Basi di Teoria + Suonare la tastiera + Suonare la chitarra

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2 PREFAZIONE Questo lavoro non vuole essere esaustivo, viste la materie estremamente estese che tratta. Sia la Teoria Musicale che le nozioni di tastiera elettronica e di chitarra sono tuttavia esaminate ed esposte in modo da introdurre il lettore nel vasto mondo della musica e dell'esecuzione musicale. Le basi apprese dopo l'attenta lettura dell'ebook costituiscono un valido e fondamentale punto di partenza per uno studio successivo e più approfondito della materia musicale, ma anche chi volesse fermarsi a questa lettura avrà acquisito una sufficiente conoscenza di base sia della Teoria, sia dei due strumenti di gran lunga più comuni, da permettergli di eseguire semplici accompagnamenti di qualsiasi brano musicale con cognizione di causa, sapendo cioè che cosa sta facendo e perchè lo sta facendo. Spero che questa mia fatica possa accendere la curiosità di ognuno e la voglia di approfondire lo studio della musica e degli strumenti musicali, perchè dove c'è musica c'è arte, divertimento, passione, fantasia, estro e, soprattutto, amicizia. Buona lettura Mirco Conforti 2

3 COME USARE IL LIBRO DIGITALE Per accedere all'inice ipertestuale dell'e-book fai click su Segnalibri in alto a sinistra. Cliccando sopra ogni argomento verrai indirizzato immediatamente alla pagina che lo tratta. Cliccando sempre con il tasto sinistro sulle cartelle contrassegnate con un + si aprirà un menù a tendina con l'indice dei titoli di ogni capitolo. Cliccando sul titolo verrai indirizzato alla pagina corrispondente. 3

4 LE BASI DELLA TEORIA MUSICALE La musica e il canto non sono altro che una produzione di suoni determinati. Andiamo dunque immediatamente ad approfondire il concetto di suono. La parola deriva dal latino sonus cioè una sensazione percepita dall udito, ed è prodotto dalla vibrazione di corpi elastici. Il suono può essere determinato nel caso che questa vibrazione sia regolare, oppure indeterminato nel caso sia irregolare (produzione di rumori). I caratteri del suono sono: L Altezza L Intensità Il Timbro La Durata - L Altezza del suono Acuto, alto, grave, basso, sono i termini usati per indicare questo carattere del suono. Nel pianoforte e negli strumenti a tastiera otteniamo suoni sempre più acuti abbassando i tasti da sinistra verso destra. In tutti gli strumenti a corda (pianoforte compreso), ogni corda dà un suono di altezza diversa a seconda di quanto la corda sia sottile, tesa e corta. Nel flauto il suono più basso si ottiene tenendo chiusi tutti i fori. Questo perchè negli strumenti a fiato il suono è tanto più grave quanto più lunga è la porzione di tubo in cui l aria viene fatta vibrare. L altezza di un suono dipende dal numero delle vibrazioni che il corpo vibrante produce in un minuto secondo (frequenza). Il suono è tanto più acuto quanto maggiore è il numero delle vibrazioni e tanto più grave quanto minore è il numero delle vibrazioni. Il numero di vibrazioni che un corpo elastico può realizzare è praticamente illimitato e quindi all uomo è teoricamente possibile produrre una gamma di suoni vastissima. L orecchio umano però non percepisce tutti i suoni, ma solo una piccola parte e precisamente quelli che vanno da un minimo di 16 vibrazioni al secondo ad un massimo di

5 Nella pratica musicale comunque i suoni usati sono quelli compresi tra un minimo di circa 27 vibrazioni al secondo ed un massimo di circa Tutti i suoni oltre le vibrazioni al secondo vengono detti ultrasuoni. A titolo di curiosità: il cane può percepire suoni fino a vibrazioni al secondo, il pipistrello fino a ! - L Intensità del suono Con questo termine si indica la forza con cui si sente il suono che può essere perciò debole o intenso. Se ad esempio un tasto di un pianoforte viene abbassato delicatamente il suono prodotto sarà debole, al contrario sarà intenso se viene colpito con energia. In musica i termini utilizzati per indicare i vari livelli di intensità sono nell ordine: pianissimo piano mezzopiano mezzoforte forte fortissimo - Il Timbro del suono Per Timbro si intende quella qualità che ci permette di distinguere quale sia la 5

6 fonte sonora del suono prodotto. In altre parole, noi siamo in grado di riconoscere i vari strumenti, per esempio il suono del violino o del pianoforte, proprio grazie ai loro diversi timbri. Questo dipende dalla forma e dalla materia dello strumento stesso indipendentemente dall intensità e dall altezza del suono prodotto. Ogni persona ha il proprio particolare timbro di voce anche grazie alla conformazione delle ossa e delle cavità della testa. - La Durata del suono Naturalmente la durata dipende dalla permanenza nel tempo del suono stesso. Ad esempio un battito secco su un legno produrrà un suono corto, breve. Mentre un gong lasciato vibrare dopo la percussione produrrà un suono lungo. A questo punto per trascrivere nella pratica della musica i suoni che vengono usati, serve un sistema che ne indichi l Altezza, la Durata e l Intensità. Il Timbro viene invece di solito specificato a parole, cioè si indica il nome dello strumento che deve suonare e, in certi casi, il modo particolare con il quale il suono deve essere prodotto, per esempio per il violino si può scrivere: col legno, sul ponticello ecc.. 1 Le figure di durata: le note Cominciamo con il vedere come si indica la durata di un suono. Ogni suono viene rappresentato da un segno detto nota o figura o valore musicale che ne indica la durata. Attenzione: le note non indicano una durata assoluta, per esempio due secondi cinque secondi e così via, ma una durata relativa (il doppio, la metà, il quarto ecc ). Più precisamente ognuna delle figure indica una durata doppia della figura immediatamente più corta, in questo modo: Semibreve = intero doppia di: Minima = metà doppia di: Semiminima = quarto doppia di: Croma = ottavo doppia di: 6

7 Semicroma = sedicesimo doppia di: Biscroma = trentaduesimo doppia di: Semibiscroma = sessantaquattresimo Naturalmente la musica non è fatta solo di suoni, ma anche di silenzi, che vengono detti pause. Anche le pause tra un suono e l altro si indicano con un identico sistema di figure di durata: Semibreve Minima Semiminima Croma Semicroma Biscroma Semibiscroma Ora, in musica c è la necessità di indicare anche durate intermedie tra quelle che abbiamo visto, ad esempio un suono che duri tre semiminime, ossia una minima (che abbiamo visto ha una durata doppia rispetto alla semiminima) più una semiminima. Minima: 2/4 + Semiminima: 1/4 = ¾ In questo caso si ricorre a due segni integrativi: la legatura di valore e il punto di valore. - La legatura di valore. E una linea curva che unisce due o più note dello stesso valore e della stessa altezza; il suono si prolunga oltre il valore della prima nota, anche per il valore delle note legate. 7

8 Nella figura l esempio che ho citato prima, cioè un suono di durata 3/4 attraverso la legatura di valore tra una minima e una semiminima. - Il punto di valore. Il punto di valore viene sempre posto a destra della nota e aumenta la nota stessa della metà del suo valore. Per produrre ad esempio ancora un suono di durata 3/4 utilizzando il punto di valore, i segni da utilizzare saranno: Cioè una Minima = 2/4 più un punto di valore = 1/4. Il risultato è naturalmente ancora 3/4. ORIGINE DEL NOME DELLE NOTE Credo che sia utile a questo punto fare una breve parentesi sull'origine del nome delle note. I nomi delle note così come oggi noi li conosciamo, sono dovuti al talento didattico di Guido Monaco, conosciuto anche come Guido d Arezzo. Siamo nel Medioevo, e più precisamente nella prima metà dell XI secolo, e Guido d Arezzo, fondatore di una celebre scuola di canto in quella città, escogitò questo espediente per facilitare ai suoi allievi l apprendimento di canti nuovi. Guido si accorse che in un inno da loro ben conosciuto, l Inno a S. Giovanni, i suoni iniziali dei primi sei versi formavano una scala ascendente. Chiamò allora ognuno di questi suoni con la sillaba stessa con cui venivano cantati: 8

9 (Traduzione: affinchè i fedeli possano cantare con tutto lo slancio le tue gesta meravigliose, liberali dal peccato che ha contaminato il loro labbro, o San Giovanni). Ut, Re, Mi, Fa, Sol, La, sono dunque i nomi che Guido usò, formando così la prima scala musicale di sei note chiamata esacordo. Più tardi, verso il 1600, il nome Ut fu mutato in Do, probabilmente per la maggior facilità di pronunciarlo nel canto. Oggi solamente in Francia la nota Do conserva ancora il nome originale di Ut. Mancava una designazione per il settimo suono della nostra scala. In realtà, dato il carattere e la struttura particolare della musica di quel tempo, lungo tutto il Medio Evo questo settimo suono veniva anch esso chiamato Mi. Fu soltanto nel Rinascimento che si sentì la necessità di distinguere quel settimo suono dagli altri, e di trovargli quindi un nome speciale. Il nome fu Si, forse dalle iniziali dell ultimo verso: Sancte Joannes. Come ti sarai già accorto, lo spartito dell Inno a S. Giovanni ha un aspetto assai diverso rispetto a quello a cui siamo abituati. In effetti si tratta di un tetragramma, cioè di un rigo musicale costituito da quattro linee e tre spazi, invece delle cinque linee e quattro spazi del nostro pentagramma moderno. Le note hanno una forma quadrata e infatti questo modo di scrivere la musica viene detto Notazione Quadrata o Notazione Vaticana che è una notazione apparsa nel XI secolo ( probabilmente anch essa ad opera di Guido d Arezzo), per annotare il canto gregoriano. In genere l ambitus del canto gragoriano (l ambitus è l intervallo compreso tra la nota più bassa e quella più alta di uno spartito) era poco sviluppato, perciò quattro linee erano sufficienti. Nel caso comunque in cui una melodia superasse l ambito delimitato dal tetragramma, si poteva aggiungere una linea supplementare sopra o sotto.questo sistema di dare un nome particolare alle note viene adottato solo nei paesi latini, mentre in altri paesi le note vengono nominate con lettere dell alfabeto, partendo però dal La e non dal Do. 9

10 Per i paesi anglosassoni avremo quindi: In Germania la lettera B corrisponde al Sib, e il Si corrisponde alla H 2 L'altezza del suono: il pentagramma Abbiamo visto quindi che questi segni convenzionali, le note appunto, servono per determinare la durata relativa di un suono. Ma per indicare graficamente l altezza del suono, cioè di che tipo di nota si tratta, che nome ha quella nota, se è un Do o un Fa o un Si bemolle, come si fa? Fino dal Medioevo per indicare l altezza di un suono si usa un sistema di linee orizzontali poste una sopra all altra. Le note, cioè le figure di durata, vengono collocate sulle linee o negli spazi tra le linee per determinarne l altezza. Il problema è che per contenere tutti i suoni praticati dagli strumenti serve un numero di linee così grande da rendere impossibile la lettura della musica. Per esempio per indicare tutte le note della tastiera del pianoforte ci vorrebbero almeno 25 linee, ed è facile immaginare che leggere uno spartito con 25 linee e 24 spazi sarebbe davvero un impresa ardua! Allo stesso modo, ogni strumento e ogni voce usa una propria fascia di altezze, una propria estensione, che può essere diversa da quella degli altri. Ad esempio un violino usa una fascia di suoni molto più acuti di quella del contrabbasso. 10

11 Quindi, per poter rendere agevole la lettura della musica, si è scelto di selezionare solo cinque linee dal sistema complessivo. Ogni gruppo di cinque linee si chiama pentagramma (dal greco pente = cinque, e gramnnma = linea) o rigo musicale. Attenzione a non confondere il rigo musicale con la linea del pentagramma. Quando si parla di linea si intende una singola linea del pentagramma (la prima, la terza ecc..), quando si parla di rigo musicale si intende l intero pentagramma. In un pentagramma possono trovare sede 11 note, cinque sulle linee e quattro negli spazi, una sopra la linea superiore e una sotto la linea inferiore. Per indicare le note più alte e più basse si traccia di volta in volta un trattino di linea corrispondente, rispettivamente superiore o inferiore al pentagramma. Questo trattino viene detto taglio, che può essere posto in testa o in gola. Per sapere quali siano esattamente le linee scelte, cioè quale parte del sistema complessivo di linee viene preso di volta in volta in considerazione, si usa collocare un segno convenzionale all inizio del pentagramma: una chiave. Dunque l uso della chiave è determinante, perchè senza di essa non potremmo 11

12 sapere quale gruppo di cinque linee è stato estrapolato dal sistema complessivo, e non potremmo di conseguenza dare un nome (cioè un altezza) alle note. Le chiavi usate sono tre: Nel doppio pentagramma (detto anche endecalineo, cioè di 11 linee, dal greco èndeca che significa undici) la Chiave di Do è posta al centro dei due pentagrammi e fissa la posizione del Do centrale. Il Do centrale ha la caratteristica di essere un suono comune a tutte le voci e a tutti gli strumenti. Ricapitolando: l endecalineo è un sistema di undici linee nel quale il Do centrale è posto sulla linea centrale, ossia la sesta. Il doppio pentagramma, tipico degli spartiti per pianoforte, non è altro che l endecalineo senza la linea del Do centrale, sostituita da un taglio in testa sulla nota. Nella figura sopra, il Do centrale è la prima nota sia nel pentagramma superiore sia in quello inferiore. Le note del pentagramma superiore sono determinate dalla chiave di Sol e sono più alte rispetto al Do 12

13 centrale. Le note del pentagramma inferiore sono determinate dalla chiave di Fa e sono più basse rispetto al Do centrale. Per il pianoforte il rigo superiore indica le note da suonare con la mano destra e il rigo inferiore le note da suonare con la mano sinistra. LEGGERE LE NOTE Abbiamo visto che il Do centrale corrisponde alla prima nota del doppio pentagramma in figura. Quindi per il pentagramma superiore in Chiave di violino o di Sol, la seconda nota sarà un Re, la terza un Mi, la quarta un Fa e così via. Per il pentagramma inferiore in Chiave di basso o di Fa la seconda nota sarà un Si, la terza un La, la quarta un Sol e così via. Si possono così memorizzare le note in chiave di violino e in quella di basso in questo modo: Più una nota appoggiata sopra l ultima linea e una appesa sotto la prima linea, che sono rispettivamente il Sol e il Re per la chiave di violino, e il Si e il Fa per 13

14 la chiave di basso. Nella figura sotto puoi visualizzare tutte le note (9 + 2) che stanno sul pentagramma in chiave di violino e in chiave di basso. Si può anche notare che: la Chiave di violino fissa la posizione della nota Sol posta sulla seconda linea del pentagramma semplice (superiore) e corrispondente alla quinta nota ascendente del Do centrale. Il ricciolo della chiave di violino è sulla seconda linea, quella del Sol. La Chiave di basso fissa la posizione della nota Fa posta sulla quarta linea sul pentagramma semplice (inferiore) e corrispondente alla quinta nota discendente del Do centrale. Il doppio punto della chiave di basso è sulla quarta linea, quella del Fa. Nella figura successiva vediamo le due ottave precedente e successiva al Do centrale, la prima con le note poste in chiave di basso e la seconda con le note poste in chiave di violino: Curiosità: i segni delle chiavi provengono graficamente da una progressiva alterazione delle lettere dell alfabeto gotico corrispondenti. La chiave di Sol deriva dall alterazione dalla lattera G, la chiave di Fa dall alterazione della 14

15 lettera F, e la chiave di Do dall alterazione della lettera C. A questo punto dovremmo passare a studiare gli intervalli, ma prima è bene iniziare a conoscere la tastiera del pianoforte. Sarà più semplice poi visualizzare gli intervalli tra le note. LA TASTIERA DEL PIANOFORTE Chiunque voglia avvicinarsi alla musica o al canto non può esimersi dal conoscere almeno in maniera approssimativa la tastiera del pianoforte. Perche? Perchè sulla tastiera del pianoforte tutto è più semplice e immediatamente visualizzabile rispetto ad altri strumenti. Sulla tastiera si possono riconoscere velocemente le note ed i rapporti che intercorrono tra esse, e si possono riprodurre immediatamente abbassando semplicemente il tasto con un dito. Qualsiasi bambino può suonare per gioco le note della scala musicale con il pianoforte (o con una qualsiasi tastiera elettronica), ma non può farlo altrettanto semplicemente con una chitarra o un sassofono. Andiamo quindi a vedere come è fatta la tastiera del pianoforte Il pianoforte conta 88 tasti (nelle tastiere elettroniche ve ne sono di meno), 52 bianchi e 36 neri, che corrispondono ad altrettante note. Osservando i tasti neri possiamo notare che sono raggruppati in numero di due o tre, intervallati da uno spazio costituito da due tasti bianchi senza nessun tasto nero in mezzo. Ogni tasto bianco immediatamente precedente ad un gruppo di due tasti neri è un Do Ogni tasto bianco immediatamente precedente ad un gruppo di tre tasti neri è un Fa. A questo punto le note della scala musicale sono immediatamente riproducibili abbassando un qualsiasi tasto bianco precedente ad un gruppo di due tasti neri (Do), e procedendo verso destra fino ad arrivare al Do successivo (ottava sopra). Abbiamo in questo modo eseguito la scala naturale ascendente Do, Re, Mi, Fa, 15

16 Sol, La, Si, Do successivo. (Per scala naturale si intende una qualsiasi scala prodotta suonando solamente i tasti bianchi del pianoforte). Se si procede in senso contrario la scala sarà, naturalmente, discendente. Ma non finisce qui. Abbiamo detto infatti che anche i tasti neri corrispondono ad altrettante note. E allora quale nome prendono queste note? Semplice: il nome della nota (tasto bianco) che li precede con l aggiunta di diesis o il nome della nota che li segue con l aggiunta di bemolle. Succede quindi che la stessa nota corrispondente ad un tasto nero abbia in realtà due nomi: ad esempio il Do diesis e il Re bemolle non sono altro che la stessa nota, così come il Fa diesis e il Sol bemolle ecc Questa particolarità viene detta enarmonia. Il termine enarmonia indica quindi la possibilità di scrivere lo stesso suono in due diverse maniere, ed è un concetto che si è diffuso in seguito all adozione del sistema temperato, di cui parleremo nel prossimo capitolo dedicato agli intervalli. Se ci sediamo all incirca nel centro della tastiera, il Do che ci troviamo davanti è il Do Centrale. Lo si può individuare anche contando tutti i Do sul pianoforte da sinistra a destra. Il quarto Do partendo da sinistra è il Do Centrale. Viene anche chiamato Do4 o C4 (più raramente Do3 o C3). 16

17 Ma perchè Do3 se in realtà è il quarto Do? Perchè la prima ottava del pianoforte può essere definita come Ottava 1 (e non Ottava 1), la seconda viene detta Ottava 1, e così via quindi l ottava corrispondente al Do centrale è l Ottava 3 e di conseguenza la nota con la quale inizia è il Do3 (C3). Ed ora possiamo passare a studiare gli intervalli. GLI INTERVALLI Vediamo che tutti i tasti bianchi sono intervallati da un tasto nero tranne in due casi: tra il Mi e il Fa e tra il Si e il Do infatti non c è un tasto nero che li separa Il motivo si perde nella notte dei tempi ed arriva fino alla Scuola di Pitagora che per prima ha studiato in modo matematico i rapporti tra le note. Non voglio annoiarti con una storia che si protrarrebbe per pagine e pagine. Ti basti sapere che il modello oggi in vigore, almeno per quanto riguarda la musica occidentale, è relativamente recente e risale alla pubblicazione nel 1691 del trattato Musikalische Temperatur nel quale si teorizzano i rapporti tra le note che oggi conosicamo. La definitiva attuazione pratica si deve invece a J.S. Bach con la pubblicazione del Clavicembalo ben temperato una raccolta di preludi e fughe in tutte le tonalità. Questa soluzione viene definita Temperamento equabile e consiste nella suddivisione dell ottava in 12 semitoni alla stessa distanza l uno dall altro. In altre parole se noi suoniamo tutti i tasti, compresi quelli neri (scala cromatica ), dal Do a quello successivo, eseguiremo delle note tutte alla stessa distanza l una dall altra, con un intervallo, cioè, sempre di mezzo tono. Passiamo agli intervalli. 17

18 Nella teoria musicale gli intervalli si misurano contando le note da quella di partenza a quella di arrivo. Prendendo come esempio la scala di Do, gli intervalli saranno così composti: di seconda: Do Re di terza: Do Mi di quarta: Do Fa di quinta: Do Sol di sesta: Do La di settima: Do Si di ottava: Do Do (ottava sopra) L intervallo di prima (Do con sé stesso) viene detto unisono. Si possono avere anche intervalli oltre l ottava, ad esempio undicesima, dodicesima, tredicesima ecc Sembra tutto facile, ma non finisce qui (i musicisti amano complicarsi la vita), infatti ora la storia si fa un po più complessa. Osserviamo ancora una volta la nostra tastiera del pianoforte. Rimanendo sulla scala di Do che ormai è il nostro punto di riferimento, possiamo notare che sia l intervallo Do Mi, sia l intervallo Mi Sol, sono fondamentalmente delle terze. Ma suonano all orecchio in maniera diversa! Se osserviamo bene, infatti noteremo che nel primo caso ci sono quattro semitoni tra le note, e nel secondo caso solo tre. Osserva l immagine alla pagina successiva: 18

19 Il primo intervallo viene allora definito maggiore mentre il secondo minore. Non tutti gli intervalli hanno però questa particolarità: gli intervalli di quarta, di quinta e di ottava sono sempre uguali e vengono per questo definiti giusti. Un intervallo può anche essere eccedente quando è più che maggiore o diminuito quando è meno che minore. Te l ho detto che la storia era complicata, ma non scoraggiarti. Rileggiti tutto con calma e metti in pratica sulla tastiera ciò che hai letto. (Se non hai una tastiera spero che le immagini e i disegni siano esaustivi per la comprensione dell argomento). Per maggiore chiarezza ti riporto qui sotto una tabella dove puoi vedere quanti semitoni comprendono gli intervalli dalla seconda alla settima. 19

20 Come puoi vedere la quarta e la quinta sono in genere giuste. La seconda diminuita e la settima eccedente esistono ma come puoi intuire non sono usati in pratica, in quanto non sono altro che l unisono e l ottava sopra. Riguardati l immagine dell ottava riportata sopra e allenati a visualizzare gli intervalli alla luce della tabella che hai appena visto. Un esempio: vedi che tra Do e Sol# c è una distanza di 8 semitoni, e la tabella ci dice che questo intervallo equivale ad una quinta eccedente o ad una sesta minore. I MODI MUSICALI Si sente spesso parlare di musica tonale, atonale e di musica modale. Ma che cosa significano questi termini? Vediamo di fare un po di chiarezza. Modo è il termine che indica il particolare legame che per il nostro orecchio hanno fra loro i suoni di una scala. Alla nostra sensibilità uditiva le note della scala naturale (per scala naturale si intende quella prodotta suonando solo i tasti bianchi del pianoforte) appaiono legate fra loro da rapporti di parentela. Uno dei sette suoni è percepito come fondamentale, come punto di riferimento. Mentre questo suono ha un carattere di conclusione, tutti gli altri in maniera diversa ci appaiono più o meno sospesi, come se avessero un equilibrio instabile. Se infatti suoniamo la scala naturale a partire dal Do fermandoci per esempio al Si, questo ci appare come un suono sospeso a mezz aria, con una forte attrazione a concludere verso il Do successivo. In questo caso il suono fondamentale è appunto il Do. Ma possiamo suonare una scala naturale anche partendo da un altro tasto bianco qualsiasi, per esempio il Re. In questo caso suonando tutti i tasti bianchi fino al Re successivo noteremo che cambia il modo con cui il nostro orecchio percepisce l intera serie, cambiano i rapporti fra le note e il modo con cui ogni suono sembra legarsi agli altri. Rispetto al nostro orecchio musicale questa seconda scala ci sembrerà strana, stramba, con i rapporti fra le note sbagliati. Questo perchè dal Seicento ad oggi i modi usati per comporre la musica 20

21 occidentale sono quello di Do, detto anche maggiore e quello di La detto minore. Ciò non significa naturalmente che tutte le musiche dal seicento ad oggi vengono composte nella scala naturale di Do o in quella di La, ma bensì nel modo di Do o di La. Vengono composte cioè tenendo conto dei rapporti tra le note, degli intervalli caratteristici di queste due scale naturali. Cerco di spiegarmi meglio, osserva ancora la tastiera del pianoforte: Tra ogni nota (e quindi tra ogni tasto del pianoforte compresi quelli neri) e la nota successiva o precedente c è un intervallo di mezzo tono. Quindi la distanza ad es. tra Do e Do# è di mezzo tono, come è di mezzo tono l intervallo tra Mi e Fa o tra Si e Do. Mentre per es. tra Do e Re l intervallo è di ½ tono + ½ tono= un tono. Ora, suonando la scala naturale di Do noterai che si produce una sequenza ben precisa di toni e semitoni e cioè: Suonare nel modo di Do non significa altro che comporre musica con scale 21

22 che utilizzino questa sequenza, indipendentemente dalla nota fondamentale (dalla tonalità) che si utilizza. Se volessimo comporre cioè una canzone in tonalità di Re, basterà utilizzare la sequenza della scala naturale di Do, ma partendo dalla nota Re. Avremmo così la scala: Come vedi la sequenza dei toni e semitoni è stata riprodotta fedelmente. Per quello che riguarda il modo di La (modo minore) la storia è un po più complessa in quanto esistono tre tipi di scale minori (e se contiamo la scala minore di Bach arriviamo a quattro!) e tratteremo l'argomento in seguito. Possiamo a questo punto definire i concetti di musica tonale e modale. La musica composta secondo i modi maggiore o minore (modo di Do e modo di La) si dice musica tonale. La musica che non si basa su tali rapporti di parentela tra i suoni e li presenta come autonomi tra di loro, viene detta musica atonale. Quella composta secondo gli antichi modi (utilizzando le scale naturali partendo dal Re, dal Mi ecc..), e che hanno una diversa sequenza di toni e semitoni rispetto al modo di Do, viene detta modale (ad es. la musica medievale). La diversa disposizione dei toni e semitoni di queste scale antiche è il motivo per il quale questo tipo di musica risulta di difficile comprensione per il nostro orecchio ormai abituato da secoli all ascolto della musica tonale. ANCORA INTERVALLI Ora che abbiamo dato un numero agli intervalli (di prima, di seconda, di quinta ecc ) vediamo di assegnare loro anche un nome. Nell armonia tonale, che è quella utilizzata per le nostre canzoni moderne, si suppone che ogni brano abbia una tonalità di base, e tutti gli accordi del brano vengono considerati relativamente a quella tonalità. La tonalità di base è indicata per intenderci dall accordo con il quale in genere inizia e finisce un pezzo musicale. 22

23 Quello che fa apparire identiche due melodie eseguite in tonalità diverse, come abbiamo visto nel capitolo precedente, è il fatto che se cambia l altezza di ciascun suono, tutti gli intervalli dell una rimangono identici ai corrispondenti intervalli dell altra. Lo si può verificare confrontando la scala di qualsiasi tonalità con quella di Do: I numeri romani indicano i gradi della scala: per la scala di Do il primo grado sarà appunto il Do, il secondo il Re e così via. Per la scala di Mi bemolle, il primo grado sarà il Mib, il secondo il Fa e così via. Come vedi, in entrambe le scale la successione dei toni e dei semitoni non cambia e gli intervalli della prima scala sono identici ai corrispondenti dell altra (es. tra il primo e il terzo grado c è un intervallo di terza maggiore per tutte e due le scale). Quello che dà a ognuno dei sette gradi della scala il suo particolare carattere è dunque la distanza che tiene rispetto a tutti gli altri, e non la sua altezza assoluta. Nell esempio sopra il Sol della scala di Do corrisponde al Sib della scala di Mib: tutti e due infatti distano una quinta dalla prima nota della scala, un tono dalla nota precedente e successiva ecc Ognuno dei sette gradi della scala viene chiamato anche con un termine che ne sottolinea il carattere e la funzione tonale: I grado: tonica (o fondamentale) II grado: sopratonica III grado: modale (o mediante o caratteristica) IV grado: sottodominante V grado: dominante VI grado: sopradominante VII grado: sensibile 23

24 LE SCALE MINORI Il modo minore si differenzia per la diversa disposizione dei toni e dei semitoni rispetto al modo maggiore. Ogni scala di modo maggiore ha una relativa minore la quale ha per base il 6 grado della scala maggiore e conserva le stesse alterazioni. Vediamo subito una illustrazione per capire meglio il concetto: Come vedi, partendo da una scala di modo maggiore, la sua relativa minore si trova scendendo di 1 tono e mezzo dalla tonica, cioè dalla prima nota della scala maggiore. Naturalmente, data una scala di modo minore, per trovare la sua relativa maggiore si fa il procedimento inverso, cioè si sale di 1 tono e mezzo. La scala minore, abbiamo detto, si differenzia per la diversa disposizione dei toni e semitoni, allora andiamo a vedere nel dettaglio. Sappiamo già che nella scala maggiore la disposizione dei toni e semitoni è: TONO TONO SEMITONO TONO TONO TONO SEMITONO Nella scala minore invece: 24

25 Le caratteristiche principali che distinguono una scala maggiore da una minore, come puoi facilmente osservare sono su due particolari intervalli: L intervallo tra il 1 grado (tonica) e il 3 grado (modale): nella scala maggiore l intervallo è di terza maggiore (2 toni), mentre nella scala minore è di terza minore (1 tono e mezzo). L intervallo tra il 7 e l 8 grado della scala: nella scala maggiore l intervallo è di mezzo tono, mentre nella scala minore naturale è di un tono. Quella che hai appena visto è la Scala minore naturale, ma esistono anche altri tipi di scale minori che andiamo a conoscere immediatamente. LE TRE VERSIONI DI SCALE MINORI La Scala minore naturale è solo una delle tre versioni possibili di scale minori. Le altre due sono: La scala minore armonica La scala minore melodica La Scala minore armonica si differenzia da quella naturale perchè ha la sensibile (v. pag 23) tanto in ascendere che in discendere, infatti presenta un intervallo di un semitono tra il 7 e l 8 grado, a differenza della scala minore naturale che ha un intervallo di un tono. In altre parole, nella Scala minore armonica è stato innalzato di un semitono il settimo grado rispetto alla scala naturale. Un piccolo appunto sulla sensibile : abbiamo visto che la sensibile corrisponde al VII grado della scala. Porta questo nome a causa della sua forte attrazione, della sua spiccata sensibilità verso l ottava nota della scala, ossia la tonica o fondamentale. Prova a suonare una scala di Do maggiore fermandoti sul Si e sentirai chiaramente la marcata attrazione di questa nota verso la nota successiva, il Do appunto. Ciò avviene perchè nella Scala maggiore tra la sensibile e la tonica c è un intervallo di mezzo tono, che non è presente invece nella Scala minore naturale (nell esempio della Scala di La min. naturale: Sol-La = 1 tono). Per ovviare a ciò, nella Scala minore armonica si è alterato il 7 grado facendogli così acquistare uno spiccato carattere di sensibile. Dal lato melodico però questo espediente ha causato un intervallo di seconda eccedente tra il 6 25

26 e il 7 grado di difficile intonazione. La Scala minore melodica si differenzia da quella naturale e da quella armonica perchè il moto ascendente non si suona alla stessa maniera del moto discendente. Infatti in questa scala, per correggere l intervallo di seconda eccedente della scala armonica, si è innalzato di un semitono oltre il 7 anche il 6 grado, ma solo andando dal basso verso l alto. Discendendo la scala entrambi i gradi ritornano allo stato naturale. In definitiva quindi le tre scale minori sono così costituite: Le note caratteristiche della scala sono tre e precisamente quelle poste sul 3, 6 e 7 grado. Sono dette caratteristiche perchè il loro intervallo rispetto alla tonica (la prima nota della scala) determina se la scala è maggiore o minore. nella scala maggiore abbiamo infatti rispetto alla tonica la terza, la sesta e la settima maggiori nella scala minore naturale abbiamo la terza la sesta e la settima minori Fra questi gradi il più qualificante è il 3 (nota modale), mentre il 6 e il 7 rivestono un importanza minore perchè abbiamo visto che possono subire varianti nelle scale di modo minore. 26

27 Quindi la stessa tonica può essere la base di una scala maggiore o minore, infatti se noi in una scala di modo maggiore abbassiamo di un semitono il 3, il 6 e il 7 grado otterremo una scala di modo minore. Ecco un esempio partendo dalla scala di Do maggiore: In conclusione diciamo che ogni scala di modo maggiore, oltre ad avere una sua relativa minore ha anche una sua omofona o omonima minore, una scala cioè che inizia con la stessa tonica ma che subisce alterazioni sul 3, 6 e 7 grado. Nella pagina seguente un quadro riassuntivo: 27

28 3 I segni di intensità: la dinamica Abbiamo visto nel capitolo dedicato al suono, che i caratteri che determinano ogni suono sono: durata, altezza, intensità e timbro. Fino ad ora abbiamo visto come si indica la durata di un suono in musica (attraverso le figure di durata, le note, pag. 6) e come se ne indica l'altezza (attraverso il pentagramma, pag.10). Ora andiamo a conoscere il terzo elemento mancante per determinare tutti i parametri che servono al fine di riprodurre un suono da uno spartito musicale: l Intensità. Per indicare graficamente l intensità si usa un criterio molto semplice: si pongono sopra o sotto le note musicali le iniziali di piano (p), forte (f), mezzo (m), secondo questa scala: 28

29 ff = fortissimo f = forte mf = mezzoforte mp = mezzopiano p = piano pp = pianissimo Un segno di intensità vale dal punto in cui è stato messo fino all incontro di un segno diverso. Alcuni compositori utilizzano addirittura più di due f o due p per indicare rispettivamente sonorità estremamente energiche o estremamente tenui. Un suono forte che passa bruscamente al piano viene indicato con: fp. Nei casi in cui il cambiamento sia ancora più brusco si scrive: ffp, oppure fpp, o ancora ffpp. Altri segni di intensità sono: Tutti questi segni si chiamano segni dinamici. Dinamica è l elemento del linguaggio musicale che governa l ordine delle intensità. 29

30 IL TEMPO e IL RITMO L'ultimo elemento indispensabile per riuscire a leggere uno spartito musicale è il tempo. Per permettere la lettura della musica, il pentagramma viene suddiviso con delle stanghette poste verticalmente attraverso il penagramma. Lo spazio compreso tra due stanghette si chiama misura o battuta. Per determinare la durata di ogni misura, si mette all inizio del pezzo musicale, subito dopo la chiave, un numero frazionario dove il numeratore indica il numero dei tempi contenuti nella misura, e il denominatore indica il valore di questi tempi. Per esempio se io indico un tempo di 4/4 (che in musica in genere si scrive con la lettera C), significa che in ogni misura possono entrare una Semibreve (4/4), oppure due minime (2/4 + 2/4), oppure quattro semiminime (1/4 + 1/4 + 1/4 + 1/4) e così via. Oppure note con valori diversi, o caratterizzate da punti, o legature di valore, o pause, purchè la somma di tutti i segni dentro la misura sia 4/4. 30

31 Nella prima battuta abbiamo una minima e due semiminime (2/4 + 1/4 + 1/4 = 4/4). Nella seconda battuta abbiamo due semiminime e quattro crome (1/4 + 1/4 + 1/8 + 1/8 + 1/8 + 1/8 = 4/4). Nella terza battuta ci sono una pausa di minima e una minima (2/4 + 2/4 = 4/4). Nella quarta battuta una minima, una semiminima con un punto di valore e una croma (2/4 + 1/4 + 1/8 + 1/8 = 4/4). In musica il tempo si batte con movimenti regolari della mano destra che sono un alternarsi del movimento in battere e del movimento in levare. Tutti i movimenti verticali dall alto in basso si chiamano movimenti in battere, tutti gli altri, laterali o dal basso in alto, si chiamano movimenti in levare. Per esempio in un tempo 2/4 per ogni misura si devono fare due movimenti della mano destra corrispondenti al tempo che la mano impiega a muoversi da A a C. Ogni movimento vale un tempo, cioè un quarto. Esistono due tipi di tempi: Tempi semplici, in cui ogni movimento è suddivisibile in due parti, e Tempi composti in cui ogni movimento è suddivisibile in tre parti 31

32 Come vedi, nei tempi semplici ogni movimento è suddiviso in due parti (u-no, du-e). Nei tempi composti ogni movimento ha suddivisione ternaria (u-no-o, du-e-e). Ed ora vediamo come si battono con la mano questi tempi. Prendiamo ad esempio il tempo di quattro quarti. 32

33 ATTENZIONE: le freccette in giù indicano il movimento verticale della mano (verso il basso e ritorno), e le freccette verso destra o sinistra indicano il movimento della mano laterale a destra o a sinistra (e ritorno). E per il tempo di sei ottavi: Mentre per il tempo di nove ottavi: L elemento fondamentale del discorso musicale, oltre al suono è il ritmo, che non è altro che una successione regolare di accenti forti e deboli, distribuiti in tante misure o battute. 33

34 A volte però questi accenti sono spostati volutamente rispetto alla loro successione naturale dando luogo alla sincope e al contrattempo. La sincope La sincope è lo spostamento dell accento ritmico dalla sua cadenza regolare. Il suono cioè invece di iniziare sul tempo forte comincia sul movimento debole. Il contrattempo Nel contrattempo si ha lo stesso spostamento d accenti che nella sincope, però qui il suono viene troncato dalla pausa. 34

35 LE ALTERAZIONI MUSICALI Abbiamo visto che la scala naturale usa sette suoni, ma da una semplice osservazione della tastiera del pianoforte è intuibile che i suoni usati per fare musica (nel nostro sistema occidentale) non sono sette, ma dodici. Questo sistema di 12 note abbiamo visto che viene detto scala cromatica. Altri sistemi, come quelli delle musiche asiatiche, africane ecc.. usano all interno dell ottava un numero maggiore di suoni. I cinque suoni aggiuntivi (per intenderci quelli dei tasti neri del pianoforte) che insieme ai suoni della scala naturale formano la scala cromatica, non vengono chiamati con nomi particolari, ma prendono il nome del suono immediatamente inferiore con l aggiunta di diesis, o di quello immediatamente superiore con l aggiunta di bemolle. Diesis e bemolle si chiamano accidenti o alterazioni musicali. Quindi i sette suoni della scala naturale vengono detti naturali (appunto), mentre gli altri cinque vengono detti alterati. Le alterazioni sono perciò segni che vengono posti davanti ad una nota e ne modificano l'intonazione verso l'alto o verso il basso. Sono in tutto cinque: Diesis: altera la nota di un semitono verso l'alto Bemolle: altera la nota di un semitono verso il basso Doppio diesis: altera la nota di due semitoni (un tono) verso l'alto Doppio bemolle: altera la nota di due semitoni (un tono) verso il basso Bequadro: annulla ogni alterazione e riporta la nota al suo stato naturale Raramente è possibile imbattersi anche nel doppio bequadro. 35

36 Importante: una alterazione non vale solo per la nota davanti alla quale è posta, ma per tutte le note dello stesso nome all interno di quella misura. Es.: Il diesis non vale solo per il primo Fa, ma anche per quello successivo e tutti gli altri eventuali fino alla fine della battuta o misura. Una alterazione può essere temporanea, quando si presenta occasionalmente nel corso del brano, o permanente, quando si presenta stabilmente dall inizio alla fine. LA LEGATURA DI PORTAMENTO E DI FRASE Oltre alla legatura di valore (v. pag. 7), in musica vengono usati altri due tipi di legature: di portamento e di frase. La legatura di portamento è una linea che unisce due note di altezza diversa e indica che vanno suonate legate cercando di evitare lo spezzarsi del suono nel passaggio tra una nota e l altra. La legatura di frase invece è una linea che abbraccia più note e indica un legato complessivo tra i suoni di una intera frase musicale. 36

37 ABBREVIATURE E SEGNI CONVENZIONALI Abbiamo visto che uno spartito musicale è pieno zeppo di segni di vario tipo, che devono essere conosciuti approfonditamente per poter leggere il brano in modo corretto. Tra questi segni esistono dei simboli che indicano abbreviature e dei segni convenzionali. Le abbreviature Le abbreviature sono segni che servono per abbreviare la stesura di uno spartito musicale, facilitandone anche la lettura. I segni di abbreviazione principali sono: Il ritornello Il Da Capo Il Da Capo al Fine o al segno convenzionale Il Da Segno a Segno Il ritornello obbliga a ripetere tutta la parte del brano racchiusa tra i due segni: e può presentare l'indicazione prima volta e seconda volta in questo modo: In questo caso si esegue il brano dall inizio fino al termine della battuta contrassegnata con 1., si ripete il brano dall inizio (o comunque dal segno di ritornello se questo non è posto all inizio), e arrivati alla battuta che precede 37

38 quella contrassegnata con 1., si salta e si passa direttamente a quella o a quelle contrassegnate con 2. Il Da Capo non ha bisogno di spiegazioni. Il Da capo al Fine (in genere abbreviato con D.C. al Fine) non è altro che una variante del ritornello e significa che si deve ripetere il brano da capo fino alla dicitura Fine. Dal Segno al Segno viene abbreviato con: Questi due segni possono essere collocati in qualsiasi punto del brano e significano che va ripetuta la parte precedentemente eseguita racchiusa tra questi segni. Per la ripetizione di una melodia o di una figura ritmica senza doverla riscrivere, si ricorre a questo segno: che indica che si deve ripetere completamente e interamente la linea melodica o ritmica precedente. A seconda dei casi la ripetizione può valere mezza battuta, una battuta intera, o anche due battute, in questo modo: 38

39 Nel primo caso deve essere ripetuta la mezza misura precedente, nel secondo caso deve essere ripetuta integralmente la misura precedente, e nel terzo caso vanno ripetute tutte e due le due misure che precedono quelle contrassegnate dal simbolo. Abbiamo già visto che una intera misura di silenzio viene indicata con il segno: che non è altro che una pausa di semibreve. Quando però le misure di silenzio sono più di una, queste vengono indicate con una linea sulla quale è indicato il numero delle misure nelle quali non si deve suonare, ad es: significa che la stesura musicale in quel punto prevede 15 battute di pausa per quel determinato strumento o voce. 39

40 LEGGIAMO LO SPARTITO La lettura delle note sul pentagramma richiede una buona dose di studio e di applicazione. Si deve riconoscere l altezza del suono in base alla sua collocazione sulle linee o negli spazi del pentagramma; la permanenza del suono nel tempo in base alla figura e a quei segni (punto, legatura ) che possono dilatarne la durata; l intensità di ogni singolo suono o di ogni frase musicale per mezzo dei segni dinamici; si devono riprodurre i segni di espressione (legatura di portamento, staccato ). Ma ancor prima c è da seguire l indicazione del tempo per mezzo della frazione posta subito dopo la chiave e l eventuale indicazione scritta sopra al pentagramma (andante, mosso ecc ); riconoscere la tonalità in base all armatura di chiave, e non scordarsi mai che una alterazione posta in chiave vale per tutta la durata del brano, a meno che non venga annullata dal bequadro. E per ultimo, siccome più o meno tutti, con una buona dose di volontà e di applicazione nello studio sono in grado di riprodurre una musica, la parte più importante dell esecuzione di un brano musicale o di una canzone: l interpretazione. Proprio così, malgrado tutta la fatica fatta per riuscire a leggere la musica (magari a prima vista!) ciò che rende unico un interprete non è tanto la capacità tecnica, peraltro indispensabile, ma la sua capacità interpretativa, la sua sensibilità. Ma andiamo per gradi: vediamo di fare un riassunto di quello che abbiamo imparato riguardo alla lettura delle note sul pentagramma, attraverso uno spaccato di spartito. Se hai letto con attenzione tutte le pagine precedenti, sei a buon punto nella conoscenza della teoria musicale e hai delle buone basi per approfondire in seguito una materia che è molto vasta. Prima di procedere allo studio degli accordi sulla tastiera e sulla chitarra, c'è ancora bisogno di fare un viaggio intorno alle tonalità, che sarà l'argomento del capitolo successivo. 40

41 Proviamo ora dunque con sole quattro misure a riassumere quello che abbiamo appreso fino ad ora. Le note sono nell ordine: Re, Fa, Sol, La, nella prima misura; Si, Do nella seconda misura; Re, Do, Si, La, Sol, Fa, Mi, Re, nella terza misura; Do nella quarta misura. A: chiave di Sol (violino) B: armatura di chiave che indica la tonalità. In questo caso con due diesis siamo in tonalità di Re maggiore (o Si minore). L armatura di chiave segnala che tutti i Fa e i Do saranno considerati diesis. C: tempo. In questo caso 4/4 D: segno dinamico di intensità E: minima posta sulla quarta linea che indica un Re da tenere per 2/4 F: semiminima posta nel primo spazio che indica un Fa da tenere per 1/4 G: accento H: croma posta sulla seconda linea che indica un Sol da tenere per 1/8 I: punto di valore. La minima davanti alla quale è posto viene aumentata di metà del suo valore L: legatura di portamento M: semibreve posta sotto al pentagramma con un taglio in testa che indica un Do centrale da tenere per 4/4. 41

42 LE TONALITA' Ogni volta che si sente il bisogno di adattare un brano musicale alle caratteristiche della nostra voce, lo si alza o lo si abbassa a seconda che presenti suoni troppo gravi o troppo acuti. In altre parole trasportiamo il brano. Mentre quando si cambia il modo di un brano (da maggiore a minore o viceversa) ne mutiamo anche le caratteristiche, il brano cioè non è più lo stesso, quando lo trasportiamo si cambia solo il punto di partenza e la melodia appare sostanzialmente identica. Consideriamo ad esempio un motivo con le note in questa sequenza: Sol, Do, Re, Mi, Re, Do, Mi. Sulla tastiera verranno toccati i seguenti tasti: Ora suoniamola a partire dal La. Per conservare la melodia senza modifiche occorre utilizzare il Fa diesis: 42

43 E sul pentagramma avremo: La prima melodia è in tonalità di Do maggiore, la seconda in tonalità di Re maggiore. La fondamentale della prima melodia è la nota Do, mentre della seconda è la nota Re. Ogni volta che un brano viene trasportato, cambia la sua fondamentale, e si dice che cambia la tonalità del brano. Quello che non cambia in due melodie in tonalità diverse, sono gli intervalli: un tono nella prima melodia rimane un tono sulla seconda, un semitono rimane un semitono, e così via. Verifichiamolo: 43

44 Come vedi, trasportando una melodia, cambiandone la tonalità, i rapporti tra le note non cambiano e per questo è perfettamente riconoscibile, è sostanzialmente identica qualunque sia la sua tonalità. Cambia solo l altezza delle note che la compongono. Cambiandone invece il modo, anche restando in tonalità, la melodia non è più la stessa, in quanto vengono alterati i rapporti, gli intervalli tra le note. E molto importante esercitare il nostro orecchio a riconoscere la fondamentale di ogni melodia. E importante cioè abituarsi a riconoscere l altezza e la tonalità con la quale un qualsiasi brano viene eseguito per formare piano piano un orecchio musicale. In che modo? Ascoltando e cercando di riprodurre ciò che ascolti. Continuamente. Ora vediamo come si distingue ogni tonalità dalle altre. E presto detto: ogni tonalità si distingue dalle altre per il numero di suoni alterati che utilizza, cioè per il numero di diesis e bemolle a cui ricorre. Per esempio la tonalità di Fa# utilizza il Si bemolle al posto del Si naturale, oppure la tonalità di La utilizza il Fa#, il Do# e il Sol# al posto dei corrispondenti naturali. Queste alterazioni non sono momentanee, ma permanenti lungo tutto il corso del brano, e per questo vengono scritte non davanti alla nota ogni volta che si presenta, bensì all inizio del rigo musicale subito dopo la chiave, in questo modo: In uno spartito così scritto, ogni Si, Mi, La, Re che ti trovi davanti deve essere inteso come bemolle. In questo caso la tonalità del brano sarà La bemolle. Questo raggruppamento di alterazioni all inizio del rigo musicale si chiama armatura di chiave. 44

45 E assolutamente indispensabile quindi sapere di quanti suoni alterati si serve ciascuna tonalità per riconoscere a prima vista la tonalità del brano che si sta eseguendo. Per questo esiste uno strumento antico ma validissimo per memorizzare le tonalità: - Il Circolo delle Tonalità o delle quinte ascendenti.il circolo delle tonalità si legge in senso orario e ogni punto indica una tonalità. Per il modo maggiore 45

46 Per il modo minore Il Circolo delle tonalità (o delle quinte) si legge in questo modo: partendo dalla tonalità di Do per il modo maggiore, e dalla tonalità di La per il modo minore, i quali abbiamo visto non contengono suoni alterati, si procede per quinte ascendenti. Per le tonalità maggiori, la quinta ascendente della scala di Do è Sol. 46

47 Osservando la tonalità di Sol vediamo che si differenzia da quella di Do per una sola nota alterata: il Fa#. Queste tonalità vengono dette vicine Due tonalità si dicono vicine quando si differenziano per una sola nota alterata in chiave. Andando avanti, la quinta di Sol è Re. Vediamo che la tonalità di Re ha due note alterate: il Fa# e il Do#. La tonalità di Sol ha quindi come tonalità vicine sia quella di Do che quella di Re. Da questo si evince che le tonalità vicine sono quelle le cui fondamentali distano fra loro un intervallo di quinta. Continuando così in senso orario vedi che le tonalità sono disposte secondo il numero delle note alterate in modo crescente per i diesis e decrescente per i bemolle. Si procede in questo modo anche per le tonalità minori. L ideale sarebbe imprimersi nella memoria il circolo delle tonalità in modo da ricordare: 1) la successione delle tonalità vicine sia in senso orario che in senso antiorario; 2) il numero dei diesis e dei bemolle di ogni tonalità; 3) l ordine di successione dei diesis e quello dei bemolle. Un aiuto per la memorizzazione delle tonalità può dartelo anche questa tabella: 47

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