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3 Dario Fo - impaginato.corr :22 Pagina 3 I Na rrato r i / Felt r inelli

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5 Dario Fo - impaginato.corr :22 Pagina 5 DARIO FO IL PA E S E DEI MEZARÀT I miei primi sette anni (e qualcuno in più) A cura di Franca Rame Felt r inelli

6 Dario Fo - impaginato.corr :22 Pagina 6 Giangiacomo Feltrinelli Editore Milano Prima edizione ne I Narratori ottobre 2002 ISBN Libri in uscita, interviste, reading, commenti e percorsi di lettura. Aggiornamenti quotidiani

7 Dario Fo - impaginato.corr :22 Pagina 7 Prologo Quella che vi propongo non è la storia della mia vita d attore, autore e capocomico, ma piuttosto un frammento della mia infanzia. Anzi è solo l inizio: il prologo della mia avventura a partire dal tempo in cui mai mi sarebbe passato per il cervello che quello del teatrante sarebbe diventato il mio mestiere definitivo. R i c o rdo che Bruno Bettelheim, autore di una rivoluzionaria teoria sulla formazione caratteriale e intellettiva degli individui, diceva: Di un uomo basta che mi diate i primi sette anni della sua vita, lì c è tutto, il resto tenetevelo pure. Io ho voluto esagerare: ve ne offro dieci, più qualche puntata verso la maturità... credetemi, è già fin troppo! 7

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9 Dario Fo - impaginato.corr :22 Pagina 9 La scoperta che Dio è anche un capo supremo delle Ffss Tutto dipende da dove sei nato, diceva un grande saggio. E, per quanto mi riguarda, forse il saggio ci ha proprio azzeccato. Tanto per cominciare devo dire grazie a mia madre, che ha scelto di part o r i rmi a San Giano, quasi a ridosso del Lago Maggiore. Strana metamorfosi di un nome: Giano bifronte, antico dio romano, che si trasforma in un santo cristiano completamente inventato, per di più presunto p ro t e t t o re dei fabulatores-comicos. In verità non fu mia madre a scegliere, ma le Ferrovie dello stato, che decisero di spedire mio padre a prestare servizio in quella stazione. Sì, mio padre era un capostazione, seppure avventizio. La fermata di San Giano era così poco importante che spesso i macchinisti la sorpassavano senza manco accorg e r s e n e. Tanto che, un giorno, un viaggiatore, stanco di ritro v a r s i scaricato alla fermata seguente, tirò la maniglia dell allarme. Il treno si ingrippò dopo una lunga frenata, arrestandosi nel bel mezzo di una galleria. Un merci che lo seguiva franò addosso al treno bloccato. Non ci furono morti, per miracolo. Solo un ferito grave, il passeggero che aveva tirato l allarme: il disgraziato era stato picchiato da tutti gli altri viaggiatori, compresa una suora. 9

10 Dario Fo - impaginato.corr :22 Pagina 10 Ma con l arrivo di mio padre le cose alla stazione di San Giano cambiarono all istante. Felice Fo era uno che destava rispetto e soggezione. Quando si piazzava con il suo cappello rosso calcato fino agli occhi, ritto sulla rotaia, brandendo la bandiera da segnale, rossa anche quella, i treni si fermavano tutti. Tutti gli accelerati, s intende, e anche gli omnibus, che poi in totale erano quattro. Io venni al mondo fra un omnibus e un merci, in quella fermata sussidiaria a quattro passi dal lago (AN T E- L A C U S, è scritto su un re p e rto romano). Erano le sette del mattino quando mi decisi a far capolino fra le gambe di mia madre. La donna che fungeva da levatrice mi tirò fuori e mi sollevò come fossi un pollo, per i piedi. Poi velocissima, mi assestò una gran pacca sulle natiche... u r l a i come un segnale d allarme. In quell istante transitava l omnibus delle sei e mezzo... che arrivava naturalmente in ritardo. Mia madre ha sempre giurato che il mio primo vagito aveva superato di gran lunga il fischio della locomotiva. Dunque io vidi la luce a San Giano per decisione unica delle Ferrovie dello stato, ma lì son nato solo per l anagrafe. In verità, per quanto mi riguarda sono venuto al mondo e ho preso coscienza trenta-quaranta chilometri un po più in su, lungo la costa del lago, a Pino Tronzano, e qualche anno dopo a Porto Valtravaglia, sulla sponda magra del Lago Maggiore. Entrambi sono stati i miei paesi delle meraviglie. I luoghi che mi hanno scatenato le fantasie più pazze e hanno determinato ogni mia scelta futura. I vari traslochi venivano sempre decisi dalla direzione delle Ffss, compartimento di Milano. Milano! Ricordo che la prima volta che ci sono andato è stato con mio padre. Ero molto piccolo e lui vi si doveva recare per sostenere un esame da movimentista, sperava di venir promosso capostazione di seconda classe, livello C. Ma perché farsi accompagnare in quel viaggio da me, un bambino così piccolo? Ho sempre sospettato che mi voles- 10

11 Dario Fo - impaginato.corr :22 Pagina 11 se con sé per scaramanzia. Tutti in famiglia erano convinti che portassi una fortuna sfacciata. Infatti sono nato con la camicia, come si dice, cioè sono uscito tutto avvolto nella placenta di mia madre. Un segnale che nelle antiche tradizioni lacustri è di ottimo auspicio. A rrivati a Milano, poco prima di entrare nel grande hangar della Stazione Centrale, il treno ha cominciato a rallentare vistosamente... procedeva a passo d uomo. Papà Felice Pa Fo, come lo chiamava mia madre ha abbassato il finestrino e mi ha fatto sporgere fino a mezzo busto: Guarda lassù, e mi indicava un ponte altissimo issato su centine d acciaio, sotto il quale transitavano tutti i convogli. Una enorme passerella zeppa di fari puntati in ogni direzione. Una serie di cabine di vetro, illuminate da lampade fortissime e colorate. Quella macchina fantastica era sorretta da piloni giganteschi. Cos è? È il centro operativo da dove si comanda il movimento di tutti i treni, compresi gli scambi e i semafori. In quel momento ero convinto: dentro quelle cabine di vetro splendenti di luci, ci doveva essere di sicuro Dio, con tutti i santi dei capistazione. Non avevo dubbi: il Padreterno non era altro che il direttore generale delle Ffss. Era lui che organizzava tutto il movimento dei ferrovieri, lo spostarsi dei treni, progettava macchine e la nascita dei figli dei capistazione! Ma torniamo al nostro primo trasloco dalla stazione di San Giano a quella di Pino Tronzano, sulla frontiera svizzera: tutti i mobili della famiglia erano stati caricati su un vagone-merci. Il viaggio non durava più di un ora e mezzo. Mi aveva fatto molta impressione veder smontare i letti e gli armadi. Credevo li stessero spaccando a pezzi e così sono scoppiato in un pianto disperato. Mio padre mi aveva subito tranquillizzato: Vedrai che appena arrivati li rimetteremo insieme!. Ahimè, nel caricare la roba, la stufa di ghisa capitombola dal vagone e va in pezzi, mia madre manda un ur- 11

12 Dario Fo - impaginato.corr :22 Pagina 12 lo straziante. Io la prendo per mano e la conforto: Tranquilla, come arriviamo, il papà incolla tutto!. Oh, antica fiducia nei padri! Il vagone era stato agganciato al treno sul quale anche noi si era saliti. Quindi, come siamo arrivati a Pino Tronzano, il nostro vagone-merci è stato sganciato e, aiutati da due facchini, mio padre e mia madre hanno cominciato a scaricare i pezzi da rimontare. Io ero letteralmente affascinato da quel posto: la stazione era più grande di quella dov ero nato. Noi si abitava sopra, al primo piano. Un centinaio di metri più sotto, a picco, c era il lago. Alle spalle montava una parete rocciosa dentro la quale era scavata una strada che, disegnando un gran numero di tourniquet, saliva fino al paese: una cinquantina di case abbarbicate quasi una sull altra come in un bassorilievo romanico. C erano una torre antica, un campanile con sotto la pieve e un gran palazzo che ospitava il municipio, la scuola e pure il pronto soccorso. I facchini e i miei non hanno ancora terminato lo scarico ed ecco che arriva il prete: scendeva a darci il benvenuto e a benedire la casa con le pareti delle stanze intonacate di fresco. Con lui c è un chierichetto dai capelli rossi come la sua tonaca, che, dopo le benedizioni, mi accompagna subito a visitare, nello spiazzo dietro la stazione, un gran recinto nel bel mezzo del quale troneggia un imponente pollaio a forma di gazebo ricolmo di galli e galline che ci accolgono con una festante caciara. Dietro il gazebo un cumulo di gabbiotti sussulta per l agitarsi di conigli stipati in clausura. Mio padre si ritrovava a gestire quella stazione di confine al posto di un anziano collega messo in pensione. È tutta roba vostra! esclama di botto il chierichetto, rivolgendosi anche a mia madre che stava sopraggiungendo in quell istante. E come mai? Vi spetta di legge insieme agli scambi e ai fischietti. 12

13 Dario Fo - impaginato.corr :22 Pagina 13 Ehi rosso, stai a sfottere? A sto punto il chierichetto, tutto garrulo, si decide a svelarci l origine di quella inaspettata eredità. Anche il cantoniere si è avvicinato e ruba d acchito la parola al chierichetto: Il capostazione che c era prima, racconta, era un fanatico dell allevamento. Passava più tempo nel pollaio che nell ufficio del telegrafo. Ste bestie prolificavano da far spavento, cosicché al momento di dover traslocare per via dell andata in pensione, ha mollato tutta sta animalata ai nuovi arrivati, cioè a voi.... Oh grazie, è una pacchia, esplode la mamma. Sì, è proprio una bella regalia, ma voglio vedere come riuscirete a governare tutta sta masnada, rincara il canton i e re, a parte che ogni giorno ve ne scapperanno fuori una mezza dozzina, di cui immancabilmente uno o due finiranno sui binari proprio nel momento in cui arrivano i treni. Be, spero che una parte di quella trinciata sia recuperabile, commenta la mamma. Basta decidere, risponde sghignazzando l altro, per lo spezzatino in umido o per la rosticciata a tocchi e tutto rientra nella regola. Avrete già indovinato che quella nostra stazione si trovava completamente isolata: ci abitavamo solo noi e il cantoniere guardascambi con sua moglie. Sotto, al fondo della scarpata, di fronte alla scogliera che si inzuppava nel lago profondo, era sistemata la caserma della finanza con l attracco per una motovedetta e una piccola nave-faro chiamata Torpedine. La notte c era un gran silenzio, interrotto per lunghi tratti dal battibatti della pompa che pescava l acqua dal lago per riempire il grande serbatoio che avrebbe rifornito le locomotive in transito, da e per la Svizzera. Mi piaceva moltissimo quel pulsare... sembrava il cuore della stazione: calmo e rassicurante. 13

14 Dario Fo - impaginato.corr :22 Pagina 14 Un altro suono piacevole era lo scampanellio che annunciava l arrivo dei treni. Qualche volta il fischio di una locomotiva in manovra mi svegliava, ma subito torn a v o ad addorm e n t a rmi beato. Posso ben dire d esser cre s c i u- to con lo sferr a g l i a re delle ruote dei vagoni in testa, con il cigolio delle frenate e nella memoria degli occhi i segnali di luce della To r p e d i n e, che sciabolavano su acqua, cielo e montagne, infilandosi poi fra le persiane. Essendo noi proprio sulla frontiera c era sempre il problema dei contrabbandieri o dei disperati che tentavano di transitare nascosti nei vagoni-merce. Ogni convoglio in sosta veniva perquisito dalle guardie di finanza e dai carabinieri. Spesso mi svegliavano i segnali dati con i fischietti e le grida dei reparti di servizio. Mi arrivavano insopportabili botti sferrati sulle fiancate dei vagoni, lo scorre re delle port i e re e gli ordini di contro l l a re meglio quel vagone o l altro appresso. Poi un segnale gridato: Tutto a posto!. Ero rimasto teso per tutta l ispezione e adesso tiravo un gran fiato. Mi immaginavo sempre un uomo o un ragazzo appesi sotto un vagone che finalmente riuscivano a farla franca e a passare di là. Mi riaddormentavo con un gran sospiro sorridendo. Eravamo nel I clandestini in transito erano spesso antifascisti perseguitati, che cercavano di raggiungere Svizzera e Francia. Mi ricordo di una notte in cui grida, ordini e uno sparo mi hanno svegliato di soprassalto. Sono andato alla finestra e ho sbirciato di sotto: avevano catturato un clandestino e lo stavano portando giù, in caserma. L indomani ho visto che lo caricavano su un vagone diretto a Luino dove c erano le carceri. Più tardi mio padre mi accennò a sto fatto dei clandestini politici; io ci capii poco, ma quella scena m è rimasta nella memoria indelebile come un tampone scuro. Per incontrare ragazzini della mia età con i quali giocare mi toccava salire fino in paese. Era una scarpinata da gran fiatone... si montava di almeno trecento metri letteralmente in verticale. 14

15 Dario Fo - impaginato.corr :22 Pagina 15 Non fu difficile fare amicizia con quei ragazzini: stavano tutti aggrompiati nella piazzetta della chiesa ed erano piuttosto curiosi di conoscere un foresto come me. Parlavano tutti in un dialetto duro, pieno di zeta al posto delle esse, alla maniera degli svizzeri, ma non strascicavano le vocali come nel Canton Ticino. Per s a g g i a rmi org a n i z z a rono subito un paio di scherzi piuttosto grevi: mi gettarono addosso uno straccio intriso di nafta al quale avevano dato fuoco, proprio nel momento in cui stavo facendo pipì giù dalla scarpata. Fu un miracolo se non mi andò arrosto il pisello! Per seconda tastata mi infilzarono nella saccoccia delle braghe un ramarro inviperito, facendosi un sacco di risate da soffocarsi nell assistere al mio sgomento espresso con salti, sgambettamenti e una capovolta che fortunatamente liberò il verdone... detto ghez. Quei landrou erano quasi tutti figli di contrabbandieri e, part i c o l a re piuttosto surreale, il loro capo era il figlio del m a resciallo dei carabinieri. In paese c erano anche due ragazzine figlie di finanzieri, ma i loro genitori non gradivano che fre q u e n t a s s e ro quella compagnia. Gli spalloni, così si chiamano i contrabbandieri che si caricano in spalla le bricolle con la merce, trasportandola di qua e di là del confine, non avevano come unica professione quella legata al contrabbando. Quasi tutti allevavano capre e pecore, facevano gli spaccalegna e si occupavano di tirar su i muriccioli a secco per trattenere le balze dei campi e dei boschi, che altrimenti a ogni acquazzone sare b b e ro franati a valle. I finanzieri erano molto tolleranti: sapevano bene che quel faticare degli spalloni non portava loro gran ricchezza. Di quando in quando però arrivava l ordine di strizzarne qualcuno, per d i m o s t r a re che stavano vispi, attenti, che si meritavano quella paga da fame. Così ogni tanto ne beccavano un paio. A me sembrava che giocassero. Vedevo scendere giù alla stazione gli spalloni catturati... non avevano ai polsi manco una catena, chiacchieravano con i finanzieri o con i carabinieri come stessero andando a bersi insieme un gotto. 15

16 Dario Fo - impaginato.corr :22 Pagina 16 Mi piaceva andare intorno per i bricchi (così si chiamavano i crinali scoscesi), risalire i torrenti che, pre c i p i- tando verso la valle, avevano scavato canali arrivando spesso a traforare la roccia nel profondo tanto da bucare la montagna con orridi, solchi e calanchi. Certo, non ci andavo da solo... zampettavo dietro ai ragazzini di Pino di due o tre anni più grandi di me. Il figlio del carabiniere aveva nove anni e per questo era stato eletto capo e guida. A sentir lui conosceva ogni canalone, ogni anfratto di quel labirinto... infatti, regolarmente ci perdevamo! Una volta ci ha tirati fuori un contrabbandiere che aveva sentito le nostre grida disperate. Il contrabbandiere ci è apparso dentro la luce di taglio che filtrava fra una sferzola buia del fosso, come la visione di un santo. Era lo zio di uno dei miei amici e, incredibile coincidenza, si chiamava Salvatore. Io, come vi dicevo, ero il più piccolo della banda, perciò mi ha issato sulle sue spalle: di lassù guardavo con una certa alterigia i miei amici. Mi pareva di essere la riproduzione vivente dell aff resco sulla facciata della chiesetta di Tronzano, dove il santo gigante traghetta il piccolo Gesù al di là dal fiume. Il Bambino benedice. Velocissimo, a mia volta, ho abbozzato una piccola benedizione... ridendo. Già blasfemo a q u e l l e t à! Quando siamo arrivati in prossimità del paese, cominciava a far buio. Mia madre, preoccupata, era salita alla piazzetta di Pino e lì aveva incocciato le altre madri che stavano in attesa dei rispettivi figli, ma non davano segni di angoscia alcuna, anzi, apparivano piuttosto tranquille, avvezze com erano a quei ritardi. Infatti, come abbiamo raggiunto lo spiazzo, si sono mosse incontro ai loro ragazzini senza pro f e r i re parola. Nessun commento, nessun r i m p ro v e ro. Mia madre mi ha tirato giù dalle spalle del santo Salvatore, mi ha stretto fra le braccia: Hai avuto paura?, e io, bugiardo: No mamma, mi sono divert i t o un sacco!. E lei, abbracciandomi forte: Oh, come dici male le bugie, pover teston mio! (teston testone 16

17 Dario Fo - impaginato.corr :22 Pagina 17 era l appellativo di tenerezza che la mamma mi rivolgeva in ogni occasione). Nel gruppo delle madri c era anche il maresciallo dei carabinieri che, a sua volta, non ha rimbrottato il figliolo... lo spingeva solo davanti a sé. Poi, scendendo lungo i tornanti che portano alla stazione in braccio a mia madre, mi sono apparsi, laggiù dove la strada disegnava un grande cerchio, il maresciallo e il figlio... sempre uno dietro l altro... il padre sferrava a ogni passo una gran pedata nel sedere al ragazzino, che zompava come un capretto! Dopo quell avventura, la mamma non vedeva certo di buon occhio che io me ne andassi a sguancia fra i bricchi con quella banda di piccoli landrou. Ma il vietarmelo brutalmente andava contro il suo modo d essere e quindi, sveglia com era, ha trovato uno scamocchio di sicuro effetto: quando intuiva che di lì a qualche ora avrei cominciato a scalpitare per l inevitabile richiamo della foresta, stendeva sul tavolo di cucina una mazzetta di fogli bianchi, rovesciava una quantità di pastelli, matite colorate e, invitandomi all orgia, esclamava: Vai bel teston, spantegami una frappata di belle figure!. E io, via che mi buttavo a stendere colori sul foglio bianco, a rincorre re con giravolte di righe, immagini che montavano una dietro l altra come le avessi stampate nella memoria. Man mano che entravo nel gioco degli incastri e coloravo spazi, mi prendeva uno sballo d incanto. Di lì a poco capitava che arr i v a s s e ro sotto il port i c o della stazione i miei piccoli compagni di scarpinata; mi davan la voce di sotto la finestra: Dario, mi avvert i v a mia madre, sono arrivati i tuoi barabba... vuoi andare con loro?. Doveva ripetermelo una seconda volta... manco il fischio del treno mi riusciva di ascoltare tanto ero immerso a capofitto in quel foglio. Non ci vuoi proprio andare, me car teston? mi ripe- 17

18 Dario Fo - impaginato.corr :22 Pagina 18 teva raggiante mia madre. Vuoi che gli dica che non stai bene, che hai un po di febbre? No, no, rispondevo io a stoppa-parola, se mi dai ammalato, dopo mi sfottono per una settimana: Ehi marcina!... Di che mi hanno portato in Svizzera al matrimonio di mia cugina Tullia. Al matrimonio? Ma com è possibile, Tullia ha poco più di dodici anni?! E va bene, rimediavo io, di che la sposa è sua sorella Noemi... lei è già grande! Sì, ma sta per andar suora! E allora di che ha buttato il velo per sposare il capitano delle Guardie Svizzere! Le guardie del papa?! Eh sì, una suora mica si può buttare via col primo che capita! La Svizzera affiorava spesso nei nostri discorsi... a parte che proprio di là del lago, sulla sponda grassa del Canton Ticino, ci stavano la sorella del babbo con il marito e le figlie, Tullia e Noemi. C era anche un altro cugino, il figlio maggiore, che rappresentava tutto quello che avrei voluto diventare da grande: Bruno si chiamava, era un campione del gioco del calcio... portiere del Lugano, organista alla cattedrale di Lucerna, da poco era stato pure eletto r a p p resentante della Repubblica Elvetica presso il nostro governo a Roma... e per finire aveva una fidanzata bellissima con la quale ogni tanto ci veniva a far visita. Pa Fo era, fra tutti gli zii, il suo pre f e r i t o... avevano più o meno la stessa età. Fra di loro parlavano di politica, ma lo facevano sottovoce e appena si scaldavano, tanto da non poter più controllare il tono, la mamma li invitava a uscire: Andate a passeggiare giù fino al lago, che, come dicono a Sartirana: Çert discurìr ladin su l aqua i scarliga sensa manco un fiat e i più grevi, i nega. (Certi discorsi sottili sull acqua scivolano senza fare rumore e i più grevi affogano.) 18

19 Dario Fo - impaginato.corr :22 Pagina 19 Come Bruno e mio padre se n erano usciti, io facevo di tutto per attirare l attenzione di Bedelià (così si chiamava la morosa di Bruno). Mi piaceva da impazzire con quel collo lungo, le mani morbide e le dita da Madonna, e soprattutto quelle poppe tonde! Quando mi accoccolavo sulle sue ginocchia, mi sentivo tutto slanguire, le gote mi sparavano di rosso. Sì, lo ammetto: a me le donne, fin da quando sono venuto al mondo, sono subito piaciute da frullar via di testa! Se poi mi ritrovavo con una donna luminosa come Bedelià, con quell odore di fiori e frutta che spantegava dalla pelle... Dio, che sbirolate! Fra le sue braccia io la annusavo con una golosia da drogato. Anche mia madre era bella e fresca, come e forse ancor più di Bedelià... figurarsi, mi aveva partorito a soli diciannove anni! La mamma è fuori d ogni paragone... i l profumo di mia madre mi faceva venire l acquolina, la voglia di ciucciare, di impastarmi contro e dentro ogni sua curva o piccola conca. Nelle sue braccia non c era né vento, né calura. Il suo tepore scioglieva ogni paura: ero proprio nel ventre dell universo! Ma tornando a Bedelià, ogni volta che lei e Bruno ripartivano, me ne stavo triste e muto per una giornata intera. Se ne andavano con il battello, li accompagnavamo giù all imbarcadero. Il loro viaggio era davvero breve: bastava attraversare il lago. Brissago era lì, di faccia. Restavo sulla passerella d attracco e seguivo il battello che sfumazzava e lasciava indietro una scia spumosa che s assottigliava man mano che quel barcozzo s allontanava fino a rimpicciolire... ma non spariva mai: infatti lo vedevo attraccare sull altra sponda. Una volta il maresciallo della finanza mi ha prestato il suo cannocchiale: come ci ho attaccato l occhio, mi sono visto venir contro il battello e l imbarc a d e ro svizzero. C era anche Bedelià nell immagine... poi ho puntato sulle case e i tetti: Beati loro, ho esclamato, che stanno dentro a tutto sto cioccolato e marzapane!. Già... perché, fin dal giorno in cui sono arrivato a Pino Tronzano, mi hanno 19

20 Dario Fo - impaginato.corr :22 Pagina 20 fatto cre d e re che di là, in Svizzera, tutto fosse di cioccolato, canditi, pasta di mandorle e che perfino le strade foss e ro di torrone! A spararmi sta frottola è stato per primo il radiotelegrafista della stazione. Mi aveva off e rto un quad retto di cioccolato e aveva aggiunto: Come è ingiusta la vita! Noi qui a spiluccare miseri pezzettini e loro, di là, sti svizzeri del cavolo ce ne hanno da buttare, perfino sui t e t t i!. Sui tetti? faccio io. Sì, non li vedi tutti rossi scuri che sono... hanno le tegole fatte col cacao pressato! Tegole di cioccolato?! Che fortunati! E ho mandato giù una golata di saliva da ingolfarmi. Quel bastardo cacciaballe del telegrafo aveva passato voce al cantoniere, ai finanzieri e ai carabinieri... tutti mi davano la baia con sta bufala della Svizzera cioccolatara. Proprio per questo, aggiungevano le carogne, quella si chiama sponda grassa. Se fai il bravo, vedrai che un giorno o l altro Pa Fo ti ci porta. Ce l hai il passaporto?... No? Allora non ci potrai mai andare! Visto che ci ero cascato come un allocco in sta storia della sponda del Bengodi, anche mia madre per non deludermi stava al gioco: Quando la settimana ventura verrà a trovarci Bruno, vedrai che ce ne porterà un sacco di quella fondente!. Mio padre aveva avvertito subito il babbo di mio cugino. Così, quando arrivò Bruno col solito battello, io che lo stavo aspettando con la mamma sul molo, per poco non svengo. Lui e la sua ragazza erano scesi portando un grosso pacco. Al gabbiotto della dogana il finanziere impone loro di aprirlo. Io dall imbarcadero sbirciavo, ma non mi riusciva di capire cosa contenesse quell involucro. Il finanziere levando alta la voce li ha poi fatti passare commentando: Non sarebbe legale, ma per questa volta chiudiamo un occhio.... I due fidanzati arrivano finalmente sul molo: ero così emozionato e curioso di scoprire cosa ci fosse in quel pac- 20

21 Dario Fo - impaginato.corr :22 Pagina 21 co, che quasi non salutavo la splendida Bedelià. A casa, lassù alla stazione, finalmente si è scoperto l arcano: tolti la c a rta e tutto l imballaggio appare una grossa tegola, un coppo... tutto di cioccolato! L ho staccata dal mio tetto, dice sottogamba Bruno, è per te, car teston, mangiatela tutta con comodo! Ero così stupefatto che non riuscivo manco a respirare: Posso dargli una leccata d assaggio? ho azzardato, e tutti in coro: Ma certo! Lecca quanto ti pare!. Viva la Svizzera! ha gridato la mamma. Un anno dopo, finalmente, mi è capitato di poter attraversare il lago per andare a Brissago. Avevo cinque anni scarsi. Ero emozionato come un grillo in primavera. Quando a dottrina il parroco di Pino ci parlava di Adamo ed Eva, del Paradiso terrestre con tutto quel ben di Dio... io pensavo alla Svizzera, anzi, al Canton Ticino: là, nell eden elvetico, stavano gli eletti, qua da noi i peccatori... nel castigo eterno! Mia madre è stata molto cauta nel darmi la notizia del prossimo viaggio nella Terra promessa: Forse... fra qualche giorno... diceva buttandola là, se rimettono in servizio il battello... andiamo a Brissago dagli zii... forse.... Quella notte ho sognato che avevano di nuovo sospeso il servizio di traversata: mio padre s era piazzato sull imbarcadero, fuori dalla grazia di Dio... come gli succedeva nelle giornate grame, teneva addosso una coperta tutta ricamata (quella che stava nella nostra casa sul letto grande) e, sollevate le braccia al cielo, manco fosse Mosè, sbraitava a tutta voce: Lago bastardo... spalancati e facci passare che la Terra promessa ci aspetta!. E trak!, s alza un gran vento, bolle l acqua come in un gran paiolo e... miracolo: risucchiata dall aria, l acqua monta in cielo, si spacca in due, s apre il Mar Rosso... pardon... il Lago Maggiore! E noi, la famiglia al completo, seguiti da tutta la gente di Pino Tronzano, Zenna, Macca- 21

22 Dario Fo - impaginato.corr :22 Pagina 22 gno, via che attraversiamo cantando, mentre le guardie di finanza, disperate, minacciano: Fermi! Tornate indietro o spariamo! Senza passaporto e visto annesso non si attraversa!. Nessuno ci fa caso... anche i contadini dei bricchi e i pastori attraversano con vacche, pecore e capre. No... le capre no... è proibito! urlano i carabinieri. Le capre, per tutta risposta, sparacchiano a raff i c a quei loro stronzetti tondi come biglie di bronzo, e via che proseguono sculettando felici. Che vi devo dire... io sognavo già con il linguaggio cinematografico. Ma uno Sveglia! Sveglia! mi impedisce di terminare quel sogno biblico. È la mamma: Siamo in ritardo, alzati che fra mezz ora arriva il battello!. Sono così agitato che infilo le braghe al rovescio, due calze nello stesso piede, faccio cadere la tazza col caffellatte bollente sul gatto, dimentico di raccogliere i colori e i fogli da disegno e infilarli nella mia sacca. Svelto, svelto... Il battello lancia il suo segnale d attracco con la sirena. In contrappunto con un fischio gli risponde, uscendo dalla galleria, una locomotiva... ansima la pompa del serbatoio d acqua della stazione. Ecco l attracco. Monta sulla passerella. Ci sei? Tutti imbarcati? Si salpa! Vado a pre n d e re posto a prua. La mamma mi viene appresso e mi dice: Me car teston... ti devo dare una notizia non tanto bella. Quale notizia? chiedo io senza staccare gli occhi dalla costa svizzera che viene avanti a gran velocità. I tetti di Brissago, continua mia madre, non sono più di cioccolato. Cosaaa?! sbotto io disperato. Sì caro. Il governo svizzero li ha fatti cambiare in massa: ordine immediato per via che tutti i bambini a furia di sbocconcellare i coppi hanno scoperchiato un fracco di t e t t i... buchi dappertutto... così, a ogni acquazzone, ecco che le case si allagano... e gli abitanti si beccano raffreddo- 22

23 Dario Fo - impaginato.corr :22 Pagina 23 ri e polmoniti e soprattutto i bambini golosi stanno tutto il giorno con un mal di pancia da torcersi le budella! Ma come... il cioccolato non dà mal di pancia! Dipende... se le tegole son vecchie, marce com erano quelle... Cioccolato marcio? Ma la tegola che mi ha port a t o Bruno non era vecchia! Perché era la tegola d una casa nuova. Meno male, allora almeno quel tetto s è salvato. No, purtroppo. Qualche notte fa i ladri l hanno rubato tutt intero. Sono scoppiato in un pianto disperato. Maledetti! ho i m p recato in silenzio. Dio maledica tutti i ladri di tetti di cioccolato fresco e gli faccia cro l l a re addosso una montagna di cacao vecchio, marzapane marcio e vaniglia bollente! Ero proprio arrabbiato nero. All imbarcadero di Brissago ci erano venuti incontro la zia Maria, che non avevo mai visto, lo zio Iginio Repetti, le due cugine. Ero fuori dai gangheri che non li ho manco degnati di uno sguardo, nemmeno un ciao. Che gli è successo? ha chiesto preoccupata la zia Maria. La mamma ha fatto cenno di soprassedere: Una tragedia. Vi spiegherò poi, ha soffiato sottovoce. Sulla via di casa, siamo passati di fronte a una pasticceria: in vetrina erano esposti cumuli di stecche di cioccolato. Noemi, la cugina maggiore, ci aveva preceduti e ora stava uscendo con un enorme tocco di fondente. Quando me lo ha offerto io l ho accettato, ma l ho guardata severo e sprezzante come dire: Se credete di condirmi via con una beola di cacao secco, vi sbagliate di grosso!. La casa degli zii era in riva al lago; c era perfino una darsena con dentro una barca stretta e lunga: una iole. La mamma e io eravamo stati sistemati in una stanza grande con il balcone. Accidenti, che alloggio! Ho chiesto subito se era possibile andare in barca. A 23

24 Dario Fo - impaginato.corr :22 Pagina 24 Pino ogni tanto mi facevano salire sulla motovedetta dei finanzieri, ma con quella iole era tutt altra cosa; dire che offrisse un equilibrio precario è dir poco: non potevi spostart i di un centimetro, che subito sballonzolava come impazzita. Mi ci hanno calato per primo; le due sorelle zompano in barca di botto, la iole si ribalta e ci ritroviamo in acqua tutti e tre. Ma la miseria! Io ho solo cinque anni... e non so nuotare! Per di più la iole, ribaltandosi, mi cade addosso e mi ritrovo in trappola dentro il guscio, come sotto a un coperchio. Mi sbatto, grido, bevo... non so come ma, dal di dentro, riesco ad attaccarmi alla traversa del sedile. Sento gridare Noemi: Dio! Il bambino dove è finito?. E la sorella: Sott acqua non c è. Vuoi vedere che è rimasto intrappolato sotto conca, dentro il guscio?. Salta in acqua anche lo zio... insieme ribaltano la barca e hop!, ritorno all aria, sempre abbrancato alla traversa del sedile. Tossisco come un motore ingolfato. Dio, che vita dura in sta Svizzera del cavolo! Quella notte ho sobbalzato non so quante volte nel letto per gli incubi. Meno male che stavo fra le braccia di mia madre, che a ogni sobbalzo mi sbaciucchiava e mi asciugava il sudore di cui ero tutto fradicio. Niente... non è niente, mi tranquillizzava. Basta con i brutti sogni! Esci dall acqua, car teston, non c è più né lago né b a rche. Dormi! E invece, come mi riaddormentavo, a tormentone ecco spuntare acqua dappertutto: pioveva fitto, i torrenti erano gonfi e straripavano, l acqua del lago cresceva, montava fino a uscire oltre la riva, su fino alla stazione, e i treni sparivano travolti dalle onde. Mia madre fuggiva tenendomi in braccio, s arrampicava su per il sentiero scosceso che raggiunge Pino e poi sale verso Tronzano. Pa Fo ci veniva appresso reggendo sulla testa una gran tinozza in rame per il bagno... poteva servire come barca di salvataggio. 24

25 Dario Fo - impaginato.corr :22 Pagina 25 Era un sogno, quello, che mi tornava spesso come un incubo causato dall aver vissuto l anno prima un vero e proprio cataclisma che aveva fatto montare il livello del lago sorpassando ogni limite storico: pareva che l acqua continuando a cre s c e re impert e rrita volesse ingoiarci tutti. L indomani, al risveglio, mi sono quasi meravigliato che il letto non stesse galleggiando sull acqua. Un po rintronato raggiungo la cucina in cerca di una tazza di latte e sul grande tavolo scopro un enorme scatola di colori a tempera, un mazzo di pennelli e dei cartoncini su cui dipingere. Non erano giocarelli da bambino, ma roba da professionisti, da pittori veri. Sono per me? ho chiesto speranzoso. Sì! mi ha risposto ridendo lo zio. Quasi non lo riconoscevo: era vestito da soldato... una divisa verde, con bordature rosse, stivali e un cappello con la visiera. Zio, vai alla guerra? No, è la mia divisa normale. Non lo sapevi? Io sono il maresciallo capo dei gendarmi del comune! Mi accorgo solo adesso che ha una gran pistola nella fondina appesa alla cintura. E son tuoi anche quelli? Così dicendo, punto il dito verso la parete sulla quale fan bella mostra un trombone e un fucile con il portacartucce. Sì, suono nella banda del corpo e questo è il mio fucile di ordinanza. Non toccarlo mai! Quindi afferra la scatola dei colori e rovescia tutti i tubetti sul tavolo: Guarda che meraviglia... sono di gran marca: Le Frank. Quando ero bambino ho sempre sognato di avere delle tempere come queste. Sai, io ogni tanto dipingo ancora; hai mai provato a pitturare con colori e pennelli del genere?. E così dicendo, spremendo tubetto per tubetto su un gran piatto, mi ha mostrato come si prepara la tavolozza. Ha intinto un pennello in una Terra di Siena e poi me lo ha consegnato, ha riempito una tazza d acqua e, ponendo sul tavolo un cartone, ha ordinato perentorio: Forz a! Fammi vedere se sei davvero quel portento che dicono. 25

26 Dario Fo - impaginato.corr :22 Pagina 26 C era da immaginarselo: emozionato com ero, ho spegasciato colore come capita capita. La mia idea era di rappresentare l incidente del giorno prima con le cugine che cadono in acqua, la barca che si ribalta, io di sotto nel guscio che mi sbatto disperato. Invece, disastro su disastro, da quel pastrocchio, della storia non ne sortiva niente. Alle mie spalle s era formata un ammucchiata di spettatori: c era tutta la famiglia, mamma compresa, e quattro colleghi gendarmi dello zio, anche loro in divisa con trombe e tromboni... tutti che commentavano entusiasti il dipinto e la mia bravura: È un artista! Mai visto un mostro simile!. Cos è, l arca di Noè? No, è la battaglia navale dei Malpaga contro i Borromeo! Io ero più che convinto che stessero sbroffando elogi a raffica solo per farmi piacere, ma una dozzina di anni dopo, quando già frequentavo l Accademia di Brera, e sono tornato a trovare lo zio Trombone (così lo chiamavano tutti), mi è capitato di rivedere quel dipinto appeso su un muro, addirittura incorniciato. In quel momento mi sono reso conto che era davvero bello: pareva un Kandinskij! Chissà che fotte mi sarei dato allora se ne fossi stato cosciente, ma per fortuna e disgrazia insieme il candore e la consapevolezza non abitano mai allo stesso tempo nella stessa persona. A ogni modo, quella prima settimana in Svizzera si era rivelata davvero indimenticabile: ero capitato pro p r i o durante la festa dei Cantoni liberi. In piazza c era un assembramento di gente in costume: c erano quelli con gualdrappe ricamate d oro e azzurro che recitavano la p a rte dei duchi tiranni, dietro di loro, in corteo, i guerr i e- ri tedeschi, quindi le signore della nobiltà e per finire i patrioti ribelli con Guglielmo Tell e il suo ragazzino. In mezzo alla piazza, contro una parete decorata a bassorilievo a i n d i c a re un portale, veniva piazzato in piedi il bambino con una mela in testa. Guglielmo imbracciava una bale- 26

27 Dario Fo - impaginato.corr :22 Pagina 27 stra, puntava verso il bimbo... ed ecco una donna gridare : No, mio figlio no!! (era la madre, che naturalmente non aveva nessuna fiducia nella mira portentosa del marito Guglielmo). Quell urlo serviva, l ho capito anni dopo, a distrarre il pubblico per un attimo dal fissare il piccolo con la mela in capo. Approfittando di quel breve spostamento d attenzione, il portale dinanzi al quale stava il bambino, girava su se stesso. Spariva quindi il bimbo vero e appariva un manichino con la stessa dimensione, costume e viso del piccolo protagonista. Solo gli scafati si acc o rgevano del trucco... io a cinque anni non ero nemmeno apprendista scafato! Immediatamente Guglielmo Te l l scoccava la freccia che infilzava la poma, urlo del popolo festante, fine del dramma. Ma cosa vuol dire? chiedevo alla mamma, che prima della rappresentazione aveva cercato di raccontarmi la sequenza dei fatti storici. È davvero una schifezza! esclamavo indignato. Sempre noi piccoli ci dobbiamo andare di mezzo! Gesù Bambino che nasce in una stalla puzzolente, con il tetto sfondato, senza stufa né scaldino... il fiato di un asino e una mucca e basta così. Erode, chissà perché, lo vuol morto e allora fa sgozz a re tutti i bambini del paese manco fossero capretti. Il P a d re t e rno, tanto per far pre n d e re uno spavento al povero Isacco, ordina al padre di mozzargli la testa con una s c u re. Cosa me ne frega se poi ci ripensa: Alt! Fermi tutti, è stato uno scherz o... uno scherzo da Dio! E adesso p u re la mela su sto povero ragazzino svizzero, che se Te l l sbaglia gli sforacchia la testa. Lui, il piccolo, è il vero ero e, ma nessuno si ricorda nemmeno come si chiami. Tutta la festa è solo per suo padre, sto incosciente che ha accettato la scommessa! A dir la verità, la mia indignazione è durata poco perché all istante ecco venire avanti la banda dei gendarmi a cavallo. M è sfuggito un grido di meraviglia. Fra i suonatori della banda c era anche mio zio, a cavallo pure lui, che pompava in quel trombone con delle spernacchiate che rimbombavano per tutta la piazza. Ero proprio orgoglioso: 27

28 Dario Fo - impaginato.corr :22 Pagina 28 ai miei occhi, la reputazione dello zio gendarme era montata a dir poco alle stelle! La mamma il giorno dopo è dovuta tornare a Luino e Noemi, per consolarmi un po, mi ha portato con sé al Kinderheim dove lavorava come maestra d asilo. Mi sono ritrovato con una turba di ragazzini, tutti più o meno della mia età, ma che provenivano in massa dai Cantoni del Lemano, quindi svizzeri tedeschi... non una parola d italiano. Ho cercato di comunicare in dialetto lombardo, ma mi guardavano come un deficiente! A un certo punto ci hanno portati tutti quanti in un salone dove faceva gran pompa di sé un organo. Alle tastiere stava seduto un donnone che pareva burro e panna. Ha cominciato a suonare. Appresso c era un altra donna che spingeva con i piedi sul mantice: un suono da cattedrale è uscito dalle canne. I bambini in coro hanno intonato un inno maestoso, la cui aria si ripeteva a crescere con piccole varianti. Intuito l andamento, mi sono inserito nel c o ro a mia volta... dapprima sottovoce, poi, preso coraggio, a gola spiegata. Scimmiottavo anche le parole, fingendo di conoscerle a menadito: Antzen üt Schivvel mit nem lauben troi wirt.... Chissà che bella storia stavo raccontando. Qualche giorno dopo, lo zio Trombone s è presentato a cavallo nello spiazzo della casa. Noemi con forza mi ha sollevato ponendomi in groppa all animale, anzi, quasi sul collo. Ero fuori di me dalla gioia. Vieni, andiamo a Lugano da Bruno... ci sta aspettando! Un ora di strada a cavallo, con lo zio gendarme... che stralusso di meraviglia! Non si andava per strade normali, ma si tagliava per sentieri, lungo i campi, attraverso i boschi. A un cert o punto siamo stati quasi aggrediti da un nugolo di api: lo zio mi ha calcato in testa il suo cappello da gendarme, s è 28

29 Dario Fo - impaginato.corr :22 Pagina 29 tolto la giacca e mi ha coperto le gambe: Infilaci sotto anche le mani. Purtroppo hai una pelle così dolce che le api ci vanno a nozze!. Ma sta Svizzera è tutto uno spavento, altro che paradiso terrestre! Per di più, il cavallo punzecchiato da quelle api fameliche si imbizzarrisce, spara un nitrito da carica lancia in resta, due scalciate... e via al gran galoppo! Lo zio cerca di trattenerlo, ma chi trattiene le api? Ci vengono appre s s o finché hanno fiato. Poi evidentemente non ce la fanno più e il nostro campione comincia a rallentare tenendo sempre il collo arcuato e trottando proprio da gran vincitore. Non avrei mai immaginato tanta festa da parte di mio cugino, che ci stava aspettando davanti alla chiesa con i suoi amici e... Bedelià con tante altre ragazze. Quasi tutte splendide, ma è inutile dirlo di fronte a lei nessuna reggeva il confronto! Perché si va in chiesa? chiedo io. È una chiesa molto speciale, dove si fanno concerti, ci sono anche dei musicisti italiani. Vieni, te li pre s e n t o, sono tutti fuoriusciti. Fuoriusciti? Che vuol dire? Significa che son scappati dall Italia per evitare di finire in prigione. Ah, come quelli che si nascondono nei vagoni in transito a Pino! Dei clandestini, insomma. Ecco, bravo! Gli stessi... questi, in part i c o l a re, sono in gran parte anarchici. Certo, non sapevo cosa significasse anarchici e non c era manco il tempo di farmelo spiegare: eravamo in ritardo, bisognava dar inizio al concerto. Prendo allora posto sul più bel seggio del mondo: le ginocchia di Bedelià e per schienale e poggiatesta ho le sue zinne! Intanto i musicisti stavano approntando gli strumenti: B runo s era seduto al pianoforte. C erano delle chitarre grandi come un uomo (che si chiamavano contrabbasso) e delle grandi trombe ritorcinate (i sassofoni) e poi tamburi con piatti e tamburelli di metallo (la batteria) e poi trombe 29

30 Dario Fo - impaginato.corr :22 Pagina 30 più o meno simili a quelle della banda dei gendarmi. Fra i suonatori c erano anche due neri con una strana chitarra e una donna con il violino. Bedelià mi ha spiegato che quel violino si chiamava hot e la chitarra tonda ukulele. Quando mi vieni a tro v a re al di là del lago? le ho chiesto. Purtroppo sarà difficile. Il governo fascista ha imposto al nostro di ritirare Bruno dall ambasciata per via delle sue idee un po sovversive. Avrei voluto chiederle cosa significasse quel sovversive, ma cominciava il concerto, quindi zitti e attenti. Non avevo mai ascoltato una musica come quella. All inizio mi è sembrata un po fracassona, piena di strombazzate perfino stridule, come da pagliacci... ma poi mi sono sorpreso a segnare il tempo battendo le mani. Ve n i v a fuori una sgangherata armonia, ma mi piaceva. Come si chiama questa musica? ho chiesto a Bedelià. Jazz, mi ha risposto, e quest altro che sta per iniziare è invece un blues: ascolta, fra poco cantano. Infatti i due neri si son levati in piedi e hanno cominciato a tirar fuori una voce possente da tromba e poi una tiritera ritmata agitando le braccia e accennando passi di danza. Anche la ragazza del violino s è unita al canto. A sua volta, Bruno ha tirato fuori una voce incredibilmente pastosa e gutturale, proprio da nero. Dopo un po l intera platea era coinvolta da quel canto, pian piano tutti quegli svizzeri così compassati sollevavano le braccia e le muovevano a imitazione di quanto stavano facendo i cantori gospel sul transetto: battevano mani e piedi e ripetevano in coro i vari refrain. Io di certo non mi re n d e- vo conto, ma in quel momento stavo assistendo a una delle prime esibizioni di musica jazz e blues in Europa. Dicono che da bambini i nostri sensi siano ricettivi come lastre fotografiche: ogni colore, ogni fremito di commozione resta inciso con inaspettata profondità e pre c i s i o n e. Quell evento avrebbe di fatto segnato il mio modo di ascoltar musica, non accentandola solo come sequenza di 30

31 Dario Fo - impaginato.corr :22 Pagina 31 note e ritmi, ma piuttosto come gesto e azione collettiva di un rito. Quando, dopo una settimana, sono tornato alla stazione di Pino, mia madre si chiedeva cosa mi fosse successo. Continuavo a raccontare di quello che avevo visto: del mio canto in tedesco, del cavallo imbizzarrito dalle api, del concerto jazz e tentavo di rifare il verso a quei suoni muovendo braccia e gambe come un grillo. Me car teston, diceva preoccupata mia madre, non è che ti hanno drogato o fatto un accidente di fattura da tarantolati?! Acquietati, prendi un po di fiato e soprattutto non raccontare più a nessuno qui intorno dei fuoriusciti anarchici che suonavano e cantavano con i negri: è p e r i c o l o s o! Eravamo nel 32: io avevo compiuto i sei anni e dovevo andare a scuola. Mio fratello Fulvio ne aveva due meno di me; a detta di tutti, dimostrava un intelligenza esagerata: aveva quattro anni e leggeva e scriveva come un ragazzino della seconda elementare. Per di più, se ne usciva con battute e osservazioni da lasciare interdetti. La scuola elementare di Pino non era molto prestigiosa: c erano solo le prime tre classi e per frequentare le altre due bisognava salire fino a Tronzano, che stava a seicento metri d altezza. A Pino c era un unica maestra che insegnava a dieci bambini e sette femminucce. Si chiamava suor Maria, era una suora di san Vincenzo con una cuffia bianca che si annodava sotto il mento. Per me, di sicuro, era come la Grande Madre Terra: ampia, maestosa, dolce e piena di tenerezze per ognuno. Non levava mai la voce né allungava una mano su di noi, anche quando ci meritavamo sberle e pedate nel sedere. Io mi ci trovavo pro p r i o d incanto con suor Maria, oltretutto ero di certo il suo coccolo, anche se non lo dava a vedere. Forse mi compor- 31

32 Dario Fo - impaginato.corr :22 Pagina 32 tavo un po da ruffiano arrivando sempre lassù da lei con qualche fiore che coglievo strada facendo, lungo la scarpata. Un giorno mi sono presentato addirittura con un coniglietto che avevo trovato fuori dal recinto, un altra volta ho esagerato; ho trascinato su un randagio... brutto e sporco, un vunciun. Suor Maria ogni volta mandava grida di gioia, festosa come una ragazzina... Non parliamo poi delle espressioni di meraviglia quando le mostravo uno dei miei dipinti; spesso mi incitava a disegnare e colorare in classe, coinvolgendo tutta la battera 1 dei ragazzini. La nostra scuola aveva trovato asilo dentro l antico palazzo medievale del municipio. Fuori, nei corridoi, stavano rinfrescando le decorazioni pittoriche. Dentro uno sgabuzzino, gli imbianchini avevano lasciato i barattoli con le vernici a tempera. Una bambina aveva portato in classe un paio di quelle tolle con relativi pennelli e s era messa a dipingere su un m u ro, nel frattempo suor Maria era uscita per un attimo... tutti noi ragazzini eravamo scandalizzati: Imbrattare in quel modo le pareti! Vedrai suor Maria cosa ti dice appena torna!. La suora rientrava proprio in quell istante, ha osservato quella serie di sberleffi di colore e ha esclamato: P o t rebbe essere un idea! Che ne dite di dipingere tutto lo stanzone?. L abbiamo guardata ammutoliti: Oh Dio, suor Maria è andata fuori di testa!. La ragazzina con un grido trionfante si è rigettata a s p a n t e g a re colori sulla parete. Dopo un attimo, come form i- che scatenate, eravamo addosso ai muri brandendo pennelli che intingevamo nei barattoli di cui avevamo fatto rapina. Quell inverno era nevicato più del solito. Per salire alla scuola si dovevano inforcare gli sci. Io e mio fratello Ful- 1 Compagnia, banda. 32

33 Dario Fo - impaginato.corr :22 Pagina 33 vio avevamo imparato a muoverci su quegli aggeggi abbastanza rapidamente. Non si trattava certo di sci come li intendiamo oggi: erano tappelle, cioè tavole di legno scolpite alla bell e meglio che si assicuravano agli scarponi con cinghie e molle molto rudimentali. Non servivano a fare sport, ma soltanto a spostarci evitando di affondare nella neve. Le racchette erano bastoni di frassino con due cerchietti di vimini infilati sul fondo. Per riuscire a muoversi con quelle tappelle, bisognava possedere un bel talento: noi tutti, in quella valle, dovevamo averne a dismisura giacché ci lanciavamo, senza sfasciarci, giù per certe scarpate da far mancare il fiato. Verso febbraio, nessuno se l aspettava, c era stata un altra tremenda nevicata che aveva superato il metro. I camion non transitavano più. Pure la ferrovia era bloccata: una slavina era franata proprio fra le due gallerie di Zenna e la neve intasava anche la via per Luino. Ci si muoveva solo con gli sci e con le slitte. Noi ragazzini non ci si rendeva conto di cosa volesse dire tro v a r s i completamente isolati; neanche per via lago si poteva r a g g i u n g e re la costa svizzera o quella di Luino: tirava un vento di maestrale che sollevava onde da marenca, tanto che la notte avanti il motoscafo della finanza aveva divelto gli ormeggi e, andando a sbattere contro gli scogli, s era inabissato. Ma per noi era la pacchia: si sciava dappertutto, battaglie con le palle di neve e poi quell avventura di tro v a r- ci tagliati fuori ci faceva sentire come naufraghi su un isola deserta. Anche la gente della valle non era p reoccupata più di tanto, un po di scorte nei tre o quatt ro negozi d alimentari c erano ancora. Il macellaio, inolt re, poteva disporre di agnelli e capretti a volontà e, soprattutto, i contrabbandieri adesso avevano il via libera: i finanzieri di stanza sul confine infatti non erano in grado di muoversi con sufficiente agilità su quei bricchi tanto innevati e solo gli spalloni con i loro sci fatti in casa potevano rischiare il transito scivolando su quelle scoscese 33

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