Relazione P. Antonio Rovelli IMC

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1 FORMAZIONE GRUPPI MISSIONARI Ciriè, 11 novembre 2013 Relazione P. Antonio Rovelli IMC Sono contento di essere missionario, mi sento pienamente realizzato qui. Se uno di voi dovesse chiedermi se sento nostalgia dell Africa, direi: sì ma fino ad un certo punto. Sono convinto che la missione oggi o è globale on non è. Ho ricordi particolari di Kampala, di quelle persone, ma sono convinto che posso fare tanto per loro anche da qui. Sono convinto che non si tratta più di un fare esperienza di missione. Dove sei stato in missione? : è una domanda che a volte mi irrita, è come se dicessi che io qui non sono in missione. Io mi sento missionario al cento per cento e a tempo pieno anche qui. Cosa si fa di missione qui? Noi facciamo fatica a usare questo nuovo linguaggio ed è quello che io cercherò di presentarvi. Dovessimo fare un gioco, una dinamica e chiedere a ciascuno di voi di scrivere un sinonimo di missione, una parola che richiama missione, un significato, sono sicuro che probabilmente tutti scriveremmo una parola diversa dall altra, perché la parola missione richiama tante cose, non è più univoco il significato di missione, così come lo era anni fa. Questo perché il mondo cambia e la Chiesa cambia dentro i l mondo. Si tratta di ricollocarci in un modo diverso, dentro questo mondo che cambia per rispondere pienamente al mandato di Cristo: andate e portate la buona notizia in tutto il mondo. Oggi missione significa avere un occhio che è attaccato alla realtà in cui vivi e l altro occhio al lontano. C è una missione lontano che ha una caratteristica geografica, ma c è una missione che è declinata verso i lontani, non necessariamente quindi con una caratteristica geografica: i lontani sono qui oggi. Se scattassimo una foto alla missione, sarebbe sfuocata, mossa, è una realtà complessa che abbraccia tantissime dimensioni. Ma questo è il bello che non deve spaventarci: stiamo ancora cercando di capire e ridefinire il mandato di Gesù: che cosa vuol dire oggi proclamare una buona notizia? Che sia buona innanzitutto, e che sia notizia tra le migliaia di notizie che ci vengono propinate oggi. Quindi una fotografia mossa: che cosa è successo? La globalizzazione ha portato via tutto, ci ha obbligati a ridefinire, a ripensare, noi che tradizionalmente ci pensavamo come missionari che andavano, anche geograficamente. C è un espressione tecnica: si parlava di gentes, che significa popoli, le genti, con una preposizione ad gentes che aveva anche una collocazione geografica, territoriale. La globalizzazione sta definendo i parametri della missione ad gentes, perché ha reso disponibili, grazie alle migrazioni, i popoli, le genti, che sono qui, intorno a noi, vivono insieme con noi, negli stessi condomini, pregano insieme con noi. Il territorio è stato sostituito dall agorà, da altri luoghi, di carattere antropologico, dove ci sono le persone che sono lontane. Una parola tecnica: areopago, un luogo di incontro di socializzazione, ai tempi di paolo, dove la gente si trovava, i sapienti, i filosofi. Ai bordi di questo areopago c erano le varie nicchie dove venivano custodite le immagini degli dei a cui si offrivano sacrifici. Quali sono alcuni di questi areopaghi? Giovanni Paolo II nell enciclica Redemptoris Missio, segnala come areopaghi: il mondo della comunicazione che deve essere evangelizzato, dove la buona notizia deve risuonare; il mondo della città: più della metà della popolazione mondiale vive nelle città, non più nelle campagne, un altro luogo di evangelizzazione, dove ci sono tantissimi bisogni, dove c è bisogno di proclamare la buona notizia, anche a Torino, pensiamo al mondo dei migranti, dei profughi, di coloro che sono costretti a lasciare la propria terra per sopravvivere. Le genti sono tutte intorno a noi.

2 Quale è stato il passaggio? Le direzioni fornite in passato dal colonialismo sono cambiate, in quanto oggi i missionari vengono e vanno da tutto il mondo, dall Africa e dall Asia. Pensate che la Corea è la nazione con il più alto numero di missionari sparsi nel mondo. Papa Francesco, nel messaggio per la Giornata Missionaria Mondiale, dice: le stesse giovani Chiese si stiano impegnando generosamente nell invio di missionari alle Chiese che si trovano in difficoltà... Oggi la missione si fa globale, abbraccia il mondo intero, è multi-direzionale. Sempre Papa Francesco nel messaggio per la Giornata Missionaria Mondiale: La missionarietà non è solo una questione di territori geografici, ma di popoli, di culture e di singole persone, proprio perché i confini" della fede non attraversano solo luoghi e tradizioni umane, ma il cuore di ciascun uomo e di ciascuna donna. La distanza non è più l unico e assoluto criterio per definire la missione della Chiesa. Oggi si parla più di distanze sociali, di distanze di carattere culturale e religioso. Le gentes, coloro che hanno bisogno di essere evangelizzate sono tutte intorno a noi, ovunque c è bisogno dell annuncio del Vangelo. La mobilità, le migrazioni hanno trasformato il mondo in una specie di universale crocevia dove il cammino dei popoli viene ad incontrarsi. I confini geografici diventano sempre di più antropologici, luoghi di incontro, di contaminazione e noi, come missionari, dobbiamo metterci proprio lì, in questi snodi esistenziali, in questi crocevia, dobbiamo imparare ad abitare i confini, non solo ad attraversarli. Pensate a tutto il mondo nascosto dei cinesi che vivono a Torino: persone, si stima, perché sono sconosciuti, è il gruppo forse più difficile da decifrare. Pensate alle barriere che caratterizzano la città di Torino e dove si sono concentrati soprattutto gli immigrati della prima ora, degli anni 60, e dove c è stata una immigrazione della seconda ora, quella multi colorata, per capirci. Quali sono gli snodi dove dobbiamo essere: il mondo giovanile, che è così apparentemente lontano da un discorso, definiamolo di religione. Chi è indifferente, i cristiani a singhiozzo, le nuove povertà, le fabbriche, dove c è disperazione e incertezza. Il catecumenato come cammino di rinascita per riscoprire la fede o per comprenderla e abbracciarla. Non tanto, dunque, una Chiesa che ha missioni, ma una chiesa che è costantemente in stato di missione. È una Chiesa che, a livello globale, si sente in missione, che è in missione, non solo che fa missione o che ha delle missioni, territori dove costruisce dispensari, chiese, catechesi, celebra. Il crocevia è un luogo di incontro, è un agorà di scambio, di mutua sollecitazione. La missione vi si configura come dialogo, relazione, interazione, nell umiltà, camminando insieme agli uomini e alle donne di buona volontà. Quindi, dalle missioni alla missione globale, dal territorio alla persona, al luogo dell incontro, dal centro alla periferia, al confine, dal lontano geograficamente ai lontani, che possono essere i tuoi vicini di casa, ma che sono i lontani per tanti motivi. Facciamo un secondo passaggio: con che stile oggi vivere la missione globale? Le gentes è missione e continuamente dovremo prendere l aereo e lasciare, ma le gentes le troviamo anche qui, abbiamo detto. Quindi, che stile di missione per noi oggi, qui? Penso che dobbiamo imparare di nuovo a vivere, essere e fare la missione. E da chi? Dobbiamo impararla da Gesù, è lui il Vangelo. Noi non possiamo ridurre la missione alla fine della vita di Gesù. La missione non inizia dal mandato andate in tutto il mondo, ma la missione è iniziata dal momento in cui Gesù ha chiamato i primi quattro pescatori, dicendo venite dietro di me e imparate, io vi faccio vedere la missione in azione, dietro di me e ha voluto la gente sempre dietro di lui per

3 imparare, li portava davanti alla folla, loro non capivano quando parlava, quando predicava, agli ultimi. Ha rotto tutte le barriere, anche se non ha viaggiato come S. Paolo, ma ha superato ogni tipo di discriminazione e di confine, di carattere culturale, religioso, sociale; ha toccato i lebbrosi, si sedeva con i peccatori. Ci sono alcune affermazioni di Papa Francesco, quando ha parlato ai partecipanti del Pontificio Consiglio per la promozione della Nuova Evangelizzazione: dice che la nuova evangelizzazione deve essere ben centrata sull essenziale, cioè su Gesù Cristo. Già Paolo VI diceva che la missione si fa seguendo Gesù Cristo, il primo e il più grande evangelizzatore (Evangelii Nuntiandi, 7) Quindi l invito che vi faccio è quello di tornare nuovamente a gustare, ad imparare da Gesù, a rileggere il Vangelo: poi ci sono scelte, c è uno stile che dobbiamo adattare alla nostra realtà. Di fatto Gesù ci insegna uno stile di missione che ha a che fare con l essere continuamente itineranti, col gustare della presenza degli altri, quindi abbiamo bisogno di una forte spiritualità, di tornare a Gesù per imparare da Lui. Ma noi stessi intorno a un tavolo, una lettura nostra, con qualcuno che ci accompagna, per imparare da Lui. Sentite cosa dice Papa Francesco nel testo per la Giornata Missionaria Mondiale: La missionarietà della Chiesa non è proselitismo, bensì testimonianza di vita che illumina il cammino Questo è un passaggio epocale, un tempo si andava in missione per battezzare essenzialmente, era la prima cosa. Ma il Papa dice: non è proselitismo, bensì testimonianza. Se tu testimoni e sei entusiasta di quello in cui credi e lo racconti, sei coinvolgente, allora la gente sarà attratta da quello che tu dici, La Chiesa - lo ripeto ancora una volta - non è un organizzazione assistenziale, un impresa, una ONG, ma è una comunità di persone, animate dall'azione dello Spirito Santo, che hanno vissuto e vivono lo stupore dell incontro con Gesù Cristo e desiderano condividere questa esperienza. Missione: vivere lo stupore dell incontro con Gesù e condividere questa esperienza. Tutto il resto viene dopo: le strutture, l aiuto, la beneficienza, se è motivato dall esperienza fondamentale dello stupore, Gesù che è sempre una novità che ti stupisce. Noi abbiamo in mano qualcosa che dovrebbe suscitare stupore e lo riduciamo, lo anestetizziamo, lo mettiamo dentro le nostre categorie. Nel Vangelo lo scandalo non è tanto di carattere morale, ma ha a che fare con la fede. Quando Pietro e gli altri hanno visto che Gesù veniva portato via, ammanettato, imprigionato, processato si sono scandalizzati: non è questo che pensavamo. Andate e riferite a Giovanni ciò che avete visto e udito: i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciata la buona notizia. E beato è colui che non trova in me motivo di scandalo!". (Lc 7,22-23) Pensiamo allo scandalo della croce e del perdono sulla croce, fino all ultimo, questo è lo scandalo che dovremmo dare, dobbiamo tirare fuori: nuova evangelizzazione significa tirare fuori dal Vangelo questa novità, perché Gesù deve essere una novità per noi. Se dice sempre le stesse cose è perché noi vogliamo che dica sempre le stesse cose. Vivere lo stupore dell incontro con Gesù; se non ce lo presentano come una persona che entusiasma, per cui vale la pena dare la vita, chi lo segue più? Le parole del Papa sottolineano questo: il proselitismo viene dopo e così deve essere. Il Papa usa molto due parole: misericordia e tenerezza. E Gesù non le ha forse vissute? È lui che ce le ha mostrate, il volto di un Dio misericordioso che non giudica, ma che è pronto ad accogliere chi è andato via e che è tornato e lo ha perdonato ancor prima che si pentisse. Qui ci giochiamo tutto, in una forte spiritualità,

4 voler bene a Gesù, lasciare che ci dica anche oggi, qui, che cosa vuol dire essere e diventare buona notizia. Dobbiamo tornare al seguito di Gesù, non è questione di avere una tecnica, ma è questione di sapere che come, concretamene, e con che stile oggi, io devo cercare di essere missionario. Alcuni atteggiamenti più pratici, concreti, di stile. L umanità. Dobbiamo oggi proclamare un Vangelo che abbia il sapore di umanità, che sappia fermarsi per incontrare le persone, che profumi di gratuità, che sappia costruire relazioni fraterne. Papa Francesco quando parlava al Pontificio consiglio per la promozione della Nuova Evangelizzazione: Sappiamo tutti che la crisi dell umanità contemporanea non è superficiale, è profonda. ( ) C è bisogno di cristiani che rendano visibile agli uomini di oggi la misericordia di Dio, la sua tenerezza per ogni creatura. Come missionari, all inizio si va a piedi perché si vuole conoscere,dopo un po di anni si prende la macchina e la macchina va in fretta, perché si hanno troppe cose da fare, e perdi di vista le persone, inizia la frenesia. Quando parlo di umanità significa camminare al passo con gli altri, basta con i sentieri delle norme, delle regole fredde. E questo si lega alla prossimità. Amare il prossimo non è facile, qui dobbiamo stare attenti. È molto più facile amare qualcuno che non vediamo, che è lontano, l africano del Kenya, Tanzania, Rwanda, Burundi. Ma quando ce li troviamo qui facciamo più fatica. La prossimità, perché oggi facciamo fatica, siamo sospettosi, abbiamo paura gli uni degli altri. Oggi con i social network siamo più vicini a chi è a chilometri di distanza che prossimi a chi effettivamente ci è vicino: abbiamo gli amici su Facebook che sono in tutto il mondo e facciamo fatica a creare delle amicizie che sono vicine, accanto a noi. Quindi l umanità, la prossimità, l incontro. Papa Francesco ha delle bellissime parole nel messaggio che ha scritto per la giornata dei Migranti e rifugiati del gennaio Parla di: superamento di pregiudizi e precomprensioni nel considerare le migrazioni, del superamento di sospetti e ostilità. Dice: è necessario un cambio di atteggiamento verso i migranti e rifugiati da parte di tutti; il passaggio da un atteggiamento di difesa e di paura, di disinteresse o di emarginazione che, alla fine, corrisponde proprio alla cultura dello scarto ad un atteggiamento che abbia alla base la cultura dell incontro. Quindi il passare dal sospetto, alla paura, dal pregiudizio all incontro. E noi questo dobbiamo farlo, noi in modo particolare. Sappiamo che c è una grossa difficoltà, ci tolleriamo, ma la tolleranza non è sufficiente, dobbiamo iniziare a interagire, anche a livello ecclesiale, di comunità. Seguo le comunità migranti, ma è un passaggio temporaneo, un domani non avrà più senso avere i gruppi linguistici, perché dovremmo diventare un tutt uno nelle medesime comunità parrocchiali, territoriali. È un passaggio graduale che già nelle giovani generazioni si vede, nei bambini al catechismo, nelle scuole. Quindi superare il sospetto, la paura, i pregiudizi, anche a livello ecclesiale, ma si fa fatica, da una parte e dall altra. Noi spingiamo da entrambe le parti in modo tale che ci sia l incontro e una piena integrazione, che ci sia un unica comunità cristiana, come ci sia un unica città per tutti. L incontro non è facile. Che bello sarebbe se noi offrissimo una possibilità a questi nostri fratelli e sorelle di raccontarsi. Siamo sempre noi a parlare dell Africa. Avete mai sentito parlare uno zingaro, o una zingara, raccontarvi la sua storia? Aiuta molto perché fa capire tante cose: perché si veste in un certo modo, perché le trecce lunghe, perché quelle gonne? Noi poi diciamo rom e sinti come se fossero

5 un unica pianta, invece sono diverse ramificazioni, dalla Romania, dal Montenegro, dalla Moldova. Noi mettiamo tutto insieme. Dunque creare posti, luoghi dove ci si racconta e ci si incontra e ci si capisce. Quindi, umanità,prossimità, incontro, umiltà. Qui vi lascio l icona del pozzo della samaritana. Gesù ha sete, anche lui ha bisogno, è stanco e ha sete. All inizio non sta la potenza dei mezzi, ma la povertà di una condivisione reale della medesima condizione. Tante volte noi, passatemi l espressione, in missione, noi arriviamo con la potenza dei mezzi, con le tasche piene e i conti in banca pieni e questo condiziona i rapporti. Mentre in questo caso Gesù ci insegna il cammino di Dio, dell incarnazione, della kenosis, ho sete, non solo in croce l ha detto, ma anche lì. Da questo nasce una relazione schietta e sincera con la samaritana, alla pari, due punti di vista differenti, ma hanno discusso, liberamente. Tutto comincia proprio perché ci si accorge che qualcuno, da povero, condivide la fatica della strada, condivide la tua povertà. Un altro atteggiamento è quello di partire dalle periferie, dagli esclusi, dagli insignificanti, perché la realtà si capisce meglio non dal centro, ma dalle periferie, l ha detto Papa Francesco il 26 maggio 2013, dalle barriere, dai confini, dove c è la frizione, lo scontro. Vi ricordate le due domande a Lampedusa che il Papa ci ha lanciato? Adamo, dove sei, Dio dice a ciascuno di noi. E poi a Caino: Dov è tuo fratello?. Penso alle periferie, a palazzi occupati dai profughi a Torino: 60 somali; 70 sudanesi; 400 profughi da Eritrea, Libia, Costa d Avorio, Somalia, Sudan, Mali, Tunisia, Egitto, Nigeria. L Africa che è qui e che scappa e ce la troviamo ad occupare, noi che abbiamo occupato l Africa. Penso alle periferie, ai campi rom a Torino: 4 autorizzati, 10 abusivi. Si sta pensando, per problemi di sicurezza quotidiani, di smantellarne almeno uno: persone, cosa fare? Si collabora intorno a un tavolo. Il nostro Vescovo nel 2012 ha scritto una lettera pastorale Non stranieri, ma concittadini e familiari di Dio ai popoli rom e invitava le parrocchie e le famiglie ad aprire le case. Facile amare l Africa là, e l Africa qua? che facciamo? Per noi, missione oggi qui significa abitare le periferie e i confini per mantenere alta l attenzione dei media e della comunicazione su queste periferie internazionali che non contano niente. Delle Filippine dopodomani non sapremo più niente, dei 10-15mila morti e chissà quanti altri, così è stato per Haiti, per lo tsunami, per i 300 e più annegati a Lampedusa. Troppe notizie che ci frastornano: dobbiamo valorizzare la presenza dei nostri fratelli e sorelle che sono qui, offrire loro occasioni per incontri, scambi, arricchimento, dobbiamo alzare la voce e denunciare dove ci sono ingiustizie. Un altra parola molto importante della missione oggi qui è l accoglienza, che Papa Francesco ha declinato quando ha parlato al Centro Astalli (10 settembre 2013) con servire, accompagnare, difendere. Ha parole dure: Non basta dare un panino se non è accompagnato dalla possibilità di imparare a camminare con le proprie gambe.( ) La misericordia vera, quella che Dio ci dona e ci insegna, chiede la giustizia ( ) difendere, vuol dire mettersi dalla parte di chi è più debole. Quante volte leviamo la voce per difendere i nostri diritti, ma quante volte siamo indifferenti verso i diritti degli altri! ( ) dare voce alla voce di chi come voi ha sofferto e soffre ( ) Un altra parola per la missione oggi è cooperare, comunione. A Torino c è un sacerdote cinese, ufficialmente voluto dalla Chiesa per accompagnare, non per proselitismo, ma per essere una presenza per il mondo cinese a Torino. Don Marco, prete diocesano, è stato Fidei donum in Kenya per cooperare. Il CMD è definito tavolo di comunione. Quanti gruppi, anche qui nella zona: dobbiamo lavorare insieme per non disperdere le

6 forze. Anche la parola comunione declina la missionarietà oggi della Chiesa: il dialogo è un altra di queste parole. Concludo: la novità, non dobbiamo rassegnarci, ma essere aperti sempre alla novità di Dio. Papa Francesco, in Piazza San Pietro, domenica 19 maggio 2013, il giorno di Pentecoste, alla Messa con i movimenti ecclesiali. Tre cose ha detto loro: missione, armonia, novità. Ecco ciò che ha detto sulla novità: La novità ci fa sempre un po di paura, perché ci sentiamo più sicuri se abbiamo tutto sotto controllo, se siamo noi a costruire, a programmare, a progettare la nostra vita secondo i nostri schemi, le nostre sicurezze, i nostri gusti. E questo avviene anche con Dio. Spesso lo seguiamo, lo accogliamo, ma fino ad un certo punto; ci è difficile abbandonarci a Lui con piena fiducia, lasciando che sia lo Spirito Santo l anima, la guida della nostra vita, in tutte le scelte; abbiamo paura che Dio ci faccia percorrere strade nuove, ci faccia uscire dal nostro orizzonte spesso limitato, chiuso, egoista, per aprirci ai suoi orizzonti. Ma, in tutta la storia della salvezza, quando Dio si rivela porta novità - Dio porta sempre novità -, trasforma e chiede di fidarsi totalmente di Lui: Noè costruisce un arca deriso da tutti e si salva; Abramo lascia la sua terra con in mano solo una promessa; Mosè affronta la potenza del faraone e guida il popolo verso la libertà; gli Apostoli, timorosi e chiusi nel cenacolo, escono con coraggio per annunciare il Vangelo. Non è la novità per la novità, la ricerca del nuovo per superare la noia, come avviene spesso nel nostro tempo. La novità che Dio porta nella nostra vita è ciò che veramente ci realizza, ciò che ci dona la vera gioia, la vera serenità, perché Dio ci ama e vuole solo il nostro bene. Domandiamoci oggi: siamo aperti alle sorprese di Dio? O ci chiudiamo, con paura, alla novità dello Spirito Santo? Siamo coraggiosi per andare per le nuove strade che la novità di Dio ci offre o ci difendiamo, chiusi in strutture caduche che hanno perso la capacità di accoglienza? Fidati di Lui e troverai nella tua vita sempre la novità, che ti rende felice e realizzato in quello che il Signore vuole per te. Lasciamoci guidare e apriamoci alla novità di Dio. (trascrizione non rivista dal relatore)

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