1 unità di Potenza = 1 kg f m /sec. 1 HP = lb f ft / min
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- Gilda Abbate
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1 Lavoro e Potenza, Unità di misura Com è noto, la Potenza è definita come Lavoro (= Forza spostamento) nell unità di tempo. L unità SI della potenza è dunque: 1 Watt = 1 N m /sec Nelle unità MKS, la potenza (la cui unità non ha un nome) è invece: 1 unità di Potenza = 1 kg f m /sec Nella pratica sono ancora largamente diffuse le unità Cavallo Vapore (CV) in Europa ed Horse Power (HP) nei paesi anglosassoni. Si ha, per definizione: 1 CV = 75 kg f m / sec Da cui: 1 HP = lb f ft / min 1 CV = Newton m /sec = [Joule /sec] o [Watt] 1 kw = 1.36 CV Allo stesso modo, convertendo opportunamente le unità inglesi, si ha: 1 HP = Watt 1 kw = 1.34 HP
2 Nella storia dell umanità, la prima sorgente di energia (intesa come lavoro meccanico) è stata certamente quella muscolare dell uomo. Circa 5000 anni prima di Cristo, con lo sviluppo di una agricoltura stabile, l uomo imparò ad addomesticare il bue, il cavallo e l asino ed è noto che nel 2000 AC questi animali erano largamente utilizzati per muovere diversi tipi di macine. Il bue era utilizzato soprattutto per impieghi pesanti come arare i campi e trebbiare il grano, mentre l uso errato degli stessi finimenti a collare usati per i buoi riduceva la forza di tiro dei cavalli e degli asini da 1/4 fino ad 1/15 di quella di quella di un uomo. Visto che quattro schiavi mangiavano quasi quanto un cavallo, l uso di questo animale risultava evidentemente antieconomico e durante tutto l Impero Romano il cavallo non rimpiazzò la manodopera servile. Solo alla fine del primo millennio della nostra Era, con l introduzione della corretta bardatura a pettorale, asini, muli e cavalli si affermarono come sorgenti di lavoro meccanico. Lavoro nell unità di tempo fornito da un uomo = W CV Lavoro nell unità di tempo fornito da un cavallo = W CV Lavoro nell unità di tempo fornito da un bue = W CV Durante l Impero Romano, tra il 100 AC ed il 100 DC comparvero le prime ruote ad acqua capaci di fornire ad un mulino una potenza comparabile con quella degli schiavi che vi erano addetti e già nel 300 DC si hanno esempi di impianti con potenze stimate attorno ai 2 kw. Nel Medio Evo l uso di queste macchine andò estendendosi in tutta l Europa anche per applicazioni diverse dalla produzione della farina, come ad esempio la molitura delle olive, la follatura dei tessuti, la produzione della carta, l azionamento di magli per la metallurgia, con installazioni aventi una potenza stimata in kw. Lavoro nell unità di tempo fornito da una ruota ad acqua (6 m) = kw 2 5 CV Non sembra che i mulini a vento siano stati conosciuti ed utilizzati nel mondo antico, si ritiene che essi si siano sviluppati in Persia e siano penetrati in Europa con le Crociate e quindi dopo il primo millennio. Mulini a vento per macinare il granturco erano certamente in uso nel Il classico mulino a vento Olandese usato per il drenaggio di terreni allagati era già in uso nel 1400 ed era largamente diffuso nel Un progetto olandese del 1700 consente di stimare la potenza di un buon mulino a vento di quell epoca in circa 7.5 kw. Lavoro nell unità di tempo fornito da un mulino olandese = kw 2 15 CV La prima metà del XVIII secolo segna il vero inizio della Termodinamica, intesa come la scienza della trasformazione continuativa (cioè mediante una macchina) del calore in lavoro meccanico. In questi 50 anni divenne chiaro che il calore può essere usato come sorgente di energia, capace di rimpiazzare il lavoro dell uomo, degli animali, del vento e delle cascate; dal 1750 in poi, cominciarono ad essere sviluppate anche le basi teoriche di questa nuova scienza. Ciò avvenne soprattutto in Inghilterra, dove le necessità di una popolazione in continuo aumento avevano portato alla scomparsa delle grandi foreste, scomparsa dovuta sia alle necessità del riscaldamento domestico, sia allo sviluppo della marina commerciale e da guerra, sia (e soprattutto) alla sempre crescente richiesta di carbone di legna necessario alla lavorazione dei minerali di ferro. La penuria di carbone di legna spinse ad utilizzare, nella fusione del minerale di ferro, il carbon fossile che, a causa delle sue impurità, rendeva il ferro fragile e quindi inutilizzabile. La soluzione a questo problema la trovò l'ingegnere Coke che, mediante un processo di "distillazione distruttiva", trovò il modo di eliminare le impurità del carbone fossile. Abraham Darby, nel 1709 nella valle
3 del Severis, operò la prima fusione del ferro con il carbon Coke in sostituzione del tradizionale carbone di legna. Sorse però un altra difficoltà: le miniere di carbone erano (e sono tuttavia) soggette ad allagamento da parte delle acque meteoriche, superficiali o della falda acquifera; l acqua deve essere costantemente rimossa dalle gallerie e ciò poteva essere fatto solo a mano, mediante secchi attaccati ad una fune o mediante una noria mossa da un animale. Nel 1698 il Capitano Thomas Savery ( ) brevettò una macchina chiamata "The Miner s Friend, The Engine for Raising Water by Fire". Diverse miniere inglesi fecero installare l'impianto di sollevamento del Savery. Questa macchina aspirava l'acqua in cilindri entro i quali veniva creato il vuoto mediante condensazione del vapore d acqua. L'altezza massima di aspirazione era quindi non superiore a circa 9 metri. Per far salire ulteriormente l'acqua aspirata, si tentò di immettere all'interno dei cilindri vapore a pressione più alta di quella atmosferica. Quando Savery tentò di raggiungere pressioni di 8 10 kg/cm² scoppiarono le caldaie e i tubi. La tecnologia dell'epoca non era in grado di dare a Savery le necessarie garanzie di resistenza e la sua macchina ebbe poco successo. Un altro grave difetto della macchina era legato all aria che si trova normalmente disciolta nell acqua e si libera durante l ebollizione. Il degassaggio dell acqua crea nei cilindri sacche d aria il cui volume cambia poco (rispetto alla variazione di volume legata alla condensazione del vapore) con la temperatura. Questo inconveniente può essere risolto lavando il cilindro con grosse quantità di vapore vivo. Questa pratica però diminuisce di molto il rendimento complessivo della macchina e lo stesso Savery sconsigliava di farvi ricorso troppo di frequente. Il rendimento della macchina si può ricavare dai dati originali; infatti il brevetto di Savery afferma che la macchina è capace di sollevare un peso 1,5 LongTons di acqua ad un altezza di 100 piedi bruciando 1 Bushel di carbone. Ora essendo: 1 LongTon (U.K.) = 2250 libbre ed 1 Bushel (U.K.) contiene kg di carbone, considerando un potere calorifico (superiore) del carbone pari a 8200 kcal/kg si ha: Lavoro prodotto = foot pound = 0.46 MJoule Calore assorbito = = 972 MJoule Rendimento = 0.047% [1 foot pound = Joule]
4 Descrizione del funzionamento della macchina di Savery Fase 1 Fase 2 Fase 3 Fase 4
5 La macchina di Newcomen. La macchina sviluppata da Thomas Newcomen nel 1712 ebbe maggior successo ed una vita assai più lunga di quella di Savery. Nel 1770 venne superata dalla ben più avanzata macchina di Watt e divenne totalmente obsoleta nel Come quella di Savery si tratta di una macchina atmosferica, nel senso che la sua corsa di lavoro è determinata dalla pressione atmosferica. A differenza della macchina di Savery, in cui la pompa e la macchina formano una unità inscindibile, quella di Newcomen è una unità motrice indipendente, a cui potrebbe essere collegata una qualsiasi apparecchiatura - come per esempio una sega alternativa - anche se la sua applicazione principale fu quella di azionare una pompa per l eduzione dell acqua da una miniera. Con una cadenza di alternanze al minuto, una macchina di Newcomen era in grado di sviluppare una potenza di circa 5 Cavalli. Un altro notevole miglioramento rispetto alla macchina di Savery è rappresentato dallo svuotamento pressoché totale del cilindro durante la fase attiva; infatti, attraverso la valvola di scarico del condensato, che si apriva con un rumore caratteristico ( valvola a starnuto ), veniva anche scaricata l aria immessa nel cilindro di lavoro insieme al vapore. La macchina di Newcomen non faceva uso di vapore ad alta pressione e pertanto essa era sicura, affidabile, facile da realizzare e la sua costruzione non richiedeva una tecnologia che andasse oltre le limitate risorse disponibili nel diciottesimo secolo. Essa si affermò perché era abbastanza potente ed economica da superare tutti gli altri metodi allora disponibili per il pompaggio dell acqua. Dall Inghilterra la macchina di Newcomen si diffuse in tutta l Europa: si hanno notizie certe della sua applicazione nelle aree minerarie della Slovacchia nel 1725 ed in Svezia nel La grande diffusione della macchina di Newcomen portò i tecnici di diversi paesi a concentrarsi sui problemi dello stesso modello di macchina con l obiettivo di migliorarne le prestazioni. In particolare J. Smeaton ( ) condusse una serie sistematica di prove sperimentali per aumentare l efficienza del modello in suo possesso, documentandone un aumento del rendimento da un valore iniziale di 4.7 milioni di foot pounds/bushel di carbone fino a circa 9 milioni di foot pounds/bushel ( dallo 0.5 % fin quasi all 1%).
6 Descrizione del funzionamento della macchina di Newcomen Fase 1 Fase 2 Fase 3 Fase 4
7 La macchina di Watt James Watt ( ) non era uno scienziato, ma un semplice tecnico dell Università di Glasgow esperto nella costruzione di macchine funzionanti con il vapor d acqua. Nel 1763, Watt fu incaricato di riparare un modellino della macchina di Newcomen usato per scopi didattici presso l Università. Egli si rese subito conto che i bassi rendimenti di questo genere di macchine erano dovuti al fatto che il vapore veniva condensato all interno dello stesso cilindro di lavoro, la cui massa metallica doveva essere pertanto di volta in volta raffreddata e poi riscaldata, con notevole spreco di vapore. Watt risolse il problema usando due organi separati, l uno sempre caldo in cui il vapore vivo effettuava la corsa attiva producendo il lavoro meccanico e l altro sempre freddo in cui il vapore esausto veniva condensato. Nel 1769 Watt creò la prima macchina a vapore non atmosferica, in cui il lavoro meccanico veniva prodotto mediante l immissione e la successiva espansione del vapore generato in una caldaia a pressione superiore a quella esterna. Con questi miglioramenti l efficienza della macchina di Watt balzò a circa 20 milioni di footpounds/bushel di carbone, pari a circa il 2.8%. Questi valori rimasero più o meno gli stessi fino al 1816, quando l introduzione dei cilindri a doppio effetto consentì di raggiungere efficienze di circa 56 milioni di foot-pounds/bushel (pari al 7.8%) e fino a 125 milioni di foot-pounds/bushel (pari al 17%) nel L introduzione sul mercato della macchina di Watt ebbe notevoli conseguenze pratiche, infatti la macchina venne usata per motorizzare attrezzature di tutti i generi, oltre le pompe per estrazione d acqua, diventando la sorgente primaria di potenza per uso industriale, avendo reso di fatto antieconomico l uso degli animali e delle ruote ad acqua o a vento. Si può pertanto affermare che la macchina di Watt diede l avvio alla Rivoluzione Industriale, prima in Inghilterra e quindi nel resto dell Europa e nel Nord America.
8 Descrizione del funzionamento della macchina di Watt Fase 1 Fase 2 Fase 3 Fase 4
9 Nel campo della Termodinamica la macchina di Watt riveste un importanza fondamentale, essendo la prima macchina in cui il fluido di lavoro evolve in un circuito sigillato. Pertanto è possibile dimostrare senza ombra di dubbio che il lavoro meccanico non viene prodotto a spese del fluido di lavoro, ossia tramite una modifica permanente delle caratteristiche del fluido, perché esse non potrebbero modificarsi all infinito. La quantità di lavoro meccanico prodotto a partire dall energia termica fornita alla macchina sarà piuttosto correlata alle diverse trasformazioni subite dal fluido all interno della macchina stessa. Poiché il fluido di lavoro subisce delle modifiche passando da un organo all altro, ma - come si è già notato - non può modificarsi all infinito, è evidente che il fluido è soggetto ad una serie ciclica di trasformazioni. L interesse degli studiosi di Termodinamica si appuntò quindi sul ciclo di trasformazioni seguito dal fluido di lavoro; è evidente infatti che un aumento del rendimento di conversione, inteso come rapporto tra il calore fornito alla macchina ed il lavoro meccanico da essa prodotto, può essere conseguito non solo attraverso una migliore lavorazione degli organi meccanici (miglioramento delle tenute, degli isolamenti, diminuzione degli attriti) ma soprattutto attraverso l individuazione del ciclo di trasformazioni più conveniente da fare eseguire al fluido all interno della macchina. Pertanto, mentre il raggiungimento del primo obiettivo è limitato esclusivamente dalle tecnologie di lavorazione disponibili, il secondo necessita della definizione delle leggi fondamentali che regolano la trasformazione continuativa di quella particolare forma di energia, che è appunto il calore, in lavoro meccanico. Lo studio delle trasformazioni subite dal fluido durante il ciclo di lavoro necessita però degli strumenti necessari per definirne univocamente le condizioni all interno dei diversi organi che compongono la macchina. Stato di un fluido La definizione dello stato di un fluido necessita della conoscenza di alcuni parametri di stato che devono essere in numero necessario e sufficiente per consentire all osservatore di accertare se in due punti qualsiasi della macchina il sistema fluido si trovi o no nelle stesse condizioni. Il numero di questi parametri di stato dipende evidentemente dalla complessità del sistema o meglio dalla complessità del modello che si vuole utilizzare per rappresentare il sistema stesso. Prendiamo allora in considerazione uno dei sistemi più semplici esistenti : un gas monoatomico in condizioni di estrema rarefazione. Esso è composto in realtà da molti elementi distinti, gli atomi, che a loro volta sono formati da un nucleo atomico e da alcuni elettroni periferici. Il nucleo è composto da alcuni nucleoni che a loro volta sono composti da particelle subnucleari. La definizione esatta dello stato del sistema dovrebbe tenere conto della situazione istantanea di tutti i componenti a cui abbiamo accennato sopra. Per ridurre la complessità del sistema possiamo però costruirci un modello semplificato. Se consideriamo che un elettrone ha una massa che è circa 1/2000 di quella di un generico nucleone, possiamo ritenere che tutta la massa dell atomo sia concentrata nel suo nucleo, comprendendo in essa anche quella degli elettroni, il cui numero non cambia perché, per ipotesi, il sistema non sarà soggetto a trasformazioni di tipo chimico, ionizzazioni, etc. Anche la presenza dei nucleoni e delle particelle subatomiche può essere ignorata perchè, per ipotesi, il sistema non sarà soggetto a trasformazioni dovute a reazioni di tipo nucleare. Il nostro modello semplificato riduce allora il gas monoatomico rarefatto ad un insieme di componenti elementari, ciascuno dei quali è rappresentato da una sferetta rigida piccolissima (al
10 limite puntiforme) che subisce urti perfettamente elastici con le pareti del recipiente che contiene il gas e (eventualmente) con gli altri elementi del sistema. Ad ogni istante τ ogni particella elementare possiederà una certa posizione, una certa quantità di moto e sarà soggetta ad un insieme di forze dovute alla presenza delle altre particelle. Detto N il numero di particelle di massa m che compongono l intero sistema, lo stato del sistema è perfettamente definito quando siano note, all istante τ, le 6N variabili che definiscono la posizione e la velocità di ciascuna delle particelle (rispetto ad una terna di riferimento di tipo inerziale). Si noti che non è stata fatta alcuna ipotesi riguardo alla distribuzione iniziale delle posizioni e delle velocità dei componenti del sistema, pertanto la definizione di stato del sistema sopra offerta è da considerarsi, a parte le ipotesi semplificative, del tutto generale. Un essere intelligente che, in un dato istante, potesse conoscere tutte le forze che agiscono in natura insieme alla posizione istantanea di tutto ciò che esiste nell Universo, sarebbe capace di descrivere il moto sia degli oggetti più grandi che delle particelle più piccole che esistono al mondo con una sola, semplice, formula. Ad esso, ammettendo che possieda la necessaria potenza di calcolo, nulla sarebbe nascosto, il passato ed il futuro dell Universo sarebbero insieme presenti sotto i suoi occhi. Pierre Simon Laplace Accettando la visione deterministica di Laplace, è possibile determinare la storia futura di un sistema prevedendone l evoluzione in base alle equazioni di Newton che regolano l equilibrio meccanico fra le varie particelle. m i r dvi dτ r = F i k i,k Dove v i è la velocità istantanea della i-esima particella F i,k la forza di interazione tra due generiche particelle del sistema E facile vedere che questo metodo per determinare lo stato istantaneo e la successiva evoluzione di un sistema è praticabile solo per piccoli valori di N. Qual è l ordine di grandezza di N in un generico problema di Termodinamica applicata? Supponiamo di volere identificare lo stato dell aria che viene aspirata all interno di uno dei quattro cilindri di un motore Diesel da 2000 cc. Considerando l Aria un gas biatomico con Peso Molecolare pari a 29 kg Volume dell aria aspirata = 500 cc m 3 Densità dell aria esterna a 20 C e 1 Atm = 1.2 kg/m 3 Peso dell aria aspirata = = kg N Moli = / 29 = N = N AV N Moli = = E evidente che nessun calcolatore potrà mai ottenere, istante per istante, la soluzione esatta del sistema di equazioni sopra indicato.
11 La determinazione dello stato istantaneo del sistema mediante i 6N parametri di posizione e velocità è dunque impossibile (e sarebbe anche inutile!). E necessario allora introdurre altre ipotesi, notevolmente più restrittive, che ci permetteranno di definire solo e soltanto lo stato di quei sistemi che si trovino in certe specifiche condizioni, in particolare nelle condizioni di equilibrio interno. Queste condizioni prevedono che le particelle siano distribuite in modo uniforme all interno del recipiente che le contiene, che i moduli del vettore velocità siano eguali per tutte le particelle e che le direzioni del vettore velocità siano distribuite nello spazio in maniera uniforme. Partendo da queste ipotesi sono possibili due diversi approcci alla definizione dello stato del sistema: Approccio microscopico: considera il sistema formato da numerose particelle in condizioni di equilibrio ed applica i metodi statistici propri della teoria cinetica dei gas. E in grado di spiegare il perché di alcuni fenomeni, ma necessita della conoscenza approfondita del comportamento della particella-tipo a cui applicare i metodi statistici. Approccio macroscopico: considera il sistema come un fluido continuo e ne valuta lo stato in relazione alle azioni che il sistema nel suo complesso esercita verso l esterno. Fa uso di un numero estremamente ridotto di indicatori globali o parametri macroscopici di stato ma non è in grado di spiegare il meccanismo di alcuni fenomeni. In questo corso verrà utilizzato l approccio macroscopico o della Termodinamica Classica, anche se spesso si farà ricorso ai metodi della Termodinamica microscopica per una migliore comprensione dei fenomeni in studio. Come si è detto, l approccio macroscopico allo studio della Termodinamica dei sistemi in equilibrio prende in considerazione le interazioni tra il sistema nel suo complesso e l ambiente esterno. Considerando il sistema composto da un fluido omogeneo chimicamente definito (p.es. un gas), contenuto in un recipiente che lo separa dall esterno, i parametri misurabili che caratterizzano il sistema possono facilmente ridursi a: - la massa del sistema, facilmente determinabile mediante pesatura; - il volume del sistema, facilmente determinabile mediante misure di lunghezza; - la forza esercitata dal sistema sulle pareti del recipiente, facilmente determinabile mediante misure di forze. Queste grandezze sono di per sé grandezze estensive in quanto dipendono dalla quantità di materia che costituisce il sistema. E facile ridurre queste ultime a grandezze intensive: - la densità, definita come la massa dell unità di volume; - il volume specifico, definito come il volume dell unità di massa; - la pressione, definita come la forza che il sistema esercita sull unità di superficie del recipiente. E facile rendersi conto che, oltre queste, non ci sono altre grandezze macroscopiche misurabili direttamente. Si ricordi che, data l ipotesi di equilibrio interno del sistema, le suddette grandezze intensive devono avere lo stesso valore in qualunque punto del sistema esse vengano misurate.
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