Cassazione civile, SEZIONE I, 9 agosto 1988, n. 4892

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1 Cassazione civile, SEZIONE I, 9 agosto 1988, n LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE I CIVILE Composta dagli Ill.mi Sigg. Magistrati: Dott. Mario CORDA Presidente " Francesco FAVARA Rel. Consigliere " Pietro PANNELLA " " Mario Rosario MORELLI " " Giulio GRAZIADEI " ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da CASTELLO Antonio, elett. dom. in Roma, Via Ferdinando Galiani n. 68, c-o l'avv. Gaetano Guerra, che lo rapp. e difende unitamente all'avv. Rodolfo Ummarino, giusta delega in atti. Ricorrente contro DI MAURO Rosa, elett. dom. in Roma Via Massini n. 94, c-o l'avv. Francesco Pignataro, che la rapp. e difende unitamente l'avv. Bruno Segre, giusta delega in atti Controricorrente Avverso la sentenza della Corte di appello di Torino in data ; Udita la relazione svolta dal Cons. dott. Francesco Favara; Udito il P.M. dott. Francesco Paolo Nicita, che ha concluso per il rigetto. Fatto Il 18 maggio 1979 Antonio Castiello proponeva ricorso davanti al Tribunale di Torino e chiedeva la pronuncia della separazione dalla moglie Rosa Di Mauro con addebito alla stessa e l'affidamento a sè dei figli minori. Esponeva che il matrimonio, dopo anni di buona riuscita, si era incrinato da quando la Di Mauro aveva aderito al movimento religioso dei Testimoni di Geova, assentandosi frequentemente da casa per partecipare alle riunioni indette, fino ad abbandonare definitivamente il domicilio coniugale per trasferirsi, con i figli, presso un cognato. Anche la Di Mauro proponeva in data 21 maggio 1979 ricorso allo stesso tribunale chiedendo l'addebito a carico del Castiello, uomo dal carattere violento e dispotico, che negli ultimi tempi aveva trascurato la famiglia, l'affidamento dei figli e la determinazione di un assegno di mantenimento.

2 Dopo la comparizione dinanzi al Presidente del Tribunale, che dava i necessari provvedimenti temporanei, la causa veniva istruita e poi definita con sentenza del Tribunale del , che pronunciava la separazione addebitandola ad entrambi i coniugi, affidava i figli Di Mauro, assegnava l'alloggio coniugale al marito e liquidati un assegno mensile di mantenimento di L in favore solo dei figli. Proponeva appello principale il Castiello, il quale chiedeva addebitarsi la separazione solo alla moglie che, con il suo fanatismo religioso e l'abbandono del domicilio coniugale, aveva determinato la crisi del matrimonio. Resisteva al gravame la Di Mauro, la quale proponeva altresì appello incidentale tardivo, insistendo nella richiesta di addebito della separazione al marito e di liquidazione di un assegno di mantenimento anche in suo favore. Con sentenza del la Corte di Appello di Torino, in accoglimento parziale delle due impugnazioni, dichiarava addebitabile al solo marito la separazione e poneva a carico di questi un ulteriore assegno di mantenimento a favore anche della moglie. La Corte riteneva non provato alcun comportamento della Di Mauro contrario ai doveri derivanti dal matrimonio, tale non potendo considerarsi al sua conversione alla religione dei Testimoni di Geova, posto che non costituisce dovere coniugale quello di essere fedele ad una data religione, o di avere lo stesso credo religioso dell'altro coniuge, nè costituisce violazione di detti doveri l'avere improntato la propria vita ai dettami della nuova credenza religiosa, sia pure con pienezza di intenti e con zelo da neofita; tanto più che non era risultato che la donna avesse trascurato la famiglia per la sua fede, dato che anzi la prova escussa aveva dimostrato che l'attività religiosa della Di Mauro, durante la convivenza, si riduceva alla presenza al rito domenicale e che nessun atteggiamento di intransigenza alle critiche del marito ella aveva adottato. La Corte riteneva per contro provato il comportamento violente e vessatorio tenuto dal Castiello, che pure per molti anni era stato un buon marito e un lavoratore instancabile, di fronte al fatto nuovo dell'adesione della moglie alla nuova fede religiosa, al fine di indurla e poi costringerla a non diventare una "testimone di Genoa"; comportamento che aveva poi indotto il Tribunale penale di Torino a mandare assolta con formula piena la Di Mauro dalla accusa di abbandono del domicilio domestico, mossa dal marito. La Corte poi riteneva ammissibile l'appello incidentale tardivo della Di Mauro in punto di richiesta di un assegno di mantenimento, che considerava collegato all'appello principale del Castiello in punto di addebitabilità della separazione che aveva, a sua volta, evidenziato il suo interesse ad appellare in via incidentale lo stesso capo di pronuncia; e fissava in L e poi mensili tale assegno spettante alla Di Mauro, ferma restando la misura dell'assegno medesimo in favore dei figli minori. Ricorre per la cassazione di tale sentenza il Castello, sulla base di tre motivi. Resiste con controricorso la Di mauro. Diritto

3 Con il primo mezzo di ricorso il Castiello denuncia violazione dello art. 115 C.P.C., nonché il vizio di omessa, insufficiente e contradditoria motivazione su un punto decisivo della controversia (art. 360 n. 3 e 5 CPC) e censura la decisione della Corte di Torino per avere ritenuto non provato il comportamento contrario ai doveri derivanti al matrimonio idoneo a legittimare la pronuncia di addebito della separazione, omettendo totalmente di tenere conto delle deposizioni rese dai testi da lui adottati e fondando il proprio convincimento invece solo sulle deposizioni dei testi indicati dalla Di Mauro. Così decidendo la Corte - secondo il Castiello - ha omesso di considerare e di pronunziarsi: a) sulla circostanza che la crisi della famiglia coincise con la conversione della Di Mauro alla religione dei "testimoni di Geova"; b) sulle conseguenze che detta conversione ebbe all'interno del nucleo familiare; c) sulla conversione forzata dei figli alla nuova religione da parte della Di Mauro e sull'avviso degli stessi alla pratica, anch'essa forzata, spirituale e materiale della nuova religione; d) sul fatto che esso ricorrente aveva sempre tenuto condotta esemplare di marito e di padre e non era mai stato visto maltrattare o picchiare la moglie; e) sul fatto che perciò la Di Mauro aveva abbandonato la casa coniugale non per sottrarsi alle violenze del marito ma per dedicarsi liberamente alla religione dei Testimoni di Geova. Con il secondo motivo di ricorso poi il Castiello, denunciando ancora carenza e contradditorietà di motivazione su punto decisivo della controversia, si duole perché la Corte torinese ha totalmente omesso di motivare sul fatto notorio destituito dai caratteri propri della religione in parole, e cioè a esasperata tendenza al proselitismo, l'intransigenza, l'eccesso dei neofiti, il fanatico apostolato; caratteri che avevano indotto la Di Mauro ad adottare atteggiamenti di fanatismo religioso che aveva poi causato la distruzione del nucleo familiare. Tali censure, tra loro logicamente connesse, sono prive di fondamento. La prima, pur nella sua complessa articolazione, tende infatti a contestare l'apprezzamento fatto dal giudice del merito in ordine alle risultanze della prova testimoniale raccolta e circa la inammissibilità delle presunzioni che il Castiello proponeva per colmare i vuoti probatori della prova orale. Premesso che la pronuncia di addebito ad uno dei coniugi della separazione personale a norma dell'art. 151, 2 co. cod. civ. postula sia il riscontro di un suo comportamento consapevolmente contrario di un suo comportamento consapevolmente contrario ai doveri derivanti dal matrimonio, sia la riferibilità causale di tale comportamento alla situazione di intollerabilità della prosecuzione della convivenza coniugale, va rilevato che la Corte torinese ha esattamente affermato il principio che non rientra tra i doveri coniugali quello di essere fedele ad una data religione, o di rimanere nella confessione seguita

4 al momento del matrimonio, o di avere lo stesso credo religioso dell'altro coniuge. Tale affermazione è senza dubbio conforme al principio costituzionale (art. 8 Cost.) secondo il quale "tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge" e "hanno diritto di organizzarsi secondo i propri statuti, in quanto non contrastino con l'ordinamento giuridico italiano"; principio che, sul piano delle libertà individuali, si traduce nel diritto che l'art. 19 Cost. riconosce a "tutti", di professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o associata, di farne propaganda e di esercitarne, in privato o in pubblico, il culto". Nell'ambito della famiglia tale diritto individuale non può non avere uguale espressione, al pari di qualsiasi altro diritto della personalità, benvero purché il suo esercizio non comporti violazione dei doveri coniugali e familiari, per le forme o le modalità adottate. Mentre perciò non costituisce - in sè ed in astratto - violazione dei doveri coniugali la conversione ad altra religione, nè l'abbandono della fede religiosa - fosse essa comune o meno ad entrambi i coniugi - praticata al momento del matrimonio (senza ovviamente possibilità di distinguere tra le varie fede religiose), è pur tuttavia necessario accertare se nel concreto i comportamenti di vita adottati abbiano importato violazione dei doveri derivanti dal matrimonio, verso il coniuge o verso la prole, così da rendere intollerabile la convivenza coniugale. Giustamente perciò non è stata ritenuta ammissibile una presunzione di addebitabilità per il solo fatto della adesione ad altra religione, o ancor più per la sola pretesa notorietà che la religione dei "testimoni di Geova", come si assume col secondo mezzo di ricorso, per i suoi stesso connotati, non poteva non avere inculcato nella Di Mauro una perniciosa tendenza al proselitismo e al fanatico apostolato, nonchè all'intransigenza e all'accesso in tutti i suoi comportamenti. Eliminata simili presunzioni, la valutazione della prova orale raccolta è stata effettuata dai giudici del merito con riguardo appunto al concreto comportamento familiare tenuto dalla Di Mauro: e qui il convincimento della Corte torinese risulta saldamente correlato ad una serie di fatti che dimostravano che, almeno per quanto concerne il periodo antecedente all'abbandono del domicilio coniugale (giustificato questo dalla abnorme e violenta reazione del Castiello, diretta a vietare anche una limitata frequentazione da parte della moglie dei raduni per i riti religiosi), la Di Mauro non aveva in modo apprezzabile trascurato alcuno dei suoi doveri familiari. E certamente non sussiste illogicità o difetto di motivazione per il solo fatto che non si sarebbe tenuto conto di altre difformi deposizioni testimoniali (il che peraltro la controricorrente nega), attenendo tutto ciò alla valutazione delle prove riservata al giudice di merito; prove che hanno consentito alla corte di Torino di ritenere invece colpevole il Castiello per il comportamento, violento e vessatorio, tenuto non solo dopo la conversione religiosa della moglie ma anche in epoca precedente, e che avevano indotto già il giudice penale a ritenere giustificato l'abbandono del domicilio coniugale da parte della Di Mauro, nella situazione familiare che si era determinata in conseguenza della sua adesione alla nuova religione. Con il terzo motivo di ricorso il Castiello deduce poi violazione dell'art. 156 cod. civ. e dell'art. 334 c.p.c. per avere la Corte di Appello ritenuto che

5 l'ammissibilità dell'appello incidentale tardivo proposta dalla Di Mauro sulla domanda di addebitabilità comportasse l'ammissibilità anche dell'appello incidentale tardivo in punto di richiesto dell'assegno di mantenimento in suo favore, richiesta che era sta disattesa dai giudici in prime cure. Secondo il ricorrente la Corte di Tornio ha errato nel ritenere l'attribuzione dell'assegno di mantenimento come conseguenza diretta ed immediata della pronunzia di separazione con addebito al Castiello, in quanto l'assegno va corrisposto solo nella ipotesi in cui il coniuge cui la separazione non sia addebitabile non abbia redditi propri adeguati; il che è da escludere nella specie. Non esistendo alcun rapporto di accessorietà diretta tra il diritto all'assegno e la pronuncia di separazione senza addebito, resta esclusa anche l'ammissibilità dell'appello incidentale in punto di assegno di mantenimento. Al riguardo va anzitutto osservato che la Di Mauro è priva di interesse a dolersi, come essa fa con l'eccezione avanzata nel controricorso, dell'esame fatto dalla Corte di merito della questione relativa alla ammissibilità dell'appello incidentale da essa proposto in punto di assegno di mantenimento, data che tale esame, anche se mancava una regolare e tempestiva eccezione di inammissibilità del suo appello, si è concluso in effetti positivamente per lei, dando cioè ingresso alla sua richiesta di determinazione dell'assegno di mantenimento, con un pronunzia che certo ella non poteva auspicare priva del presente ricorso per cassazione. E tale motivo è da ritenere fondato. Qualora la sentenza di primo grado abbia pronunziato la separazione personale con addebito ad entrambi i coniugi, accogliendo le rispettive richieste in tal senso, ed abbia poi negato il diritto al mantenimento di un coniuge a carico dell'altro, per non essere il richiedente risultato privo di adeguati redditi, tale pronunzia, sfavorevole per detto coniuge, evidenzia un suo interesse autonomo ad ottenere in appello il riesame della sua richiesta assegno, non correlata, nè direttamente dipendente per accessorietà, rispetto alla pronunzia di addebito della separazione (anche) al coniuge che si assume obbligato al mantenimento. In tale ipotesi, il coniuge predetto non può giovarsi dell'impugnazione principale proposta dall'altro coniuge in ordine alla pronunzia di addebito emessa nei suoi confronti, perché l'addebitabilità della separazione al coniuge che si assume obbligato al mantenimento non costituisce un presupposto per la sua condanna all'assegno in favore del coniuge privo di reddito sufficiente, che trova invece fondamento nel perdurare del vincolo matrimoniale anche in regime di separazione e può essere perciò riconosciuto anche qualora la separazione sia pronunziata senza addebito. Nel sistema vigente, l'art. 156, 1 c. cod. civ. si limita infatti a disporre che "il giudice, pronunziando la separazione, stabilisce a vantaggio del coniuge cui non sia addebitabile la separazione il diritto di ricevere dall'altro coniuge quanto è necessario al suo mantenimento, qualora egli non abbia adeguati redditi propri". La norma cioè prevede come condizioni per la concessione dell'assegno lo stato di insufficienza del reddito di uno dei coniugi e la pronuncia della separazione senza addebito allo stesso, ma non richiede che vi

6 sia addebitabilità all'altro coniuge. La pronunzia di separazione evidenzia, al cessare della convivenza coniugale, la necessità che sia prestata assistenza economica al coniuge nel nuovo regime di separazione; il diritto di questi al mantenimento presuppone poi che non sia stata ritenuta l'addebitabilità a lui della separazione, ma non stabilisce l'obbligo di mantenimento come una sorta di sanzione a carico del coniuge cui la separazione risulti addebitabile. Se perciò, nel caso di specie, dopo la pronunzia di addebito emessa dal tribunale a carico di entrambi i coniugi, con diniego del diritto della donna al mantenimento, costei voleva ottenere dal giudice di secondo grado l'assegno così negatole, doveva sia dimostrare il fatto da lei allegati. cioè di essere priva di redditi adeguati, sia insistere nella difesa che la separazione non poteva essere a lei addebitata. E se, per quanto concerne l'addebitabilità anche a lei della separazione, l'interesse all'impugnazione poteva essere tratto dalla impugnazione principale dell'altro coniuge (per l'indubbia correlazione e anzi interazione ravvisabile nel caso di specie tra le due pronunzie di addebito), lo stesso non può dirsi per la pronunzia di diniego del diritto al mantenimento che, come si è sopra rilevato, non presenta alcun collegamento logico nè alcun rapporto di pregiudizialità con la stessa pronunzia di addebito al coniuge che si assume obbligato e quindi con l'appello principale da lui proposto, al quale, al limitato fine di ottenere l'assegno, era sufficiente resistere. Ed è appena il caso di osservare che non è idonea a giustificare la proposizione tardiva dell'appello incidentale il rapporto di accessorietà e connessione - interno alla posizione processuale in considerazione - che esiste tra domanda di assegno e accertamento della non addebitabilità della separazione al coniuge che lo richiede; nè può ritenersi consentito (come ha invece opinato la Corte di Torino) di valersi di tale connessione interna al fine di estendere l'ambito di ammissibilità dell'appello incidentale sul punto dell'addebitabilità - avvalendosi della (indubbia) sua connessione esterna, con l'appello principale, e proponendo una specie di connessione a catena o di secondo grado anche al punto, invece autonomo, della concessione dell'assegno di mantenimento. La sentenza impugnata deve essere perciò cassata in relazione al capo di pronunzia riguardante in relazione al capo di pronunzia riguardante la concessione dell'assegno di mantenimento anche alla Di Mauro, stante la inammissibilità dell'appello incidentale da lei proposto sul punto. La sentenza stessa va, perciò, cassata in relazione al motivo accolto, e rinviata ad altra Sezione della corte di Appello di Torino, che si conformerà al principio di diritto sopra enunciato e provvederà altresì sulle spese del giudizio di cassazione. P.Q.M La corte, rigetta i primi due motivi di ricorso. Accoglie il terzo. Cassa e rinvia in relazione al motivo accolto ad altra sezione della stessa Corte di Torino, anche per le spese. Roma,

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