Note del corso di Laboratorio di Programmazione e Calcolo: Soluzione numerica di equazioni non lineari

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1 Corso di laurea in Matematica SAPIENZA Università di Roma Note del corso di Laboratorio di Programmazione e Calcolo: Soluzione numerica di equazioni non lineari Dipartimento di Matematica Guido Castelnuovo SAPIENZA Università di Roma

2 Indice Capitolo 1. Equazioni non lineari in R Localizzazione e separazione delle radici di una equazione Il metodo di bisezione 3 Capitolo 2. Iterazioni di punto fisso Convergenza del metodo Criteri di arresto 8 Capitolo 3. Il metodo di Newton Interpretazione grafica del metodo di Newton Convergenza del metodo di Newton Approssimazione iniziale nel metodo di Newton 11 Capitolo 4. Modifiche al metodo di Newton Il metodo delle secanti 13 1

3 CAPITOLO 1 Equazioni non lineari in R Data una funzione f : E R f (E) R, risolvere numericamente l equazione non lineare f (x) = 0 (1.1) significa separare le radici dell equazione e approssimarle secondo l accuratezza richiesta. DEFINIZIONE 1.1. Si dice che ξ E è radice o soluzione dell equazione (1.1), ovvero zero della funzione f, se risulta f (ξ) = 0. DEFINIZIONE 1.2. Si dice che una radice ξ della equazione (1.1) è stata separata se è stato determinato un intervallo [a, b] contenente ξ ma nessuna altra radice di (1.1). L approssimazione numerica degli zeri di una funzione viene generalmente fatta in modo iterativo, costruendo una successione {x (k) } k 1 tale che k x(k) = ξ. Naturalmente, un metodo funziona meglio di un altro se, a parità di complessità computazionale della costruzione della approssimazione x (k) di ξ, con k 1, il numero di iterazioni necessarie per raggiungere la precisione richiesta è minore, ovvero il metodo converge più velocemente. Nell ambito del problema della soluzione numerica di equazioni non lineari, la complessità computazionale del metodo iterativo scelto può essere misurata approssimativamente in numero di valutazioni di funzione di una iterazione; si ha poi la seguente definizione di ordine di convergenza del metodo. DEFINIZIONE 1.3. Un metodo è di ordine r (ovvero converge con ordine r ) se C > 0,k 0 N : x (k+1) ξ x (k) ξ r C, k k 0. Inoltre, se r = 1 la costante C, che prende il nome di fattore di convergenza, deve essere strettamente minore di 1. Evidentemente, dunque, se esiste il numero reale C (0, 1) e l intero non negativo k 0, tali che x (k+1) ξ x (k) C, k k 0, ξ 1

4 2 allora il metodo converge con ordine 1; in tal caso si parla di convergenza lineare. Se r > 1 si parla di convergenza superlineare e se r = 2 di convergenza quadratica. OSSERVAZIONE 1.1. Se il metodo converge con ordine r : 1 < r < 2, e dunque evidentemente vale k x (k+1) ξ x (k) ξ = 0, k x (k+1) ξ x (k) ξ 2 =, allora la convergenza è superlineare ma non quadratica Localizzazione e separazione delle radici di una equazione Le radici della equazione (1.1) sono le ascisse dei punti di intersezione del grafico della f con l asse x e possono nei casi più comuni essere localizzate con sufficiente accuratezza. Nello studio del problema abbiamo validi strumenti dal Calcolo. Come è noto, l esistenza di una radice ξ in un intervallo [a,b] segue immediatamente dal teorema dell esistenza degli zeri se siamo nell ipotesi di continuità della funzione f in [a,b] e se vale f (a) f (b) < 0. Per quanto riguarda la questione dell unicità della radice, se f in [a,b] è continua e monotona crescente (o decrescente), allora essa assume un unica volta il valore 0 se vale f (a) f (b) < 0, dunque ha un unica radice ξ nell intervallo (a,b). Una ben nota caratterizzazione, se f : C 0 [a,b] R è derivabile in [a,b], è la seguente: f è monotona crescente (o decrescente) in [a,b] se e solo se f (x) > 0 (o se e solo se f (x) < 0) per ogni x [a,b]. ESEMPIO 1.1. f (x) = e x 1 è monotona crescente in (, ). Introduciamo inoltre la nozione di convessità, che ci permetterà di enunciare il Teorema 1.6. DEFINIZIONE 1.4. La funzione f : C 0 [a,b] R si dice convessa in [a,b], se f (λx + (1 λ)y) λf (x) + (1 λ)f (y), x, y [a,b], λ [0,1]. Geometricamente, il segmento che congiunge due qualsiasi punti del grafico di una funzione convessa si trova al di sopra del grafico stesso. DEFINIZIONE 1.5. La funzione f : C 0 [a,b] R si dice concava in [a,b], se la funzione opposta, ovvero f, è convessa in [a,b]. ESEMPIO f (x) = x 2 è convessa in (,+ ); - f (x) = x 3 è convessa in (,0] e concava in [0, ). Le seguenti caratterizzazioni si rivelano molto utili per verificare la convessità di f : C 0 [a,b] R:

5 1.2. IL METODO DI BISEZIONE 3 - Se f è derivabile in [a,b] allora è convessa se e solo se f è monotona non decrescente in [a,b]. - Se f è derivabile due volte in [a,b] allora è convessa se e solo se f (x) 0 per ogni x [a,b]. Infine, un teorema di esistenza e unicità, che sarà spesso possibile utilizzare per la localizzazione e separazione delle radici, è il seguente: TEOREMA 1.6. Se esiste un intervallo [a,b] tale che - f C 0 [a,b], - f (a) f (b) < 0, - f è convessa o concava in (a,b), allora l equazione (1.1) ha un unica radice ξ nell intervallo (a,b) Il metodo di bisezione Consideriamo una funzione f : C 0 [a,b] R R. Assumiamo che l intervallo [a, b] sia stato precedentemente individuato, per esempio grazie al Teorema 1.6, ovvero che la radice ξ sia stata separata. Consideriamo dunque il problema della ricerca dell unica radice ξ [a,b]. Il metodo di bisezione produce una successione di intervalli incapsulati e determina ad ogni iterazione il punto medio dell intervallo come approssimazione della radice ξ. In maggior dettaglio, a partire da a (0) = a, b (0) = b, x (0) = (a (0) + b (0) )/2, con f (a (0) )f (b (0) ) < 0, si costruiscono, per k = 1,2,..., le successioni {a (k) } k 1, {b (k) } k 1 e {x (k) } k 1 nel modo seguente a (k) = a (k 1),b (k) = x (k 1) se f (x (k 1) )f (a (k 1) ) < 0 a (k) = x (k 1),b (k) = b (k 1) se f (x (k 1) )f (b (k 1) ) < 0 x (k) = (a (k) + b (k) )/2. La successione {a (k) } k 1 è non decrescente e la successione {b (k) } k 1 è non crescente e si dimostra facilmente che sono entrambe convergenti a ξ. Dunque, quando siamo ragionevolmente sicuri che l accuratezza richiesta nell approssimazione dello zero ξ è stata raggiunta, arrestiamo la procedura Un criterio di arresto a priori. Vogliamo determinare, prima di iniziare a usare il metodo stesso, il numero k di iterazioni che si dovranno eseguire per avere garanzia di aver raggiunto una assegnata precisione τ > 0. Richiediamo che si abbia x (k) ξ < τ ovvero che b a < τ, 2k+1

6 4 cioè 2 k+1 > b a τ ; se applichiamo il logaritmo ad ambo i membri, otteniamo e infine (k + 1)log2 > log b a τ log b a τ b a k + 1 > ovvero k > log log2 2 τ 1 (1.2) il primo valore intero di k, k 0, per cui vale la (1.2) dunque la parte intera di b a log 2 τ sarà quindi il più piccolo numero di iterazioni con cui siamo certi di ottenere la precisione τ. (Si noti che se (b a) < τ, allora k = 0.) Velocità di convergenza. La convergenza del metodo di bisezione è lenta. Se l intervallo [a,b] in cui la radice ξ è stata separata ha per esempio ampiezza 1.5, saranno 3 le iterazioni necessarie per garantire che l approssimazione ottenuta disti meno di 0.1 da ξ, saranno 7 per garantire meno di 0.01, e 10 per garantire meno di In effetti, non si può neanche affermare che l ordine di convergenza è lineare dato che, come è facile osservare, può succedere ad una qualsiasi iterazione k, che l approssimazione x (k) sia migliore dell approssimazione x (k+1), ovvero che x (k+1) ξ > x (k) ξ. Alla k-esima iterazione del metodo è però necessaria una sola valutazione della funzione f (nel punto medio dell intervallo [a (k 1),b (k 1) ], dato che si è già in possesso delle valutazioni di f negli estremi di tale intervallo).

7 CAPITOLO 2 Iterazioni di punto fisso Un metodo molto usato e molto efficiente per risolvere numericamente le equazioni è il metodo del punto fisso. Una prima sommaria descrizione di questo metodo può essere data dicendo che esso consiste nella esecuzione dei seguenti tre passi. 1) Separata la radice ξ che si desidera approssimare, si riscrive la equazione assegnata ( f (x) = 0) nella forma x = ϕ(x), ϕ : D R ϕ(d) R. (2.1) 2) Si sceglie una approssimazione iniziale x (0) D di ξ. 3) Si itera la relazione ricorrente: x (i ) = ϕ(x (i 1) ), i 1. (2.2) OSSERVAZIONE 2.1. (Sul punto 1)) Le radici della (2.1) sono i punti fissi della trasformazione x ϕ(x), di punti di D in punti di ϕ(d), determinata dalla ϕ e, graficamente, le ascisse dei punti di intersezione del grafico della ϕ con la bisettrice. La condizione da rispettare nel riscrivere la equazione di partenza nella forma (2.1) è che ξ appartenga a D e sia radice anche della (2.1), ovvero che si abbia ξ = ϕ(ξ). Esistono infiniti modi di realizzare questa condizione. Ad esempio si può considerare una arbitraria funzione m ovunque diversa da zero in un intorno I ξ di ξ: ed osservare che, per ogni x I ξ, vale m : I ξ R, m(x) 0 per ogni x I ξ, f (x) = 0 se e solo se m(x) f (x) = 0 se e solo se x = x + m(x) f (x). Si ha così la ricercata forma (2.1) con ϕ(x) = x + m(x) f (x) e D = I ξ. Questa grande arbitrarietà nel riscrivere la equazione di partenza nella forma (2.1) sarà sfruttata per ottenere buone prestazioni dal metodo. OSSERVAZIONE 2.2. (Sul punto 2)) La scelta della approssimazione iniziale x (0) va fatta in modo appropriato. Per ora ci itiamo a dire che va scelta sufficientemente vicina alla radice da approssimare. OSSERVAZIONE 2.3. (Sul punto 3)) Si spera che: 5

8 6 3a) la relazione ricorrente (2.2) definisca una successione {x (i ) } i 1 ; in altre parole: per nessun valore di i 1, accada che x (i ) D; 3b) la successione {x (i ) } i 1 converga alla radice ξ che si vuole approssimare. Se la 3a) non fosse verificata, per un certo valore j 1 dell indice i risulterebbe x (j ) D e la (2.2) definirebbe una sequenza x (i ), i = 1 : j 1, e non una successione. Al contrario, le 3a), 3b) assicurano che ξ può essere approssimata con una accuratezza prefissata ad arbitrio Convergenza del metodo Vediamo alcuni teoremi che regolano l uso del metodo del punto fisso. Il primo è il seguente TEOREMA 2.1. La relazione ricorrente (2.2) definisca una successione {x (i ) } i 1 convergente a x e la funzione ϕ sia continua in x. In queste ipotesi, il ite x della successione è radice della equazione (2.1), ovvero x = ξ. DIMOSTRAZIONE. Per le ipotesi fatte si può scrivere: x = i x (i ) = i ϕ(x (i 1) ) = ϕ(x). Si ha quindi x = ϕ(x) e questo conclude la dimostrazione. Questo teorema è importante perché autorizza applicazioni del metodo effettuate per tentativi: si prova con varie scelte della equazione (2.1) e di x (0) nella speranza di trovare quelle che generino una sequenza di approssimazioni successive x (i ) che si stabilizzino in una regione di continuità della ϕ, e di convincersi quindi di stare convergendo ad un punto di questa regione. Se questo accade, si arrestano le iterate quando sono verificate condizioni di arresto fissate in base alla accuratezza che si vuole ottenere. In applicazioni di questo tipo manca però ogni tipo di garanzia teorica. Anche il criterio di arresto delle iterate non potrà che essere approssimativo. Fissato τ > 0, si può scegliere di interrompere le iterate per esempio quando è soddisfatta una delle seguenti condizioni f (x (i ) ) < τ, x (i ) x (i 1) < τ. Purtroppo una funzione continua può essere in effetti arbitrariamente piccola in valore assoluto in un intorno arbitrariamente grande di un suo zero, o due approssimazioni successive possono essere vicine tra loro ma arbitrariamente lontane dalla radice cercata. I criteri saranno dunque abbastanza adeguati nei casi più comuni ma saranno talvolta all origine di valutazioni del tutto errate. I due teoremi che seguono sono fondamentali per l applicazione del metodo di punto fisso. Il primo è un risultato di convergenza locale e ci suggerisce un idea fondamentale per la costruzione del metodo di Newton, come vedremo tra breve. Il secondo è un risultato di convergenza globale - perché garantisce

9 2.1. CONVERGENZA DEL METODO 7 la convergenza della successione {x (i ) } i=1,2,... al punto fisso della ϕ (ovvero allo zero della f ) per qualsiasi scelta del valore iniziale x (0) [a,b]; inoltre ci fornisce degli ottimi criteri di arresto - come abbiamo visto per il metodo di Jacobi nel contesto dei sistemi lineari. TEOREMA 2.2. Sia ϕ C 1 (I ξ ), essendo I ξ un intorno di un punto fisso ξ di ϕ. Se ϕ (ξ) < 1, allora esiste δ > 0 tale che, per ogni x (0) con x (0) ξ δ, la successione {x (i ) } i=1,2,... converge a ξ per i e si ha i x (i ) ξ = ϕ (ξ). Inoltre, se per un certo intero positivo p si ha ϕ C p+1 (I ξ ) e vale ϕ (i ) (ξ) = 0, i = 1,2,..., p, ϕ (p+1) (ξ) 0, allora {x (i ) } i=1,2,... converge a ξ con ordine p + 1, e si ha i (x (i ) ξ) p+1 = ϕ(p+1) (ξ). (p + 1)! TEOREMA 2.3. Sia ϕ C 1 ([a,b]) tale che (i) ϕ(x) [a,b] x [a,b]; (ii) K < 1 tale che ϕ (x) K x [a,b]. Allora si dice che ϕ è una contrazione in [a,b] e (a) esiste un unico punto fisso ξ in [a,b] ; (b) per ogni x (0) [a,b], la relazione ricorrente (2.2) definisce una successione {x (i ) } i=1,2,... contenuta in [a,b] e convergente a ξ; (c) vale i x (i ) ξ = ϕ (ξ); (d) le approssimazioni successive x (i ) verificano le condizioni: x (i ) ξ K x (i 1) ξ, i 1, x (i ) ξ K i x (0) ξ, i 1, x (i ) ξ K 1 K x (i ) ξ K i 1 K (e) nell ulteriore ipotesi che ϕ C p+1 ([a,b]), p N +, e x (i ) x (i 1), i 1, (2.3) x (1) x (0), i 1; (2.4) ϕ (i ) (ξ) = 0, i = 1,2,..., p, ϕ (p+1) (ξ) 0, allora {x (i ) } i=1,2,... converge a ξ con ordine p + 1, e si ha i (x (i ) ξ) p+1 = ϕ(p+1) (ξ). (p + 1)!

10 8 Omettiamo le dimostrazioni di entrambi i teoremi. A proposito del Teorema 2.3, puntualizziamo però che per dimostrare l esistenza di almeno un punto fisso basta la continuità della ϕ e l ipotesi (i)(infatti, basta considerare la funzione continua g (x) = ϕ(x) x, notare che vale g (a) 0 e g (b) 0 e applicare il teorema dell esistenza degli zeri) Criteri di arresto Fissato τ > 0, dal Teorema 2.3 ricaviamo dunque un criterio di arresto a posteriori (usando (2.3)) e un criterio di arresto a priori (usando (2.4)). Infatti, grazie a (2.3), il criterio a posteriori consiste nell arrestare le iterate quando K x (i ) x (i 1) < τ. 1 K E, da (2.4), avendo effettuato una sola iterazione del metodo (se non si è già ottenuto il punto fisso x (0) = x (1) = ϕ(x (0) )), si può calcolare quale è in totale il minimo numero di iterazioni che il metodo deve compiere per avere garanzia di ottenere la precisione τ. Infatti, richiediamo che ovvero che K i 1 K x (1) x (0) < τ, K i < τ(1 K ) x (1) x (0) ; se applichiamo il logaritmo ad ambo i membri, otteniamo e infine i logk < log τ(1 K ) x (1) x (0) log τ(1 K ) x (1) x (0) i >. (2.5) logk Il primo valore intero di i per cui vale la (2.5) sarà quindi il più piccolo numero di iterazioni con cui siamo certi di ottenere la precisione τ. OSSERVAZIONE 2.4. Nel caso di convergenza lineare, ovvero se ϕ (ξ) 0, la quantità ϕ (ξ) è detta fattore asintotico di convergenza. Quando ϕ (ξ) = 0, per il Teorema 2.2 il metodo è di ordine r > 1, ovvero la convergenza è superlineare, secondo la Definizione 1.3. In tal caso, si può dimostrare che un ottimo criterio di arresto a posteriori a costo zero consiste nell arrestare le iterate quando vale x (i ) x (i 1) < τ.

11 CAPITOLO 3 Il metodo di Newton Quanto visto nel capitolo precedente suggerisce anche una strategia per costruire un metodo del punto fisso a convergenza superlineare (ordine di convergenza r > 1, secondo la Definizione 1.3). L idea suggerita è evidentemente quella di realizzare una tale costruzione effettuando la trasformazione della equazione (1.1) nell equazione (2.1) in modo da pervenire ad una funzione ϕ che verifichi le ipotesi del Teorema 2.2 in un intorno della radice ξ che si vuole approssimare e che soddisfi in aggiunta la condizione ϕ (ξ) = 0. In effetti, si può usare per effettuare la trasformazione della equazione (1.1) nell equazione (2.1) la procedura generale introdotta nella Osservazione 2.1 e sfruttarne la generalità per imporre le condizioni desiderate. Poniamo quindi ϕ(x) = x + m(x) f (x), ed eseguiamo alcuni passaggi su questa espressione generale della ϕ senza stare via via a precisare le ipotesi da fare per poterli effettuare, riservandoci di raccogliere tali ipotesi alla fine del ragionamento. Scriviamo allora: ϕ (x) = 1 + m (x) f (x) + m(x) f (x), e poi, in virtù del fatto che f (ξ) = 0 perché ξ è radice, ϕ (ξ) = 1 + m(ξ) f (ξ). Imponiamo poi la condizione voluta, ϕ (ξ) = 0, 1 + m(ξ) f (ξ) = 0, ricaviamo da questa m(ξ) = 1/f (ξ) e assumiamo quindi m = 1/f. Perveniamo in tal modo alla funzione ϕ così definita: ϕ(x) = x f (x) f (x) (3.1) ed alla equazione del tipo (2.1): x = x f (x) f (x). 9

12 10 Questa è l equazione del tipo (2.1) del metodo di Newton. La relazione ricorrente (2.2) assume la forma x (i ) = x (i 1) f (x(i 1) ) f (x (i 1), i = 1,2,.... (3.2) ) 3.1. Interpretazione grafica del metodo di Newton Se scriviamo l equazione della retta tangente al grafico della f nel punto x (i 1) otteniamo y f (x (i 1) ) = f (x (i 1) )(x x (i 1) ). Se f (x (i 1) ) 0, questa retta interseca l asse della ascisse ed è immediato verificare che l intersezione avviene nel punto x (i ). Per questa sua interpretazione geometrica il metodo di Newton prende anche il nome di metodo delle tangenti Convergenza del metodo di Newton Raccogliamo ora tutte le ipotesi che abbiamo tacitamente usato negli argomenti svolti fino a qui nell intento di pervenire ad una funzione ϕ che verifichi le ipotesi del Teorema 2.2 in un intorno della radice ξ che si vuole approssimare e che soddisfi in aggiunta la condizione ϕ (ξ) = 0. TEOREMA 3.1. Sia f C 2 (I ξ ), essendo I ξ un intorno di uno zero ξ di f. Se f (ξ) 0, allora esiste δ > 0 tale che, per ogni x (0) con x (0) ξ δ, la successione {x (i ) } i=1,2,... definita da (3.2) converge a ξ. La convergenza è quadratica, e vale i (x (i ) ξ) 2 = f (ξ) 2f (ξ). DIMOSTRAZIONE. Ci itiamo a dimostrare la convergenza del metodo, applicando il Teorema 2.2 alla ϕ in (3.1). Si ha, per le ipotesi sulla f, che ϕ C 1 (I ξ ), dove I ξ è un intorno di ξ tale che x I ξ si ha f (x) 0. Vale ϕ (ξ) = 0 per costruzione, quindi esiste δ > 0 tale che, per ogni x (0) con x (0) ξ δ, la successione {x (i ) } i=1,2,... definita da (3.2) converge a ξ. Vale inoltre il seguente teorema, in ipotesi meno restrittive. TEOREMA 3.2. Sia f C 1 (I ξ ), essendo I ξ un intorno di uno zero ξ di f. Se f (ξ) 0, allora esiste δ > 0 tale che, per ogni x (0) con x (0) ξ δ, la successione {x (i ) } i=1,2,... definita da (3.2) converge a ξ. La convergenza è superlineare. Ricordiamo che, anche nelle ipotesi meno restrittive del secondo teorema, fissato τ > 0, dato che la convergenza è superlineare, per il metodo di Newton il criterio di arresto x (i ) x (i 1) < τ risulta affidabile, come segue dall Osservazione 2.4. Notiamo infine che il metodo di Newton richiede due valutazioni di funzione ad ogni iterata: il calcolo della f e della f nella approssimazione precedente.

13 3.3. APPROSSIMAZIONE INIZIALE NEL METODO DI NEWTON Approssimazione iniziale nel metodo di Newton Il teorema che segue è importante perché insegna a scegliere una approssimazione iniziale x (0) che assicura la convergenza. L interesse del teorema deriva dal fatto che richiede ipotesi molto frequentemente soddisfatte nelle applicazioni. Infatti richiede che esista un intervallo [a,b] tale che - f C 1 [a,b], - si abbia f (a) f (b) < 0, - f sia non decrescente [oppure: non crescente] in [a,b] (ovvero f sia convessa [oppure: concava] in [a,b]). Quando tale ipotesi, che chiameremo ipotesi EF, è verificata, uno (soltanto) dei due estremi dell intervallo [a,b] è tale che la curva di equazione y = f (x), x [a,b], volge verso di esso la sua convessità, ossia uno (soltanto) dei due estremi dell intervallo [a, b] vede la convessità della curva. Questo estremo prende il nome di estremo di Fourier dell intervallo [a,b]. Ciò premesso, ecco l enunciato del teorema. TEOREMA 3.3. Se vale l ipotesi EF e se la approssimazione iniziale x (0) è scelta coincidente con l estremo di Fourier dell intervallo [a, b], la relazione ricorrente (3.2) definisce una successione {x (i ) } i 1 monotona (strettamente crescente se x (0) = a, strettamente decrescente se x (0) = b) e convergente all unica radice ξ in [a,b]. La convergenza è superlineare. In ipotesi di maggiore regolarità della f, come corollario del teorema precedente e del Teorema 3.1 vale il seguente risultato, spesso usato nelle applicazioni. TEOREMA 3.4. Sia f C 2 ([a,b]), si abbia f (a) f (b) < 0, sia f 0 [oppure: sia f 0] in [a,b]. Avendo scelto x (0) = a se f (a)f (a) > 0, e x (0) = b altrimenti, la relazione ricorrente (3.2) definisce una successione monotona {x (i ) } i 1 strettamente crescente se x (0) = a, e strettamente decrescente se x (0) = b, che converge quadraticamente all unica radice ξ in [a,b]. Vale inoltre: i (x (i ) ξ) 2 = f (ξ) 2f (ξ).

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15 CAPITOLO 4 Modifiche al metodo di Newton Il metodo di Newton converge quadraticamente in ipotesi che sono tutt altro che restrittive. D altro canto richiede il calcolo della f e della f ad ogni iterata mentre metodi a convergenza lineare o addirittura superlineare possono essere costruiti in modo che richiedano solo il calcolo della f ad ogni passo. Il metodo di Newton costa dunque, generalmente, grosso modo il doppio e di conseguenza metodi del punto fisso a convergenza anche solo lineare, se ben costruiti (ovvero con costante K sufficientemente piccola), possono risultare talvolta competitivi o addirittura preferibili nel senso che, pur impiegando un maggior numero di iterate per conseguire la accuratezza desiderata, può capitare che richiedano un minor tempo di esecuzione. Metodi di questo tipo si ottengono facilmente modificando opportunamente la relazione ricorrente (3.2) del metodo di Newton. L idea base è molto semplice. Nella (3.2) si sostituisce la derivata f (x (i 1) ) della f nel punto x (i 1) con una sua approssimazione m i 1 che richieda solo il calcolo della f nel punto x (i 1) (o addirittura con una sua approssimazione m i 1 = m indipendente da i e calcolata una volta per tutte). Si perviene in tal modo a relazioni ricorrenti del tipo x (i ) = x (i 1) f (x(i 1) ) m i 1, m i 1 f (x (i 1) ), i = 1,2, Il metodo delle secanti Il metodo delle secanti è particolarmente interessante in quanto costituisce un serio antagonista del metodo di Newton. Si pone m i 1 = f (x(i 1) ) f (x (i 2) ) x (i 1) x (i 2), i = 2,3,..., La relazione ricorrente è pertanto x (i ) = x (i 1) f (x (i 1) ) ( f (x (i 1) ) f (x (i 2) x (i 1) x (i 2)), i = 2,3,..., ) Interpretazione grafica. È facile riconoscere che l approssimazione successiva x (i ) è l ascissa del punto di intersezione dell asse x con la secante al grafico y = f (x) per i punti (x (i 1), f (x (i 1) )) e (x (i 2), f (x (i 2) )) relativi alle due approssimazioni precedenti x (i 1) e x (i 2). 13

16 Secanti o Tangenti? Come è ovvio, le iterazioni del metodo delle secanti non sono iterazioni di punto fisso. Ci sarà inoltre bisogno di due approssimazioni iniziali x (0) e x (1), per la scelta delle quali non si hanno purtroppo criteri del tipo di quello dettato dal Teorema 3.4. D altro canto si può dimostrare che se f C 2 (I ξ ), essendo I ξ un intorno sufficientemente piccolo di uno zero ξ di f, se f (ξ) 0, e se x (0) e x (1) sono punti distinti in I ξ, allora il metodo delle secanti converge e la convergenza è di ordine r = ( 5 + 1)/2 = Vale in particolare i x (i ) ξ = 0; i (x (i ) ξ)(x (i 1) ξ) = f (ξ) 2f (ξ) ; x (i+1) ( ξ f ) r 1 i (x (i ) ξ) r = (ξ) 2f ; (ξ) i (x (i ) ξ) 2 = ±. Conservando ad ogni iterata il valore f (x (i 1) ) che servirà di nuovo nella iterata successiva, si ottiene dunque un metodo a convergenza superlineare al costo computazionale di uno a convergenza lineare. Il metodo delle secanti sarà quindi competitivo col metodo di Newton, che nelle stesse ipotesi ha generalmente convergenza quadratica, se per raggiungere la convergenza numerica impiegherà meno del doppio delle iterate richieste da Newton. Osserviamo però che il metodo delle secanti non è sempre stabile e a volte può non convergere per problemi di cancellazione numerica. Ricordiamo infine che, dato che la convergenza è superlineare, può essere usato il criterio di arresto, fissato τ > 0, x (i ) x (i 1) < τ.

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