STUDIO RELATIVO AD UN CONCENTRATORE INNOVATIVO A RIDOTTO CONSUMO ENERGETICO E LIMITATI COSTI DI GESTIONE PER IL DIGESTATO DI FERMENTAZIONE ANAEROBICA

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1 Comitato Termotecnico Italiano Energia e Ambiente Iscritto c/o la Prefettura di Milano nel Registro delle Persone Giuridiche al n. 604 Via Scarlatti Milano - P.IVA Tel Fax cti@cti2000.it STUDIO RELATIVO AD UN CONCENTRATORE INNOVATIVO A RIDOTTO CONSUMO ENERGETICO E LIMITATI COSTI DI GESTIONE PER IL DIGESTATO DI FERMENTAZIONE ANAEROBICA Progetto di Ricerca n dal titolo Concentratore Innovativo a ridotto consumo energetico e limitati costi di gestione per il digestato di fermentazione anaerobica ConDIFA Milano, maggio 2009

2 STUDIO RELATIVO AD UN CONCENTRATORE INNOVATIVO A RIDOTTO CONSUMO ENERGETICO E LIMITATI COSTI DI GESTIONE PER IL DIGESTATO DI FERMENTAZIONE ANAEROBICA SOMMARIO SINTESI DELLO STUDIO E CONCLUSIONI... 3 Scopo dello studio... 3 Risultati sperimentali... 4 Bilanci di massa, energia e costi... 7 Conclusioni RACCOMANDAZIONI IL PROBLEMA DELL AZOTO Premessa La Direttiva Nitrati Il recepimento regionale e nazionale della Direttiva L impatto della normativa osservazioni conclusive TECNOLOGIE PER LA RIMOZIONE DELL AZOTO DAI REFLUI Premesse Processi chimico-fisici Separazione meccanica Separazione con membrane Precipitazione chimica con sali d ammonio (struvite) Considerazioni sui processi chimico-fisici Processi biologici Premesse Nitrificazione/denitrificazione Processi basati sull ossidazione arrestata a nitrito La digestione anaerobica Processi biologici innovativi Sintesi sui processi di rimozione (strippaggio e concentrazione esclusi) CARATTERISTICHE DEL DIGESTATO LA TECNOLOGIA DELLO STRIPPAGGIO Basi del processo Configurazioni impiantistiche Influenza del ph Influenza della Temperatura Tasso di rimozione dell ammoniaca disciolta nel refluo Portata dell aria di lavaggio LA TECNOLOGIA DELLA CONCENTRAZIONE Introduzione Calcolo della quantità di acqua da evaporare I composti volatili Configurazioni impiantistiche

3 6 PROVE SVOLTE: MATERIALI E METODI Premesse Dispositivi ed impianti utilizzati L impianto pilota di strippaggio Il dispositivo per le prove di strippaggio ad alta temperatura Il dispositivo per la concentrazione mediante evaporazione L apparato per le prove di de-alcalinizzazione mediante uso di anidride carbonica Metodologia Apparati e metodi di misura Analisi degli indici di processo e dei costi di esercizio RISULTATI OTTENUTI Premesse Strippaggio a media temperatura Prove preliminari Prove di base Strippaggio ad alta temperatura Concentrazione per evaporazione De-alcalinizzazione con anidride carbonica Analisi chimiche sul digestato Analisi degli indici di processo Bilancio di massa Bilancio energetico Analisi dei costi di processo CONSIDERAZIONI FINALI RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

4 SINTESI DELLO STUDIO E CONCLUSIONI SCOPO DELLO STUDIO Lo Studio affronta, sulla base di valutazioni sperimentali appositamente svolte, la fattibilità tecnica ed economica delle tecnologie di strippaggio e concentrazione dei liquami zootecnici ai fini del controllo del ciclo dell azoto contenuto nelle deiezioni zootecniche. Da un punto di vista generale, le tecniche oggi a disposizione per tale finalità sono riassunte in Tabella A1. Tabella A1 - Sistemi di rimozione dell azoto. Tipologia di processo Tecnologia di rimozione Separazione meccanica Separazione con membrane Microfiltrazione e Osmosi Inversa (OI) Processi chimico-fisici ultrafiltrazione (UF) Precipitazione chimica di sali di ammonio (Struvite) Strippaggio ammoniaca Evaporazione/ Concentrazione Nitrificazione-denitrificazione Processi basati sulla ossidazione arrestata a nitrito Processi biologici Digestione anaerobica Processi biologici innovativi Processo Anammox Processo MBR Elettrodialisi (ED) Lo Studio in una prima parte analizza i singoli processi per poi analizzare più in dettaglio le tecniche di strippaggio dell ammoniaca e di concentrazione dei liquami. Questi processi sono definibili termici, in quanto il loro funzionamento richiede una sensibile quantità di calore che, in presenza di impianti di deiezione anaerobica, è normalmente resa disponibile a costi sostanzialmente nulli dai gruppi elettrogeni alimentati a biogas. Per disporre dei dati necessari a impostare delle valutazioni economiche si è quindi reso necessario studiare a fondo i processi in oggetto attraverso la realizzazione di: un impianto pilota a colonna a letto percolante per lo strippaggio dell azoto ammoniacale funzionante a media temperatura (fino a 45 C circa) e capace di trattare circa 5 m 3 /giorno di liquame; un dispositivo sperimentale su scala ridotta per lo strippaggio dell azoto ammoniacale a temperatura più elevata (fino a C); un dispositivo su scala ridotta per la concentrazione e l evaporazione dei liquami. Nel corso del programma di lavoro è stata allargata l attività anche all analisi del processo di correzione del ph del digestato sviluppando dei test su un dispositivo in scala ridotta per la de-alcalinizzazione. I test sono stati condotti con digestati provenienti da impianti di digestione anaerobica operanti nella regione Lombardia con caratteristiche sintetizzate nella Tabelle A1 e A3. 3

5 Tabella A2 Tipologia di digestati utilizzati nei programmi sperimentali. DIGESTATO TIPOLOGIA DIGESTATO A Liquame bovino + trinciato mais + polpa cipolle B Liquame bovino + trinciato mais + trinciato triticale C Liquame suino + trinciato triticale + trinciato mais + polpa barbabietola D Liquame suino E Pollina + mais ceroso + insilato erba medica Tabella A3 Contenuto di S s e concentrazione (su s.s.) di alcuni elementi contenuti nei digestati impiegati. DIGESTATO SOSTANZA SECCA Ca Mg Na P Zn K (%) (mg/kg) (mg/kg) (mg/kg) (mg/kg) (mg/kg) (mg/kg) A 2, B 1, C 1, D 0, E 3, RISULTATI SPERIMENTALI Strippaggio con colonna a letto percolante a media temperatura (impianto pilota) Nell ambito di questi test sono state utilizzate tutte le tipologie di digestato indicate nella Tabella A2. Indicando con DN T il differenziale dei valori di concentrazione dell azoto totale (N T ) del digestato prima di essere introdotto in colonna e in uscita da questa nella Figura A1 è possibile osservare l incidenza della temperatura sulla quantità di N T strippato. Le riduzioni di azoto totale variano quindi, in dipendenza dalle diverse condizioni, dal 40 al 70% circa. Figura A1 Strippaggio con impianto pilota: riduzione di N T (azoto totale; calcolo effettuato rispetto al valore iniziale) ottenuti con i diversi digestati per tre livelli di temperatura (ph = 10,5). 4

6 In termini di azoto ammoniacale (DN A ) risulta possibile raggiunge anche valori dell 84% (Figura A2; digestato A a 45 C). Le prestazioni più limitate si riscontrano a temperature di 20 C con DN A che si attestano tra il 55% ed il 64% circa. Figura A2 Strippaggio con impianto pilota: valori di DN A per i diversi digestati nelle tre condizioni di temperatura (ph = 10,5). Strippaggio a temperature temperature più elevate (test di laboratorio) Nel grafico di Figura A3 è visibile l effetto della variazione del ph e della temperatura del digestato sulla rimozione di ammonio dal prodotto. I valori di DN A osservati a ph 10,5 e a 45 C sono del tutto simili a quelli ottenuti nelle stesse condizioni in laboratorio, il che evidenzia come i risultati ottenuti con l impianto pilota e l apparato sprimentale siano confrontabili. E interessante notare come alle stesse condizioni di ph a 80 C i valori di DN A raggiungono il 100%. Senza modificare ph (8,5) si ottengono prestazioni di poco superiori a quelli ottenibili a 45 C e ph = 10,5. Figura A3 Test di strippaggio in laboratorio: andamento di DN A (resa di strippaggio) in funzione del ph e della temperatura. 5

7 Concentrazione del digestato per evaporazione (test di laboratorio) La Figura A4 evidenzia, in funzione del valore di ph e della massa evaporata, l andamento del DN T. Il ph del digestato è quindi importante sull efficienza del processo, che in questo caso mira alla conservazione della massa di azoto totale nel concentrato. In particolare, si osserva che con ph inferiori a 6,5 i valori di DN T risultano inferiori al 15%: in altri termini circa l 85% del N T rimane nel prodotto concentrato. In generale, minore è il valore iniziale del ph del digestato, maggiore è la quantità di azoto che rimane nel concentrato finale. Con ph superiori a 7, il processo è accompagnato da un trasferimento di importanti quantità di azoto nel distillato. A esempio, senza la modifica dell alcalinità del digestato (ph 8,4), si osserva come già con il 33% della massa evaporata più del 50% di N T passa nel distillato. Figura A4 Test di concentrazione: andamento di N T nella massa di evaporato in funzione della incidenza di quest ultima sulla quantità di digestato iniziale. De-alcalinizzazione con anidride carbonica (test di laboratorio) Nella Figura A5 vengono riportati i risultati dei test relativi alla modifica del ph del digestato basico a mezzo di anidride carbonica (simulazione dell utilizzo dei gas di scarico dei motori alimentati a biogas per questa finalità). E stato considerato un valore del ph di circa 10,5 (rappresentativo di un digestato alcalinizzato e strippato) ed è risultato possibile raggiungere valori di ph di 8,5 (rappresentativo di un digestato non alcalinizzato), in un tempi variabili tra 60 e 165 minuti, rispettivamente con portate equivalenti di CO 2 di 7,6 e 18 m 3 /h per m 3 di digestato. 6

8 Figura A5 Test di de-alcalinizzazione: andamento del ph del digestato in funzione del flusso di CO 2. I due valori di portata di CO 2 corrispondono a portate normalizzate di 7,6 e 18 m 3 /h per m 3 di digestato. BILANCI DI MASSA, ENERGIA E COSTI Bilancio di massa Nel grafico di Figura A6 sono riportati i valori dei consumi e delle produzioni specifiche per unità di volume di digestato trattato con le tre modalità di rimozione dell azoto considerate nel programma sperimentale. Data la variabilità delle caratteristiche del digestato (soprattutto in termini di azoto totale e di sostanza secca) si è ritenuto più adatto riportare i valori minimi e massimi dei diversi parametri. L impiego della soda riguarda il solo processo di strippaggio a media temperatura. Dai test di laboratorio effettuati è stato possibile valutare un consumo specifico compreso tra 8,8 kg e 11,4 kg/m 3 di digestato. Per ciò che riguarda l uso di acido solforico, previsto in tutti i processi esaminati, si verifica una variabilità più contenuta. In ogni caso sono necessarie elevate dosi di prodotto: da un minimo di 8,8 kg per i processi svolti a meno di 45 C a un massimo di 10,8 kg/m 3 di digestato per temperature di 80 C. Per la tecnica di concentrazione si stima invece un impiego variabile tra i 3 ed i 3,3 kg/m 3. Per ciò che concerne la produzione di solfato di ammonio, da considerare solo per la tecnica dello strippaggio, le produzioni superano di poco i 15 kg/m 3 per temperature inferiori a 45 C e raggiungono i 18 kg/m 3 a 80 C. 7

9 Figura A6 - Valori minimi e massimi dei consumi e delle produzioni specifiche per le diverse tecniche di rimozione dell azoto impiegate. Bilancio energetico Il sistema basato sulla concentrazione, confrontato con le due tecniche di strippaggio a diversi livelli di temperatura, richiede un maggiore consumo energetico (Figura A7). Più precisamente, i consumi specifici oscillano tra e MJ/m 3 di digestato, in funzione della tipologia impiantistica considerata (evaporatori a due o a tre effetti). La tecnica dello strippaggio comporta invece consumi che variano tra MJ/m 3 e MJ/m 3 rispettivamente per livelli di temperatura di 80 C e inferiori a 45 C. L analisi dei consumi energetici elettrici e termici (Figura A8) mette in luce gli elevati consumi di energia termica della tecnica di concentrazione. Figura A7 Bilanci energetici totali: valori minimi e massimi dei consumi specifici (per m 3 digestato) per le tre tecniche considerate (strippaggio a due livelli di temperatura e concentrazione). di 8

10 Figura A8 Confronto tra i consumi energetici specifici suddivisi in termici ed elettrici in funzione delle tre tecniche di rimozione dell azoto. Costi di processo Le Figura A9 e A10 mostrano i valori stimati dei costi specifici calcolati, nel caso due scenari (A e B) che si differenziano sostanzialmente per l opportunità di usufruire o meno del calore messo gratuitamente a disposizione da gruppi elettrogeni alimentati a biogas (nell ipotesi di effettuare i processi di rimozione dell azoto laddove esista un impianto di fermentazione anaerobica di sufficienti dimensioni). Un primo aspetto che si evidenzia è relativo alla forte differenza dei costi specifici della tecnica di concentrazione tra lo scenario A (sfavorevole) che oscillano tra 27 e 37 /m 3 di digestato, e lo scenario B (favorevole) dove i costi crollano tra 2,6 e 3,0 /m 3. La riduzione dei costi specifici tra i due scenari è importante anche nel caso della tecnica di strippaggio. Gli effetti sono più evidenti per la variante operativa operante a 80 C che passa da 15,5-18,9 /m 3 a 4,2 4,7 /m 3 (Tabelle A4 e A5). Figura A9 - Costi specifici per unità di volume di prodotto trattato scenario A (energia termica a costi di mercato; situazione sfavorevole). 9

11 Figura A10 - Costi specifici per unità di volume di prodotto trattato scenario B (ipotesi di recupero dell energia termica da gruppi elettrogeni alimentati a biogas a costu nulli; situazione favorevole). Tabella A4 Suddivisione dei costi specifici per unità di volume (scenario A; energia termica a prezzi di mercato). STRIPPAGGIO VOCE DI COSTO Processo a 45 C Processo a 80 C CONCENTRAZIONE Min Max Min Max Min Max Energia elettrica ( /m 3 ) 4,00 4,80 3,57 4,29 1,94 2,32 Soda ( /m 3 ) 3,94 5,12 0,00 0,00 0,00 0,00 Acido solforico ( /m 3 ) 4,40 4,90 4,90 5,39 1,50 1,65 Energia termica ( /m 3 ) 0,23 0,30 7,11 9,24 23,68 33,27 Tabella A5 Suddivisione dei costi specifici per unità di volume (scenario B; energia termica a costi nulli). STRIPPAGGIO VOCE DI COSTO Processo a 45 C Processo a 80 C CONCENTRAZIONE Min Max Min Max Min Max Energia elettrica ( /m 3 ) 1,13 1,35 1,00 1,21 1,09 1,31 Soda ( /m 3 ) 3,94 5,12 0,00 0,00 0,00 0,00 Acido solforico ( /m 3 ) 4,40 4,90 4,90 5,39 1,50 1,65 Energia termica ( /m 3 ) 0,23 0,30 7,11 9,24 23,68 33,27 10

12 CONCLUSIONI Analizzando le prestazioni dei sistemi di strippaggio, si raggiungono prestazioni soddisfacenti solo se si opera a temperature dell ordine degli 80 C e/o se si raggiungono ph mediamente alcalini. A 80 C si raggiungono perdite di azoto ammoniacale dell ordine del 90% corrispondenti in media a circa il 70-80% dell azoto totale contenuto nel digestato. Per mantenere prestazioni simili con le temperature più ridotte si dovrebbe operare almeno a 45 C con ph superiori a 10. Nel caso del processo di concentrazione, modificando di poco il ph del digestato (fino a circa 6,5) è possibile trattenere fino all 80% di azoto totale nel concentrato. Tuttavia, in termini energetici, i consumi energetici sono importanti (oltre MJ/m 3 contro massimi di 500 MJ/m 3 per lo strippaggio). Sul piano anche economico l elemento chiave è rappresentato dalla disponibilità e dal costo dell energia termica. Nell ipotesi di costo nullo dell energia termica (presenza di cogeneratori) il potenziale interesse del sistema di concentrazione è evidente (costo inferiore ai 3 /m 3 del prodotto trattato), cosi come per il sistema di strippaggio (costi inferiori a 5 /m 3 del prodotto trattato). Viceversa, nell ipotesi di valorizzare l energia termica ai costi di mercato risulta più competitivo lo strippaggio anche se in assoluto non può essere ritenuto un trattamento economico. In Tabella A6 vengono infine riportate delle considerazioni di sintesi. Tabella A6 Considerazioni di sintesi. Fase del processo o aspetto caratterizzante Processo a meno di 45 C STRIPPAGGIO Processo a 80 C CONCENTRAZIONE Pretrattamento del digestato E necessario rimuovere i solidi sospesi Costo dell energia termica Poco influente Influente Molto influente Gestione dei prodotti chimici Complessa per quantità e tipologia Ridotta Ridotta Post- trattamento del digestato Necessaria la riduzione del ph Nessuna in particolare Necessaria la stabilizzazione del concentrato 11

13 RACCOMANDAZIONI Per le tecnologie qui considerate rimangono aperte una serie di questioni tecniche ed economiche. Tra queste: problematica del recupero del digestato basico nei trattamenti di strippaggio svolti a temperatura modeste. Le sperimentazioni svolte con lo Studio evidenziano la possibilità di impiegare CO 2 per la normalizzazione del ph. In linea teorica, l anidride carbonica necessaria può essere potenzialmente recuperata da biogas (nell ipotesi di operare presso un impianto di digestione anaerobica); reale fattibilità del reimpiego del solfato di ammonio. Con lo Studio non sono state affrontate le problematiche relative al suo recupero e reimpiego. Dalle esperienze svolte sull impianto pilota, tuttavia, emerge come il prodotto che ne deriva risulti significativamente contaminato; necessario miglioramento delle efficienze dei processi e del consumo di sostanze chimiche ai fini della riduzione dei costi; necessità di stabilizzare il concentrato nel caso del processo di evaporazione (attraverso essiccazione o compostaggio). Tutti questi aspetti portano a raccomandare a promuovere ulteriori studi sia sul lato processistico che su quello tecnologico al fine di ridurre maggiormente i costi di trattamento con unità idonee ad operare nelle vicinanze di impianti di digestione anaerobica, quindi di dimensioni contenute e di interesse dell azienda zootecnica. 12

14 1 IL PROBLEMA DELL AZOTO 1.1 PREMESSA I nitrati sono composti tossici per l uomo e per gli animali quando presenti nelle acque in concentrazioni superiori ai 50 mg/litro 1. Tali composti sono molto solubili: le acque li asportano dal terreno e li veicolano nei fiumi, nei laghi e nelle falde. Hanno diversa origine, in particolare possono: derivare dalla mineralizzazione della sostanza organica del terreno (origine naturale); essere direttamente apportati al terreno con la concimazione organica e minerale, con lo spandimento di altro materiale di origine animale o vegetale connesso allo svolgimento delle attività produttive e con gli scarichi civili (origine antropica). L esigenza di emanare una normativa specifica per ridurre e prevenire l inquinamento delle acque causato dai nitrati di origine agricola ha portato l Unione Europea ad emanare la Direttiva n. 91/676/CEE meglio nota come Direttiva Nitrati. La Direttiva riserva particolare attenzione al bilancio dell azoto nel terreno e individua per il settore agricolo le norme tecniche relative alla fertilizzazione e alla gestione degli effluenti degli allevamenti, allo scopo di limitare il fenomeno della lisciviazione dell azoto nitrico. In particolare fissa un limite allo spandimento degli effluenti zootecnici pari a 170 kg di azoto per ettaro (Nuvoli, 2007). Pertanto, con l emanazione della Direttiva, l Unione Europea sancisce le responsabilità della produzione agricola in generale e di quella zootecnica in particolare, nell aumento, avvenuto in alcune regioni degli stati membri dei nitrati nelle acque e del conseguente superamento dei limiti precedentemente fissati per tali composti. L impostazione dalla Direttiva Nitrati è quella della presa di coscienza di un problema e delle conseguenti opportune azioni per tentarne la risoluzione. Sono legate a tale Direttiva le prime riflessioni, a livello europeo, sull espansione dei processi produttivi agricoli e sulla conseguente opportunità di promuovere un agricoltura sostenibile in grado di prendere maggiormente in considerazione le problematiche ecologiche e l ambiente in generale. Per l Italia, le più evidenti problematiche relative alla gestione dei carichi di azoto sui suoli agricoli sono localizzate in un areale ben preciso: la Pianura Padana. In tale territorio le condizioni pedoclimatiche, la disponibilità di acqua irrigua e, non ultime, le politiche agricole passate, hanno favorito lo sviluppo della zootecnia intensiva con la conseguente concentrazione di capi allevati. E così venuto progressivamente meno il concetto di equilibrio tra alimenti prodotti, animali allevati e deiezioni prodotte. Le deiezioni animali sono così passate da fonte primaria di alimenti nutritivi per le piante coltivate (quindi risorsa) a materiale di scarso valore da allontanare dall allevamento al minor costo possibile e con il minor dispendio di manodopera (quindi rifiuto). E stato, in definitiva, il prevalere del concetto di smaltimento in luogo di quello di concimazione organica che ha generato e alimentato le attuali problematiche (Sangiorgi et al., 2000). 1 L azoto inorganico fornisce una fonte di nutrienti per le alghe che vivono nelle acque. La combinazione di azoto e fosforo può causare un incontrollata proliferazione delle stesse, con il conseguente soffocamento dei corsi d'acqua. Questo fenomeno è noto come eutrofizzazione. 13

15 Figura 1 - Azoto totale distribuito (minerale e organico - Casear, 2007). Senza avere la pretesa di tracciare un quadro delle responsabilità si vuole in questa sede evidenziare che, come del resto lo stesso testo europeo sottolinea, l aumento dei nitrati nella acque era un fenomeno già in corso e le cui origini sono da datare antecedentemente al L intensificazione e la specializzazione produttiva sono stati fenomeni originatesi ed affermatesi nei decenni precedenti; decenni nei quali le politiche agricole europee non erano certo orientate alle conseguenze ambientali delle produzioni ma, al contrario, al loro progressivo aumento attraverso un intensa politica dei prezzi. Si vuol rimarcare in sostanza come, per le realtà nazionali a maggior vocazione per l agricoltura e l allevamento intensivi, la Direttiva Nitrati interviene in un contesto nel quale la correzione di una situazione in atto non era e non è operazione di poco conto. Nel presente Capitolo, dopo aver preso in esame i principali contenuti della Direttiva, verrà analizzato lo scenario nazionale e lombardo in particolare relativo alla sua applicazione. In conclusione si cercherà di comprendere gli effetti conseguenti all adempimento di tali normative e come queste si potranno ripercuotere sulla realtà zootecnica lombarda delineando quelle che, allo stato attuale, appaiono le soluzioni più realistiche per una limitazione del carico di azoto per unità di superficie. 14

16 1.2 LA DIRETTIVA NITRATI Le prescrizioni e le tempistiche che la Direttiva n. 91/676/CEE assegnava ad ogni stato membro possono essere riassunte come di seguito riportato: designazione, entro due anni dall entrata in vigore, delle aree vulnerabili ai nitrati di origine agricola per ciascun stato membro (Figura 2); fissazione, sempre entro due anni, di uno o più Codici di Buona Pratica Agricola; emanazione, entro due anni dalla prima definizione delle aree vulnerabili, di Programmi di Azione da attuare entro tali zone e loro attuazione entro quattro anni; elaborazione di opportuni programmi di controllo degli effetti dei Programmi di Azione. Figura 2 - Zone vulnerabili ai nitrati (ZVN - Casear, 2007). Quanto sopra definisce, in sostanza, i compiti essenziali per implementare il sistema di protezione delle acque. Per comprendere con quali strumenti ogni stato membro debba procedere è utile esaminare anche quanto contenuto negli allegati della Direttiva e in particolare negli Allegati II e III che definiscono i principi generali e i dettami secondo cui normare l applicazione al suolo degli effluenti di allevamento. In particolare l Allegato II individua gli aspetti che debbono essere trattati dai Codici di Buona Pratica Agricola nazionali. Tra questi si segnalano: i periodi in cui l applicazione al terreno degli effluenti di allevamento non è opportuna; la distribuzione degli effluenti sui terreni in pendenza; l applicazione in caso di terreno saturo d acqua, gelato o innevato; le avvertenze da adottare in caso di distribuzione vicino ai corsi d acqua; 15

17 la capacità delle strutture di stoccaggio e le opere messe in atto al fine di evitare che percolati da effluenti o da altri materiali, quali insilati, possano venire a contatto con le acque superficiali o profonde; le tecniche di applicazione al terreno dei fertilizzanti compresi i concimi chimici di sintesi; la gestione dei terreni e in particolare delle rotazioni; l opportunità delle coperture vegetali durante i periodi piovosi al fine di limitare la percolazione dei nutrienti azotati; la definizione di piani di concimazione delle colture e la tenuta dei registri di applicazione dei fertilizzanti; la gestione dei sistemi di irrigazione al fine di prevenire l inquinamento per scorrimento e percolazione delle acque. All interno dell Allegato III viene richiesta un ulteriore specificazione delle norme di cui sopra in quanto trattasi dei contenuti e delle prescrizioni che, ogni Programma d Azione, deve adottare per le aree vulnerabili. In particolare si richiede di definire: i periodi in cui è proibita l applicazione al terreno; la capacità dei contenitori degli effluenti che, in ogni caso, deve essere superiore a quella necessaria a contenere le deiezioni durante i periodi di divieto di spandimento di cui al punto precedente; le limitazioni di applicazione al suolo degli effluenti di allevamento le quali, a loro volta, dipendono: (i) dalle condizioni, dal tipo e dalla pendenza del suolo; (ii) dalle condizioni climatiche, dalle precipitazioni e dall irrigazione; (iii) dall uso del terreno e dalle prassi agricole con particolare riferimento alle rotazioni; (iv) dal fabbisogno di azoto delle colture tenuto ovviamente conto di tutti gli apporti azotati al suolo (bilancio dell azoto). Le misure di cui sopra debbono garantire che il quantitativo di effluente di allevamento sparso ogni anno sul terreno delle aree vulnerabili non superi 170 kg di azoto, elevabili a 210 kg nel caso venga presentato il Piano di Utilizzazione Agronomica (P.U.A.), fatto salvo i primi quattro anni dei Programmi di Azione in cui, i quantitativi predetti possono, a discrezione di ogni stato membro, essere elevati rispettivamente a 210 kg e 250 kg. 1.3 IL RECEPIMENTO REGIONALE E NAZIONALE DELLA DIRETTIVA In ambito nazionale dove, lo si ricorda, la materia ambientale è di competenza regionale, la prima reazione, in ordine di tempo, alle more della Direttiva è stata quella della regione Lombardia che, con l emanazione nel dicembre 1993 della nota Legge Regionale N. 37 ( Norme per il trattamento, la maturazione e l utilizzo dei reflui zootecnici ), ha cercato di attuare un primo adeguamento ai dettami della Direttiva. In questo quadro, la regione Lombardia ha riaffermato il principio secondo cui, i reflui di allevamento, non sono un rifiuto ma bensì una risorsa che ogni allevatore può e deve utilizzare al meglio per provvedere alla nutrizione azotata delle proprie colture. Attraverso la L.R. 37/93 e il suo Regolamento Attuativo (promulgato nel 1996) la regione ha provveduto a: individuare le aree vulnerabili del territorio regionale; classificare l intero territorio regionale in base al carico di animali presenti (comuni ad alto carico zootecnico e comuni a basso carico zootecnico ); 16

18 obbligare le aziende zootecniche, di consistenza superiore a 8 t di peso vivo (3 t nel caso di allevamenti avicunicoli), a dimostrare, attraverso un vero e proprio piano di concimazione azotata delle colture (denominato Piano di Utilizzazione Agronomica dei reflui di allevamento P.U.A.) che l azoto distribuito con le deiezioni non eccedesse i fabbisogni delle colture stesse evitando rischi di inquinamento delle acque; determinare i limiti massimi di effluenti di allevamento applicabili ai suoli agricoli che, in linea generale non possono, come sopra detto, superare i fabbisogni delle colture mentre, nelle aree vulnerabili non possono, in ogni caso, superare il valore soglia di 170 kg/ha di azoto; stabilire il principio secondo il quale gli effluenti di allevamento, prima del loro utilizzo sul suolo agrario, devono subire un adeguato periodo di maturazione. Si è provveduto, in pratica, a determinare la capacità minima dei contenitori di stoccaggio dei reflui la quale, non è solo funzione del periodo minimo di maturazione ma anche del calendario di distribuzione dei reflui il quale, a sua volta, dipende dall avvicendamento praticato da ogni singola azienda; stabilire i vincoli allo spandimento degli effluenti in funzione delle condizioni meteorologiche, del suolo e della pendenza. Il primo atto a livello nazionale relativo all applicazione della Direttiva nitrati è stata l approvazione del Codice di Buona Pratica Agricola (CBPA) avvenuta mediante il D.M. 19 aprile I punti nodali di tale D.M. sono la disamina dell intero ciclo dell azoto e la sottolineatura di concetti chiave quali quelli relativi all efficienza della concimazione azotata, ai periodi di applicazione e di conservazione degli effluenti zootecnici in funzione dei cicli colturali, dall andamento meteorologico e delle caratteristiche del suolo. Successivamente, a poco meno di un mese di distanza dal D.M. 19 aprile 1999 veniva emanato il Decreto Legislativo 11 maggio 1999 n. 152 dal titolo: Disposizioni sulla tutela delle acque dall inquinamento e recepimento della Direttiva 91/271/CEE concernente il trattamento delle acque reflue urbane e della Direttiva 91/676/CEE relativa alla protezione delle acque dall inquinamento provocato dai nitrati provenienti da fonti agricole. Gli articoli 19 e 38 e l Allegato VII di detto decreto individuano le aree vulnerabili esistenti e riconosciute, dettano i tempi per il monitoraggio delle acque e per la conseguente designazione e/o revisione delle aree vulnerabili, fissano le procedure (Programmi di Azione) per l attuazione della disciplina dell utilizzazione agronomica degli effluenti di allevamento di dette aree. I soggetti demandati a tali compiti sono le regioni. Per quanto riguarda le specifiche norme tecniche che avrebbero dovuto governare l utilizzazione agronomica degli effluenti di allevamento l articolo 38 del decreto 152/99 rimanda ad un ulteriore decreto da emanarsi a cura del Ministero delle Politiche agricole e Forestali di concerto con altri ministeri. L emanazione di tale decreto è avvenuta nell aprile dello scorso anno (D.M. 7/4/2006 avente come oggetto: Criteri e norme per la disciplina regionale dell utilizzazione agronomica degli effluenti di allevamento di cui all articolo 38 del Dlgs n. 152/99). Sempre dell aprile 2006 è l emanazione del Dlgs 152/2006 che abroga la precedente versione pur confermandone, per quanto riguarda la parte relativa ai nitrati di origine agricola (articolo 92), i dettami. Nella sostanza il decreto 7/4/2006 codifica e differenzia, con puntualità, per le aree vulnerabili e per quelle ordinarie i seguenti aspetti: 17

19 la tipologia (liquame e/o letame) e la produzione annuale di reflui per le principali specie zootecniche in funzione del peso vivo allevato e del sistema di stabulazione adottato; la produzione netta di azoto delle principali specie allevate in funzione, anch essa, della tipologia di stabulazione e del peso vivo mediamente allevato. Viene, in particolare, introdotto il concetto di azoto al campo che rappresenta l azoto contenuto nelle deiezioni al netto delle perdite per volatilizzazione dell ammoniaca; la capacità minima di contenimento degli stoccaggi; il quantitativo massimo di azoto che può essere distribuito con gli effluenti di allevamento. Per le aree vulnerabili il limite è ribadito in 170 kg/ha per anno; i periodi di divieto di distribuzione degli effluenti; le modalità alle quali le aziende zootecniche devono attenersi per poter operare la distribuzione (comunicazioni all autorità competente, contenuti dei Piani di Utilizzazione ecc.); la tempistica entro la quale le regioni devono fare proprio il testo del decreto attraverso l emanazione di propri provvedimenti. Con i provvedimenti contenuti nella DGR N VIII/3297 dell 11 ottobre 2006 e nella DGR N VII/3439 del 7 novembre 2006 la Regione Lombardia provvede, rispettivamente, a designare le nuove aree vulnerabili sul proprio territorio ai sensi del Dlgs 152/2006 (Norme in materia ambientale) e ad adeguare il proprio Programma di Azione per la tutela e il risanamento delle acque dall inquinamento causato da nitrati di origine agricola per le aziende localizzate in zona vulnerabile ai sensi del Dlgs N 152 del 3 aprile 2006 art 92 e D.M. del 7 aprile L aspetto importante della DGR 3297 è, ovviamente, l aumento dell area designata vulnerabile. Tale aumento è avvenuto in modo significativo proprio nelle aree dove maggiore è la concentrazione zootecnica. A titolo di esempio si segnala che, nella provincia di Brescia, i comuni vulnerabili ai sensi della L.R. 37/93 erano 8 mentre, con l entrata in vigore della citata DGR, il loro numero è salito a 81. La DGR 3439 fa proprie e integra, per tener conto delle peculiarità lombarde, le disposizioni del D.M 7/4/2006. Sulla scorta di quanto contenuto nel D.M. vengono pertanto codificati tutti i principali aspetti tecnici e amministrativi/autorizzativi con i quali, ogni azienda zootecnica ricadente in area vulnerabile, dovrà prossimamente confrontarsi per poter provvedere all utilizzazione agronomica dei propri reflui. Con ulteriore provvedimento del 2 agosto 2006 (DGR N VIII/5215 Integrazione con modifica al programma d azione per la tutela e risanamento delle acque dall inquinamento causato da nitrati di origine agricola per le aziende localizzate in zona vulnerabile e adeguamento dei relativi criteri e norme tecniche generali di cui alla DGR N VI/17149/1996) la Regione Lombardia completa il proprio quadro normativo relativo all applicazione della Direttiva Nitrati definendo tempistiche e regole alle quali dovranno adeguarsi le aziende agricole lombarde siano esse zootecniche o non zootecniche. Il considerare anche le aziende senza allevamento rappresenta una delle principali novità introdotte con la nuova normativa ed è indice della volontà regionale di normare tutto l azoto utilizzato dall agricoltura sia esso di origine animale sia esso di sintesi. 18

20 1.4 L IMPATTO DELLA NORMATIVA Considerando l eterogenea distribuzione degli allevamenti in Italia (all epoca dell emanazione della Direttiva Nitrati: Lombardia, Veneto, Piemonte ed Emilia Romagna detenevano una quota complessiva pari, rispettivamente, al 64% del patrimonio bovino nazionale, al 65% del patrimonio suino nazionale e al 70% del patrimonio avicolo nazionale - Tabella 1 mentre la SAU di tali regioni corrispondeva a circa il 31% di quella nazionale) si intuisce subito la portata del problema e le difficoltà che le prescrizioni della Direttiva hanno innescato nella realtà zootecnica padana. Tabella 1 - Consistenza del patrimonio bovino, suino e avicolo nelle regioni Lombardia, Veneto, Piemonte ed Emilia Romagna nel Fonte: ISTAT 4 Censimento Generale dell Agricoltura. Regione Bovini % sul totale Suini % sul totale Avicoli % sul totale Nazionale nazionale nazionale (n.) (%) (n.) (%) (n.) (%) Lombardia , , ,3 Veneto , , ,3 Piemonte , , ,2 Emilia Romagna , , ,4 Totale delle 4 regioni , , ,1 Totale nazionale , , ,0 Alla luce di tutto questo le DGR 3297/06, 3439/06, 5215/2007 e 5868/2007 della Regione Lombardia, inserendosi in una realtà quantomeno delicata si veda a questo proposito la Figura 3, la quale relaziona il carico di azoto escreto dagli animali allevati (bovini e suini) alla SAU comunale (carico di azoto zootecnico comunale/sau comunale) avranno ricadute alquanto significative in quanto, con l aumento dei comuni designati vulnerabili, molte aziende si troveranno, in pratica, nella condizione di non avere terreno sufficiente allo spandimento per l abbassamento del quantitativo massimo di azoto distribuibile per unità di superficie (da 340 a 170 kg/ha). 19

21 Figura 3 - Carico di azoto totale zootecnico in Lombardia (fonte: Sangiorgi et al., 2000). Pur essendo già previste, soprattutto a livello di nuovo PSR, adeguate misure di sostegno, l adeguamento delle aziende implicherà notevoli sforzi finanziari. Il tutto affinché la zootecnia lombarda continui a recitare quel ruolo di punta che storicamente le compete. 1.5 OSSERVAZIONI CONCLUSIVE La pur sintetica disamina effettuata evidenzia come l inquinamento delle acque provocato da fonti agricole rappresenti un tema di estrema delicatezza. Per le realtà tradizionalmente vocate per la zootecnia, di cui la Lombardia rappresenta senza dubbio la principale espressione, anche e soprattutto alla luce delle recenti innovazioni normative, occorrerà mettere a disposizione del modo zootecnico adeguati strumenti di accompagnamento e opportune innovazioni tecnologiche affinché risulti possibile continuare ad allevare anche se in maniera differente e con maggior riguardo verso le problematiche ambientali. Le misure finalizzate alle limitazione dei fenomeni dannosi all ambiente dell attività zootecnica non devono, infatti, tradursi in un disimpegno. L attività zootecnica è nata e si è sviluppata in Lombardia e nelle regioni limitrofe perché, in tali territori, esistevano e esistono le migliori condizioni affinché, essa abbia, nonostante le cicliche crisi, sostenibilità economica. Come sopra detto la sfida odierna è ritrovare anche la sostenibilità ambientale del fare allevamento. 20

22 2 TECNOLOGIE PER LA RIMOZIONE DELL AZOTO DAI REFLUI 2.1 PREMESSE L azoto è un elemento chimico estremamente diffuso in natura in molte forme sia organiche che inorganiche. In forma molecolare costituisce oltre il 78% dell atmosfera terrestre, in forma organica fa parte di importanti molecole biologiche e nella rimanente forma inorganica costituisce si può trovare in forma nitrosa, nitrica e ammoniacale. Le attività antropiche hanno portato a fenomeni di concentrazione di alcune sostanze azotate in determinati elementi dell ambiente: le acque. Nella Tabella 2 si riportano le forme di riferimento più comuni di questo elemento chimico nell ambito della gestione delle acque reflue. Tabella 2 - Le più comuni forme di azoto nelle acque reflue. Forma dell azoto Simbolo chimico Comune luogo di reperimento Concentrazione tipica nel luogo di reperimento Ammoniaca/Ammonio NH 3 /NH 4 Acque reflue domestiche mg/l Total Kjeldahl Nitrogen (somma dell azoto organico TKN Acque reflue domestiche, effluente mg/l con l ammoniaca/ammonio) Nitrato NO 3 Effluente nitrificato 1-35 mg/l Nitrito NO 2 Effluente parzialmente nitrificato 0,1-2 mg/l Come indicato nella Tabella, l'azoto è presente nelle acque reflue (domestiche e industriali) principalmente sotto forma di ammoniaca e azoto organico. A seconda del ph, l ammoniaca può esistere in soluzione come gas (NH 3 ), in soluzione come ione l ammonio (NH 4 + ) o come sale di ammonio in forma solida. L ammoniaca e i composti azotati organici possono essere misurati collettivamente utilizzando il metodo Kjeldahl per la misura di Azoto Totale (TKN). Anche se i moderni impianti di trattamento per le acque reflue possono rimuovere piuttosto bene BOD, TSS e gli agenti patogeni, purtroppo riescono ad eliminare solo una piccola quantità di TKN presenti nell affluente, a meno che non sono specificamente configurati per la rimozione di azoto. Per la rimozione di azoto dai reflui sono stati messi a punto una varietà di metodi. La Tabella 3 ne elenca i più comuni, suddivisi per tipologie e dalla quale si evincono i trattamenti chimico-fisici e/o biologici a cui possono essere sottoposti i reflui sia civili che industriali (e quindi anche i liquami e i digestati). 21

23 Tabella 3 - Sistemi di rimozione dell azoto dalle acque reflue. Tipologia di processo Tecnologia di rimozione Separazione meccanica Separazione con membrane Microfiltrazione e Osmosi Inversa (OI) Processi chimico-fisici ultrafiltrazione (UF) Precipitazione chimica di sali di ammonio (Struvite) Strippaggio ammoniaca Evaporazione/ Concentrazione Nitrificazione-denitrificazione Processi basati sulla ossidazione arrestata a nitrito Processi biologici Digestione anaerobica Processi biologici innovativi Processo Anammox Processo MBR Elettrodialisi (ED) 2.2 PROCESSI CHIMICO-FISICI Separazione meccanica Separazione dei solidi grossolani. Si applica ai liquami zootecnici dove le sostanze minerali e organiche sono in parte disciolte e in parte sospese. La componente sospesa è costituita da particelle con diversa granulometria. Il trattamento di separazione adotta tecniche per la rimozione di queste particelle in modo da rendere la componente liquida più facile da gestire, con minore formazione di odori, riduzione della formazione di sedimenti o crostoni nelle vasche di stoccaggio. La componente separata è palabile con un contenuto in solidi dell ordine del 20-40%. Ha il vantaggio di poter essere trasportata in modo più agevole e distribuita sui terreni con un minor rischio ambientale rispetto ai liquami. Richiede però un periodo di sosta su platea per ridurre la produzione di odori e rendere più stabile la sostanza organica. Infatti, in questa frazione si concentrano maggiormente alcuni nutrienti. Di conseguenza anche l azoto è presente principalmente in forma organica (60-80% dell azoto totale). Il separato ha quindi caratteristiche ammendanti che lo rendono particolarmente adatto alle fertilizzazioni prima delle lavorazioni principali del terreno. In figura 4 è riportata una rappresentazione schematica del diagramma di flusso dell intero processo [10]. Le tipologie di separatori in commercio sono finalizzate al trattamento del liquame grezzo per migliorare la gestione dell effluente. Sono sistemi meccanici che si basano, essenzialmente, sullo stesso principio: separare le particelle di dimensione superiori mediante il passaggio del liquame attraverso una superficie grigliata o forata. Le dimensioni dei fori o delle aperture definisce il grado di separazione che si ottiene. In genere, questo parametro è un compromesso tra la portata delle attrezzature, il rischio di intasamento e una buona efficienza di separazione. Le tipologie di separatore differiscono per la modalità con cui il liquame viene convogliato attraverso il sistema filtrante: i vagli statici per gravità; i vibrovagli grazie alla vibrazione della griglia; i vagli rotativi per gravità e rotazione; i separatori a rulli cilindrici grazie alla pressione di rulli controrotanti; i separatori a vite elicoidale mediante la compressione del liquame contro alla griglia. 22

24 Figura 4 - Schema separazione dei solidi grossolani (Fonte: Provolo, 2008). La quantità di frazione palabile che si ottiene non deve essere confusa con l efficienza di separazione che rappresenta il rapporto tra la frazione di solidi, azoto, fosforo che viene separata e quella contenuta nel liquame in ingresso al trattamento. A parità di efficienza di separazione, i volumi di palabile possono variare notevolmente in relazione al contenuto in acqua del separato (Figura 5). In particolare, per quanto riguarda l azoto, la sua riduzione a seguito della separazione dei solidi grossolani con l esportazione del palabile, è stata stimata essere dell ordine del 4-16%, con un costo relativo di 0,2-1,2 m -3 di effluente avviato al trattamento. Figura 5 - Caratteristiche della frazione solida separata (Fonte: Provolo, 2008). Tabella 4 - Dispositivi di separazione meccanica dei solidi grossolani. Efficienze ottenibili nella rimozione della sostanza secca e dei nutrienti (N e P) e relativi costi (Fonte: Provolo, 2008). Tipo di separatore Efficienza di separazione (%) Costo Solidi N P ( m -3 ) Vagli ,2-0,4 Cilindrico ,6-1,2 Elicoidale ,6-1,2 Separazione dei solidi grossolani e fini. I solidi contenuti nei liquami possono essere classificati in base al loro diametro in grossolani (superiori a 0,1 mm) e fini (inferiori a 0,1 mm). Le tecniche che consentono la rimozione anche dei solidi fini si possono basare su: separazione meccanica con la produzione di un separato palabile, separazione per gravità mediante sedimentazione e separazione per flottazione. Queste due ultime tecniche consentono di ottenere come effluente un liquido chiarificato e un liquido addensato ma non palabile (fango). Un successivo trattamento meccanico può ridurne l umidità in modo da ottenere un prodotto finale palabile. La rimozione dei solidi fini dalla componente liquida viene ottenuta anche con l impiego di additivi chimici che migliorano l efficienza 23

25 di rimozione del sistema. L efficienza di rimozione è elevata per le componenti solide sospese. L impiego di flocculanti, consentendo l aggregazione delle particelle più piccole in aggregati di maggiori dimensioni ne favorisce la separazione. Le sostanze disciolte, come l azoto in forma ammoniacale non vengono però trattenute. In Figura 6 è riportata una rappresentazione schematica del diagramma di flusso dell intero processo. Figura 6 - Schema separazione dei solidi grossolani e fini (Fonte: Provolo, 2008). Le separazione per gravità (sedimentazione) si basa sulla deposizione dei solidi che avviene naturalmente in una miscela non agitata in cui i solidi sono sospesi. I tempi richiesti per la sedimentazione delle particelle sono in relazione alla dimensione delle stesse. Le vasche di sedimentazione utilizzate per la rimozione dei solidi di un impianto di trattamento sono dimensionate per un tempo di permanenza del liquido di circa 3 ore. I bacini di sedimentazione prevedono la deposizione durante la fase di stoccaggio con svuotamento periodico (1-2 volte all anno) del fango e hanno capacità corrispondente agli effluenti prodotti in giorni. La separazione per flottazione sfrutta l immissione di aria e, in genere, di additivi per aggregare le particelle solide e farle affiorare. Un sistema meccanico raschiafango rimuove poi l addensato che galleggia in superficie dal chiarificato che viene inviato agli stadi successivi del trattamento. Questo sistema è in grado di rimuovere anche la frazione colloidale dei solidi sospesi che rappresenta una quota significativa della sostanza organica più resistente alla degradazione biologica. I sistemi meccanici sono riconducibili a due tipologie di separatori: centrifughe e nastropresse. Le prime sfruttano l effetto della forza centrifuga per espellere l acqua e trattenere grazie a un cestello forato i solidi. Le nastropresse sono costituite da due nastri di materiale semipermeabile entro i quali viene progressivamente compresso il liquido che fuoriesce mentre le particelle solide trattenute all interno vengono scaricate alla fine del percorso. Entrambe queste attrezzature vengono normalmente utilizzate per rendere palabili e contenere i volumi dei fanghi in uscita dagli impianti di trattamento. I costi elevati non le rendono adatte a un utilizzo su tutto il liquame prodotto dall allevamento. Un sistema di separazione che è stato utilizzato solo a livello di impianti pilota è costituito da tubi geotessili filtranti con capacità variabile da 50 a 5000 m 3 che vengono riempiti con liquame e percolano per gravità il liquido trattenendo i solidi anche fini concentrandoli al 25-30% di sostanza secca. Tutti questi sistemi di separazione si avvantaggiano dell uso di additivi chimici che sono di due tipologie: coagulanti, in genere sali di ferro o di alluminio e flocculanti (polielettroliti) che favoriscono l aggregazione tra le molecole. 24

26 Le prestazioni delle tecniche riportate variano considerevolmente in relazione alle caratteristiche del prodotto influente. In particolare, l efficienza di separazione dei solidi è maggiore se sono concentrati. La rimozione dell azoto è legata alla sua presenza in forma organica non solubile (Tabella 5). In particolare, per quanto riguarda l azoto, la sua riduzione a seguito della separazione dei solidi grossolani e fini con l esportazione del palabile, è stata stimata essere dell ordine del 20-35%, con un costo relativo di 0,3-4,2 m -3 di effluente avviato al trattamento [10]. Tabella 5 - Dispositivi di separazione meccanica dei solidi grossolani e fini. Efficienze ottenibili nella rimozione della sostanza secca e dei nutrienti (N e P) e relativi costi (Fonte: Provolo, 2008). Tipo di separatore Efficienza di separazione (%) Costo Solidi N P ( *m -3 ) Sedimentatore ,3-0,4 Flottatore ,3-1,9 Centrifuga ,2-2,0 Nastropressa ,9-4,2 I vari dispositivi elencati nelle Tabelle 4 e 5 possono essere abbinati fra loro, così da ottenere linee di separazione con elevate efficienze di rimozione dell azoto come, ad esempio, viene proposto nella regione belga delle Fiandre (una delle aree europee a maggior densità zootecnica), con un sistema mobile su container scarrabile della ditta Greenfield (Figura 7). Tale sistema, consente negli allevamenti suinicoli di esportare dalle aziende una frazione solida che rappresenta in peso circa il 15-20% del liquame trattato e contiene circa il 50% dell azoto totale; il costo del servizio ammonta a circa 12 /m 3 di liquame tal quale trattato, ed è comprensivo della gestione della frazione solida, che in genere viene esportata come ammendante organico nelle regioni della Francia del nord, confinanti con le Fiandre. Figura 7. Schema di separazione applicato nel sistema mobile su container scarrabile proposto dalla ditta Greenfield. (Fonte: Piccinini, 2007). 25

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