IL TRUST QUALE STRUMENTO ALTERNATIVO AL TESTAMENTO di Gaetano Lonero Notaio. 1 - Breve premessa sull'ammissibilità del c.d.

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1 IL TRUST QUALE STRUMENTO ALTERNATIVO AL TESTAMENTO di Gaetano Lonero Notaio 1 - Breve premessa sull'ammissibilità del c.d. trust interno Può ritenersi un dato ormai acquisito nella prassi civile professionale la possibilità di stipulare un trust c.d. interno, i cui principali elementi siano strettamente collegati con l'ordinamento italiano con la sola eccezione della legge regolatrice; costituisce difatti orientamento largamente condiviso, sia in dottrina sia in giurisprudenza (anche se non mancano autorevoli opinioni dottrinarie di segno contrario), quello che ritiene che, per effetto della Legge 16 ottobre 1989 n. 364 di ratifica della Convenzione dell'aja del 1 luglio 1989, in Italia siano riconoscibili e, pertanto, possano dispiegare piena efficacia negozi istitutivi di trust stipulati in conformità ad una legge straniera scelta dal disponente. Il trust interno pertanto è sempre disciplinato, ai sensi dell'art. 8 della Convenzione, da una legge straniera che prevede e regolamenta espressamente l'istituto, scelta o individuata dal settlor, ai sensi dell'art. 6 della Convenzione medesima. E altrettanto largamente condivisa in dottrina l opinione secondo la quale la precitata Legge n. 364/1989 non ha introdotto nell ordinamento italiano la figura del trust c.d. domestico ; il nostro ordinamento, infatti, non ha al suo interno un complesso di norme idonee a disciplinare in maniera autosufficiente il fascio di rapporti giuridici che si instaura per effetto dell istituzione di un trust. In questa sede non è possibile affrontare analiticamente tale questione; mi limito a rilevare come, in merito ad essa, non hanno avuto sostanziale incidenza alcuni recenti interventi normativi; in particolare risulta decisamente maggioritaria, in dottrina, l opinione secondo cui l art ter Cod. Civ. non costituisce disposizione idonea a disciplinare in maniera autonoma un trust. Notevoli e complessi sono i problemi che l'operatore del diritto deve affrontare qualora si debba confrontare con la redazione di un atto istitutivo di trust interno (in primo luogo occorre studiare in maniera approfondita la legge straniera scelta quale legge regolatrice del trust}. L'oggetto della presente relazione è peraltro più limitato. Cercherò di analizzare alcune delle problematiche specifiche che un operatore del diritto, ed in particolare un notaio, si trova a dover affrontare laddove sia richiesto di predisporre un trust interno di natura liberale che abbia, cioè, la specifica finalità di regolamentare le vicende, in senso lato, successorie del disponente. 2 - Il trust liberale quale strumento alternativo al testamento Negli ultimi decenni si è assistito alla continua ricerca ed alla concreta utilizzazione di strumenti giuridici alternativi al testamento, inteso quale tipico negozio a causa di morte con il quale un soggetto dispone delle proprie sostanze per il tempo in cui avrà cessato di vivere. Tra i molteplici elementi che hanno concorso a determinare questo fenomeno si possono annoverare, oltre alla costante ricerca di risparmi fiscali, oggi meno avvertita a seguito delle recenti modifiche della normativa tributaria in materia, soprattutto alcuni fattori socialmente rilevanti, quali l'allungamento della vita media, l aumento delle seconde nozze ed il diffondersi di rapporti interpersonali non compiutamente disciplinati

2 dall ordinamento giuridico (basti pensare alle c.d. unioni di fatto o convivenze ed al dibattito politico, talvolta anche aspro, che tutt oggi imperversa in ordine all opportunità della loro regolamentazione). L analisi dei repertori dei notai in esercizio consente di rendersi conto di come sia sempre più raro il caso di un soggetto che scelga di regolare la sorte del proprio patrimonio attraverso il testamento. La sistemazione dei patrimoni familiari, non soltanto di quelli più ingenti, viene, di frequente, effettuata attraverso negozi inter vivos: ne sono un classico esempio le donazioni in conto di legittima che hanno, talvolta, ad oggetto la nuda proprietà con riserva dell'usufrutto in favore del donante ed eventualmente, dopo di lui, a vantaggio del coniuge. In altri casi la sistemazione del patrimonio familiare è più complessa e articolata e richiede, pertanto, il ricorso anche a quei negozi che la dottrina ha classificato nelle due categorie dei negozi trans mortem e dei negozi post mortem. I primi presentano essenzialmente queste caratteristiche: è definito trans mortem il negozio inter vivos per effetto del quale un bene fuoriesce immediatamente dal patrimonio del disponente ma nel quale l'attribuzione in favore del beneficiario diviene definitiva solo dopo la morte del beneficiante il quale si riserva inoltre la possibilità di modificare l'assetto patrimoniale fino al momento del suo decesso (ne sono esempi il contratto a favore del terzo con prestazioni da eseguirsi dopo la morte dello stipulante, ex art Cod. Civ., la rendita vitalizia e/o il vitalizio alimentare in favore di terzo, alcune clausole di consolidazione nei contratti societari). Appartengono alla seconda categoria quei negozi nei quali la morte si inserisce quale condizione o termine di efficacia. Può accadere, peraltro, che un soggetto avverta l'esigenza di regolare l'assetto del proprio patrimonio in maniera ancora più articolata e complessa; in tal caso è possibile che anche gli strumenti alternativi al testamento c.d. domestici non siano del tutto idonei al perseguimento della sistemazione patrimoniale divisata. Può accadere, inoltre, che alcuni di quegli stessi fattori che hanno concorso a determinare la c.d. crisi del testamento, in talune circostanze specifiche, possano far avvertire l esigenza di far ricorso comunque ad un negozio a causa di morte ma che nella fattispecie concreta, peraltro, il testamento, inteso come negozio tipico, possa risultare inadatto a regolare la sorte del patrimonio del disponente in maniera confacente alle esigenze da questi manifestate. Si pensi al caso dell'imprenditore che desidera che la propria azienda non venga smembrata nel momento in cui egli dovrà lasciarne la gestione, o in occasione del proprio decesso, e ritenga, inoltre, che nessuno dei propri più stretti congiunti abbia maturato quelle capacità manageriali necessarie per subentrargli nel ruolo direttivo. In tale ipotesi, non essendo utilizzabile il nuovo istituto del patto di famiglia per carenza dei presupposti soggettivi, l'istituzione di un trust interno che preveda il trasferimento dell'azienda ad uno o più trustee potrebbe costituire una soluzione adeguata. Il trustee, individuato in relazione alle specifiche competenze in materia, avrebbe l'obbligo di gestire l impresa con criteri manageriali, di devolvere la parte di utili non reinvestiti in azienda in favore dei figli e/o del coniuge del disponente ed infine di trasferire, al termine della durata del trust (che, per la maggior parte delle leggi straniere, non può essere a tempo indeterminato, essendovi limiti di durata massima), l'azienda stessa ai discendenti del disponente. Si pensi ancora al caso di chi abbia un parente stretto, o una persona a lui cara, che sia affetta da minorazioni psico-fisiche tali da renderla, anche soltanto di fatto, inabile a provvedere a se stessa o che sia affetta da una di quelle patologie degenerative progressive (morbo di Parkinson o di Alzheimer) che in futuro potrebbero determinare analoga condizione per il malato. In simili ipotesi non sempre è possibile far ricorso ad - 2-

3 istituti domestici quali il fedecommesso con funzione "assistenziale", ex art. 692 Cod. Civ. Tale disposizione, infatti, prevede tassativamente i requisiti soggettivi dell'istituito nonché l esistenza di rapporti di parentela/coniugio tra testatore ed istituito (questi deve essere figlio, discendente o coniuge, in stato di interdizione o, se minore, in condizioni tali da far presumere che al raggiungimento della maggiore età vi sarà nei suoi confronti sentenza di interdizione); inoltre, non di rado, è il soggetto interessato che non vuole far ricorso al predetto istituto in quanto non lo ritiene, in concreto, adeguato e funzionale. L istituzione di un trust in cui il trustee, al quale il disponente fornirà i mezzi patrimoniali necessari, assuma l obbligo di garantire la cura e l assistenza in favore della persona cara che presenti le suddette minorazioni, per il tempo in cui il settlor non potrà provvedervi personalmente, può costituire una valida alternativa alle soluzioni tradizionali o domestiche. Questi sono soltanto due esempi delle molteplici ipotesi in cui il ricorso ad un trust interno liberale, sia inter vivos che testamentario, consente al disponente di determinare un assetto del proprio patrimonio che sia pienamente rispondente alle proprie esigenze senza dover far ricorso ad altri meccanismi più complessi e di meno sicura efficacia quali i negozi fiduciari. E dunque possibile affermare che tra i negozi alternativi al testamento, a seguito della ratifica della Convenzione dell'aja da parte dello Stato italiano, può essere inserito, a pieno titolo, anche il trust interno liberale. 3 - Rapporto con il divieto dei patti successori Come anticipato in premessa, è necessario analizzare gli specifici problemi che il ricevimento di un trust interno liberale nonché di tutti i negozi collegati con cui siano trasferiti al trustee i beni oggetto del trust pone al notaio incaricato del relativo rogito o di autenticarne la scrittura privata. L'opportunità che i suddetti atti siano stipulati in forma notarile deriva dall'art. 3 della Convenzione dell Aja (che richiede che i trusts siano comprovati per iscritto); il negozio attributivo di beni al trustee potrebbe avere per oggetto un diritto reale su beni immobili, nel qual caso il requisito di forma sarebbe richiesto ai fini dell esecuzione delle formalità di trascrizione. Un primo interrogativo che può porsi è se il ricevimento dell'atto istitutivo di un trust liberale inter vivos possa configurarsi quale patto successorio istitutivo, nullo, pertanto, ex art. 458 Cod. Civ. La risposta al citato interrogativo evidentemente deve essere negativa. Il negozio istitutivo del trust, infatti, non è una convenzione (negozio bilaterale tra disponente e trustee) bensì un atto unilaterale. La struttura dell atto istitutivo del trust è sempre la medesima, sia che il predetto negozio sia contenuto in un atto tra vivi sia che esso sia inserito nel corpo di una scheda testamentaria. In quest'ultimo caso tale atto si configura come disposizione a carattere non patrimoniale e va ricondotto nel novero delle disposizioni che costituiscono il c.d. "contenuto atipico del testamento" (per utilizzare l espressione coniata dal Prof. Giampiccolo), ex art. 587, comma 2, Cod. Civ. Sotto questo aspetto si può rinvenire un'analogia, unicamente sotto il profilo strutturale e non anche sotto quello effettuale, con il negozio istitutivo di una fondazione da cui va tenuto distinto il c.d. negozio di dotazione con il quale il fondatore trasferisce all'ente da lui istituito il patrimonio da destinare ad un determinato scopo. Un problema di patto successorio istitutivo non si pone, peraltro, neanche con riferimento all'ulteriore negozio, collegato a quello istitutivo del trust, con il quale il settlor trasferisce al trustee i beni oggetto del trust. Quest'ultimo, se contenuto nel testamento, - 3-

4 andrà configurato come una normale istituzione di erede o di legato in favore del trustee (seppur gravata da oneri in favore dei beneficiari del trust); qualora sia realizzato con un atto inter vivos a struttura bilaterale, si configurerà come un negozio trans mortem. Anche in tal caso, pertanto, deve escludersi la contrarietà a quanto disposto dall'art. 458 Cod. Civ. 4 - Rapporto con il divieto della sostituzione fedecommissaria Un secondo interrogativo che si pone dinanzi al ricevimento di un trust liberale interno, è se esso realizzi un'ipotesi di sostituzione fedecommissaria vietata ex art. 692 Cod. Civ. L'istituto del fedecommesso presenta questi elementi essenziali: - la duplice delazione (due disposizioni che attribuiscono gli stessi beni a soggetti diversi); - il c.d. "ordo successivus" (sia l'istituito che il sostituito succedono al disponente uno dopo l'altro); - l'obbligo di conservare il patrimonio da parte del primo istituito (alla sua morte il patrimonio si devolverà al sostituito sempre per effetto della successione del disponente al quale dunque succederà il sostituito). Questi elementi caratterizzanti il fedecommesso mancano nei trusts liberali. Il beneficiario finale, allo spirare della durata del trust, riceve i beni non dal settlor ma dal trustee il quale, nel frattempo, ne avrà avuto la piena disponibilità (eventualmente sotto il controllo di uno o più protectors), e pertanto potrà aver sostanzialmente modificato, sia sotto il profilo quantitativo che sotto quello qualitativo, la struttura del patrimonio costituito in trust. I beneficiari immediati, invece, percepiscono unicamente le rendite dei beni costituiti in trust. Maggiori e più fondate perplessità possono porsi nell'ipotesi in cui i soggetti chiamati a beneficiare delle rendite del patrimonio costituito in trust liberale siano più persone ed esse siano chiamate a goderne, non contemporaneamente, ma in tempi successivi. In tal caso è stato correttamente osservato (Lupoi) che può ravvisarsi un contrasto con il divieto disposto dall'art. 698 Cod. Civ. (che disciplina non solo l'istituto dell usufrutto successivo ma anche le rendite o annualità lasciate a più persone successivamente). In tale ipotesi, di conseguenza, ai sensi del citato articolo, la disposizione dovrebbe aver efficacia solo in favore dei primi chiamati. Alla luce delle predette considerazioni si ritiene, pertanto, di poter escludere che un trust liberale interno violi necessariamente il divieto della sostituzione fedecommissaria; dello stesso avviso si è anche mostrata la giurisprudenza di merito in quello che è probabilmente il principale precedente in materia di trust testamentario: il Tribunale di Lucca (con sentenza del 23 settembre 1997, successivamente confermata dalla competente Corte d Appello) ha chiaramente escluso la equiparazione tra trust testamentario e fedecommesso, riconoscendo la validità del primo. 5 - Il rapporto del trust liberale con l'art. 15, lett. c), della Convenzione dell'aja L'art. 15, lett. c), della Convenzione dell'aja, fa espressamente salvi i limiti posti dalla legge nazionale (ossia dello Stato in cui il trust deve essere riconosciuto) in materia di testamento, di devoluzione dei beni ereditari e di diritti dei legittimari. L'ordinamento successorio italiano si caratterizza per la riserva di una quota di eredità, o altri diritti nella successione, in favore dei più stretti congiunti del de cuius. A tutela della intangibilità dei diritti a lui spettanti il nostro sistema attribuisce al legittimario, in primo luogo, l'azione di riduzione che ha per oggetto le disposizioni - 4-

5 testamentarie e/o le liberalità lesive della quota di riserva (artt. 553 e ss. Cod. Civ.). L'azione di riduzione è ritenuta pacificamente un'azione con cui si fa valere non la nullità dell'atto dispositivo bensì la sua inefficacia relativa e sopravvenuta; pertanto non è vietato ad un soggetto compiere atti che siano potenzialmente lesivi dei diritti dei legittimari; gli atti in questione sono pienamente validi ed efficaci sino a che non sia stata esperita vittoriosamente l'azione di riduzione. Sono dunque ricevibili dal notaio testamenti, donazioni o liberalità che, alla morte del disponente, saranno con forte probabilità oggetto di impugnazione da parte dei c.d. eredi necessari" (né si pone un problema di eventuale violazione dell'art. 28 della Legge Notarile). Nell'esercizio di quella funzione antiprocessuale che, secondo l insegnamento di Carnelutti, qualifica e contraddistingue l attività del notaio quest ultimo farà presente al disponente quali conseguenze possano derivare dall'atto che egli intende compiere e darà, ove richiesto, tutti gli eventuali suggerimenti per modificare l'assetto patrimoniale predisposto in maniera da prevenirne, sempre se ciò sia possibile, la futura impugnazione. In forza di quanto disposto dall'art. 15, lett. c), della Convenzione dell'aja, se un trust liberale produce sostanzialmente l'effetto di "diseredare" i più stretti congiunti del settlor sarà ugualmente riconoscibile in Italia, ma tale riconoscimento non potrà precludere ai legittimari lesi o pretermessi l'esercizio delle azioni che l'ordinamento interno appresta in loro favore. In tal senso si è pronunziato il Tribunale di Lucca nella richiamata sentenza del 23 settembre 1997 in tema di trust testamentario. In caso contrario, qualora cioè si dovessero ritenere non riducibili le attribuzioni compiute attraverso un trust liberale, si dovrebbe coerentemente sostenere che il riconoscimento di tale tipo di trust sia manifestamente contrario all'ordine pubblico, ex art. 18 della Convenzione (fatta salva eventualmente l'applicazione della clausola di salvaguardia contenuta nell'ultimo comma dell'art. 15 della medesima). Giova, inoltre, sottolineare che una forma di tutela analoga a quella predisposta dall'art. 15, lett. c), della Convenzione dell'aja è garantita ai legittimari dalla disposizione di diritto internazionale privato (art. 46, comma 2, della Legge n. 218/1995) per il caso che il testatore scelga di sottoporre la propria successione alla legge dello stato ove risiede. E necessario, peraltro, analizzare come vada esperita, in concreto, l'azione di riduzione nell ipotesi di un trust liberale che realizzi attribuzioni lesive dei diritti dei legittimari. In primo luogo è bene chiarire che oggetto specifico dell'azione di riduzione non sarà mai il negozio istitutivo del trust in quanto esso va qualificato come disposizione testamentaria atipica o come negozio inter vivos a carattere non patrimoniale. Al fine di individuare quale sia effettivamente l attribuzione oggetto dell'azione di riduzione e chi ne sia, pertanto, il legittimato passivo è preferibile distinguere tra trust testamentario e trust liberale inter vivos. In riferimento alla prima ipotesi, può affermarsi che, quasi sicuramente, oggetto dell'azione di riduzione non saranno le disposizioni testamentarie con le quali i beni oggetto del trust sono trasferiti al trustee. Queste, infatti, andranno qualificate come istituzioni del trustee, quale erede o legatario, gravate da legati o sublegati che ne assorbono totalmente la portata economica. Con grande probabilità, oggetto dell'azione di riduzione saranno, pertanto, le disposizioni in favore dei beneficiari finali del trust. Questi ultimi andranno qualificati come legatari o sublegatari ed il legato in loro favore si configurerà come legato ad effetti obbligatori gravante sul trustee. E' evidente, inoltre, che qualora tra i beneficiari del trust vi sia anche un legittimario questi dovrà imputare, ex art. 564 Cod. Civ., quanto riceve dal trustee in esecuzione delle disposizioni dettate dal settlor. Nel caso di trust liberale istituito con atto inter vivos, si ritiene, pacificamente, che non possano esser oggetto dell azione di riduzione i collegati negozi con i quali il settlor - 5-

6 trasferisce i beni al trustee; tali attribuzioni patrimoniali, difatti, non sono caratterizzate da alcuno spirito di liberalità. La segregazione del patrimonio in trust (cfr. art. 11 della Convenzione dell Aja) e gli obblighi giuridicamente rilevanti che il trustee assume impediscono di considerare tale soggetto quale beneficiario di una liberalità, seppur indiretta, da parte del disponente. Diverso discorso deve esser fatto con riferimento ai beneficiari, iniziali e/o finali, del trust. Questi devono essere considerati beneficiari di una liberalità indiretta da parte del settlor. L atto con il quale il trustee trasferisce loro le rendite o i beni (al termine del trust) non può essere considerato una liberalità operata dal trustee (il quale è giuridicamente obbligato ad effettuare il suddetto trasferimento) bensì una liberalità indiretta da parte del settlor. Sotto questo profilo è possibile tracciare un'analogia con la fattispecie della disposizione testamentaria fiduciaria. Nell'ipotesi disciplinata dall art. 627 Cod. Civ., secondo l'insegnamento della dottrina più autorevole (Mengoni), il soggetto passivo dell'azione di riduzione non è il fiduciario bensì il destinatario finale che riceve i beni oggetto del lascito dal soggetto istituito. Soltanto nel caso in cui non sia stata adempiuta l'obbligazione naturale derivante dalla disposizione testamentaria e, pertanto, non vi sia stato il trasferimento dei beni al beneficiario finale, il fiduciario sarà il legittimato passivo dell'azione di riduzione. Nello stesso modo, in teoria, potrebbe esserlo il trustee qualora sia inadempiente ai suoi obblighi ed abbia confuso i beni costituiti in trust con il proprio patrimonio personale; in tal caso, tuttavia, la legge regolatrice del trust normalmente predispone più efficaci rimedi azionabili immediatamente dai beneficiari del trust e/o dai protectors (c.d. tracing ). Sostenere che i beneficiari di un trust liberale inter vivos non possano essere considerati quali destinatari di liberalità indirette da parte del settlor avrebbe una portata dirompente; i trusts liberali interni si configurerebbero, in maniera quasi fisiologica, come negozi attraverso cui sarebbe possibile diseredare di fatto i legittimari; qualora fossero in concreto utilizzati a tal fine, se ne dovrebbe sostenere la nullità per frode alla legge o quanto meno si dovrebbe dubitare della loro riconoscibilità. Le considerazioni sopra effettuate portano a ritenere estremamente problematico l'esercizio dell'azione di riduzione in presenza di un trust liberale c.d. discrezionale. In questa ipotesi, infatti, il trustee ha il potere di individuare i beneficiari del trust nonché di determinare l'entità delle quote loro spettanti. Questa tipologia di trust, peraltro, presenta altri, e forse più rilevanti, profili di criticità che fanno dubitare della sua riconoscibilità; non sembra, infatti, compatibile con alcuni principi generali del nostro ordinamento successorio ed in particolare con quanto disposto dagli artt. 631, 632 e 778 Cod. Civ. (salvo che il potere discrezionale del trustee non sia stato limitato dal settlor in conformità a quanto previsto dalle citate disposizioni). Resta infine da esaminare, in maniera più dettagliata, l'ipotesi, peraltro frequente, del trust liberale nel quale il legittimario sia contemplato quale beneficiario delle rendite e/o del patrimonio costituito in trust, al termine della durata del medesimo. Quanto sin qui esposto porta, innanzitutto, ad escludere che egli possa esperire l'azione di riduzione senza imputare, ex artt. 564, comma 2, e 809 Cod. Civ., quanto ricevuto dal settlor come liberalità indiretta. Quando il legittimario è l unico beneficiario delle rendite o l unico beneficiario finale di un trust che ha per oggetto l'intero patrimonio del settlor, quanto sopra evidenziato porta ad escludere che egli possa lamentare una lesione di legittima, almeno sotto il profilo quantitativo. In casi del genere, si potrebbe, pertanto, ritenere che non sussista un problema di violazione del disposto dell'art. 15, lett. c), della Convenzione dell Aja. Occorre, peraltro, tener presente che l'azione di riduzione non è l'unico strumento - 6-

7 di tutela che l'ordinamento predispone in favore del legittimario. Va ricordata, infatti, l esistenza di quell autorevole, seppur minoritaria, dottrina (Mengoni) secondo la quale il c.d. "erede necessario" ha diritto sia all'intangibilità quantitativa della quota di legittima, ma altresì all'integrità qualitativa della medesima. Secondo tale ricostruzione, le norme in tema di "cautela sociniana" e di legato in sostituzione di legittima dimostrano che il legittimario ha diritto a ricevere beni che facciano parte del patrimonio ereditario ed in piena proprietà. Qualora tale diritto gli venga negato l'ordinamento lo soccorre con i rimedi previsti dagli artt. 550 e 551 Cod. Civ. In entrambi i casi occorre che il legittimario si attivi nei confronti di atti dispositivi, altrimenti pienamente efficaci; egli deve agire per conseguire l'integrità qualitativa della legittima, operando la "scelta" ex art. 550 Cod. Civ. o rinunziando al legato sostitutivo ed agendo in riduzione ex art. 564 Cod. Civ. L'esistenza di queste ulteriori forme di tutela in favore del legittimario, a mio avviso, va tenuta in debito conto in particolare qualora venga istituito un trust liberale interno in cui i legittimari siano contemplati tra i beneficiari delle sole rendite del patrimonio. In casi del genere, le clausole di salvaguardia che parte della dottrina ha suggerito di inserire nel negozio istitutivo del trust a tutela dei legittimari (che genericamente impongono al trustee o ai beneficiari finali di soddisfare con beni o danaro le ragioni dei legittimari lesi, senza alcun onere a carico di questi ultimi di agire in giudizio) non sembrano del tutto idonee ad evitare l insorgere di contenziosi. In tali ipotesi, potrebbe, forse con maggiore efficacia, essere utilizzata una clausola modellata sulla "cautela sociniana" con la quale sia data al legittimario/beneficiario la facoltà di scegliere se conseguire la sola quota di legittima in piena proprietà (in tal caso dovranno essere indicati eventuali altri beneficiari delle rendite in sua sostituzione) o piuttosto far proprie le rendite di tutti i beni costituiti in trust, rinunziando in tal modo all'integrità qualitativa della quota di legittima. E' questo il suggerimento che l autorevole dottrina sopra richiamata (Mengoni) propone per il caso, per certi aspetti analogo, del legittimario istituito in una quota maggiore di quella di legittima ma gravata da pesi o condizioni. In tale ipotesi il legittimario, attraverso la previsione di un apposita clausola testamentaria, può essere messo di fronte alla scelta: conseguire la sola quota di legittima, "depurata" da pesi e condizioni ex art. 549 Cod. Civ.; accettare la maggior quota di eredità ma gravata da pesi e condizioni. - 7-

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