Global. La geopolitica delle 25. Un globalcaso A GlobalCase

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1 4 Global Come è cambiato il panorama dell industria manifatturiera negli ultimi 10 anni. Costo del lavoro e dell energia, tassi di cambio e incentivi statali, tecnologia e manodopera, sono tutti fattori che hanno contribuito alla trasformazione del comparto. Come restare competitivi di fronte alla crescente concorrenza internazionale? Far ripartire gli investimenti, pubblici e privati, rigenerare la crescita dei consumi, puntare su produzioni sofisticate e di alta tecnologia, investire su ricerca e formazione. Conditions in the manufacturing industry have changed greatly in the last 10 years. Labor and energy costs, exchange rates and state incentives, technology and human resources have all contributed to the transformation of the industry. How can manufacturing maintain competitiveness on an increasingly tough international marketplace? By promoting a return to investment, both public and private, a recovery in consumption, a focus on advanced hi-tech production, investment in research and education. Un globalcaso A GlobalCase di Giuseppe Falco* by Giuseppe Falco* L analisi BCG del cambiamento della competitività di costo delle prime 25 economie mondiali The BCG analysis of the changing cost competitiveness of the world s top 25 economies Giuseppe Falco La geopolitica delle 25 economie con maggiore capacità di esportazione ha profondamente cambiato il proprio perimetro. È quanto emerge con grande chiarezza dal primo Manufacturing Cost-Competitiveness Index, appena presentato dal Boston Consulting Group (BCG). Si tratta di un indice globale per misurare lo stato di salute dei Paesi a forte vocazione manifatturiera. Lo studio mostra risultati sorprendenti: negli ultimi 10 anni è avvenuta una profonda ridefinizione della competitività nell ambito delle prime 25 economie mondiali che insieme valgono il 90% del Pil mondiale. Rapidi cambiamenti nel costo del lavoro, della produttività, dei tassi di cambio e del costo dell energia hanno comportato mutamenti drammatici in termini relativi e di struttura dei costi del comparto manifatturiero. In particolare, emergono quattro gruppi di economie osservando più da vicino la competitività relativa. I cosiddetti Paesi under pressure sono quei Paesi tradizionalmente low-cost ma i cui costi stanno crescendo molto rapidamente, tra questi il Brasile, la Russia, la Cina, la Polonia e la Repubblica Ceca. Il Brasile in particolare, impegnato recentemente con lo svolgimento del campionato mondiale di calcio, in soli 10 anni è passato da un indice 97 (fatto 100 quello degli Usa) a 124, piazzandosi tra i peggiori in termini di competitività. Il Paese ha perso competitività in tutti gli indici, il costo del lavoro è raddoppiato mentre la produttività è cresciuta solo del 3%. A questo si aggiunge un apprezzamento della moneta locale, il real, del 20% nei confronti del dollaro, mentre il costo dell energia è salito del 300% e del gas del 60%. Anche Cina e Russia hanno visto peggiorare il loro indice di competitività passando da circa 86 a 96 la Cina e a 99 la Russia, primariamente per effetto del costo del lavoro, salito di circa il 200% (al netto della produttività), e dell energia. La Polonia continua a essere molto competitiva rispetto all Europa, ma perde posizioni a livello globale. L analisi del Boston Consulting Group si concentra poi sui Paesi cosiddetti rising stars tra cui spiccano Stati Uniti e Messico che hanno più di tutti migliorato la loro competitività grazie a un incremento limitato del costo del lavoro congiuntamente a un significativo decremento del costo dell energia (in particolare in America per effetto dello shale gas) e al tasso di cambio. Questo ha consentito loro di European Union, 2014

2 PAESI/COUNTRIES UNDER PRESSURE Brasile/Brazil Russia/Russia Cina/China Polonia/Poland Repubblica Ceca/Czech Republic PAESI/COUNTRIES RISING STARS Stati Uniti/Usa Messico/Mexico PAESI/COUNTRIES HOLDING STEADY Olanda/The Netherlands India/India Gran Bretagna/UK Indonesia/Indonesia PAESI/COUNTRIES LOSING GROUND Italia/Italy Francia/France Belgio/Belgium Svezia/Sweden Svizzera/Switzerland 5 recuperare parecchio terreno addirittura posizionando il Messico sotto il livello di costo della Cina, mentre gli Stati Uniti sono ormai molto prossimi a questo valore (100 vs 96). I Paesi holding steady, ossia che hanno mantenuto inalterato il posizionamento, sono rappresentanti da Olanda, India, Gran Bretagna e Indonesia. In particolare è interessante notare come la Gran Bretagna, la cui vocazione industriale appare ancora oggi per molti qualcosa legato al passato, si sia posizionata al primo posto tra le economie europee. L ultimo gruppo, quello dei Paesi losing ground, ossia quelli che hanno perso posizioni in maniera significativa, vede il nostro Paese in compagnia di Francia, Belgio, Svezia e Svizzera. Tutto questo rappresenta un vero e proprio sconvolgimento delle dinamiche competitive del comparto manifatturiero, che crea fenomeni assai rilevanti sia da un punto di vista economico sia sociale, come il reshoring negli Stati Uniti. Ci si è molto concentrati sul deficit, ma si è posta poca attenzione al fatto che l esportazione del Paese è aumentata di più di sette volte la crescita del Pil dal 2005 ad oggi. Nello specifico, l America è al picco di export degli ultimi 50 anni. Tutto questo sembra essere solo l inizio di una trasformazione molto più profonda. La nostra previsione è che gli Stati Uniti cattureranno da 70 a 115 miliardi di dollari in export annuo da altre nazioni esportatrici per la fine del decennio. Più di due terzi deriverà dal cambiamento produttivo del continente europeo e del Giappone. Questo fenomeno, combinato con il reshoring visto poco fa, creerà da 2,5-5 milioni di nuovi posti di lavoro nel manifatturiero e indotto. La nostra analisi suggerisce che gli Stati Uniti saranno già dal prossimo anno una delle economie considerate low-cost tra i Paesi avanzati, mentre Germania, UK e Francia avranno costi superiori nell ordine dell 8-18% (principalmente per effetto del costo del lavoro e dell energia). Ovviamente non tutte le voci pesano allo stesso modo nel settore export, che vede i tre quarti derivare da un gruppo di sette famiglie industriali: apparecchiature per il trasporto; prodotti energetici; chimica; computer and electronics; macchinari; apparecchiature elettriche e appliance, e componentistica; metalli. Le modalità con cui questo fenomeno si svilupperà sono molteplici e molti prevedono che gli Stati Uniti possano avere un ruolo come base di export e, allo stesso tempo, come produzione per limitare l import e servire la domanda interna. Tuttavia numerosi segnali indicano che anche società straniere guardano agli Stati Uniti per la propria produzione. È il caso ad esempio di Lenovo, azienda cinese, che recentemente ha creato in North Carolina un hub per l assemblaggio dei laptop, notebook e tablet. Ma un fenomeno simile lo stiamo vedendo anche nel mondo delle auto: Toshiba Industrial dal Giappone si è trasferita in America per la produzione dell auto ibrida, mentre Toyota esporta dal Kentucky e dall Indiana nella Corea del Sud, e Honda da Indiana e Ohio. Il grande gruppo tedesco Siemens produce in Nord Carolina turbine a gas per l Arabia, e Yamaha ha trasferito la produzione delle macchine movimento terra negli Stati Uniti. Per la produzione di pneumatici per tali macchine la francese Michelin ha scelto come luogo di insediamento il Sud Carolina. La ricerca si sofferma molto anche sul nostro Paese. L Italia, pur essendo fra i primi 10 Paesi esportatori al mondo, risulta in coda alla classifica in termini di competitività di costo di produzione (ventesima su 25): paghiamo a caro prezzo il costo dell energia (la nostra è la bolletta più cara al mondo), e abbiamo avuto un vistoso peggioramento della produttività negli ultimi 10 anni (il peggiore risultato tra i Paesi europei insieme alla Francia). A livello continentale anche Gran Bretagna, Spagna, Austria, Olanda, Germania e persino la Svezia sono più competitivi di noi. E il futuro? Per l Italia le proiezioni non promettono nulla di buono, anzi. Nel 2018 le nostre stime prevedono un ulteriore peggioramento dell indice relativo di competitività. Ci dobbiamo rassegnare? Ovviamente no, e a nostro avviso sono cinque le direttrici su cui le imprese devono agire.

3 6 1. La prima è una forte specializzazione nella produzione di prodotti a elevato valore aggiunto che può essere di natura tecnologica ma anche di design (Made in Italy) in cui la qualità e il livello di servizio al cliente rappresentano elementi differenzianti che permettono di comandare il prezzo premium. Due aree di eccellenza, ad esempio Made in Italy e i distretti industriali. Tutti questi elementi rendono meno importante la bassa competitività del lavoro in quanto cresce la produttività (valore aggiunto per unità di produzione). Dobbiamo essere coscienti che siamo un economia senza materie prime e con costi dell energia molto elevati e quindi il valore aggiunto è la chiave di tutto. 2. Dunque, un costante investimento in Ricerca e Sviluppo per mantenere il vantaggio in termini di valore aggiunto (prodotti, tecnologie e servizi) e il vantaggio rispetto ai LCC (Low Cost Countries). Centrali la collaborazione e la focalizzazione dei rapporti con università e centri di ricerca per contenere i costi di sviluppo e restare all avanguardia. 3. È necessario poi puntare sull ottimizzazione di processi e metodologie di produzione, introducendo metodologie lean di riduzione degli sprechi, puntando a massimizzare produttività e livelli di qualità, e facendo leva sulle competenze dei dipendenti. Investire in nuove tecnologie produttive, facendo leva sulla digitalizzazione e automazione, migliorare la produttività e qualità che ancora una volta bilanciano l elevato costo del lavoro. Tra queste aree di miglioramento dei processi spicca l efficienza energetica: occorre investire in maniera massiccia in tecnologie, macchinari e strumenti di misura che minimizzino i consumi energetici. 4. Occorrono un investimento e un rafforzamento della propria supply chain e rete di distribuzione, sviluppo di fornitori a cui affidare l elaborazione di interi moduli, integrandoli sia nel processo di sviluppo prodotto (co-design) per diminuire il time-to-market, sia nel processo logisticodistributivo (just-in-time) per diminuire i costi di produzione. Leva fondamentale nella nostra economia sono i distretti. 5. Investire in educazione e formazione e nello sviluppo di talenti rappresenta il fattore critico distintivo per migliorare capacità di design, progettazione e industrializzazione, produzione e creazione di servizi. Anche in questo caso fare sistema con le università eccellenti è chiave. È inutile sottolineare come in questa partita anche le istituzioni dovranno fare la loro parte. Fra le azioni principali sicuramente quella di una riduzione del peso della burocrazia e una semplificazione del quadro giuridico-normativo. Sarà sempre più prioritario agire a livello di politiche industriali con ottica strategica puntando sui settori chiave e favorendo lo sviluppo di valore aggiunto a tutti i livelli. Per attrarre investimenti a rafforzare tutto il nostro parco infrastrutture, con la riduzione contestuale della nostra bolletta energetica. * Giuseppe Falco è laureato in Ingegneria Meccanica presso l Università di Pisa Sant Anna e ha conseguito un MBA presso il Politecnico di Milano. Prima di entrare nel Boston Consulting Group, ha lavorato in Booz Allen Hamilton per quattro anni e ancora prima in Simtech Parigi/Detroit. È entrato in BCG nel 2001 e sei anni dopo ne è divenuto partner & managing director. Core member della World Wide Practice Energy & Environment di BCG, Falco nella sua attività ha seguito numerosi progetti strategici e di implementazione su tematiche di integrazione, sviluppo, organizzazione di grandi aziende, principalmente nei settori Oil & Refinery, Gas & Power, EPC e Infrastrutture. Nel gennaio 2014 Giuseppe Falco ha assunto l incarico di amministratore delegato di BCG per Italia, Grecia e Turchia.

4 Significant changes have taken place in the geopolitical map of the 25 economies with the greatest export capacity. This emerges clearly from the first Manufacturing Cost-Competitiveness Index, just presented by The Boston Consulting Group (BCG). The global index measures the state of health of countries with a strong manufacturing industry. Its results are surprising: the last 10 years have seen profound changes in competitiveness among the planet s 25 largest economies, which together account for 90% of world GDP. Rapid changes in labor costs, productivity, exchange rates and energy costs have generated dramatic shifts in relative terms and in cost structures in the manufacturing industry. A closer look at relative competitiveness finds four main groups. The so-called countries under pressure are traditionally low-cost countries where costs are rising very fast. They include Brazil, Russia, China, Poland and the Czech Republic. Brazil in particular, which recently hosted the World Cup, has moved in just 10 years from an index of 97 (with the USA at 100) to 124, and now ranks among the worst players in terms of competitiveness. The country has lost competitiveness on all factors, its labor costs have doubled while productivity has risen by only 3%. In addition, the local currency, the real, has appreciated by 20% against the dollar, the cost of energy has risen by 300% and gas by 60%. China and Russia have also experienced a downturn in competitiveness, from approximately 86 to 96 for China and 99 for Russia, primarily as a result of the labor cost effect, which has risen by approximately 200% (net of productivity), and the cost of energy. Poland remains highly competitive compared with Europe, but its ranking has declined at global level. The Boston Consulting Group analysis then looks at the rising stars, notably the USA and Mexico, which have improved their competitiveness more than all the other economies, as a result of a limited rise in labor costs and a simultaneous significant reduction in energy costs (notably in America, due to shale gas) and the exchange rate. This has enabled them to make up important ground, with Mexico actually below the cost level of China, while the USA is now very close to this value (100 vs 96). A number of countries are holding steady : the Netherlands, India, the UK and Indonesia. It is particularly interesting to observe that Britain, whose industrial vocation is still considered by many to be a vestige of the past, leads the field among the European nations. The last group, countries that are losing ground, see Italy in the company of France, Belgium, Sweden and Switzerland. The result is a complete upheaval of the competitive dynamics in the manufacturing sector, with the emergence of significant economic and social phenomena, such as reshoring in the USA. Great attention has been given to the US deficit, but very little to the fact that America s exports have grown more than seven times faster than GDP since Today America is at its highest export level for the last 50 years. All this seems to be just the start of a much more profound transformation. According to our projections, the USA will capture from 70 to 115 billion dollars in annual exports from other exporter countries by the end of the decade. More than two thirds will come from the production shift from Europe and from Japan. This trend, combined with the reshoring phenomenon noted above, will create from million new jobs in manufacturing and allied industries. 7 European Union, 2014

5 8 Our analysis suggests that as early as next year, the USA will be one of the low-cost economies among the advanced nations, while costs in Germany, the UK and France will be from 8-18% higher (largely due to labor and energy costs). Obviously not all categories have the same importance in the export sector, where a group of seven industrial families will account for three quarters of the total: transport equipment; energy products; chemicals; computers and electronics; machinery; electric equipment and appliances, and components; metals. The phenomenon will unfold in different ways, and many observers predict that the USA could have a role as an export base and, at the same time, as a production base to limit imports and service domestic demand. However, many indications suggest that foreign companies too are considering the USA for their production operations. One example is China s Lenovo, which recently set up a hub in North Carolina to assemble laptops, notebooks and tablets. A similar phenomenon can also be seen in the automobile industry: Toshiba Industrial has transferred hybrid automobile production from Japan to America, while Toyota exports from Kentucky and Indiana to South Korea, and Honda from Indiana and Ohio. The German giant Siemens produces gas turbines in North Carolina for Arabia and Yamaha has transferred production of earth-moving equipment to the USA. Meanwhile, France s Michelin has chosen South Carolina as the location to produce the tires for this equipment. The survey also pays great attention to Italy. Although we are one of the world s ten largest exporters, we bring up the rear in terms of production cost competitiveness (20th out of 25), we pay a high price for energy (our bills are the most expensive in the world), and productivity has declined dramatically in the last ten years (with France, our results are the worst in Europe). At continental level, Britain, Spain, Austria, the Netherlands, Germany and even Sweden are more competitive than Italy. What about the future? The outlook for Italy is anything but promising. By 2018, our projections indicate a further worsening in competitiveness. Should we simply resign ourselves? No, of course not, and we believe business should act on five fronts. 1. The first is strong specialization in the manufacture of products with high added value in terms of technology or also of design (Made in Italy), where quality and the level of customer service are differentiating factors that justify premium pricing. Two areas of excellence, for example Made in Italy and industry parks. All these elements make low labor competitiveness less important since productivity (added value per production unit) is greater. We have to be aware that our economy lacks raw materials and has very high energy costs, so added value is the key to everything. 2. Next, constant investment in R&D to maintain a lead in terms of added value (products, technologies, services) and an advantage with respect to the LCCs (Low Cost Countries). Cooperation and close ties with universities and research centers to contain development costs and stay at the cutting edge are vital. 3. We also have to optimize production processes and methodologies, by introducing lean methodologies to cut waste, maximizing productivity and quality levels, and leveraging employee skills. Also, we should invest in new production technologies, exploit digitalization and automation, improve productivity and quality to counterbalance high labor costs. A key area for process improvement is energy efficiency: we need to invest heavily in technologies, machinery and measurement tools in order to minimize energy consumption. 4. Investment is necessary to strengthen supply chains and distribution networks, develop suppliers who can be assigned entire modules for integration in the product development process (co-design) in order to reduce time-to-market, and in the logistics-distribution process (just-in-time) in order to cut production costs. Industry parks are a fundamental lever in our economy. 5. Investment in education and training to develop talents is the critical distinguishing factor to improve our design, engineering, industrialization, production and service creation capabilities. Here too, building a system with excellent universities is essential. Of course, the institutions have to play their part, too. One of the main requirements is to reduce red tape and simplify laws and regulations. A growing priority will be a strategic approach to industrial policy, with a focus on key sectors and promotion of added value at all levels. Together with action to attract investments that strengthen our infrastructures, and simultaneously reduce our energy bill. * Giuseppe Falco graduated in Mechanical Engineering from the Sant Anna University in Pisa and holds an MBA from Milan Polytechnic. Before joining the Boston Consulting Group, he worked in Booz Allen Hamilton for four years, and previously in Simtech, in Paris/Detroit. He joined the BCG, in 2001 and became a Partner & Managing Director six year later. A core member of the BCG World Wide Practice Energy & Environment, Falco has been involved in many strategic and roll-out integration, development and organization projects for major corporations, mainly in the Oil & Refinery, Gas & Power, EPC and Infrastructure sectors. In January 2014, Giuseppe Falco became BCG CEO for Italy, Greece and Turkey.

6 Innovazione tecnologica, produzioni flessibili Technological Innovation, Flexible Production di Bruno Lamborghini* by Bruno Lamborghini* Rilanciare il manufacturing in Italia attraverso una rilocalizzazione intelligente nel contesto degli ecosistemi territoriali A manufacturing revival in Italy through intelligent re-localization in the context of local eco-systems Bruno Lamborghini manifatturiera è settore chiave per l Italia. L industria Nell ultimo decennio, la quota dell industria manifatturiera sul Prodotto interno lordo dell Italia è scesa dal 18% al 15%, con una riduzione dell occupazione del 10% (particolarmente pesante nel settore dell abbigliamento) e con la scomparsa di numerose imprese. Secondo l indagine UNCTAD/WTO, l Italia è prima come competitività per l abbigliamento e seconda per meccanica, metallurgia, occhialeria e gioielli, ma queste posizioni sono in pericolo. La diminuzione dell attività manifatturiera è un problema che preoccupa l intera Unione europea, tanto che la Commissione europea ha indicato come obiettivo di rinascimento industriale per l industria manifatturiera europea il recupero della quota del 20% del Pil entro il 2020 (tale quota è scesa nel decennio passato al 15%), come condizione per una effettiva ripresa dello sviluppo. Il rilancio dell attività manifatturiera quale motore dello sviluppo viene proposto anche negli Usa in cui l Amministrazione Obama punta a un insourcing o reshoring dell industria manifatturiera attraverso l innovazione e l impiego massiccio delle nuove tecnologie digitali, lo sviluppo di competenze produttive smart e di nuovi modelli organizzativi in rete rispetto alle forme precedenti di outsourcing e offshoring determinate dai differenziali di costo del lavoro. I processi di globalizzazione hanno determinato il trasferimento della produzione di molte imprese manifatturiere italiane nei Paesi emergenti a basso costo del lavoro, particolarmente in Cina, ma anche in Europa dell Est, con depauperamento del tessuto produttivo nazionale. Appare quindi necessario avviare un processo di recupero e rientro di attività che può avvenire attraverso azioni di politica economica che riducano i fattori penalizzanti l attività delle imprese italiane, come l elevata fiscalità e i gravami burocratici, ma soprattutto rilanciando nelle piccole e medie imprese italiane investimenti per l innovazione tecnologica nei processi produttivi e nei prodotti, e la formazione di risorse umane qualificate e nuove competenze. Come espresso recentemente dalla Commissione europea, le figure specializzate nel manufacturing di qualità sono in calo e occorre investire in formazione, training permanente, ricreando nei giovani attrattività per le attività di manufacturing, oggi meno apprezzate rispetto ai servizi web e alla finanza. Occorre anche recuperare nei processi formativi il valore della manualità accoppiandola con l intelligenza, per affrontare il giusto mix di bit e atomi. C è in specie in Italia un mismatch tra percorsi universitari e competenze professionali non sufficientemente in grado di offrire il giusto mix di competenze informatiche, di progettazione, di manufacturing e di marketing. Meglio si stanno orientando alcuni istituti tecnici, in particolare gli ITIS con la collaborazione di imprese, ma ancora in numero insufficiente. Proprio per cercare di affrontare in Italia il tema dell innovazione tecnologica, in specie l innovazione digitale, assieme alle nuove competenze per il rilancio dell industria manifatturiera, da parte di AICA, l associazione italiana dei professionisti informatici, è stata avviata una ricerca sulla introduzione in Italia delle nuove tecnologie di manufacturing, la digital fabrication, in particolare l additive manufacturing (AM), più noto come stampa 3D. Si tratta di un evoluzione dalla fabbrica sottrattiva tradizionale alla fabbrica additiva, cioè la produzione di componenti o prodotti finali per addizione di strati di materiale e non più per sottrazione, taglio o stampi, con deciso impatto sulla prototipazione rapida e sul ciclo 9

7 10 integrato progettazioneproduzione, ma soprattutto sulla flessibilità della produzione e sulla rapidità di adattamento ai cambiamenti del mercato. Obiettivo finale della ricerca è la preparazione delle competenze necessarie, attraverso le strutture formative di base (scuola e università), ma anche attraverso le esperienze bottom-up, i cosiddetti industrial animal spirits, la creatività dei Fab Lab (Fabrication Laboratories) e delle start-up digitali. Appare interessante analizzare il fenomeno dei makers e dei Fab Lab per stampa artigianale 3D, un fenomeno che sta crescendo anche in Italia. Si tratta di piccole iniziative per la formazione e la produzione di oggetti su base volontaristica e con approccio open-source. Il principio su cui si sviluppano i Fab Lab è la condivisione dei progetti, l uso di tecnologie open (open innovation) e l obiettivo di tali comunità è essenzialmente di fare cultura, formazione, collaborazione con le scuole utilizzando macchinari di costo basso, ancora con limitati rapporti con le imprese. Lo sviluppo dei Fab Lab appare interessante, anche se non è oggi pensabile che queste forme di micro-artigianato digitale possano determinare lo sviluppo di nuove imprese manifatturiere, analogamente a quanto la tumultuosa produzione di apps non può determinare lo sviluppo di imprese significative di software. Tuttavia, si ritiene che questo fenomeno vada attentamente analizzato per valutare i possibili effetti che potrà avere nella disseminazione e fertilizzazione di processi di innovazione nei centri servizi e nelle piccole e medie imprese italiane. Si riscontra infatti anche in Italia un notevole sviluppo di centri servizi AM di prototipazione 3D che utilizzano macchinari 3D di costo elevato per fornire sviluppi di fast prototyping alle imprese manifatturiere (per ora soprattutto medio-grandi) su design proprio o dell impresa. Le applicazioni nelle mediograndi o grandi imprese italiane appaiono ancora molto frammentate, mentre vi è diffusione limitata nelle Pmi a causa dei costi delle macchine e dei materiali, ma soprattutto per la carenza di competenze e per limitate risorse destinate all innovazione, in particolare di fronte alla grande crisi del mercato interno. Nelle imprese medio-grandi vi sono significative esperienze nell industria dell auto, degli elettrodomestici e della meccanica in genere. Ma si sta sviluppando anche produzione AM di piccola serie nell aerospazio, nell automazione industriale, ricambi, robotica, impiantistica, strumenti biomedicali, protesi dentistiche, ecc. oltre a produzioni vicine all artigianalità, per la possibilità di customizzazione per architettura e design creativo (gioielleria, arredamento, mobili, cucine, ecc.). I materiali utilizzati vanno da resine, filamenti, liquidi, polveri di metalli o legno a materiali molto costosi come il titanio e leghe refrattarie, vetro e ceramica. Si stanno estendendo anche a materiali biocellulari per il possibile sviluppo di organi. La digital fabrication AM, la stampa 3D, non sostituisce modelli produttivi di massa, ma aumenta straordinariamente le possibilità produttive con creatività artigianale e offre nuove opportunità a costi ridotti e con tempi rapidissimi. Innovazione di processo e innovazione di prodotto convergono e si auto-influenzano attraverso il nuovo ciclo progetto-produzione. Si attua una piena flessibilità e adattabilità alle richieste del mercato con minori investimenti rispetto a processi di robotizzazione tradizionale. Si tratta di un cambiamento radicale da affrontare con le competenze giuste per poter competere in un mercato mondiale in permanente cambiamento e per sfruttare i vantaggi di una rilocalizzazione intelligente nel contesto tipicamente italiano degli ecosistemi territoriali. Chris Anderson autore del libro sui Makers, esprime così i cambiamenti derivanti da queste tecnologie: L idea di fabbrica sta cambiando. Proprio come il web ha democratizzato l innovazione dei bit, una nuova classe di tecnologie per la prototipizzazione rapida [ ] sta democratizzando l innovazione degli atomi. * Bruno Lamborghini è presidente di AICA (Associazione per l Informatica e il Calcolo Automatico) e di Prometeia (previsioni economiche). Al suo attivo una lunga esperienza dirigenziale e di amministratore del Gruppo Olivetti e di docenza di Organizzazione Aziendale presso l Università Cattolica di Milano. Autore di libri di management, tra cui il recente L impresa web (ed. Angeli), svolge attività di formazione e consulenza per l innovazione tecnologica nelle imprese con particolare riferimento al settore ICT e all industria digitale.

8 The manufacturing industry is a key sector for Italy. Over the last ten years, its contribution to Italy s Gross National Product has fallen from 18% to 15%, with a 10% reduction in employment (most notably in the clothing sector) and the disappearance of scores of companies. According to the UNCTAD/WTO index, Italy is the most competitive player in the clothing industry, and ranks second in mechanics, metal products, eyewear and jewelry, but these positions are under threat. The decline in manufacturing activity is a problem that concerns the entire European Union. Indeed, the European Commission s industrial renaissance target for the European manufacturing industry of a recovery of the 20% share of GDP by 2020 (in the last ten years this share has fallen to 15%) is indicated as a condition for a real return to growth. A manufacturing recovery as a driver for growth is also sought in the USA. The Obama Administration is aiming for an insourcing or reshoring of the manufacturing industry through innovation and widespread use of the new digital technologies, development of smart production competences and new networked organizational models, as opposed to the previous outsourcing and offshoring policies determined by labor cost differentials. Globalization has led many Italian manufacturers to transfer their production operations to emerging countries with low labor costs, notably China, but also Eastern Europe, with a consequential impoverishment of domestic production. There is an evident need for a process to bring operations back to Italy. This can be achieved through economic policy measures to reduce the factors that penalize Italian business, such as high taxation and bureaucratic red tape; above all, it can be achieved through investment in technological innovation in production and products among Italy s small and medium businesses, and through training to develop qualified human resources and new skills. As the European Commission recently noted, the numbers of workers specialized in high-quality manufacturing are declining and there is a need to invest in education and permanent training, thereby making manufacturing operations more attractive to young people, who today tend to prefer web services and finance. Training processes also need to restore the value of manual expertise, coupled with intelligence, in order to establish the right mix of bits and atoms. In Italy in particular, there is a mismatch between university degree courses and professional competences, an inability to deliver the appropriate combination of IT, design, manufacturing and marketing skills. The issue is addressed better by some technical institutes, notably Italy s industrial technical institutes or ITIS, in collaboration with local industry. But it s still not enough. To examine the question of technological innovation, especially digital innovation, in Italy, together with the new competences for the revival of the manufacturing industry, AICA, the Italian association of IT professionals, has begun a study on the introduction in Italy of the new digital fabrication technologies, in particular additive manufacturing (AM), more commonly known as 3D printing. This evolution from the traditional subtractive factory to the additive factory, in other words, to production of components or final products through additions of layers of material, rather than through subtraction, cutting or molding, offers significant benefits for rapid prototyping and the integrated engineeringproduction cycle, and, above all, for production flexibility and speed of adaptation to market change. The ultimate goal of the study is the development of skills, through basic educational channels (school and university), and also through bottom-up experiences, the so-called industrial animal spirits, the creativity of Fab Labs (Fabrication Laboratories) and digital start-ups. It is interesting to analyze the phenomenon of makers and Fab Labs for small-scale 3D printing, a phenomenon that is also spreading in Italy. These are small initiatives for the creation and production of objects on a voluntary basis, with an open-source approach. The guiding principle for Fab Labs is project sharing, use of open technologies (open innovation), and their objective is essentially to create culture, education, cooperation with schools using low-cost machinery, still with limited relations with the corporate sector. The rise of Fab Labs is interesting, even though today these forms of digital micro-enterprises could not conceivably fuel the development of new manufacturing firms, just as the tumultuous production of apps cannot fuel the development of important software companies. Even so, the phenomenon should be carefully analyzed to assess its possible effects for the spread and fertilization of innovation in Italian services centers and small-medium businesses. Italy too is experiencing significant growth in 3D prototyping AM services centers, which use high-cost 3D 11

9 12 machinery to provide fast prototyping services for manufacturing firms (at the moment, mainly medium-large companies) from their own designs or the firm s design. Applications in Italy s medium-large or large companies are still very fragmented, and limited in small-medium businesses due to the cost of the machinery and materials, and above all to the lack of expertise and the limited resources devoted to innovation, especially in response to the severe domestic market crisis. In medium-large companies, there are important experiences in the automobile industry, in domestic electric appliances and in mechanics in general. Meanwhile, small-scale AM production is developing in aerospace, industrial automation, spare parts, robotics, plant engineering, biomedical instruments, dental prostheses, etc., as well as in fields closer to fine craftsmanship because of the scope for customizing architecture and creative design (jewelry, interior design, furniture, kitchens, etc.). The materials used range from resins, filaments, liquids, metal powders or wood to very expensive materials such as titanium and refractory alloys, glass and ceramics. Use is also being made of biocellular materials for possible organ development. AM digital fabrication, 3D printing, is not a substitute for mass production models, but it generates an extraordinary increase in production possibilities with creative craftsmanship and offers new opportunities at lower costs and very fast production times. Process innovation and product innovation converge and are mutually supportive through the new development-production cycle. Full flexibility and adaptability to market requirements is achieved with fewer investments compared with traditional robotization processes. This is a radical change, which needs to be handled with the right competences to enable Italy to compete on a constantly changing world market and make the most of the advantages of intelligent re-localization in the typically Italian context of local eco-systems. Chris Anderson, author of Makers, describes the changes driven by these technologies: The idea of factory is changing. Just as the web has democratized innovation in bits, a new class of technologies for rapid prototyping [ ] is democratizing innovation in atoms. * Bruno Lamborghini is President of the Italian IT & Computing Association (AICA) and of the Prometeia economic forecasting body. For many years, he was a Senior Manager in the Olivetti Group and a lecturer in Corporate Organization at the Catholic University in Milan. Author of a number of management books, including the recently published L impresa web (Angeli), he provides training and consultancy services in technological innovation for corporate clients, with a particular focus on the ICT sector and the digital industry.

10 Pensiero strategico, azione pratica Strategic Thinking, Practical Action di Federico Magno* by Federico Magno* Vincere la sfida competitiva è possibile. Ecco una ricetta in sei punti per farlo The competitive challenge can be won. A six-point recipe for success Federico Magno P erché si cade? Per imparare a rialzarsi (Bruce Wayne/Batman). Questa è secondo noi la ricetta, semplice a parole ma assolutamente non banale nella realtà, per rilanciare il manufacturing in Italia. Il sistema manifatturiero italiano non subisce al momento una crisi ciclica congiunturale, ma si trova nel mezzo di una profonda crisi strutturale. E fatica ad uscirne. L Italia nel passato ha basato la propria capacità competitiva sul basso costo del lavoro, sulla periodica svalutazione competitiva della sua moneta, la lira, e su una ricercata apparente flessibilità, ottenuta a scapito di una notevole dose di slack resources organizzative improduttive (o detto in modo meno complesso: in cambio di una montagna di inefficienza). Tutto questo però non è più possibile, poiché l entrata nell arena competitiva globale di Paesi a basso costo del lavoro come Cina e India rendono in Europa la competizione sul basso costo del lavoro impraticabile. Inoltre, l introduzione dell euro rende inutilizzabile la leva della svalutazione e, per finire, sono emersi modelli industriali (quali quello tedesco) che hanno dimostrato in pratica come sia possibile coniugare efficienza e flessibilità. Bisogna quindi in Italia mutuare al più presto modelli organizzativi e competitivi simili a quelli tedeschi per evitare il rischio della de-industrializzazione del sistema Paese. È necessario sempre più porre l accento sulla necessità di creare un vantaggio competitivo strategico che si basi però su una solida architettura processuale. Poiché vogliamo essere coerenti con la nostra cultura aziendale, vogliamo anche in questa sede e a questo punto della discussione, proporre una lista semplice e strutturata di cose da fare, una sorta di to do list che può essere immediatamente messa in pratica. 1. Non bisogna pensare solo all efficienza dei processi (di per sé fondamentale), ma anche alla loro efficacia. Detto in modo diverso, questo significa che è necessario ridurre i costi ed eliminare le inefficienze, ma anche che è imprescindibile pensare alla crescita, all aumento di fatturato, allo sviluppo di nuovi mercati e nuovi servizi. L esempio di Porsche AG con l introduzione dei modelli Cayenne e Panamera rendono plasticamente come questo binomio efficienza/efficacia debba essere strategicamente pianificato e realizzato. L esempio citato dimostra infatti come sia possibile coniugare una fortissima attenzione all efficacia processuale (in Progettazione, Produzione, Logistica, Qualità, Vendite) con la necessità European Union, 2014 European Union, 2014 strategica di ampliare il piano di gamma e aggredire nuovi mercati o parlare a nuovi segmenti di clientela. 2. È fondamentale innovare. Chi si ferma è spacciato. E soprattutto è importante considerare quotidianamente che l innovazione può e deve essere compiuta a livello di business model, a livello di processo e a livello di prodotto. Troppo spesso viene considerato uno solo di questi aspetti innovativi (tipicamente l ultimo), mentre è assolutamente fondamentale che vengano regolarmente presidiati tutti e tre. Soprattutto il primo, l innovazione di business model, risulta spesso colpevolmente poco considerato, ma rappresenta una fondamentale risorsa per creare un vantaggio competitivo difficilmente emulabile. 3. È fondamentale operare un costante benchmark con realtà locali ed estere di riferimento. Anche in settori diversi da quello in cui si opera. Estremizzando, talvolta l ispirazione può arrivare dal sistema logistico di Amazon, dalla strategia di Front-Loading del Digital Mock-Up per gli effetti speciali della Lucas Film in Hollywood, o addirittura del sistema produttivo e della gestione delle varianti-clienti di un ristorante di sushi. In ogni caso è importante per i decisori aziendali sfidare lo status quo raffrontando la propria azienda e i propri modelli operativi con altri modelli vincenti presenti nell ambiente esterno. 4. La separazione tra piano strategico e piano operativo è esiziale. Troppe aziende vivono in una pericolosa dissonanza tra il piano per il futuro e le reali attività quotidiane (influenzate dal continuo fire fighting ). 13

11 14 È quindi fondamentale per ogni organizzazione mantenere la coerenza tra la strategia di lungo periodo e la faticosa quotidiana conduzione di attività operative. In altre parole, lo strategy deployment, la sua strutturazione top-down per ogni funzione e il continuo controllo delle attività devono rappresentare una priorità per il top management. Questa attività di strategy deployment permette inoltre di eliminare un altro tipico problema delle aziende mediograndi italiane che è quello di condurre le attività a macchia di leopardo e quindi senza talvolta l assicurazione della necessaria coerenza logica e sinergia. 5. L istituzionalizzazione nel lungo periodo di ogni miglioramento e l introduzione di qualunque strategia non possono prescindere dall aspetto umano. Per questo è fondamentale coinvolgere i dipendenti dell organizzazione in un processo bottom-up di miglioramento continuo che deve ovviamente essere mantenuto coerente e complementare con l approccio top-down dello strategy deployment. Workshop di miglioramento continuo processuale, attività in team, sistemi di feedback e di learning organizzativo possono essere considerati come esempi di metodi organizzativi che vanno in questa direzione. Quello che inoltre è opportuno suggerire e sottolineare è la necessità di svolgere le attività di miglioramento, anche quelle legate allo strategy deployment, nella modalità pilota rollout in modo tale che venga sempre più ridotto il rischio di non accettazione delle soluzioni e che immediati miglioramenti possano essere ottenibili, comunicabili e spendibili per ottenere una sorta di effetto emulativo nell organizzazione. 6. Pensare nel lungo periodo, se si sono compresi i precedenti punti, diventa quindi necessario e naturale. Troppo spesso le aziende sono schiacciate nella quotidianità e non riescono a vedere e a pensare in un orizzonte almeno quinquennale. In questo modo però, nell impossibilità di definire investimenti, migliorare i processi, creare un vantaggio competitivo sostenibile, si creano le precondizioni per perdere la sfida competitiva. I top manager quindi devono vivere nel futuro, devono essere sempre sfidati a pensare in orizzonti pluriennali e a creare le precondizioni per un successo duraturo dell azienda. Quest ultimo punto, con le difficoltà organizzative e strutturali ad esso connesse, è chiaramente individuato come problematico nella ricerca condotta da Doxa con Porsche Consulting nel dicembre del La ricerca, condotta su un campione significativo di top manager italiani, ha dimostrato che la maggioranza delle aziende italiane, se anche utilizza lo strumento del Piano Industriale e del Piano Strategico, lo fa per un orizzonte temporale che raramente supera quello dei due anni. Questo però ovviamente significa che risulta molto difficile porre le basi per la costruzione di un vantaggio competitivo duraturo e che quindi nel lungo periodo la sostenibilità dell azienda viene compromessa. Per concludere con una nota positiva e ottimista, è interessante e rassicurante notare come sia sempre più possibile individuare nella letteratura aziendale e nel dibattito economico contributi, proprio come quello da noi proposto in questa sede, che non siano solo di diagnosi e di interpretazione della crisi economica, ma che offrano un contributo operativo ai lettori e ai decisori aziendali. Unendo pensiero strategico e immediata volontà implementativa la sfida competitiva verrà vinta. * Federico Magno è italiano per nascita ed entusiasmo ma tedesco per cultura aziendale e spirito organizzativo. Dopo un primo approccio con l automotive negli Usa, in uno stabilimento in joint venture tra Toyota e GM, quindici anni fa è approdato in Porsche a Stoccarda. Per due anni si è occupato di qualità e logistica nell ambito del progetto Cayenne, poi un periodo dedicato alla logistica della produzione dei componenti in carbonio per l esclusiva supercar Carrera GT. Negli anni successivi ha seguito numerosi progetti internazionali, molti dei quali non in ambito automotive. Dal 2006 Federico Magno è partner di Porsche Consulting GmbH e amministratore delegato della sede italiana di Porsche Consulting, la società di consulenza controllata al 100% da Porsche AG. do we fall down? To learn to Why pick ourselves up again. (Bruce Wayne/Batman). In our view, this apparently simple, but in practice anything but banal recipe, is the way to revive Italy s manufacturing industry. The Italian manufacturing system is not experiencing a cyclical downturn, it is in the throes of a profound structural crisis. And it is struggling to find a way out. In the past, Italy built its competitiveness on low labor costs, on the periodic devaluation of its currency, the lira, and on an apparent flexibility, achieved at the cost of a large dose of unproductive slack resources (or, put more simply: in exchange for a mountain of inefficiency). However, none of this is possible now, for a number of reasons. The entry into the global competitive arena of countries with low labor costs like China and India means that competition on labor costs is no longer viable in Europe. Furthermore, the introduction of the euro has made the devaluation lever unworkable; last, a number of industrial models have emerged (like the German model) that demonstrate how efficiency and flexibility can be combined in practice. So Italy needs to follow the example of organizational and competitive models like Germany s as quickly as possible, to avoid the risk of de-industrializing the country-system. Increasing emphasis has to be given to the need to create a strategic competitive advantage, but founded on a solid process-based architecture. In order to be consistent with our corporate culture, in this article and at this point of the debate, we want to propose a simple comprehensive to do list, which can be put into practice immediately. 1. Pay attention not only to process efficiency (which is essential) but also to process effectiveness. In other words, this means that costs have to be cut and inefficiency eliminated, but also that a focus on growth, boosting revenues, developing new markets and

12 new services is vital. Porsche AG s introduction of the Cayenne and Panamera models is a practical instance of how the efficiency/effectiveness binomial can be strategically planned and achieved. This example demonstrates that close attention to process effectiveness (in Engineering, Production, Logistics, Quality, Sales) can be combined with the strategic need to expand the product range and target new markets or address new customer segments. 2. Innovation is fundamentally important. If you hesitate, you re lost. Above all, it is important to remember on a daily basis that innovation can and must be achieved at business model level, at process level and at product level. Too often, only one of these aspects of innovation is considered (typically product innovation), whereas action is essential on all three fronts. Business model innovation in particular is often given little consideration, yet it is a fundamental resource to generate a competitive advantage that is difficult to emulate. 3. It is essential to benchmark constantly with key local and international players. Also with players in other businesses. Taking things to extremes, inspiration might come from Amazon s logistics system, from the digital mock-up front-loading strategy for special effects employed by Lucas Film in Hollywood, or even from the production system and from client-variation management of a sushi restaurant. What is important is that corporate decision-makers challenge the status quo by strengthening their companies and their operating models with other successful models in the business world. 4. Separating strategy and operations is disastrous. Too many companies operate in a dangerous dissonance between the plan for the future and actual daily operations (influenced by constant fire fighting ). For any organization, consistency between long-term strategy and the tough task of daily operations management is fundamental. In other words, strategy deployment, its top-down structuring for each function, and continuous operations control must be a priority for top management. Strategy deployment is also useful to eliminate another typical problem for Italy s medium-large companies, operating on a fragmented basis, with the result that the necessary logical and synergic coherence is sometimes lacking. 5. The long-term institutionalization of every improvement and the introduction of any strategy must always consider the human element. This means involving employees in a bottom-up process of continuous improvement, which obviously must be consistent with and complementary to the top-down approach of strategy deployment. Continuous process improvement workshops, team working, feedback and organizational learning systems are organizational methods that foster engagement. Another important point is the need to conduct improvement operations, including strategy deployment activities, in pilot rollout mode. In this way, the risk of non-acceptance of solutions is gradually reduced and immediate improvements can be obtained, communicated and used to generate a sort of emulative effect in the organization. 6. Think for the long term: if the previous points are taken on board, this becomes a natural necessity. Too often, companies are burdened by their daily concerns and unable to look and think ahead for at least a five-year period. Yet since this makes it impossible to plan investments, improve processes and create a sustainable competitive advantage, they create the conditions for losing the competitive challenge. Top managers have to live in the future, their constant challenge must be to take a long view and create the conditions for lasting business success. This point, with the related organizational and structural difficulties, clearly emerges as a problem in the survey conducted by DOXA with Porsche Consulting in December 2013, among a significant sample of Italian top managers. The survey showed that even if the majority of Italian companies use the Industrial Plan and Business Plan tool, they rarely implement them over a horizon of more than two years. Obviously, this makes it very difficult to lay the foundation for building a lasting competitive advantage and so in the long term the company s sustainability is compromised. To conclude on a positive and optimistic note, it is interesting and reassuring to observe the growing frequency in corporate literature and in economic debate of contributions of the sort proposed here, which are not just diagnoses and interpretations of the economic crisis, but constructive contributions for readers and corporate decision makers. By combining strategic thinking and a determination to act immediately, the competitive challenge will be won. * Federico Magno is Italian by birth and enthusiasm, but German in terms of corporate culture and organizational spirit. After an initial period in the automotive sector in the USA, in a joint venture set up by Toyota and GM, fifteen years ago he joined Porsche in Stuttgart. For two years, he worked in quality and logistics for the Cayenne project, and subsequently in production logistics for carbon components for the exclusive Carrera GT supercar. Since then, he has followed international projects, and not only in the automotive sector. Since 2006, Federico Magno has been a partner of Porsche Consulting GmbH and CEO of the Italian arm of Porsche Consulting, the Porsche AG wholly owned consultancy firm. 15

13 Qualità e competitività. L esperienza americana Quality And Competitiveness. The American Experience Intervista a Gary Pisano* Interview with Gary Pisano* Le attività produttive che vale la pena di riportare nel proprio Paese sono solo quelle più sofisticate e ad alto valore aggiunto Only the most sophisticated production activities with high added value are worth bringing back 16 Gary Pisano Professor Pisano, lei ha sostenuto per anni la necessità di ripensare le politiche relative alla produzione industriale negli Stati Uniti facendo presente il rischio di eccessivo impoverimento della capacità manifatturiera del Paese, in presenza di strategie di outsourcing e offshoring delle imprese, motivate dalla ricerca di vantaggi competitivi in altri Paesi, specie se emergenti. Le sembra di poter dire che il messaggio è stato recepito? Non c è dubbio che le imprese multinazionali che hanno sviluppato in modo massiccio le strategie di outsourcing nei Paesi a basso costo del lavoro, con l intento di produrre in modo più competitivo ed essere più vicini ai mercati di sbocco per i loro prodotti, hanno negli ultimi anni rivisto almeno in parte le proprie scelte. Questo non è dipeso però da un disegno generale, da una politica industriale che abbia in qualche modo indicato la strada, come qualche volta si dice e si legge. Negli Stati Uniti non esiste una politica industriale nel senso europeo, l Amministrazione si cura essenzialmente di predisporre le condizioni perché il mercato funzioni, o affinché ci sia una manodopera ben qualificata, ma poi sono le imprese che prendono le decisioni, in modo del tutto autonomo. Dal punto di vista politico, poi, non c è neppure una visione condivisa. Per esempio, l opportunità di riportare in America alcune produzioni è vista di buon occhio dai democratici, che sono più sensibili al tema dell occupazione e alle richieste dei sindacati di riportare indietro attività che consentano la creazione di posti di lavoro. Invece, i repubblicani vedono con sospetto tutto ciò che in qualche modo compromette le libere scelte degli imprenditori. Ma cosa sta accadendo realmente? L opinione più diffusa in Europa, Italia compresa, è che le aziende americane siano già fortemente impegnate a riportare indietro una significativa porzione di capacità produttiva precedentemente esternalizzata e che l obiettivo sia quello di ricreare una forte presenza nel manufacturing dopo decenni che, in breve, possiamo definire di globalizzazione. Non è così? È così, ma solo in parte. Ciò che sta realmente accadendo è che alcune delle ragioni che avevano spinto a realizzare le scelte di investimento all estero si sono modificate. Per esempio, in alcuni Paesi emergenti come la Cina il costo del lavoro è oggi meno favorevole di un tempo, e in molti altri Paesi i livelli di qualità dei prodotti non rispecchiano le aspettative di clienti sofisticati come quelli americani o, se è per questo, anche italiani. Ma non si può generalizzare, il ritorno del manufacturing resta un fenomeno ancora relativamente limitato e con motivazioni specifiche. È, per esempio, chiaro a tutte le aziende americane che non ha molto senso riportare negli Stati Uniti produzioni che è meglio fare altrove. Prendiamo il caso della produzione degli smartphone, che richiedono una tecnologia ormai consolidata e molta manodopera. Non serve riportarla qui, perché non ha caratteri rilevanti sotto il profilo tecnologico e non crea un elevato valore aggiunto. Un Paese evoluto come gli Stati Uniti, ma in parte questo si applica anche in Italia, farebbe meglio a far crescere produzioni sofisticate e di alta tecnologia, che richiedono forti componenti di R&S, una manodopera di alto livello e un management adeguato. Ed è questo che in prevalenza sta succedendo.

14 In termini generali, a livello Paese, esiste secondo lei una proporzione da ricercare tra il peso della capacità produttiva industriale e il peso degli altri settori? Per esempio, in Italia oggi l industria pesa sul Pil per circa il 16%, contro il 20% di pochi anni fa, e questo è considerato un rischio molto grave per la capacità competitiva futura del Paese, non solo in campo industriale, ma per l intera economia, servizi inclusi. No, non credo che si possa definire una proporzione ideale, anche se è chiaro che se un Paese vede calare il livello della produzione industriale troppo in fretta, e sotto determinate soglie, farebbe bene a chiarirsi le idee sia sui motivi per cui questo accade, sia sugli obiettivi che ci si vuole porre. Nel caso dell Italia non credo sia importante se, per esempio, la produzione di mobili standard cala in misura significativa, ma mi preoccuperei di una discesa relativa dei mobili con una forte componente di design e un elevato valore aggiunto. Nel primo caso, sembra abbastanza difficile poter reggere la concorrenza di Paesi produttori di mobili con una componente di basso costo del lavoro; nel secondo caso, questa componente pesa meno, o per niente, perché il vantaggio comparato viene dalla progettazione e dal design, e questo è difficilmente riproducibile. Per cui quello che deve essere chiaro è il mix di attività che si vuole avere e su quali fattori competitivi si vuole fare leva. Nel caso dell Italia, settori molto forti sono quelli del lusso, delle macchine utensili sofisticate, certe produzioni del settore aerospaziale. Credo che sia su settori come questi che l Italia debba cercare il suo vantaggio competitivo. Lei ha scritto più volte che le decisioni di portare la produzione all estero basate essenzialmente su valutazioni di vantaggio finanziario possono essere molto dannose perché non tengono conto dell impatto di tali decisioni sulla capacità delle imprese di innovare, nei prodotti e nei processi. Dato questo trend di ritorno quantomeno parziale della produzione manifatturiera negli Stati Uniti, ritiene che questo punto di vista possa essere effettivamente confermato? È presto per dirlo, perché occorre ancora raccogliere le informazioni sul rientro delle attività produttive negli Stati Uniti. Un punto che occorre sottolineare è che se questo rientro concerne prevalentemente attività industriali relativamente semplici, allora l impatto sulla ricerca e l innovazione è inevitabilmente piuttosto basso. Ma c è una questione più rilevante che va considerata. Ho esaminato recentemente il caso di un azienda americana di abbigliamento che negli anni scorsi aveva effettuato un outsourcing del 100% verso la Cina. Oggi alcuni clienti importanti le chiedono di riportare l attività negli Usa, essenzialmente per motivi di marketing, ossia per poter proporre i prodotti non più con l etichetta Made in China, che suona di bassa qualità, ma Made in Usa, che oggi ha un appeal crescente. Ma i manager dell azienda non ritengono di poterlo fare, perché tutto ciò di cui hanno bisogno per produrre è facilmente reperibile in Cina macchinari, personale, risorse naturali e via dicendo mentre non lo è più in America, dove certe produzioni sono scomparse da molti anni. Questo è il punto centrale del problema, e non ha soluzioni facili, perché una volta che certe capacità sono scomparse da un Paese, è molto difficile ricostituirle. E questo è un tema su cui anche le aziende italiane farebbero bene a riflettere con attenzione. In che modo allora ci si deve porre di fronte a un investimento all estero che punti a costruire una forte capacità produttiva? In altri termini, sulla base di quanto lei ha detto finora, come soppesare rischi e opportunità di operazioni che sono comunque sempre molto complesse e costose? Siamo, in effetti, in una fase diversa di internazionalizzazione rispetto a quella originaria in cui si è andati alla ricerca di vantaggi competitivi fondamentalmente costituiti da basso costo del lavoro e delle risorse e migliore vicinanza ai mercati. Oggi, per esempio, le imprese italiane devono attentamente considerare la convenienza di andare a produrre in Paesi come la Romania, la Turchia o Cipro perché i vantaggi che questi Paesi offrono possono essere più apparenti che reali. Le aziende italiane che vendono prodotti di alta qualità con un design sofisticato possono avere maggiore convenienza a restare in Italia, o a riportare indietro queste produzioni. Specie guardando e valutando le prospettive a lungo termine, come è bene fare per ogni investimento che richiede anni per essere assorbito. Quindi, la vera risposta alla domanda relativa ai rischi e alle opportunità è che occorre valutare molto bene i rischi, che possono essere superiori alle attese, perché la qualità o le capacità tecniche in altri Paesi possono essere insufficienti rispetto agli obiettivi, per cui anche le valutazioni di opportunità ne risentono. Alla fine è una questione di buona gestione di un azienda, di un management capace di ricercare tutte le soluzioni di efficienza per innalzare la capacità di competere, e di soppesare bene costi e benefici prima di prendere decisioni impegnative di internazionalizzazione. * Gary Pisano è professore di Business Administration alla Harvard Business School. Nei suoi 22 anni con la scuola, ha insegnato ai corsi MBA ed executive su temi di tecnologia, strategia, strategie competitive, sviluppo di prodotti e gestione dell innovazione. È autore di oltre 70 articoli e case study. Il suo articolo Restoring American Competitiveness (con Willy Shih) ha vinto il premio McKinsey su Harvard Business Review nel Ha pubblicato sei libri su argomenti di gestione, strategia e tecnologia, l ultimo dei quali è Producing Prosperity: Why America Needs a Manufacturing Renaissance (Harvard Business Review Press, 2012). 17

15 18 Professor Pisano, for years you have been calling for a re-think of industrial production policy in the USA, pointing out the danger of excessive impoverishment of domestic manufacturing capacity in the presence of corporate outsourcing and offshoring strategies, motivated by a pursuit of competitive advantage in other countries, especially the emerging nations. Do you think your message has hit home? Without doubt, multinationals that have implemented wide-scale outsourcing strategies in countries with low labor costs, in order to produce more competitively and be closer to the markets where they sell their goods, have been reviewing their decisions, at least in part, over the last few years. However, this is not the result of a great general scheme, of an industrial policy that has somehow shown the way, as some commentators have said. The USA does not have an industrial policy in the European sense; the Administration focuses essentially on ensuring the right conditions for the market to work, or the availability of skilled manpower, but manufacturing companies make their own decisions, completely independently. Moreover, politically speaking, there is no shared vision. For instance, the idea of bringing some production operations back to America is favored by the democrats, who are more sensitive to employment issues and unions requests to bring back activities that create jobs. Whereas the republicans are suspicious of anything that could limit entrepreneurial freedom of choice. What s really going on? The common view in Europe, and in Italy, is that US business is already actively engaged on bringing back a significant portion of previously outsourced production capacity, in order to rebuild a strong base in manufacturing after decades of, well, for brevity s sake let s call it globalization. So that s not right? It s only part of the picture. What s really happening is that some of the reasons for decisions to invest offshore have changed. For example, in some emerging countries like China, labor costs are less favorable today than they used to be, and in many other countries product quality levels do not match the expectations of sophisticated customers like the Americans or, as far as this is concerned, the Italians. But you can t generalize, a manufacturing revival is still a relatively limited phenomenon and stems from specific motives. For instance, it is clear to all American companies that there is not much point in bringing back production operations that can be better handled elsewhere. Take smartphone production, which uses a well-consolidated technology and has a high labor content. It doesn t make sense to bring it back here, because it is not cutting-edge technology and it doesn t create high added value. An advanced country like the States, and this also applies to Italy to a certain degree, needs to promote sophisticated hi-tech manufacturing requiring significant R&D content, highly skilled manpower and adequate management. And generally speaking, this is what is happening. In general terms, at country level, do you think some sort of balance needs to be found between the weight of industrial production capacity and the weight of other sectors? In Italy for example, manufacturing currently accounts for about 16% of GDP, compared with 20% a few years ago, and this is considered a very serious risk for the country s future competitiveness, not just for manufacturing, but for the entire economy, including services. No, I don t think you can establish an ideal proportion, although if a country s industrial production levels drop very fast below certain thresholds, obviously thought must be given to the reasons for this and to the goals the country wants to achieve. In Italy, I don t think it matters if, for example, production of standard furniture declines significantly, but I would be concerned by a drop in production of furniture with a high design content and high added value. In the first case, it is difficult to compete with countries that produce furniture with a low labor cost component; in the second case, the labor cost component is less significant, or non-existent, since competitive advantage comes from the furniture s design and engineering, and this cannot easily be reproduced. We need to be clear about the mix of operations we want to have, and the competitive levers we want to deploy. Sectors that are very strong in Italy are luxury goods, advanced machine tools, certain aerospace production activities. I think Italy should pursue competitive advantage in sectors like these. In several articles, you say that decisions to relocate production offshore based essentially on financial benefit valuations can have very damaging effects, since they ignore the impact of these decisions on companies ability to innovate products and processes. In view of the trend to bring back at least a part of manufacturing to the

16 19 USA, can you confirm this opinion? It s too early to say, because we still need to collect information about the return of production operations to the USA. A point to emphasize is that if this return consists mainly of relatively simple industrial operations, then the impact on research and innovation will inevitably be low. But there s a more important question to consider. I recently looked at the case of an American clothing manufacturer, which had outsourced 100% of its production to China. Today, several large customers are asking it to bring production back to the USA, essentially for marketing considerations, so that the clothes they offer no longer have a Made in China label, which suggests low quality, but a Made in USA label, which has growing appeal these days. However, the company managers don t think it will be possible, because everything they need for production is easy to procure in China machinery, personnel, natural resources and so on but no longer available in America, where certain types of manufacturing activity disappeared years ago. This is the crux of the question, and there are no easy solutions, because once a country loses certain capabilities, it is very difficult to re-create them. This is a question Italian companies would be well advised to think about carefully. So how should we respond to an offshore investment that aims to build strong production capacity? In other words, based on what you ve said so far, how do you weigh up risks and opportunities of operations that in any case are always highly complex and costly? We are at a different stage of internationalization today compared with the original goal, which was to achieve competitive advantage consisting fundamentally of low labor and resource costs and closer proximity to markets. Now, for example, Italian companies need to look carefully at the cost-effectiveness of locating production in countries like Romania, Turkey or Cyprus, because the advantages these countries offer may be more apparent than real. Italian businesses that sell high-quality products with sophisticated design may find it pays to stay in Italy, or to bring back this type of production. Especially when they consider their long-term prospects, which you should do for any investment that takes years to amortize. So, the real answer to the question on risks and opportunities is that you have to assess risks very carefully: they may be greater than expected, since quality or technical capabilities in other countries may not be sufficient to achieve objectives, and consequently this also affects assessment of opportunity. Ultimately, it s a question of good business management, of managers capable of identifying all the efficiency solutions to raise competitiveness, and of weighing up costs and benefits before taking big offshoring decisions. * Gary Pisano is a Professor of Business Administration at the Harvard Business School. In his 22 years at Harvard, he has taught on technology, strategy, competitive strategies, product development and innovation management for MBA and executive courses. He is the author of more than 70 articles and case studies. His article Restoring American Competitiveness (co-authored with Willy Shih) won the McKinsey Award for best article published in the Harvard Business Review in He has published six books on management, strategy and technology, most recently Producing Prosperity: Why America Needs a Manufacturing Renaissance (Harvard Business Review Press, 2012).

17 Per una nuova politica industriale For A New Industrial Policy Intervista di Enrico Sassoon al presidente di Confindustria Giorgio Squinzi* Interview with Confindustria President Giorgio Squinzi by Enrico Sassoon* Le imprese sono pronte a investire e a fare fronte alla crescente concorrenza internazionale. Ma occorre predisporre alcune condizioni di base. Ecco le ricette del presidente di Confindustria Businesses are ready to invest and to meet growing international competition. However, a number of basic conditions need to be put in place. The President of Confindustria, the Italian employers association, sets out his proposals 20 Giorgio Squinzi Inumeri da brivido denunciati da Confindustria nei mesi scorsi parlano di 120mila aziende scomparse negli ultimi 12 anni con una perdita di oltre un milione di posti di lavoro. Ci si chiede se sia possibile, nel contesto attuale di crisi della domanda in Italia, invertire il trend. Quali sono le priorità? La priorità è una: far ripartire gli investimenti, pubblici e privati, da cui a cascata rigenerare quella crescita dei consumi che in Italia sono diminuiti dell 8% rispetto ai livelli pre-crisi, tornando ai valori del Sedici anni perduti! Anche per effetto delle imponenti manovre di finanza pubblica adottate a partire dal 2008 e che hanno agito soprattutto sul 2012 e È bene avere a mente, però, per non cadere in errate valutazioni e ancora di più in sbagliate ricette, che i livelli di spesa passati non erano sostenibili, perché finanziati con un crescente indebitamento nei confronti del resto del mondo: il nostro debito estero, infatti, è salito vertiginosamente, fino a sfiorare il 30% del Pil. Questo debito lo abbiamo accumulato con ampi deficit della bilancia corrente: il che vuol dire che consumavamo più di quello che producevamo, dando lavoro e produzione agli altri Paesi. Ora la bilancia corrente è tornata in attivo. Non possiamo tornare a usare la ricetta del consumo finanziato a debito. Ecco perché le priorità sono la competitività e gli investimenti. Senza imprese che investono in Italia, non c è futuro per la produzione, perché non si possono cogliere le nuove opportunità di crescita offerte dai mercati e si lascia campo aperto ai competitor internazionali, sempre più asiatici. Senza imprese che producono e scommettono sul futuro non ci può essere neanche una ripresa dell occupazione. Cosa ci si aspetta dal Governo? Riforme di alleggerimento del carico fiscale e della burocrazia possono aiutare, ma la questione di fondo resta la debolezza della ripresa internazionale e interna. Dal Governo ci aspettiamo che gli impegni presi in questi mesi siano mantenuti. Mi riferisco a tutti gli impegni, anche a quelli apparentemente meno prossimi all economia, come la riforma della legge elettorale e del Senato. È importante che le promesse diventino realtà per far percepire a famiglie e imprese che il Paese può cambiare davvero e si può avere quindi maggiore fiducia nel futuro. È altrettanto fondamentale far capire che la barra del timone che guida questo Paese è ben salda e punta allo sviluppo e di questo devono essere consapevoli tanto gli italiani, cittadini, consumatori e imprenditori, quanto gli investitori stranieri. Questo sforzo per far ripartire la crescita cade nel momento in cui l Italia è chiamata a guidare il semestre europeo, offrendo al Governo una possibilità, che diventa però un imperativo, di fare del nostro Paese il promotore del cambiamento in seno alle istituzioni comunitarie. Non dimentichiamoci, infatti, che senza una riforma strutturale anche della politica economica europea, che sposti il suo baricentro dall austerità alla crescita, i margini di manovra per una strategia di rilancio rimangono insufficienti, non solo per l Italia. Un fronte sul quale sono fiducioso: anche la Germania inizia a dare segnali importanti di maggiore disponibilità. Un po tutti i settori tipici della manifattura italiana hanno perso terreno negli ultimi anni. Ha resistito bene l alimentare, ma soffrono la meccanica, l abbigliamento, l arredamento. E siamo del tutto assenti dall alta tecnologia. Occorre ripensare il modello di industrializzazione dell Italia? Una riflessione sulle carenze strutturali, oltre che sui tanti punti di forza e sulle eccellenze del nostro sistema produttivo è senz altro necessaria. Confindustria continua a sottolineare l importanza per le imprese di puntare di più sull internazionalizzazione, sulla ricerca e sull innovazione, in ogni ambito aziendale, sulla patrimonializzazione. Non parlerei di ripensare il modello di industrializzazione quanto, più in generale, di ripensare il modello di sviluppo per l Italia. Non è immaginabile rilanciare l industria italiana senza la volontà anche dello Stato di abbracciare il cambiamento, favorendo finalmente quella cultura pro-imprenditoriale che è sempre mancata nel Paese. Questo vale anche per la sfida posta dalle nuove tecnologie informatiche, su cui l Italia è in forte ritardo. Senza una volontà chiara della politica di investire sull innovazione, con iniziative promosse dallo Stato che aggreghino intorno a nuovi progetti industriali imprese e centri di ricerca, come accade in tutto il mondo, è inimmaginabile pensare che il nostro Paese possa conquistare posizioni di rilievo in settori strategici come le nanotecnologie, le stampe tridimensionali o la robotica. E non mi riferisco a singoli casi di punta, che continuano a esistere, ma a una diffusione di massa. Serve, in altri termini, una nuova politica industriale, esattamente al pari di quanto fanno in tutti gli altri Paesi avanzati, dagli Stati Uniti alla Germania. Un altro capitolo complesso è quello dei rapporti di lavoro. Nonostante le riforme e una dichiarata maggiore disponibilità sindacale, ci sono ancora troppe rigidità e il costo del lavoro ne risente. Dove occorre iniziare ad agire? Non possiamo continuare ad avere una dinamica delle retribuzioni del tutto avulsa dagli andamenti dell economia e, soprattutto, dalle dinamiche della produttività. Dobbiamo ricercare questo legame virtuoso tra retribuzioni e produttività anche al di fuori della contrattazione. Credo, infatti, sia giunto il momento di riconoscere un beneficio contributivo e fiscale al salario

18 di produttività anche se questo non origina dalla negoziazione, ma è frutto di una scelta unilaterale del datore di lavoro. Confindustria ha investito molto in questi anni nel rapporto con i sindacati, non possiamo però ridurre tutte le relazioni dentro i luoghi di lavoro alla sola dimensione della contrattazione. Ciò detto, siamo fermamente intenzionati a completare quella riforma della contrattazione che abbiamo avviato con gli ultimi accordi interconfederali. Abbiamo fissato regole importanti in tema di rappresentanza che vanno applicate coerentemente. L obiettivo rimane quello avviato con gli accordi interconfederali di questi ultimi anni, ossia, avere un quadro di regole certe ed esigibili che permetta di proseguire quel processo di decentramento della contrattazione collettiva che si riscontra in tutta Europa e che in Italia è governato dal contratto collettivo nazionale di categoria. In questo senso, ci muoveremo nel confronto con i sindacati perché anche su questi temi c è tra gli imprenditori la percezione netta e diffusa della necessità di avviare un cambiamento deciso di rotta. Siamo in una fase in cui è forte la speranza che la politica faccia finalmente sbocciare il cambiamento. La crisi di questi anni ha mostrato tutte le inadeguatezze di un modello politico, sindacale, istituzionale incapace di cogliere e di interpretare i bisogni reali della società. 21 Da tempo si fa appello ai Governi del Paese perché riducano il cuneo fiscale per consentire salari reali più alti senza gravare sulle aziende. È ancora un obiettivo realistico? Sì. È un obiettivo più che mai necessario e non solo per la ragione cui lei si riferisce. L Italia cresce poco da troppi anni e tra

19 22 le cause vi è anche un eccessiva pressione fiscale sui redditi da lavoro e di impresa. L analisi economica e l evidenza empirica ci dicono che i tassi di crescita sono più alti quando la tassazione sui redditi di impresa e di lavoro è bassa, che il tasso di imprenditorialità è influenzato dal livello e dal grado di progressività della tassazione sui redditi, che la spesa per investimenti è influenzata dagli incentivi fiscali. In Italia il cuneo tra retribuzione netta e costo del lavoro rimane uno dei più alti in Europa (all incirca 190 di costo a fronte di 100 di retribuzione netta). Negli ultimi anni sono stati effettuati vari interventi di riduzione, in particolare della componente Irap del cuneo, ma non basta. Nel Progetto Confindustria per l Italia abbiamo proposto di tagliare di 11 punti le aliquote contributive che gravano sulle imprese manifatturiere e di eliminare completamente il costo del lavoro dalla base imponibile Irap. È un obiettivo ambizioso, ma non irrealistico, il cui raggiungimento richiede una reale volontà di razionalizzare e ridurre la spesa pubblica corrente. Negli ultimi anni si sono ridotti gli investimenti produttivi, si dice al livello del Certo, la competitività delle imprese e del Paese non può ripartire senza investimenti. Ma come chiedere a un azienda di investire di fronte a mercati stagnanti? Sono convinto che le imprese siano pronte a investire in Italia. Certo, l economia è ancora oggi in una situazione di sostanziale stagnazione, e questo può indurre alla cautela. Ma non dimentichiamoci che è nella natura stessa delle imprese cercare di anticipare il cambiamento invece di rincorrerlo con il rischio di restarne spiazzati. Quello che le imprese si aspettano lo sottolineavo prima è avere la certezza della direzione intrapresa dalle istituzioni nella guida del Paese, perché da essa dipendono le aspettative di crescita di domani e quindi le decisioni di oggi. Se la politica mostrerà nei fatti di voler rinnovare l Italia, vedrà che le imprese, e Confindustria con loro, saranno in prima fila. È una responsabilità cui non ci siamo mai sottratti. Negli ultimi sei mesi c è un ritorno di interesse sull Italia degli investitori esteri, dopo anni di declino. Un fuoco di paglia, per cogliere opportunisticamente le occasioni migliori, o un trend che ha qualche possibilità di vedersi consolidato? Il sistema produttivo italiano ha molto da offrire ai potenziali investitori esteri in termini di qualità dei prodotti e capacità imprenditoriali. Se finora l interesse è stato relativamente scarso, non credo che dipenda dalla mancanza di buone occasioni di investimento, quanto piuttosto da un clima di sfiducia nei confronti delle istituzioni pubbliche che non hanno saputo offrire una visione di futuro al Paese. La sensazione, però, è che finalmente oggi qualcosa stia cambiando, con la parola crescita che è tornata al centro dell agenda politica dell Italia e dell Europa. Se questa è la strada intrapresa, sono certo che anche il trend degli investimenti esteri ne risentirà positivamente. Soprattutto se l Italia si impegnerà a sciogliere i nodi della complicazione burocratica e dell incertezza giuridica, che sono i due rischi più temuti dagli investitori esteri. Unioncamere ha dichiarato di recente di voler aiutare i giovani a creare 30mila nuove imprese nei prossimi due anni. Uno slogan? Una vera possibilità? Che ne pensa Confindustria? Ho letto con interesse della proposta di Unioncamere, che si pone l obiettivo di favorire l imprenditorialità giovanile offrendo gratuitamente assistenza e supporto amministrativo nella fase di start-up. È una misura assolutamente condivisibile perché affronta due nodi cruciali per far ripartire la crescita: puntare sui giovani, ossia sul futuro dell Italia, e sulle iniziative imprenditoriali nuove, che sono il motore dello sviluppo. Perché abbia successo, però, non deve rimanere un iniziativa isolata ma, al contrario, inserirsi in un quadro complessivo di snellimento burocratico e di alleggerimento fiscale sulle imprese. Senza dimenticare, poi, che la condizione imprescindibile perché tutto questo possa avere successo è la disponibilità di risorse finanziarie per avviare un attività d impresa: serve quindi un sistema bancario che torni finalmente a svolgere la sua funzione economica e sociale, ossia erogare credito all economia reale, e sviluppare su vasta scala, anche in Italia, mercati dei capitali specializzati nelle start-up. Ormai nella Ue i tassi d interesse della Bce sono praticamente a zero ma, come è noto, se non ha sete il cavallo non beve. In altri termini, in un periodo di deflazione, consumi e investimenti fanno fatica a riprendere anche se il denaro costa poco. A suo parere la Bce può fare qualcosa di più per spingere la ripresa in Europa? La Bce guidata da Mario Draghi ha fatto moltissimo per salvare l Eurozona dal rischio concreto di dissoluzione causato dalla crisi dei debiti sovrani. Oggi c è bisogno di rilanciare gli investimenti e i consumi, ma i dati relativi all Italia, ad esempio, mostrano che l offerta di credito bancario, sia per gli uni che per gli altri, non accenna a ripartire nonostante ci siano segnali incoraggianti di una ripresa della domanda di prestiti. La Bce dovrebbe agire senza ulteriori indugi facendo leva su strumenti di politica monetaria non convenzionali; gli stessi che Fed, Banca del Giappone, Bank of England utilizzano da anni.

20 Il pacchetto di misure annunciato da Draghi a giugno è significativo: si tratta di renderne rapida l implementazione. Perché l Europa tutta, fatte pochissime eccezioni, appare oggi come un paziente gravemente debilitato, bisognoso di cure immediate e che corre il forte rischio di una cronicizzazione della malattia. Non c è tempo da perdere. * Giorgio Squinzi è laureato in Chimica Industriale all Università degli Studi di Milano e ha ricevuto la laurea ad honorem in Ingegneria Chimica dal Politecnico di Milano. Ceo di Mapei, fu co-fondatore della società col padre nel 1970, assumendo, in particolare, la responsabilità dell area ricerca e sviluppo tecnologico. È autore di numerosi articoli tecnici, pubblicati su riviste nazionali e internazionali. È stato presidente di Federchimica e di Cefic, l Associazione dell Industria Chimica Europea, e consigliere superiore della Banca d Italia. Componente del Consiglio Direttivo e della Giunta di Confindustria, è stato vicepresidente con delega per l innovazione e lo sviluppo tecnologico da luglio 2003 a maggio 2004; da maggio 2010 è presidente del Comitato Tecnico con Delega all Europa. Dal 24 maggio 2012 è presidente di Confindustria. Il 4 dicembre 2006 ha ricevuto dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano il prestigioso Premio Leonardo Qualità Italia e il 5 giugno 2007 il Premio Barocco per la categoria industriali. The alarming figures reported by Confindustria in recent months say that 120,000 companies have disappeared in the last 12 years and more than one million jobs have been lost. Given the current crisis in demand in Italy, can this trend be reversed? What are the priorities? There is only one priority: to generate a recovery in investments, both public and private, and consequently a return to growth in consumer spending, which in Italy is 8% below the pre-crisis levels, back at 1998 values. Sixteen years lost! One reason are the major public financial policy maneuvers introduced since 2008, whose effects were most apparent in 2012 and However, in order to avoid misleading analyses and, even worse, misguided proposals, we need to remember that our previous spending levels were not sustainable, because they were financed by growing debt exposure to the rest of the world: our international debt soared to nearly 30% of GDP. It was accumulated through large deficits in the balance of payments: in other words, we were consuming more than we produced, thereby giving work and production to other countries. Today, we have returned to a surplus on our balance of payments. We can t go back to debt-financed consumer spending. This is why competitiveness and investment are our priorities. Without companies that invest in Italy, there is no future for production, because you can t take advantage of the new growth opportunities offered by the markets and you leave the way open for international competitors, who increasingly come from Asia. Without businesses that produce and bet on the future, there won t be a recovery in employment either. What do you expect from the government? Reforms to lighten tax loads and eliminate red tape can help, but the underlying issue is the weakness of the international and domestic recovery. We expect the government to honor the pledges made over recent months. This means everything, including the promises with an apparently less direct link to the economy, such as electoral reform and the reform of the Senate, our upper house. It is important that these promises are kept to show people and business that the country really can change and we can have greater confidence about the future. It is also vital to convey the message that there is a firm hand on the country s tiller and that the direction is growth, and this has to be clear to the Italians individuals, consumers and business and also to international investors. This effort to trigger a return to growth comes in the six months in which Italy is president of the EU Council, offering the government the possibility, which then becomes an imperative, to make our country an advocate for change in the community institutions. Let s not forget that without a structural reform of Europe s economic policy, and a shift in focus away from austerity toward growth, there will not be enough room for maneuver for a recovery strategy, and not just in Italy. I feel upbeat about this: Germany is beginning to show important signs of greater flexibility. Practically all of Italy s typical manufacturing sectors have lost ground over the last few years. Food and beverages have resisted the crisis, but machinery, clothing and furnishings have suffered. And we are nowhere to be seen in hi-tech. Do we need to re-think Italy s industrialization model? An analysis of our structural shortcomings, as well as of our many strengths and production excellences, is certainly necessary. Confindustria continues to underline the importance for business to strengthen its focus on international growth, on research and innovation, in every field, on capital strength. It s not so much a question of re-thinking our industrialization model as, more in general, of re-thinking the growth model for Italy. An industrial recovery in Italy is unthinkable without a commitment from the state to embrace change, to promote a pro-business culture that has always been lacking in our country. This also applies to the challenge of the new digital technologies, where Italy has fallen well behind. Without a clear political will to invest in innovation, with state-promoted 23

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