RELAZIONE PER L INAUGURAZIONE DELL A.A. 2014/15

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1 RELAZIONE PER L INAUGURAZIONE DELL A.A. 2014/15 DEL RETTORE DELL UNIVERSITÀ DEGLI STUDI INTERNAZIONALI DI ROMA PROF. VINCENZO ZENO-ZENCOVICH Roma 14 gennaio 2015 * * * Cari studenti, cari docenti, dipendenti e collaboratori tutti dell Ateneo Cari colleghi rettori, pro-rettori e delegati dei rettori Illustri ospiti In apertura desidero rivolgere un deferente saluto al Presidente della Repubblica che oggi termine il suo mandato, contrassegnato da passione, sacrificio, equilibrio e stile. Penso di poter esprimere a nome dell Ateneo e di tutti noi il ringraziamento per quanto ed è tanto ha fatto in questi anni a sostegno dell università italiana e della cultura. Nella relazione di inaugurazione dell anno accademico la consuetudine vuole che il Rettore racconti quel che è stato fatto nell anno trascorso, quel che si intende fare in quello appena iniziato, e da una quindicina di anni a questa parte, una geremiade nei confronti del Ministero, del Governo, del Parlamento responsabili o complici del degrado dell Università italiana. Credo che valga la pena accantonare, per una volta, questo copione per parlare di un tema centrale nella vita e per la funzione dell Università, e cioè quello economico-finanziario. Di solito esso viene trascurato, come se parlare di soldi fosse volgare, oppure viene evocato per dolersi del fatto che le risorse sono poche e sempre meno del necessario. Credo che un Ateneo che vive quasi interamente (cioè per il 95%) di risorse private debba invece affrontare il tema di petto, enunciando alcuni fatti che nelle lamentazioni ricorrenti vengono trascurati o sommersi. 1. Nel danaro guadagnato con l inventiva e la fatica e speso con oculatezza vi è una intrinseca moralità. Il danaro ha un valore che non è solo economico, ma che è e deve essere anche ideale. L equilibrio di bilancio 1

2 non costituisce una esigenza solo giuridico-contabile, ma esprime la rettitudine della condotta imprenditoriale, la base del rispetto verso chi lavora all interno dell impresa, verso i terzi creditori, ma soprattutto verso gli utenti dei propri servizi i quali hanno il diritto di sapere come vengono spesi i soldi che hanno versato e di fare affidamento sulla continuità e continuativa qualità dei servizi. 2. L Università, ogni università pubblica o privata che sia è una straordinaria fabbrica di ricchezza, in senso non solo intellettuale e metaforico. I laureati mediamente guadagnano di più dei non laureati. I laureati sono impegnati in attività che solitamente producono un maggiore valore aggiunto. La ricchezza dei laureati e delle imprese per le quali lavorano incrementano sia il PIL che il gettito fiscale. Questo ragionamento elementare con riferimento alle università private diventa però un preciso calcolo economico: in quanti anni il nostro laureato riesce a ripagarsi la retta di 3 o 5 anni di studi? Si tratta di una analisi che viene comunemente fatta negli Stati Uniti e, in maniera crescente, nel Regno Unito dove gli studi sono finanziati da appositi istituti di credito. Ipotizzando ragionevolmente 2

3 un reddito netto di ingresso di al mese, risulta che tre anni di rette in questo Ateneo (che si colloca in una posizione mediana rispetto alle università private italiane) sono coperti da circa 13 mesi di lavoro; cinque anni in circa 20 mesi. Queste cifre non hanno lo scopo di promuovere l iscrizione all università, quanto piuttosto ad individuare le ragioni razionali dell investimento che, generalmente, una famiglia fa nell istruzione dei propri figli e sulle politiche di finanza pubblica che dovrebbero sostenerlo. 3. Ma le Università private non si limitano a contribuire, assieme all intero sistema universitario, alla creazione di ricchezza per i singoli, per il paese. Esse contribuiscono in maniera significativa a trasformare risorse private in beni e servizi pubblici, in assoluta controtendenza rispetto alla manifesta degenerazione riscontrabile soprattutto a livello locale di sviamento, per finalità di lucro o di gruppo, di ingenti risorse impegnate in aziende pubbliche. Qui le cifre sono eloquenti. Guardiamo in primo luogo al numero degli iscritti, come risulta ad una recente indagine della CRUI, la Conferenza dei Rettori italiani. 3

4 Totali iscritti all Università (a.a. 12/13) Atenei statali ,7% Atenei non-statali ,6% Si guardi ora alla copertura dei relativi costi. La legge finanziaria per il 2014 ha stanziato, a copertura degli Atenei statali, Per lo stesso periodo il contributo a favore degli Atenei non-statali è stato di , pari quindi a meno dello 0,7%. Da questo primo dato è possibile fare una prima molto approssimativa stima: se si dovesse guardare solo al numero degli studenti (ma sappiamo che l università è anche ricerca, servizi socio-sanitari, servizi residenziali, 4

5 formazione post-laurea) quel 5% di studenti dovrebbe gravare, a bilancio dello Stato invariato, sugli Atenei statali (decurtando le entrate derivanti dalle tasse universitarie, pari a circa il 15% del costo). Il calcolo può essere fatto anche prendendo come parametro il costo standard per studente di recente calcolato dal Ministero dell Università, pari ad una media di 6.500: si tratta di circa 620 milioni di euro. Va peraltro sottolineato come il costo standard è il risultato non di un semplice rapporto fra finanziamento a ciascuna università e numero dei suoi studenti, bensì indica un importo virtuoso cui ciascun Ateneo dovrebbe tendere per non subire penalizzazioni. Attualmente, dunque, e nella realtà il costo medio effettivo è decisamente superiore ai euro. E dunque il risparmio di costi complessivi per il sistema è ben superiore ai 600 milioni di euro che si è indicato. 4. Ma anche assumendo come parametro il costo standard indicato dal MIUR ci si rende conto, da un lato, che le tasse universitarie richieste dagli Atenei statali coprono poco più del 15% di tale costo (e quindi il restante 85% grava sulla fiscalità generale). 5

6 Dall altro lato risulta evidente che la maggior parte degli Atenei non-statali offre servizi di qualità ad una retta inferiore al costo standard, sussidiando la differenza con entrate da altre attività (in particolare, formazione postlaurea; ricerca per conto di soggetti terzi). 5. Il contributo che gli Atenei non statali danno al sistema educativo universitario italiano non è misurabile solo in termini di risparmi di spesa del settore pubblico ma soprattutto nell ingente trasferimento di ingenti risorse private verso finalità pubbliche. Si guardi alle entrate del comparto degli Atenei non statali. Nel 2012 risulta il seguente quadro (in migliaia di euro) 6

7 Per quanto riguarda questo Ateneo, i dati del pre-consuntivo 2014 ci dicono che il 57% dei ricavi proviene da rette degli studenti iscritti ai corsi triennali e magistrali; il 25 % dalla alta formazione post laurea; ed un 17% da corrispettivi ed erogazioni da parte di soggetti terzi. Ora è necessario sottolineare con forza che il comparto degli Atenei non statali tutto il comparto è caratterizzato da una istituzionale assenza di finalità di lucro. Nessuno dei 14 Atenei che vi fanno parte è costituito sotto forma di (o controllato da) società di capitali. Tutti ri-investono gli utili di esercizio (se vi sono) nel miglioramento dei servizi erogati. Tutti coprono i non infrequenti disavanzi attingendo alle riserve ovvero a finanziamenti straordinari delle istituzioni di riferimento. Si comprende dunque il senso dell affermazione che quel miliardo e 800 milioni di 7

8 entrate (nel 2012) hanno prodotto un utile solo per la collettività, il che era, ed è, il precipuo scopo degli Atenei non-statali. 6. Va peraltro segnalata la qualità dei servizi erogati, giacché essa deve essere la prioritaria raison-d être di un Ateneo privato. Se infatti così non fosse non vi sarebbe alcuna razionalità nella scelta di un Ateneo più costoso, considerata l ampia offerta di eccellenza e diffusamente localizzata degli Atenei statali. Vale la pena riportare alcuni dati che emergono dalla ricerca condotta dalla CRUI. a) Un primo indicatore è rappresentato dalla mobilità studentesca, ovverosia dal numero di studenti che si immatricolano ad una università in una Regione diversa da quella di propria residenza Come si vede, con riferimento a questo Ateneo, i dati evidenziano che oltre un terzo dei nostri immatricolati proviene da fuori Regione, rispetto alla media nazionale di un quinto che si riscontra negli Atenei statali. Su questo semplice dato si potrebbero svolgere ampie ma 8

9 elementari considerazioni micro-economiche. Se poi guardiamo al totale degli iscritti la percentuale sale al 47%. Per alcuni dati di confronto hanno percentuali superiori solo la Bocconi (60%), la LUISS (57%) e il campus Bio-Medico (49%). b) Il secondo elemento che va considerato è la durata media degli studi. Vi sono due indicatori: per un verso il diverso rapporto fra immatricolati alle università private (6,8%) e iscritti complessivi (5,6%), il che evidenzia una assai modesta quota di studenti fuori corso, i quali invece compongono una quota significativa della popolazione studentesca italiana. Nella stessa direzione vanno le percentuali sugli studenti immatricolati inattivi (per il nostro Ateneo solo il 6,7% rispetto ad una 9

10 media del 10,4% degli Atenei non-statali e del 15,9% di tutti gli Atenei italiani) e degli studenti iscritti inattivi (per il nostro Ateneo il 7,2% rispetto al 9,1% degli Atenei non-statali e al 14,8% di tutti gli Atenei italiani). 10

11 I dati forniti dal consorzio AlmaLaurea ci dicono che oltre la metà dei nostri studenti triennalisti si laurea in corso, con un ulteriore 20% nel primo anno fuori corso. Mentre per i nostri studenti magistrali il 64% si laurea in corso e un ulteriore 30% entro l anno successivo. Un dato quest ultimo particolarmente significativo che risulta dal rapporto 2013 ANVUR sullo stato dell Università italiana da cui risulta che in media i nostri laureati magistrali concludono i loro studi in 2,1 anni (rispetto ai 2 regolari), una media pari a quella degli studenti bocconiani. 11

12 12

13 c) A ulteriore conferma della preferenza accordata agli Atenei non-statali (e dunque della natura integrativa e migliorativa della loro offerta didattica) è data dal ruolo nel life-long-learning, soprattutto attraverso la erogazione di Master di I e II livello la cui funzione è principalmente di consentire a chi è già inserito nel mondo del lavoro di acquisire nuove competenze e progredire nella carriera. Gli iscritti a Master di I livello di Atenei non-statali sono il 32% rispetto a quelli iscritti presso Atenei statali (e di quella precentuale ben l 11,5% sono di questo Ateneo). Se poi guardiamo quanti hanno effettivamente conseguito il titolo le cifre premiano ancor più questo Ateneo, presso il quale conseguono il Master il 18,8% di tutti gli iscritti degli Atenei non-statali. 13

14 7. Tuttavia non ci si può limitare al pur importante profilo della attività didattica. Un punto che emerge dal rapporto della CRUI è che il sistema degli Atenei non statali italiano è pienamente integrato nell attività di ricerca. Una funzione che spesso è praticamente assente in altri paesi nei quali le università private si concentrano solo sull insegnamento. Il punto merita di essere segnalato con una punta di orgoglio nazionale: da sempre e cioè dal 1088, anno di fondazione dello Studium bolognese l università italiana si è caratterizzata per la sua inscindibile duplice natura: di ricerca e di insegnamento. Non vi può essere insegnamento universitario senza ricerca; non vi è ricerca pura se questa non può essere trasmessa con l insegnamento. Tenendo conto del fatto che in nessun Ateneo non-statale sono presenti tutte le tradizionali facoltà, ma solo alcune di esse (alcune sono monofacoltà come il campus Bio-Medico e il San Raffaele; altre ne hanno solo due o tre (Bocconi,. LUISS, UNINT), i risultati complessivi sono significativi. 14

15 Nell Area medica (6) gli Atenei non-statali sono rappresentati tre volte con un Ateneo che si posiziona al secondo posto a livello nazionale e nella classifica dei piccoli Atenei. Un secondo Ateneo si posiziona ben sopra la media nazionale L Area linguistica e letteraria (10) è rappresentata in 8 Atenei. Tre Atenei si sono classificati nei primi 15 a livello globale e la UNINT si è posizionato al secondo posto fra tutti gli Atenei italiani e al primo posto nel segmento dei piccoli Atenei. L Area storica (11a) è rappresentata in un analogo numero di Atenei con due Atenei nei primi 15 classificati a livello globale ed uno nei primi 5 nel segmento dei piccoli Atenei. Nell Area psicologica (11b) la sub-area 11b è meno rappresentata ma anche in questa area due Atenei non-statali si trovano nei primi 3 posti a livello nazionale con il primato tra i piccoli Atenei. Nell Area giuridica (12) gli Atenei non-statali hanno il primato nazionale ed altri tre Atenei sono nei primi 15 posti. Inoltre ben 7 Atenei sono sopra la media nazionale. Nell Area economica (13) due Atenei non-statali sono posizionati nei primi 10 a livello nazionale e quattro sono sopra la media nazionale. Nell Area politica-sociale (14) analogo risultato è stato ottenuto con due Atenei nei primi 5 posti (acquisendo anche il primato nel segmento dei piccoli Atenei). * * * I dati che si sono sintetizzati confermano la vitalità degli Atenei non-statali nel contribuire alla formazione di terzo livello nel nostro Paese con una offerta di eccellente qualità ed in ogni caso socialmente vocata, completando ed integrando quella degli Atenei statali. Si tratta di un ruolo che gli Atenei nonstatali devono rivendicare con orgoglio, denunciando la ignoranza, la faziosità e, talvolta, anche la malafede dei detrattori del sistema. La pari dignità degli Atenei non-statali i quali sono caratterizzati dal più ampio pluralismo ideale: atenei confessionali, atenei legati alla cultura 15

16 d impresa, atenei (come questo) ispirati dalla funzione sociale dell istruzione costituisce il punto di partenza indispensabile che va esatta nei confronti degli interlocutori istituzionali, politici ed economici. Ma vi è molto di più. Sarebbe fin troppo facile invocare il diritto comunitario, ed in particolare la sentenza Altmark, per evidenziare come lo Stato non possa imporre obblighi di servizio pubblico agli Atenei non-statali senza pensare di compensarli nella misura dei costi eccedenti. Ma non è questa la pretesa che intendo avanzare. Piuttosto, nell ottica ribadita più volte della complementarietà fra pubblico e privato nel settore universitario, gli Atenei non-statali devono chiedere con forza: a) Una riduzione drastica della orgia di incombenze amministrative che si giustificano solo nella concezione già di per sé sbagliata che le università sono un ufficio periferico del MIUR. Incombenze che sono in gran parte funzionalmente prive di senso nella misura in cui gli Atenei non-statali ricevono insignificanti contributi pubblici ed i suoi dipendenti, sia docenti che non docenti, non sono pubblici dipendenti. b) Una disciplina fiscale che incentivi l investimento delle famiglie nella istruzione dei propri figli. E mentre con riguardo agli Atenei statali si comprende che si tratta di partite di giro (al maggiore o minore gettito fiscale è collegato il maggiore o minore finanziamento all Università) per gli Atenei nonstatali l attuale regime finisce per essere penalizzante e discriminatorio. Così come va riconosciuta agli Atenei non-statali, in considerazione della loro statutaria natura non lucrativa un regime IVA coerente con tale missione. c) La trasposizione nel campo degli Atenei statali di regole e prassi organizzative efficienti mutuate dal settore degli Atenei non-statali. Posta la assoluta corrispondenza di funzioni e mansioni del personale amministrativo in qualunque università, il parametro da adottarsi è quello dell Ateneo ben gestito, di cui gli Atenei non-statali forniscono eccellenti esempi. I corrispondenti risparmi di spesa dovrebbero essere utilizzati per fondi di premialità agli 16

17 studenti meritevoli e alla ricerca di eccellenza, ovunque essi siano iscritti o essa venga svolta. d) Infine la qualità della ricerca non costituisce un aspetto meramente nazionale ma ha dei significativi riflessi sul posizionamento del nostro Paese nei corrispondenti settori nell Unione Europea. Appare pienamente giustificato che la crescente quota premiale delle risorse pubbliche venga distribuita fra tutte le università meritevoli. * * * In conclusione, accanto ad una costante iniziativa di promozione e diffusione di idee nuove, gli Atenei non-statali devono riaffermare con forza e costanza il loro ruolo nella formazione di alto livello, fondamentale per la crescita del nostro Paese, rifiutando grossolane semplificazioni. Ed è dalla costante e fruttuosa collaborazione nella consapevolezza di una comune missione fra Atenei statali e non statali che il nostro Paese sarà in grado di rispondere alle sempre più impegnative sfide del futuro, attingendo alla straordinaria ricchezza umana ed intellettuale dei propri docenti e al loro amore anche verso la ricerca e l insegnamento. Evviva l università italiana! Evvivano i nostri studenti! E con questo incitamento dichiaro ufficialmente aperto l anno accademico 2014/2015 dell Università degli studi internazionali di Roma. 17

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