LA SPECIALIZZAZIONE INTERNAZIONALE DELL ITALIA: ANOMALIE, DINAMICA E PERSISTENZA.

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1 LA SPECIALIZZAZIONE INTERNAZIONALE DELL ITALIA: ANOMALIE, DINAMICA E PERSISTENZA. Luca De Benedictis e Massimo Tamberi INTRODUZIONE L oggetto di questa breve analisi è il modello di specializzazione italiano, termine con il quale ci si riferisce alla struttura settoriale (merceologica) dell interscambio commerciale dell'economia italiana 1. Da oltre un ventennio, le peculiarità del modello di specializzazione italiano forniscono lo spunto per la ricerca economica, la quale, con andamento ciclico, alimenta il dibattito intorno alla presunta debolezza di questo medesimo modello. Questo, in termini estremamente schematici, viene generalmente, ma con alcune rilevanti eccezioni, accusato per le troppo forti analogie con quello di molti paesi economicamente arretrati piuttosto che, come sarebbe più facilmente presumibile, con quello dei paesi industrializzati di pari o più alto livello di reddito pro capite. A che cosa è attribuibile tale anomalia? Come si spiega la mancata corrispondenza tra livello del reddito procapite o il grado di sviluppo economico e uno specifico modello di specializzazione? Può un paese membro del G7 essere caratterizzato da un modello di specializzazione dissimile da quello degli altri? LA SPECIALIZZAZIONE ITALIANA NELL ANALISI DEGLI ECONOMISTI. Ciò che, a partire dalla fine degli anni 70, appariva strano agli economisti, era la progressiva divergenza dai modelli tipici degli altri paesi industrializzati: in particolare appariva chiaro un forte orientamento delle esportazioni italiane verso produzioni cosiddette tradizionali e una dipendenza da importazioni di prodotti tecnologicamente avanzati (Onida, 1978; Modiano, 1982). Inoltre, a tale Università degli Studi di Macerata; tel.: ; E mail: debene@unimc.it Università di Ancona; tel.: ; E mail: tamberi@deanovell.unian.it 1. In genere il significato è esteso alla struttura produttiva, anche se, come mostra la letteratura sul home bias (Amiti, 1998) tra struttura produttiva e struttura del commercio possono esistere anche rilevanti differenze. 1

2 caratteristica se ne accompagnavano altre due di carattere dimensionale e organizzativo-territoriale: l orientamento merceologico della produzione industriale italiana era (ed è) accompagnato da una specificità dimensionale, in quanto le imprese italiane risultavano (e risultano) mediamente più piccole (in termini di addetti) rispetto a quanto rilevabile in altri paesi; e al medesimo orientamento merceologico era (ed è) associata una organizzazione territoriale della produzione in cui i cosiddetti "distretti industriali" ricoprono un ruolo rilevante. Era opinione comune a molti osservatori che delle tre caratteristiche la prima potesse determinare un vincolo estero alla crescita. In base alla teoria post-keynesiana della crescita basata sulla domanda (De Benedictis, 1999) il tasso di crescita del reddito di lungo periodo dipende dal rapporto esistente tra l'elasticità al reddito delle importazioni (α >0), l'elasticità delle esportazioni alla domanda mondiale (ε >0) e il gap tecnologico tra l'economia nazionale e il resto del mondo (g-g * ), secondo la seguente espressione: (1) * ( g ) * * ( p p + z) ( β η 1) + ε y γ g y= + α α dove y rappresenta il tasso di crescita del reddito nazionale consistente con l'equilibrio della bilancia dei pagamenti; y * identifica il tasso di crescita della domanda mondiale; p *, p e z sono rispettivamente il tasso d'inflazione mondiale, il tasso d'inflazione nazionale e il tasso di deprezzamento del cambio. Per quel che riguarda i parametri strutturali, β >0 identifica l'elasticità delle importazioni rispetto al prezzo, η <0 è l'elasticità delle esportazioni rispetto al prezzo e γ >0 è l'elasticità delle esportazioni rispetto al divario tecnologico. Nel caso di rigidità dei prezzi, (p* - p + z) tenderà a zero, per cui, il tasso di crescita sarà tanto maggiore quanto meno stringente è il vincolo imposto dall'equilibrio della bilancia dei pagamenti. Ovverosia il tasso di crescita sarà tanto più elevato quanto maggiore è l'elasticità delle esportazioni alla domanda mondiale e tanto minore risultano l'elasticità delle importazioni rispetto al reddito e quella delle esportazioni al gap tecnologico esistente, se l'economia nazionale non risulta essere un leader tecnologico mondiale. L'applicazione di tale impostazione teorica al modello di specializzazione italiano ne evidenziava i limiti e le possibili conseguenze in termini di dinamica della crescita. In primo luogo, i prodotti tradizionali sono quelli la cui domanda mondiale cresce più lentamente e in cui ε è basso: come conseguenza, un paese che si specializzasse in essi, vedrebbe il proprio prodotto nazionale crescere meno rapidamente di quello medio mondiale. In secondo luogo, questo tipo di beni subirebbe più che altri la concorrenza di prezzo (β e η sono rilevanti): in particolare, essendo la loro produzione intensiva di lavoro non specializzato, la concorrenza dai PVS risulterebbe particolarmente accentuata. 2

3 Infine la crescita del paese, necessitando comunque di un continuo miglioramento degli standard produttivi, stimolerebbe la crescita delle importazioni nella misura in cui esse costituiscono il canale privilegiato attraverso cui l innovazione tecnologica, g, viene acquisita. Naturalmente tutta queste serie di vincoli, riducendo la possibile crescita dell economia, ha un impatto negativo anche sulla creazione di posti di lavoro; oltre a ciò, la presenza di settori utilizzatori di progresso tecnico (i settori tradizionali ) determina riduzioni dell occupazione via incrementi di produttività, mentre l assenza di settori che creano progresso tecnico non favorisce la compensazione di quella diminuzione. Nonostante queste (logiche) deduzioni ed osservazioni, fino a tutta la prima metà degli anni '80 la quota delle esportazioni italiane sul mercato mondiale ha continuato a crescere, così come il reddito nazionale, per cui gli elementi di giudizio sul modello italiano rimanevano non univoci (Modiano, 1982). In realtà alcuni contributi (Modiano, 1982; Traù e De Nardis 1999) hanno chiarito come il processo di differenziazione del prodotto attuato dalle imprese italiane, in particolare il progressivo riposizionamento verso fasce alte del mercato (alta qualità), abbia in buona parte protetto l economia nazionale dagli effetti negativi previsti: infatti in tali segmenti la crescita del prodotto non è così bassa e, inoltre, la concorrenza da parte dei paesi meno avanzati è allo stato attuale ancora ridotta, data la tuttora rilevante presenza di barriere, tariffarie e non, all accesso al mercato nazionale 2. [Tabella 1] Di recente, tuttavia, lo storico dibattito sui vincoli che il tipo di specializzazione nazionale ha sulla crescita economica è stato ravvivato dalla crisi internazionale che ha colpito alcuni nuovi mercati di sbocco delle produzioni italiane, dall'autoalimentarsi di una percezione che attribuisce alla scelta di aderire all'unione monetaria europea la responsabilità di una presunta perdita di competitività delle esportazioni italiane e dall evidente peggiore performance macroeconomica dell economia nazionale nell ultimo decennio, in termini di crescita del reddito pro capite e di tasso di disoccupazione (tabella 1) 3. In particolare alcuni recenti contributi hanno soprattutto concentrato 2 Un fenomeno di sostanziale rilevanza riguarda non la competizione sul mercato dei beni finali ma piuttosto. quella sul mercato internazionale dei fattori. Anche le piccole imprese produttrici di beni tradizionali dei distretti industriali italiani sembrano contribuire al fenomeno della delocalizzazione di alcune fasi della produzione verso paesi a più basso costo della manodopera. 3. Non va comunque dimenticato che una determinante influenza negativa su crescita e occupazione è stata anche dovuta alle manovre di politica economica legate al rientro dal debito pubblico e allo sforzo per corrispondere ai parametri l entrata nel sistema Euro. 3

4 l attenzione sulla relativa immobilità o persistenza del modello di specializzazione italiano. Non solo, dunque, tale modello si distinguerebbe dal punto di vista della composizione settoriale da quello dei maggiori paesi Ocse (analisi statica), ma avrebbe anche una sua peculiarità dal punto di vista dinamico, in quanto sembra meno mutare assai meno rapidamente rispetto a quanto accade in altri paesi (Iapadre, 1995; De Nardis, 1997; Basili, Helg, Epifani, 1998; Manzocchi, 1999). Da analisi di tipo territoriale emerge invece che la vitalità delle aree maggiormente legate al cosiddetto modello del made in Italy è tuttora molto forte (Becattini e Menghinello, 1998), sia in termini di esportazioni che di crescita e creazione di occupazione. Dunque ancora oggi, come nei primi anni '80, ci sono elementi di giudizio ambivalenti sulla effettiva efficienza del modello di specializzazione che caratterizza il nostro paese. Nelle pagine che seguiranno non ci si addentrerà nell'analisi del legame esistente tra modello di specializzazione, crescita e occupazione, ma si esaminerà la questione della atipicità del modello di specializzazione italiano e alla sua relativa stabilità nel tempo. In conclusione indicheremo nella relativa scarsa dispersione degli indicatori di produttività e di profitto una possibile causa "di mercato" della scarsa mobilità del pattern commerciale italiano. UNO SGUARDO AL MODELLO DI SPECIALIZZAZIONE ITALIANO. L'atipicità del modello di specializzazione italiano è evidenziata dalla tabella 2, nella quale si utilizza il più classico degli indicatori di vantaggio comparato rivelato, ovvero l indice di Balassa (1965), per evidenziare i settori (manifatture) di specializzazione e quelli di assenza di specializzazione. La formula dell'indice di Balassa in termini di quote esportate è BI = ( x / x) /( X / X ) i dove con la lettera minuscola ci si riferisce al paese, con la maiuscola al mondo, i è un indice settoriale e la sua assenza indica che si tratta di tutto l aggregato delle esportazioni. Quando 0<BI<1 l'indicatore rivela l'assenza di vantaggi comparati nel settore corrispondente, mentre se BI>1 l'indicatore rivela la presenza di vantaggi comparati settoriali 4. i [Tabella 2] Dalla tabella 2 risulta evidente come a tutt'oggi l'italia sia specializzata nell'esportazione di macchine utensili e di prodotti tradizionali: cuoio, calzature, tessile, abbigliamento e in generale 4 Per una analisi approfondita dei limiti dell indice di Balassa si veda De Benedictis e Tamberi (2000). 4

5 tutti quei beni definiti di cura per la persona e per la casa (Becattini, 1999). Non vi è pressoché variazione tra il 1986 e il 1996; e analizzando la situazione all'inizio degli anni '70 l'immagine che se ne ricava non è poi così dissimile 5. Confrontiamo 6 ora il modello di specializzazione italiano con quello di alcuni paesi industrializzati (Francia, Giappone e USA) e quello di alcuni paesi (Taiwan, Tailandia, Romania) a recente industrializzazione (NICs). I paesi sono stati scelti sulla base del lavoro di De Nardis e Traù (1999) il quale mostrava con evidenza la maggiore analogia dell Italia con il modello di specializzazione dei NICs e una sostanziale dissomiglianza con quello dei paesi industrializzati. [Tabella 3] L'elaborazione dei dati a nostra disposizione (tabella 3) conferma quanto sostenuto da De Nardis e Traù (1999) ma, pur ribadendo che l Italia mostra una struttura dei vantaggi comparati più simile a quella dei NICs che a quella dei maggiori paesi Ocse, mette in luce due aspetti di novità: 1. Una parte della somiglianza/dissomiglianza con i due diversi gruppi di paesi dipende semplicemente dalla più o meno ampia disaggregazione statistica utilizzata. 2. Il confronto temporale rende comunque evidente che la somiglianza con i NICs si sta riducendo come sta anche riducendosi la dissomiglianza dai paesi avanzati (con l eccezione parziale degli Stati Uniti). Per quel che riguarda il primo aspetto, la gran parte della somiglianza o della dissomiglianza della struttura dei vantaggi comparati italiani con quella degli altri paesi tende a ridursi, o ad annullarsi in molti casi, se si passa a disaggregazioni settoriali più ampie (da 35 settori a 538 settori), sia che si considerino le correlazioni sui livelli che sui ranghi dell indice di Balassa. In termini del secondo aspetto, oltre al basso livello di correlazione che si ottiene comunque con alti gradi di disaggregazione merceologica, va sottolineato anche che, nonostante un decennio sia un periodo piuttosto breve in considerazione del carattere strutturale del fenomeno in esame, la tendenza temporale appare prevalentemente quella di una accentuazione di questa sostanziale assenza di correlazione. 5. I dati utilizzati provengono da due fonti differenti: la banca dati TradeCAN 1999 (ECLAC-WB, 1999) e la banca dati Stan dell' Oecd (Oecd, 1999). La prima banca dati è una versione ridotta delle International Trade Statistics delle Nazioni Unite. Copre circa il 96% delle importazioni dei paesi industrializzati e il 98% di quelle dei Paesi in Via di Sviluppo (PVS). Contenendo dati molto disaggregati ma solo sulle importazioni, i dati TradeCAN non permette di costruire indici di vantaggio comparato rivelato basati sui caldi commerciali. La seconda banca dati, contiene dati sui paesi Ocse a livello più aggregato ma su variabili differenti, quali i flussi commerciali, la produzione, l'occupazione totale e i salari, il valore aggiunto. Ci si avvarrà di questa seconda fonte nella seconda parte del lavoro. 5

6 Così, il doppio input informativo della tabella 3 ci permette di escludere che il basso livello di correlazione che si ottiene aumentando il numero di settori osservati costituisca un fatto puramente statistico, evidenziando invece il contenuto sostanziale del risultato, che è appunto quello di una forte e crescente specializzazione dell Italia. Vale anche la pena sottolineare che, almeno per quanto riguarda le variazioni temporali del modello di specializzazione a cui si accennava nella tabella 2, l Italia non si discosta molto dal comportamento di altri paesi ad alto reddito, come illustrato dalla tabella 4: infatti, come ci si aspetterebbe, l intensità del cambiamento appare più intensa per i NICs rispetto ai paesi industrializzati, nel cui gruppo il comportamento dell Italia non appare fuori linea, sebbene mostri un valore leggermente più alto maggiore stabilità del modello di specializzazione - degli altri paesi, quando si passa ad un livello di disaggregazione maggiore (4 digit). [Tabella 4] I risultati esposti appaiono in accordo con alcune indicazioni che vengono dalla letteratura empirica sui pattern di specializzazione (Amiti, 1998) che, utilizzando strumenti di indagine parzialmente differenti, mettono in evidenza la crescente divergenza dei modelli di specializzazione internazionale tra i paesi industrializzati (europei). Tali risultati possono essere interpretati alla luce delle moderne teorie del commercio internazionale, basate sulla presenza di economie di scala nella produzione e sulla rilevanza della varietà nelle preferenze dei consumatori: la internazionalizzazione dell economia, comportando una crescita del peso del commercio internazionale sul prodotto nazionale dei vari paesi, favorisce la intensificazione della specializzazione e il maggior sfruttamento delle economie di scala a beneficio di tutti i partecipanti allo scambio. Una interpretazione generale, dunque, della evidenza empirica è che i paesi tendono ognuno ad un proprio modello di specializzazione e che questo fenomeno di polarizzazione sembra accentuarsi nel tempo. Dai dati sopra esposti non è possibile, però, inferire direttamente lo stesso tipo di conclusione generale, trattandosi comparazioni binarie tra l'italia e altri paesi, piuttosto che di ogni paese verso tutti gli altri (o verso una media complessiva); la conclusione certa è che è l Italia ad assumere sempre più caratteristiche sue specifiche che la differenziano tanto dai NICs che dai paesi industrializzati. Il risultato ottenuto, a favore di un aumento nella specificità del modello di specializzazione italiano e dunque di scarsa correlazione con le specializzazioni di altri paesi, potrebbe portare alla semplicistica conclusione che l Italia goda di una forma di protezione dalla competizione 6

7 internazionale dovuta alla assenza di concorrenti diretti sui mercati mondiali. Tuttavia, tale conclusione risulta indebita, per almeno tre ordini di motivi: 1. I segni delle correlazioni, in genere positivi nei confronti dei NICs e negativi nei confronti dei paesi industrializzati, confermano anche se in misura ridotta rispetto ad altri studi - lo scenario di concorrenza su prodotti che evidentemente trovano una ragione di competizione in fattori di prezzo. 2. Non bisogna pensare che la competizione avvenga poi all'interno di uno scenario statico. In realtà il processo di crescita del reddito è accompagnato sempre da profonde, ancorché non repentine, modificazioni strutturali dell economia, tra cui quelle di tipo settoriale. Nuovi beni emergono in continuazione mentre altri declinano; l'essere competitivi in un settore in qualche modo protetto non è garanzia di stabilità o di crescita, dato che la crescita del prodotto nazionale dipende sempre dai mutamenti della struttura produttiva, a favore dei settori che di volta in volta mostrano una più elevata produttività. 3. La competizione va anche pensata in modo potenziale e la difesa delle posizioni competitive va dunque pensata in uno scenario dinamico. In particolare i cambiamenti della struttura settoriale avvengono sfruttando tutti i legami verticali ed orizzontali tra imprese e comparti produttivi, cioè hanno come base fondamentale la situazione passata che condiziona le possibilità future. Ciò significa che ci si può aspettare che l offerta produttiva di un certo paese e la sua capacità competitiva si spostino verso produzioni affini a quelle attuali piuttosto che verso settori completamente diversi; se dunque l Italia compete nei settori tradizionali ma si differenzia quanto a prodotto specifico rispetto ai NICs, non vuol dire che questi non siano in grado di insidiare le posizioni italiane nei suoi comparti, anzi essi costituiscono probabilmente le direzioni evolutive più naturali della loro struttura produttiva (compresi i processi di upgrading qualitativo). LA SPECIFICITA' DEL MODELLO DI SPECIALIZZAZIONE ITALIANO. Utilizzando la banca dati Stan dell'oecd (1999), si è effettuato un raffronto per l'anno 1994 tra il modello di specializzazione dell'italia e di alcuni paesi Oecd a diverso livello di sviluppo (Germania, Stati Uniti, Francia, Giappone, Regno Unito, Spagna e Grecia). [Tabella 5] [Tabella 6] 7

8 Nelle tabelle 5 e 6 la disaggregazione settoriale è analoga a quella a due cifre dei confronti operati nelle tabelle precedenti (in questo caso si tratta di 27 settori manifatturieri). Anche in un confronto esclusivo con paesi Oecd, il risultato appare in linea con quanto già sottolineato: esiste una evidente similitudine nella distribuzione settoriale dei vantaggi comparati dell Italia con i paesi a più basso reddito (e tra questi reciprocamente), mentre si evidenzia una differenza con i paesi più avanzati (che sono tra loro simili e differenti dai paesi a basso reddito), anche se la Francia risulta essere un "caso intermedio". E' bene notare che solo raramente i valori dei coefficienti di correlazione sono elevati. Per quel che riguarda la dinamica del modello di specializzazione, alcuni autori hanno evidenziato una ulteriore specificità italiana, nel senso di una più blanda dinamica di cambiamento o, in altri termini, di una maggiore persistenza rispetto agli altri paesi Oecd. Seguendo il lavoro di De Nardis (1997), si è calcolato (tabella 7) il seguente indicatore di cambiamento xi xi C = ( t1) ( t0 ) x x i dove ( x i / x ) indica la quota settoriale sul totale, i il settore, t è un indicatore di tempo. Il valore di C varia da 0, nel caso di nessun mutamento, a 2, nel caso di massimo cambiamento. Si tenga presente che l'indice C misura esclusivamente il cambiamento avvenuto tra i due estremi del periodo considerato e non anche al suo interno 7. [Tabella 7] Dalla tabella 7 risulta del tutto evidente come il valore dell Italia sia il più vicino a 0, indicando dunque, nel ventennio considerato, un minor cambiamento che negli altri paesi. Sebbene tale indicazione non abbia di per se una valenza né positiva né negativa (l'italia risulta essere in ottima compagnia se si osservano i dati della Germania e degli Stati Uniti; il problema non è, dunque, la maggiore o minore stabilità, ma piuttosto se questa si associa ad condizione relativamente meno vantaggiosa rispetto agli altri paesi), la conclusione generale, comunque, è che sembra sussistere una seconda specificità italiana : oltre alla anomalia del modello di specializzazione italiano rispetto a quello dei maggiori paesi Oecd, questo stesso modello mostra una maggiore stabilità. A 7 L'indicatore utilizzato è semplice variante dell indice di Michaely usato nel lavoro di De Nardis (1997). Sarebbe stato possibile utilizzare un indicatore non soggetto alla sottostima degli eventuali Twin Peaks evidenziati da Danny Quah (1996) riguardo alla letteratura empirica sulla crescita. Brasili, Epifani e Helg (1998) e Manzocchi (1999) utilizzano, ad esempio, una metodologia basata su matrici di transizione. Si è preferito l'uso di uno strumento meno complesso in quanto il caso italiano non presenta i problemi evidenziati. 8

9 questo punto, la questione nodale risulta essere: cosa determina la relativa stabilità del modello di specializzazione italiano? UNA SPIEGAZIONE "DI MERCATO" DELLA STABILITA' ITALIANA. La gran parte delle spiegazioni delle peculiarità del sistema economico italiano hanno posto l'attenzione sugli elementi istituzionali, sui limiti del sistema creditizio, sul rapporto tra settori protetti e non protetti rispetto alla concorrenza internazionale, sulle caratteristiche della figura dell'imprenditore, sulle sue scelte in termini di finanziamento, sulla sua propensione al rischio e all'innovazione, sul carattere famigliare dell'impresa. Sebbene tali elementi siano fortemente condivisibili, in questa analisi si presenta una possibile spiegazione "di mercato" della relativa stabilità del modello italiano; spiegazione che vede nella relativa assenza di incentivi che rendano conveniente rispetto ad altri paesi la decisione di spostare le scelte di investimento da un settore produttivo all'altro. Tale spiegazione assegna un ruolo rilevante alla ridotta dispersione della efficienza e della redditività dei settori nazionali rispetto a medesimi indicatori internazionali. A tal fine, utilizzando i dati Stan dell'oecd (1999), si sono calcolati due indicatori orientativi. Il primo di questi è dato dal coefficiente di variazione intersettoriale dei livelli di produttività media del lavoro, calcolata come rapporto tra valore aggiunto a prezzi costanti ed occupazione complessiva. Ovviamente si tratta di una misura assai grossolana di produttività, ma l unica ricavabile da dati comparabili a livello internazionale. Il secondo è dato, invece, dal coefficiente di variazione della quota dei "profitti"; determinata come complemento ad uno della quota da lavoro (rapporto tra redditi da lavoro ed occupati totali, comprendenti, cioè, dipendenti ed indipendenti). Si tratta di un misura assai approssimativa, la quale presenta due limiti oggettivi: il primo è dovuto è dovuto alla necessità di considerare in modo cumulato tutti i redditi diversi da quelli da lavoro (non solo, dunque, i profitti); il secondo dipende data la limitata disaggregazione per categorie di reddito del data set a disposizione dalla divisione del monte salari non per i soli lavoratori dipendenti ma per tutti i lavoratori. Nonostante gli evidenti limiti indicati 8, il risultato appare piuttosto netto per quanto riguarda il confronto dell Italia con altri paesi Oecd, come si può vedere nella tabella 8. 8 Una indagine sui legami tra i due indicatori identifica la mancanza di una generale presenza di correlazione; ciò può dipendere dalle necessarie approssimazioni sopra indicate. In genere livelli di produttività e di quota dei profitti risultano fortemente correlati se si confrontano settori diversi di un medesimo paese e ciò può dipendere dall'esistenza di specifiche tecnologie settoriali: i settori più intensivi di capitale avranno sia una produttività del lavoro più alta, sia una quota di reddito che va al capitale anch essa più alta. Una verifica per alcuni dei paesi sopra elencati, mostra come tale correlazione sia sempre forte, superiore a 0,8; solo l Italia fa eccezione, in quanto la correlazione, pur positiva, risulta sensibilmente più bassa, un problema, forse, legato alla alta quota di lavoro indipendente nel nostro paese, 9

10 [Tabella 8] Dall'analisi dei coefficienti di variazione intersettoriali emerge, per entrambi gli indicatori, come l Italia sia il paese in cui i settori sono tra loro più simili (o, se si preferisce, meno diversi) in base alle due variabili analizzate. Ciò significa che i settori a bassa produttività e con bassi profitti sono relativamente più efficienti (rispetto a quelli a più alta produttività) di quanto non succeda negli altri paesi. Tale condizione contribuirebbe a fornire una spiegazione della presenza nel caso di vantaggi comparati relativi nei settori a bassa produttività e a bassa profittabilità 9. Per verificare tale congettura si è direttamente confrontato il livello italiano di produttività dei vari settori con quello di alcuni paesi (Stati Uniti, Giappone, Regno Unito, Francia, Germania). In primo luogo, analizzando il grado di correlazione tra l'indicatore di vantaggio comparato dei vari settori italiani e la produttività italiana relativa a quella massima degli altri paesi si rileva un coefficiente positivo pari a 0,24: il valore non appare certo alto, ma il segno positivo ci dice che, almeno in parte, i vantaggi comparati rivelati risultano legati ai settori in cui la produttività italiana è più alta. Inoltre, è possibile affermare che la produttività media italiana risulta particolarmente elevata in alcuni specifici settori rispetto alla media degli altri paesi considerati, come evidenziato dalla seguente tavola sinottica (tabella 9). [Tabella 9] Come si può agevolmente notare, seppure con qualche eccezione, il primo gruppo, in cui l Italia ha un livello di produttività più elevato che la media dei paesi presi a confronto, è prevalentemente caratterizzato dai settori del cosiddetto made in Italy (Becattini, 1999). Sebbene la variabile utilizzata sia piuttosto approssimativa, essa sembra autorizzare a formulare una ipotesi forte e cioè che l Italia avrebbe non tanto vantaggi comparati relativi, ma addirittura assoluti in certi settori. Naturalmente, come evidenziato dalla teoria del commercio internazionale, la presenza di vantaggi assoluti non è una condizione né sufficiente né necessaria per lo scambio. Tuttavia le indicazioni delle tabelle 8 e 9 tendono a rendere più contestuale la presenza di vantaggi relativi in certi settori, in quanto questi sembrano dipendere non solo da un livello relativo di efficienza ma addirittura assoluto. Questa conclusione appare in sintonia con quanti sostengono che il tipo di organizzazione produttiva di molti di questi settori, prevalentemente distrettuale e legata allo sfruttamento delle oppure al peso e al comportamento delle imprese pubbliche, oppure ancora ad una minore differenziazione dei salari e ad una minor legame tra saggio di salario e produttività del lavoro. 9 In genere, ci sono discreti indici di correlazione di rango delle produttività settoriali dei vari paesi, compresa l Italia. 10

11 economie di scala connesse alla organizzazione territoriale della produzione, migliori gli standard produttivi, rendendoli particolarmente elevati. I nostri dati non illustrano direttamente questa conclusione: ma essa può essere formulata come deduzione ragionevole (per argomentazioni in questa direzione, si veda anche Fabiani, Pellegrini, Romagnolo, Signorini (1998), mentre sugli effetti di path-dependence della specializzazione si veda De Nardis, (1997)). CONCLUSIONI: EPPUR (QUALCOSA) SI MUOVE. I risultati raggiunti da questa analisi offrono ulteriori spunti di riflessione al giustamente longevo dibattito sul modello di specializzazione italiano. Le anomalie del medesimo in termini di differenze dal modello dominante nei paesi Oecd a reddito più elevato e la relativamente elevato grado di stabilità vengono, seppure con alcuni rilevanti distinguo, confermate. Eppure la specificità del modello italiano sembra non riguardare esclusivamente le caratteristiche della specializzazione, il suo grado di persistenza, la relativamente bassa dispersione delle produttività settoriali. Una interessante indicazione viene dal confronto internazionale delle variazioni del valore aggiunto settoriale (tabella 10). [Tabella 10] Nella tabella 10 sono evidenziati i cambiamenti strutturali avvenuti tra il 1970 e il 1994, affiancando ai dati sulle esportazioni contenuti nella tabella 7 i dati su occupazione e valore aggiunto. L'indice di cambiamento è il medesimo C utilizzato per le esportazioni. In grassetto corsivo sono evidenziati tutti i valori più bassi di quelli relativi all Italia: si tratta dunque dei casi in cui si evidenzia un cambiamento meno intenso che nel caso italiano. Come si vede, l utilizzo di dati sull occupazione conferma lo scenario già descritto sulla base dei dati di commercio: l Italia dimostra di essere il paese in cui il cambiamento avviene più lentamente. Tuttavia i dati relativi al valore aggiunto non confermano quanto appena evidenziato, ma anzi sembrano rovesciare il risultato; infatti, il valore dell indice per l Italia è uno dei più alti, il che sta ad indicare un più elevato grado di cambiamento strutturale, con le sole eccezioni di Corea e Giappone Si potrebbe osservare che in realtà i vari paesi non differiscono tra loro in maniera netta, con l eccezione di Corea e Giappone (ma, in quest ultimo caso, non per l occupazione). Le differenze non vanno comunque sopravvalutate. 11

12 Se la atipicità del modello di specializzazione italiano continua ad essere confermata, così non sembra per la sua stabilità, almeno in termini di valore aggiunto settoriale. Oltre alle indicazioni di stabilità e persistenza sembra comparire una indicazione che qualcosa si muove. 12

13 BIBLIOGRAFIA Amiti M. (1998), New Trade Theories and Industrial Location in the EU: a Survey of Evidence, Oxford Review of Economic Policy, vol 14, n.2. Balassa B. (1965), Trade liberalisation and revealed comparative advantage, Manchester School of Economics and Social Studies, vol. 33. Becattini G. (1999), Distretti industriali e made in Italy. Le basi socioculturali del nostro sviluppo economico, Boringhieri, Torino. Becattini G., Menghinello S. (1998), Il made in Italy distrettuale, Sviluppo Locale, vol. V, n. 9. Brasili A., Epifani P., Helg R., On the Dynamics of Trade Patterns, De Benedictis L. (1999), Specializzazione, crescita e bilancia dei pagamenti, Economia Politica, vol. 16, n. 3. De Benedictis L., Tamberi M. (2000), The Balassa Index of Revealed Comparative Advantages, mimeo. De Nardis S. (1997), Persistenza e cambiamento delle specializzazioni manifatturiere: l industria italiana nel confronto con i principali paesi, Rivista di Politica Economica, vol. 137, n.1. De Nardis S., Traù F. (1999) Specializzazione settoriale e qualità dei prodotti: misure della pressione competitiva sull industria italiana, Rivista Italiana degli Economisti, n. 2 ECLAC-WB (1999), TradeCAN Data Base, Worl Bank, Washington. Fabiani S., Pellegrini G., Romagnolo E., Signorini L.F., (1998), L efficienza delle imprese nei distretti industriali, Sviluppo Locale, n.9. Iapadre L (1995), La collocazione internazionale dell'economia italiana: indicatoristatistici e tendenze recenti, Economia Italiana, n.3. 13

14 Manzocchi S. (1999), Occupazione, specializzazione manifatturiera e asimmetrie in Europa, in Padoan P.C. (ed.), Occupazione e crescita nell'europa della moneta unica, Quaderni CER, aprile. Modiano P. (1982), Competitività e collocazione internazionale delle esportazioni italiane: il problema dei prodotti tradizionali, Economia e Politica Industriale, n.33. Oecd (1999), DSTI STAN Industrial Database, Oecd, Parigi. Onida F. (1978), Industria italiana e commercio internazionale, il Mulino, Bologna. Quah D. (1996), Twin Peaks: Growth and Convergence in Models of Distribution Dynamics, Economic Journal, vol

15 TABELLA 1 CRESCITA DELL ECONOMIA ( ) E DISOCCUPAZIONE (1997) Crescita % PIL pro capite Tasso di disoccupazione OCSE 1,2 6,9 U.E. 15 1,1 10,8 ITALIA 0,8 12,2 Fonte: OECD (1998), National Accounts; OECD (1998) Labour Force Statistics 15

16 TABELLA 2: Il modello di specializzazione italiano (manifatture) INDICE DI BALASSA RANGO codice SETTORI Calzature 4,84 3, Mobili e parti 3,48 2, Prodotti in pelle e pelliccia 2,74 3, Beni da viaggio (valige, ecc.) 2,66 2, Articoli sanitari, per riscaldamento, ecc., n.c.a. 2,65 2, Abbigliamento 2,07 1, Prodotti tessili 1,61 1, Macchine utensili per industrie particolari 1,54 1, Macchine utensili generiche 1,51 1, Beni da lavorazione di minerali non metalliferi 1,43 1, Macchine utensili per la lavorazione dei metalli 1,39 1, Beni in metallo, n.c.a. 1,35 1, Beni diversi, n.c.a. 1,31 1, Gomma, n.c.a 1,30 1, Prodotti medicinali e farmaceutici 0,89 1, Plastica e resine sintetiche 0,89 0, Acciaio 0,86 1, Macchine elettriche, n.c.a. 0,77 0, Legno e sughero 0,73 0, Chimica organica 0,63 0, Esplosivi 0,59 0, Macchine da ufficio 0,59 0, Prodotti chimici n.c.a. 0,57 0, Veicoli da strada 0,56 0, Prodotti cosmetici 0,53 0, Carta 0,53 0, Generatori 0,53 0, Prodotti per la concia e la colorazione 0,52 0, Prodotti ottici e per la fotografia n.c.a. 0,51 0, Prodotti professionali 0,49 0, Chimica non organica 0,39 0, Metalli non ferrosi 0,37 0, Fertilizzanti 0,34 0, Altri mezzi di trasporto 0,31 0, Telecomunicazioni 0,23 0, fonte: ECLAC, World Bank, TradeCan

17 TABELLA 3 CORRELAZIONE DEGLI INDICI DI BALASSA NELLA MANIFATTURA ITALIA E ALTRI PAESI, 1986 E 1996 SUI VALORI SUI RANGHI Anno 2 digit (35 settori) 4 digit (538 settori) 2 digit (35 settori) 4 digit (538 settori) GIAPPONE ,33-0,15-0,24 0, ,25-0,13-0, USA ,54-0,26-0,53-0, ,59-0,25-0,60-0,15 FRANCIA ,23-0,06-0,11 0, ,22-0,04-0,09 0,13 TAIWAN ,70 0,12 0,62 0, ,41 0,10 0,48 0,27 TAILANDIA ,52 0,01 0,57 0, ,41-0,01 0,46 0,19 ROMANIA ,20 0,01 0,28 0, ,31-0,05 0,34 0,20 Fonte: elaborazioni su dati ECLAC-WB, 1999, TradeCAN 17

18 TABELLA 4 VANTAGGI COMPARATI NELLA MANIFATTURA CORRELAZIONE TEMPORALE PAESE DIGIT SUI VALORI SUI RANGHI TAILANDIA 2 0,66 0,76 4 0,70 0,67 TAIWAN 2 0,26 0,67 4 0,53 0,75 ROMANIA 2 0,83 0,83 4 0,07 0,68 ITALIA 2 0,94 0,91 4 0,83 0,80 GIAPPONE 2 0,86 0,96 4 0,73 0,78 USA 2 0,91 0,90 4 0,72 0,79 FRANCIA 2 0,94 0,92 4 0,66 0,75 Fonte: elaborazioni su dati ECLAC-WB, 1999, TradeCAN 18

19 TABELLA 5 VANTAGGI COMPARATI NELLA MANIFATTURA INDICI DI CORRELAZIONE TRA PAESI (SUI LIVELLI) ITA D USA F J UK E GR ITA -0,25-0,52 0,00-0,34-0,14 0,69 0,24 D 0,07 0,07 0,07 0,07-0,25-0,24 USA -0,38 0,04 0,68-0,12-0,15 F -0,17 0,47 0,17 0,05 J 0,10-0,19-0,35 UK -0,11-0,02 E 0,16 Fonte: elaborazioni su dati OECD, 1998, STAN TABELLA 6 VANTAGGI COMPARATI NELLA MANIFATTURA INDICI DI CORRELAZIONE TRA PAESI (SUI RANGHI) ITA D USA F J UK E GR ITA -0,11-0,73 0,19-0,20 0,06 0,42 0,35 D 0,29 0,37 0,61 0,20-0,09-0,35 USA -0,19 0,20-0,02-0,62-0,46 F -0,01 0,24 0,40 0,15 J 0,29-0,11-0,48 UK -0,07 0,05 E 0,39 Fonte: elaborazioni su dati OECD, 1998, STAN 19

20 TABELLA 7 INDICE DI CAMBIAMENTO STRUTTURALE ESPORTAZIONI PAESI ESPORTAZIONI AUSTRALIA 0,618 AUSTRIA 0,473 BELGIO 0,524 CANADA 0,321 DANIMARCA 0,303 FRANCIA 0,315 GERMANIA 0,294 GIAPPONE 0,650 GRAN BRETAGNA 0,315 GRECIA 0,791 ITALIA 0,269 NORVEGIA 0,431 OLANDA 0,302 PORTOGALLO 0,608 SPAGNA 0,638 STATI UNITI 0,281 SVEZIA 0,368 Fonte: elaborazioni su dati OECD, 1998, STAN 20

21 Tabella 8 PRODUTTIVITÀ MEDIA DEL LAVORO E QUOTA DEI PROFITTI COEFFICIENTI DI VARIAZIONE INTERSETTORIALI 1994 Produttività Quota dei profitti AUSTRALIA # 0,39 AUSTRIA # 0,56 BELGIO 0,48 2,16 CANADA 0,48 0,36 COREA 1,64 0,32 DANIMARCA 0,39 0,26 FRANCIA 1,66 0,40 GERMANIA 1,78 0,64 GIAPPONE 0,65 0,46 GRAN BRETAGNA 1,12 0,49 GRECIA 0,38 0,52 ITALIA 0,42 0,23 MESSICO 0,68 0,22 NORVEGIA 1,88 0,60 OLANDA 1,27 0,58 STATI UNITI 0,77 0,50 SVEZIA 1,02 1,22 Fonte: elaborazioni su dati OECD, 1998, STAN 21

22 TABELLA 9 PRODUTTIVITÀ RELATIVA DELL ITALIA Settori in cui l Italia ha Alimentari, bevande, tessili, abbigliamento, pelle, calzature, produttività più elevata della media degli altri paesi legno, mobili, carta, editoria, gomma, plastica, ceramica, vetro, siderurgia, prodotti in metallo, metalli non ferrosi, macchine non elettriche, beni professionali Settori in cui l Italia ha Tabacco, chimica industriale, altra chimica, petrolio, altri produttività più bassa della media degli altri paesi prodotti in minerali non metalliferi, macchine elettriche, mezzi di trasporto, altri prodotti Fonte: elaborazioni su dati OECD, 1998, STAN 22

23 TABELLA 10 INDICE DI CAMBIAMENTO STRUTTURALE OCCUPAZIONE, ESPORTAZIONI, VALORE AGGIUNTO PAESI ESPORTAZIONI OCCUPAZIONE VALORE AGGIUNTO AUSTRALIA 0,618 0,252 # AUSTRIA 0,473 0,338 # BELGIO 0,524 0,306 0,326 CANADA 0,321 0,233 0,298 COREA # 0,648 0,841 DANIMARCA 0,303 0,289 0,333 FRANCIA 0,315 0,140 0,301 GERMANIA 0,294 0,255 0,285 GIAPPONE 0,650 0,255 0,511 GRAN BRETAGNA 0,315 0,258 0,319 GRECIA 0,791 0,272 0,363 ITALIA 0,269 0,112 0,390 MESSICO # 0,252 0,307 NORVEGIA 0,431 0,368 0,379 OLANDA 0,302 0,226 0,334 PORTOGALLO 0,608 ## 0,274 SPAGNA 0,638 ## # STATI UNITI 0,281 0,147 0,382 SVEZIA 0,368 0,285 0,369 Fonte: elaborazioni su dati OECD, 1998, STAN 23

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