Problemi di autoimmunità nel diabete insuiino-dipendente

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1 mi ~ Problemi di autoimmunità nel diabete insuiino-dipendente c. GIORDANO, P. RICHIUSA, G. PITICCHIO, M.S. SBRIGLIA Laboratorio di Immunologia, Cattedra di Endocrinologia, Istituto di Clinica Medica, Facoltà di Medicina, Università degli Studi, PALERMO ASPETTI ETIOPATOGENETICI Il diabete di Tipo I o 100M è una malattia autoimmune multifattoriale la cui suscettibilità è conferita dall'intervento di fattori ambientali e genetici. L'ereditarietà appare comunque poligenica ed il genotipo del sistema maggiore di istocompatibilità (MHC) rappresenta il determinante genetico più rilevante. Poichè nei gemelli monozigoti la concordanza è solo del 50%, risulta evidente che fattori ambientali diversi, non ancora precisamente identificati, sono implicati nel determinismo della malattia (1). Ad esempio, è stato dimostrato un gradiente Nord-Sud di incidenza della malattia, con un picco più alto nel Nord-Europa e più basso nelle località del bacino mediterraneo e tropicali. Sebbene ciò suggerisca l'intervento di agenti infettivi, nel topo diabetico non obeso (NOO), che rappresenta il modello animale dell'100m, l'incidenza del diabete raggiunge il 100% anche quando il topo NOO venga allevato in condizioni di sterilità. Tale risultato conferma l'importanza dei fattori genetici ed immunologici nella genesi del diabete in questo modello sperimentale. Oggi l'1 00M nel modello animale è considerato fondamentalmente come una malattia mediata dai linfociti T, che richiede la partecipazione sia delle cellule a fenotipo C08 che C04 (2). Sebbene gli studi sui modelli animali siano molteplici, a tutt'oggi i dati sperimentali non consentono di identificare con certezza le origini dell'autoreattività nell'100m, ma hanno dimostrato l'importanza di un ampio numero di pro- TABELLA l Antigeni della risposta immune dell'lddm a Autoantigeni Anticorpi Rispos ta T cellulare Insulina + + GAD65/ ICA 105 (IA-2) + Carbossipeptidasi H + + Periferina + + HSP p69 + ICA KDaAg + Gangliosidi + Granuli secretori + d'insulina (38KDa) a) da Tisch, Mc Devitt (3), modificata teine insulari espresse sulle ~-cellule, che costituiscono i principali autoantigeni bersaglio del processo autoimmune (tabella 1). (3) Altri studi hanno dimostrato l'importante ruolo delle citochine regolatorie e proinfiammatorie, fra cui l'interleuchina-1-beta (IL-1 ~ ), l'interferone-gamma (I FN-y), il tumor necrosis factor-alfa (TNF-a), l'interleuchina-4 (IL-4) e l'interleuchina-10 (IL-1O), così come l'importanza di alcune molecole accessorie (B 7,1 e B 7,2) e molecole di adesione ("very late antigen 4"). AI momento attuale le conclusioni riguardanti il possibile ruolo o importanza di un dato autoantigene ~ - cellulare nell'100m derivano da due osservazioni: la prima riguarda le note correlazioni esistenti tra reattività anticorpale (e più recentemente anche reattività T-cellulare) e progressione della malattia, sia nell'uomo che nel topo NOO; la seconda deriva da studi eseguiti sul topo NOO al fine di determinare se la risposta diabetogenica possa essere modulata in seguito a trattamento con autoantigeni o dopo trasferimento di specifici cloni di linfociti T o di entrambi. In tal senso, studi sui modelli animali e studi preliminari sull'uomo hanno mostrato che la completa distruzione ~ cellulare può essere ritardata e/o prevenuta dalla somministrazione parenterale di autoantigeni ~ -cellulari, come la decarbossilasi dell'acido glutammico (GAO), l'insulina e la "heat shock protein 60" (HSP60). La GAO è un enzima che catalizza la biosintesi del neurotrasmettitore acido y-aminobutirrico (4). La reattività T cellulare anti-gao nei pazienti 100M sembra rivolta verso una regione della GAO che contiene un'alta omologia con la proteina virale P2-C del Coxsackie B. Il fatto che infezioni da virus Coxsackie B siano implicate nel determinismo dell'100m ha condotto all'ipotesi che il riconoscimento della GAO da parte dei linfociti T potrebbe essere stimolato per un meccanismo di reattività crociata dalla risposta al virus (5). La reattività del topo NOO alla GAO ed all'insulina (ma non ad altri autoantigeni ~- ce llular i, come la HSP60, la periferina e la carbossipeptidasi H) può essere osservata già in epoca precoce, quando ancora i segni istologici dell'insulite sono minimi. Nel contempo la reattività anti-gao è osservata anche in alcuni topi NOO che, nonostante la presenza di estesi fenomeni insulitici, non diventano diabetici. Questi dati suggeriscono che il riconoscimento della GAO e dell'insulina si manifesta in una fase molto precoce del processo di malattia e che la reattività anti GAO può mediare gli eventi iniziali associati con l'insulite. L1GAND ASSAY VOL. 2 NUMERO 3 ANNO 1997

2 , Il topo NOO viene protetto dal diabete se trattato con la GAO, sia in un'età che precede l'insulite sia quando l'insulite è già estesa, a testimoniare che questo autoantigene svolge un ruolo critico nel processo di malattia (6,7)., L'insulina è un altro autoantigene ~-cellulare che sembra possedere un ruolo decisivo nell'induzione della risposta diabetogenica. Cloni di cellule T a fenotipo C04, specifici per la catena B dell'insulina, possono accelerare la comparsa del diabete nei giovani topi NOO o trasferire la malattia nel topo NOO-scid (8). Inoltre il trattamento orale o parenterale del topo NOO con insulina intera o con la sola catena B può proteggere l'animale dallo sviluppo del diabete (9). Questa protezione sembra essere mediata, almeno in parte, attraverso l'induzione di cellule T immunoregolatorie. A differenza del topo NOO trattato con GAO, gli animali riceventi l'insulina continuano ad esibire l'insulite, suggerendo che la re attività anti-insulina potrebbe essere necessaria per eventi più tardivi nella progressione della malattia. L'autoreattività osservata durante lo sviluppo dell'100m nell'uomo include anche la presenza di anticorpi diretti contro due frammenti triptici con peso molecolare di 37 e 40 kd derivati da un antigene ~-cellulare. La recente scoperta che i due frammenti triptici derivano dalla proteina tirosin-fosfatasi (IA-2) potrà aiutare, nel prossimo futuro, nel valutare la reattività T cellulare nei confronti di questo autoantigene ed il suo possibile ruolo nella risposta diabetogenica (10). Un bersaglio aggiuntivo degli autoanticorpi riscontrati nel siero dei pazienti affetti da 100M è anche la proteina p69 (ICA69). E' una proteina neuroendocrina, non specifica della ~-cellula, la cui localizzazione nell'apparato di Golgi e nel reticolo endoplasmatico suggerisce un ruolo nel trasporto e nella maturazione delle proteine cellulari. La presenza di autoanticorpi e la reattività T cellulare anti ICA69 nei pazienti 100M ne suggeriscono un possibile ruolo nella risposta diabetogenica. L'ICA69 mostra similarità strutturali con la siero-albumina bovina (BSA), tali da far ipotizzare che il consumo di latte di mucca in epoca neonatale potrebbe indurre una risposta immune crociata con l'ica69. Autoanticorpi e reattività T cellulare specifica per la HSP60 sono stati scoperti nel topo NOO (11). Resta da chiarire se questa proteina costituisce un bersaglio della risposta diabetogenica anche nel diabete umano. Il trattamento del topo NOO con il peptide p277 dell'hsp60 non solo protegge l'animale dal diabete ma è in grado di ripristinare l'euglicemia nel topo iperglicemico. La somministrazione di questo peptide è associata alla regressione dell'insulite intra-insulare ed allo sviluppo di cellule T, che adottiva mente sopprimono la malattia nei topi riceventi. Tuttavia linee di linfociti T a fenotipo C04 specifiche per l'hsp60 possono, nel topo NO O, sia bloccare che, al contrario, accelerare la malattia; pertanto permangono delle incertezze sul ruolo dell'hsp60 come bersaglio della risposta diabetogenica. Componenti non ben definite dei granuli secretori ~-cellulari costituiscono un bersaglio per la formazione di cloni di linfociti T a fenotipo C04, sia nei pazienti con 100M sia nel topo NOO (11). Oa quanto riportato in letteratura, appare evidente come gli autoantigeni ~-cellulari riconosciuti durante il processo diabetogenico siano molteplici. Rimane prioritario riuscire a distinguere tra gli autoantigeni che svolgono un ruolo primario nell'iniziare il processo autoimmune e quelli che invece stimolano la risposta autoimmune come un evento secondario al processo infiammatorio locale. Ciò potrebbe essere ottenuto, così come nei modelli animali di 100M, con la verifica del significato di questi marcatori anche nei soggetti ad alto rischio per diabete, in " cui è possibile studiare la progressione verso il diabete manifesto, sulla base della positività sierologica anticorpale rivolta verso determinanti antigenici insulari. L'identificazione dei soggetti ad alto rischio per 100M risulta fondamentale sia in termini di prevenzione secondaria, sia per le nuove acquisizioni etiopatogenetiche. AI momento della diagnosi clinica dell'100m, infatti, circa 1'80% delle cellule producenti insulina sono state distrutte e la possibilità di fenomeni rigenerativi risulta molto limitata. Oata la bassa incidenza dell'100m nella popolazione generale (0,3-0,4%) finora sono stati eseguiti studi di predizione solo nell'ambito di una popolazione selezionata, quale quella dei familiari di primo grado di pazienti affetti da 100M. I dati derivanti da questi studi indicano che la valutazione del rischio per 100M può essere eseguita con un alto grado di accuratezza sulla base dell'analisi combinata dei vari marcatori immunologici e genetici. E' da sottolineare comunque che circa il 90% dei pazienti 100M non ha un parente di primo grado affetto e quindi lo screening di una popolazione così selezionata può riuscire ad individuare solo il 10% dei futuri casi di 100M, il che in termini di prevenzione risulta alquanto insufficiente. E' stato di recente prospettato un programma di screening della popolazione generale, in cui i bambini in età scolare dovrebbero essere sottoposti al dosaggio sierologico degli ICA e, successivamente, in caso di provata positività, passerebbero alla seconda fase del programma, che prevede delle indagini più complesse (valutazione di altri marcatori immunologici, genetici e metabolici). Nella sezione successiva si affronteranno le problematiche legate alla determinazione dei differenti autoanticorpi e se ne discuteranno i vantaggi ed i limiti. METODOLOGIE PER LO STUDIO DELL'AUTO IMMUNITA' UMORALE ICA (anticorpi anti-insula) Il contrassegno dell'autoimmunità è la presenza di autoanticorpi sierici, definiti genericamente con il termine di anticorpi anti-cellule insulari (lca), diretti contro le cellule insulari pancreatiche endocrine, ma non contro la componente esocrina insulare. La "classica" forma degli ICA fu originariamente scoperta nel '74 con la tecnica dell'immunofluorescenza indiretta su sezioni criostatiche di pancreas umano da donatore di gruppo sanguigno O. Inizialmente vennero descritti come ICA citoplasmatici, per la capacità di legare determinanti antigenici intracellulari. Gli ICA appartengono alla classe IgG delle immunoglobuline, con varia distribuzione tra le sottoclassi; alcune forme di ICA hanno la capacità di fissare il complemento (CF-ICA). Attualmente sono conosciute diverse forme di ICA, distinte essenzialmente in base alla loro capacità di reagire con tutte le sottoclassi di cellule endocrine insulari LlGAND ASSAY VOL. 2 NUMERO 3 ANNO 1997

3 ? (ICA unrestricted) o solo con le ~-cellule (ICA restricted). Un'altra caratteristica degli ICA è la capacità di reazione crociata con le insule di varie specie di vertebrati, quali quelle di scimmia, di ratto, di maiale e di topo, il cui significato rimane incerto. Date le caratteristiche qualitative della metodica impiegata (l'ìmmunofluorescenza indiretta su sezioni criostatiche di pancreas), emergono alcune problematiche legate a delle variabili quali l'occhio dell'operatore, lo spessore delle sezioni criostatiche, la tecnica del congelamento dei pezzi di tessuto pancreatico. Di conseguenza si è resa necessaria una standardizzazione della metodica con comparazione dei dati ottenuti da diversi laboratori, sfruttando la tecnica del "cieco", ovvero su campioni sierici non noti, con la costruzione di curve standard, da cui poi estrapolare i dati ottenuti (12, 14). Attualmente le titolazioni sieriche finali vengono convertite in unità JDF ("Juvenile Diabetes Foundation") in seguito al confronto con una curva standard costruita impiegando i sieri di riferimento standard JDF, inviati ai diversi laboratori partecipanti alla standardizzazione degli ICA. E' definito positivo un valore superiore a 2,5 unità JDF. Gli ICA sono presenti, anche ad alto titolo, nel siero di circa il 90% dei pazienti affetti da diabete di tipo I all'insorgenza; questa prevalenza progressivamente declina fino a raggiungere il 20% a distanza di 2-5 anni dalla diagnosi (15). Successivamente gli ICA tendono a scomparire dal siero dei pazienti diabetici per l'assenza di uno stimolo antigenico a livello insulare, data la totale scomparsa del tessuto endocrino ~-cellulare pancreatico (16). In alcuni pazienti la persistenza degli ICA a distanza di anni dall'insorgenza clinica risulta associata alla positività per altri autoanticorpi circolanti, diretti contro determinanti antigenici tiroidei, surrenalici ecc. Gli ICA sono presenti nel siero dei soggetti a rischio per il diabete di tipo I e costituiscono in tal senso e fino ad oggi il marcatore immunologico più diffuso per valutare la progressione verso il diabete manifesto. Come attestato dai dati della letteratura, esiste una lineare correlazione tra la positività per ICA e la futura progressione verso il diabete manifesto. Il Bart's-Windsor Study e il Bart's Oxford Study forniscono la stima della prevalenza degli ICA nei parenti di prirno grado ed il rischio di progressione del diabete nel sottogruppo con positività anticorpale. In questi due studi il 2,2% della popolazione presa in esame risulta positiva per ICA, con un titolo uguale o superiore a 20 unità JDF (17). Questi dati sono identici a quelli ottenuti nello studio di Gainesville e di Boston (18). Il Bart's Windsor Family Study ha mostrato inoltre che il 62% dei soggetti con positività per ICA progrediscono verso il diabete manifesto in un arco di tempo variabile da 1 a 7 anni. IAA (anticorpi anti-insulina) Nel 1983 Palmer et al. scoprirono nel siero di un paziente affetto da IDDM di recente insorgenza, prima di ricevere la terapia insulinica, la presenza di anticorpi diretti contro l'insulina umana. E' la prima evidenza di un anticorpo specificamente diretto verso un antigene ~-cellulare (19). Gli IAA possiedono un'alta affinità ma una bassa capacità di legame per l'insulina, suggerendo l'esistenza di un singolo sito di legame anticorpale. Gli epitopi riconosciuti dagli anticorpi di differenti individui sono simili e di- stinti dal dominio di legame del recettore insulinico. Per diversi anni il dosaggio degli IAA è stato eseguito con l'impiego di due diverse metodiche immunometriche: "fluid-phase radioimmunoassay" (RIA) e "solid-phase enzyme-linked immunosorbent assay" (ELISA), con risultati disparati (20-22). Il quarto incontro internazionale sulla standardizzazione degli IAA, teso a valutare la specificità e sensibilità delle due metodiche in esame, ha consentito di stabilire chiaramente l'alto valore predittivo derivante dall'impiego della tecnica RIA rispetto all'elisa. Infatti, nonostante entrambe le metodiche forniscano risultati comparabili in termini di specificità, con l'impiego della tecnica RIA in fase fluida è possibile ottenere una più alta sensibilità (23). Un evidente svantaggio della metodica RIA è dato dall'impiego di una grande quantità di siero e dal lungo periodo di incubazione, necessari per eseguire accuratamente il dosaggio degli IAA. I dati derivanti dagli incontri internazionali sottolineano l'importanza di queste due variabili soprattutto in termini di sensibilità della metodica. Questo limite però ne condiziona l'impiego su vasta scala, suggerendone l'uso come secondo marcato re per la valutazione del rischio negli studi di predizione. Con l'impiego della tecnica RIA in fase fluida la prevalenza per IAA nei pazienti con IDDM neodiagnosticati, prima dell'inizio della terapia insulinica, varia tra i diversi studi dal 37% al 69%. Questo ampio intervallo di variabilità è verosimilmente legato alla distribuzione per età delle popolazioni studiate: è da sottolineare che tali autoanticorpi sono strettamente correlati all'età più giovane di insorgenza del diabete ed alla maggiore aggressività del processo autoimmune (24). Gli IAA costituiscono un utile marcatore immunologico, aggiuntivo alla positività per ICA, per identificare i soggetti ad alto rischio di progressione verso il diabete manifesto. La presenza di IAA è frequentemente associata alla positività per ICA. Infatti IAA sono presenti nel 53% dei soggetti ICA positivi e solo nel 2,7% dei soggetti negativi per ICA. La presenza di entrambi gli autoanticorpi nel soggetto in esame conferisce un più alto rischio per lo sviluppo deil'iddm. Più del 70% dei soggetti con positività per entrambi gli autoanticorpi sviluppano il diabete manifesto, mentre il 42% dei pazienti positivi solo per ICA ed il 17% dei pazienti positivi solo per IAA manifestano il diabete entro un periodo di cinque anni di follow-up (25). Anti-GAD (anticorpi anti-decarbossilasi dell'acido glutammico) Gli anticorpi anti-gad sono diretti contro un autoantigene insulare di 64 kd, la cui localizzazione cellulare e subcellulare sembra ristretta alle cellule-~ pancreatiche (4). La parallela dimostrazione di una concomitante presenza di autoanticorpi anti neuroni GASA-ergici e anti cellule-~ pancreatiche nei pazienti affetti da una rara malattia neurologica nota come "Stiff Man Syndrome" ha permesso di identificare l'autoantigene 64 kd come l'enzima decarbossilasi dell'acido glutammico (GAD), che catalizza la sintesi del neurotrasmettitore inibitorio noto come acido y-amino butirrico a partire da L-glutamato. Successivamente sono state identificate due isoforme della GAD, a diverso peso molecolare, rispettivamente di 65 e 67 kd. Il LlGAND ASSAY VOL. 2 NUMERO 3 ANNO 1997

4 cdna per la GAD umana 65 codifica per un polipeptide di 65 kd (GAD65 o GAD Il) costituito da 585 aminoacidi, mentre il cdna per la GAD67 contiene l'informazione per un polipeptide di kd (GAD 67 o GAD I), costituito da 594 residui aminoacidici. Mentre nel ratto, sia a livello neuronale che nelle cellule insulari, sembra siano presenti entrambe le forme di GAD, nell'uomo è apparentemente espressa solo l'isoforma a più basso peso molecolare, la GAD65, che risulta predominante nelle insule umane. La disponibilità di una metodica standardizzata e specifica per il dosaggio degli anticorpi anti GAD65 è di fondamentale importanza sia per lo studio del ruolo di questi anticorpi nella patogenesi deil'iddm, sia per l'uso di questo marcatore nella pratica clinica. Il dosaggio degli anticorpi anti-gad65 può essere eseguito con differenti metodiche: ELISA, "radiobinding assay" (RBA), "enzymatic immunoprecipitation assay" (EIP), immunofluorescenza e Westem blotting. La frequenza degli anticorpi anti-gad nei pazienti affetti da IDDM, con l'impiego di queste metodiche, varia considerevolmente. Sebbene questa variazione potrebbe essere parzialmente legata ad alcuni parametri, quali l'età, il sesso, le differenze etniche dei diversi gruppi studiati, essa riflette verosimilmente le notevoli differenze di sensibilità e specificità delle metodiche impiegate. La standardizzazione della metodica di dosaggio è stata oggetto di diversi incontri internazionali (26). Inizialmente venne proposto l'impiego di tessuto cerebrale corne sorgente di GAD in un sistema ELISA o in immunoprecipitazione. Tuttavia la presenza su tessuto cerebrale di entrambe le isoforme della GAD non permette una esatta discriminazione tra GAD65 e 67. Inoltre la complessità della metodica di purificazione della GAD ne rende difficile la standardizzazione tra i diversi laboratori. Sulla base dei risultati derivanti da due incontri internazionali l'uso della GAD ricornbinante in un sistema RIA in fase fluida costituisce il più valido approccio per valutare sia la sensibilità diagnostica che la specificità degli anti GAD65 e 67 per l'iddm. D'altronde è da sottolineare che gli anticorpi anti GAD65 sono diretti contro epitopi conformazionali che potrebbero risultare danneggiati o mascherati agli anticorpi leganti, dopo l'adesione dell'antigene alle piastre ("coating"), con l'impiego del sisterna ELISA. Lernmark et al. hanno inizialmente sviluppato un sistema RIA in fase fluida con l'impiego della GAD65 ricombinante umana. La presenza di contarninanti a basso peso rnolecolare, che richiedeva una successiva fase di purificazione della GAD65, ha reso il sistema non adatto alla standardizzazione tra i vari laboratori. La semi-automatizzazione della procedura e l'ottimizzazione delle tre fasi critiche (preparazione del DNA, traduzione in vitro ed immunoprecipitazione) hanno reso rninima la contaminazione dei prodotti a basso peso molecolare così da non richiedere una successiva fase di purificazione (26). Il secondo incontro internazionale sugli anticorpi anti GAD ha fornito le stirne della sensibilità e specificità derivanti dall'impiego delle diverse metodiche, sulla base dei risultati ottenuti dai laboratori partecipanti. La GAD nativa è stata impiegata come antigene in 19 dosaggi, la GAD ricombinante in 33 dosaggi. Sono state impiegate tre diverse metodiche di dosaggio: RIA, ELISA ed EIP (27). Impiegando la tecnica RIA l'antigene è stato marcato o con 35S-metionina o con Il siero è stato incubato con l'antigene ed il complesso antigene-anticorpo è stato isolato dopo reazione con le immunoglobuline sieriche preadsorbite alla fase solida o in fase liquida con l'ausilio di reattivi precipitanti. Il legame antigenico è stato quantificato dopo la misurazione della radioattività beta o gamma incorporata. Nell'ELISA l'antigene è stato immobilizzato direttamente su micropiastre o legato alla micropiastra con l'impiego di anticorpi monoclonali. Dopo l'incubazione con il siero da saggiare, il legame anticorpale è stato valutato impiegando un secondo anticorpo marcato con enzima e determinato spettrofotometricamente. Nell'El P l'antigene è stato immunoprecipitato con il siero da saggiare. La determinazione della CO2 liberata dalla reazione tra l'enzima ed il 14C glutammato è direttamente proporzionale ai livelli di autoanticorpi. La sensibilità media, impiegando la tecnica RIA in fase fluida (76,2%) è risultata più alta sia rispetto all'impiego dell'elisa (36,5%) che dell'immunoprecipitazione (49,9%) (p < 0,01). La specificità media, invece, non mostrava variazioni significative tra le diverse metodiche (RIA 89,4%; ELISA 89,4%; EIP 92,3%). Le più basse sensibilità ottenute con ELISA ed El P sono risultate legate fondamentalmente all'incapacità di queste tecniche di individuare bassi livelli di anticorpi anti-gad nei pazienti con IDDM (27). Con l'impiego della tecnica RIA in fase fluida la sensibilità diagnostica per anticorpi anti-gad65, cioè la percentuale di pazienti affetti da IDDM positivi per questi anticorpi, varia dal 75% ail'80%. La specificità diagnostica, intesa come percentuale di soggetti di controllo negativi per anticorpi anti GAD65, risulta pari al 98-99%. Inoltre non sembra che ci siano variazioni significative in termini di sensibilità di dosaggio relative all'impiego della GAD nativa e ricombinante o dipendenti dal tracciante radioattivo usato. Diversi studi eseguiti su pazienti caucasici affetti da IDDM hanno mostrato una prevalenza per anticorpi anti GAD65 pari al 75-80% nei pazienti con diabete neodiagnosticato e solo dell'1-2% nei soggetti sani. Gli anticorpi anti-gad67 sono stati riscontrati, invece, solo nel 15-25% dei pazienti IDDM ed esclusivamente nei pazienti positivi per GAD65. Questi studi dimostrano che la presenza di anticorpi anti-gad65, e non anti-gad67, è fortemente associata con l'iddm. La prevalenza per anticorpi anti GAD65 è significativamente più alta nel sesso femminile, soprattutto sotto i dodici anni di età (80% contro il 61 %). Sembra inoltre che la prevalenza degli anticorpi anti GAD65 sia legata all'età di insorgenza dell'iddm. In uno studio eseguito su 312 pazienti IDDM neodiagnosticati, la prevalenza per anticorpi anti-gad65 nei bambini di età inferiore a 9 anni (64%) è risultata inferiore sia alla prevalenza per ICA (86%) che per IAA (78%). Però, mentre la prevalenza per ICA ed IAA si riduceva con l'aumentare dell'età, la prevalenza per anti-gad65 restava invariata (80% tra anni; 78% tra anni) (28). Questi dati (6) indicano che il dosaggio degli anti-gad65 possiede una più elevata sensibilità diagnostica nel gruppo di pazienti diabetici di età più alta. Sebbene la diagnosi di diabete sia basata sul riscontro di alti livelli glicemici a digiuno o dopo stimolo, in alcuni casi, soprattutto nei pazienti adulti, riesce difficile discriminare una forma di diabete di tipo I da una forma di diabete di tipo Il, così come ligand ASSAY VOL. 2 NUMERO 3 ANNO 1997

5 riconoscere precocemente l'evoluzione verso l'insulino-dipendenza di una forma di diabete di tipo Il o di diabete gestazionale. In questi casi, l'indicazione derivante da alcuni studi è quella di eseguire il dosaggio degli anticorpi anti GA065, che costituiscono un marcatore utile di previsione dello sviluppo successivo dell'insulino-dipendenza. ICA512 (anticorpi anti-insula 512) L'ICA512 è un antigene umano ricombinante isolato da cona insulare in seguito a screening di sieri di pazienti 100M (29). La specificità della reazione con i sieri di pazienti diabetici fu inizialmente dimostrata con tecnica di immunoprecipitazione su un numero molto esiguo di sieri diabetici e di controllo. Per permettere un test rapido e quantitativo l'ica512 è stato purificato ed adattato alla metodica ELI SA. L'analisi della sequenza aminoacidica suggerisce che l'ica512 è il dominio solubile di una molecola transmembrana con alta omologia per la famiglia delle protein-tirosin-fosfatasi. L'mRNA per l'ica512 risulta particolamente abbondante nel cervello e nelle insule umane e potrebbe essere coinvolto nei meccanismi di modulazione del segnale o di secrezione (29). 37/40 KD (anticorpi contro antigeni insulari di kda) Christie et al. hanno riportato per primi l'esistenza di distinte specificità anticorpali dirette contro differenti polipeptidi dell'antigene 64 kd, inizialmente identificato come bersaglio elettivo degli anticorpi anti-ga065 (30). Evidenze sperimentali derivano da studi eseguiti su immunoprecipitati degli antigeni a 64kd, in seguito a trattamento con proteasi. Sono stati ottenuti tre frammenti a peso molecolare 50, 37 e 40 kd rispettivamente; gli ultimi due frammenti sono stati identificati come antigeni a 37/40 kd. Gli anticorpi diretti contro questi antigeni si riscontrano nel siero dei pazienti affetti da 100M e soprattutto nei soggetti non diabetici ad alto rischio di progressione verso il diabete. La loro presenza è associata con l'esordio acuto della malattia ed ha migliorato i parametri di predizione. Infatti, la positività per anticorpi anti-37/40 kd si è rivelata accorciare i tempi del follow-up sia nei familiari di pazienti 100M, che nella popolazione di scolari in studio, in quanto ICA negativi (=13) ICA positivi (=37) IAA GAD IAA ICAS12 ICAS12 FIGURAI Frequenza degli autoanticorpi dosati con metodica RIA in 50 pazienti diventati diabetici durante ilfollow-up. Da Verge et al (3I), mod(ficata , la loro positività è stata associata ad una breve distanza con lo sviluppo dell'100m. E' invece risultata più indaginosa l'identificazione dell'antigene 37kd in relazione soprattutto alle somiglianze con l'antigene IA2, da cui si distingue per alcuni gruppi di carboidrati. Chiaramente esiste una struttuta simile all'antigene IA-2 giacchè la ricombinante IA-2~ o phogrin inibisce gli anticorpi anti37kd. Le sequenze dell'ia2 e dell'ia-2~/phogrin sono molto simili nel domai n citoplasmatico, ma sembrano legarsi a differenti recettori con diverse funzioni fisiologiche. Mentre si sta cercando sempre più di capire le differenze esistenti fra questi autoantigeni, si sta studiando, vista la loro elevata capacità di predizione, un sistema di microdosaggio di questi anticorpi al fine di rendere il loro impiego utilizzabile in screening su vasta scala. CONCLUSIONI Alla luce di quanto sopra esposto, ovvero sulla base delle possibilità di predire la progressione verso l'100m, si è creato un gruppo multicollaborativo di circa 20 laboratori con la denominazione di ICARUS (Islet Celi Antibody Register Users Study), con lo scopo di riunire i dati per migliorare la predizione nelle popolazioni studiate. Ogni laboratorio partecipante ha dosato i sieri per ICA e IAA, che poi successivamente sono stati inviati al laboratorio di riferimento. Su 456 parenti di primo grado con positività degli ICA, ben 108 hanno sviluppato l'100m nel corso dello studio. Lo studio ha rivelato che molti fattori si combinano determinando il rischio di progressione, fra cui la familiarità per 100M, il genotipo, l'età, la positività degli ICA e degli altri autoanticorpi anti-gao, IA-2 ecc. Il significato prognostico si modifica in base alla presenza o assenza di ognuno di questi fattori. ICA e IAA danno un rischio di progressione del 59% nella coorte dell'icarus, mentre nel gruppo di Boston è risultato del 48% e del 50% nel gruppo di Seattle (31,32). Il fattore età diviene importante, come sottolineato inizialmente dal gruppo di Gainseville, determinando nei soggetti ICA positivi con età inferiore a 10 anni un rischio del 54% per lo sviluppo dell'100m entro 5 anni di osservazione contro un rischio di solo il 10% per coloro con età superiore a 40 anni. Il gruppo di Oenver ha ancora più recentemente evidenziato come la presenza di due o più autoanticorpi determinati mediante radioassay (IAA, GAO e ICA512/IA-2) è altamente predittivo del rischio di 100M nei familiari di primo GAD grado indipendentemente dall'età e dalla positività degli ICA (tabella 2) (33). La stima di quest'ultimo studio risulta, per la presenza di uno o più autoanticorpi del 46%, entro 5 anni di follow-up con una sensibilità del 98% e specificità del 98,5%, mentre la presenza di due o più autoanticorpi assume il 68% di valore predittivo con 1'80% di sensibilità ed il 100% di specificità. La presenza di tutti e tre gli autoanticorpi conferirebbe il 100% di valore predittivo, il 52% di sensibilità ed il 100% di specificità (Fig.1) (31). Nell'analisi dei dati provenienti dalle varie casistiche internazionali si osserva LlGAND ASSAY VOL. 2 NUMERO 3ANNO 1997

6 TABELLA 2 Differente espressione autoanticorpale a Parenti di primo grado Anticorpi Prole di padre Pro le di madre diabetico Il = 150 di abetica n = 137 % % IAA Il 0,7 GAD65AA 13 5,1 ICA512/1A-2AA 5,3 O PhogrillAA N.D. N.D. a) Da Kawasaki, Eisenbarth (33), modificata N.O. = Non determinato Fratelli ICA+ n = n = Il (%) (%) 6, ,3 9 N.D. N.D. Diabetici neodiagnosticati e parenti prediabt:tici DR4+ Non DR4 Età < 5a" 5-9aa 10-14aa ~ 15aa n=44 n =20 n = 1\ n = 33 n =39 n= 18 (%) (%) (%) (%) (%) (%) come la creazione di registri è oggi da considerare estremamente utile ai fini di standardizzare e analizzare i dati relativi ai differenti studi. BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE 1. Barnett AH, Eff C, Leslie EC et al. Diabetes in identical twins: a study of 200 pairs, Diabetologia 198 1; 20: Wiker LS, Todd JA, Peterson LB. Genetic controi of autoimmune di abetes in the NOD mouse. Ann Rev Immunol1995; 13: Tisch R, McDevitt H. Insulin-dependent diabetes meiiitus. Celi 1996; 85: Baekkeskov S, Aanstoot HJ, Christgau S et al. Identification fo 64K autoantigen in insulin-dependent diabetes as the GABA-synthesizing enzyme glutamic acid decarboxylase. Nature 11 90; 347: Atkinson MA, Bowman MA, Campbell L et al. Cellular immunity to a determinant common to glutamic acid decarboxylase and coxsackie virus in insulin-dependent diabetes. 1 Clin Invest 1994; 94: Kaufman DL, Clare-Saltzier M, Tian J et al. Sponatneous Ioss 01' T celi toierance to glutamic acid decarboxylase in murine ins ulin dependent diabetes. Nature 1993; 366: Elliot JF, Qin HJ, Bhatti S et al. Immunization with the larger isoform of mouse glutamic acid decarboxylase (GAD67) prevents au toimmune diabetes in NOD mice. Diabetes 1994; 43: Daniel D, GiII RG, Schloot N et al. Epitope specificity, cytokine production profile and diabetogenic activity of insuiin-specific T-celi ciones isolated from NOD mice. Eur 1 Immunol 1995; 25: Zhang ZJ, Davidson L, Eisenbarth G et al. Suppression of diabetes in nonobese diabetic mice by oral administration of porcine insulin. Proc NatI Acad Sci USA 199 1; 88: Passini N, Larigan JD, Genovese S et al. The Kilodalton autoantigen in insulin dependent diabetes mellitus is the putative tyrosine phosphatase IA-2. Proc Nati Acad Sci USA 1995; 92: Roep BO, Arden SD, Devries RR et al. T celi ciones from a type l diabetes patient respond to insulin secretory granule proetins. Nature 1990; 345: Bottazzo GF, Gleichmann H. lmmunology and Diabetes Workshops: Report of the First International Workshop on the Standardisation 01' Cytoplasmic IsIet Celi Antibodies. Diabetologia 1986; 29: Bonifacio E, Dawkins RL, Lernmark A. ImmunoIogy and Diabetes Workshops: Report of the Second International Workshop on the Standardisation of Cytoplasmic Islet Celi Antibodies. DiabetoIogia 1987; 30: Boitard C, Bonifacio E, Bottazzo GF et al. ImmunoIogy and Diabetes Workshop: Report on the Third International (Stage 3) Workshop on the Standardisation of Cytoplasmic lslet Celi Antibodies. Diabetologia 1988; 25: Spencer KM, Dean BM, Tarn A et al. Fluctuating islet celi autoimmunity in unaffected relatives of patients with insulin dependent diabetes. Lancet 1984; I: Srikatana S, Eisnebarth GS. Disappearing anti-islet antibodies? Lancet 1984; 1: BingIey PJ, Gale EAM. Prediction 01' Type l Diabetes: the Bart's-Windsor Family Stlldy. In: Immunotheraphy of Type l Diabetes, Andreani D, Kolb H, Pozzilli P. Eds 10hn Wiley, Chichester, 1989; MacIaren N, Riley W, Silverstein J et al. Progress towards the prevention 01' insll lin-dependent diabetes: the Gainesville Studies. In: Immllnotherapy of Type l Diabetes, Andreani D, Kolb H, Pozzi lli P, Eds 10hn Wiley, Chichster, 1989; Palmer JP, Asplin CM, Clemons P et al. Insulin autoantibodies in insulin-dependent diabtes before insulin treatment. Science 1983 ; 222: Wilkin TJ, Palmer J, Bonifacio E et al. First International Workshop on the Standardisation of Insulin Autoantibodies. Diabetologia 1987; 30: Wilkin TJ, Palmer J, Kurtz AB et al. The Second International Workshop on the Standardisation of Insulin Autoantibody (IAA) measurement. Diabetologia 1988; 31: Palmer J, Wilkin TJ, Kurtz AB et al. The Third International Workshop on the Standardisation on LlGAND ASSAY VOlo 2 NUMERO 3 ANNO 1997

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