capitale umano e dal capitale organizzativo tende quindi a costituire l elemento distintivo delle imprese più dinamiche e più capaci di esprimere, con una maggiore forza innovativa, anche una più elevata capacità di attrazione di talenti. Questa visione integrata e sistemica dell innovazione porta a dare rilevanza ai fattori imprenditoriali e organizzativi piuttosto che a parametri dimensionali e settoriali. Tentando una generalizzazione, pur nell estrema varietà dei casi, è lecito sostenere che nell economia contemporanea la capacità innovativa delle imprese non è indipendente da fattori settoriali e dimensionali, ma è frutto essenzialmente della qualità della strategia, della dotazione di capitale intellettuale e della capacità di acquisire, con un appropriata dotazione di risorse finanziarie e di capitale umano, le nuove conoscenze che via via si rendono necessarie per innovare prodotti, processi e servizi. Sono queste in sintesi le linee portanti su cui si basa il programma formativo e scientifico del Master e su cui il Master sta accumulando conoscenza ed esperienza, in stretta collaborazione con le imprese partner. Alla trasmissione ed alla valorizzazione dell esperienza e dell immagine collaborano con grande passione gli ex-allievi del Master organizzati nella loro Associazione l AMISA.

11 11 L'integrazione formazione-ricerca-sperimentazione L'inserimento del Master direttamente nell'alveo scientifico universitario è stata un'importante acquisizione nel panorama nazionale. Fino agli inizi degli anni 90 questo tipo di corsi ricadevano esclusivamente nell'ambito del sistema delle poche Business schools esistenti in Italia, tendenzialmente più vicine per rango e valori al mondo della pratica, e quindi più orientate alla preparazione di competenze funzionali già consolidate nella prassi. Nella Scuola, pur uscendo dai canoni tradizionali della istruzione universitaria, si è invece riprodotto il modello di formazione integrata alla e con la ricerca che è uno dei tratti caratterizzanti la sua missione di centro di formazione dell'eccellenza. Tutto ciò ha consentito da un lato di fertilizzare, sotto il profilo scientifico e culturale, il programma formativo del Master, da un altro di attivare uno specifico corpo di attività di ricerca che nel corso del tempo ha consentito alla Scuola di acquisire una sua specializzazione e reputazione nel campo dell'economia e del Management dell'innovazione a livello nazionale e internazionale. A questo risultato si è pervenuti nel tempo anche tramite l'istituzione negli anni 2000 di due programmi di dottorato destinati alla formazione di ricercatori specializzati nel campo dell'economia e del Management dell'innovazione. Il particolare impegno profuso nel rendere il programma formativo del Master sempre in linea con le nuove acquisizioni scientifiche è servito nel 2007 ad operare un estensione verso l ingegneria dei servizi, un nuovo campo di indagine e di formazione, presente in università statunitensi di élite, come l Università della California a Berkeley e il Massachusetts Institute of Technology (MIT) di Boston. Nel compiere questo passo che ha portato ad aggiornare la denominazione del corso in Master in Management, Innovazione e Ingegneria dei Servizi (MAINS) - si è tenuto conto del crescente ruolo che i servizi giocano nel sostanziare e rendere sostenibile in senso economico e organizzativo la capacità innovativa delle imprese di ogni tipo di settore. E questo soprattutto in connessione al processo di digitalizzazione della società e dell economia, che aumenta a dismisura le opportunità di networking intersettoriali e interaziendali, anche su scala internazionale. Su un piano diverso, ma comunque sempre in linea con la scelta di fare formazione con la ricerca e la sperimentazione, si inserisce la decisione assunta con le imprese partner nel 2007, al varo del MAINS, di affiancare al Master gli Innovation Labs. Con questa iniziativa si è pensato di rispondere all esigenza, sempre presente nella migliore formazione manageriale, di far contestualizzare e interiorizzare le conoscenze acquisite per farle maturare a

12 12 livello di capacità e competenze. Gli InnovLabs propongono uno spostamento dal tradizionale paradigma dell'education, intesa come puro trasferimento di determinate conoscenze, al paradigma del learning, coerente con una concezione di formazione partecipata entro cui l'allievo diventa protagonista del suo processo formativo, mettendo a frutto le proprie attitudini e conoscenze nell'affrontare argomenti e problemi concreti, suggeriti dalle imprese partner del Master e con un loro diretto, qualificato apporto nei lavori dei laboratori.

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