Gabriele Giorgi e Vincenzo Majer MOBBING: VIRUS ORGANIZZATIVO

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1 Psicologia per il lavoro e le organizzazioni Gabriele Giorgi e Vincenzo Majer MOBBING: VIRUS ORGANIZZATIVO Prevenire e contrastare il mobbing e i comportamenti negativi sul lavoro

2 PSICOLOGIA PER IL LAVORO E LE ORGANIZZAZIONI COLLANA DIRETTA DA VINCENZO MAJER e-book omaggio di Bucarest, Budapest, Firenze, Istanbul, Kiev, Milano, Mosca, Parigi, Roma, Shanghai, Sofia hdu@giuntios.it

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4 Gabriele Giorgi e Vincenzo Majer MOBBING: VIRUS ORGANIZZATIVO Prevenire e contrastare il mobbing e i comportamenti negativi sul lavoro

5 Psicologia per il lavoro e le organizzazioni Editor: Vincenzo Majer Co-editor: Annamaria Di Fabio Mobbing: virus organizzativo. Prevenire e contrastare il mobbing e i comportamenti negativi sul lavoro Autori: Gabriele Giorgi e Vincenzo Majer Redazione: Elena Viganò Impaginazione: Eugenio Ortali Copertina: Paolo Turini PROPRIETÀ LETTERARIA RISERVATA Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta senza il consenso scritto dell Editore ISBN , Giunti O.S. Organizzazioni Speciali Firenze

6 PREFAZIONE Il presente volume si propone di essere il manuale più completo e articolato pubblicato in Italia dedicato a un fenomeno relativamente nuovo nella psicologia del lavoro e delle organizzazioni: il mobbing. Se ne tratta il costrutto ripercorrendone con cura le radici, i modelli e gli approcci, e presentando gli strumenti più riconosciuti nel panorama internazionale per riconoscerlo, prevenirlo e contrastarlo. La prospettiva storica, nel primo capitolo, individua gli studi pionieristici e cerca di evidenziare la paternità psicologica del mobbing, oggi rivendicata anche da altri approcci di studio. Si tratta di un fenomeno intimamente e strutturalmente psicologico, e come tale deve essere studiato e combattuto proprio da coloro che per primi ne hanno saputo individuare gli effetti patogeni, contrastandolo fin dai suoi segni più precoci, vale a dire da quando l individuo inizia a sentirsi a disagio e come vittima. La percezione soggettiva, che può essere considerata metaforicamente il cuore del mobbing, è in Italia scarsamente considerata, in quanto si preferisce intervenire sul fenomeno quando l individuo è ormai una vittima conclamata, è diventato un caso all interno dell azienda, e ha manifestato disturbi psicologici e oggettivi di varia natura. Nel presente manuale vengono presi in esame e trattati ampiamente gli effetti patogeni del mobbing, che non sono soltanto quelli più citati, quali il disturbo d adattamento e il disturbo post-traumatico da stress. Il mobbing, e le azioni negative su cui esso si fonda, creano effetti patogeni anche nel breve termine che, pur non arrivando alla gravità dei sopracitati disturbi, tuttavia ledono la salute, l autostima e la dignità del mobbizzato. In Italia sembra esserci una considerazione del mobbing soltanto quando il caso è ormai chiuso e gli unici interessi in gioco rimasti sono quelli sul piano medico-legale, o al massimo su quello della cura e riabilitazione, comunque sempre ex post. Perché prendersi cura della vittima soltanto quando è stata vessata e svuotata della propria dignità, quando è possibile, adottando un approccio psicologico, riconoscere anche i segnali deboli, e tenere in considerazione il filtro soggettivo di ogni persona e la sua percezione soggettiva di sentirsi vittima? L esperienza di docenti, consulenti e studiosi ha messo frequentemente gli Autori di fronte al fatto che professioni e discipline diverse da quella psicologica, e spesso con capacità e poten- 5

7 Mobbing: virus organizzativo ziali di determinazione ben maggiori di quanto non abbia la psicologia, attribuiscono un certo grado di evanescenza e scarsa scientificità alla misurazione di percezioni individuali, humus della psicologia del lavoro e delle organizzazioni. Nel modello di mobbing, come esposto in tutto questo testo, è invece chiaramente evidenziato come solo intervenendo proprio su questo filtro soggettivo/percettivo si può fermare il fenomeno nel suo diffondersi. Infatti, riconoscendo fin da subito chi è a maggior rischio di mobbing, chi sono coloro che si percepiscono vittime, è possibile evitare che tale percezione si trasformi in un mobbing cronico e oggettivo. Il mobbing nel presente volume è definito come virus organizzativo proprio perché è in grado non solo di creare circoli viziosi all interno dell organizzazione, avvelenando il clima organizzativo, le relazioni sul lavoro e contribuendo all abbassamento della performance, ma anche di produrre nuovi casi di mobbing o generare altre azioni vessatorie, che vanno a ricadere nel concetto ombrello dei comportamenti negativi sul lavoro (Giorgi, 2004), oggi quanto mai presenti nella cronaca italiana. Il fenomeno, inoltre, sembra diffondersi sempre più a macchia d olio nel tessuto organizzativo italiano. Una ricerca degli Autori, avvalorata dalla condivisione della piattaforma teorica e dell impianto metodologico dei più importanti studi internazionali e da confronti cross-culturali, indica l Italia come uno dei Paesi al mondo più a rischio di mobbing. Tali ricerche evidenziano ormai una situazione di tipo epidemico : il mobbing, o almeno la percezione soggettiva di essere mobbizzato, non sembra essere un fenomeno occasionale, limitato nello spazio e nel tempo, ma appare come il risultato di un malessere ampiamente diffuso, intrinseco all attività lavorativa. Nel volume viene anche presentato il Negative Acts Questionnaire Revised Italia (NAQ-R Italia; Giorgi e Majer, 2008), lo strumento più efficace nella misura della prevalenza del mobbing e nell identificazione di quelle che sono le aree più a rischio di mobbing in una determinata azienda, tanto da essere un efficiente barometro del malessere/benessere organizzativo. Esso, inoltre, è la base per una valutazione del rischio mobbing di un azienda, in congiunzione con l analisi di altre variabili, in particolare di natura organizzativa. La prospettiva di questo manuale, infatti, è di dimostrare, sulle orme di Leymann, come il mobbing sia un fenomeno organizzativo e come, per prevenirlo e contrastarlo, si debba intervenire sull organizzazione del lavoro, sulla leadership, sulle cosiddette costrittività organizzative. È proprio a partire dallo studio e dal successivo intervento su queste variabili che si può agire efficacemente per contrastare il fenomeno sul suo nascere. Infine, l ultima parte del testo è dedicata alla descrizione pratica e operativa di procedure e modelli di intervento sul fenomeno, mentre in Appendice vengono riportati gli strumenti che possono essere utilizzati da quanti si occupano di mobbing all interno delle organizzazioni. Gabriele Giorgi Vincenzo Majer 6

8 PARTE PRIMA STORIA E TEORIA

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10 CAPITOLO PRIMO Origini e sviluppi del mobbing 1. Le radici del mobbing Il termine mobbing deriva dall inglese to mob: assalire con violenza. Il primo a utilizzare tale termine, in ambito etologico, è stato Konrad Lorenz (1963) per indicare il comportamento aggressivo di alcune specie di uccelli nei confronti dei potenziali aggressori che tentano di assalirne il nido. Successivamente Heinemann (1972), medico svedese, utilizzò il termine mobbing in modo specifico per riferirsi a un gruppo di bambini che adotta un comportamento deviante verso un altro bambino. È stato poi Olweus, nel 1978, nei suoi lavori pionieristici, a considerare il fenomeno in un accezione più ampia, estendendo tale definizione al soggetto singolo e introducendo il termine bullying. Seguendo questa tradizione di ricerca, Heinz Leymann professore, psicologo clinico e terapeuta, che ha svolto negli anni Settanta studi sui conflitti familiari e che dagli inizi degli anni Ottanta si è dedicato allo studio del conflitto presso organizzazioni quando si trovò di fronte a comportamenti aggressivi sul posto di lavoro, utilizzò il termine mobbing. È del 1986 il primo libro in svedese sul costrutto: Vuxenmobbing om psykiskt vald i arbetslivet (Mobbing violenza psicologica sul posto di lavoro). Leymann decise deliberatamente di non utilizzare il termine anglosassone bullying, usato dai ricercatori inglesi e australiani, in quanto tale tipo di manifestazione ostile non aveva le caratteristiche proprie del bullismo, anche se comportava effetti in ugual misura altamente disfunzionali. Suggerì di mantenere il termine bullying per la descrizione del fenomeno quando si manifestava tra bambini e adolescenti a scuola, e di utilizzare la parola mobbing per il medesimo comportamento tra adulti nei contesti organizzativi. Il primo report scientifico di Leymann risale a una ricerca svolta nel 1982 e pubblicata nel 1984 dal National Board of Occupational Safety and Health a Stoccolma (Leymann e Gustavsson, 1984): Psykiskt vald i arbeitslivet. Tva esplorativa undersokknigar (Violenza psicologica. Due ricerche esplorative). Nel 1986, ulteriori studi dell Autore sul mobbing misero in luce le 9

11 Mobbing: virus organizzativo conseguenze, soprattutto nella sfera neuropsichica, dell esposizione a un comportamento ostile protratto nel tempo. Leymann, nel 1990, propose una prima definizione articolata di mobbing: il terrore psicologico o mobbing lavorativo consiste in una comunicazione sistematicamente ostile e non etica da parte di una o più persone diretta generalmente a un singolo che si viene a trovare privo di appoggio e difese a causa delle continue attività mobbizzanti. Queste azioni si verificano con una frequenza piuttosto alta (almeno una volta alla settimana) e su un lungo periodo di tempo (una durata di almeno sei mesi). Classificò le azioni mobbizzanti in quattro differenti categorie sulla base degli aspetti sui quali agiscono i comportamenti negativi: reputazione della vittima; possibilità della vittima di continuare ad essere efficiente sul lavoro; possibilità della vittima di continuare a comunicare con i propri colleghi; situazione sociale della vittima. Inoltre Leymann (1992) sottolineò che i fattori di personalità non erano rilevanti nel determinare il mobbing riconoscendo nelle condizioni di lavoro la causa primaria del fenomeno. In sintesi, secondo Leymann l ambiente di lavoro è caratterizzato da conflitti che possono scaturire dalla non ottemperanza di norme che regolano il comportamento delle persone; tali conflitti rischiano di ingenerare processi di escalation in grado di portare a episodi di mobbing se il management aziendale, disconoscendo il problema, non li gestisce, o li gestisce in modo approssimativo e comunque inadeguato. È in questi anni che il fenomeno del mobbing inizia ad attrarre crescente interesse nei ricercatori e in chi, all interno delle organizzazioni, si occupa di sicurezza e salute sul posto di lavoro. Sono di questo periodo gli articoli e libri di Svein Kile 1 (professore norvegese di psicologia delle organizzazioni) sugli effetti disfunzionali sulla salute provocati dall esercizio di una leadership negativa. La ricerca norvegese sul harassment e sul mobbing iniziata alla fine degli anni Ottanta (Einarsen, Raknes, Matthiesen e Hellesøy, 1990; Matthiesen, Raknes e Rokkum, 1989) è ispirata dalla lunga tradizione di ricerca sul bullismo nelle scuole, che già dagli anni Settanta aveva suscitato un forte interesse anche nella stampa divulgativa. Nonostante ciò, fino ai primi anni Novanta gli studi sul mobbing sono prevalentemente limitati ai Paesi nordeuropei con poche pubblicazioni in lingua inglese (ad esempio, Leymann, 1990). In America, invece, già nel 1976 lo psichiatra Brodsky parla di harassed worker e per la prima volta sono studiati casi tipici di mobbing. Tuttavia va rilevato che Brodsky non era interessato nello specifico all analisi di tali casi: in realtà gli stessi erano presentati nell insieme di una trattazione concernente numerosi costrutti, come la sicurezza lavorativa, lo stress, la fatica e la monotonia. Inoltre è doveroso notare che, a causa del background di tipo medico di Brodsky e di un oggettiva difficoltà a discriminare possibili situazioni di stress da quelle derivanti dalle molestie sul lavoro, tale testo ha avuto scarsa considerazione nel panorama della letteratura scientifica dell epoca. È grazie a una nuova legge svedese del 1976, promulgata per migliorare l ambiente lavorativo, e a un fondo nazionale di ricerca che offriva grandi possibilità per effettuare indagini nell area della psicologia del lavoro e delle organizzazioni, che i ricercatori scandinavi, sulla scia di una lunga tradizione di indagini empiriche e di attenzione particolare alla qualità della vita di lavoro, incominciarono a occuparsi del mobbing. Essi sono stati i primi a studiare in modo sistematico i disagi psicofisici sul posto di lavoro, al fine di tutelare il 1. Cfr. Kile (1990). 10

12 Origini e sviluppi del mobbing benessere dei lavoratori per migliorarne la qualità della vita, ottenendo già nel 1993 in Svezia specifiche norme legislative in materia. In Inghilterra è il giornalista Andrea Adams (1992) che, attraverso il suo libro Bullying at work e alcune trasmissioni radiofoniche, ha permesso a molte persone di attribuire un nome alla situazione che stavano vivendo e/o avevano vissuto nell ambiente lavorativo. Nonostante l approccio divulgativo al costrutto, Adams cercò di costruire, sulle orme degli studi di Sigmund Freud e Erich Fromm, un modello teorico che concepiva il mobbing come un tipo di aggressività umana che aveva radici nella personalità e nelle esperienze di abuso subite dall aggressore, in particolare nell infanzia. Un approccio più rigoroso e sistematico è legato, nell Inghilterra di quegli anni, al nome di Rayner (1995), che individuava invece le radici del mobbing nell ambiente socioeconomico e organizzativo. La consapevolezza del fenomeno si diffuse anche fra i media grazie alla divulgazione dell opera di Heinz Leymann (1993), in lingua tedesca, Mobbing Psychoterror am Arbeitsplatz und wie man sich dagegen wehren kann (Mobbing terrorismo psicologico sul posto di lavoro), orientata a un ampio pubblico. Con il trascorrere degli anni, il mobbing iniziava in Europa ad attrarre crescente interesse sia da parte dei media, sia nel panorama di ricerca della psicologia del lavoro e delle organizzazioni. Nel 1996, un numero speciale dell European Journal of Work and Organizational Psychology pubblica otto articoli di altrettanti studiosi di sei Paesi europei sul tema del mobbing. Essi si riferivano a ricerche presentate in anteprima al simposio sul mobbing tenuto al 7 congresso europeo di psicologia del lavoro e delle organizzazioni organizzato a Gyor in Ungheria nel Tale simposio è stato il primo di una serie di succesivi simposi europei tenuti nel corso del congresso biennale dell European Work Organizational Psychology (EAWOP): a Verona nel 1997, a Helsinky nel 1999, a Praga nel 2001, a Lisbona nel 2003, a Istanbul nel 2005 e a Stoccolma nel Nel 2001, un altro numero dell European Journal of Work and Organizational Psychology è stato dedicato al costrutto del mobbing. Un ulteriore ricerca, che ha costituito un importante punto di riferimento nel settore e stimolato molti studi successivi, è stata quella di Einarsen e Raknes (1997), Harassment in the workplace and the victimization of men. In quegli anni le molestie sul lavoro erano prevalentemente investigate in quanto parte integrante del costrutto di sexual harassment di cui le donne, come rilevato da molti studi scientifici, erano vittime in numero più elevato rispetto ai colleghi uomini. Einarsen e Raknes (1997), prendendo in considerazione un campione di 400 lavoratori uomini presso una compagnia di navigazione norvegese, rilevarono frequenti casi di azioni mobbizzanti che non avevano niente a che fare con le molestie sessuali, ma erano pur sempre azioni vessatorie. Tali dati misero in evidenza il rischio di focalizzarsi troppo sulle molestie a scopo sessuale, trascurando tutta una serie di azioni di natura meno manifesta, più sottile, ma non per questo meno vessatoria, che poteva essere esercitata nei confronti di tutti lavoratori, uomini o donne che fossero. Il progredire delle ricerche in Europa portava sempre più a chiarire i molteplici aspetti del fenomeno mobbing. Negli Stati Uniti, in Australia e in Canada, negli anni Novanta, si poneva invece particolare attenzione ad azioni violente estreme di natura fisica, come aggressioni sul posto di lavoro, furti e violenza. La psicologia del lavoro e delle organizzazioni era, inoltre, concentrata maggiormente su comportamenti antisociali sul lavoro o su altre forme di comportamenti ostili, che non rientravano nel fenomeno in questione. La consapevowww.hdu.it 11

13 Mobbing: virus organizzativo lezza del mobbing negli Stati Uniti, in Australia e in Canada si è diffusa quindi in tempi più recenti rispetto all Europa, ma suscitando comunque un interesse crescente. In Italia, Harald Ege 2 ha pubblicato, nel 1996, il primo testo sul fenomeno del mobbing in lingua italiana, ma si è iniziato a parlare diffusamente di mobbing soltanto dal 1999, quando si sono tenuti i primi due convegni nazionali sul tema, uno a Milano, il 24 febbraio, organizzato dalla Clinica del Lavoro Devoto, e uno a Roma, il 4 giugno, a cura dell ISPESL, l Istituto superiore per la prevenzione e la sicurezza sul lavoro, organo del ministero della Sanità. La discussione e il confronto sul fenomeno sono in rapida crescita su tutti i media nazionali e da allora sono state effettuate numerose ricerche. Nell ambito degli studi della psicologia del lavoro si registrano numerose pubblicazioni, quali il libro di Marco Depolo (2003) Mobbing: Quando la prevenzione è intervento, i numeri 2-3/2004 e 2/2008 della rivista scientifica Risorsa Uomo, il libro di Giuseppe Favretto (2005) Le forme del mobbing. 2. La violenza fisica e la violenza psicologica Nel 1995, la Commissione Europea concorda una definizione di violenza sul lavoro (Wynne, Clarkin, Cox e Griffiths, 1997), che può essere considerata una pietra miliare sulla strada del costrutto di mobbing: Incidenti dove le persone sono abusate, minacciate o aggredite in situazioni di lavoro che comprendono un rischio implicito o esplicito per la sicurezza, il benessere e la salute (Di Martino, Hoel e Cooper, 2003, p. 3). Questa definizione consente di distinguere tra i diversi tipi di violenza sul posto di lavoro: abuso, ossia comportamenti negativi che implicano l uso di potere di natura fisica o psicologica; minaccia, ovvero la minaccia di morte e/o la manifestazione dell intenzione di ferire o colpire una persona, o di danneggiarne le proprietà; e aggressione, cioè il tentativo di ferire e attaccare una persona. Il concetto di abuso porta alla luce tutte le forme di molestia morale e psicologica: molestia sessuale, molestia razziale, mobbing/bullying. Prima di questa definizione, già nel 1989 la Commissione Europea aveva introdotto alcune misure per garantire la sicurezza e la salute dei lavoratori. La direttiva CEE n. 391 del 12 giugno 1989 conteneva le disposizioni di base per la salute e la sicurezza sul lavoro e attribuiva ai datori di lavoro la responsabilità di garantire che i lavoratori non soffrissero di danni per colpa del lavoro, anche come conseguenza del mobbing. L emergenza della violenza sul posto di lavoro e del mobbing si stava sempre più delineando come un nuovo e sostanziale problema che le organizzazioni dovevano considerare. La considerazione delle risorse umane anche in tal senso portò a una consapevolezza politica della questione, stimolando azioni e iniziative degli Stati europei atte a prevenire e contrastare il mobbing. Anche altre organizzazioni internazionali europee hanno studiato ben presto il fenomeno della violenza morale. Nel 1998 l International Labour Organization (ILO), 2. Dottore di ricerca in psicologia del lavoro e delle organizzazioni. Fondatore dell associazione contro il mobbing PRIMA. 12

14 Origini e sviluppi del mobbing nel suo report When Working Becomes Hazardous. Punching, Spitting, Swearing, Shooting: Violence at Work Goes Global, identificò la violenza come un tema centrale anche sul posto di lavoro e ne rimarcò, nella definizione che propose, non solo le azioni negative di natura fisica, ma anche quelle di natura psicologica come il mobbing. L attenzione crescente in Europa per la violenza psicologica si rifletté anche nella definizione adottata il 29 novembre del 2001 dall Advisory Committee on Safety, Hygiene and Health Protection at Work della Commissione Europea: La violenza può essere definita come una forma di comportamento negativo o azione tra due o più persone, caratterizzata da aggressività, qualche volta reiterata, qualche volta inaspettata, che ha effetti disfunzionali sulla sicurezza, sulla salute e sul benessere dei lavoratori. L aggressività può prendere forma come comportamenti intimidatori attraverso il linguaggio del corpo, la mancanza di rispetto e il disprezzo, la violenza verbale e fisica. La violenza si manifesta in molte forme, come nell aggressione fisica e negli insulti verbali, nel mobbing e nella molestia sessuale, nella discriminazione sulla religione, sulla razza, sulla disabilità, sul genere e può essere perpetrata da una persona sia all interno che all esterno dell ambiente di lavoro (Di Martino et al., 2003, p. 4). Inoltre, sempre nel 2001, il Parlamento Europeo, legiferando in materia, ha ritenuto che il mobbing costituisse un grave problema nel contesto della vita lavorativa e che fosse opportuno prestarvi maggiore attenzione e rafforzare le misure per farvi fronte. La ricerca di nuovi strumenti per contrastare e, soprattutto, prevenire il fenomeno diventa chiaramente urgente. La commissione deve chiarificare o estendere lo scopo della direttiva base sulla salute e sicurezza sul lavoro o, in alternativa, redigere una nuova direttiva di base come strumento legale sia per contrastare il mobbing che per assicurare il rispetto della dignità umana dei lavoratori, della privacy e dell integrità, enfatizzandone l importanza di un lavoro sistematico sulla salute e la sicurezza e di un azione preventiva (Di Martino et al., 2003, p. 6). Il Parlamento Europeo esorta gli Stati membri a rivedere e, se necessario, a completare la propria legislazione vigente sotto il profilo della lotta contro il mobbing e le molestie sessuali sul posto di lavoro, nonché a verificare e a uniformare la definizione del mobbing. Inoltre raccomanda: di fare in modo che le organizzazioni private e pubbliche, nonché le parti sociali, attuino politiche di prevenzione efficace; l introduzione di un sistema di scambio di esperienze; l individuazione di procedure atte a risolvere il problema per le vittime e a evitare sue recrudescenze; l informazione e la formazione di lavoratori dipendenti, del personale di inquadramento, delle parti sociali e dei medici del lavoro, sia nel settore privato che nel settore pubblico. Una delle indagini più recenti e maggiormente riportata dai media nazionali, condotta nel 2000 dall European Foundation for the Improvement of Living and Working Conditions, ha mostrato come il 9% dei lavoratori europei (circa 12 milioni di persone) 13

15 Mobbing: virus organizzativo avrebbe sofferto di mobbing/bullying negli ultimi 12 mesi, sia nel settore pubblico che nel settore privato (cfr. fig. 1-1). Figura 1-1 La prevalenza del mobbing in Europa secondo l European Foundation for the Improvement of Living and Working Conditions EU Portogallo Italia Spagna Grecia Austria Lussemburgo Germania Danimarca Irlanda Francia Belgio Svezia UK Olanda Finlandia A giudizio di chi scrive, questo risultato va preso con cautela, in considerazione delle difficoltà che ancora oggi si presentano nella definizione e misurazione del costrutto di mobbing/bullying e della conoscenza dello stesso da parte dei soggetti rispondenti all indagine. In Italia, ad esempio, una recente ricerca dell istituto IREF (Istituto di Ricerche Educative e Formative), condotta presso 3000 lavoratori, ha messo in luce che il 70% dei rispondenti dichiara di non conoscere il fenomeno del mobbing/bullying. Tuttavia, diversi studi dimostrano che il fenomeno del mobbing è diffuso in tutta Europa, pur presentando delle variazioni fra gli Stati indotte dalle diverse consapevolezze del fenomeno, dalle differenze culturali, dei sistemi legali e dei sistemi economici. Un altro dato rilevante mette in evidenza che la violenza psicologica sul posto di lavoro e, in particolare, il mobbing sembrano fenomeni in netto aumento nei Paesi occidentali (cfr. fig. 1-2). Se, inoltre, in una prima fase era la violenza fisica a destare maggiore interesse e preoccupazione, adesso nella comunità europea gli studi si concentrano soprattutto sulla violenza morale (Di Martino et al., 2003). Anche in Australia, in Canada, negli Stati Uniti e in Giappone il mobbing e la violenza psicologica sono temi molto dibattuti e ciò ha favorito lo sviluppo di una consapevolezza politica ed economica di questi problemi. Nel 1997, Mullen suggerì che la violenza psicologica stava diventando un tema oggetto di un vivace dibattito perché nelle società industriali si era sempre meno dispo- 14

16 Origini e sviluppi del mobbing Figura 1-2 La violenza sul luogo di lavoro percentuale dei casi riportati violenza fisica sexual harassment mobbing/molestia morale sti a tollerare la violenza a causa degli effetti estremamente negativi che poteva comportare sul posto di lavoro. L Autrice australiana commentò che tali società non erano più preparate ad accettare atti di intimidazione e di violenza come norme sociali, come un tempo era successo con l impiego delle forze di polizia per contrastare la violenza negli stadi e nei pub. In Australia, nel 1993, un gruppo di persone diede vita alla Beyond Bullying Association, un organizzazione no profit e volontaria. L associazione aveva quattro scopi: a) aumentare la consapevolezza pubblica del mobbing e delle conseguenze che detto fenomeno può comportare per la società; b) porre l attenzione sull uso distruttivo del potere nelle moderne istituzioni e promuovere ricerche per una migliore qualità della vita lavorativa; c) provvedere a un meccanismo di supporto e counseling alle vittime; d) sensibilizzare la comunità e il governo sul problema del mobbing. Uno dei contributi più importanti sul mobbing in Australia è costituito dal report di McCarthy, Sheehan e Kearns (1995). La ricerca fu commissionata dal Worksafe Australia. Inoltre, nel 1997, un progetto sul mobbing fu condotto dal Working Women Centre in South Australia, commissionato dalla Comcare. Lo scopo del progetto era quello di documentare la natura e il processo di mobbing, identificarne le conseguenze sulla salute della vittima, calcolare il costo del mobbing subito dalle organizzazioni e sviluppare strategie per contrastare il fenomeno. In quegli anni si assistette a un aumento crescente di richieste di indennizzo per malattie da stress lavorativo e ciò diventò ben presto una delle preoccupazioni principali per i datori di lavoro e gli assicuratori australiani. 15

17 Mobbing: virus organizzativo La ricerca di Toohey (1992) mostrò che le richieste di indennizzo per lo stress lavorativo relative ai casi contenuti negli archivi della Comcare rappresentavano solo una ridotta percentuale di tutte le richieste pervenute. Inoltre Toohey scrisse che, come la violenza domestica era il riflesso del genere e delle relazioni di potere entro la comunità/famiglia, non avrebbe dovuto sorprendere che anche la violenza sul posto di lavoro riflettesse le relazioni che vi si creavano all interno. Mise così in luce che qualsiasi strategia aziendale per contrastare la violenza sul posto di lavoro doveva riconoscere come quest ultima fosse un problema della gestione delle risorse umane e non una malattia del lavoratore, e doveva essere interpretata alla luce della cultura organizzativa in cui si manifestava. Toohey aggiunse che un fallimento nel trattamento della violenza sul posto di lavoro, includendo in tale concetto anche la minaccia, la violenza morale e l abuso, poteva portare a una grossa perdita di risorse finanziarie per l organizzazione. In Canada, invece, il mobbing/bullying non fu preso nella dovuta considerazione fino al 6 aprile 1999, quando Pierre Lebrun, un impiegato dell OC Transport in Ottawa, uccise quattro colleghi e si tolse a sua volta la vita (McLaughin, 2000). L inchiesta successiva del pubblico ufficiale appurò che Pierre Lebrun era stato soggetto a molestie morali e mobbing da parte dei colleghi. Anche in conseguenza di questo episodio, la definizione di violenza sul lavoro arrivò a includere non solo la violenza fisica ma anche la violenza psicologica. Inoltre, non esistendo una giurisprudenza in merito, la giuria dell OC Transport stimolò i governi federali e provinciali a impegnarsi a legiferare sulla prevenzione della violenza sul lavoro. Da allora numerose ricerche si sono focalizzate sullo studio della violenza sul posto di lavoro e sul mobbing (ad esempio, Courcy, Savoie e Brunet, 2003), e nel 2004 in Quebec è stata promulgata una legge il cui obiettivo è di rendere consapevoli i datori di lavoro e i dipendenti della violenza psicologica e della molestia morale sul posto di lavoro e di permettere così immediate azioni correttive. Negli Stati Uniti, la letteratura di ricerca si era focalizzata prevalentemente sulla violenza sul posto di lavoro (Baron e Neuman, 1996). Fatti di cronaca avvenuti in quegli anni, come sparatorie sul posto di lavoro e nei cortili delle scuole, avevano provocato un grande shock nella società americana. Le analisi giornalistiche avevano evidenziato che i colpevoli erano per lo più soggetti emarginati e molestati da altri lavoratori o datori di lavoro per un lungo periodo di tempo. L avere identificato dei comportamenti ostili che potevano essere all origine di episodi violenti sul posto di lavoro incrementò l attenzione da parte dei ricercatori, dei media e, di conseguenza, aumentò la presa di coscienza su larga scala della complessità del fenomeno del mobbing. In anni più recenti anche negli Stati Uniti è stato riconosciuto che la violenza fisica è soltanto la punta dell iceberg dei comportamenti negativi sul posto di lavoro, e sono state così condotte le prime ricerche ad ampio respiro sul fenomeno del mobbing, come la U.S. Hostile Workplace Survey (Namie, 2000) e la Campaign against workplace bullying svoltasi nello stesso anno (cfr. Namie e Namie, 2000). In Giappone, la letteratura di ricerca sul mobbing è stata invece ispirata da studi sullo stress organizzativo e sulla salute mentale. Era la metà degli anni Ottanta quando si iniziò a usare per la prima volta la parola Karoshi. Tradotto letteralmente Karoshi significa morte da superlavoro, che rappresenta lo stadio finale di una malattia sociale che si evolve fino a uccidere, distruggendo l equilibrio del bioritmo umano: l eccesso di carico di lavoro e di responsabilità porta l organismo a uno sforzo esasperato, spingendo il cuore a cedere o provocando un emorragia cerebrale. La letteratura di riferimento ha individuato un nesso tra Karoshi e forme estreme di stress, anche derivante dal mobbing, riconoscendo così la serietà del problema della violenza morale sul posto di lavoro. 16

18 Origini e sviluppi del mobbing Negli anni Novanta, insieme al Karoshi, prese a diffondersi in Giappone il Karojisatsu, anch esso dovuto allo stress da lavoro. La morte per questa patologia però avviene per scelta e dopo un percorso più ambiguo e inquietante: il Karojisatsu è, infatti, una forma di suicidio. Il legame tra Karojisatsu e mobbing emerge chiaramente nel caso Dentsu (Giorgi, Asakura e Ando, 2008). Nel 1990, il neolaureato Ichiro Oshima al suo primo impiego fu assunto dalla compagnia pubblicitaria Dentsu Inc. Un anno dopo, impegnato in un progetto difficoltoso, il giovane iniziò a prolungare sempre più il proprio orario di lavoro, restando in ufficio solitamente fino all alba e quindi dormendo in media due ore per notte. Ichiro Oshima, inoltre, subiva azioni mobbizzanti frequenti, come ad esempio quella di essere obbligato a bere grosse quantità di sostanze alcoliche. Nell estate del 1991, una volta portato a termine il progetto che stava seguendo, Ichiro Oshima si suicidò. I suoi genitori fecero causa alla Dentsu, sostenendo che la morte del figlio era stata provocata da una depressione dovuta all eccesso di straordinari. Nel 1996 vinsero la causa presso il tribunale di Tokyo che condannò l agenzia pubblicitaria a pagare un ingente somma a titolo di risarcimento dei danni. 3. La questione terminologica Un altro rilevante aspetto storico del fenomeno mobbing è quello delle numerose modalità lessicali con le quali è stato denominato. In origine, i concetti di bullying (che si riferiva a una situazione in cui un individuo era soggetto a molestia morale) e di mobbing (che si focalizzava su situazioni di molestie morali di un gruppo) erano distinti. Alcuni ricercatori (ad esempio, Zapf, 1999) avevano distinto il bullying dal mobbing, sostenendo che il mobbing fosse associato ad azioni negative e molestie di un gruppo di persone e che questa manifestazione ostile fosse diretta a una singola persona. Anche l International Labour Organization (ILO) si riferisce al mobbing come processo in cui un gruppo di lavoratori agiscono contro qualcuno, il quale è vittima di molestie morali (Chappell e Di Martino, 2000, 2001). Inoltre, mentre gli studi sul mobbing si focalizzavano su antecedenti e fattori di rischio organizzativi, gli studi sul bullying indagavano principalmente gli antecedenti individuali, ovvero la personalità e le caratteristiche individuali degli attori coinvolti nel fenomeno. Per alcuni studiosi il bullying si manifestava quando un manager aggressivo perpetrava azioni negative nei confronti dei suoi subordinati concentrandosi su un bersaglio specifico. Il mobbing, viceversa, si verificava quando le azioni non erano dirette sul singolo ma su gruppi di lavoratori, collaboratori e dipendenti (Davenport, Distler Schwartz e Pursell Eliott, 1999). Oggi la maggior parte dei ricercatori non distingue i due concetti, dato che la numerosità di aggressori e vittime coinvolte non viene più considerata uno spartiacque fra i due fenomeni, in quanto il processo psicologico e i criteri basilari caratterizzanti situazioni di mobbing e bullying appaiono essere gli stessi (Di Martino et al., 2003). Nel panorama di ricerca della psicologia del lavoro e delle organizzazioni si assiste, pertanto, a un assimilazione dei due termini. Sia il mobbing che il bullying implicano comportamenti offensivi attraverso azioni vendicative o crudeli che hanno l obiettivo di colpire un individuo o un gruppo di lavoratori. Il mobbing/bullying sembra perciò un fenomeno univoco, che ha però diverse manifestazioni e tipologie (cfr. capitolo quinto). Comportamenti che in qualche Paese, come ad esempio in Germania e nei Paesi del Nord Europa, vengono chiamati azioni mobbizwww.hdu.it 17

19 Mobbing: virus organizzativo zanti, in Irlanda e in Gran Bretagna vengono etichettati con la parola bullying/workplace bullying. Inoltre, in alcuni Paesi sono presenti termini specifici come harcèlement moral (Francia), acoso o maltrato psicológico (Spagna) e coacção moral (Portogallo). La fusione dei due termini mobbing e bullying facilita il confronto delle ricerche a livello internazionale, favorendo anche lo scambio delle diverse conoscenze ed esperienze riguardo al fenomeno, al fine di una sua comprensione globale, pur nel rispetto delle possibili differenze giocate dai sistemi socioculturali. 4. Riflessioni critiche Nell ultimo decennio è emersa una nuova pista di ricerca relativa al mobbing, inteso in un accezione diversa rispetto alla molestia sessuale e razzista e considerato primariamente come violenza di natura non fisica. In sintesi, si può notare che esistono due scuole di pensiero in merito al fenomeno del mobbing: una di tradizione europea e l altra di tradizione americana. Semplificando, emerge come differenza caratterizzante che la tradizione europea pone l attenzione sulla vittima e la tradizione americana sull aggressore. È da notare, inoltre, come interessanti ricerche sul fenomeno del mobbing si svolgano anche in altri Paesi quali Australia, Canada e Giappone. In Italia la ricerca psicologica sul mobbing ha una storia molto recente e per di più caratterizzata da alcuni elementi di criticità: da un lato la mancanza di modelli teorici di riferimento esplicativi e sufficientemente potenti, dall altro la scarsa presenza di ricerche condotte con rigore scientifico che utilizzino metodologie e strumenti metricamente solidi e validati. Ancora troppo poche sono le pubblicazioni scientifiche che possano costituire una base solida da cui potere sviluppare ulteriori ricerche e conoscenze atte a contrastare il mobbing. È bene tuttavia sottolineare che l approccio psicologico, soprattutto in Europa, ha ormai ampiamente individuato modelli teorici di riferimento del mobbing e numerose ricerche sono state condotte con rigore scientifico. Ciò non dovrebbe sorprendere più di tanto, in quanto il fenomeno in questione è psicologico e la tradizione di ricerca sul fenomeno è nata proprio agli inizi degli anni Ottanta con Heinz Leymann. Sembra pertanto doveroso ricordare la paternità psicologica di questa tradizione di ricerca, in quanto in Italia il mobbing è diventato ben presto anche business e marketing ed è stato cannibalizzato da altri approcci di studio nella maggior parte dei casi soltanto divulgativi. In essi sono state avanzate ipotesi su quali potessero essere i disturbi di personalità del mobber e del mobbizzato, senza però fornire sicure garanzie da parte degli Autori sul possesso di reali competenze psicologiche/psichiatriche. Se è vero che il mobber e il mobbizzato possono presentare un quadro psicologico con qualche instabilità, è vero anche che il mobbing è un fenomeno che si sviluppa all interno di un determinato contesto organizzativo, condizione in cui risulta arduo pensare che la patologizzazione del mobber e del mobbizzato siano la causa fondante del problema. Di fatto, comunque, questa abbondanza di ricerche, spesso superficiali, cela quelle condotte con rigore scientifico dagli studiosi della psicologia; il risultato finale è che la conoscenza scientifica sul mobbing nel nostro Paese risulta ancora limitata e difficile da svilupparsi. 18

20 CAPITOLO SECONDO Definire il mobbing 1. La definizione di mobbing Nonostante numerosi studi abbiano fornito molteplici spunti per un approfondita comprensione del fenomeno mobbing, al punto da giungere a una precisa definizione del costrutto, la conoscenza sulla tematica in questione presenta ancora delle zone d ombra. A giudizio di chi scrive, ciò è dovuto al fatto che soltanto in questi ultimi anni si possono identificare dei punti fermi di individuazione generalmente condivisi del mobbing, mentre, in un passato ancora troppo vicino, il costrutto si presentava come troppo elusivo perfino per i ricercatori e per chi se ne occupava all interno delle organizzazioni. In secondo luogo, l uso di terminologie diverse riferite al mobbing e la varietà di definizioni rintracciabili nella letteratura internazionale hanno generato difficoltà a confrontare diverse ricerche condotte (cfr. fig. 2-1). La fusione dei concetti di bullying e mobbing è inoltre avvenuta solo di recente e quindi le ricerche pregresse di alcuni studiosi si erano talvolta focalizzate su attori diversi del processo. Se nel bullying, così come concettualizzato da alcuni, l aggressore veniva individuato nella figura del superiore e la vittima nella figura del subordinato e del dipendente, nel mobbing le azioni e le molestie erano esercitate da un gruppo di persone e la vittima non necessariamente veniva individuata nella figura di un subordinato, ma poteva essere anche un collega di pari grado o un manager. Tutto ciò ha comportato una difficoltà nell integrare i due concetti e i risultati emersi dalle ricerche condotte. Va tenuto anche presente che non tutti i comportamenti molesti e indesiderati nell ambiente di lavoro sono azioni mobbizzanti. Nonostante siano state enucleate le categorie di vessazione più rappresentative del fenomeno (ad esempio, Einarsen e Hoel, 2001; Giorgi e Majer, 2008; Giorgi, Matthiesen e Einarsen, 2006), nella letteratura internazionale si è riscontrata la tendenza a considerare la molestia sessuale e la molestia razziale come strategie mobbizzanti (Einarsen, Raknes e Matthiesen, 1994; Einarsen e Raknes, 1997). 19

21 Mobbing: virus organizzativo Figura 2-1 Termini e definizioni usate da vari Autori per descrivere il fenomeno del mobbing/bullying Autore Termine Definizione Brodsky (1976) Harassment Persistente e ripetuto tentativo da parte di un aggressore di tormentare, creare frustrazione o cercare una reazione da una persona, provocando, opprimendo, spaventando, intimidendo, o comunque, suscitando sconforto Thylefors (1987) Scapegoating Esposizione di una o più persone, per un certo periodo di tempo, ad azioni negative ripetute da parte di uno o più individui Leymann (1990) Mobbing/ Comunicazione sistematicamente psychological terror ostile e non etica da parte di una o più persone diretta generalmente a un singolo Wilson (1991) Workplace trauma Disintegrazione del sé di un impiegato, risultante da un comportamento doloso, percepito o effettivo, continuativo e deliberato, da parte di un supervisore o un collega Adams (1992) Bullying Persistenti critiche e abuso personale, in pubblico o in privato, che umiliano o screditano una persona Ashforth (1994) Petty tyranny Imposizione da parte di un leader del suo potere sui colleghi attraverso azioni mirate a disprezzare i subordinati, mostrare scarsa considerazione, utilizzare uno stile dominante per risolvere i conflitti, punire senza reale necessità Bjorkqvist, Osterman, Harassment Ripetizione di azioni con l obiettie Hjelt-Back (1994) vo di portare sofferenza psicologica (ma talvolta anche fisica), dirette verso uno o più individui che, per diverse ragioni, non sono capaci di difendersi Keashly, Trott Abusive behavior Comportamenti ostili verbali e e MacLean (1994) non verbali, che non sono di natura sessuale o razziale, diretti da una o più persone verso un altra con lo scopo di screditarla, al fine di assicurare l accondiscendenza degli altri lavoratori segue 20

22 Definire il mobbing Figura 2-1 continua Autore Termine Definizione Einarsen Bullying Attività frequente e prolungata nel e Skogstad (1996) tempo che intercorre fra attori con diverso potere O Moore, Seigne, Bullying Comportamento distruttivo, aggres- McGuire e Smith sione ripetuta di tipo verbale, (1998) psicologica e fisica da parte di un individuo o un gruppo verso altri soggetti Zapf (1999) Mobbing Azioni tese a molestare, offendere, escludere o assegnare compiti degradanti a qualcuno che nel corso del processo si trova in una posizione di inferiorità di potere rispetto all aggressore Salin (2001) Bullying Azioni negative ripetute e persistenti che sono dirette verso uno o più individui, creando un ambiente lavorativo ostile. Nel processo di bullying la persona che diventa target delle azioni negative ha difficoltà di difesa; il bullying non è un conflitto in cui tra le parti intercorre la stessa relazione di potere Depolo (2003) Mobbing Forma di aggressione psicologica e morale sul lavoro, esercitata e reiterata nel tempo, più o meno intenzionalmente, da uno o più aggressori per mezzo di azioni negative volte a spingere la persona nella condizione di non potersi difendere e al suo isolamento ed espulsione dal contesto socioproduttivo Le definizioni del mobbig/bullying hanno inoltre assunto sfumature e connotazioni diverse in base alle aree disciplinari di ricerca che se ne sono occupate. Il mobbing non è solo oggetto di studio della psicologia del lavoro e delle organizzazioni, ma si sono sviluppate diverse prospettive di studio anche nell ambito della psicologia clinica, della medicina del lavoro, della giurisprudenza, dell economia e della sociologia, e si sono diffuse una forte sensibilità e consapevolezza a livello politico soprattutto in Europa. Anche i media e i giornalisti sono molto sensibili al fenomeno e numerose sono le pubblicazioni in merito su riviste e quotidiani. L informazione sul mobbing si è estesa a macchia d olio anche attraverso Internet, e se ciò ha comportato da una parte un aumento della consapevolezza del fenomeno, dall altra spesso i dati vengono comunicati in modo più divulgativo che scientifico, favorendo una conoscenza della tematica parziale, se non erronea. 21

23 Mobbing: virus organizzativo Infatti, il risultato che può emergere da quest ultimo tipo d informazione è che la rappresentazione sociale del fenomeno cambi il suo significato più profondo e che il termine mobbing sia usato per descrivere qualsiasi comportamento negativo sul posto di lavoro, come del resto è accaduto anche in Norvegia quando si iniziò a prendere in considerazione il fenomeno: Durante gli anni Ottanta il termine mobbing veniva usato per descrivere tutto ciò che di negativo poteva accadere sul posto di lavoro (anche in modo ironico); ciò comportava che il mobbing fosse considerato come qualcosa di relativa gravità e, quindi, più facilmente accettato e tollerato. Se qualcuno denunciava episodi di mobbing e riportava di essere stato molestato, era visto come un nevrotico o una persona ipersensibile, e quindi poteva essere colpevolizzato più facilmente per i propri problemi personali (Munthe, 1989, p. 23). Per non creare equivoci nell uso di terminologie diverse indicanti spesso fenomeni uguali o simili, si è quindi giunti a una precisa definizione del costrutto del mobbing condivisa dai più insigni studiosi del fenomeno: Il mobbing può essere definito come un aggressione psicologica, una forma di offesa morale, volta a spingere una persona alla sua esclusione dal contesto lavorativo o a danneggiare alcuni aspetti del ruolo lavorativo e della mansione. Per etichettare come mobbing determinate attività e processi, i comportamenti di vessazione devono essere esercitati ripetutamente e regolarmente (ad esempio, ogni settimana) e per un certo periodo di tempo (ad esempio, circa 6 mesi). Il mobbing è un processo di intensificazione di un conflitto (escalation) nel corso del quale una persona si trova in una posizione di inferiorità ed è vittima di sistematiche azioni negative da parte di uno o più aggressori. Il mobbing non si riferisce né a un conflitto scaturito da un incidente o da un evento isolato né a un conflitto in cui tra aggressore e vittima intercorre la stessa relazione di potere (Einarsen, Hoel, Zapf e Cooper, 2003, p. 15, in Giorgi, 2004, p. 291). Dalla definizione di Einarsen è possibile enucleare, in modo chiaro e preciso, i contenuti e i criteri basilari caratterizzanti situazioni di mobbing sul lavoro: a) la frequenza, b) l intenzionalità dell aggressore, c) la percezione soggettiva della vittima, d) le conseguenze sulla salute, e) la durata, f) l asimmetria di potere tra le parti, g) la natura e il pattern dei comportamenti di mobbing, h) l intensificazione del conflitto (escalation), i) l ambiente di lavoro. 2. I nove criteri basilari caratterizzanti le situazioni di mobbing a) La frequenza Il mobbing è caratterizzato da comportamenti ostili reiterati nel tempo. Per differenziare il mobbing da altri comportamenti negativi di minore intensità, da situazioni stressanti e di conflitto lavorativo, si considera come soglia una frequenza di una volta alla settimana. Comportamenti ostili esercitati una volta al mese o anche meno frequentemente non possono essere considerati mobbing anche a prescindere dalla loro intensità/gravità. 22

24 Definire il mobbing Questo perché il mobbing si configura attraverso uno stillicidio di persecuzioni, attacchi e umiliazioni ed è attuato in modo sistematico e regolare, e proprio nella regolarità e frequenza ha la sua forza devastante. Inoltre è la continuità dell azione vessatoria che manifesta l evidente intenzione di nuocere da parte del mobber. Lo studio del criterio di frequenza dei comportamenti di mobbing dovrebbe prendere in considerazione anche quanto siano ripetuti e regolari gli effetti delle conseguenze delle azioni negative e la paura per la vittima del ripetersi delle molestie (Einarsen et al., 2003). Ad esempio, nel caso in cui fosse diffuso un pettegolezzo in grado di distruggere la reputazione e la carriera della vittima, le cui conseguenze potrebbero avere effetti permanenti, si potrebbe teorizzare che il mobbing si manifesti anche senza azioni regolari e sistematiche dell aggressore. In questo caso, anche azioni negative sporadiche potrebbero favorire la crescita del mobbing. Riprendendo l esempio sopra riportato, la vittima, che prima aveva una buona reputazione, si può trovare ben presto al centro di ostilità da parte dei colleghi e dei superiori. Quel lavoratore cui era riconosciuta stima e fiducia diventa improvvisamente uno spettro nell organizzazione. Tuttavia, un incidente singolo o una forma di stress acuto, nel senso di un evento traumatico anche grave, ma isolato, non può essere considerato mobbing. Bisogna, infine, tenere presente che la natura ripetuta delle azioni negative è spesso centrale nella definizione dell esperienza del target di vittimizzazione e dell intenzionalità dell aggressore. Nella definizione di mobbing, quindi, l esposizione della vittima, in modo sistematico, a comportamenti ostili è un criterio ancora più importante rispetto alla durata delle azioni negative subite, in quanto la vittima percepisce l intenzione di vessazione dell aggressore o del gruppo, riconoscendone i meccanismi sottostanti, e si viene a trovare nell occhio del ciclone di una vera e propria persecuzione senza possibilità di difesa (Zapf, 2004). b) L intenzionalità dell aggressore Un aspetto cruciale del mobbing consiste nell effettiva intenzionalità dell aggressore di nuocere, attraverso la messa in atto di determinati comportamenti. Tale intenzionalità è volta a escludere una persona dal contesto lavorativo, a danneggiarne la reputazione o alcuni aspetti del ruolo lavorativo e della mansione. L intenzionalità è legata in primo luogo al dolo dell agire dell aggressore, in secondo luogo al probabile risultato di danno/ferita che le azioni moleste poste in essere dal mobber comportano per la vita lavorativa e per la salute del mobbizzato. Alcune azioni negative, in riferimento agli specifici contesti, possono creare danni estremamente gravi alla persona, e l aggressore, più o meno coscientemente, ne ha consapevolezza. La maggior parte delle volte il mobber conosce i meccanismi dell organizzazione e sa che, compiendo quelle determinate azioni, è più probabile che si verifichino determinate conseguenze che possono arrecare danno alla persona da colpire. Inoltre l intenzionalità del mobber si manifesta anche nel mettere in atto azioni che possono essere percepite dalla vittima come più lesive, magari sfruttando i punti di debolezza del bersaglio o una particolare situazione, anche extralavorativa o estemporanea. Nell intenzione che motiva il comportamento mobbizzante si possono riconoscere due tipologie di aggressività: 23

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