2. La formazione dei mediatori familiari e il ruolo degli avvocati

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1 La formazione dei mediatori familiari e il ruolo degli avvocati Se c è un punto su cui tutti, ma proprio tutti i sostenitori, e perfino i critici della mediazione familiare sono d accordo, è quello relativo alla necessità di una formazione rigorosa e «specifica» per i mediatori, come alcuni codici deontologici precisano sin dalla definizione stessa di che cos è la mediazione familiare 27. C è stato invero un breve momento, agli inizi del movimento per la giustizia informale negli Stati Uniti 28, in cui i fautori della «mediazione di comunità» avevano messo in pratica un diverso modello di mediazione «dal basso», non burocratico e deprofessionalizzato, realizzato «da e per» i cittadini, ovvero avvalendosi di un ampia base di volontari, piuttosto che di una ristretta équipe di mediatori esperti. Questo modello, che prevedeva una brevissima formazione «sul campo» per i «membri della comunità», e nessun requisito per l accesso alla formazione stessa, poteva occuparsi indifferentemente dei conflitti familiari così come di quelli tra gli abitanti di un medesimo quartiere; esso tuttavia non si dimostrò in grado di durare nel tempo, e quando i programmi di community mediation dovettero fare i conti con i primi problemi finanziari, molti di essi scelsero inevitabilmente la strada della produttività e della professionalizzazione, al fine di offrire agli «utenti» un «servizio di mediazione» più efficiente. Oggi, a molti anni di distanza da quella transizione, nessuno dubita più del fatto che quella del mediatore familiare sia una professione sotto tutti i punti di vista (primo fra tutti, quello della remunerazione del servizio), e che sia necessaria una formazione lunga e severa; questa è unanimemente ritenuta la principale garanzia che può essere offerta a chi decide di sperimentare la mediazione, e deve dunque essere tenuto al riparo da forme di improvvisazione che possono creare danni gravissimi, oltre ad appannare l immagine della mediazione nel suo complesso. Nonostante sia indubbio che alcune particolari attitudini caratteriali costituiscano delle condizioni necessarie, «ma non sufficienti al buon mediatore», è altrettanto vero che, come nota Castelli, «il mediatore non è un essere soprannaturale dotato di misteriosi poteri, bensì un tecnico che deve essere specificamente preparato a un attività che, seppure delicata, e spesso collo- 27 Cfr. la definizione citata nel cap. III, par. 1, che parla di un mediatore «appositamente qualificato». 28 Cfr. supra, cap. I, par. 1.

2 La mediazione tra teoria e prassi 165 cata più sul versante dell arte che su quello della scienza, ciononostante risulta trasmissibile in tempi abbastanza brevi [...] e la cui qualità può venire valutata oggettivamente [...]» Castelli [1996], 99. Al di là delle differenze che saranno esaminate più avanti, vi sono molti altri punti in comune tra le diverse scuole di mediazione familiare su questo tema: primo fra tutti, il riconoscimento che, qualunque sia la cultura di provenienza del mediatore, giuridica o umanistica, questi dovrà mettere da parte la sua formazione di base per entrare nella prospettiva particolare della mediazione familiare. Come ha efficacemente sintetizzato Bernardini, il mediatore deve acquisire tutte le cognizioni necessarie, «leggere tutti i libri e poi lasciarli fuori dalla stanza del colloquio. Fuori accanto alle armi che, simbolicamente, i genitori depongono prima di entrare nella stanza della mediazione» Bernardini [1999]. Ben si comprende come questa sia un ulteriore maniera di ribadire, anche sotto questo punto di vista, la specificità della mediazione rispetto ad altre forme di assistenza, legale o psicologica. Vi è inoltre un ampio consenso sul fatto che non sia in alcun modo sufficiente una preparazione teorica, per quanto approfondita e prolungata, ma sia indispensabile effettuare una qualche forma di esperienza pratica, sia questa costituita dall osservazione di vere sedute di mediazione, oppure dalla simulazione di incontri, con l aiuto di mediatori più esperti. Come si è visto, la principale critica che le associazioni di mediatori familiari hanno mosso al legislatore, quando ha finalmente deciso di inserire la mediazione nel codice civile, ha riguardato proprio l assenza di qualsiasi riferimento alla formazione necessaria per poter svolgere l attività di «mediatore familiare», aggravata per di più dal riferimento, nell art. 155 sexies c.c., a «esperti» che possono aiutare i coniugi nella ricerca di un accordo: questo termine così generico sembra in effetti consentire l intervento di qualsiasi struttura, pubblica o privata, che si dica disponibile a effettuare la «mediazione di un conflitto familiare», e potrebbe dunque offrire il destro a una pericolosa riconversione di competenze e professionalità diverse, a fronte di una probabile crescita della domanda di mediatori familiari. Posti dinanzi a questi rischi, percepiti ben prima dell approvazione della legge n. 54/2006 e non esclusivi della situazione italiana 29, molti centri di 29 Giaimo ([2001], 1633) ha ad esempio riferito che in Inghilterra, l enorme spinta ver-

3 166 mediazione familiare hanno deciso di autodisciplinarsi e aggregarsi a livello europeo, per cercare di istituire standard formativi omogenei, e offrire così un minimo di garanzie agli utenti della mediazione familiare. Un ruolo fondamentale in questo processo è stato svolto dalla Francia, e in particolare dalla già ricordata Association Pour la Médiation Familiale (APMF) 30. Nata nel 1988, questa associazione ha dato vita a una serie di documenti fondamentali per la progressiva professionalizzazione dei mediatori familiari: nel 1990, è stato stilato uno dei primi codici deontologici europei per i mediatori familiari (poi modificato nel ), che ha costituito un modello di riferimento importante per i codici adottati successivamente in Italia (ad esempio, quello della SIMeF). Per quel che qui più interessa, l APMF ha approvato, il 15 ottobre 1992, una Charte européenne de la formation des médiateurs familiaux 32 che è stata poi adottata, nel 1997, dal «Forum europeo di formazione e ricerca in mediazione familiare»: un associazione senza scopo di lucro che, a partire dal 1996, riunisce i centri e le strutture che offrono una formazione completa alla mediazione familiare secondo le direttive definite dal Training Standards Committee (TSC) 33. È pertanto opportuno esaminare le principali direttive fissate nella «Carta europea della formazione dei mediatori familiari», e non soltanto perché molte associazioni e strutture italiane aderiscono al Forum europeo 34, ma so la mediazione familiare provocata dal Family Law Act del 1996 ha fatto sì che di mediazione si occupassero a tempo parziale professionisti di discipline diverse, poiché alla grande richiesta di mediatori non è corrisposto «un parallelo sviluppo della formazione e della crescita professionale dei soggetti chiamati ad operare in questo nuovo ruolo». Scaparro ([2001], 56) ha invece amaramente osservato in proposito: «C è chi, per il semplice fatto di essere stato qualche giorno in America, in Francia o in Canada o aver seguito qualche breve corso introduttivo, o semplicemente per aver letto qualche articolo, svolto una tesi di laurea sull argomento o aver avuto qualche esperienza con coppie separate, si autonomina mediatore familiare ed entra brillantemente a far parte della folta schiera dei ciarlatani. Non si tratta di un rischio caratteristico del nostro Paese». 30 Cfr. supra cap. I, par La sua versione più recente è reperibile all indirizzo internet: mediationfamiliale/deontologie.html (consultato l ultima volta il 18 luglio 2006). 32 Il testo completo in italiano si può trovare in appendice a Haynes-Buzzi [1996]. La versione originale francese è invece reperibile all indirizzo internet: mediationfamiliale/charte.html (consultato l ultima volta il 18 luglio 2006). 33 Per maggiori informazioni, cfr. il sito internet: (consultato l ultima volta il 18 luglio 2006). 34 Una lista completa delle associazioni che hanno un loro rappresentante nel Forum, da cui si rileva immediatamente la consistente presenza italiana, si può trovare all indirizzo internet: (consultato l ultima volta il 18 luglio 2006). Alla stesura della Carta ha partecipato, per l Italia, Irene Ber-

4 La mediazione tra teoria e prassi 167 anche perché questo documento testimonia della ricerca di una comune cultura professionale per i mediatori familiari a livello europeo. È bene premettere che la suddetta Carta mira a fornire alcuni criteri minimi per la sola «mediazione familiare in senso stretto», ovvero legata all aiuto che i mediatori possono fornire ai coniugi durante il processo di dissociazione coniugale (il nome completo della Carta è infatti «Charte européenne de la formation des médiateurs familiaux exerçant dans les situations de divorce et de séparation»), con l espressa esclusione di altri tipi di conflitti familiari, e a fortiori degli altri ambiti di applicazione della mediazione, diversi dalla famiglia. Si può tuttavia anche notare che la definizione di mediazione familiare accolta nella Carta, a differenza di quella adottata ad esempio dalla SIMeF in Italia, non limita le finalità di questo strumento a una ridefinizione del rapporto genitoriale, ovvero non ne esclude l utilità anche per coppie prive di figli: Normativa «La médiation familiale en matière de divorce et de séparation est un processus dans lequel un tiers est sollicité par les parties pour faire face aux réorganisations nécessitées par la séparation, dans le respect du cadre légal existant. La médiation travaille au rétablissement de la communication entre les conjoints. C est le moyen qu elle utilise pour parvenir à un objectif concret, la mise en place d'un projet d'organisation des relations après la séparation ou le divorce» Art. 1 - «Campo d applicazione della mediazione familiare». Per poter esercitare con profitto questa attività, prosegue la Carta, il mediatore familiare deve possedere sia delle «attitudini personali», sia delle «conoscenze necessarie», sia delle «competenze specifiche» (art. 2): tra le prime, è menzionata «la capacità di prendere le distanze dalle situazioni in cui interviene», senza lasciarsi travolgere dalle emozioni delle parti che si trova a dover gestire, e quella di riconoscere l esistenza di valori diversi da quelli della propria «cultura di appartenenza». Tra le conoscenze necessarie per l esercizio della professione di mediatore, invece, la Carta inserisce cognizioni di psicologia e di diritto, dividendole in tre categorie principali: nardini, dell Associazione GeA di Milano; Isabella Buzzi è invece stata in passato Presidente del Forum europeo.

5 168 Normativa «1) nozioni di psicologia sul funzionamento e le dinamiche della coppia e della famiglia, sullo sviluppo infantile, sulle conseguenze del divorzio e della separazione ed infine sulle famiglie ricostruite; 2) nozioni legali sul divorzio, la separazione legale, e sull insieme di disposizioni legali che regolano i rapporti familiari; nozioni sulle procedure e il funzionamento delle istituzioni giudiziarie; conoscenze sulle risorse sociali e i servizi amministrativi che possono intervenire nelle situazioni di rottura; 3) nozioni sulla gestione dell economia familiare e sulle disposizioni fiscali necessarie per affrontare, se il caso lo richiede, la ripartizione delle risorse nella famiglia separata e allo stesso modo anche le questioni relative al mantenimento economico dei minori» Art. 2-2 «Conoscenze necessarie all esercizio della funzione di mediatore». Se da questa tripartizione già si può intravedere come il processo di formazione alla mediazione sia necessariamente un attività lunga e complessa, l ultima qualità richiesta dalla Carta, ovvero quella delle «competenze specifiche» contribuisce a illuminare il senso dell affermazione di Morineau secondo cui «la formazione del mediatore è necessariamente lenta. Forse non basta una vita per diventare un perfetto mediatore» Morineau [2000], 78. Queste competenze dovrebbero infatti consentire al mediatore «di creare un clima relazionale favorevole all instaurazione e al mantenimento di un dialogo tra le parti»: in particolare, la Carta sembra prendere posizione in favore di un modello di mediazione strettamente facilitativo, poiché subito dopo aggiunge che il mediatore non è un «negoziatore», ovvero non deve formulare proposte o stabilire le «mutue concessioni» per ottenere «un compromesso accettabile». Il suo fine non è pertanto quello di trovare un accordo a tutti i costi, quanto quello di mettere in grado le parti «di gestire in prima persona i loro conflitti». Per raggiungere un obiettivo così ambizioso, una formazione rigorosa rappresenta indubbiamente una condizione necessaria, ma non sufficiente. Passando ad analizzare più da vicino in cosa questa formazione debba consistere, nella seconda parte del documento si precisa una distinzione preliminare tra i percorsi formativi veri e propri e le «iniziative di sensibilizzazione alla mediazione», rivolte a un pubblico molto vasto e destinate a far comprendere cosa sia la pratica della mediazione a chiunque sia interessato, ovvero a costituire «un preambolo alla formazione stessa».

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