REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO CORTE D'APPELLO DI FIRENZE PRIMA SEZIONE CIVILE composta dai magistrati: - dott.

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1 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO CORTE D'APPELLO DI FIRENZE PRIMA SEZIONE CIVILE composta dai magistrati: - dott. Pietro Mascagni - Presidente - - dott. Andrea Riccucci - Consigliere - - dott. Edoardo Monti - Consigliere rel. - ha pronunciato la seguente SENTENZA sull'impugnazione proposta da - F.S., rappresentato e difeso dagli avv.ti A.B. e M.M. per delega in atti, con domicilio eletto in Firenze piazza (...) presso lo studio del primo - appellante - Contro - I.A., rappresentato e difeso dall'avv. W.D. per delega in atti, con domicilio eletto in Firenze via (...) presso lo studio della medesima - appellato - Avverso la sentenza emessa ex art. 281 sexies dal Tribunale di Firenze all'udienza del 26 gennaio 2006 n. 143; Avente ad oggetto: revoca donazione per ingratitudine. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con atto di citazione ritualmente notificato, I.A. conveniva davanti al Tribunale di Firenze il proprio genero F.S., marito della figlia D.I., chiedendo - per quanto qui rileva - la revoca della donazione indiretta della proprietà pro - quota indivisa del 50% effettuata al medesimo dell'appartamento sito in Firenze, via (...), stante l'ingratitudine del donatario, il quale aveva maltrattato la figlia dell'attore (moglie del convenuto) e, dopo la separazione dei coniugi, si era disinteressato del mantenimento del bambino (nipote dell'attore e figlio del convenuto) nato dall'unione matrimoniale. Costituendosi in giudizio, il convenuto ammetteva di avere ricevuto in donazione metà dell'appartamento in questione, ma contestava la sussistenza dei presupposti della revocazione per ingratitudine. Conclusa l'istruttoria, pronunciandosi ex art. 281 sexies c.p.c. all'udienza del 26 gennaio 2006, il giudice adito

2 revocava ex art. 801 c.c. la donazione indiretta della quota immobiliare in oggetto, condannando il convenuto al pagamento delle spese processuali. Interponendo appello con atto di citazione notificato il 28 settembre 2006, il soccombente chiedeva la riforma della decisione, osservando che le offese ravvisate nella sua condotta non erano state poste in essere nei confronti del donante, bensì nei confronti della figlia di costui, per motivi connessi alla crisi del rapporto coniugale, non più suscettibile di essere ricomposto. Di conseguenza, il comportamento dell'appellante andava valutato, non come manifestazione di disistima nelle qualità morali della controparte, o di mancanza di rispetto nei suoi confronti, bensì come espressione della degenerazione del rapporto coniugale, della disaffezione e del distacco spirituale intervenuto tra i coniugi, peraltro determinato dalle scelte della donna, giacché il marito si era sempre prodigato per tenere unita la famiglia. L'appellato I. si costituiva in giudizio contestando la fondatezza del gravame avverso e chiedendo la conferma della decisione di primo grado con vittoria di spese. Senza svolgimento di alcuna attività istruttoria, sulle conclusioni trascritte in epigrafe, così come precisate all'udienza del 5 aprile 2011, decorsi i termini di legge per il deposito delle difese conclusionali, la causa veniva rimessa in decisione e discussa all'odierna camera di consiglio. MOTIVI DELLA DECISIONE Va preliminarmente rilevato che la naturale esecutività della sentenza d'appello fa ritenere ormai superata l'istanza di sospensione della provvisoria efficacia esecutiva della pronuncia di primo grado. In fatto, giova ricordare che F.S. e I.D. si trasferirono a Firenze dopo essersi sposati all'estero nel Non potendo contare su autonome disponibilità economiche, i coniugi furono aiutati a trovare un'abitazione dal padre della sposa, che comprò allo scopo l'appartamento di via (...) intestandolo ad entrambi. Purtroppo, il rapporto coniugale venne ben presto segnato da episodi di prevaricazione, di violenza fisica e psicologica del marito nei confronti della moglie, tali da compromettere indirettamente anche la serenità del bambino nato dall'unione. Nel 2002 la donna chiese la separazione, nonché l'allontanamento coattivo del marito dalla casa familiare, che venne concesso con provvedimento

3 inaudita altera parte del Tribunale eseguito dalla Polizia di Stato. Il giudizio si è infine concluso con l'addebito della separazione al marito e l'affidamento esclusivo del bambino alla madre. Nel successivo giudizio di divorzio, non si è nemmeno costituito il F., che ha ormai interrotto ogni rapporto col figlio e non versa alcun contributo per il mantenimento. In questo travagliato periodo, per sottrarsi alle angherie del marito, D.I. si è rifugiata spesso dal padre in Germania e, viceversa, il padre ha più volte raggiunto la figlia a Firenze per proteggerla e sostenerla. Le vicende sopra accennate sono accertate giudizialmente e sostanzialmente non contestate. In diritto, non può che condividersi l'interpretazione del giudice di primo grado, che ravvisa nella condotta dell'appellante gli estremi dell'ingratitudine idonea a giustificare la revoca della donazione pro - quota dell'appartamento per cui è causa. Come insegna la giurisprudenza della Corte di Cassazione, "l'ingiuria grave richiesta, ex art. 801 cod. civ., quale presupposto necessario per la revocabilità di una donazione per ingratitudine, pur mutuando dal diritto penale il suo significato intrinseco e l'individuazione del bene leso, tuttavia si distacca dalle previsioni degli artt. 594 e 595 cod. pen. e consiste in qualunque comportamento suscettibile di ledere in modo rilevante il patrimonio morale del donante ed espressivo di un reale sentimento di avversione da parte del donatario, tale da ripugnare alla coscienza collettiva" (massima tratta da Cass. 31 marzo 2011 n. 7487, conforme ex multis Cass. 28 maggio 2008 n ). L'ingiuria rilevante ai fini della revoca della donazione può dunque manifestarsi in qualunque forma e non v'è alcun dubbio che nel "patrimonio morale del donante" siano compresi gli affetti a lui più intimi e più cari, come sicuramente sono quelli che si indirizzano alla figlia, sicché un'ingiuria inferta alla figlia si risolve per l'effetto in un'ingiuria inferta al padre. Tale conclusione non deriva soltanto dalla logica, ma trova puntuale espressione normativa nel richiamo all'art. 463 c.c. contenuto nell'art. 801 c.c., volto ad equiparare il fenomeno dell'ingratitudine del donatario a quello dell'indegnità dell'erede. Ebbene, la casista elencata ai punti n. 1, 2 e 3 dell'art. 463 c.c. riguarda tanto il de cuius quanto il coniuge, il discendente o l'ascendente del medesimo, proprio perché la legge presume che la lesione

4 inferta ad uno di tali soggetti equivalga in tutto e per tutto ad una ferita inferta al defunto: è indegno a succedere chi ha fatto del male al defunto, così come è indegno a succedergli chi ha fatto del male a suo figlio. Parallelamente, in forza del richiamo di cui all'art. 801 c.c., è ingrato chi fa del male al donante, così come è ingrato chi fa del male a suo figlio. Nella specie è indubitabile che la condotta del donatario abbia fatto soffrire gravemente la moglie e conseguentemente il suocero donante, minando seriamente il patrimonio affettivo di quest'ultimo. Lo sforzo economico compiuto dal padre a favore della figlia e generosamente anche del genero, nonché le amorevoli cure in cui egli si è prodigato per sostenere successivamente la figlia, dimostrano quanto ne abbia avuto a cuore le sorti e, per converso, rivelano le gravi sofferenze subite in conseguenza dalla condotta riprovevole del genero. In tale contesto, non vale ad evitare la revoca della donazione il sostenere, come fa l'appellante, di non avere mai inteso ingiuriare il suocero. Si tratta di una tesi molto simile a quella di chi, avendo agito per colpire qualcuno, nega la volontà di avere colpito al contempo anche qualcun altro. La dottrina penalistica ha elaborato la figura del dolo indiretto o eventuale per descrivere il fenomeno di chi, mirando ad un certo risultato lesivo, non si cura di procurarne al contempo anche un altro come effetto della propria azione, accettandone tranquillamente l'eventualità, sebbene il risultato "allargato" non rientri propriamente negli scopi perseguiti. Allo stesso modo, pare evidente che Fe., maltrattando la moglie, non poteva non sapere di ferire anche il padre, che gli aveva donato metà dell'appartamento familiare e, comunque, quale che fosse la consapevolezza dell'agente, bisogna constatare che quella condotta ingiuriosa ha oggettivamente attinto il patrimonio morale del donante, giustificando la revoca della donazione. Il gravame va conseguentemente respinto. Ogni altra questione resta assorbita o superata. Le spese processuali del grado seguono la soccombenza, in misura che, tenuto conto del valore e della natura della causa, si liquida in dispositivo. P.Q.M.

5 La Corte d'appello di Firenze, sezione prima civile, definitivamente pronunciando nella causa in oggetto, ogni altra domanda, eccezione e deduzione disattesa, Conferma la sentenza emessa ex art. 281 sexies c.p.c. dal Tribunale di Firenze all'udienza del 26 gennaio 2006 n. 143 e condanna l'appellante F.S. al pagamento delle spese processuali, liquidate a favore di I.A. in Euro 5.000,00 (di cui Euro 4.000,00 per onorari ed Euro 1.000,00 per diritti), oltre alle spese forfetarie, nonché al trattamento fiscale e previdenziale di legge. Così deciso in Firenze il 5 luglio Depositata in Cancelleria il 14 settembre 2011.

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