ROBERTO NANNELLI Avvocato del Foro di Firenze

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1 ROBERTO NANNELLI Avvocato del Foro di Firenze La sentenza della Cassazione Sez. III, n relativa alla responsabilità dell'avvocato in caso di errore professionale riparabile con l'impugnazione SOMMARIO: 1. La vicenda oggetto di causa 2. L'obbligo dell'avvocato di avvisare la parte ad appellare una sentenza 3. L'obbligo dell'avvocato di risarcire il danno alla parte che non abbia impugnato la sentenza ingiusta 4. L'obbligo dell'avvocato di risarcire i danni in caso di proposizione di appello avverso la sentenza ingiusta 5. Conclusioni 1. Il caso che ha interessato la Corte di Cassazione nella recente sentenza n del può essere così riassunto. Una donna rimase coinvolta in un sinistro stradale verificatosi all'estero come trasportata su uno degli automezzi coinvolti nel sinistro. Rientrata in Italia, la danneggiata dette incarico a due avvocati di assisterla nella controversia per ottenere il risarcimento dei danni subiti nel sinistro suddetto e successivamente di convenire in giudizio le controparti individuate tra i proprietari, i conducenti e gli assicuratori dei veicoli coinvolti al fine di ottenere la loro condanna al risarcimento dei danni stessi. La causa di risarcimento dei danni fu promossa davanti al Tribunale di Milano. Questo giudice però emise sentenza con cui rigettò la domanda per difetto di legittimazione passiva di tutti i convenuti, ritenendo che invece era legittimato soltanto il Bureau Gestionnaire dello Stato in cui si era verificato il sinistro, come previsto per gli incidenti accaduti all'estero dalla legislazione in tema di carta verde. La sentenza suddetta del Tribunale non fu appellata dalla danneggiata e conseguentemente passò in giudicato. La danneggiata invece convenne in giudizio davanti al Tribunale di Milano i suoi legali contestando loro sia di non aver correttamente evocato in giudizio la suddetta autorità internazionale sia di non avere tempestivamente interrotto il termine di prescrizione nei confronti di quest'ultima tanto che ormai il suo diritto ad ottenere il risarcimento dei danni era da ritenersi estinto. Chiese quindi la condanna dei convenuti al risarcimento dei danni da lei subiti per effetto dei suddetti inadempimenti processuali. 1 Foro It. 2010, parte prima, pag 2342 Diritto & Giustizia,

2 I difensori si costituirono in giudizio contestando solo l'entità dei danni e chiedendo di essere autorizzati alla chiamata in causa della loro compagnia di assicurazione per la responsabilità professionale; la chiamata fu poi regolarmente effettuata. Il Tribunale di Milano, con sentenza n. 6792/2002 accolse la domanda della danneggiata dal sinistro stradale. I legali proposero appello e la Corte d'appello di Milano, con sentenza n. 2995/2005 accolse l'appello e respinse le domande della danneggiata. La Corte Ambrosiana motivò questa sua decisione affermando che la sentenza iniziale del Tribunale di Milano, quella che aveva dichiarato la carenza di legittimazione passiva dei convenuti, era sbagliata posto che due dei convenuti (il proprietario dell'autovettura su cui la danneggiata appellata era trasportata e la sua assicurazione) erano rispettivamente cittadino italiano e impresa soggetta alla legislazione italiana e quindi per costoro sussisteva certamente la legittimazione passiva. Questi convenuti, di conseguenza, potevano essere citati davanti al giudice italiano e il Tribunale aveva errato nel prevedere nel ritenerli privi di legittimazione passiva, essendo peraltro del tutto irrilevante che non fosse stata citata anche l'autorità straniera. Quindi concluse la Corte d'appello che l'appellata avrebbe dovuto proporre appello avverso la sentenza del Tribunale, contestando la decisione, e non farla passare in giudicato posto che questa era da ritenersi erronea. Non avrebbe, in sintesi, dovuto agire per ottenere il risarcimento dei danni nei confronti dei suoi precedenti difensori ma insistere nella pretesa risarcitoria contro i responsabili del sinistro contestando la erronea decisione di primo grado. Avverso questa sentenza propose ricorso per cassazione la danneggiata sulla base di due motivi. Il primo era attinente alla violazione di legge e alla motivazione incongrua poiché la ricorrente affermò che, se i suoi legali avessero correttamente convenuto in giudizio l'autorità estera, comunque i problemi evidenziati dal Tribunale di Milano, a torto o a ragione non importa, non ci sarebbero stati. Il secondo era di incongruità della motivazione non avendo la sentenza della Corte d'appello chiarito a sufficienza se i legali avessero o meno consigliato la ricorrente a proporre appello avverso la prima sentenza del Tribunale in modo così da evitare che questa passasse in giudicato 2. La Corte di Cassazione ha esaminato congiuntamente i due motivi, vista la loro connessione, e li ha accolti. Tralasciando la questione se la mancata interruzione della prescrizione del diritto della cliente ad ottenere il risarcimento dei danni, fosse o meno un fatto questo imputabile all'avvocato, le questioni di diritto che la Corte di Cassazione si è trovata ad esaminare sono essenzialmente tre e possono, in estrema sintesi, 2 Il motivo sul punto, recitava: La Corte ha omesso di rilevare, in particolare, che gli stessi avvocati da essa citati in responsabilità hanno conservato la sua difesa fino al passaggio in giudicato della sentenza di primo grado, senza mai segnalarle la possibilità e l'opportunità di impugnare la sentenza; che essi stessi hanno più volte ammesso anche per iscritto la loro responsabilità, consigliandole di agire nei loro confronti, essendo essi coperti da assicurazione contro la responsabilità professionale, e che le hanno restituito l'intero incartamento processuale solo dopo la scadenza del termine ultimo per proporre appello. 2

3 essere così riassunte: - la prima questione è se la parte debba essere avvisata della pubblicazione di una sentenza sfavorevole da parte del suo avvocato e se debba essere consigliata, sempre dal proprio legale, a impugnare questa decisione perché ritenuta erronea; - la seconda questione attiene al fatto che la parte, la quale risulti soccombente in primo grado per motivi processuali e non di merito e non abbia proposto appello avverso detta decisione risultata giuridicamente erronea, possa poi richiedere i danni all avvocato per il solo fatto che, con il passaggio in giudicato della decisione di primo grado e per effetto del tempo nelle more trascorso, non possa più richiedere alle sue controparti il bene della vita oggetto di causa, visto che il suo diritto si è estinto per intervenuta prescrizione; - la terza questione è se il fatto di aver proposto appello avverso una sentenza giuridicamente ingiusta elimini totalmente i danni o, invece, ne riduca soltanto l'ammontare quando l'errore del giudice poteva elidersi o attenuarsi in caso di diligenza da parte del professionista. In pratica le questioni che abbiamo sopra enucleato attengono ai seguenti obblighi di natura civilistica: - l'obbligo dell'avvocato di informare la parte della possibilità di impugnare una sentenza per lei sfavorevole; - l'obbligo dell'avvocato di consigliare la parte ad impugnare la sentenza per lei sfavorevole quando questa sia giuridicamente sbagliata; - l'obbligo dell'avvocato di risarcire i danni, sebbene con una ridotta quantificazione, in caso di proposizione di appello avverso una sentenza giuridicamente errata ma dipendente, in parte, anche da suo errore professionale. E' interessante vedere la soluzione adottata dalla Cassazione in ordine alle suddette questioni. 2. Cominciamo dalla prima. Questa, come abbiamo visto, attiene all esistenza o meno dell obbligo civilistico dell avvocato di avvisare la parte soccombente della possibilità di impugnare la sentenza per lei negativa. Su questo punto la Cassazione ha, implicitamente, ribadito l esistenza di questo obbligo, confermandosi peraltro in linea con la sua precedente giurisprudenza. In particolare con la sentenza della Cassazione Sez. III n , si è sostenuto che questo obbligo deriva da due norme, l'art. 1176/2 cc e 3 Giust Civ. Mass. 2009, 11, 1618 La causa, proveniente dal Tribunale di Catania e dalla Corte d'appello di Catania, aveva riguardato il caso di un cliente che aveva convenuto in giudizio il proprio legale chiedendone la condanna al risarcimento dei danni per la tardiva proposizione dell'impugnazione avverso una sentenza sfavorevole. Il Tribunale aveva respinto la domanda perché aveva ritenuto che il mandato ad impugnare fosse stato rilasciato quando ormai il termine per farlo era scaduto e la sentenza era stata confermata dalla Corte d'appello. La Corte di Cassazione, nell'affermare che la procura iniziale, di regola, vale per tutte le fasi del giudizio e che quindi detta procura consente all'avvocato anche di impugnare la sentenza sfavorevole, ha cassato la sentenza con rinvio dicendo che nella specie, l'avvocato aveva 3

4 art cc, le quali prevedono genericamente che, per gli avvocati, l'obbligo di assolvere, sia all'atto del conferimento del mandato che nel corso dello svolgimento del rapporto (anche) ai doveri di sollecitazione, dissuasione ed informazione del cliente, ai quali sono tenuti: a rappresentare tutte le questioni di fatto e di diritto, comunque insorgenti, ostative al raggiungimento del risultato, o comunque produttive del rischio di effetti dannosi; di chiedergli gli elementi necessari o utili in suo possesso; a sconsigliarlo dall'intraprendere o proseguire un giudizio dall'esito probabilmente sfavorevole 4. Fino a qui nulla di nuovo. La Cassazione però nella sentenza n del 2010 non precisa un passaggio fondamentale e cioè non precisa, e anzi come vedremo più avanti sembra dire il contrario, quale sia il danno derivante al cliente in caso di omessa informazione da parte dell'avvocato del diritto del primo di impugnare una sentenza sfavorevole. Qui la giurisprudenza precedente è nel senso che, per ottenere la condanna dell'avvocato al risarcimento dei danni per il suddetto inadempimento, non basta la violazione di questo obbligo ma occorre che il cliente dimostri che, con la mancata comunicazione, abbia perduto il diritto ad impugnare e che, se avesse impugnato, avrebbe potuto ottenere una modifica della decisione di primo grado in senso a sé favorevole. Di questa giurisprudenza troviamo ampia traccia nella sentenza della Cassazione Sez. II, n la quale aveva espressamente affrontato questo problema e, ribadendo l'obbligo dell'avvocato di informare il cliente del diritto a impugnare una sentenza sfavorevole, aveva però escluso l'automatismo per cui l'omessa informazione comportasse come necessaria conseguenza l'obbligo di risarcire i danni 6. l'obbligo di attivarsi per la tempestiva proposizione dell'impugnazione o per la tempestiva indicazione ai clienti dell'impossibilità di provvedervi. 4 La massima recita: L'avvocato, nell'adempimento della propria prestazione professionale, è tenuto ad informare il cliente sulle conseguenze del compimento o del mancato compimento degli atti del processo, e, se del caso, a sollecitarlo nel compimento di essi ovvero, sussistendo le condizioni, a dissuaderlo della loro esecuzione. Pertanto, la circostanza che il cliente abbia omesso di fornire indicazioni al proprio avvocato circa la propria intenzione di proporre o meno impugnazione avverso una sentenza sfavorevole non esclude la responsabilità del professionista per mancata tempestiva proposizione dell'appello, se questi non aveva provveduto ad informare il cliente sulle conseguenze dell'omessa impugnazione. 5 Diritto & Giustizia, 2009 Il caso riguarda una causa intentata da ex clienti davanti al Tribunale di Roma contro il proprio avvocato che non aveva loro comunicato tempestivamente la possibilità di impugnare una sentenza a loro sfavorevole. Il Tribunale rigettava la domanda e l'appello degli ex clienti era respinto dalla Corte d'appello di Roma dicendo che costoro, che aveva subito una perdita di chance, non avevano provato che con l'impugnazione la sentenza loro sfavorevole sarebbe stata modificata. La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso degli ex clienti e ha confermato la decisione di merito ritenendo appunto che la perdita del diritto all'impugnazione, per negligenza dell'avvocato nei confronti del proprio cliente, non dia diritto di per sé ad ottenere da questo il risarcimento dei danni dall'avvocato ma che il primo deve provare, anche con presunzioni, che l'impugnazione, se proposta, avrebbe avuto un esito favorevole e cioè sarebbe stata in grado di modificare la decisione contraria da lui subita. 6 La massima recita: La perdita del diritto di impugnare una sentenza non può configurarsi di per sé come conseguenza patrimoniale pregiudizievole, tenuto conto che, ai sensi dell'art cc, il riconoscimento del risarcimento del danno postula che il creditore dimostri 4

5 Con questa sentenza la Cassazione aveva confermato la sentenza della Corte d'appello di Roma (a sua volta confermativa della sentenza del Tribunale di Roma) e aveva confermato l'esistenza del seguente principio di diritto: In materia di responsabilità del professionista, il cliente è tenuto a provare non solo di aver sofferto un danno, ma anche che questo è stato causato dalla insufficiente o inadeguata attività del professionista e cioè dalla difettosa prestazione professionale. Infatti la Corte ha aggiunto che la perdita del diritto di impugnare la sentenza, non può configurarsi di per sé come una conseguenza patrimoniale pregiudizievole, tenuto conto che ai sensi dell'art cc il riconoscimento del risarcimento del danno postula che il creditore dimostri l'esistenza di un concreto danno consistito in una effettiva diminuzione patrimoniale derivata, quale conseguenza immediata e diretta, dall'inadempimento del debitore. Ha aggiunto infine che la perdita di chance (rappresentata dal mancato esercizio del diritto di impugnare una sentenza sfavorevole imputabile al professionista) è una mera aspettativa di fatto e non costituisce un'entità patrimoniale a sé stante suscettibile di una valutazione economica. Ha precisato poi che spetta al creditore (cioè al cliente) provare, anche se solo in modo presuntivo e secondo un calcolo probabilistico, che questa aspettativa frustrata abbia provocato in concreto un danno che non ci sarebbe stato con la probabile riforma della sentenza impugnata e quindi provare che il danno sia da considerarsi conseguenza immediata e diretta dell'inadempimento dell'avvocato. In altre parole al cliente spetta provare l'erroneità della decisione da impugnare e della concreta possibilità di una sua modifica in appello e al giudice quindi valutare se, nel caso di specie, la sentenza non impugnata sia o meno erronea. 3. Il commento di quest'ultima sentenza, ci porta ad esaminare il secondo obbligo che abbiamo individuato e cioè il dovere dell'avvocato di risarcire il danno alla parte che non abbia impugnato la sentenza ingiusta perché non avvisata della possibilità di farlo. Qui, come abbiamo sopra accennato, troviamo un possibile contrasto con la giurisprudenza precedente che abbiamo sopra esaminato. Infatti, con la sentenza n del 2010, che oggi esaminiamo, la Cassazione ha ribadito sì l'obbligo di informazione da parte dell'avvocato dell'esistenza del diritto all'impugnazione della sentenza erronea ma ha aggiunto anche, ribaltando la decisione della Corte d'appello, che il fatto in sé di proporre l'esistenza di un concreto danno, consistito in un'effettiva diminuzione patrimoniale derivata, quale conseguenza immediata e diretta, dall'inadempimento del debitore (nella specie, la Corte ha confermato la decisione dei giudici del merito secondo cui i ricorrenti, che non erano stati informati in tempo dall'avvocato sull'esito della causa e non avevano potuto ricorrere in appello, non avevano offerto alcun elemento che potesse indurre a ritenere, con ragionevole probabilità, che il gravame, se esperito, sarebbe stato accolto, ovvero potesse costituire una base sufficiente ad indurre controparte, totalmente vittoriosa, ad addivenire ad una transazione). 5

6 l'impugnazione della sentenza non esclude automaticamente diritto del cliente di richiedere il risarcimento dei danni sia per i tempi e i costi della procedura di impugnazione (ma di questo parleremo nel paragrafo più avanti) sia perché non potrebbe conoscersi l'esito del giudizio di impugnazione, arrivando così ad affermare: né si può sapere a posteriori se l'impugnazione avrebbe consentito alla parte di rimediare per intero ai danni derivanti dalle inadempienze del legale nel giudizio di primo grado. Quest'ultima affermazione si pone in contrasto con la giurisprudenza precedente la quale invece, come abbiamo visto, fa il ragionamento completamente opposto e cioè che spetta al creditore dimostrare che l'esito dell'impugnazione sarebbe stato favorevole con la riforma della sentenza impugnata. Se nella giurisprudenza precedente il ragionamento era ipotetico, nel senso che il giudice della causa per danni tra il cliente e il suo avvocato deve dare un giudizio prognostico sul probabile esito del giudizio di impugnazione qualora questo fosse stato proposto, onerando il cliente di provare che ci sarebbero state buone ragioni per la riforma della sentenza; qui invece il ragionamento si basa sulla certezza che, a posteriori, non si può sapere se l'impugnazione avrebbe comportato la riforma della sentenza. Nel primo caso su questo giudizio ipotetico ci si fonda la condanna o meno al risarcimento dei danni mentre nel secondo caso, quello della sentenza del 2010, si esclude che questo lo si possa fare e cioè si esclude che il giudizio prognostico sull'esito dell'impugnazione abbia un qualsiasi valore giuridico. E' vero che questa sentenza censura la motivazione della sentenza di merito e che quindi la Cassazione non aveva l'obbligo, ex art. 384 cpc, di formulare il principio di diritto vincolante per il giudice di rinvio che è tenuto unicamente a riesaminare i fatti oggetto di discussione ai fini di un nuovo apprezzamento complessivo adeguato ai rilievi contenuti nella sentenza di cassazione, sicché le prescrizioni dettate al riguardo dal giudice di legittimità hanno valore meramente orientativo e non valgono a circoscrivere in un ambito invalicabile i poteri del giudice di rinvio, il quale resta libero di accertare nuovi fatti e decidere la controversia anche in base a nuovi presupposti oggettivi 7. E' vero però che, nel motivare questa sua decisione, la Cassazione sembra effettivamente introdurre un ragionamento diverso per cui, in caso di omessa informazione al cliente del diritto di impugnare e di conseguente mancato esercizio dell'impugnazione, non ha un'importanza decisiva, nell'escludere il diritto del cliente a richiedere al proprio avvocato inadempiente il risarcimento dei danni, il probabile esito favorevole che il giudizio di impugnazione avrebbe avuto contro la sentenza giuridicamente erronea, giudizio che invece aveva dato la Corte d'appello di Milano. Merita poi soffermarsi su un altro aspetto particolare e cioè come viene interpretato il dovere di informazione del cliente da parte dell'avvocato sulla esistenza del diritto a impugnare la decisione sfavorevole e sulla convenienza o meno dell'impugnazione. La Cassazione ha da sempre ritenuto che il dovere di informare il cliente da parte di un avvocato debba essere svolto in modo particolarmente accurato. 7 Cass. Sez. I, n Giust. Civ. Mass. 2006, 2. 6

7 Infatti la sentenza Sez. II, n ha precisato che l'avvocato, sia all'inizio della causa che durante la stessa, abbia l'obbligo di rappresentare al cliente ogni aspetto della controversia e ogni sua possibile evoluzione sconsigliandolo dall'iniziare o dal proseguire cause che lui sa essere infondate 9. La sentenza n del 2010 colora in modo particolare questo obbligo ponendo un onere particolare a carico dell'avvocato. specialmente se la sentenza da impugnare sia stata emessa su questioni processuali. In questo caso, afferma la Corte Suprema, il cliente non può avere cognizioni specifiche al riguardo e l'avvocato deve essere pressante nel convincere il cliente ad impugnare, avendo solo lui le cognizioni specifiche per decidere se convenga o meno appellare 10. In altre parole, quello che generalmente è un obbligo generale di informare prima e di consigliare poi il cliente a come orientarsi nella sua decisione di impugnare o meno una sentenza sfavorevole ritenuta erronea, nel caso di errori procedurali questo consiglio deve diventare pressante tanto da indurre il cliente a porsi davanti ad una scelta: o impugna la sentenza, ma allora il danno, come vedremo più avanti, sarà solo diminuito per il cliente; o non impugna la sentenza, 8 Giust. Civ. Mass. 2004, 7-8; Giust. Civ. 2004, I, Il caso riguarda un cliente che aveva opposto il decreto ingiuntivo emesso dal Pretore di Camerino su richiesta dell'avvocato per il pagamento di prestazioni professionali sostenendo che dette somme non erano dovute non avendo l'avvocato informato il cliente sulle reali condizioni economiche della sua controparte dalla quale doveva avere un credito pari a circa un decimo dell'importo poi richiesto dall'avvocato. L'opposizione era rigettata e il cliente appellava la decisione al Tribunale di Camerino che respingeva l'appello affermando prima di tutto la congruità delle prestazioni richieste e poi che l'avvocato aveva svolto con diligenza il proprio mandato essendo molte cause sorte in modo imprevedibili e imputabili alla caparbietà della controparte. La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso affermando che sull'avvocato incombe non solo l'obbligo di informare il cliente su quanto accade all'interno del processo per il quale lui abbia avuto mandato ma anche di effettuare un'analisi del rapporto costi benefici di un'azione legale e di riferirne il contenuto al cliente in modo che costui possa valutare la convenienza o meno del fatto di intraprendere le azioni legali. 9 La massima cita: Nell'adempimento dell'incarico professionale conferitogli, l'obbligo di diligenza da osservare ai sensi del combinato disposto di cui agli art. 1176, comma 2, e 2236 c.c. impone all'avvocato di assolvere, sia all'atto del conferimento del mandato che nel corso dello svolgimento del rapporto, (anche) ai doveri di sollecitazione, dissuasione ed informazione del cliente, essendo tenuto a rappresentare a quest'ultimo tutte le questioni di fatto e di diritto, comunque insorgenti, ostative al raggiungimento del risultato, o comunque produttive del rischio di effetti dannosi; di richiedergli gli elementi necessari o utili in suo possesso; a sconsigliarlo dall'intraprendere o proseguire un giudizio dall'esito probabilmente sfavorevole. In questo la sentenza richiama la Cass. Sez. II, n. 5617, Giust. Civ. Mass. 1996, La motivazione della sentenza su punto recita: E' dubbio, e largamente improbabile, che la parte di un giudizio sia in grado di valutare la correttezza delle ragioni giuridiche addotte da una sentenza di rigetto della sua domanda, la proponibilità o meno di determinati motivi di impugnazione, le probabilità di successo dell'appello, e cosi' via. Soprattutto in materia processuale ed in tema di legittimazione passiva la valutazione della correttezza o meno di una sentenza richiede competenze squisitamente tecniche, che solo il difensore possiede e che solo al difensore spetta di illustrare al cliente, consigliando le opportune iniziative. Il rigetto della domanda proposta dalla ricorrente avrebbe dovuto essere quindi motivati con specifico riferimento ai comportamenti imputabili a colpa della stessa (per esempio quello di avere rifiutato di proporre impugnazione con piena cognizione di causa e nonostante pressanti insistenze dei difensori in tal senso). 7

8 e allora il danno sarà escluso solo dal grado di pressione esercitata sul cliente che quindi a quel punto, da solo, si assume la responsabilità della decisione di non impugnare. 4. Resta adesso da vedere il terzo punto controverso affrontato dalla Cassazione con la sentenza n del 2010 e cioè l'obbligo dell'avvocato di risarcire i danni, sebbene con una ridotta quantificazione, in caso di proposizione di appello avverso una sentenza giuridicamente errata ma dipendente, in parte, anche da suo errore professionale. Qui la motivazione della sentenza può essere così riassunta: - il fatto che l'errore dell'avvocato si possa rimediare con l'impugnazione contro la sentenza sfavorevole non e' sufficiente di per sé ad escludere che la parte abbia risentito e continui a risentire danno dalla lamentata negligenza; - l'impugnazione protrae la durata e le spese del processo e ha le incertezze e l'aleatorietà insite in ogni controversia; quindi il poter disporre di un solo grado di giudizio per far valere le proprie difese è comunque un pregiudizio; - né si può sapere a posteriori se l'impugnazione avrebbe consentito alla parte di rimediare ai danni derivanti dalle inadempienze del legale nel grado precedente. La sentenza quindi sostiene che, di fronte a una sentenza giuridicamente erronea, il difensore, anche se riesce a convincere il cliente a impugnare la sentenza stessa, comunque può rispondere dei danni se sussista nel caso di specie una sua negligenza, tenuto conto del fatto che l'impugnazione aumenta i tempi e i costi dell'intero processo e non da garanzie di riuscita. Qui il ragionamento che fa la Corte di Cassazione nella sentenza in commento, se ci si astrae dal caso concreto, è di difficile comprensione poiché non si riesce a capire come sia possibile, di fronte a un errore del giudice rimediabile con l'impugnazione l'avvocato, nonostante la proposizione dell'impugnazione, possa comunque rispondere dei danni per il solo fatto che il cliente abbia dovuto impugnare la decisione che è erronea per un fatto imputabile al giudice che l'ha emessa. Conclude e precisa la Cassazione, nella sua motivazione della sentenza n del 2010, che il fatto che non sia stata proposta impugnazione può essere considerato un aggravante della responsabilità dei difensori ma mai una loro esimente 11. Con questo ragionamento la Cassazione conferma, a contrario, appunto il fatto che la proposizione dell'impugnazione da parte del cliente danneggiato da una sentenza erronea non può di per sé escludere la colpa del suo avvocato, se appunto il fatto che non sia stato proposto può solo aggravare la colpa del 11 Afferma sul punto la motivazione della sentenza: Nulla di tutto ciò la sentenza impugnata ha accertato, venendo cosi' ad imputare oggettivamente alla danneggiata la responsabilità di non avere adottato una determinata linea di difesa, senza alcuna motivazione in ordine ad una qualunque colpa o negligenza della stessa, laddove la fattispecie era tale per cui - anche in base alle nozioni di comune esperienza - la mancata proposizione dell'appello veniva a configurare se mai un aggravamento della responsabilità dei difensori convenuti, anziché ragione idonea a giustificarne l'assoluzione. 8

9 professionista. 5. Vediamo adesso di cercare di trarre le conclusioni da questo ragionamento. La Cassazione, nel cassare la sentenza di appello, che, lo ripetiamo, aveva escluso la responsabilità dell'avvocato poiché la sentenza era erronea e aveva affermato anche che il cliente avrebbe dovuto appellare per chiedere una sua correzione invece che agire nei confronti del suo avvocato 12, sembra anticipare di molto la soglia della colpa professionale a carico del difensore. Di fronte infatti a una sentenza erronea giuridicamente il difensore, secondo la Cassazione, dovrebbe: - informare il cliente di quanto accaduto; - specialmente se la causa sia stata decisa con una sentenza fondata solo o anche su motivi processuali, informare il cliente del suo diritto a chiedere la correzione dell'errore attraverso la proposizione dell'impugnazione; - essere particolarmente pressante nel consigliare il cliente a proporre appello; - comunque, nonostante tutto questo e qualora nel procedimento conclusosi con la sentenza erronea e da impugnare sia ravvisabile una qualche sua responsabilità, allora, il cliente pur impugnando può comunque richiedere al suo difensore il risarcimento dei danni generati di per sé dal prolungamento dei tempi e dall'aumento dei costi del giudizio di impugnazione, peraltro di per sé incerto. La sentenza, con queste precisazioni, suscita notevoli perplessità che possono, ad avviso dello scrivente, essere così riassunte: a) In che cosa può consistere una negligenza imputabile ad un avvocato quando sia stata emessa una sentenza giuridicamente erronea il cui sbaglio sia eliminabile con l'impugnazione? E' evidente che non si può trattare di una negligenza relativa alla decisione o al procedimento al termine del quale la decisione sia stata emanata; questa infatti è sempre e solo imputabile al giudice e quindi non può mai far carico all'avvocato un errore di un altro soggetto del processo. La conferma ce la da proprio la sentenza esaminata della Cassazione poiché, in questo caso, la negligenza era extraprocessuale e consisteva nella mancata interruzione della prescrizione dei diritto del cliente al risarcimento dei danni, interruzione che nulla aveva a che vedere con la causa che aveva originato la sentenza erronea e che, casomai, poteva essere considerato un effetto riflesso del passaggio in giudicato della sentenza erronea. Cioè la sentenza non spiega quale sia il nesso di causalità tra condotta processuale negligente e sentenza erronea impugnabile e i cui difetti e vizi siano rimediabili con l'impugnazione. b) Perché si continua a parlare di responsabilità concorrente dell'avvocato nella causa al termine della quale sia stata emessa la sentenza erronea quando l'errore, nel suo complesso, può essere rimediato con l'impugnazione? E' chiaro allora che il problema, casomai, starà solo nel diritto del cliente ad essere informato e consigliato ma tutto dovrebbe e doveva finire lì: cioè o l'avvocato aveva informato 12 Il danno al cliente non è escluso anche se l'errore dell'avvocato si può riparare in appello - Diritto & Giustizia,

10 e consigliato adeguatamente, e allora non poteva essere considerato responsabile; oppure non lo ha fatto, e allora la sua colpa si fonda proprio su questo dato. c) Come si fa, anche solo a livello teorico, a pensare che l'avvocato che abbia assistito una parte in un processo terminato con una sentenza sfavorevole ma giuridicamente erronea per una sbaglio attribuibile al giudice, risponda anche lui per fatti che riflettono, come semplici conseguenze, del passaggio in giudicato della sentenza sbagliata? E' chiaro che l'avvocato non dovrebbe mai rispondere dello sbaglio del giudice a cui lui, certamente, non ha contribuito. d) Infine, come si fa a dire che l'appello avverso una sentenza erronea giuridicamente può essere di per sé fonte di danno imputabile all'avvocato per incertezza di tempi, costi e riuscita quando tutto questo non dipende dall'avvocato? Costui infatti non può mai direttamente determinare né la durata, né i costi (che dipendono da questa) né tanto meno l'esito che dipende, anche in questo caso, dall'opera del giudice. Gli interrogativi suscitati dalla sentenza sono ipotesi e non certezze, posto che, come abbiamo visto, la sentenza non ha emesso principi di diritto avendo investito solo la motivazione della sentenza di appello. Di sicuro però è che la strada per gli avvocati diventerà più stretta. Da una parte infatti dovranno evitare di proporre al cliente la proposizione di cause che siano infondate posto che l'art. 96/3 cpc consente adesso al giudice di porre a carico della parte soccombente ed a favore della sua controparte una somma equitativamente determinata e posto che questa norma, come è stato giustamente evidenziato dalla dottrina 13, viene interpretata come svincolata da ipotesi di responsabilità aggravata ma tutte le volte in cui il giudice lo ritenga opportuno. Dall'altra dovranno essere pressanti nel convincere il cliente ad impugnare una decisione sfavorevole per evitare di dovere risarcire i danni subiti dal cliente a causa di una sentenza erronea giuridicamente. Questo probabilmente aumenterà il numero delle impugnazioni, fatte soltanto per evitare la conseguenza negativa sopra indicata, con tutti gli effetti riscontrabili in punto di carico processuale gravante sugli uffici giudiziari. 13 Giuliano Scarselli Atti convegno Il compenso degli Avvocati Le Tariffe Professionali su 10

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