Dinamica dei Sistemi Aerospaziali (DSA)

Dimensione: px
Iniziare la visualizzazioe della pagina:

Download "Dinamica dei Sistemi Aerospaziali (DSA)"

Transcript

1 Dinamica dei Sistemi Aerospaziali (DSA) Revisione 1 settembre 212

2 Indice 1 Dinamica del corpo rigido Sistemi fisici e modelli matematici I sistemi meccanici Gradi di libertà Gradi di vincolo Variabili fisiche Equazioni di moto: equilibri dinamici Dinamica del corpo rigido Dinamica di un corpo rigido con spessore trascurabile e punto fisso Scrittura delle equazioni di moto mediante approcci energetici Il Principio dei Lavori Virtuali Il teorema dell energia cinetica Le equazioni di Lagrange (di II o tipo) Le equazioni di Lagrange (di I o tipo) Cinematica e dinamica dei sistemi di corpi rigidi I sistemi di corpi rigidi Dipendenza dell equilibrio dalla configurazione Cinematica Forze dipendenti dalla configurazione Esempio: il manovellismo ordinario centrato Analisi cinematica Forza dipendente dalla posizione: pressione nella camera Forze d inerzia: masse equivalenti Diagramma di corpo libero ed equilibrio dinamico Dinamica mediante le equazioni di Lagrange Equazione di Lagrange Energia cinetica Energia potenziale Funzione di dissipazione Sollecitazioni attive rimanenti Scrittura dell equazione di moto del sistema Linearizzazione dell equazione di moto Esempio: soluzione di equilibrio statico di un sistema libero Procedure per la linearizzazione Linearizzazione diretta dell equazione del moto Quadraticizzazione della funzione di Lagrange e sua linearizzazione Utilizzo dell equazione di moto linearizzata Esempi i

3 5 Sistemi vibranti ad un grado di libertà Parte I Meccanica delle vibrazioni Moto libero non smorzato Vibrazioni libere smorzate Moto forzato Moto forzato per spostamento del vincolo Moto forzato smorzato con eccitazione armonica Cenni sulla stabilità Che cosa si intende per stabilità Definizione di stabilità Stabilità ed equilibrio Linearizzazione attorno ad una soluzione di equilibrio Stabilità della soluzione del problema linearizzato Validità dello studio del problema linearizzato Stabilità statica Regime assoluto Stabilità statica ed energia potenziale Applicazioni Azioni mutue tra elementi di macchine Parte I Attrito di strisciamento nei solidi a contatto Usura nel contatto tra solidi Esempio: distribuzione di pressione su un perno rotante Esempio: innesto a frizione Resistenza al rotolamento Misura del coefficiente di resistenza al rotolamento Dinamica della macchina a un grado di libertà Considerazioni generali Espressione della potenza motrice e della potenza resistente Energia cinetica: momento d inerzia ridotto di motore e utilizzatore La trasmissione: espressione della potenza perduta Esempio applicativo: piani inclinati con attrito Condizioni di funzionamento della macchina ad un grado di libertà La macchina a regime assoluto Equazione di moto Condizioni di funzionamento in regime assoluto Esempio applicativo: moto di un impianto di sollevamento carichi Esempio applicativo: autoveicolo in salita Macchina in regime periodico Equazione di moto Funzionamento in regime periodico: irregolarità periodica Esempio applicativo: motore alternativo a combustione interna Esempio applicativo: pompa a stantuffo Esempio applicativo: motore elettrico in corrente continua Azionamento elettromeccanico in corrente continua Introduzione Motore elettrico in corrente continua Considerazioni generali Architettura generale Forza elettromotrice indotta Coppia motrice Contatti striscianti ii

4 9.2.6 Potenza elettromeccanica Modello elettrodinamico del motore in c.c Funzionamento e rendimento del motore elettrico in c.c L azionamento in corrente continua Controllo in tensione Controllo in corrente Azionamento in c.c. di un compressore L analisi di stabilità del sistema Equazioni di Lagrange per sistemi elettromeccanici Approccio in corrente Approccio in tensione Azioni mutue tra elementi di macchine Parte II Azioni aerodinamiche Teoria elementare della lubrificazione Descrizione del problema Fluidodinamica del lubrificante Lubrificazione idrostatica Lubrificazione idrodinamica Modellazione elementi a fluido Esempi di applicazione dei concetti richiamati Colpo d ariete Flusso stazionario da una piccola apertura (orifizio) Molla-smorzatore a fluido Attuatore idraulico lineare Sistemi vibranti ad un grado di libertà Parte II Identificazione dello smorzamento Smorzamento viscoso: moto libero Smorzamento viscoso: moto forzato Smorzamento isteretico Isolamento delle vibrazioni Strumenti di misura delle vibrazioni Risposta a forzante impulsiva Impulso di quantità di moto Impulso Generalizzazione Sistemi vibranti a più gradi di libertà Sistemi a più gradi di libertà non smorzati Moto libero: modi propri di vibrare Ortogonalità dei modi propri Approccio modale Risposta a forzanti armoniche Considerazioni sull utilizzo dell approccio modale Esempio: soluzione di equilibrio statico di un sistema libero Applicazione: assorbitore dinamico Vibrazioni forzate smorzate Smorzamento proporzionale Smorzamento isteretico Smorzamento viscoso generico Dal continuo al discreto iii

5 14 Rappresentazione agli stati di sistemi vibranti e modelli approssimati Rappresentazione agli stati nel dominio del tempo Integrale generale Integrale particolare Rappresentazione agli stati nel dominio di Laplace Realizzazione agli stati di una funzione di trasferimento Invarianza di una rappresentazione agli stati Raggiungibilità ed osservabilità Verifica intuitiva del criterio di osservabilità Rappresentazione agli stati di problemi meccanici Oscillatore armonico smorzato Forma canonica di controllabilità Forma canonica di osservabilità Risposta a forzanti specifiche Risposta impulsiva Risposta a scalino Approssimazioni Approssimazione statica Approssimazione quasi-stazionaria Residualizzazione degli stati veloci Accelerazione dei modi Sistemi immersi in campi di forza Sistemi ad un grado di libertà Freno a disco Campo di forze aerodinamico Sistemi vibranti a 2 gdl Campo di forze puramente posizionale Instabilità aeroelastica della sezione tipica A Cenni di dinamica del corpo rigido nello spazio A-1 A.1 Introduzione A-1 A.2 Dinamica del corpo rigido nello spazio A-2 A.2.1 Richiami di calcolo vettoriale in notazione matriciale A-2 A.2.2 Cinematica del punto materiale nello spazio A-3 A.2.3 Descrizione delle rotazioni A-5 A.2.4 Forze e coppie d inerzia A-6 A.2.5 Geometria delle masse A-9 A.2.6 Applicazione al caso piano A-11 A.3 Fenomeni giroscopici A-11 A.3.1 Coppia d inerzia in un sistema di riferimento relativo A-12 A.3.2 Misura della velocità di rotazione: il giroscopio A-16 A.4 Esercizio: pala rigida di elicottero nel vuoto A-19 A.5 Esercizio: trottola A-24 B Esempi di azionamenti idraulici B-1 B.1 Valvola a doppio getto B-1 B.1.1 Nomenclatura B-2 B.1.2 Equazioni B-3 B.1.3 Incognite B-4 B.1.4 Bilancio di portata della camera 1 del pistone B-4 B.1.5 Bilancio di portata della camera 2 del pistone B-4 B.1.6 Bilancio di portata della camera 1 della valvola B-4 B.1.7 Bilancio di portata della camera 2 della valvola B-5 B.1.8 Equazione di moto del pistone B-5 iv

6 B.1.9 Equazione di moto del flap B-5 B.1.1 Equazione del motore elettrico B-6 B.1.11 Linearizzazione B-6 B.1.12 Comportamento del sistema B-7 B.2 Attuatore collegato ad un sistema dinamico B-7 C Procedure per l impostazione e la soluzione dei problemi C-1 C.1 Comprensione e scrittura del problema C-1 C.1.1 Analisi cinematica C-1 C.1.2 Scrittura delle equazioni del moto C-2 C.1.3 Scrittura delle relazioni costitutive C-2 C.1.4 Mettiamo tutto insieme C-3 C.2 Soluzione del problema C-3 D Breviario ad (ab)uso degli studenti D-1 D.1 Primo Principio della Dinamica dei Sistemi Aerospaziali D-1 D.2 Teorema dell ininfluenza delle forze d inerzia D-1 D.2.1 Corollario della viralità del moto uniforme D-1 D.2.2 Lemma della singolarità della distribuzione delle masse D-2 D.2.3 Corollario dell incompatibilità tra regime e forze d inerzia D-2 D.2.4 Sull opportunità di considerare due volte le forze d inerzia D-2 D.3 Lemma della crasi tra definizioni diverse D-3 D.4 Teorema del calcolo delle frequenze caratteristiche di sistemi meccanici descritti da equazioni disaccoppiate (o della ammuina ) D-3 D.5 Esercizio: trova l errore D-3 E Soluzione esercizi E-1 v

7 vi

8 Elenco delle figure 1.1 Modello fisico di un sistema di guida per razzi (da Cannon, [1]) Un sistema meccanico a due gradi di libertà (da Cannon, [1]) Cinematica di un corpo rigido con un punto fisso Componenti della forza d inerzia agente sul punto P di un corpo rigido con un punto fisso Forze agenti sul corpo rigido (ovvero, diagramma di corpo libero ) Sistema equipollente delle forze d inerzia (a sinistra) e loro reale distribuzione (a destra) in un asta incernierata ad un estremo Corpo rigido di piccolo spessore soggetto a moto puramente rotatorio Motore alternativo Carrello di atterraggio (carrello principale di un F18) Curva caratteristica di una molla Galleggiante Andamento sperimentale ( o ) e approssimato delle forze di attrito secco, viscoso e con legge quadratica in funzione della velocità relativa Il manovellismo ordinario centrato L equazione di chiusura per l analisi cinematica; il punto B indica lo schema di montaggio corrispondente alla radice negativa nell equazione (3.28), che corrisponde ad un cambio di osservatore La sequenza del ciclo termodinamico di un motore a 4 tempi a partire (a sinistra) dalla fase di aspirazione, seguita da compressione, espansione e scarico Ciclo ideale termodinamico per unità di volume d aria aspirata Approssimazione della biella a masse concentrate Albero a gomiti per motore d aviazione a doppia stella Le forze agenti sul sistema Sistema non vincolato soggetto a un sistema di forze a risultante non nullo Velivolo in atterraggio Pendolo Sistema vibrante a un grado di libertà, senza attrito Oscillazione armonica Oscillatore smorzato Oscillazione smorzata Risposta supercritica Risposta critica Confronto tra le risposte al variare del coefficiente di smorzamento Risposta in frequenza di un sistema vibrante forzato Sistema vibrante per spostamento del vincolo Sistema vibrante per squilibrio dinamico Sistema vibrante smorzato, forzato armonicamente vii

9 5.14 Risposta di un sistema vibrante smorzato, forzato armonicamente (N.B.: nel disegno ω/ω è indicato con ω/ω n, lo smorzamento r è indicato con c, mentre la fase φ è rappresentata con segno opposto) Risposta di un sistema vibrante smorzato, forzato armonicamente Stabilità del pendolo Stabilità in presenza di attrito Transizione da stabilità ad instabilità al variare di parametri del sistema Sistema meccanico ad un grado di libertà Sistema meccanico ad un grado di libertà in un sistema rotante Rappresentazione pittorica della superficie di contatto tra due corpi Attrito statico Coefficiente di attrito dinamico f in funzione del modulo della velocità relativa Perno rotante Innesto a frizione Velocità dell utilizzatore durante la manovra di innesto della frizione Innesto a frizione dettaglio del disco Innesto a frizione dettaglio della campana Velocità del motore durante la manovra di innesto della frizione Velocità di motore ed utilizzatore durante e al termine della manovra di innesto della frizione Schema di contatto ruota-strada per ruota deformbile Schema di contatto ruota-strada: diagramma di carico Coefficiente di resistenza al rotolamento Schema di funzionamento della ruota strada Misura sperimentale della resistenza al rotolamento di un veicolo stradale Schema della macchina a un grado di libertà Flussi di potenza attraverso la trasmissione Macchina costituita da due corpi in moto relativo lungo un piano inclinato con attrito Schema della macchina ad un grado di libertà Impianto di sollevamento carichi Caratteristica del motore asincrono trifase Condizione di funzionamento in salita ed in discesa del lato utilizzatore dell impianto di sollevamento carichi Veicolo in salita Principio di funzionamento del motore in corrente continua Disegno schematico del rotore di un motore in corrente continua Distribuzione sul giro di coppia e forza elettromotrice indotta da una spira in un motore elettrico in c.c. al crescere del numero delle spire N; il valore fornito dalla singola spira tende rapidamente al valor medio 2/π, pari a circa Il modello del motore in corrente continua Il modello essenziale del motore in corrente continua Curve di funzionamento di un motore elettrico in corrente continua per diverse tensioni di alimentazione e a (rette oblique); la curva C r rappresenta la coppia resistente generata da un generico utilizzatore, cambiata di segno Un carico inerziale Schema a blocchi del sistema in anello aperto Diagramma di Bode della funzione di trasferimento in anello aperto del motore elettrico in c.c Schema a blocchi del sistema in anello chiuso Diagramma di Bode delle funzioni di trasferimento in anello aperto e chiuso del motore elettrico in c.c viii

10 9.12 Diagramma di Nyquist delle funzioni di trasferimento in anello aperto e chiuso del motore elettrico in c.c Diagramma di Bode delle funzioni di trasferimento in anello aperto e chiuso del motore elettrico in c.c. controllato in corrente Diagramma di Nyquist delle funzioni di trasferimento in anello aperto e chiuso del motore elettrico in c.c. controllato in corrente Il motore di azionamento di un compressore e le relative curve caratteristiche Condizione di moto a regime per il sistema motore a c.c.-compressore Induttore e condensatore (LC) Resistore, induttore e condensatore (RLC) Motore elettrico in corrente continua, approccio in tensione Sezioni di riferimento in campo automobilistico per la valutazione del coefficiente di resistenza del veicolo: proiezione frontale (a) e massima sezione trasversale (b) Schematizzazione del moto laminare di un fluido Schematizzazione del moto laminare di un fluido tra due superfici in moto relativo Andamento della pressione nel meato per effetto della geometria Perno lubrificato Lubrificazione idrodinamica: dipendenza dell attrito mediato dalla velocità relativa Variazione di pressione massima in una condotta Orifizio Molla-smorzatore a fluido Attuatore idraulico lineare Identificazione dello smorzamento Validità dell approssimazione dello smorzamento identificato mediante la relazione (12.6) Macchine che trasmettono vibrazioni al terreno Sistema soggetto a vibrazione del terreno Modulo e fase della risposta di un sistema vibrante smorzato (N.B.: nel disegno ω/ω è indicato con ω/ω n, lo smorzamento r è indicato con c, mentre la fase φ è rappresentata con segno opposto) Strumento di misura delle vibrazioni assolute di un corpo Risposta dello strumento di misura delle vibrazioni Accelerometro piezoelettrico Approssimazione di un impulso come sequenza di due scalini Approssimazioni di un impulso Funzione impulso: δ(t) Funzione scalino: step(t) Funzione scalino approssimata come (1+tanh(αt))/ Impulso approssimato come derivata di (1 + tanh(αt))/2. Il grafico sopra riporta la funzione, il grafico sotto ne riporta la normalizzazione a valore massimo unitario, per consentirne il confronto visivo Funzione discontinua con salto Sistema dinamico a 2 gradi di libertà Forme modali e risposta del sistema dinamico a 2 gradi di libertà Risposta modale del sistema dinamico a 2 gradi di libertà Assorbitore dinamico di vibrazioni usato su cavi dell alta tensione Modello dell assorbitore dinamico Risposta della massa 1 dell assorbitore dinamico Sistema vibrante a 2 gradi di libertà smorzato Torsione di una trave omogenea incastrata Modello ad un grado di libertà per la torsione di una trave omogenea incastrata Modello a due gradi di libertà per la torsione di una trave omogenea incastrata ix

11 14.1 Esempio di applicazione dell accelerazione dei modi Diagramma di Bode della funzione di trasferimento tra la forza applicata alla massa 2 e lo spostamento della massa Diagramma di Bode della funzione di trasferimento tra la forza applicata alla massa 2 e lo spostamento della massa Diagramma di Bode della funzione di trasferimento tra la forza applicata alla massa 2 e l azione interna nella molla Freno a disco Composizione delle velocità di vento V e corpo ẋ Decomposizione della forza aerodinamica Auto da corsa Caratteristiche del profilo alare NACA Sistema a 2 gdl immerso in un campo di forze Autovalori di un sistema conservativo Autovalori di un sistema non conservativo Sezione tipica: profilo alare immerso in un fluido, soggetto a in moto piano Composizione delle velocità del vento V e del corpo ẋ a dare l angolo di incidenza cinematico ψ Curve C L -α, C D -α e C M -α del profilo NACA Coalescenza, al crescere della velocità V, di due frequenze proprie; per semplicità sono mostrate solo le radici con parte immaginaria positiva A.1 Il giroscopio A-1 A.2 Sequenza di rotazioni A-6 A.3 Un Control Moment Gyro (CMG) della ECP A-15 A.4 Effetto della coppia giroscopica sulla forcella anteriore di una motocicletta A-15 A.5 Corpo rigido in moto rotatorio rispetto a due assi A-17 A.6 Modello semplificato di pala di elicottero A-19 A.7 Sistemi di riferimento definiti ed utilizzati sull elicottero (immagine dell elicottero tratta da A-2 A.8 Descrizione dell orientazione della trottola A-24 A.9 Traiettoria del baricentro della trottola per condizioni iniziali di precessione retrocedente positiva A-28 B.1 Valvola a doppio getto (da Merritt, [2]) B-2 x

12 Elenco delle tabelle 3.1 Rigidezze equivalenti di travi variamente vincolate Riassunto delle condizioni di moto diretto e retrogrado della trasmissione xi

13 Introduzione Queste dispense costituiscono una parte essenziale del materiale didattico a supporto del corso di Dinamica dei Sistemi Aerospaziali, relativo al corso di laurea in Ingegneria Aerospaziale, Facoltà di Ingegneria Industriale del Politecnico di Milano. Il contenuto è il risultato del lavoro di alcuni docenti, in particolare dei Proff. Andrea Curami e Ferruccio Resta, del Dipartimento di Meccanica, e del Prof. Paolo Mantegazza e dell Ing. Pierangelo Masarati, del Dipartimento di Ingegneria Aerospaziale. L ispirazione è tratta da testi classici della Meccanica Razionale, della Meccanica Applicata e della Dinamica dei Sistemi, a cui sono state aggiunte elaborazioni personali, frutto dell esperienza didattica e di ricerca sia degli autori che dei colleghi dei rispettivi Dipartimenti. È ormai impossibile identificare con precisione l autore di specifiche parti di questo materiale; per questo motivo, non sono riportate attribuzioni a specifiche persone. Un sentito ringraziamento va ai colleghi che hanno in qualche modo contribuito alla sua stesura. Le dispense sono per definizione materiale in continua evoluzione. Anche per questo motivo possono contenere materiale incompleto o errori nelle formule, nella sintassi, o parti di difficile comprensione. Gli autori sono grati al lettore attento che volesse segnalare eventuali errori o suggerire possibili migliorie, da indirizzare preferibilmente per posta elettronica a pierangelo.masarati@polimi.it. Notazione Nella stesura di queste note si è cercato da una parte di usare una notazione il più possibile uniforme, e dall altra di mutuare i simboli e i formalismi dalla letteratura più consolidata. In genere, i vettori sono indicati sovrapponendo una freccia al simbolo, ad esempio a per indicare un vettore di nome a. Le operazioni tra vettori seguono la notazione tradizionale italo-tedesca, in continuità con il testo di Meccanica Razionale del Prof. Bruno Finzi. Dati due vettori a e b, rappresentabili in base cartesiana come a = a x i+a y j +a z k b = bx i+b y j +b z k in funzione delle loro componenti a x, a y, a z e b x, b y e b z, e dei versori degli assi, i, j e k, il loro prodotto scalare viene indicato con a b, ovvero a b = a x b x +a y b y +a z b z. (1) Il loro prodotto vettore, invece, viene indicato con a b, ovvero a i j k b = a x a y a z b x b y b z = (a yb z a z b y ) i+(a z b x a x b z ) j +(a x b y a y b x ) k. (2) Questa notazione differisce da quella anglosassone, che caratterizza la letteratura più recente. La notazione anglosassone indica il prodotto scalare con a b, e il prodotto vettore con a b. Si noti come I-1

14 quest ultimo crei confusione con il simbolo del prodotto scalare utilizzato nella notazione di tradizione italo-tedesca. Per questo motivo si richiede al lettore di prestare particolare attenzione nella lettura delle operazioni vettoriali. Il significato dei simboli dovrebbe comunque essere chiaro dal contesto, in quanto l operazione di prodotto scalare dà come risultato uno scalare, mentre l operazione di prodotto vettorie dà come risultato un vettore. I-2

15 Capitolo 1 Dinamica del corpo rigido Generato il 1 settembre Sistemi fisici e modelli matematici Per condurre lo studio del comportamento di un qualsiasi sistema fisico, per una corretta progettazione e dimensionamento, sono possibili due vie: una puramente sperimentale, che consiste nella misura diretta delle proprietà fisiche che si desidera conoscere, eventualmente applicando correzioni e reiterando gli esperimenti fino all ottenimento del risultato voluto, e l altra teorica, basata sulla soluzione, con opportuni algoritmi, di modelli matematici del sistema. Questi ultimi sono basati sulla descrizione e caratterizzazione del sistema fisico con un appropriato modello fisico e possono assumere gradi di complessità diversi in funzione delle ipotesi semplificative adottate. Comunque, nel caso si voglia studiare la dinamica di un sistema fisico, i modelli sono sempre costituiti da sistemi di equazioni differenziali rappresentanti il cambiamento nel tempo delle proprietà fisiche che caratterizzano il sistema stesso. Per analisi dinamica di un sistema fisico s intende l insieme di operazioni che dall identificazione del sistema stesso portano alla creazione del suo modello matematico e alla successiva soluzione di quest ultimo. Con il termine di sintesi dinamica si intende, invece, la successiva indagine che può essere condotta variando i valori di alcune proprietà del modello fisico affinché alcuni parametri del sistema assumano valori prefissati. In funzione del fenomeno principale che governa il sistema fisico riconosceremo sistemi meccanici, sistemi termici, sistemi idraulici, sistemi elettrici, sistemi elettronici ecc., e in generale si potrà vedere che i sistemi reali sono composti da più sottosistemi di natura diversa tra loro interconnessi a formare un unico insieme multidisciplinare, come è il caso del sistema di controllo di rotta per missili schematizzato nella figura 1.1. Nel caso in oggetto, il cambiamento di rotta del missile viene ottenuto variando la direzione di spinta del motore a razzo attraverso un attuatore idraulico che è azionato da una servovalvola, a sua volta azionata da un motore elettrico di coppia pilotato da un controllore, sempre più spesso di tipo digitale, utilizzando cioè un microprocessore. Il controllore, per far seguire al missile la traiettoria voluta, necessita di informazioni sulla sua posizione, velocità ed accelerazione, attraverso le misure di opportuni accelerometri, giroscopi, GPS, ecc. e, sulla base di queste misure, interviene sulla direzione di spinta. Il corso di Dinamica dei Sistemi Aerospaziali ha principalmente per oggetto lo studio della dinamica dei sistemi meccanici e delle macchine in particolare, ove per macchina s intende quel particolare sistema atto sia a trasformare energie di forme diverse in energia meccanica e viceversa, ove possibile, sia a utilizzare i vari tipi di energia per realizzare particolari funzioni richieste per il funzionamento degli aeromobili che costituiscono l oggetto principale del corso di studi in Ingegneria Aerospaziale. I modelli matematici ai quali perverremo si traducono, come detto, in una serie di equazioni differenziali, dette anche equazioni di moto, che legano le azioni agenti sul sistema reale al suo movimento. 1-1

16 Figura 1.1: Modello fisico di un sistema di guida per razzi (da Cannon, [1]). 1.2 I sistemi meccanici Nel corso di Meccanica Razionale si sono studiati i metodi per condurre l analisi cinematica e dinamica di un punto materiale e di un corpo rigido, spesso elementi di base di sistemi meccanici più complessi. Qualsiasi sistema meccanico reale può essere infatti schematizzato come un sistema fisico ideale formato dall insieme di punti materiali e di corpi rigidi, tra loro connessi da opportuni vincoli, al fine di realizzare lo scopo per il quale si è progettata la macchina Gradi di libertà L analisi dinamica dei sistemi reali necessita della conoscenza del numero di gradi di libertà da loro posseduti, ovvero le possibilità di moto libero e non condizionato dai vincoli. Al fine di definire lo stato di un sistema (posizione e velocità) è infatti necessario identificare il numero di parametri, pari ai gradi di libertà, in grado di variare indipendentemente: tali parametri sono variabili indipendenti. Il corso di Meccanica Razionale ha messo in luce come, al fine di individuare la posizione nello spazio di un punto materiale, siano necessarie tre coordinate; se se ne confina la giacitura in un piano, tali coordinate si riducono a due. Conseguentemente, le variabili indipendenti per l analisi dinamica di un punto materiale nello spazio saranno tre; due nel caso di moto piano. Per il corpo rigido libero, ovvero un corpo dotato di dimensioni non trascurabili, al fine di identificarne la configurazione nello spazio sono necessarie sei coordinate libere che, spesso, vengono ricondotte alla posizione di un punto appartenente al corpo e a tre parametri 1 che forniscono l orientamento del corpo nello spazio. Analogamente, passando al piano, saranno sufficienti tre coordinate libere, ovvero tre gradi di libertà, per caratterizzare la configurazione del corpo: due per la posizione e una per l orientamento Gradi di vincolo Come detto, i sistemi meccanici sono in generale costituiti da un insieme di più corpi rigidi opportunamente vincolati tra loro. Tali vincoli impediscono alcune tra le possibilità di spostamento e rotazione dei singoli componenti del sistema, ovvero creano dei legami tra lo stato dei vari componenti e le variabili indipendenti scelte. Ad esempio, già la condizione di rigidità di un corpo rigido deve essere vista come un vincolo. In realtà, infatti, ogni corpo è deformabile sotto l azione delle forze che agiscono su di esso. Ipotizzare tale deformabilità trascurabile implica imporre che la distanza tra due punti arbitrari solidali al corpo stesso 1 La definizione di un orientazione nello spazio richiede tre parametri che possono essere rappresentati da nove coseni direttori, vincolati da sei equazioni che ne impongono l ortonormalità, oppure da tre angoli valutati secondo una ben determinata sequenza, o da altre forme di parametrizzazione in ogni caso riconducibili a tre gradi di libertà. 1-2

17 Figura 1.2: Un sistema meccanico a due gradi di libertà (da Cannon, [1]). non vari mai, e che l angolo formato da due rette solidali al corpo rimanga costante durante il movimento. Tale vincolo si traduce nel fatto che per identificare la posizione di tutti i punti appartenenti al corpo rigido stesso è sufficiente identificare sei parametri indipendenti (tre nel caso di moto piano) e che per tutti i punti del corpo è possibile scrivere dei legami tra i loro spostamenti e le variabili indipendenti. Un sistema composto da n corpi liberi (meccanismo) possiede 6 n gradi di libertà nello spazio; 3 n nel piano. L introduzione di vincoli tra i corpi o verso il mondo esterno (telaio) riduce il numero dei gradi di libertà del sistema. Tale riduzione di gradi di libertà implica l esistenza di legami tra le varie posizioni caratteristiche del sistema e le variabili indipendenti. È necessario quindi, come primo passo di ogni analisi, il computo del numero dei gradi di libertà (o gradi di mobilità) del sistema. A titolo di esempio, nel caso di meccanismi piani con sole coppie inferiori (ad esempio cerniere, pattini e carrelli), in cui i collegamenti siano solo di tipo binario (ossia ogni vincolo collega solo due elementi), si definisce la regola di Grübler per il calcolo del grado di mobilità del sistema. Detto c 1 il numero di vincoli che sopprimono un solo grado di libertà (es. carrello), e c 2 il numero di vincoli che sopprimono due gradi di libertà, (es. cerniera o pattino), il numero di gradi di libertà n gdl è n gdl = 3 n c 1 2 c 2 (1.1) essendo n il numero di corpi rigidi componenti il meccanismo Variabili fisiche L analisi dinamica di un sistema, una volta noto il numero di gradi di libertà n gdl di cui esso gode, richiede la scrittura e la soluzione delle equazioni di moto e quindi, nel caso di un sistema meccanico, l identificazione delle forze agenti su di esso. Poiché alcune delle forze agenti possono essere funzione di grandezze cinematiche, è opportuno definire, oltre alle variabili indipendenti del sistema, anche altre variabili, dette variabili fisiche, che permettano di definire posizione, velocità o accelerazione di questi punti d applicazione in modo da rendere agevole la scrittura delle equazioni di moto. Tali variabili sono, per quanto detto, funzione delle variabili indipendenti attraverso legami geometrici. Con riferimento al sistema di figura 1.2, ad esempio, il meccanismo piano è composto dai due corpi rigidi m 1 e m 2 che possono solo traslare sui due rispettivi piani d appoggio. Il sistema libero godrebbe di sei gradi di libertà (3 2); i piani d appoggio si comportano come due pattini sopprimendo due gradi di libertà per ogni corpo rigido, ovvero, dalla (1.1): n gdl = = 2 (1.2) Quindi, per definire in ogni istante la configurazione del sistema, è sufficiente scegliere come variabili indipendenti due coordinate (ad esempio x 1 e x 2 ), e stabilirne l origine ed il verso positivo nel quale sono misurate. Qualsiasi altra variabile fisica, ad esempio la posizione relativa ξ del corpo m 2 rispetto alla slitta m 1, risulta dipendente dalle variabili indipendenti scelte. Infatti, dall analisi della geometria del sistema, si 1-3

18 ricava che: ξ = x 2 x 1 (1.3) ovveroesisteunlegametravariabilefisicaξ elevariabiliindipendentix 1 ex 2 adottate; tuttavia, potrebbe risultare conveniente definire la grandezza ξ se, ad esempio, fosse necessario inserire una molla tra i corpi m 1 e m 2. Sempre in riferimento alla figura 1.2, l azione esercitata dalla molla k 5 dipende dalla sua elongazione rispetto alla posizione di molla scarica, per cui può risultare conveniente l utilizzo di un altra variabile fisica per definire la deformazione della molla rispetto alla condizione di molla scarica. 1.3 Equazioni di moto: equilibri dinamici Come noto, l equilibrio di un sistema meccanico in condizioni di quiete può essere studiato mediante le equazioni cardinali della statica. Ad esempio, nel caso di un corpo rigido libero nel piano xy, dotato quindi di tre gradi di libertà, soggetto ad un generico sistema di forze esterne, il sistema di equazioni di equilibrio equivale a tre equazioni scalari indipendenti (due componenti per il risultante R di tali forze, ed una sola componente per l equazione del loro momento M rispetto a un polo O qualsivoglia), in numero eguale al numero dei gradi di libertà del corpo, ovvero: R = M O = (1.4a) (1.4b) che, proiettate sul piano cartesiano xy, danno luogo al sistema di equazioni pure: R x = R y = M Oz =. (1.5a) (1.5b) (1.5c) L operazione di proiezione si ottiene moltiplicando il vettore delle equazioni per il versore della direzione rispetto alla quale si vuole scrivere l equazione, ovvero R x = i R R y = j R M Oz = k M O. (1.6a) (1.6b) (1.6c) Nel caso di un sistema composto da più corpi tra loro connessi, le equazioni cardinali della statica applicate all intero sistema costituiscono condizione solo necessaria. In tal caso occorre: separare i corpi che costituiscono il sistema e scriverle per ognuno di essi, includendo quindi anche le reazioni vincolari scambiate tra i corpi stessi, oppure considerare, oltre alle equazioni cardinali applicate al sistema completo, ulteriori equazioni di equilibrio riguardanti le mobilità relative tra i corpi che costituiscono il sistema meccanico nel suo complesso. La dinamica di un sistema meccanico è definita attraverso relazioni che intercorrono tra moto del sistema (in termini di accelerazioni subite dai diversi punti del sistema) e forze agenti. Sono possibili due approcci allo studio della dinamica: uno basato sulle equazioni di equilibrio di D Alembert, che possono essere considerate il corrispondente dinamico delle equazioni cardinali della statica, 1-4

19 uno basato su principi energetici, come il Principio dei Lavori Virtuali (d ora in poi PLV), il teorema di Lagrange, quello dell energia cinetica, o altri ancora 2. Vale infine la pena di osservare che nel legame tra le forze agenti su un sistema e le corrispondenti accelerazioni gioca un ruolo fondamentale la definizione delle caratteristiche meccaniche del sistema stesso: pertanto utilizzeremo nello studio della dinamica tutte le nozioni relative alla geometria delle masse che sono state oggetto del corso di Meccanica Razionale. Nel caso di un punto materiale di massa m vincolato, dalla legge di Newton (seconda legge della Dinamica, [3]) si ricava che l accelerazione subita dal punto è legata al risultante F di tutte le forze attive e reattive agenti sul corpo attraverso la relazione: m a = F = R+ Ψ (1.7) dove Ψ è la reazione vincolare che traduce l azione del vincolo, mentre R è il risultante delle sole forze attive. Definendo come forza d inerzia la quantità: F i = m a (1.8) pari al prodotto della massa del punto per la sua accelerazione e agente in verso opposto a quest ultima, l equazione di moto (1.7) può essere riscritta sotto forma di una equazione di equilibrio equivalente: F + F i = R+ Ψ+ F i = (1.9) ossia il problema dinamico può essere sempre ricondotto a un problema statico equivalente, a condizione di aggiungere al risultante delle forze attive e reattive anche la forza di inerzia. Questa affermazione, rappresentata matematicamente dalla Equazione (1.9), costituisce l enunciato del principio di D Alembert nel caso del punto materiale. L applicazione di tale principio può essere estesa al caso del corpo rigido, o del sistema di corpi rigidi Dinamica del corpo rigido Consideriamo il caso di un corpo rigido di dimensioni non trascurabili, cioè un sistema continuo di punti materiali ai quali è imposto il vincolo della rigidità. In questo caso, il principio di D Alembert, che nella (1.9) è stato applicato ad un generico punto materiale, può essere scritto per ciascun punto del corpo. Il corpo è quindi sottoposto a forze di inerzia distribuite. La forza d inerzia infinitesima agente sul generico punto P di volume infinitesimo dv e massa infinitesima dm = ρdv è: d F i = dm a (1.1) Definita questa distribuzione di forze, potremo quindi dire che il moto del corpo deve soddisfare le equazioni che ne definiscono l equilibrio dinamico sotto l azione delle forze (attive e reattive) agenti su di esso, oltre a quelle di inerzia. Nel caso del corpo rigido è possibile ridurre l intero sistema di forze d inerzia distribuite ad un risultante F i più una coppia d inerzia C Gi che possono essere espressi in funzione dell accelerazione del baricentro G e dell accelerazione angolare del corpo stesso, come illustrato nel seguito. Le equazioni vettoriali che descrivono il moto del corpo rigido possono essere scritte a partire dalle equazioni cardinali della statica(1.4), includendo il termine aggiuntivo dovuto alle forze di inerzia, ovvero: F + F i = M O + C Oi = (1.11a) (1.11b) dove F è il risultante delle forze attive e reattive, e M O è il loro momento rispetto ad un polo O. Il problema dinamico è quindi ricondotto, ancora una volta, a un problema statico equivalente, a condizione 2 Si elencano, per completezza e senza presentarli: il principio di Hamilton, il principio di Gauss (o di minimo vincolo), il principio di Jourdain, le equazioni di Gibbs-Appell, le equazioni di Maggi-Kane, e così via. 1-5

20 ω, ω y P O x O x P Figura 1.3: Cinematica di un corpo rigido con un punto fisso. x di essere in grado di calcolare il risultante F i delle forze di inerzia df i agenti sul corpo e il loro momento risultante rispetto al polo O considerato. Questo calcolo risulta in genere molto complesso per un corpo deformabile, ma per i corpi rigidi, oggetto principale di questo corso, vale la regola generale illustrata nel seguito. La forza d inerzia è data dall integrale esteso al volume V del corpo della forza d inerzia elementare(1.1) F i = df i V = ρ a dv (1.12) V dove la massa infinitesima è data dal prodotto della densità del materiale per il suo volume infinitesimo dm = ρdv (1.13) mentre la coppia d inerzia rispetto al generico punto O è data dall integrale esteso al volume V del corpo del momento della forza d inerzia elementare (1.1) rispetto al punto O C Oi = (P O) df i V = ρ(p O) a dv (1.14) V Nell ipotesi che il polo O sia solidale con il corpo, la distanza P O tra il generico punto P ed il polo rimane costante in modulo. A seguito del movimento rigido del corpo, ne può variare soltanto l orientazione. Facendo riferimento alla terna intrinseca 3, posizione, velocità ed accelerazione del punto 3 Si ricordi che un vettore è definito dal suo modulo e dalla sua direzione. La derivata di un vettore di modulo costante non è nulla se la sua direzione cambia. Si consideri, ad esempio, un vettore (P O) di modulo P O costante che rappresenta la distanza tra il generico punto P ed un polo O all istante di tempo t, entrambi solidali con un corpo rigido che si muove nel piano di moto rotatorio attorno al polo O. Nell istante t il punto P si sposti in P ; la velocità del punto P all istante t si definisce (P P) v P = lim t t t t e, per costruzione, è perpendicolare a (P O). Può quindi essere scritta come v P = k (P O) P O v P 1-6 (1.15) (1.16)

21 P sono x P = x O +(P O) x P = x O + ω (P O) x P = x O + ω ( ω (P O))+ ω (P O) (1.19a) (1.19b) (1.19c) L equazione (1.12), che esprime la forza d inerzia complessiva del corpo, nel caso piano diventa F i = = V V ρ x O dv ρ ω ( ω (P O)) dv ρ ω (P O) dv V V ρ dv x O +ω 2 ρ(p O) dv ω k ρ(p O) dv } {{ } m V } {{ } s O V } {{ } s O (1.2) La posizione del punto P può essere espressa in relazione alla posizione di un altro punto, G, anch esso solidale con il corpo (il baricentro), (P O) = (P G)+(G O) (1.21) Di conseguenza, l espressione del momento statico s O rispetto al punto O diventa s O = ρ(p O) dv V = ρ(p G) dv + ρ(g O) dv V V } {{ } s G = (G O) ρ dv V } {{ } m (1.22) in quanto per definizione il momento statico rispetto al baricentro, s G, è nullo; la (1.12) diventa quindi F i = m x O +ω 2 s O ω k s O (1.23) ove v P è uno scalare che ne rappresenta l ampiezza. Si definisca v P = ω P O (1.17) l ampiezza della velocità v P, costituita dal prodotto tra il modulo della distanza del punto P dal polo O e uno scalare ω; la (1.16) diventa ( ) v P = kω (P O) (1.18) ove, in kω = ω, si riconosce la velocità angolare del segmento (P O). Se ne deduce che la derivata di un vettore costante in modulo corrisponde alla velocità con cui cambia la sua orientazione. 1-7

22 L equazione 1.14 che esprime la coppia d inerzia complessiva del corpo diventa 4 C Oi = ρ(p O) x O dv ρ(p O) ( ω ( ω (P O))) dv V V ) ρ(p O) ( ω (P O) dv V = ρ(p O) dv x O + ρω 2 (P O) (P O) dv V V } {{ } } {{ } s O } {{ } solo nel caso piano! ρ(p O) (P O) dv ω V } {{ } = ( s O x ) O J O ρ(p G) (P G) dv V } {{ } J G +2(G O) ρ(p G) dv V } {{ } +(G O) (G O) ρ dv V } {{ } m ω = ( s O x ) O J G ω m(g O) (G O) ω (1.24) Dalle (1.23) e (1.24) è evidente come la scelta del baricentro come punto rispetto al quale riferire la coppia sia particolarmente vantaggioso, in quanto, per G O =, si ottiene F i = m x G C Gi = J G ω (1.25a) (1.25b) Le formule (1.25) in questa forma valgono solo nel caso piano. Nello spazio, l espressione della coppia d inerzia è più complessa. Quanto illustrato a proposito della forza e coppia d inerzia si applica anche a problemi nello spazio; in tale caso, tuttavia, la velocità e l accelerazione angolare possono avere direzione arbitraria, per cui la scrittura delle caratteristiche inerziali del corpo rigido comporta che non necessariamente si verifichi l annullamento di alcuni termini, come invece avviene nel caso piano Dinamica di un corpo rigido con spessore trascurabile e punto fisso Esercizio 1.1 Si calcolino la coppia motrice M e le reazioni vincolari nel punto di vincolo O di un corpo rigido di spessore trascurabile incernierato in O per velocità angolare ω e accelerazione angolare ω imposte. Soluzione. L analisi cinematica insegna che tutti i punti del corpo rigido descrivono una traiettoria circolare intorno al punto fisso O; quindi il moto del baricentro G è descritto dalle relazioni x G = (G O) x G = ω k (G O) x G = ω 2 (G O) + ω } {{ } k (G O) } {{ } a n a t (1.26a) (1.26b) (1.26c) 4 Si noti come, nel caso piano, ω ( ω (P O)) = ω 2 (P O) in quanto ω è per definizione perpendicolare a P O. Per questo motivo (P O) ( ω ( ω (P O))) nella (1.24). Nel caso spaziale (si veda il Capitolo A) ciò non è più necessariamente vero, in quanto in generale ω (P O), ovvero ω non è necessariamente perpendicolare a P O. 1-8

23 y ω, ω P dmω 2 OP O dm ω OP Figura 1.4: Componenti della forza d inerzia agente sul punto P di un corpo rigido con un punto fisso. x y M mω 2 OG G θ, ω, ω O m ω OG Ψ n Ψ t m g Ψ C i Figura 1.5: Forze agenti sul corpo rigido (ovvero, diagramma di corpo libero ). x dove sono state messe in evidenza le componenti normale e tangenziale dell accelerazione, rispettivamente a n e a t. Sostituendo ai vincoli le corrispondenti reazioni vincolari, è possibile quindi scrivere le equazioni scalari di equilibrio dinamico del corpo rigido: (m ω(g O)+Ψ t )sinθ + ( mω 2 (G O) Ψ n ) cosθ = (m ω(g O)+Ψ t )cosθ + ( mω 2 (G O) Ψ n ) sinθ mg = M m ω(g O) 2 J G ω mg(g O)cosϑ = (1.27a) (1.27b) (1.27c) corrispondenti alle equazioni della statica (1.5) quando vengano considerate anche le forze e coppie d inerzia. Dal momento che la scelta delle coordinate cartesiane xy è del tutto arbitraria, si può considerare, nel piano xy, una qualunque coppia di direzioni ortogonali 5 purché convenienti; nel caso in esame, le 5 In realtà è sufficiente che le direzioni rispetto alle quali vengono scritte le equazioni di equilibrio alla traslazione siano distinte, e quindi non parallele, per ottenere due equazioni linearmente indipendenti. 1-9

24 equazioni (1.27) diventano particolarmente semplici se si considerano le direzioni normale e tangenziale m ω(g O)+Ψ t +mgcosθ = mω 2 (G O) Ψ n mgsinθ = M m ω(g O) 2 J G ω mg(g O)cosϑ = (1.28a) (1.28b) (1.28c) In ogni caso, sia le (1.27) che le (1.28), equivalenti alle prime, conducono a un problema univocamente determinato di tre equazioni nelle tre incognite Ψ t, Ψ n, M. È evidente come le (1.28) siano molto più facili da risolvere delle (1.27), essendo le incognite disaccoppiate. A prescindere da quale insieme di equazioni si considera, è comunque possibile, note la velocità angolare ω e l accelerazione angolare ω del corpo, determinare la coppia motrice M necessaria. Si noti che in ogni caso una equazione (nell esempio l ultima) è pura, ovvero non contiene le reazioni vincolari, e corrisponde all equazione del moto associata alla coordinata libera del problema. Le altre due possono essere risolte a posteriori una volta determinato il movimento a partire dall equazione del moto. Esercizio 1.2 A partire dalla soluzione dell esercizio 1.1 si calcolino le azioni interne nel corpo, nell ipotesi che sia costituito da un asta di densità uniforme ρ, sezione uniforme A e lunghezza l. Soluzione. A partire dalla coppia motrice calcolata nell esercizio precedente, per dimensionare l organo meccanico schematizzato come corpo rigido occorre valutare le azioni interne. Tuttavia non è possibile utilizzare il sistema equipollente delle forze d inerzia, costituito dalle (1.23) e (1.24); occorre utilizzare la reale distribuzione delle azioni d inerzia. La valutazione degli sforzi agenti all interno di un corpo di geometria arbitraria è un problema complesso. La scienza delle costruzioni ci fornisce i metodi per lo studio della meccanica del continuo, ma ci insegna anche che raramente si conoscono soluzioni analitiche per geometrie non banali. Per questo motivo, a fini puramente didattici, si consideri l esempio di figura 1.6, in cui il generico corpo rigido di forma arbitraria viene approssimato con un asta omogenea, di densità costante ρ, sezione costante A e lunghezza l. Per semplicità, l asta è vincolata a ruotare nel piano verticale attorno alla cerniera O. Per valutare il momento M necessario a imporre l orientazione, la velocità e l accelerazione angolare volute (problema inverso) o, al contrario, per determinare l accelerazione angolare dovuta al momento imposto M, note l orientazione e la velocità angolare (problema diretto) è sufficiente, come illustrato nell esercizio precedente, scrivere l equilibrio dei momenti rispetto al polo O: M m ( l 2 ) 2 ω J G ω mg l 2 cosθ = = M = ml2 3 ω +mgl cosθ, (1.29) 2 ove si è sfruttato J G = ml 2 /12. Le altre due equazioni permettono invece il calcolo della reazione nelle sue due componenti tangente e normale alla traiettoria circolare del baricentro: Ψ t +ρalgcosθ +ρa ω l2 2 = = Ψ t = mgcosθ m ω l 2 Ψ n ρalgsinθ +ρaω 2l2 2 = = Ψ n = mgsinθ +mω 2 l 2 (1.3a) (1.3b) Volendo calcolare le azioni interne normali N, di taglio T e flettenti M f in una generica sezione distante a dalla cerniera, dobbiamo tener conto della distribuzione triangolare 6 delle azioni d inerzia scomposte nelle due componenti normale e tangenziale, ovvero: M f (a)+m +Ψ t a+ N (a) Ψ n T (a) Ψ t a a a ρagsinθ dξ + ρagcosθ(a ξ) dξ + ρagcosθ dξ a a a ρaω 2 ξ dξ = ρa ωξ dξ = ρa ωξ(a ξ) dξ = (1.31a) (1.31b) (1.31c) 6 Se le componenti normale e tangenziale dell accelerazione del generico punto a distanza ξ dal centro di rotazione sono rispettivamente ẍ n = ξω 2 e ẍ t = ξ ω, le conseguenti componenti della distribuzione di forza d inerzia sono df in = dmξω 2 e df it = dmξ ω, e hanno quindi andamento lineare in ξ. 1-1

25 Ci G y θ, ω, ω ρaω 2 OG M ρa ω OG ρag 111 Ψ t O x Ψ n ρag ρaω 2 OG ρa ω OG M f a Ψ t y O θ, ω, ω N T M x Ψ n Figura 1.6: Sistema equipollente delle forze d inerzia (a sinistra) e loro reale distribuzione (a destra) in un asta incernierata ad un estremo. A partire dalle ipotesi di densità ρ e area della sezione A costanti, svolgendo gli integrali si ottiene N (a) Ψ n ρaagsinθ +ρaω 2a2 2 = (1.32a) T (a) Ψ t ρaagcosθ ρa ω a2 2 = (1.32b) M f (a)+m +Ψ t a+ρa a2 gcosθ +ρa ωa3 2 6 = (1.32c) Esercizio 1.3 Si consideri di nuovo l esercizio 1.2 ma ora, anziché considerare la parte di problema dalla cerniera alla generica sezione, si consideri invece la parte dalla sezione all estremo libero. Ovviamente devono risultarne le medesime azioni interne. Lo si verifichi, e si discuta l opportunità di scegliere l una o l altra parte per il calcolo delle azioni interne. Esercizio 1.4 A partire dalla soluzione degli esercizi 1.1 e 1.2 si calcolino l angolo θ e la posizione radiale a per i quali sono rispettivamente massimi e minimi lo sforzo assiale e lo sforzo di taglio, scelta una geometria a piacere per la sezione A dell asta. 1-11

26 1-12

27 Capitolo 2 Scrittura delle equazioni di moto mediante approcci energetici Generato il 1 settembre 212 In questo capitolo viene illustrata la scrittura delle equazioni del moto di sistemi piani mediante principi energetici, metodo alternativo alla scrittura diretta delle equazioni di equilibrio dinamico di ogni corpo componente. Con la dicitura principi energetici si intendono quegli approcci basati sulla scrittura di un funzionale la cui minimizzazione porta alla scrittura di un sistema di equazioni di bilancio. Tra questi metodi ricade il Principio dei Lavori Virtuali. 2.1 Il Principio dei Lavori Virtuali L approccio visto nel capitolo precedente studia l equilibrio dinamico di un sistema meccanico basandosi sulla scrittura diretta delle equazioni di equilibrio di forze e momenti. In particolare si è visto che, grazie al principio di D Alembert, è possibile ricondurre il problema dinamico ad un problema statico equivalente, introducendo il sistema di forze e coppie di inerzia. In alternativa, è possibile usare il Principio dei Lavori Virtuali (o P.L.V.), che si enuncia come segue: condizione necessaria e sufficiente per l equilibrio dinamico, in un sistema meccanico con vincoli lisci ovvero in assenza di attrito, è che sia nullo il lavoro delle forze e coppie attive, comprendendo tra esse la forza e la coppia d inerzia, per qualsiasi spostamento virtuale del sistema. Uno spostamento si definisce virtuale quando è infinitesimo e compatibile con i vincoli a tempo fissato. Il senso delle parole compatibile con i vincoli a tempo fissato verrà illustrato nel seguito. La limitazione ai soli vincoli lisci sopra indicata può essere rimossa con opportuni accorgimenti, quindi l applicabilità del P.L.V. è sufficientemente ampia da consentirne l uso in tutte le applicazioni di interesse perilcorso. Inoltre,perunsistemaadunsologradodilibertàavincolilisci,ilmetodoconsentediottenere una sola equazione pura di moto che non dipende dalle incognite di reazione vincolare. Questa equazione consente di risolvere direttamente il problema dinamico senza dover calcolare le incognite aggiuntive rappresentate dalle reazioni vincolari stesse. Per fare un esempio di questo procedimento ci riferiamo nuovamente al caso del corpo rigido di piccolo spessore del capitolo precedente. Data la presenza di una cerniera a terra in O, lo spostamento virtuale del corpo è di tipo rotatorio, descritto dalla rotazione virtuale δϑ = kδϑ del corpo rigido (assunta, per convenzione, positiva se antioraria), con k versore perpendicolare al piano contenente il corpo e positivo quando uscente dal piano stesso. Applicando il P.L.V. si ottiene δ L = M δϑ+m g δ x G + F ) δ x P (J G ω δϑ m a G δ x G =, (2.1) 2-1

28 y M F P ϑ, ϑ = ω, ϑ = ω a G O G ϑ m g J G ω Figura 2.1: Corpo rigido di piccolo spessore soggetto a moto puramente rotatorio. x avendo aggiunto una generica forza F applicata nel punto P, in cui le variabili fisiche sono x G = (G O) x P = (P O), (2.2) da cui risultano le variazioni virtuali mentre δ x G = δ ϑ (G O) δ x P = δ ϑ (P O), (2.3) a G = d2 x G dt 2 = ω ( ω (G O))+ ω (G O) = ω 2 (G O)+ ω (G O). Come indicato in figura 2.1, si sono definiti ω = ϑ e ω = ϑ. È relativamente agevole verificare che ( F δ x P = (P O) F ) δϑ (2.4) (si veda a questo proposito la (A.8c)); questo corrisponde ad affermare che il lavoro virtuale compiuto dalla forza F per lo spostamento virtuale del punto di applicazione P, quando lo spostamento sia dovuto ad una rotazione rispetto ad un polo O, è uguale al lavoro virtuale dovuto al momento (P O) F per la rotazione virtuale δ ϑ = δϑ k. Esercizio 2.1 Si verifichi la (2.4). Svolgendo i prodotti indicati e raccogliendo a fattor comune la rotazione virtuale δϑ si ha: ( ( δ L = M J G ω mg (G O) cosϑ m (G O) 2 ω + (P O) F ) ) k δϑ = (2.5) da cui, semplificando 1 per δϑ, si ottiene M J G ω mg (G O) cosϑ m (G O) 2 ω + ( (P O) F ) k = (2.6) che (a meno del contributo F, introdotto solo ora) coincide con la (1.27), ottenuta direttamente dall equilibrio dinamico dei momenti. Si noti come non sia mai stato necessario prendere in considerazione le reazioni vincolari scambiate tra corpo e telaio nella cerniera, a seguito dell ipotesi di vincolo ideale. 1 Questa semplificazione è lecita per l arbitrarietà degli spostamenti virtuali. 2-2

29 2.2 Il teorema dell energia cinetica La Meccanica Razionale ha proposto il Teorema dell Energia Cinetica in due forme. Indicati con T l energia cinetica del corpo rigido, Π la potenza e L il lavoro delle forze esterne, per un sistema a vincoli fissi il teorema dell energia cinetica: in forma differenziale, dt dt = Π, afferma che la derivata rispetto al tempo dell energia cinetica eguaglia la potenza delle forze attive, escluse quelle d inerzia; in forma integrale, (2.7) T = L, (2.8) afferma che la variazione di energia cinetica tra due istanti di tempo eguaglia il lavoro compiuto dalle forze attive, escluse quelle d inerzia, nell intervallo trascorso. La potenza o il lavoro delle forze di inerzia sono esplicitamente esclusi dal computo di Π e di L perché la derivata rispetto al tempo dell energia cinetica rappresenta proprio la potenza delle forze d inerzia, mentre la variazione di energia cinetica in un dato intervallo di tempo è proprio pari al lavoro fatto dalle forze d inerzia in quell intervallo. Ritornando all esempio considerato, l energia cinetica T del corpo è 2 : T = 1 2 m v G v G J G ω ω (2.9) dove si è utilizzato il teorema di König, per cui mentre dt dt = m a G v G +J G ω ω (2.1) Π = M ω +m g v G + F v P. (2.11) Sostituendo nella (2.7) le (2.1) e (2.11), otteniamo: ovvero m a G v G +J G ω ω = M ω +m g vg + F v P, (2.12) M ω +m g v G + F v P m a G v G J G ω ω = (2.13) che esprime l annullamento complessivo delle potenze di tutte le forze e coppie(comprese quelle di inerzia) agenti sul sistema. Il principio illustrato da questa equazione è noto anche come bilancio di potenze, in quanto la potenza Π in della forza e della coppia d inerzia è pari a Π in = m a G v G J G ω ω = dt dt e quindi la (2.7) può essere riscritta anche come (2.14) Π+Π in = (2.15) 2 Il contributodi energia cinetica associato alla velocità angolare è scritto come 1/2J G ω ω perchénel caso bidimensionale la velocità angolare è ω = [,,ω z] T e si assume che i corpi abbiano spessore trascurabile, quindi solo il momento di inerzia J G attorno a k partecipa. Come si vedrà nel Capitolo A tale contributo ha una forma più complicata nel caso tridimensionale. 2-3

30 Ricordando, poi, che dall analisi cinematica di questo specifico problema risulta che e v G = ω (G O) (2.16) v P = ω (P O), (2.17) sostituendo la (2.16) nella (2.13) e risolvendo i prodotti scalari, otteniamo: ( ( M mg(o G)cosϑ+ (P O) F ) ) k J G ω m(o G) 2 ω ω = (2.18) che semplificata per ω fornisce un equazione scalare pura che è di nuovo la (2.5). La validità di questa equazione non è limitata ad un singolo corpo rigido, ma vale per qualunque sistema formato da n corpi, purché ad un solo grado di libertà, potendosi riscrivere nella forma n (Π+Π in ) k = (2.19) k=1 Nelle applicazioni di dinamica, in cui spesso occorre considerare macchine ad un solo grado di libertà, il teorema dell energia cinetica (ovvero l equazione di bilancio delle potenze) può risultare di più spontaneo utilizzo rispetto al principio dei lavori virtuali visto in precedenza, poiché più direttamente collegato al moto dei corpi rigidi componenti il sistema, in quanto la velocità è analoga ad uno spostamento virtuale quando i vincoli sono fissi. Il Teorema dell Energia Cinetica si presta a una importante interpretazione fisica: durante il moto del sistema, negli istanti in cui la somma delle potenze delle forze attive risulta positiva l energia cinetica del sistema viene incrementata; al contrario, quando tale somma risulta negativa il sistema riduce la propria energia cinetica. Secondo questa interpretazione, le inerzie presenti nel sistema (masse e momenti di inerzia) possono essere visti come serbatoi di energia che nelle fasi di accelerazione immagazzinano l energia fornita in eccesso al sistema rispetto a quella necessaria per vincere le resistenze, mentre nelle fasi di decelerazione restituiscono l energia immagazzinata per supplire a un deficit di potenza motrice rispetto a quella necessaria per vincere le resistenze. 2.3 Le equazioni di Lagrange (di II o tipo) È stato messo in luce come l analisi dinamica di un sistema composto da più corpi possa essere convenientemente risolta mediante la scrittura del teorema dell energia cinetica (o dell equivalente bilancio di potenze) in quanto, in presenza di soli vincoli lisci e fissi, ne deriva l equazione scalare pura del moto. Nel caso si debbano determinare le forze scambiate tra i vari elementi componenti il sistema, le azioni interne e le reazioni vincolari, è stato invece proposto il metodo degli equilibri dinamici, noto anche come principio di d Alembert. Si vuole presentare un metodo ulteriore per la scrittura delle equazioni di moto tramite le equazioni di Lagrange. Questo metodo energetico trova un importante applicazione, come illustrato in seguito, nel caso di sistemi a più gradi di libertà. Ci si limiti, per ora, al caso di un sistema piano ad un solo grado di libertà, composto da un corpo rigidodi massa m e momento d inerziabaricentricoj G soggetto a vincolibilaterilisci. Dettaq la variabile indipendente scelta per il sistema, l equazione di Lagrange nella sua forma più nota si presenta come: d dt ( T q ) T q + dv dq = Q q (2.2) dove T e V indicano rispettivamente l energia cinetica e l energia potenziale 3 del sistema, mentre Q q indica la componente lagrangiana delle sollecitazioni attive relativa alla coordinata libera q. 3 Alcuni autori, al posto dell energia potenziale V, usano il potenziale U delle forze conservative; si ricorda che U = V. 2-4

31 L energia cinetica del sistema è data dalla (2.9), qui ripetuta per chiarezza espositiva: T = 1 2 m v G v G J G ω ω (2.21) dove con v G e con ω sono indicate rispettivamente la velocità del baricentro e la velocità angolare del corpo rigido. Le generiche variabili fisiche y sono funzioni dell unica coordinata libera q tramite le relazioni che ne governano la cinematica e la geometria (tali legami possono avere anche una dipendenza esplicita dal tempo nel caso in cui vincoli esterni o interni varino la loro configurazione con legge assegnata nel tempo): y = y(q,t) (2.22) Si noti che, data la definizione di variabile fisica in (2.22), la velocità fisica è definita come v = dy dt = y y q + q t, (2.23) mentre lo spostamento virtuale corrispondente è definito come δy = y q δq (2.24) in quanto lo spostamento virtuale avviene a vincoli e a tempo fissato, per cui la dipendenza esplicita dal tempo della (2.22), che nella (2.23) compare attraverso il termine y/ t, nella (2.24) non partecipa alla definizione dello spostamento virtuale. Il termine V rappresenta l energia potenziale delle forze agenti che ammettono potenziale, e quindi conservative (adesempiolaforzapeso, eventualiforzeelastiche, ecc.). InQ q sonocompreselecomponenti lagrangiane di tutte le restanti forze attive agenti sul sistema. Il termine Q q viene calcolato come il lavoro virtuale di tali forze per uno spostamento virtuale unitario della variabile indipendente δq, ovvero come il termine ottenuto dal raccoglimento a fattor comune di δq nell espressione del lavoro virtuale di tali forze, Q q = δl/ δq. Con riferimento sempre all esempio iniziale, utilizzando come variabile libera q l angolo ϑ di rotazione del corpo, e quindi ω = ϑ, avremo che d dt T ϑ = ( ) ϑ T ϑ = ( 1 (J G +m (G O) 2) ) ( ω 2 = J G +m (G O) 2) ω (2.25) 2 ( J G +m (G O) 2) ω (2.26) T ϑ = (2.27) V = mg (G O) sinϑ (2.28) dv = mg (G O) cosϑ dϑ ( ( ) ) (2.29) δl = M + (P O) F k δϑ (2.3) ( ) Q q = M + (P O) F k (2.31) che, sostituite nella (2.2), portano a ( J G +m (G O) 2) ( ω +mg (G O) cosϑ = M + (P O) F ) k (2.32) ovvero di nuovo all equazione scalare pura (2.5). 2-5

32 2.4 Le equazioni di Lagrange (di I o tipo) Le equazioni di Lagrange di primo tipo partono dalle equazioni di Newton-Eulero, o equazioni cardinali della dinamica. Queste sono espresse in funzione di coordinate cartesiane che descrivono la posizione e l orientazione di ogni corpo che costituisce il sistema. La presenza di vincoli cinematici, che riducono il numero di gradi di libertà effettivi del problema, viene espressa esplicitamente mediante l aggiunta delle equazioni algebriche di vincolo, ϕ j (x G,y G,ϑ,t) =. (2.33) Queste ultime consentono di applicare le reazioni vincolari, nell ipotesi di vincoli lisci, direttamente alle equazioni cardinali del moto del corpo, mediante il formalismo dei moltiplicatori di Lagrange. Le equazioni di vincolo devono essere indipendenti, altrimenti si ha una sovradeterminazione (le equazioni di vincolo non sono più indipendenti). Condizione necessaria per avere equazioni indipendenti è che le equazioni di vincolo siano in numero al più pari ai gradi di libertà del sistema. Si scriva formalmente la Lagrangiana L = T V = 1 2 m v G v G J G ω ω = 1 2 m( ẋ 2 G +ẏg 2 ) J ϑ G 2. (2.34) La si aumenti con un termine L = λ k ϕ k (x G,y G,ϑ,t), (2.35) k=1,c ove i λ k sono moltiplicatori incogniti relativi ad ogni equazione di vincolo cinematico. Quando il vincolo ϕ k è rispettato, il valore della Lagrangiana originaria, L, non dipende in alcun modo dal valore del corrispondente moltiplicatore λ k. Si applichi il formalismo di Lagrange a L+L, considerando alla stregua di coordinate libere sia le coordinate cartesiane di ogni corpo che i moltiplicatori λ k. La derivazione del contributo delle equazioni di vincolo, L, comporta L = x G k=1,c L = y G k=1,c L ϑ = k=1,c L λ k = ϕ k. λ k ϕ k x G λ k ϕ k y G λ k ϕ k ϑ Si ottiene, per il corpo rigido e per ogni vincolo k: mẍ G + k=1,c mÿ G + k=1,c J G ϑ+ k=1,c Ciascun termine ϕ k x G λ k = Q xg ϕ k y G λ k = Q yg ϕ k ϑ λ k = Q ϑ ϕ k =. (2.36a) (2.36b) (2.36c) (2.36d) (2.37a) (2.37b) (2.37c) (2.37d) ϕ k q j λ k (2.38) 2-6

33 rappresenta il contributo del vincolo k-esimo alle reazioni vincolari dell equazione di equilibrio alla traslazione in direzione j-esima, o alla rotazione attorno all asse j-esimo, del corpo. Considerando il problema iniziale, le coordinate sono rappresentate da x G, y G e ϑ, quest ultima corrispondente alla coordinata libera usata nelle equazioni di Lagrange di secondo tipo. La lagrangiana è L = 1 2 m( ẋ 2 G +ẏg 2 ) J ϑ G 2 mgy G, (2.39) mentre il lavoro virtuale delle forze generalizzate è δ L = δ x P F +δ ϑ M = δx G F x +δy G F y +δϑ dal momento che lo spostamento virtuale del punto P è dato da (( (P G) F ) ) k +M, (2.4) δ x P = δx G i+δy G j +δϑ k (P G). (2.41) Sono presenti due relazioni di vincolo, in quanto il sistema ha un solo grado di libertà. Possono essere espresse in vari modi equivalenti. Ad esempio, si può imporre che la distanza tra i punti G e O sia costante e pari a G O, e che il rapporto tra le coordinate del baricentro sia pari alla tangente dell angolo ϑ. Sia quindi ϕ 1 = (G O) (G O) G O = x 2 G +y2 G G O =, (2.42) da cui e ϕ 1 = x G x G [G O] ϕ 1 = y G y G [G O] ϕ 1 ϑ =, (2.43a) (2.43b) (2.43c) da cui ϕ 2 = x G sinϑ y G cosϑ =, (2.44) ϕ 2 = sinϑ x G ϕ 2 = cosϑ y G ϕ 2 ϑ = x Gcosϑ+y G sinϑ. (2.45a) (2.45b) (2.45c) Trascurando nel seguito la forza F, ne risulta mẍ G + x G [G O] λ 1 +sinϑλ 2 = mÿ G + y G [G O] λ 1 cosϑλ 2 = mg J G ϑ+(xg cosϑ+y G sinϑ)λ 2 = M x 2 G +y2 G G O = x G sinϑ y G cosϑ =. (2.46a) (2.46b) (2.46c) (2.46d) (2.46e) 2-7

34 Oppure, più semplicemente, si possono definire le coordinate del baricentro come ϕ 1 = x G G O cosϑ ϕ 2 = y G G O sinϑ, da cui ϕ 1 = 1 x G ϕ 1 = y G ϕ 1 ϑ = G O sinϑ ϕ 2 = x G ϕ 2 = 1 y G ϕ 2 ϑ = G O cosϑ Ne risulta mẍ G +λ 1 = mÿ G +λ 2 = mg J G ϑ+ G O sinϑλ1 G O cosϑλ 2 = M x G G O cosϑ = y G G O sinϑ =. (2.47a) (2.47b) (2.48a) (2.48b) (2.48c) (2.48d) (2.48e) (2.48f) (2.49a) (2.49b) (2.49c) (2.49d) (2.49e) In entrambi i casi mediante sostituzioni è possibile riottenere l equazione precedente. È evidente come l uso delle equazioni di Lagrange del primo tipo dia luogo a sistemi di equazioni molto più grandi rispetto, ad esempio, alle equazioni del secondo tipo, che consentono di ricavare direttamente le equazioni pure del moto, in numero pari ai gradi di libertà effettivi del problema. Tuttavia, la scrittura delle equazioni del primo tipo può essere più facilmente automatizzabile, a condizione di risolvere poi un problema di equazioni sia algebriche che differenziali. Un vantaggio significativo è che nelle equazioni del primo tipo occorre soltanto calcolare la derivata prima delle equazioni di vincolo, per scrivere i coefficienti con cui i moltiplicatori λ k agiscono sulle equazioni cardinali del moto. Viceversa, le equazioni del secondo tipo richiedono di derivare le equazioni di vincolo per esplicitare le variabili cinematiche dipendenti in funzione delle coordinate libere, e fino alla derivata seconda, per poter scrivere le forze d inerzia. Un altro vantaggio è dato dal fatto che in presenza di vincoli non lisci per risolvere le equazioni del moto occorre conoscere a priori le reazioni vincolari associate a tali vincoli. Le equazioni di Lagrange di I o tipo consentono di scrivere il problema direttamente sotto forma di sistema di equazioni in cui alle incognite cinematiche si aggiungono quelle di reazione, e quindi di esprimere opportunamente le forze attive che dipendono dalle reazioni vincolari associate ai vincoli non lisci. Si veda a tal proposito il Capitolo 7, in cui viene discusso l attrito. Esercizio 2.2 Utilizzando il formalismo delle equazioni di Lagrange di I o tipo si scrivano le equazioni del moto di un punto materiale di massa m, nel piano verticale, descritto mediante le componenti cartesiane della sua posizione, x e y, vincolato a scorrere lungo un piano inclinato di un angolo α. Esercizio 2.3 Si consideri un punto materiale di massa m, posto nel piano verticale, spinto da una forza orizzontale f(t) e vincolato a scorrere lungo una guida ideale (liscia), la cui quota y dipende dalla posizione in direzione orizzontale x secondo la funzione regolare y = y(x). Si scriva l equazione del moto del punto materiale e si ricavi la reazione vincolare scambiata con la guida utilizzando, nell ordine, gli equilibri dinamici, il principio dei lavori virtuali, il teorema dell energia cinetica (verificandone l applicabilità) e le equazioni di Lagrange di II o e di I o tipo, nel caso in cui y = y sin(2πx/l). Si valutino i vantaggi e gli svantaggi dei diversi approcci. 2-8

35 Capitolo 3 Cinematica e dinamica dei sistemi di corpi rigidi Generato il 1 settembre I sistemi di corpi rigidi I risultati ottenuti nel Capitolo 1 per un singolo corpo rigido possono essere estesi al caso di un sistema di corpi rigidi ricordando dalla Meccanica Razionale che: condizione necessaria e sufficiente perché un sistema di corpi rigidi sia in equilibrio è che sia in equilibrio ciascuna sua parte considerata rigida. Ovviamente, per applicare questo criterio alla condizione dinamica, occorrerà estendere il concetto di equilibrio statico al caso dinamico, ossia inserire nelle equazioni anche le forze e coppie di inerzia agenti sui vari corpi componenti il sistema. Dalla condizione sopra citata discende che per un sistema composto da n corpi rigidi possono scriversi n sistemi di equazioni vettoriali del tipo (1.11): { F j + F i,j = M O,j + C i,j +(G j O) F i,j = che, opportunamente proiettate, daranno luogo, per un sistema piano, a 3 n equazioni scalari indipendenti. Nel sistema di equazioni (3.1) il vettore risultante delle forze agenti sul generico corpo j-esimo, F j, comprende: le forze esterne agenti sul solo corpo j; le reazioni vincolari corrispondenti agli eventuali vincoli che collegano il corpo j a terra; le reazioni vincolari corrispondenti agli eventuali vincoli che collegano il corpo j agli altri corpi del sistema. Queste equazioni consentono di calcolare 3 n incognite che, in genere, saranno in larga parte costituite dalle reazioni vincolari, e che inoltre comprenderanno: un numero di parametri cinematici incogniti (componenti di accelerazione periferica o angolare dei corpi) pari al numero di gradi di libertà del sistema, nel caso in cui si voglia risolvere un problema di dinamica diretta; un numero di componenti di forza o coppia incognite pari al numero di gradi di libertà del sistema, nel caso in cui si voglia risolvere un problema di dinamica inversa. 3-1 (3.1)

36 Naturalmente, in base a quanto affermato sopra, una coppia di equazioni di equilibrio dinamico aventi la forma (3.1) può essere scritta per qualsiasi parte del sistema, non necessariamente formata dal singolo j-esimo corpo rigido, ma ad esempio da più corpi uniti fra loro da vincoli. In questo caso, le tre equazioni scalari di equilibrio dinamico che si possono scrivere conterranno: le forze esterne agenti su tutti i corpi facenti parte di quella porzione del sistema per cui si scrive la condizione di equilibrio dinamico; le reazioni vincolari corrispondenti agli eventuali vincoli che collegano a terra la parte di sistema considerata; le reazioni vincolari corrispondenti agli eventuali vincoli che collegano la porzione considerata al resto del sistema; non compariranno però le forze scambiate tra i corpi appartenenti alla parte di sistema considerata, in quanto forze interne 1. In ogni caso, è facile verificare che qualunque nuova equazione si scriva in aggiunta al sistema (3.1) è combinazione lineare delle equazioni già contenute in quel sistema. In altre parole, l equilibrio di un sistema di n corpi consente di scrivere solamente 3 n equazioni scalari linearmente indipendenti. Fermo restando questo numero massimo di equazioni, di volta in volta potrà essere più opportuno e semplice, per il tipo di sistema considerato, scegliere di imporre l equilibrio parziale di un solo corpo, di una parte di sistema formata da più corpi o addirittura dell intero sistema, tenendo conto delle avvertenze sopra riportate su quali forze includere in tali equazioni. 3.2 Dipendenza dell equilibrio dalla configurazione La scrittura delle equazioni di equilibrio dipende dalla conoscenza della configurazione del sistema, ovvero delle posizioni relative tra le parti che lo compongono, e dalla capacità di descriverne le variazioni in funzione delle variabili indipendenti che lo caratterizzano, per due ordini di motivi: la scrittura delle equazioni di equilibrio richiede la conoscenza della posizione dei punti di applicazione delle forze che agiscono sui corpi, dell orientazione dei corpi sui quali agiscono le coppie, e della posizione dei poli rispetto ai quali si scrivono le equazioni di equilibrio dei momenti le forze e le coppie agenti sui corpi che costituiscono il sistema possono dipendere a vario titolo dalla configurazione e dalle sue derivate. La descrizione della cinematica del sistema in funzione delle variabili indipendenti prescelte si ottiene mediante la scrittura delle equazioni cinematiche che esprimono i vincoli tra le varie parti del sistema, come illustrato nel Capitolo La derivazione delle equazioni di vincolo, a sua volta, consente di esprimere le derivate delle variabili cinematiche che descrivono la configurazione del sistema in funzione delle derivate delle variabili indipendenti. Tali derivate sono essenziali per la scrittura delle forze da loro dipendenti Cinematica I sistemi di corpi tra i quali è consentito movimento relativo si chiamano catene cinematiche. La descrizione delle catene cinematiche, siano esse aperte o chiuse, avviene rappresentando ogni corpo come un insieme di vettori che collegano i punti nei quali i corpi sono vincolati l uno all altro. Dal momento che i vettori sono entità matematiche che descrivono entità fisiche, con essi si possono scrivere e risolvere equazioni. In figura 3.1 è illustrato il passaggio da un problema fisico, un pistone in movimento all interno di un motore alternativo, al corrispondente modello matematico, ovvero un insieme di vettori che descrivono i punti in cui sono applicati i vincoli tra i diversi corpi costituenti il sistema. 1 Ricordando difatti il principio di azione e reazione, a ciascuna forza se ne accompagnerà una uguale e contraria, con uguale retta di applicazione, di modo che il contributo di queste due forze sarà complessivamente nullo, sia per quanto riguarda il vettore risultante F che per il momento M rispetto al polo O considerato. 3-2

37 Figura 3.1: Motore alternativo. Equazione di chiusura L equazione vettoriale di chiusura di un percorso ad anello nello spazio consiste nella somma vettoriale di tutti i vettori che costituiscono un percorso ad anello della catena cinematica, che quindi risulta nulla. È conveniente utilizzare questo metodo per la scrittura delle equazioni di vincolo per le catene cinematiche chiuse, in quanto si sfrutta il fatto che un percorso chiuso, durante l operatività della macchina, si mantiene tale. Se ne ricavano 3 equazioni scalari di vincolo nello spazio; 2 nel piano. Attraverso la scrittura di opportune equazioni di vincolo, tutti i parametri di configurazione di un meccanismo possono essere descritti in funzione delle variabili indipendenti del problema. Non tutte le equazioni di chiusura che si possono scrivere sono linearmente indipendenti; ad esempio, se lo stesso anello chiuso viene sommato una volta in un verso e un altra volta nel verso opposto si ottiene due volte la stessa equazione. Occorre quindi aver cura di descrivere, con ogni equazione di chiusura, un diverso percorso. Si consideri ad esempio il sistema in figura 3.2, la gamba di un carrello principale di un velivolo da combattimento. Esso costituisce un chiaro esempio di catena cinematica chiusa. I 3 corpi costituenti sono la parte fissa e la parte basculante della gamba, e l ammortizzatore 2. I corpi siano descritti mediante vettori che congiungono i punti di vincolo, ossia, nel caso in esame, i punti in cui sono collocate le cerniere che consentono la rotazione relativa tra le parti: la parte fissa della gamba è rappresentata dal vettore (A C), di lunghezza e orientazione costanti; la parte basculante della gamba è rappresentata dal vettore (B A), di lunghezza costante e orientazione variabile; l ammortizzatore è rappresentato dal vettore (C B), di lunghezza e orientazione variabili. 2 In realtà l ammortizzatore è costituito da due corpi tra i quali è consentita solamente la traslazione lungo l asse, ed eventualmente la rotazione attorno allo stesso asse. Nel caso in esame, tuttavia, è sufficiente ed opportuno considerare un solo corpo, la cui lunghezza possa variare. 3-3

38 Figura 3.2: Carrello di atterraggio (carrello principale di un F18). La configurazione dipende quindi dalle tre grandezze cinematiche variabili appena menzionate. L equazione di chiusura è (A C)+(B A)+(C B) = (3.2) In un problema piano, l equazione vettoriale (3.2) rappresenta 2 equazioni scalari, che possono essere interpretate come le proiezioni dell equazione (3.2) sugli assi che definiscono il sistema di riferimento considerato. Formalismo dei numeri complessi Quando si considerano problemi piani, è spesso vantaggioso utilizzare il formalismo dei numeri complessi, ovvero l analogia tra il piano cartesiano ed il piano complesso (o piano di Gauss), per cui la proiezione su due assi coordinati ortogonali viene ricondotta alla decomposizione dei numeri complessi in parte reale ed immaginaria. Un generico vettore v nel piano ha due componenti, { } vx v = (3.3) v y Quindi, nel piano complesso, può essere rappresentato come v = v x +iv y. L uso dei numeri complessi in notazione esponenziale rende particolarmente vantaggioso questo metodo qualora si voglia esprimere i vettori in termini di modulo e anomalia, ove l anomalia, per tutti i vettori, deve essere valutata a partire da un comune riferimento, ovvero una direzione parallela all asse reale, con verso positivo dell anomalia in senso antiorario. Quindi un vettore { } cosθ v = v (3.5) sinθ viene rappresentato nel piano complesso come v = v e iθ, in quanto e iθ = cosθ +isinθ. Nell esempio in questione siano 3-4 (3.4) (3.6)

39 a e α il modulo e l anomalia del vettore (B A), con a costante in quanto (B A) è rigido; b e β il modulo e l anomalia del vettore (C B), entrambi variabili; c e γ il modulo e l anomalia del vettore (A C), entrambi costanti, in quanto (A C) è il telaio. L equazione di chiusura (3.2) diventa ae iα +be iβ +ce iγ = (3.7) Questa equazione in variabili complesse corrisponde a due equazioni in variabili reali, acosα+bcosβ +ccosγ = asinα+bsinβ +csinγ = (3.8a) (3.8b) I parametri cinematici incogniti sono 3; di conseguenza, attraverso l equazione di chiusura, si ottengono le due relazioni che consentono di descrivere il movimento dell intera catena cinematica in funzione di un solo parametro, che rappresenta la coordinata libera del sistema. Esistono tre combinazioni di parametri da esplicitare in funzione della coordinata libera: 1. due angoli; si ottiene un problema non-lineare trascendente, di cui tuttavia la soluzione, se esiste, è ottenibile in forma chiusa 2. un angolo ed una lunghezza; si ottiene di nuovo un problema non-lineare trascendente, la cui soluzione, se esiste, è di nuovo esplicitabile in forma chiusa 3. due lunghezze; si ottiene un problema lineare. Esercizio 3.1 Si consideri un equazione di chiusura nella forma della (3.7), in cui α, b e c sono costanti, e si esprimano β e γ in funzione di a. Esercizio 3.2 Si consideri un equazione di chiusura nella forma della (3.7), in cui α, b e c sono costanti, e si esprimano β e a in funzione di γ. Esercizio 3.3 Si consideri un equazione di chiusura nella forma della (3.7), in cui α, β e c sono costanti, e si esprimano a e b in funzione di γ. Un vantaggio che si ha con l uso di questa notazione consiste nella possibilità di derivare l equazione di chiusura con una notevole facilità, eseguendo una sola operazione di derivazione, per poi separare il risultato in parte reale ed immaginaria ad ottenere le due equazioni scalari derivate di vincolo. Nel seguito verrà illustrata un applicazione di questo formalismo alla descrizione del movimento di un pistone in un motore a combustione interna Forze dipendenti dalla configurazione Nei sistemi meccanici possiamo riconoscere tre classi di forze legate alla geometria, ovvero: forze dipendenti dagli spostamenti del sistema; forze dipendenti dalle velocità del sistema; forze dipendenti dalle accelerazioni del sistema; queste ultime comprendono le forze d inerzia, e tipicamente si limitano ad esse. 3-5

40 Figura 3.3: Curva caratteristica di una molla. Forze dipendenti dagli spostamenti del sistema Possono essere prodotte o da una deformazione di un elemento del sistema(come nel caso dell elongazione di una molla o della torsione di un albero) oppure per effetto del movimento in un campo di forze (gravitazionale, elettrostatico, elettromagnetico). Sperimentalmente si verifica che la forza f necessaria ad imporre uno spostamento relativo ξ tra due corpi rigidi dipende da ξ stesso. In figura 3.3, i cerchi bianchi rappresentano i valori sperimentali. Anche se il legame fra f (ξ) e ξ è non lineare, in molti casi di interesse applicativo se ne può utilizzare un approssimazione lineare. Essa è ottenuta nel modo seguente: indichiamo con f (ξ ) la forza agente fra i due corpi in condizioni di equilibrio statico per un elongazione ξ ; incrementando la forza di una quantità f, i corpi si allontaneranno di una quantità ξ. La nuova forza agente f (ξ )+ f può anche essere calcolata usando l espansione in serie di Taylor attorno alla posizione di equilibrio statico ovvero f (ξ )+ f = f (ξ + ξ) = f (ξ )+ df dξ ξ + 1 d 2 f ξ 2! dξ 2 ξ (3.9) ξ Per piccoli valori di elongazione, le derivate di ordine superiore al primo possono essere trascurate, per cui f (ξ )+ f = f (ξ )+ df dξ ξ (3.1) ξ ovvero f = df dξ ξ = k ξ (3.11) ξ ove k è pari a: k = df dξ ξ (3.12) e rappresenta il coefficiente angolare della tangente locale alla curva sperimentale che lega le forze f alle elongazioni ξ, ovvero la forza applicata che, in condizioni statiche, induce un elongazione unitaria. 3-6

41 Rigidezza equivalente di elementi elastici continui. In molti casi, il valore approssimato della rigidezza k di elementi elastici può essere stimato utilizzando le formule fornite dalla Scienza delle Costruzioni 3. Ad esempio la rigidezza torsionale di un albero può essere calcolata ricordando che in condizioni di equilibrio statico, ovvero trascurando l inerzia dell albero stesso supposto omogeneo, l angolo di rotazione Ψ stat di una sezione generica di coordinata z rispetto alla sezione z = è proporzionale a z stesso e vale Ψ stat z = q M t GJ p (3.13) ove G J p M t q èilmodulodielasticitàtangenzialedelmaterialedicuiècomposto l albero; è il momento polare d inerzia della sezione; è il momento torcente equivalente alla distribuzione degli sforzi sulla sezione normale; è il fattore di torsione. Nel caso particolare di torsione circolare, in cui le sezioni si mantengono piane, q è uguale a 1. Ne deriva che il momento torcente M t che induce una rotazione Ψ stat unitaria in una sezione di estremità rispetto all altra in un albero omogeneo a sezione circolare lungo l, ovvero la rigidezza torsionale k t dell albero stesso, è pari a: k t = GJ p l (3.14) Con analoghi approcci, sempre utilizzando quanto imparato nel corso di Scienza delle Costruzioni, è possibile valutare, sempre nelle ipotesi di Saint Venant, la rigidezza in alcuni punti significativi di travi omogenee variamente vincolate agli estremi, come illustrato in Tabella 3.1, ove A è l area della sezione trasversale; E è il modulo di elasticità normale del materiale (o di Young) di cui è composto l albero; J è il momento d inerzia della sezione trasversale; l lunghezza di libera inflessione della trave (l = a+b). Rigidezza equivalente dovuta a campi di forze dipendenti dalla posizione. Per quanto riguarda il caso di campi di forze, supponiamo di studiare che cosa succede a un galleggiante cilindrico come quello illustrato in figura 3.4, opportunamente zavorrato, che si muova solo in direzione verticale. Trascurando ogni moto del liquido che possa interferire col sistema, il cilindro si dispone, in condizioni statiche, con la sua faccia superiore a una quota h dal pelo libero in modo che il suo peso sia equilibrato dalla spinta di Archimede. Se il cilindro è spostato verticalmente di una quantità x, la forza di galleggiamento varia di una quantità pari al peso del volume di fluido spostato, ovvero f = ρgax = kx (3.2) dove ρ è la densità del liquido, g l accelerazione di gravità e A l area di base del cilindro. La variazione di forza è opposta allo spostamento x, e tendente a riportare il cilindro nella posizione di equilibrio statico. Esercizio 3.4 Illustrare altri esempi di forze dipendenti dalla posizione. Forze dipendenti dalla velocità del sistema Tra le forze dipendenti dalla velocità, di interesse rilevante in meccanica sono quelle che introducono dissipazione, in quanto si oppongono al verso del moto e quindi compiono sempre lavoro negativo. 3 Queste note sono state scritte quando il corso di Dinamica dei Sistemi Aerospaziali era preceduto, nell ordinamento degli studi D.M. 59, dal corso di Scienza delle Costruzioni. Nell ordinamento corrente, D.M. 27, i due corsi sono in parallelo, per cui gli studenti avranno le nozioni necessarie per valutare le rigidezze equivalenti solo al termine del semestre. Queste note vanno quindi considerate a titolo di esempio, ed eventualmente meditate durante la preparazione dell esame anche alla luce di quanto appreso nel frattempo dallo studio della Scienza delle Costruzioni. 3-7

42 Tabella 3.1: Rigidezze equivalenti di travi variamente vincolate. condizioni di carico e di rigidezza equivalente lungo la direzione del carico vincolo nel punto di applicazione dello stesso trave sollecitata a carico assiale (libera-libera) k = EA l (3.15) trave sollecitata a flessione (appoggio-appoggio) k = 3EJl a 2 b 2 (3.16) trave sollecitata a flessione (incastro-libera) k = 3EJ l 3 (3.17) trave sollecitata a flessione (incastro-appoggio) k = 768EJ 7l 3 (3.18) trave sollecitata a flessione (incastro-incastro) k = 192EJ l 3 (3.19) 3-8

43 Figura 3.4: Galleggiante Si differenziano tra loro per la natura del fenomeno da cui hanno origine e per la dipendenza che mostrano dal modulo della velocità. Nel caso di strisciamento tra corpi a contatto, si ha il fenomeno dell attrito dinamico, indicato in figura 3.5 con il nome di attrito secco, che verrà ulteriormente discusso nel Capitolo 7. L entità della forza di attrito non dipende sostanzialmente dalla velocità relativa, salvo che in prossimità dell arresto o del primo distacco. Qualora il contatto avvenga tra un corpo e un fluido, dalla Fluidodinamica è noto che le particelle di fluido immediatamente a contatto con le superfici del corpo sono ferme 4 rispetto al corpo, mentre in generale le particelle del fluido sono in moto relativo fra loro. Mediante considerazioni sviluppate nei Capitoli 1 e 11, si ricava una proporzionalità diretta tra forza e velocità del fluido nel caso di flusso laminare, che diventa quadratica in caso di flusso turbolento. Il rapporto tra la pressione dinamica e gli sforzi di attrito va sotto il nome di numero di Reynolds 5, indicato con Re, e, in base alla esperienza di Sir Osborne Reynolds, rappresenta un indicatore del tipo di regime più probabile del moto del fluido: se il numero di Reynolds è relativamente basso (Re < 11), in quanto il moto relativo tra le particelle di fluido è relativamente lento, oppure se la viscosità del fluido è relativamente alta, il moto di quest ultimo è generalmente laminare; la forza d attrito che nasce, detta di smorzamento viscoso, può ritenersi direttamente proporzionale alla velocità relativa. se invece il numero di Reynolds è sufficientemente alto (Re > 35) il moto del fluido si manifesta in forma turbolenta, e la forza di attrito risulta essere a grandi linee proporzionale al quadrato della velocità relativa tra corpo e fluido. 4 In realtà, per uno strato di spessore confrontabile con il libero cammino medio delle molecole di fluido a partire dalla parete, le particelle hanno una velocità dell ordine di quella di agitazione molecolare. 5 Il numero di Reynolds è definito come il rapporto tra la pressione dinamica e gli sforzi viscosi caratteristici del fenomeno fluidodinamico in esame; ad esempio, nel caso di movimento relativo di scorrimento tra superfici piane di corpi tra cui sia inserito un sottile strato di fluido, ove si assuma una variazione lineare di velocità in direzione trasversale al moto, si ha Re = 1 2 ρv2, µ v D dove v sia la velocità relativa tra i corpi e D la loro distanza. A meno della costante 1/2, si ottiene l espressione consueta Re = ρvd µ. 3-9

44 Figura 3.5: Andamento sperimentale ( o ) e approssimato delle forze di attrito secco, viscoso e con legge quadratica in funzione della velocità relativa. per valori intermedi del numero di Reynolds il tipo di moto può essere sia laminare che turbolento, e la transizione da una forma all altra può avvenire in conseguenza di piccole perturbazioni sia del moto, sia dei parametri che lo caratterizzano. Gli aspetti rilevanti dell interazione tra corpi e fluidi verranno discussi in seguito nel Capitolo 11. Nella figura 3.5 sono rappresentati gli andamenti sperimentali tipici per i tre casi di forze dipendenti dalla velocità citati in questo paragrafo e le loro approssimazioni. Forze d inerzia Tra le forze dipendenti dal movimento del sistema hanno un ruolo particolarmente importante le forze d inerzia. La loro scrittura non differisce da quanto osservato per il caso del singolo corpo rigido, in quanto ogni corpo è soggetto alle sole forze e coppie d inerzia risultanti dalla propria inerzia e dalla propria cinematica; nel caso piano, le (1.25a, 1.25b) si applicano direttamente al corpo j-esimo nella forma: F ij = m j xgj C Gij = J Gi ω j (3.21) (3.22) Per la scrittura delle forze d inerzia è quindi fondamentale la capacità di descrivere la configurazione, le velocità e le accelerazioni lineari ed angolari di ogni corpo in funzione delle coordinate libere del problema. A tal fine, nel caso di catene cinematiche, è fondamentale la scrittura e la soluzione dell equazione di chiusura e delle sue derivate fino al secondo ordine. 3.3 Esempio: il manovellismo ordinario centrato Si tratta di un meccanismo a catena chiusa, utilizzato per convertire il moto rotatorio in moto traslatorio rettilineo alternato (e viceversa). È uno dei meccanismi più utilizzati, e trova impiego, ad esempio, nei motori a combustione interna (figura di riferimento) nelle presse, nelle pompe e nei compressori alternativi. 3-1

45 Figura 3.6: Il manovellismo ordinario centrato. Figura 3.7: L equazione di chiusura per l analisi cinematica; il punto B indica lo schema di montaggio corrispondente alla radice negativa nell equazione (3.28), che corrisponde ad un cambio di osservatore Analisi cinematica Un motore monocilindrico è costituito da un albero motore che porta una manovella di lunghezza a, un corsoio o pistone che scorre nel cilindro, ed una biella di lunghezza b che collega l estremità della manovella al corsoio. Lo schema cinematico mostrato in figura 3.6 comprende la manovella (O A), in grado di compiere una rotazione completa, e la biella (A B), alla cui estremità B è collegato il corsoio. Si assuma che (A B) sia maggiore di (O A), affinché l elemento (O A) possa effettivamente compiere un giro completo. La scrittura dell equazione di chiusura, come illustrato in figura 3.3.1, porta a scrivere (A O)+(B A) = (B O) (3.23) che in forma complessa diventa: ae iα +be iβ = ce i = c (3.24) Derivando rispetto al tempo la (3.24) si ottiene il legame tra la velocità del corsoio, ċ, e quella degli altri membri del cinematismo: i αae iα +i βbe iβ = ċ (3.25) La successiva derivazione rispetto al tempo fornisce l espressione dell accelerazione c del punto B: i αae iα α 2 ae iα +i βbe iβ β 2 be iβ = c (3.26) La precedente equazione di chiusura (3.23) può essere riscritta separando parte reale ed immaginaria, cosa che corrisponde a scrivere le componenti orizzontale e verticale dell equazione vettoriale: { acosα+bcosβ = c (3.27) asinα+bsinβ = in cui la seconda equazione costituisce la condizione di vincolo del punto B, ossia l appartenenza all asse x. Le equazioni sopra descritte costituiscono un sistema di equazioni non lineare; gli angoli α e β compaiono 3-11

46 infatti come argomenti di funzioni trigonometriche. In questo primo esempio la posizione del corsoio B e l inclinazione della biella in funzione dell angolo di di cui ruota la manovella divengono 6 : ( ) 2 c = acosα+b a 1 b sinα ( β = sin 1 a ) (3.28) b sinα Per ottenere velocità ed accelerazione del punto B possiamo rispettivamente proiettare le equazioni(3.25) e (3.26) sull asse reale e su quello immaginario, che corrisponde a derivare il sistema di equazioni (3.27): { αasinα βbsinβ = ċ αacosα+ βbcosβ (3.29) = che ammette la soluzione: ċ = a α(sinα cosαtanβ) ( ) acosα β = α bcosβ (3.3) Il sistema (3.29) può essere scritto in modo particolarmente significativo in forma matriciale, in quanto è necessariamente lineare nelle derivate delle variabili cinematiche: [ ]{ } { } 1 bsinβ ċ sinα = a α (3.31) bcosβ β cosα Perché sia risolubile in ogni configurazione, il determinante ([ ]) 1 bsinβ det = bcosβ (3.32) bcosβ non deve mai annullarsi. Questa condizione è sempre verificata se b > a, perché in tal caso l angolo β è limitato a valori π/2 < β < π/2. Altre scelte di variabile cinematica indipendente diversa da α non verificano la condizione; ad esempio, se si sceglie c, il sistema (3.29) diventa [ ]{ } asinα bsinβ = acosα bcosβ α β { 1 } ċ (3.33) il cui determinante ([ ]) asinα bsinβ det = absin(β α) (3.34) acosα bcosβ si annulla per α = β e per α = β+π, ovvero ai punti morti inferiore e superiore, nei quali ċ è nulla ma la velocità angolare di biella e manovella può assumere qualsiasi valore, purché nella proporzione espressa dalla seconda delle (3.3). In tali condizioni, il sistema è indeterminato. La successiva derivazione porta a definire le accelerazioni: { αasinα α 2 acosα βbsinβ β 2 bcosβ = c αacosα α 2 asinα+ βbcosβ β 2 (3.35) bsinβ = Si noti che se si esprimono le (3.35) in forma matriciale [ ]{ } { } { 1 bsinβ sinα α = a α+ bcosβ c β 2 acosα+ β } 2 bcosβ cosα α 2 asinα+ β 2 bsinβ (3.36) si ottiene un espressione caratterizzata dalla stessa matrice utilizzata per la derivata prima dell equazione di chiusura, la (3.31). 6 Si noti che nella prima delle (3.28) il radicando è sempre positivo perché si è ipotizzato b > a affinché la manovella possa compiere un giro completo. Inoltre, si è scelta la radice positiva di c come regola di montaggio del meccanismo, come illustrato in figura 3.3.1; la scelta della radice negativa come regola di montaggio avrebbe mostrato il corsoio diretto dalla parte opposta, corrispondente ad un cambio di osservatore. È importante sottolineare che, dal punto di vista matematico, le due regole di montaggio sono assolutamente equivalenti; è necessario operare una scelta all atto del montaggio, in quanto non è possibile passare dall una all altra posizione durante il regolare funzionamento della macchina. 3-12

47 Figura 3.8: La sequenza del ciclo termodinamico di un motore a 4 tempi a partire (a sinistra) dalla fase di aspirazione, seguita da compressione, espansione e scarico Forza dipendente dalla posizione: pressione nella camera All interno della camera di dimensioni variabili delimitata lateralmente dal cilindro, inferiormente dal cielo del pistone e superiormente dalla camera di combustione, si ha un andamento variabile della pressione p, determinato dall alternarsi delle quattro fasi di funzionamento del motore: aspirazione ( α π), compressione (π α 2π), espansione (2π α 3π) e scarico (3π α 4π) dei gas combusti. L andamento della pressione p g all interno della camera di dimensioni variabili è normalmente rappresentato sotto forma di un diagramma avente per ascisse il volume geometrico effettivo v eff = v eff (α) della camera v eff (α) = v 2 +(a+b c(α))π D2 4 (3.37) ove D è il diametro del cilindro, detto anche alesaggio, e v 2 è il volume nocivo, ovvero il volume della camera quando il corsoio, o pistone, si trova al massimo della sua corsa, posizione detta anche punto morto superiore. Dal momento che il manovellismo in esame è centrato, ovvero l asse del corsoio passa per l asse di rotazione del motore, questa condizione si ha per α =, quando a, b e c sono allineati e quindi a+b = c. La pressione p g = p g (α) risulta così funzione implicita della rotazione della manovella α secondo il ciclo ideale di figura 3.9 nell ipotesi di compressione ed espansione adiabatica. Con riferimento alla figura 3.9, la fase 5-1 rappresenta l aspirazione, la 1-2 la compressione adiabatica, la 2-3 lo scoppio, che si suppone avvenga a volume costante con la produzione del calore Q 1, ove Q 1 = c v (T 3 T 2 ) (3.38) avendo chiamato c v il calore specifico a volume costante della miscela La fase 3-4 è quella di espansione adiabatica durante la quale viene prodotto lavoro meccanico, ed infine la 4-1 e la 1-5 costituiscono la fase di scarico dei gas combusti, con la cessione nella parte iniziale 4-1 del calore Q 2 a una sorgente più fredda, come richiede il II o Principio della Termodinamica. Sul cielo del pistone agisce pertanto la forza F g (α), che rappresenta la risultante delle pressioni agenti sullo stantuffo, pari a: F g (α) = π D2 4 (p g(α) p atm ) = π D2 4 p g(α) (3.39) 3-13

48 Figura 3.9: Ciclo ideale termodinamico per unità di volume d aria aspirata. dove p g(α) è la pressione relativa, in quanto non dobbiamo dimenticare che la faccia interna del cielo del corsoio è sottoposta all azione della pressione atmosferica p atm Forze d inerzia: masse equivalenti Nell esempiocorrentesisupporràpoichesull alberomotore, ossiasullamanovella, agiscaunmomentom r di valore incognito, opposto alla velocità angolare dell albero. Tale momento rappresenta la sollecitazione interna all albero motore dovuta ad un utilizzatore che sfrutti la potenza erogata dal motore stesso. Per quanto riguarda le inerzie del sistema, si supporrà che sull albero motore sia calettato un volano con momento di inerzia J m, e che il corsoio abbia massa m B. Le inerzie della biella possono essere considerate, in via approssimata, attraverso due masse puntiformi, m 1 e m 2 poste nel centro della testa e del piede della biella stessa: la massa m 1, idealmente posta al centro foro all estremità, detta testa di biella, in cui la biella si connette alla manovella, si muove solidalmente con la manovella, per cui fornisce un contributo di inerzia in aggiunta al momento di inerzia J m di quest ultima: J t = J m +m 1 a 2 (3.4) la massa m 2, idealmente posta al centro del foro all estremità opposta, detta piede di biella, si muove insieme al pistone, e quindi va sommata alla massa m B del pistone propriamente detto: m c = m B +m 2 (3.41) Si ricorda che la riduzione delle inerzie della biella a due masse puntiformi consente di riprodurre la massa complessiva della biella e la posizione del baricentro di questa, ma introduce una approssimazione per quanto riguarda il momento di inerzia baricentrico della biella, che viene ad assumere il valore J GBapprox = m 1 l 2 1 +m 2 l 2 2 (3.42) anziché quello effettivo. Con riferimento alla figura 3.1, le masse m 1 e m 2 si ricavano dal sistema di equazioni [ ]{ } { } 1 1 m1 mbiella = l 1 l 2 m 2 (3.43) 3-14

49 Figura 3.1: Approssimazione della biella a masse concentrate. Figura 3.11: Albero a gomiti per motore d aviazione a doppia stella. Si fa inoltre l ipotesi che il baricentro dell insieme formato dalla manovella e dalla frazione m 1 della massa della biellain movimento con essa sia coincidentecon il punto O, ossia con l assedi rotazione, come avviene nella realtà, grazie ad un opportuno contrappeso. In questo modo il risultante delle forze d inerzia agenti sulla manovella è nullo in quanto è nulla l accelerazione del baricentro. Si veda, a proposito, la figura 3.11, che illustra l albero a gomiti, ovvero l insieme delle manovelle, per un motore stellare di impiego aeronautico Diagramma di corpo libero ed equilibrio dinamico Come evidenziato in precedenza, il sistema presenta un solo grado di libertà. Facendo corrispondere una reazione vincolare a ciascun grado di vincolo, ed una azione attiva libera al grado di libertà residuo, nelle equazioni di equilibrio vengono evidenziate 8 reazioni vincolari e il momento incognito M r. Tali azioni e reazioni sono poste in evidenza nello schema di figura 3.12, detto diagramma di corpo libero Il sistema è costituito da tre corpi rigidi ed è pertanto possibile scriverne le equazioni di equilibrio. Corsoio: Fx = F g +m c c S Bx = (3.44a) Fy = Φ B +S By = (3.44b) MB = M B = (3.44c) 3-15

50 Figura 3.12: Le forze agenti sul sistema. Biella: Fx = S Ax +S Bx = (3.45a) Fy = S Ay +S By = (3.45b) MB = S Ax lsinϕ+s Ay lcosϕ = (3.45c) Manovella: Fx = S Ox +S Ax = (3.46a) Fy = S Oy +S Ay = (3.46b) MO = M r J t α S Ax asinα+s Ay acosα = (3.46c) Si ricorda che la sommatoria nelle equazioni (3.44a-3.46c) deve comprendere anche il sistema delle forze d inerzia del corpo considerato. Il sistema costituito dalle 9 equazioni scalari (3.44a-3.46c) è determinato nelle 9 incognite: S Ox, S Oy, S Ax, S Ay, S Bx, S By, M B, Φ B e M r ; può essere risolto equazione per equazione, in cascata. Innanzitutto, la (3.44c) fornisce immediatamente la coppia di reazione esercitata dal cilindro sul pistone. La (3.44a) consente di ricavare la reazione S Bx : S Bx = F g +m c c (3.47) La (3.45a) e la (3.47) consentono di ricavare la reazione S Ax : S Ax = (F g +m c c) (3.48) La (3.45c) e la (3.48) consentono di ricavare la reazione S Ay : S Ay = tanϕ(f g +m c c) (3.49) 3-16

51 La (3.45b) e la (3.49) consentono di ricavare la reazione S By : S By = tanϕ(f g +m c c) (3.5) La (3.44b) e la (3.5) consentono di ricavare la reazione Φ B : Φ B = tanϕ(f g +m c c) (3.51) La (3.46a) e la (3.48) consentono di ricavare la reazione S Ox : S Ox = F g +m c c (3.52) La (3.46b) e la (3.49) consentono di ricavare la reazione S Oy : S Oy = tanϕ(f g +m c c) (3.53) La (3.46c), la (3.48) e la (3.49) consentono di ricavare il momento M r : M r = J t α+(f g +m c c)a(sinα+tanϕcosα) (3.54) La scelta di quale insieme di corpi rigidi sia più opportuno prendere in considerazione nella scrittura delle equazioni di equilibrio dipende dalle grandezze da determinare. L approccio appena presentato è necessario qualora si dovessero calcolare tutte le reazioni vincolari. Se tuttavia solo alcune delle incognite devono essere calcolate a priori, mentre la determinazione del resto della soluzione può essere evitato, è possibile semplificare notevolmente il problema mediante una opportuna scelta di quali equazioni scrivere e un opportuno partizionamento del sistema. Se ad esempio si desidera calcolare direttamente la reazione Φ B, è sufficiente scrivere l equazione di equilibrio dei momenti agenti sul solo corsoio, scegliendo come polo il punto B, da cui si ricava l equazione (3.44c), e quindi scrivere l equazione di equilibrio dei momenti agenti sul corsoio e sulla biella, scegliendo come polo il punto A, da cui si ricava lsinϕ(f g +m c c)+lcosϕφ B = (3.55) ovvero direttamente la (3.51). Se invece si desidera calcolare direttamente il momento attivo M r, si può ricorrere al teorema dell energia cinetica, in quanto il momento M r è l unica azione incognita che partecipa al bilancio di potenze. L energia cinetica è T = 1 2 ( Jt α 2 +m c ċ 2) (3.56) la cui derivata è dt dt = J t α α+m c ċ c = (J t α m c ca(sinα+tanϕcosα)) α (3.57) dove si è fatto uso della prima delle (3.3), con β = 2π ϕ, mentre la potenza delle forze attive, escluse le forze d inerzia, è Π = M r α F g ċ (3.58) ovvero Π = M r α+f g a(sinα+tanϕcosα) α (3.59) Eguagliando la (3.57) e la (3.59), e semplificando α in entrambi i membri, si ricava direttamente la (3.54), ovvero il momento M r. 3-17

52 3-18

53 Capitolo 4 Dinamica dei sistemi di corpi rigidi mediante le equazioni di Lagrange Generato il 1 settembre 212 Si consideri un generico sistema piano a 1 grado di libertà composto da più corpi rigidi e indichiamo con q la coordinata libera, variabile indipendente, scelta per descriverne il moto; con y la generica variabile fisica correlata alla variabile indipendente da una relazione genericamente non lineare dipendente esplicitamente dal tempo, del tipo: y = y(q,t) (4.1) Adottando le equazioni di Lagrange occorre definire, dapprima in funzione delle variabili fisiche y, le diverse forme di energia che concorrono all energia totale del sistema, ovvero l energia cinetica, l energia potenziale, la funzione di dissipazione e il lavoro virtuale delle rimanenti forze attive. 4.1 Equazione di Lagrange Indicata con T = T (q, q,t) (4.2) l energia cinetica del sistema, dipendente sicuramente dalla derivata prima q della coordinata libera q, ma potenzialmente anche dalla coordinata libera stessa, e anche dal tempo in caso di vincoli mobili, l equazione di Lagrange stabilisce che l equilibrio dinamico è definito dall uguaglianza d dt ( T q ) T q = Q (q, q,...,t) (4.3) ove Q indica la componente generalizzata della sollecitazione attiva per la coordinata libera q, a meno delle forze d inerzia, le quali sono espresse dai termini derivati a partire dall energia cinetica. La componente generalizzata della sollecitazione attiva, a sua volta, può essere decomposta in uncontributoespressionediforzepuramenteconservative, Q V, checometalenonpuòchedipendere dalla sola 1 q; un contributo espressione di forze puramente dissipative, Q D, ovvero di forze la cui retta d azione coincide con quella della velocità ẏ del punto di applicazione e, come tale, dipendente dalla q ma, potenzialmente, anche da q e dal tempo t; la parte rimanente, Q, che non sia possibile o non si ritenga opportuno esprimere altrimenti. 1 In linea di principio, l energia potenziale potrebbe dipendere anche dal tempo, nel caso di vincoli mobili; al momento tale ipotesi non viene presa in considerazione. 4-1

54 Ne risulta Q (q, q,...,t) = Q V (q)+q D ( q)+q(q, q,...,t) (4.4) Si noti che la Q rimanente può dipendere arbitrariamente da q e dalle sue derivate di qualsivoglia ordine. In linea di principio, potrebbe anche dipendere dall integrale della coordinata libera q: ad esempio, quando esprima forze di controllo dipendenti da un controllore PID (proporzionale, integrale, derivativo). Senza nulla togliere alla generalità della presentazione, nel corso di Dinamica dei Sistemi Aerospaziali verranno considerate solo forze dipendenti da posizione, velocità e tempo. Il contributo Q V, in quanto espressione di forze conservative, può essere scritto come opposto della derivata di una variazione di energia potenziale tale per cui V (q) = V (q) V (q ) (4.5) Q V = dv dq IlcontributoQ D, inquantoespressionediforzepuramentedissipative,puòesserescrittocomeopposto della derivata rispetto a q dell integrale primo D(q, q,t) della potenza delle forze Q D stesse, detto anche funzione di dissipazione, tale per cui Q D = D q Si definisca quindi la funzione di Lagrange L = T V L equazione del moto si ricava da ( ) d L L dt q q + D = Q(q, q,...,t) (4.9) q di cui si nota l analogia con la (4.3) Energia cinetica L energia cinetica T di un generico sistema piano a 1 grado di libertà, composto da n c corpi, è data dalla somma delle singole energie cinetiche T j associate alle singole masse m j e/o momenti d inerzia baricentrici J j che costituiscono il sistema T j = 1 (m j yj 2 y ) j +J j ϑ2 ( (ẏ2 m j xi +ẏyj 2 ) ) +Jj ϑ2 j = 1 2 T = 1 ẏ xi ẏ yj 2 ϑ j = 1 3 m kj ẏkj 2 2 k=1 m j m j J j ẏ xi ẏ yj ϑ j (4.6) (4.7) (4.8) (4.1) in cui si è indicata con m kj la generica k-esima massa m j o il momento d inerzia J j del j-esimo corpo rigido e con ẏ kj la generica componente della velocità assoluta di traslazione del baricentro del corpo, o la sua velocità angolare ϑ j. L energia cinetica complessiva è n c T = T j = 1 2 j=1 n c j=1 k=1 3 m kj ẏkj 2 (4.11) 4-2

55 4.1.2 Energia potenziale L energia potenziale V, associata al campo elastico dovuto agli n k elementi elastici di interconnessione e alla presenza di n p forze conservative 2 Pp, assume un espressione generale del tipo: V = ls n k Q V ( l s ) dl s = 1 k k ( l k ) 2 P p y p 2 = 1 2 k=1 n k k=1 n p p=1 n p k k (y k1 y k2 ) 2 P p y p (4.13) p=1 in cui k k rappresenta la rigidezza del generico k-esimo elemento elastico. Le coordinate fisiche y k1 e y k2 rappresentano lo spostamento degli estremi della generica molla, nella direzione della molla stessa (per semplicità di trattazione non si considerano infatti, nella definizione dell allungamento, gli spostamenti ortogonali alla direzione della molla). Il vettore y p rappresenta, invece, lo spostamento del punto d applicazione della generica forza P p. Gli allungamenti delle molle, l k = (y k1 y k2 ), e gli spostamenti dei punti di applicazione delle forze, y p, sono legati da una relazione (lineare o non lineare) all unica coordinata libera q del sistema; per tale motivo l energia potenziale V può essere sinteticamente espressa come funzione della sola variabile indipendente q V = V (q) (4.14) Funzione di dissipazione La funzione di dissipazione è definibile come: ls D = = 1 2 n s s=1 n s Q D ( l s ) d l s ) 2 r ( l s = 1 r(ẏ s1 ẏ s2 ) 2 (4.15) 2 s=1 dove si è considerata soltanto la presenza di n s smorzatori viscosi 3 ciascuno di costante r k, in cui la coordinata fisica l s = (ẏ s1 ẏ s2 ) rappresenta la velocità relativa cui sono sottoposte le estremità del generico s-esimo smorzatore, lungo la direzione dello smorzatore stesso, senza considerare le componenti a questa ortogonali nella definizione delle velocità di allungamento. 2 Nel seguito si considerano solo forze costanti in modulo, direzione e verso, quale il peso, e forze elastiche lineari per semplificare la trattazione; in realtà l energia potenziale può essere definita per qualunque forza conservativa integrandone il lavoro elementare lungo il cammino percorso per passare da a a b: b V = V (b) V (a) = F d s (4.12) a ove d s sia lo spostamento compiuto dal punto di applicazione della forza. Perché la forza ammetta potenziale, ovviamente, tale integrale deve dipendere solo dagli estremi di integrazione e non dal percorso seguito. 3 Tipicamente si considerano contributi di dissipazione associati a attrito radente, a cui si è accennato nel Capitolo 3 e che verrà illustrato in dettaglio nel Capitolo 7, per il quale la forza resistente ha espressione ẏ F r = r r = rrsign(ẏ) (4.16) ẏ dove r r è un coefficiente che in molti casi può essere ritenuto costante; si tratta di una funzione discontinua ma integrabile, per cui la corrispondente funzione di dissipazione è D r = r r ẏ 4-3 (4.17)

56 4.1.4 Sollecitazioni attive rimanenti Consideriamo infine il lavoro virtuale δl compiuto dalle rimanenti n f forze esterne attive F f per uno spostamento virtuale δ y f del loro punto d applicazione. Risulta δl = n f f=1 F f δ y f (4.22) Abbiamo in tal modo espresso le diverse forme di energia e di lavoro in funzione delle variabili fisiche y. 4.2 Scrittura dell equazione di moto del sistema Analizziamo in dettaglio tutti i contributi all Equazione di Lagrange. Energia cinetica. La generica coordinata fisica y è funzione dell unica coordinata indipendente q; può dipendere esplicitamente dal tempo t: y = y(q,t) (4.23) e quindi i termini di velocità delle (4.11, 4.15) varranno: ẏ jk = dy jk dt = y jk q dq dt + y jk t = y jk q q + y jk t (4.24) che, sostituiti nella definizione dell energia cinetica (4.11), portano alla seguente espressione: n c T = = 1 2 j=1 T j n c j=1 k=1 = 1 n c 2 q2 3 m jk ẏjk 2 3 j=1 k=1 m jk ( yjk q ) 2 n c + q 3 j=1 k=1 m jk y jk q y jk t n c 3 j=1 k=1 ( ) 2 yjk m jk t = 1 2 a(q,t) q2 +b(q,t) q +c(q,t) = T (q, q,t) (4.25) resistenza laminare, ovvero comportamento laminare di fluidi viscosi, a cui si è accennato nel Capitolo 3 e che verrà ulteriormente illustrato in dettaglio nei Capitoli 1 e 11, per i quali vale la relazione F v = r vẏ (4.18) dove r v è un coefficiente che in molti casi può essere ritenuto costante, nel qual caso la funzione di dissipazione è D v = 1 2 rvẏ2 (4.19) resistenza turbolenta, a cui si è accennato nel Capitolo 3 e che verrà illustrato in dettaglio nel Capitolo 11, per il quale la forza resistente ha espressione F t = r t ẏ ẏ (4.2) dove r t è un coefficiente che in molti casi può essere ritenuto costante; la corrispondente funzione di dissipazione è D t = 1 3 rt ẏ ẏ2 (4.21) 4-4

57 ove i termini a(q,t), b(q,t) e c(q,t) valgono: n c 3 ( ) 2 yjk a(q,t) = m jk (4.26a) q b(q,t) = c(q,t) = 1 2 j=1 k=1 n c 3 j=1 k=1 n c j=1 k=1 m jk y jk q 3 y jk t (4.26b) ( ) 2 yjk m jk (4.26c) t La dipendenza esplicita dal tempo delle coordinate fisiche rende tempovariante l equazione del moto; senza ledere la generalità della trattazione, si considerino per ora coordinate fisiche non dipendenti esplicitamente dal tempo, ovvero la (4.23) si riduca a e quindi y = y(q), (4.27) b(q,t) = (4.28) c(q,t) =. (4.29) Poiché il coefficiente definito nella (4.26a) contiene le derivate delle coordinate fisiche rispetto alla coordinata libera q, può a sua volta essere funzione di quest ultima, rendendo così non quadratica l espressione dell energia cinetica e quindi non lineare, per i termini inerziali, l equazione di moto del sistema. Derivando, infatti, l energia cinetica espressa dalla (4.25) secondo Lagrange si ottiene: d dt ( T q ) T q = a(q) q + da(q) dq q 2 1 da(q) q 2 = a(q) q + 1 da(q) q 2 (4.3) 2 dq 2 dq Esercizio 4.1 Si sviluppi la forma quadratica associata all energia cinetica nel caso generale in cui valga la (4.23), ovvero la cinematica dipende esplicitamente dal tempo. Energia potenziale. Consideriamo ora l energia potenziale V: la sua derivata dv/dq secondo Lagrange dà origine a un termine lineare nell equazione del moto solo se V (q) è una forma quadratica in q: ciò accade quando y k dipende in forma lineare da q. L espressione più generale della derivata dell energia potenziale rispetto alla coordinata libera q vale infatti: nk dv dq = k=1 k k (y k1 y k2 ) ( yk1 q y k 2 q ) n p p=1 P p y p q = f V (q) (4.31) ed è quindi a sua volta una funzione non lineare di q. La dipendenza esplicita dal tempo non è compatibile con l esistenza di un energia potenziale; indipendentemente dalla dipendenza esplicita o meno delle coordinate fisiche dal tempo, l energia potenziale deve dipendere solamente da q. Funzione di dissipazione. Passando alla funzione di dissipazione D, essa può essere espressa come: D = 1 n s r s (ẏ s1 ẏ s2 ) 2 = 1 n s ( ys1 r s 2 2 q y ) 2 s 2 q 2 = 1 q 2 r(q) q2 (4.32) s=1 s=1 La funzione di dissipazione D è necessariamente una forma quadratica in q in quanto la derivata prima delle variabili cinematiche è sicuramente lineare in q, come descritto dalla (4.24); tuttavia, i coefficienti moltiplicativi di tale termine possono a loro volta essere funzione della variabile indipendente q. La derivazione del termine dissipativo secondo Lagrange porta dunque a ns D q = ( ys1 r s q y s 2 q s=1 ) 2 q = r(q) q (4.33) che dà origine a un termine non lineare, essendo il coefficiente r(q) in genere funzione ancora di q. 4-5

58 Lavoro virtuale delle forze rimanenti. Analizziamo ora il lavoro virtuale δl compiuto dalle rimanenti forze attive esterne; il generico spostamento virtuale δ y f del punto di applicazione della generica forzante è definibile: δ y f = y f q δq Sostituendo tale relazione nell espressione del lavoro virtuale si ottiene: δl = n f f=1 F δ y f = n f f=1 (4.34) F y f δq (4.35) q L applicazione della formula di Lagrange porta così alla definizione della componente lagrangiana Q della sollecitazione attiva esterna: Q = δl δq = n f f=1 F y f q = Q(q, q,...,t) (4.36) che sarà una funzione del tempo t, per la presenza di forze funzioni esplicite del tempo, e della coordinata libera q, per una eventuale dipendenza diretta delle forze F da q, e per la presenza delle derivate delle coordinate fisiche rispetto alla coordinata libera. Tali derivate sono costanti solo nel caso di legame y f = y f (q) lineare. Le forze F possono dipendere dalla coordinata libera q e dalle sue derivate nel modo più arbitrario; possono dipendere anche dall integrale di q (ad esempio, le forze di controllo risultanti da un regolatore di tipo integrale). Equazione del moto. È ora possibile scrivere per esteso l equazione del moto del generico sistema fisico a 1 g.d.l. non lineare applicando le equazioni di Lagrange nella variabile q; sostituendo le (4.3, 4.31, 4.33, 4.36) nella (4.9) si ottiene a(q) q + 1 da(q) q 2 +r(q) q f V (q) = Q(q, q,...,t) (4.37) 2 dq Nel seguito ci si occuperà soltanto di sollecitazioni attive Q dipendenti esplicitamente al più dalla coordinata libera q, eventualmente dalla sua derivata prima q e dal tempo. 4.3 Linearizzazione dell equazione di moto L equazione del moto non è, in generale, integrabile analiticamente se non in casi particolari. Se ne interessa lo studio per spostamenti finiti, è indispensabile tener conto delle non linearità del sistema integrando numericamente l equazione di moto. Nel caso in cui, invece, si ritenga sufficiente limitarne lo studio a piccoli spostamenti nell intorno di una soluzione di equilibrio per la quale la derivata di ordine minimo di q sia costante, e quindi tutte quelle di ordine superiore si annullino, è possibile linearizzare l equazione di moto nell intorno di tale soluzione, ottenendo, in questo modo, un equazione lineare a coefficienti costanti, integrabile in forma chiusa. La linearizzazione delle equazioni di moto, rispetto alla integrazione numerica delle equazioni non lineari, consente l utilizzo dei comodi algoritmi propri dell analisi dei sistemi lineari. Ovviamente, in tal caso, è necessario dapprima trovare, se esiste, la posizione di equilibrio di riferimento, risolvendo generalmente un equazione non lineare, e successivamente linearizzare l equazione di moto stessa. Condizione essenziale perché la soluzione dell equazione linearizzata si mantenga nell intorno della soluzione di equilibrio di riferimento è che tale soluzione sia stabile. La posizione di equilibrio di riferimento si definisce: equilibrio statico quando individua un movimento q che si mantiene costante nel tempo (tipico, ad esempio, delle strutture caricate staticamente), per il quale valga quindi la condizione d (n) q = (4.38) dt (n) per n >, ossia che tutte le sue derivate rispetto al tempo t siano sempre nulle; 4-6

59 Figura 4.1: Sistema non vincolato soggetto a un sistema di forze a risultante non nullo. regime assoluto quando individua un movimento q che si mantiene costante nel tempo (tipico, ad esempio, delle macchine rotative), per il quale la relazione (4.38) valga per n > 1; moto uniformemente accelerato quando individua un movimento ad accelerazione costante, per il quale la relazione (4.38) valga per n > 2. Nel caso più completo, in cui l equazione del moto presenti dipendenza esplicita da q, la soluzione di equilibrio statico è definita a partire dalla (4.37) tenendo conto della (4.38) con n > : dv dq = Q(q,) (4.39) ove la componente generalizzata della sollecitazione attiva Q non deve dipendere esplicitamente dal tempo perché una condizione di equilibrio statico possa esistere. Nel caso in cui tutte le forze attive dipendenti dalla sola posizione siano conservative, la soluzione di equilibrio statico soddisfa l equazione dv dq = (4.4) che quindi è un caso particolare della (4.39). La soluzione, ossia la posizione di equilibrio q, se esiste, viene in genere ricavata con opportuni metodi numerici quali quello di bisezione, delle secanti o di Newton-Raphson Esempio: soluzione di equilibrio statico di un sistema libero Si consideri il sistema non vincolato illustrato in figura 4.1, posto nel vuoto in assenza di gravità, costituito da due masse di uguale valore m collegate da una molla di rigidezza k. Alla prima massa sia applicata una forza esterna F diretta come la congiungente le due masse e costante in modulo, direzione e verso. La determinazione della soluzione di equilibrio statico ne richiede innanzitutto la definizione. La presenza della molla, in quanto portatrice di forze dipendenti dalla posizione, fa sì che si debba cercare una soluzione statica in cui lo spostamento si mantenga costante; siccome però il sistema non è vincolato a terra, la presenza di un sistema di forze esterne a risultante non nullo fa sì che non sia possibile una soluzione per cui si annullano le accelerazioni delle masse. Occorre quindi un attenta analisi del problema per definire che cosa sia possibile intendere per sua soluzione di equilibrio statico. Il problema ha due gradi di libertà; si considerino le posizioni assolute delle due masse, x 1 e x 2 ; l equazione di equilibrio dell intero sistema è F mẍ 1 mẍ 2 = (4.41) ma, dal momento che le forze d inerzia del sistema sono riducibili ad una forza data dalla massa totale per l accelerazione del baricentro, definita come x CG = mi x i mi = x 1 +x 2 2 (4.42) 4-7

60 si ha F 2mẍ CG = (4.43) da cui si ricava l accelerazione del baricentro ẍ CG = F (4.44) 2m che non può essere nulla perché solo le forze d inerzia possono ristabilire l equilibrio del sistema. Dall equazione di equilibrio alla traslazione della massa 2, a cui non è applicata la forza, si ricava k(x 2 x 1 ) mẍ 2 = (4.45) Si esprima lo spostamento delle masse come spostamento relativo rispetto al punto coincidente con il baricentro a molla indeformata: x 1 = x CG +x 1 x 2 = x CG +x 2 da cui si ricava l allungamento della molla (4.46) (4.47) x = x 2 x 1 = x 2 x 1 (4.48) e, dalla definizione di baricentro, e quindi x 2 = x 1 (4.49) x 1 = 1 2 x x 2 = 1 2 x (4.5) (4.51) L equazione (4.45) diventa k x m (ẍ CG + 12 ) ẍ = (4.52) Si consideri, come soluzione di equilibrio statico, quella per cui gli spostamenti relativi sono costanti, e quindi le accelerazioni relative si annullano; l equazione (4.52) diventa quindi k x mẍ CG = (4.53) da cui è immediato ricavare l allungamento della molla x = 1 F (4.54) 2 k Se l utilizzo degli spostamenti assoluti delle due masse non consente un immediata definizione di soluzione di equilibrio di riferimento per un problema di questo tipo, un semplice cambio di variabile che porti a considerare la posizione assoluta x CG del baricentro del sistema e l allungamento x della molla fa sì che la soluzione di equilibrio di riferimento per la prima sia una condizione di moto uniformemente accelerato, la (4.44), mentre per la seconda sia una soluzione di equilibrio statico, la (4.54) Procedure per la linearizzazione Se la posizione di equilibrio statico esiste, sono possibili due approcci: linearizzare nell intorno di tale posizione la (4.37) in funzione della variabile q e delle sue derivate; ricondurre, tramite sviluppo in serie di Taylor nell intorno di q, arrestato ai termini di second ordine, l energia cinetica T e la funzione di dissipazione D a forme quadratiche nella variabile q, e l energia potenziale V a un analoga forma quadratica in q. In questo secondo caso, della (4.37) sarà comunque necessario linearizzare la Q(q, q, t) rispetto alla variabile q e alla sua derivata q. 4-8

61 4.3.3 Linearizzazione diretta dell equazione del moto La linearizzazione diretta dell equazione di moto consiste nello sviluppare in serie di Taylor l equazione stessa rispetto alla coordinata libera q e alle sue derivate, arrestando lo sviluppo ai termini del primo ordine. Ricordando la (4.3), si nota subito che la linearizzazione delle forze d inerzia nell intorno di una soluzione di equilibrio statico, per cui q = q q = (4.55) q = si riduce alla valutazione della funzione a(q) e della sua derivata prima rispetto a q nella soluzione q, in quanto lo sviluppo in serie delle forze d inerzia è dato da ( ) d T T dt q q = a(q ) q + 1 da(q) 2 dq q 2 q +a(q )( q q )+ da(q) dq q (q q ) q + da(q) dq q ( q q )+ 1 d 2 a(q) q 2 dq 2 q 2 (q q ) (4.56) q ma, sostituendo i valori di riferimento dati dalle (4.55), si ottiene ( ) d T T dt q q = a(q ) + 1 da(q) 2 dq 2 q +a(q )( q )+ da(q) dq (q q ) q + da(q) dq ( q )+ 1 d 2 a(q) q 2 dq 2 2 (q q ) q = a(q ) q (4.57) In modo analogo si procede per le forze conservative e dissipative, e per le rimanenti azioni attive f V (q) = f V q + df V dq (q q ) (4.58) q r(q) q = r(q ) q Q(q, q,...,t) = Q(q,,t)+ Q q q, (q q )+ Q q q, Per quanto riguarda la Q, a partire dalla (4.36) si ricava: Q(q, q,t) Q(q, q) Q(q, q) = Q(q,,t)+ (q q )+ q q = n f f=1 F f (q,,t) y f q n f + F f (q, q) q f=1 n f F f (q, q) + q f=1 q, q, q, q y f q y f q n f + q f=1 (4.59) q (4.6) q, F f (q,) 2 y f q 2 ( q q ) q (q q ) q (4.61) q 4-9

62 Occorreipotizzarecheladipendenzaesplicitadaltempo, sepresente, siaconfinataneltermineq(q,,t), esprimibile come Q(q,,t) = ˆQ(q,)+ Q(q,,t) (4.62) ovvero costituito da una parte costante e da una dipendente dal tempo, quest ultima tale da portare ad un moto di ampiezza limitata nell intorno della soluzione di equilibrio statico; il valore costante di riferimento ˆQ(q,) è quello che in realtà occorre usare nella (4.39) per il calcolo della soluzione di equilibrio statico q. Ne risulta, considerando anche la (4.39), l equazione linearizzata del moto a(q ) q + ( r(q ) Q(q, q) q q, ) q + ( df V dq q Q(q, q) q q, ) (q q ) = Q(q,,t) (4.63) La (4.63) è un equazione differenziale lineare a coefficienti costanti, di cui è possibile l integrazione analitica. Può convenire la definizione di una nuova coordinata libera q come q = q q q = d dt (q q ) = q (4.64) q = d2 dt 2(q q ) = q In questo modo, l equazione (4.63) diventa a(q ) q + ( r(q ) Q(q, q) q q, ) q + ( df V dq q Q(q, q) q q, ) q = Q(q,,t) (4.65) Quadraticizzazione della funzione di Lagrange e sua linearizzazione Si consideri dapprima l energia cinetica T. La (4.25) può essere sviluppata in serie di Taylor nell intorno della posizione di equilibrio statico definita dalle (4.55) troncando l espansione ai termini quadratici, in quanto forniscono i contributi lineari a seguito delle differenziazioni richieste per la scrittura dell equazione del moto: T (q, q) T (q, q) T (q, q) = T (q,)+ (q q q )+ ( q ) q q, q, T (q, q) 2 q 2 (q q ) T (q, q) (q q )( q )+ 1 2 T (q, q) q q 2 q 2 ( q ) 2 q, Si deve fin da subito notare che: q, q, (4.66) T (q,) = 1 2 a(q ) 2 = T (q, q) = 1 q 2 q, da(q) 2 = dq q 2 T (q, q) q 2 = 1 2 q d 2 a(q) dq 2 2 = q (4.67) T (q, q) = a(q ) = q q 2 T (q, q) = da(q) = q q dq q q 4-1

63 in quanto valutati per q = ; ovvero la (5.19) può essere riscritta come: T = 1 2 T (q, q) 2 q 2 q 2 = 1 2 a(q ) q 2 (4.68) q, Applicando la (4.68) alla equazione di Lagrange, otteniamo: ( ) d T T = a(q ) q, dt q q = (4.69) e quindi d dt ( ) T T q q = a(q ) q = m q (4.7) In modo del tutto analogo si può ricondurre ad una forma quadratica anche l energia potenziale V, sviluppandola secondo Taylor nell intorno della posizione di equilibrio statico: V (q) dv (q) = V (q )+ dq (q q )+ 1 d 2 V (q) q 2 dq 2 (q q ) 2 (4.71) q avendo definito, con la variabile q = q q, lo spostamento subìto dalla variabile indipendente rispetto alla posizione di equilibrio statico V (q) = V (q )+ dv (q ) q + 1 d 2 V (q ) dq 2 dq 2 q (4.72) Con tale trasformazione di coordinate, la variabile q definisce dunque il solo moto perturbato del sistema nell intorno della posizione di equilibrio statico q = q. L applicazione delle equazioni di Lagrange alla funzione V (q), resa quadratica nella variabile indipendente q, porta alla: dv (q) dq = dv (q) dq + d2 V (q) q dq 2 q = q dv (q) dq +k q (4.73) q in cui si è sfruttato il fatto che la derivata del termine costante V (q ), per definizione, è nulla. Il termine lineare dell energia potenziale quadraticizzata, invece, nell equazione del moto linearizzata si annulla o perché il sistema è conservativo e quindi, dalla (4.4), il suo annullamento è condizione per l equilibrio, o, in caso di sistema non conservativo, dalla definizione di soluzione di equilibrio secondo la (4.39), si elide con il valore costante Q(q,) risultante dalla linearizzazione della componente generalizzata della sollecitazione attiva. Analogamente a quanto fatto per l energia cinetica, anche la funzione di dissipazione D data dalla (4.32) può essere resa quadratica, sviluppandola in serie di Taylor arrestata al termine quadratico: D(q, q) D(q, q) D(q, q) = D(q,)+ (q q )+ ( q ) (4.74) q q D(q, q) 2 q 2 q, q, (q q ) D(q, q) q q q, q, (q q )( q )+ 1 2 D(q, q) 2 q 2 q, ( q ) 2 In analogia con quanto osservato per l espressione quadraticizzata dell energia cinetica, si nota che D(q,) = 1 2 r(q ) 2 = (4.75) D(q, q) = 1 q 2 q, dr(q) 2 =, dq q D(q, q) q q, = r(q ) = (4.76) 2 D(q, q) q 2 = 1 2 q, d 2 r(q) dq 2 2 =, q 2 D(q, q) q q q, = dr(q) = dq q 4-11

64 questo porta all espressione: D(q, q) = 1 2 D(q, q) 2 q 2 q, q 2 = 1 2 r q 2 (4.77) Da ultimo si consideri il lavoro virtuale δl delle rimanenti forze attive esterne F f, che possono dipendere arbitrariamente dalla coordinata libera q, dalle sue derivate e dal tempo t. La loro linearizzazione è del tutto analoga a quella effettuata quando si è considerato l approccio diretto alla linearizzazione dell equazione del moto, quindi il contributo delle rimanenti sollecitazioni attive all equazione linearizzata è dato dalla (4.6). ove, si ricorda, si è fatta l ipotesi che Q possa essere decomposta in modo che l eventuale dipendenza dal tempo si abbia solo in contributi che non dipendono dalla coordinata libera e viceversa. Si ottiene di nuovo l equazione (4.65) m q + ( r Q(q, q) q q ) q + ( k Q(q, q) q q ) q = Q(q,,t) (4.78) che risulta differenziale del secondo ordine lineare e a coefficienti costanti completa, in cui si considera come variabile indipendente la coordinata q del moto perturbato definita nelle (4.64) a partire dalla posizione di equilibrio q Utilizzo dell equazione di moto linearizzata Come già accennato, la linearizzazione dell equazione di moto consente di ottenere un problema differenziale lineare a coefficienti costanti qualora sia possibile definire una condizione di equilibrio tale per cui la configurazione del sistema non cambi. Ne verrà fatto largo uso nello studio della dinamica delle vibrazioni per i sistemi meccanici, nei capitoli 5, 12 e 13; la capacità di ridurre in questa forma anche problemi in cui sono presenti forze arbitrariamente dipendenti dalla configurazione consente di affrontare e risolvere importanti problemi di aeroelasticità, ovvero in cui riveste un ruolo fondamentale la dipendenza delle forze aerodinamiche dal movimento della struttura, come verrà illustrato nel Capitolo Esempi Gli esempi relativi alla linearizzazione sono attualmente in revisione; verranno resi disponibili il più presto possibile. 4-12

65 Capitolo 5 Sistemi vibranti ad un grado di libertà Parte I Generato il 1 settembre Meccanica delle vibrazioni Per le macchine viste finora, è quasi sempre possibile effettuare uno studio considerandole a un solo grado di libertà, dove ogni elemento è ritenuto rigido. In realtà essi sono approssimati, pertanto i nostri schemi sono approssimati. La deformabilità degli elementi componenti può essere voluta o indesiderata: ad esempio le sospensioni di un veicolo sono elementi volutamente deformabili. Purtroppo, per le difficoltà che insorgono nello studio e per gli effetti collaterali, sono ben più importanti i casi di deformabilità dinamica non voluta, quando un elemento che il progettista vorrebbe rigido si deforma, dando luogo di regola a moti vibratori indesiderati e dannosi. Per lo studio di questi moti vibratori è necessario fare qualche considerazione sui modelli matematici atti a descrivere tali fenomeni. Spesso la difficoltà consiste nell associare un modello deformabile a qualcosa che nella realtà il progettista vorrebbe rigido. Ovviamente questi schemi devono essere i più semplici possibili ed è possibile suddividerli in due gruppi: modelli continui (a infiniti gradi di libertà) derivanti dalla Scienza delle Costruzioni, dove riferendoci, ad esempio, a una trave, ogni punto di questa può muoversi e ogni sezione può ruotare. Per descriverne il comportamento è necessario conoscere una funzione f (x) e delle equazioni alle derivate parziali. Tali modelli vengono usati per lo studio delle vibrazioni trasversali di travi o funi; modelli discreti (a n finiti gradi di libertà) che contrastano con l osservazione del fenomeno fisico secondo la quale la deformabilità e l inerzia sono distribuite nel sistema fisico. Per fortuna, molte volte è possibile ricondurre il modello reale a sistemi a uno o pochi gradi di libertà. Si tenga presente che, per utilizzare modelli a uno o pochi gradi di libertà, è necessario prima effettuare lo studio con schemi a un numero maggiore di g.d.l. e capire sotto quali condizioni si può tornare a pochi g.d.l. senza perdere informazioni importanti per la risoluzione del problema. Un velivolo in atterraggio, ad esempio, come quello illustrato in figura 5.1, possiede una velocità che non è mai perfettamente orizzontale, e per questo i carrelli sono dotati di opportuni molleggi che hanno il compito di dissipare l energia associata alla componente verticale di tale velocità. Se analizziamo in prima approssimazione l impatto del velivolo sul campo d atterraggio, trascurando, nel breve intervallo di tempo in cui avviene l impatto, l effetto dovuto alla componente orizzontale della velocità, si nota che il comportamento dinamico del sistema, grazie alla grande rigidezza della fusoliera rispetto agli elementi elastici del treno d atterraggio, può essere rappresentato dalla seguente equazione differenziale. mÿ ky = (5.1) 5-1

66 Figura 5.1: Velivolo in atterraggio. Figura 5.2: Pendolo. Altro esempio, noto dalla Meccanica Razionale, è quello del pendolo, illustrato in figura 5.2, per il quale la scrittura dell equazione di equilibrio alla rotazione attorno alla cerniera O porta a ml 2 θ mglsinθ = (5.2) ove la dipendenza del momento dall angolo θ, per piccole oscillazioni attorno alla posizione di equilibrio, definita da θ =, può essere così linearizzata sinθ = sin()+ dsinθ dθ θ = θ (5.3) θ= dando luogo a una equazione differenziale lineare a coefficienti costanti θ g l θ = (5.4) simile a quella già vista per il velivolo. 5.2 Moto libero non smorzato Trattiamo il problema delle vibrazioni a un solo g.d.l. in modo generale, studiando per ora il caso che sul sistema dinamico, considerato in assenza di attriti o smorzamento, non agiscano forze esterne. Per mettere in equazione il modello meccanico, dobbiamo scegliere la coordinata libera, ovviamente la x, e sceglierne l origine. 5-2

67 Figura 5.3: Sistema vibrante a un grado di libertà, senza attrito. Vedremo in seguito il motivo, ma risulta comodo misurare la coordinata libera (ovvero le coordinate libere in sistemi a più gradi di libertà) a partire dalla posizione di equilibrio statico. Consideriamo un moto traslatorio della massa e scriviamo l equazione di moto del sistema. Utilizzando gli equilibri dinamici, in una generica posizione deformata x(t), agiranno sul corpo la forza d inerzia e la forza di richiamo elastico della molla, ovvero mẍ kx = (5.5) che noi per convenzione riscriviamo con il segno cambiato, tenendo a sinistra dell uguale le forze dipendenti dalla configurazione con il segno cambiato e portando le altre forze (in questo caso assenti) a destra mẍ+kx = (5.6) Si ottiene un equazione differenziale lineare omogenea a coefficienti costanti, la cui soluzione è del tipo x(t) = Ae λt (5.7) dove A è una costante arbitraria e λ un parametro da determinare. Sostituendo la soluzione (5.7) nell equazione di partenza (5.6) maλ 2 e λt +kae λt = (5.8) che, trascurando la soluzione banale A = che rappresenta la condizione di equilibrio statico, porta a λ 2 = k m (5.9) ovvero λ 1,2 = ± k m = ±i k m = ±iω (5.1) La soluzione dell equazione differenziale (5.6) è quindi data dalla combinazione lineare delle due soluzioni date da λ 1 e λ 2 x(t) = A 1 e iωt +A 2 e iωt (5.11) Lo spostamento x(t) è una quantità reale, mentre per la forma dell equazione (5.6) lo spostamento risultante dalla sua soluzione in generale è complesso: x(t) = (A 1 +A 2 )cos(ω t)+i(a 1 A 2 )sin(ω t) (5.12) per cui affinché x(t) sia reale, occorre che la somma delle costanti A 1 e A 2 sia reale e la loro differenza immaginaria, ovvero occorre che siano complesse coniugate. Se si prende come tempo iniziale t =, cosa sempre lecita a patto di ridefinire l origine dell asse dei tempi, dal momento che i coefficienti dell equazione (5.6) non dipendono dal tempo, si nota che, per t =, la soluzione (5.12) vale x() = A 1 +A 2 (5.13) 5-3

68 Figura 5.4: Oscillazione armonica. mentre la sua derivata vale ẋ() = iω (A 1 A 2 ) (5.14) Le relazioni (5.13) e (5.14) mostrano come le costanti A 1 e A 2 siano in relazione con le condizioni iniziali del moto, dalle quali si ricavano: A 1 = 1 ( x()+ ẋ() ) 2 iω A 2 = 1 ( x() ẋ() ) (5.15) 2 iω Consideriamo ancora lo stesso oscillatore già visto, ma supponiamolo anche soggetto alla gravità. Nel precedente esempio avevamo posto l origine della coordinata libera (x = ) dove è nulla la forza esercitata dalla molla. Anche in questo caso porremo l origine y = dove la molla è scarica. L equazione di equilibrio dinamico porta a ovvero mÿ ky +mg = (5.16) mÿ +ky = mg, (5.17) equazione differenziale lineare a coefficienti costanti completa. Se prendiamo ora come origine della coordinata libera x la posizione di equilibrio statico y, sarà y = y +x (5.18) e ÿ = ẍ, (5.19) con y = mg k (5.2) che sostituite portano a ( mg ) mẍ k k +x +mg = (5.21) 5-4

69 Figura 5.5: Oscillatore smorzato. da cui mẍ+kx =. (5.22) Ovvero, se non interessa lo studio del moto derivante dall applicazione di una forza costante nel tempo, conviene scegliere l origine della coordinata libera nel punto di equilibrio statico, in quanto si ottiene sempre un equazione differenziale omogenea. 5.3 Vibrazioni libere smorzate Smorzamento viscoso. Durante la vibrazione libera, l energia è dissipata in vari modi, e un moto con ampiezza costante non può essere mantenuto senza che venga continuamente fornita energia. È difficile una formulazione esatta del fenomeno dissipativo, in quanto questo può essere funzione dello spostamento, della velocità, dello stato di deformazione, del tempo o di altro. Un modello ideale, spesso soddisfacente, è quello dello smorzamento viscoso, secondo il quale la forza dissipativa è espressa da F = rẋ = cẋ, (5.23) dove r è utilizzato nella bibliografia italiana, mentre c in quella di lingua anglosassone. L equazione di equilibrio dinamico del nostro solito oscillatore diverrà quindi mẍ rẋ kx = (5.24) che può essere risolta usando la solita forma (5.7) la quale, sostituita nell equazione differenziale di partenza (5.24) porta all equazione lineare ( λ 2 + r m λ+ k ) Ae λt = (5.25) m che ammette come soluzioni non banali (per A e valide per qualsiasi valore di t) λ 1,2 = r ( r ) 2 2m ± k 2m m (5.26) e la soluzione generale per la vibrazione libera smorzata è data da x(t) = Ae λ1t +Be λ2t (5.27) dove A e B sono costanti arbitrarie dipendenti dalle condizioni iniziali. 5-5

70 Smorzamento critico. Il comportamento dell oscillatore smorzato dipende dal valore numerico del radicando = ( r ) 2 k 2m m (5.28) detto anche discriminante. A seconda che esso sia maggiore o minore di zero, le radici saranno reali e distinte o complesse coniugate. Quindi è ragionevole prendere come valore di riferimento per lo smorzamento, detto anche smorzamento critico, quello per il quale il radicando si annulla: r c = 2 mk (5.29) A questo punto lo smorzamento effettivo del sistema può essere espresso in forma adimensionale come frazione dello smorzamento critico r c, dal rapporto ξ = r r c (5.3) detto anche indice di smorzamento 1. Ne consegue che r 2m = ξ r c km k 2m = ξ2 2m = ξ m = ξω (5.31) e quindi le radici del polinomio caratteristico sono espresse dalla relazione λ 1,2 = ( ξ ±i 1 ξ 2 ) ω ξ < 1 (5.32) Ovviamente se ξ 1 questa rappresentazione perde di interesse, in quanto il radicando della (5.32) diventa a sua volta negativo, e le radici λ 1,2 diventano reali e distinte. A questo punto, conviene scrivere λ 1,2 = ( ξ ± ) ξ 2 1 ω ξ 1 (5.33) Si ricordi che è opportuno ragionare sul modulo di ξ in quanto, in casi particolari, lo smorzamento r potrebbe essere negativo e portare quindi ad un comportamento instabile; si veda il capitolo 6 ed il capitolo 15 per una discussione più approfondita. Posto σ = ξω e ω = 1 ξ 2 ω, la generica soluzione (5.27) assume la forma x(t) = ((A+B)cos(ωt)+i(A B)sin(ωt))e σt (5.34) Anche in questo caso, valutando la soluzione (5.34) e la sua derivata all istante iniziale, si possono esprimere i coefficienti A e B in funzione delle condizioni iniziali: x() = A+B (5.35) e ẋ() = σ(a+b)+iω(a B) (5.36) da cui si ricava A = 1 ( x()+ ẋ() σx() ) 2 iω B = 1 ( x() ẋ() σx() ) (5.37) 2 iω 5-6

71 Figura 5.6: Oscillazione smorzata. Figura 5.7: Risposta supercritica. Smorzamento minore di quello critico: < ξ < 1. La soluzione generale diventa x(t) = e ξωt( Ae i 1 ξ 2 ω t +Be i ) ) 1 ξ 2 ω t = Xe sin( ξωt 1 ξ2 ω t+φ (5.38) e il moto risulta periodico con pulsazione ω = 1 ξ 2 ω e ampiezza decrescente nel tempo con legge esponenziale. (5.39) Smorzamento maggiore di quello critico: ξ > 1. In questo caso le due radici sono reali, e la soluzione generale diventa x(t) = Ae ( ( ξ+ ξ 2 1 )ω ) t ξ ξ +Be 2 1 ω t. (5.4) Il moto non è più oscillatorio, ma si smorza col tempo in modo esponenziale. 1 In alcuni ambiti, lo smorzamento è descritto in termini di fattore di qualità (quality factor), indicato con Q. Il fattore di qualità indica il rapporto fra la quantità di energia immagazzinata dal sistema e quella dissipata in un ciclo. Tanto meno è smorzato un sistema, tanto più alto è il suo fattore di qualità. Un sistema non smorzato ha fattore di qualità Q =. L equivalenza tra il fattore di qualità Q e il coefficiente di smorzamento ξ è Q = 1/(2ξ). 5-7

72 Figura 5.8: Risposta critica. Figura 5.9: Confronto tra le risposte al variare del coefficiente di smorzamento. Smorzamento uguale a quello critico: ξ = 1. In quest ultimo caso le due radici sono reali e coincidenti. In questo caso l integrale generale assumerà la forma x(t) = (A+tB)e ωt (5.41) Per cui il moto libero non è più oscillatorio ma si smorza anch esso in modo esponenziale. Non sono stati considerati i casi per cui ξ < ; in tali casi il sistema ha comportamento instabile e, dallo studio del modulo di ξ, in totale analogia con quanto visto sopra, si può dedurre se l instabilità si manifesta come una oscillazione che cresca esponenzialmente ( > ξ > 1) o come una divergenza statica (ξ < 1). Confrontando per lo stesso oscillatore l andamento del moto libero al variare dell indice di smorzamento ξ per le medesime condizioni iniziali { x() = 1 (5.42) ẋ() = come illustrato in figura 5.9, si nota che: indipendentemente dalle condizioni iniziali il moto libero si annulla sempre dopo un tempo più o meno lungo; a parità di condizioni iniziali, il tempo necessario per smorzarsi dipende da ξ; a parità di condizioni iniziali, per ξ = 1 il tempo è minimo (strumenti di misura, artiglierie, ecc.). 5-8

73 5.4 Moto forzato Sempre in assenza di smorzamento e di attriti, vediamo ora che cosa succede se applichiamo al sistema una forza esterna F (t) che supponiamo per semplicità armonica 2, ovvero F (t) = F sin(ωt) (5.43) con F e ω noti. L equazione di equilibrio per la massa m diventa mẍ+kx = F sin(ωt) (5.44) equazione differenziale lineare a coefficienti costanti completa il cui integrale generale è dato dall integrale generale dell omogenea associata più l integrale particolare ovvero con x(t) = x g (t)+x p (t) (5.45) x(t) = Acos(ω t)+bsin(ω t)+x p (t) (5.46) x p (t) = Csin(ωt) (5.47) integrale particolare che sostituito nell equazione (5.44) di partenza dà mcω 2 sin(ωt)+kcsin(ωt) = F sin(ωt) (5.48) C = F k mω 2 quindi la (5.46) diventa (5.49) x(t) = Acos(ω t)+bsin(ω t)+ F sin(ωt) (5.5) k mω2 Il moto risultante è quindi somma di due funzioni armoniche, una con pulsazione ω, caratteristica del sistema, e l altra con pulsazione ω, data dalla forzante. Per effetto degli inevitabili smorzamenti, l integrale generale dell omogenea associata, come visto, tende a zero col crescere del tempo, per cui a noi interessa studiare il solo integrale particolare che rappresenta il comportamento vibratorio a regime del sistema 3 : x(t) t t = F sin(ωt) (5.51) k mω2 Analizziamo l ampiezza C del moto a regime al variare dei parametri: se la pulsazione ω della forzante tende a zero, l ampiezza di vibrazione C tende a un valore pari alla deformazione indotta dalla forza F applicata staticamente; se la pulsazione ω cresce, l ampiezza C aumenta (fenomeno dell amplificazione dinamica) fino a un asintoto verticale (risonanza): lim C = ω ω (5.52) al crescere ulteriore della pulsazione ω della forzante, l ampiezza della risposta si annulla: lim C = (5.53) ω 5-9

74 Figura 5.1: Risposta in frequenza di un sistema vibrante forzato. Attenzione: se siamo in risonanza, la soluzione cade in difetto in primo luogo perché il comportamento della molla è lineare solo per piccoli spostamenti. Inoltre, dobbiamo ricordare che le costanti A e B devono essere calcolate per la soluzione generale completa rappresentata dalla (5.46) per cui { x() = A+xp () (5.54) ẋ() = ω B +ẋ p () supponendo, per t =, che tanto lo spostamento quanto la velocità siano nulle, si ottiene x(t) = F 1 ( ) k 2 (sin(ωt) ω ) sin(ω t) ω ω 1 ω ω (5.55) che fornisce una forma indeterminata del tipo / per ω ω. Applicando alla (5.55) la regola di de l Hôpital si ottiene F 1 lim x(t) = lim ( ) ω ω ω ω k 2 (sin(ωt) ω ) sin(ω t) = F ω ω 2k (sin(ω t) ω tcos(ω t)) (5.56) 1 per cui sarebbe comunque necessario tempo infinito, anche in condizioni ideali di linearità delle forze elastiche, per raggiungere ampiezze infinite. Ricordando, infine, che C = F k ω 2 m = F /k 1 ω2 m k = 1 si definisce il coefficiente di amplificazione dinamica H come H(ω) = C δ st = 1 δ st ( ) 2 (5.57) ω ω 1 ( ) 2 (5.58) ω ω 2 Sotto ampie ipotesi, una forzante generica può essere descritta da una funzione periodica, ovvero una funzione per la quale f (t+t) = f (t), con T pari al suo periodo. Un ampia classe di funzioni periodiche può essere sviluppata in serie di Fourier, ovvero in serie di funzioni armoniche e quindi, per la linearità del problema, la risposta ad una generica forzante può essere espressa come combinazione lineare della risposta a forzanti alle diverse armoniche che costituiscono la serie. 3 La (5.51), a rigore, è vero solo in presenza di smorzamento; tuttavia spesso si opera questa semplificazione anche in assenza di smorzamento esplicito nell equazione (5.44), avendo tacitamente assunto che lo smorzamento nel sistema è sufficientemente piccolo da consentire di ignorarlo, ma è sicuramente presente in misura sufficiente da cancellare, dopo un tempo sufficientemente elevato, il moto libero della (5.46). 5-1

75 Figura 5.11: Sistema vibrante per spostamento del vincolo. 5.5 Moto forzato per spostamento del vincolo Consideriamo il solito sistema che si muova rispetto ad un osservatore assoluto con una legge y(t) nota, come rappresentato in figura Definiamo x(t) lo spostamento assoluto della massa e misuriamo lo spostamento dalla posizione di equilibrio statico che sarà definita da y(t) = x(t) x r (t) = (5.59) ove x r (t) indica lo spostamento relativo della massa, e quindi l allungamento della molla. Scrivendo l equazione di equilibrio dinamico, otteniamo ovvero mẍ+k(x y(t)) =, (5.6) mẍ+kx = ky(t) (5.61) che è un equazione differenziale lineare a coefficienti costanti completa del tutto simile a quella già vista nel moto forzato. Per un osservatore relativo, l equazione di equilibrio dinamico diventa invece ovvero m(ẍ r +ÿ(t))+kx r =, (5.62) mẍ r +kx r = mÿ(t) (5.63) Si supponga che il moto del vincolo sia armonico, di frequenza ω e ampiezza b: y(t) = bsin(ωt) (5.64) per cui la (5.61) diventa mẍ+kx = kbsin(ωt) (5.65) che ha, come integrale particolare, x p (t) = kb k ω 2 sin(ωt) = Xsin(ωt) (5.66) m ove X è l ampiezza di vibrazione nel moto assoluto della massa m. In termini adimensionali: X b = 1 ( ω 1 ω ) 2 (5.67) 5-11

76 Figura 5.12: Sistema vibrante per squilibrio dinamico. del tutto analogo al coefficiente di amplificazione H già definito. Pertanto, una molla potrà essere definita rigida quando non vi è moto relativo, e quindi X b = 1 (5.68) ovvero ω 2 ω 2 (5.69) Considerando ora l osservatore relativo, la (5.63) diventa e quindi mẍ r +kx r = mω 2 bsin(ωt) (5.7) x rp (t) = mω2 b k ω 2 m sin(ωt) = X rsin(ωt) (5.71) che, in termini adimensionali, diventa ( ) 2 ω X r b = 1 ω ( ω ω ) 2 (5.72) Moto forzato dovuto a squilibri rotanti. Supponiamo di avere una macchina con una parte rotante, avente massa propria M e uno squilibrio di momento statico rispetto all asse di rotazione, definito attraverso una massa m e un braccio e rispetto all asse di rotazione. Supponiamo che la velocità angolare ω sia costante. L accelerazione assoluta della massa eccentrica sarà a = a r + a t = ω 2 e e iωt + x (5.73) dove, con un certo abuso di notazione, si sono combinati il formalismo esponenziale dei fasori per quanto riguarda l accelerazione relativa, centripeta, a cui è soggetta la massa eccentrica, e la notazione vettoriale 5-12

77 più classica per l accelerazione di trascinamento a cui è soggetta la massa M. Avremo quindi, misurando gli spostamenti x, positivi verso l alto, a partire dalla posizione di equilibrio statico, l equazione della dinamica dell intero sistema ovvero Mẍ+m ( ω 2 esin(ωt)+ẍ ) +2kx = (5.74) (M +m)ẍ+2kx = mω 2 esin(ωt) (5.75) e l integrale particolare, in condizioni di regime, varrà e quindi x p (t) = X(ω) e meω 2 sin(ωt) = X(ω)sin(ωt) (5.76) 2k (M +m)ω2 ω 2 ( ω ω ) 2 = m M +mω 2 = m ( ) ω2 M +m 2 (5.77) ω 1 ω Si noti che la macchina al variare della velocità trasmetterà al terreno una forza variabile nel tempo pari a F tr = 2kXsin(ωt) (5.78) che forzerà il terreno a vibrare, non potendolo considerare infinitamente rigido, e questo forzerà a sua volta a vibrare, per spostamento di vincolo, le altre strutture posate su di esso. Ovviamente, equilibrando la macchina, ovvero facendo in modo che il suo asse di rotazione sia baricentrico (e anche principale d inerzia come vedremo), la forzante si annulla e il fenomeno scompare in quanto l equazione di moto risulta essere la soluzione di (M +m)ẍ+2kx = (5.79) 5.6 Moto forzato smorzato con eccitazione armonica La soluzione a regime per un eccitazione di tipo armonico ha una validità del tutto generale in quanto: un eccitazione periodica è scomponibile, sotto ipotesi largamente accettabili e verificate nella pratica, in una serie di eccitazioni armoniche (serie di Fourier); i sistemi meccanici di cui ci occupiamo sono descritti da equazioni differenziali lineari e quindi vale il principio di sovrapposizione degli effetti. Quindi, la risposta del sistema meccanico è fornita dalla sovrapposizione delle risposte alle singole componenti armoniche in cui è sviluppabile la generica eccitazione periodica. Inoltre, tali risposte, in condizioni di regime, sono date dai soli integrali particolari in quanto gli integrali generali delle omogenee associate, per effetto delle inevitabili dissipazioni, tendono comunque a zero in un tempo più o meno lungo. L equazione differenziale del moto può essere scritta come mẍ+rẋ+kx = F e iωt (5.8) la cui soluzione è data da x(t) = x g (t)+x p (t) (5.81) 5-13

78 Figura 5.13: Sistema vibrante smorzato, forzato armonicamente. Tralasciamo, per quanto più volte detto, il contributo dell integrale generale dell omogenea associata; quindi, a regime: con x(t) = x p (t) (5.82) x p (t) = Xe iωt = X e iφ e iωt = X e i(ωt+φ) X sin(ωt+φ) (5.83) con X e φ calcolati sostituendo nell equazione differenziale l integrale particolare. Sostituendo quindi la (5.83) nell equazione differenziale (5.8) di partenza otteniamo ( mω 2 +irω +k ) Xe iωt = F e iωt (5.84) che ammette come soluzione valida per tutti i valori di t con X = F k mω 2 +irω = F (k mω 2 ) 2 +r 2 ω 2 e iφ ( ) ωr φ = tan 1 k mω 2 (5.85) (5.86) Ricordando che ω = k/m è la frequenza propria del sistema non smorzato; ξ = r/r c è il fattore di smorzamento, rapporto tra lo smorzamento ed il suo valore critico; r c = 2mω è lo smorzamento critico; X() = F /k è la freccia statica, per effetto della forzante F a pulsazione nulla, otteniamo X X = 1 ( ) 2 ω 1 ω 2 + (2ξ ωω ) 2 (5.87) 5-14

79 Figura 5.14: Risposta di un sistema vibrante smorzato, forzato armonicamente (N.B.: nel disegno ω/ω è indicato con ω/ω n, lo smorzamento r è indicato con c, mentre la fase φ è rappresentata con segno opposto). e 2ξ ω φ = tan 1 ω ( ω 1 ω ) 2 (5.88) Possiamo rappresentare graficamente in figura 5.14 l andamento dell integrale particolare in funzione del rapporto ω/ω. Si notano due zone: per ω/ω < 1 e per ω/ω > 1, con il caso ω/ω = 1 a fare da spartiacque. Si può effettuare un interessante analisi qualitativa del comportamento del sistema studiando il diagramma vettoriale delle forze agenti sulla massa: dall equazione di equilibrio mẍ+rẋ+kx = F e iωt (5.89) una volta sostituita la soluzione particolare x p (t) = Xe iωt (5.9) con X complesso, le singole forze sono descritte da coefficienti complessi che hanno una rappresentazione molto chiara nel piano complesso avente come riferimento la direzione e iωt : mω 2 Xe iωt +irωxe iωt +kxe iωt = F e iωt (5.91) ovvero (( mω 2 +irω +k ) X F ) e iωt = (5.92) quindi in generale si può costruire graficamente un trapezio rettangolo, avente come basi le forze elastica e inerziale, come altezza la forza viscosa, e come quarto lato la forzante esterna. Ad una data pulsazione ω corrispondono ben precise lunghezze delle basi e dell altezza; data l ampiezza della forzante F, la chiusura del trapezio si ottiene variando il modulo e la fase attraverso la scelta di X. 5-15

80 (a) ω/ω < 1. (b) ω/ω = 1. (c) ω/ω > 1. Figura 5.15: Risposta di un sistema vibrante smorzato, forzato armonicamente. 5-16

81 ω/ω < 1: l angolo di fase è piccolo e quindi è principalmente la forza della molla ad equilibrare la forzante esterna, cui si somma la forza d inerzia, come illustrato in figura 5.15(a). ω/ω = 1: l angolo di fase è pari a 9 gradi, per cui la forzante esterna è equilibrata dalla sola forza viscosa, come illustrato in figura 5.15(b). L ampiezza di vibrazione a regime è pari a X = F = X() rω 2ξ (5.93) ω/ω > 1: l angolo di fase cresce e si avvicina a 18 gradi; la forza impressa è equilibrata quasi integralmente da quella d inerzia, come illustrato in figura 5.15(c). Esercizio 5.1 Si consideri un motore elettrico in c.c. che comanda un carico costituito da una inerzia J u collegata al motore da un albero flessibile, descrivibile mediante una molla rotazionale di rigidezza k θ e uno smorzamento strutturale r θ. Si progetti un controllo proporzionale tra la tensione di alimentazione e la rotazione del motore, facendo attenzione a come le caratteristiche dinamiche del carico possono influenzare il progetto. 5-17

82 5-18

83 Capitolo 6 Cenni sulla stabilità Generato il 1 settembre Che cosa si intende per stabilità Il termine stabilità indica la sensitività della soluzione di un problema matematico alle perturbazioni. Spesso la definizione di stabilità, la sua portata ed il significato sia fisico che matematico che essa sottende sfuggono allo studente frettoloso o distratto. Queste brevi note non vogliono tanto rappresentare una trattazione rigorosa e completa dal punto di vista matematico, quanto una sorta di breviario che aiuti non solo lo studente del corso di Dinamica dei Sistemi Aerospaziali a superare l esame, ma in generale gli studenti di Ingegneria Aerospaziale ad orientarsi nella terminologia e nella scelta degli strumenti più adatti a risolvere i problemi fondamentali della dinamica dei sistemi, in un linguaggio che sia il più possibile corretto e allo stesso tempo conforme alla terminologia in uso nel settore. Lo studio della stabilità così come interessa il corso di Dinamica dei Sistemi Aerospaziali si applica tipicamente alle soluzioni y = y(t) (6.1) dei problemi f (y,ẏ,t) =, y(t ) = y. (6.2) In generale, non è possibile affermare che un generico sistema sia stabile; tuttavia, è possibile studiare la stabilità di una particolare soluzione. Solo in caso di sistemi lineari a coefficienti costanti 1 si può studiare la stabilità del sistema, in quanto la struttura della generica soluzione, il cosiddetto integrale generale, è nota a partire dalle caratteristiche del sistema, e ha la forma y(t) = y(t )e λ(t t) (6.3) con λ complesso e dipendente solo dai coefficienti del sistema, mentre y(t ) rappresenta le condizioni iniziali. Anche in questo caso, quindi, lo studio della stabilità si applica ad una specifica soluzione, e solo per la specificità del problema, ovvero per l unicità della soluzione di un sistema lineare, è possibile da questo studio risalire a caratteristiche globali di stabilità del sistema. 6.2 Definizione di stabilità Esistono diverse definizioni di stabilità, a seconda di che cosa venga perturbato (stato, parametri,...). Nel caso in esame, oggetto del corso di Dinamica dei Sistemi Aerospaziali, si intende studiare la stabilità alla perturbazione dello stato. 1 In caso di sistemi lineari a coefficienti dipendenti dal tempo, se periodici, è ancora possibile studiare la stabilità con metodi dedicati; si veda ad esempio la teoria di Floquet. 6-1

84 Si considerino gli enunciati: Una soluzione si dice stabile se, comunque venga fissata la misura della distanza tollerabile, è possibile determinare un valore non nullo di perturbazione iniziale della soluzione che consente alla soluzione perturbata di rimanere al di sotto di tale distanza per tutti gli istanti di tempo successivi a quello iniziale 2. In forma rigorosa: una soluzione di equilibrio y e si dice stabile al tempo t se e solo se per ogni ǫ > esiste un valore δ(ǫ) > tale che y(t ) y e < δ(ǫ) implica y(t) y e < ǫ qualunque sia t t. Una soluzione si dice asintoticamente stabile se è stabile e la soluzione perturbata, dopo un tempo sufficientemente lungo (al limite, infinito), ritorna alla soluzione di riferimento. Una soluzione si dice instabile se non è stabile, ovvero non è possibile determinare un valore non nullo della perturbazione iniziale che le consenta di rimanere al di sotto della distanza fissata per tutti gli istanti successivi a quello iniziale. Si badi bene che la perturbazione si applica allo stato, ovvero, per un sistema meccanico descritto da un equazione o da un sistema di equazioni differenziali del secondo ordine, può essere applicata separatamente alla posizione e alla velocità. Quando si parla di perturbazione di una soluzione, si intende che viene perturbato lo stato ad un dato istante di tempo t ; quindi, in quell istante di tempo, lo stato perturbato presenta un salto (uno scalino) rispetto al valore della soluzione di riferimento. Come questa perturbazione venga applicata non riveste alcuna importanza; quindi, nel caso di un problema meccanico, è limitativo parlare di forze usate per applicare la perturbazione; ciò non toglie che la definizione di stabilità come effetto sulla soluzione di un ingresso impulsivo, come viene proposto da altri corsi, sia collegato alla definizione proposta. Infatti, si può dimostrare che, in un sistema meccanico, una forza impulsiva corrisponde ad una perturbazione della velocità Stabilità ed equilibrio Si noti bene che la definizione di stabilità si riferisce ad una soluzione qualunque, anche dipendente dal tempo; infatti, in essa, non si parla mai di equilibrio. Equilibrio e stabilità sono due concetti distinti. La soluzione di equilibrio, y(t) = y e = costante, (6.4) in cui la derivata di ordine minimo da cui dipende il problema è costante nel tempo, assume un importanza fondamentale in meccanica ed in dinamica in generale. In corrispondenza di una soluzione di equilibrio, lo studio della stabilità delle piccole oscillazioni è significativo in quanto, se la configurazione di riferimento è di equilibrio e l ampiezza delle oscillazioni è limitata, da una parte può essere lecito ritenere che il comportamento di un modello linearizzato del problema non si discosti molto da quello del sistema reale (ma non è detto che ciò sia sempre lecito); dall altra, i coefficienti risultanti dalla linearizzazione del problema, valutati nella soluzione di equilibrio, possono essere ritenuti costanti a meno che non contengano una dipendenza esplicita dal tempo. Quindi si ricade nel caso del problema lineare a coefficienti costanti, per il quale, dallo studio della stabilità della soluzione generale, è possibile risalire a risultati di validità generale, a condizione che le ipotesi fatte sulla linearizzazione siano rispettate. 2 Questa definizione di stabilità si dice uniforme; la definizione più generale prevede che il valore della perturbazione possa dipendere dall istante in cui viene applicata. 3 Ciò che in effetti viene applicato è un impulso di quantità di moto per perturbare la velocità, oppure una derivata di impulso di quantità di moto per perturbare la posizione. Tuttavia, questo approccio presuppone che attraverso l ingresso del sistema sia possibile perturbare tutto lo stato; allo stesso modo, si assume che osservando l uscita sia possibile osservare tutto lo stato. Entrambe le condizioni potrebbero non essere verificate per sistemi con stati cosiddetti non raggiungibili oppure non osservabili. 6-2

85 Riassumendo: lo studio della stabilità attorno ad una soluzione di equilibrio riveste per noi un importanza fondamentale essenzialmente perché tale tipo di movimento è molto importante nella pratica, e perché tale studio può essere effettuato, sotto certe ipotesi, con strumenti analitici relativamente semplici. Tuttavia lo studio della stabilità non è limitato a questo tipo di problemi, e ha valenza molto più ampia Linearizzazione attorno ad una soluzione di equilibrio Il generico problema dinamico del secondo ordine, rappresentativo di un problema meccanico ad un grado di libertà 4 f (y,ẏ,ÿ,t) =, unavoltalinearizzatoattornoadunasoluzionediequilibrioy(t) = y e costante, inunproblemameccanico ad un grado di libertà assume la forma M ÿ +R ẏ +K y = f (y e,,,t), (6.6) ove le forze dipendenti dalla coordinata libera y sono state riassunte dai coefficienti di massa M, resistenza R e rigidezza K equivalenti, ovvero M = f ÿ, R = f ẏ, La soluzione dell equazione omogenea associata Mÿ +Rẏ +Ky =, indicata in Equazione (6.3) e qui riprodotta per chiarezza y(t) = Ce λt, (6.5) K = f y. (6.7) è rappresentata da un movimento esponenziale che, in caso di esponente complesso, modula un movimento oscillante armonicamente, in quanto se λ = σ +iω, con σ e ω reali, e (σ+iω)t = e σt (cos(ωt)+isin(ωt)). (6.1) Stabilità della soluzione del problema linearizzato La parte reale dell esponente λ determina l evoluzione del movimento. Se la parte reale è positiva, il movimento è instabile. Se la parte reale è negativa, il movimento è asintoticamente stabile. Se la parte reale è nulla, il movimento è stabile (secondo alcuni autori, semplicemente stabile). Dal momento che la soluzione indicata in Equazione (6.3) per la linearità del sistema è unica, e dipende dalle condizioni iniziali solo nel coefficiente moltiplicativo C, le considerazioni precedenti si applicano all intero sistema, ovvero a tutte le sue soluzioni, dal momento che fra loro si distinguono solo per il coefficiente C, che non ha alcuna influenza sulle caratteristiche di stabilità della soluzione. L esponente λ, radice del polinomio caratteristico, è dato da λ = R 2M ± R 2 In base al valore del discriminante = R2 4M 2 K M si possono distinguere tre casi. (6.8) (6.9) 4M 2 K M. (6.11) (6.12) 4 In questa trattazione si fa essenzialmente riferimento a problemi meccanici, anche se la trasposizione a problemi generici delle considerazioni svolte è, o dovrebbe essere, immediata. 6-3

86 Figura 6.1: Stabilità del pendolo. 1. Per >, le radici sono reali e distinte, e sono date dall Equazione (6.11). A seconda dei valori dei parametri, possono essere tutte positive; in ogni caso, per R/M almeno una è positiva, ma anche per R/M > si può avere una radice positiva, qualora K/M < ; in tale caso, infatti, la radice positiva del discriminante è maggiore in modulo di R/(2M). 2. Per =, le radici sono reali e coincidenti λ = R 2M. (6.13) Se R/M < sono entrambe positive e quindi la soluzione è instabile. 3. Per <, le radici sono complesse coniugate λ = R K 2M ±i M R2 4M2. (6.14) Il segno della parte reale è determinato da R/M; anche in questo caso per R/M < la soluzione è instabile Validità dello studio del problema linearizzato Lo studio della stabilità della soluzione linearizzata ha valore solamente nella misura in cui sono rispettate le ipotesi che hanno portato alla linearizzazione, ovvero: se la soluzione attorno alla quale la linearizzazione è avvenuta è di equilibrio; se l ampiezza del movimento è sufficientemente limitata da non far allontanare la soluzione dell equazione linearizzata dal bacino di attrazione della soluzione di equilibrio. Quest ultima condizione può essere decisamente critica, in quanto il suo soddisfacimento non è di agevole valutazione. Problema: pendolo. Si studi la stabilità del problema di un pendolo costituito da una massa puntiforme m, incernierata nel piano verticale ad una distanza L dall asse di rotazione, soggetta all accelerazione di gravità g e ad uno smorzamento che dà un momento R θ 2, come illustrato in figura 6.1. L equazione del moto è ml 2 θ +R θ2 +mlgcosθ = (6.15) ove si è indicato con θ l angolo che il pendolo forma rispetto all orizzontale. La soluzione di equilibrio statico è θ = π +nπ, n N (6.16) 2 6-4

87 Figura 6.2: Stabilità in presenza di attrito. Si consideri la soluzione di equilibrio θ 1 = π/2; l equazione del moto linearizzata diventa: ml 2 θ +mlg θ = (6.17) le cui radici del polinomio caratteristico sono g λ = ±i L (6.18) Si consideri ora la soluzione di equilibrio θ 2 = π/2; l equazione del moto linearizzata diventa: ml 2 θ mlg θ = (6.19) le cui radici del polinomio caratteristico sono g λ = ± L (6.2) Nel primo caso il sistema è stabile; nel secondo è instabile. È lecito supporre che attorno alla soluzione θ 1 il sistema reale abbia un comportamento smorzato, tuttavia lo studio della stabilità del sistema linearizzato non consente di affermarlo con certezza. Problema: attrito dinamico. Le forze di attrito, secondo il modello di Coulomb considerato nell ambito di questo corso, non sono linearizzabili in prossimità della condizione di equilibrio statico, se questa comporta l annullarsi della velocità relativa tra le superfici a contatto. È possibile, tuttavia, formulare problemi nei quali, ad una condizione di equilibrio definibile come statica, corrispondente in realtà ad una condizione di regime, la velocità relativa tra le superfici di contatto si mantenga costante anche se non nulla 5. Si consideri il problema in figura 6.2, posto in un piano verticale. Il nastro si muova con velocità v imposta; la velocità relativa del corpo rispetto al nastro è v r = v ẋ (6.21) La reazione normale tra massa e nastro trasportatore è pari al peso della massa, mg; la forza tangenziale dovuta all attrito, secondo quanto illustrato nel Capitolo 7, è R T = f d mg v r v r, (6.22) avendo assunto come verso positivo della forza quello di x, opposto al verso positivo della velocità relativa. Quindi l equilibrio statico, per ẋ = e ẍ =, e quindi per v r = v, si ottiene dalla relazione kx e = f d mg. (6.23) 5 Si veda, ad esempio, l analogo problema del freno a disco svolto nell introduzione del Capitolo

88 L equazione del moto è f (x,ẋ,ẍ) = mẍ kx+f d mg v r = ; (6.24) v r la sua linearizzazione attorno alla posizione di equilibrio x e = f d mg/k, ẋ e =, ẍ e = ne comporta lo sviluppo in serie, arrestato al primo ordine, rispetto alla coordinata libera x e alle sue derivate: f x = k, f ẋ = f d v r v r ẋ mg, f = m. (6.25) ẍ vr=v Dal momento che v r / ẋ = 1, si ottiene: m ẍ+ f d v r mg ẋ+k x = (6.26) A condizione che la molla abbia rigidezza k >, la stabilità dipende dal segno di f d / v r ; se si considera una curva caratteristica del coefficiente f d in funzione della velocità relativa v r come quello descritto in figura 7.3, è possibile identificare, sia a bassissima ( < v r <.2 m/s) che ad alta (v r > 5 m/s) velocità delle zone in cui il segno della derivata f d / v r diventa negativo. Se l equilibrio viene raggiunto per valori di velocità del nastro in quegli intervalli, sarà instabile. 6.4 Stabilità statica Esiste una particolare definizione di stabilità, anch essa strettamente associata al concetto di equilibrio: la cosiddetta stabilità statica. Non si tratta di una vera e propria definizione di stabilità; va piuttosto interpretata come un requisito minimo che una soluzione di equilibrio deve possedere per essere stabile in senso lato e, allo stesso tempo, come un comodo ed utile indice di prestazione di un sistema nell intorno di quella soluzione. Innanzitutto, occorre precisare che l equilibrio è un particolare tipo di movimento che non varia nel tempo y e = costante (6.27) quindi è un caso particolare della soluzione considerata nella definizione di stabilità in senso lato. Se tale soluzione esiste, la relazione f (y e,,t) = (6.28) è verificata per ogni istante di tempo. Una perturbazione di questa soluzione, in generale, dà luogo ad una soluzione che non è più di equilibrio, perché in assenza della derivata temporale ẏ si ottiene la relazione f (y e + y,,t) (6.29) ovvero una diseguaglianza. Perché l eguaglianza sia ripristinata, dovrebbe nascere una opportuna ẏ che ripristini l equilibrio dinamico. Ad esempio, se si considera il problema meccanico Mÿ +Ky =, (6.3) la posizione di equilibrio statico è data dalla soluzione di Ky = (6.31) Una perturbazione y della (6.31) rispetto alla sua soluzione di equilibrio statico y = porta a K y ; (6.32) 6-6

89 infatti, perché l equilibrio sia ripristinato, occorre, per una data perturbazione y, introdurre le forze d inerzia in accordo con la (6.3), ovvero occorre scrivere un equilibrio dinamico M ÿ +K y =. (6.33) Lo studio della stabilità statica consiste nel valutare come variano, per effetto della perturbazione della soluzione di equilibrio, le sole porzioni del sistema che dipendono dalla derivata di ordine minimo della coordinata libera; in un problema meccanico, le forze dipendenti dalla posizione. La relazione di Equazione (6.29), sviluppata in serie di Taylor attorno alla posizione di equilibrio diventa f (y e + y,,t) = f (y e,,t)+ f (y e,,t) y +o( y), (6.34) y da cui, tenendo conto dell Equazione (6.28) e trascurando i termini di ordine superiore al primo, si ottiene f (y e + y,,t) = f (y e,,t) y; (6.35) y quindi per valutare la variazione della funzione f in seguito alla perturbazione y dello stato y e è sufficiente considerare il segno della derivata parziale di f rispetto a y, a condizione che si sia assunto lo stesso verso come positivo sia per f che per y. In un problema meccanico, il significato fisico è legato al verso della variazione di f, che rappresenta una equazione di equilibrio di forza, a seguito di una perturbazione y di y, che rappresenta uno spostamento. Se la variazione di forza rispetto all equilibrio si oppone alla perturbazione di configurazione, si dice che la soluzione di equilibrio è staticamente stabile. Se la variazione di forza rispetto all equilibrio è concorde con la perturbazione di configurazione, si dice che la soluzione di equilibrio è staticamente instabile. Se la variazione di forza rispetto all equilibrio è nulla, si dice che la soluzione di equilibrio è indifferentemente stabile. Si noti che, in quest ultimo caso, la soluzione perturbata è ancora equilibrata, in quanto, dal momento che la funzione f non varia al variare della coordinata libera, la relazione f (y e + y,,t) = (6.36) è ancora verificata 6. Dallo studio della stabilità dei sistemi lineari a coefficienti costanti si ricava una interpretazione significativa del concetto di stabilità statica. Infatti, per il sistema descritto dall Equazione(6.8), la condizione di stabilità statica è data da K > ; si noti però che, dal paragrafo 6.3.2, assumendo M >, la medesima condizione è necessaria affinché le radici del polinomio caratteristico associato all Equazione (6.8), quando sono reali e distinte, siano negative. Il passaggio di una radice del polinomio caratteristico dal semipiano sinistro (stabile) a quello destro (instabile) del piano complesso può avvenire attraverso l asse immaginario lontano dall origine, quando, per K > e M >, lo smorzamento R passa da positivo a negativo, come illustrato in figura 6.3(a); oppure per l origine quando, per R >, K passa da positivo a negativo, come illustrato in figura 6.3(b). Questo secondo caso è descritto dalla condizione di stabilità statica. Dal confronto tra lo studio della stabilità della soluzione dell equazione lineare a coefficienti costanti e della sua stabilità statica appare evidente che la seconda è una condizione necessaria alla prima, ma non sufficiente. In questo senso, è corretto affermare che la stabilità statica non è una vera definizione di stabilità di una soluzione di equilibrio, in quanto il verificarsi della condizione di stabilità statica non è garanzia di stabilità ma solo un suo prerequisito. 6 A rigore, è verificata al primo ordine, ovvero f (y e + y,,t) = o( y) (6.37) 6-7

90 (a) Con M >, per K >, quando R passa da positivo a negativo. (b) Con M >, per R, quando K passa da positivo a negativo. Figura 6.3: Transizione da stabilità ad instabilità al variare di parametri del sistema. 6.5 Regime assoluto Va sotto il nome di regime assoluto il moto di un sistema che non dipende dalla coordinata libera ma solo dalle sue derivate a partire da un dato ordine; ad esempio, per un sistema meccanico, si parla di regime assoluto quando non sono presenti forze dipendenti dalla posizione, per cui la derivata prima della posizione è la derivata di ordine minimo da cui dipendono le forze agenti sul sistema, quando questa derivata assuma un valore costante. Un esempio è dato da un corpo in moto in un fluido in equilibrio a velocità costante, per quanto concerne la posizione, oppure dal moto delle tipiche macchine rotative in condizioni di velocità angolare costante. In questo caso, il problema descritto dall Equazione (6.5) diventa f (ẏ,ÿ,t) = (6.38) per cui, una volta linearizzato, dall omogenea associata si ottengono le radici del polinomio caratteristico λ = { R/M, (6.39) ove M e R sono state definite in precedenza. Si noti che una delle due radici è sempre nulla, ovvero il problema è staticamente indifferente. Non bisogna però confondere la stabilità indifferente di questa soluzione con una condizione critica, legata ad esempio all avvicinarsi di una soluzione al limite di stabilità statica. Infatti, in questo caso la stabilità del sistema è strutturalmente indifferente, in quanto il problema è retto in realtà da un equazione del primo ordine anziché del secondo, quindi in realtà è più corretto descriverne il comportamento utilizzando la velocità come incognita primaria, riducendolo così ad un problema differenziale del primo ordine. Problema: particella in moto in un fluido. Si studi la stabilità del moto di una particella di massa m immersa in un fluido che esercita su di essa una forza viscosa rż che si oppone al moto. L equazione di equilibrio della particella in direzione verticale è m z +rż = mg (6.4) Si consideri la soluzione di equilibrio, nel senso di regime assoluto, ż = mg/r. Il sistema è lineare a coefficienti costanti, quindi la sua stabilità si studia mediante le radici del polinomio caratteristico: λ = { r/m, (6.41) ovvero la soluzione è stabile se r/m >. 6-8

91 Lo studio della stabilità statica del problema dà un risultato del tutto equivalente: riscrivendo il sistema al primo ordine nella componente verticale della velocità, w = ż, e considerando le sole forze nella derivata di ordine minimo w, f = rw +mg = (6.42) si verifica che la condizione di stabilità statica f/ w < è soddisfatta per r >, ove per definizione m >. 6.6 Stabilità statica ed energia potenziale (Ovvero: come non rispondere all esame quando viene chiesto di spiegare che cosa si intende per stabilità statica). Nel corso di Meccanica Razionale, lo studio della stabilità di una soluzione di equilibrio viene presentato nell ambito di sistemi conservativi a vincoli fissi, in cui l energia meccanica totale si conserva, ed il cui moto si manifesta sotto forma di trasferimento di energia da potenziale a cinetica e viceversa. In questi casi, lo studio della stabilità statica consente di giungere a considerazioni generali sulla stabilità del problema, in quanto la stabilità statica, che ricordiamo è una condizione necessaria per la stabilità della soluzione, diventa anche condizione sufficiente. In tale ambito, la ricerca della soluzione di equilibrio avviene attraverso la ricerca delle soluzioni per le quali l energia potenziale del sistema è stazionaria, mentre lo studio della stabilità statica consiste nel determinare se il punto stazionario è un minimo (stabile) o un massimo o un flesso (o sella per i sistemi a più gradi di libertà, instabile). Per tale studio, in genere, si ricorre all uso della matrice Hessiana, ovvero della derivata seconda dell energia potenziale rispetto alle coordinate libere del problema. Senza nulla togliere alla validità di questa trattazione, è fondamentale sottolineare come il concetto di stabilità statica abbia valore indipendentemente dall esistenza dell energia potenziale, in quanto si applica a soluzioni di problemi qualsiasi, anche non conservativi. Per questo motivo è fondamentale non associare automaticamente il concetto di stabilità statica alla derivata seconda dell energia potenziale, così come è fondamentale non associare automaticamente il concetto di equilibrio alla derivata prima dell energia potenziale. In un generico problema meccanico, che senza nulla togliere alla generalità viene scelto lineare nelle forze puramente meccaniche, l energia cinetica ha la forma E c = 1 2 Mẏ2, (6.43) mentre l energia potenziale ha la forma E p = 1 2 Ky2. (6.44) Se è presente anche una sollecitazione attiva Q y = Q y (y,t), (6.45) l equazione del moto che ne risulta è ovvero d E c dt ẏ E c y + E p y = Q y, (6.46) Mÿ +Ky = Q y (y,t). (6.47) La determinazione della soluzione di equilibrio, se esiste, si ottiene dalla relazione E p y = Q y, (6.48) 6-9

92 Figura 6.4: Sistema meccanico ad un grado di libertà. ovvero Ky = Q y (y,t), (6.49) mentre lo studio della stabilità statica si ottiene valutando il segno della relazione ovvero f y = 2 E p y 2 + Q y y, (6.5) f y = K + Q y y. (6.51) Come si può notare, la matrice Hessiana partecipa in quanto, essendo richiesta la derivata parziale della forza rispetto alla coordinata libera, ed essendo la forza conservativa l opposto della derivata parziale dell energia potenziale rispetto alla coordinata libera, lo studio della stabilità statica viene a richiedere la derivata seconda dell energia potenziale. Tuttavia, la presenza delle forze non conservative Q y rende necessario considerare altri contributi alla stabilità statica, per cui la matrice Hessiana fornisce solo una parte dell informazione richiesta. Al contrario, le forze conservative possono essere espresse direttamente nella forza generalizzata Q y anziché attraverso l energia potenziale, qualora non si ritenga necessario tenerne in conto la conservatività. Quindi, la matrice Hessiana dell energia potenziale può essere utilizzata per concorrere allo studio della stabilità statica di un problema meccanico, ma il concetto di stabilità statica, così come il suo studio, non dipendono in alcun modo dalla conoscenza o dall esistenza stessa della matrice Hessiana. Problema: sistema meccanico ad un grado di libertà. Sia dato il sistema meccanico ad un grado di libertà di figura 6.4, costituito da una massa m e da una molla k collegata al terreno, a cui è applicata una forza f. L energia cinetica è E c = 1 2 mẋ2, (6.52) mentre l energia potenziale è E p = 1 2 kx2. (6.53) Il lavoro associato alla forza è δl = δxf (6.54) L equazione del moto è ovvero d E c dt ẋ E c x + E p x = Q x (6.55) mẍ+kx = f (6.56) 6-1

93 Figura 6.5: Sistema meccanico ad un grado di libertà in un sistema rotante. La soluzione di equilibrio è x = f/k. Lo studio della stabilità statica è possibile mediante lo studio della matrice Hessiana, in quanto il sistema è soggetto a sole forze di natura conservativa e a vincoli fissi: H = 2 E p x 2 = k Il sistema risulta staticamente stabile se k >. (6.57) Problema: sistema meccanico ad un grado di libertà in rotazione. Si consideri il sistema definito nel problema precedente, in cui il sistema di riferimento ruoti rispetto all origine a velocità angolare Ω costante, come illustrato in figura 6.5. La velocità relativa della massa è v r = ẋ (6.58) mentre quella di trascinamento è v t = Ωx (6.59) e sono tra loro perpendicolari; ne risulta un energia cinetica E c = 1 2 m( ẋ 2 +Ω 2 x 2) (6.6) mentre l energia potenziale ed il lavoro della forza esterna sono immutati rispetto al problema precedente. L equazione del moto è mẍ+ ( k Ω 2 m ) x = f (6.61) È possibile definire una condizione di equilibrio rispetto alla variabile cinematica x, dal momento che l equazione del moto non dipende esplicitamente dal tempo, mentre la velocità angolare del riferimento mobile è costante per ipotesi. La soluzione di equilibrio è x = f/ ( k Ω 2 m ) ed è definita solo per Ω k/m; inoltre, per Ω > k/m, il sistema risulta staticamente instabile. In questo caso, la matrice Hessiana non può essere usata perché il sistema è soggetto a vincoli mobili. 6.7 Applicazioni Il problema dello studio della stabilità delle soluzioni e, attraverso la linearizzazione dei problemi attorno a soluzioni di equilibrio, lo studio della stabilità dei sistemi lineari, è di importanza fondamentale nell ingegneria. Gli studenti di Ingegneria Aerospaziale incontrano questi problemi e queste tematiche in molti corsi, spesso presentate in modo diverso da quanto illustrato in queste note perché ogni disciplina può avere basi, terminologia e problemi specifici. 6-11

94 Questo non può esimere lo studente attento dal cogliere il filo comune e le analogie, oltre alla sostanziale comunanza di metodo, che caratterizza lo studio della stabilità indipendentemente dal problema a cui si applica. La stabilità dei sistemi lineari viene affrontata in modo esaustivo nell ambito del corso di Automatica, in riferimento sia a sistemi dinamici generici che ai sistemi con controllo in retroazione. La stabilità statica viene utilizzata in Scienza delle Costruzioni I (o Fondamenti di Meccanica Strutturale) per studiare la stabilità dell equilibrio delle strutture; l applicazione di riferimento è la trave di Eulero caricata a compressione. Nel corso di Strutture Aerospaziali, il problema viene arricchito introducendo i concetti di stabilità degli elementi sottili, travi e pannelli, e il concetto di instabilità locale delle travi in parete sottile. In meccanica del volo vengono utilizzati i concetti sia di stabilità statica, per verificare la stabilità dell equilibrio statico del velivolo, che i concetti fondamentali di stabilità dinamica : nel piano di simmetria, il moto fugoide e quello di corto periodo, e le loro relazioni con la qualità del volo. Nel corso di Dinamica dei Sistemi Aerospaziali, oltre alla introduzione dei problemi di vibrazione dei sistemi meccanici, il concetto di stabilità statica viene applicato al moto assoluto delle macchine ad un grado di libertà e alla divergenza aeroelastica delle superfici aerodinamiche, mentre il concetto di stabilità viene applicato alla dinamica dei sistemi con un cenno alla stabilità aeroelastica delle superfici aerodinamiche. In corsi successivi, e nella laurea specialistica, i concetti legati alla stabilità assumono una importanza fondamentale. Come si può notare, l argomento è fondamentale e interdisciplinare; viene affrontato in numerose occasioni, sempre in relazione ad una sua applicazione pratica a problemi essenziali dell Ingegneria ed in particolare dell Ingegneria Aerospaziale. 6-12

95 Capitolo 7 Azioni mutue tra elementi di macchine Parte I Generato il 1 settembre 212 In ogni sistema meccanico, durante il suo funzionamento, nascono dei movimenti relativi tra i membri che lo compongono e, inoltre, la macchina stessa o parti di essa si muovono rispetto all ambiente circostante. Questi fenomeni assumono grande importanza nello studio del comportamento dinamico e i loro effetti sono studiati riconducendoli a due distinte tipologie di contatto, ovvero: contatto tra solido e solido; contatto fra solido e fluido. I due principali fenomeni legati all aderenza tra solidi sono l attrito e l usura. Il primo si manifesta come resistenza o impedimento al moto relativo tra le parti a contatto. Ciò può costituire uno svantaggio quando diviene fonte di perdita di potenza tra i membri che devono essere mantenuti in movimento (attrito nei supporti, nelle tenute, ecc.); viceversa, in alcuni casi diventa un fattore essenziale per il funzionamento delle macchine (come nel contatto ruota-rotaia e pneumatico-strada, ovvero in organi quali i freni e le frizioni, le giunzioni forzate e imbullonate, ecc.). L usura si manifesta invece come un abrasione progressiva di materiale dalle superfici di due corpi in moto relativo, che ha luogo nelle superfici stesse. L usura può essere un fattore utile (ad esempio nelle lavorazioni tecnologiche di finitura) o, come accade in generale, causare un progressivo degrado dell accoppiamento tra le parti a contatto. Dal punto di vista cinematico possiamo distinguere, almeno macroscopicamente, contatti di rotolamento, strisciamento e urto. Si osserva come nel caso di rotolamento il moto relativo al contatto è nullo (almeno limitandoci ad un punto di vista macroscopico). Nello strisciamento è invece presente una componente di velocità relativa lungo la tangente comune alle superfici di contatto tra i due corpi, mentre nell urto è presente anche una componente normale della velocità relativa. Dal punto di vista geometrico è possibile effettuare un ulteriore classificazione, distinguendo contatti puntiformi, lineari e superficiali, a seconda che l ente geometrico in comune tra i solidi sia, nell ipotesi di corpi indeformabili, un punto (per esempio una sfera a contatto su un piano), una linea (la generatrice di un cilindro a sezione circolare su un piano), o un intera superficie (una faccia di un prisma su un piano). 7.1 Attrito di strisciamento nei solidi a contatto Si definisce come attrito la resistenza al moto che si manifesta quando un corpo striscia su un altro. Tale azione di resistenza agisce secondo la direzione del moto relativo, ma in verso opposto, e viene indicata come forza di attrito. La forza di attrito che è necessario vincere per iniziare un moto di strisciamento, a partire da uno stato di quiete, è detta forza di attrito statico, mentre quella necessaria a mantenere il moto di strisciamento tra due corpi è detta forza di attrito dinamico (o cinetico). La forza di attrito 7-1

96 Figura 7.1: Rappresentazione pittorica della superficie di contatto tra due corpi. dinamico è in generale inferiore a quella statica. Nel contatto tra solidi si è sempre in presenza di una superficie nominale di contatto che, nel caso di superfici conformi, corrisponde alla superficie in comune tra i due corpi, mentre nel caso di superfici non conformi, è una conseguenza dell elasticità dei corpi a contatto e dell azione che li preme uno contro l altro. Una delle teorie più accreditate è quella della micro-saldatura fra le parti effettivamente a contatto, la cui superficie complessiva è una piccolissima frazione di quella apparente di contatto, come illustrato in figura 7.1. In seguito alla compressione mutua e alle conseguenti deformazioni plastiche ed elastiche, le zone deformate, fra le quali può verificarsi una vera e propria saldatura, si estendono proporzionalmente alla forza che preme i corpi l uno contro l altro e indipendente dalla superficie apparente di contatto. Consideriamo il caso in cui tra i due corpi a contatto non vi sia moto relativo. L esperienza mostra che se applichiamo a uno dei due corpi una forza F, anche non perpendicolare al piano, questo resta fermo finché la componente F t non supera in modulo un certo valore Ft, ovvero F t < F t. Possiamo perciò dire che il piano è in grado di esercitare una reazione R avente una componente R t tangente al piano di valore massimo in modulo R t = F t, capace di opporsi all azione di F t che tenderebbe a muovere il corpo rispetto al piano di appoggio. Dalle esperienze di Coulomb, risulta che R t = f a R n (7.1) ove R n è la componente normale della reazione, avendo assunto R n > quando si ha contatto; f a è il coefficiente di aderenza (o attrito statico) dipendente dalla natura e dallo stato delle superfici a contatto, indipendente entro ampi limiti dall estensione dell area apparente di contatto. Per cui, affinché non vi sia moto relativo tra le superfici, deve valere che R t R t (7.2) Perché lo strisciamento fra i due corpi possa avere inizio, la componente tangenziale della reazione deve avere un valore in modulo pari al valore massimo R t. Ciò significa, facendo riferimento alla teoria delle micro-saldature, che esse si debbono rompere e, per conseguenza: R t = τ max A eff (7.3) dove si assume un comportamento perfettamente plastico del materiale, per il quale lo sforzo raggiunge il valore massimo di plasticizzazione su tutta la sezione e lo mantiene indipendentemente dall entità della 7-2

97 Figura 7.2: Attrito statico. deformazione; ma A eff = R n σ max (7.4) quindi R t = τ max σ max R n = f a R n (7.5) che evidenzia la ricordata indipendenza dall estensione della superficie apparente di contatto, e la dipendenza dalle sole caratteristiche del materiale. Se la reazione tangente richiesta è maggiore di quella massima sviluppabile dal vincolo in base al coefficiente di attrito, allora si ha l innesco del moto relativo di strisciamento, abbandonando la condizione di aderenza. Se infatti: R t > R t = f a R n (7.6) il corpo si mette in moto rispetto alla superficie d appoggio, ovvero accelera, nella direzione della reazione R t, ma con verso opposto. Non appena in movimento, la componente tangenziale della reazione vale: R t = f ( v )R n v v (7.7) diretta in verso opposto a quello della velocità relativa v (la funzione v/ v rappresenta un versore, ovvero un vettore di modulo unitario diretto come v). Il coefficiente di attrito dinamico (o cinetico) f ( v ) è anch esso dipendente dallo stato e dalla natura delle superfici a contatto, e sempre indipendente dall estensione dell area apparente di contatto. Normalmente, in prima approssimazione, si trascura la sua dipendenza dalla velocità relativa e si assume f costante. L indipendenza di f dalla velocità relativa è ammissibile entro limiti non troppo ampi, come illustrato in figura 7.3. Dopo una brusca diminuzione passando da velocità relativa nulla (attrito statico) a velocità relative piccolissime, dell ordine di qualche millimetro al secondo, subisce poi un sensibile aumento al crescere della velocità relativa fino a valori di circa.3 m/s. Per velocità relative maggiori, fino a circa 5 m/s, il coefficiente d attrito rimane praticamente costante. Oltre quella velocità relativa il coefficiente di attrito tende nuovamente a decrescere, diminuzione che diventa notevole a forti velocità relative. Le leggi utilizzate per considerare i fenomeni di attrito sono di origine empirica; sono state individuate da Amonton (1699) e successivamente perfezionate da Coulomb (1785). Possono essere sintetizzate come segue: l attrito è indipendente dall estensione dell area apparente di contatto; la forza limite di attrito statico, e la forza di attrito in condizioni di strisciamento, sono proporzionali alla forza normale che tiene i corpi a contatto; l attrito dinamico è indipendente dalla velocità di strisciamento, con le limitazioni sopra chiarite. 7-3

98 Figura 7.3: Coefficiente di attrito dinamico f in funzione del modulo della velocità relativa. Le(7.6, 7.7) valgono solamente se le superfici a contatto sono piane; la(7.7) richiede inoltre che la velocità sia costante in modulo, direzione e verso. Se tali ipotesi non sono verificate, allora le relazioni (7.6, 7.7) valgono per le sole componenti di forza infinitesime: dr t fa dr n (7.8a) d R t = fdr n v da v da (7.8b) ove da è l area di contatto infinitesima (da = da n è un vettore avente modulo pari a da e direzione normale all area stessa), v da è la velocità relativa di strisciamento e dr n è la componente della reazione normale all area da (e quindi parallela a da) e agente su di essa; le forze infinitesime sono ( dr n = σda ) n (7.9a) dr ( t = σda ) ndr n (7.9b) ovvero rappresentano il prodotto del tensore degli sforzi a cui è soggetto il materiale al contatto per l area di contatto infinitesima, nell ipotesi di contatto continuo. La potenza dissipata per attrito vale W r(attrito) = v da dr = v da dr t = A A A v da v da v da fdr n = v da fdr n, (7.1) A nell ipotesi che, per un vincolo unilatero, deve valere la relazione dr n. Altrimenti, se il vincolo è bilatero, si usa dr n. Nel caso in cui la velocità sia uniforme, W r(attrito) = v A d R = R v = R t v = fr n v v v = fr n v. (7.11) Questo contributo di potenza è da annoverare nell espressione della somma delle potenze nel Teorema dell energia cinetica Π = dt dt come richiamato nel Capitolo (7.12)

99 Figura 7.4: Perno rotante. Al fine di chiarire come la (7.7) valga solamente nel caso di strisciamento a velocità relativa costante tra due superfici piane, si consideri il perno spingente di figura 7.4, ruotante con velocità angolare ω costante attorno al proprio asse e premuto su una superficie piana, immobile, da una forza assiale N. Ogni punto della superficie d appoggio del perno è dotato di velocità assoluta in modulo proporzionale alla distanza r dall asse di rotazione e di direzione tangente alla rispettiva traiettoria circolare: v(r) = ω r (7.13) il cui modulo è v(r) = ωr. Scrivendo l equilibrio alla traslazione in direzione verticale si ottiene N = R n = dr n = p da (7.14) A A dove p è la pressione di contatto, funzione del solo raggio r per l ovvia simmetria assiale del problema, ma R t = dr t = fr n (7.15) A Esercizio 7.1 Considerando la (7.8b) con la velocità espressa dalla (7.13), si verifichi la (7.15). 7.2 Usura nel contatto tra solidi Richiamando le tre cause che possono portare alla messa fuori servizio di una macchina (rottura, obsolescenza ed usura), si può osservare che: la rottura di elementi di macchine è un evento non frequente, che può essere dovuto a difetti del materiale o al fatto che il sistema sia assoggettato a carichi maggiori rispetto a quelli di progetto; l obsolescenza, ossia l invecchiamento dovuto alla comparsa sul mercato di macchine in grado di effettuare la medesima funzione in modo più conveniente (sia dal punto di vista della velocità di esecuzione, sia del risparmio dell energia impiegata), interviene, in genere, dopo anni di funzionamento; l usura è connaturata all esercizio stesso della macchina, provocandone un decadimento della funzionalità, e non sempre in misura proporzionale al trascorrere del tempo. Di solito, infatti, i fenomeni di usura mostrano un tasso di crescita più elevato man mano che il livello globale di usura cresce. L usura si manifesta attraverso: 7-5

100 aumento dei giochi negli accoppiamenti con conseguenti imprecisioni nel movimento e aumento della rumorosità; possibile comparsa di fenomeni di urti microscopici e conseguenti vibrazioni e sovraccarichi dinamici; possibile aumento del tasso di usura stesso, sopra citato, a causa dell incremento delle azioni scambiate tra i corpi a contatto, oltre che a causa dell abrasione delle superfici di contatto. Un modello elementare di usura (Ipotesi di Reye) definisce il rateo di asportazione di materiale per logoramento come proporzionale al lavoro dissipato per attrito nell unità di tempo Esempio: distribuzione di pressione su un perno rotante L ipotesi di Reye può essere utilizzata al contrario, per determinare la distribuzione radiale della pressione su un disco rotante, in base a semplici considerazioni cinematiche. Si consideri l esempio precedente relativo ad un perno rotante attorno alla normale ad una superficie piana contro cui è premuto (figura 7.4). Su un elemento da della superficie di contatto, su cui agisce la pressione p, si ha una forza normale pda e perciò, durante il moto, una componente tangenziale fpda, con f supposto noto e indipendente dalla velocità. Se v è la velocità di strisciamento, il lavoro perduto nell unità di tempo vale: dπ = fpvda (7.16) Se h è lo spessore asportato sull elemento per logoramento nell unità di tempo 1, il volume asportato nell unità di tempo risulta hda; per la proporzionalità affermata dal Reye, detto k un coefficiente di usura dipendente dai materiali di cui sono costituite le due parti e dalle condizioni di lavoro, risulta: hda = kfpvda (7.17) Nel caso del perno spingente risulta quindi: h = kfpv = kfpωr (7.18) e poiché nell ipotesi che si usuri solamente il perno, e quindi la sua superficie a contatto con il piano si mantenga a sua volta piana, lo spessore di materiale asportato nell unità di tempo risulta costante e indipendente dalla posizione sulla superficie, si ha: kfpωr = h = costante p(r) = h kfωr = k r (7.19) Esempio: innesto a frizione Come applicazione di quanto detto, si consideri un innesto a frizione, illustrato in figura 7.5, tipicamente utilizzato in veicoli spinti da motori a combustione interna, in quanto: i motori a combustione interna non possono avviarsi sotto carico e devono essere mantenuti, durante l avviamento del veicolo, a un regime di velocità angolare superiore a un dato valore minimo; inoltre occorre poter fermare il veicolo stesso senza dover necessariamente fermare il motore; qualora sia presente un cambio di velocità, il passaggio da una marcia all altra va fatto mentre la trasmissione non trasmette coppia, in quanto occorre accoppiare alberi inizialmente rotanti a velocità diverse. 1 Ovvero la velocità di asportazione del materiale. L ipotesi di Reye può essere espressa in forma differenziale: la portata di materiale asportato è proporzionale alla potenza dissipata dalle forze d attrito; oppure in forma integrale: il volume di materiale asportato è proporzionale al lavoro (negativo) compiuto dalle forze d attrito. 7-6

101 Figura 7.5: Innesto a frizione. Tali esigenze sono soddisfatte dagli innesti a frizione, che permettono di trasmettere una data coppia motrice tra due alberi coassiali rotanti a velocità angolari differenti. Al fine di realizzare un innesto a frizione, vengono utilizzate le forze d attrito che nascono tra due superfici rotanti (a a 1 e b) rispettivamente solidali con l albero motore e con quello comandato, premute l una contro l altra dallo spingidisco a 1. Tale pressione è generalmente data da molle opportunamente precaricate ed è necessario che la pressione sia tale da poter trasmettere una coppia superiore a quella massima erogata dal motore. È necessario, d altronde, che: l innesto possa funzionare come giunto di sicurezza evitando che, in caso di frenatura d urgenza con motore innestato, si possano trasmettere all albero motore decelerazioni troppo grandi; la differenza tra la coppia che l innesto trasmette slittando e la coppia motrice non sia troppo grande per evitare grandi rallentamenti nel motore durante la fase di avviamento del veicolo. Al fine di determinare la coppia trasmessa per attrito, indicato con A 2 il precarico dato dalle molle, la pressione p agente su una faccia del disco b solidale con l albero di trasmissione risulta essere pari a: re A 2 = p da = 2πpr dr (7.2) r i A Secondo la (7.19), la distribuzione di pressione è inversamente proporzionale al raggio. Si ha quindi A 2 = re r i 2π k r r dr = 2πk (r e r i ) (7.21) da cui, nota la forza A 2 applicata dal pilota e le dimensioni del disco: k = A 2 2π(r e r i ) (7.22) Nel moto relativo tra i dischi, a causa dell attrito definito dal coefficiente f supposto costante, si genera quindi un momento M r opposto alla velocità angolare ω del motore ( ) ω r re M r = r fp da = 2πf k r 2 ω ω r r i r r ω rdr = fπk ( re 2 ri 2 ) ω ω, (7.23) A 7-7

102 ove si è sfruttato il fatto che, secondo la (A.8d), r ( ω r) = r 2 ω quando r ω =. Tale momento, di ampiezza M r = fπk ( re 2 ri) 2, può essere interpretato come conseguenza di una forza tangenziale fittizia 2, di modulo pari a fa 2 e quindi proporzionale alla forza normale esercitata tra il disco e la campana, avente un braccio equivalente R eq R eq = M ( r = fπk r 2 e ri) 2 fa 2 f2πk (r e e i ) = (r e r i )(r e +r i ) = r e +r i (7.24) 2(r e r i ) 2 pari al raggio medio del disco. Manovra d innesto Si consideri la manovra di innesto, all inizio della quale il motore è in movimento con velocità angolare ω e l utilizzatore è fermo, per arrivare ad una condizione in cui essi ruotano entrambi alla stessa velocità angolare e quindi non c è più strisciamento. Quindi, inizialmente il sistema ha due gradi di libertà mentre, al termine della manovra, il sistema ha un solo grado di libertà, in quanto la condizione di non strisciamento tra disco e campana della frizione introduce il vincolo cinematico di uguaglianza tra le velocità angolari del motore e dell utilizzatore. Al fine di semplificare la trattazione del problema, si assume che il motore eroghi una coppia M m costante, indipendentemente dal valore della valocità angolare ω m, e che ogni accoppiamento tra parti della frizione in moto relativo trasmetta una coppia M r costante, ovvero che la forza normale A 2 scambiata si mantenga costante. Nell esempio illustrato in figura 7.5, la coppia scambiata tra i due alberi è in realtà M r = 2M r, dal momento che ci sono due facce di accoppiamento tra il disco e la campana della frizione. Dinamica dell utilizzatore prima dell innesto Si consideri innanzitutto il sistema composto dall utilizzatore, dall albero di trasmissione e dal disco della frizione; dall applicazione del teorema dell enegia cinetica si ricava M rω u M u ω u = J u ω u ω u (7.25) avendo indicato con M u e J u, rispettivamente, la coppia e il momento d inerzia del veicolo ridotti all albero sul quale è calettato il disco della frizione che ruota con velocità angolare ω u, ovvero M u ω u = i = i (F i v i +M i ω i ) (7.26) (F i R i +M i τ i )ω u (7.27) e dt u dt = d dt = d dt = i ( 1 2 ( 1 2 i ( mi vi 2 +J i ωi 2 ) ) (7.28) ) ( mi Ri 2 +J i τi 2 ) ω 2 u i (7.29) ( mi Ri 2 +J i τi 2 ) ωu ω u (7.3) = J u ω u ω u (7.31) ove si sono indicati con m i e J i rispettivamente le masse e le inerzie delle parti in movimento, con F i e M i rispettivamente le forze e le coppie attive, mentre R i e τ i rispettivamente indicano i rapporti di trasmissione tra la velocità dell utilizzatore ω u e le rispettive velocità di traslazione v i e di rotazione ω i 2 Si badi bene: questa interpretazione si basa solo su considerazioni di tipo dimensionale; come mostrato dalla (7.15), la risultante delle forze tangenziali agenti sul disco è esattamente zero. 7-8

103 Figura 7.6: Velocità dell utilizzatore durante la manovra di innesto della frizione. Figura 7.7: Innesto a frizione dettaglio del disco. delle varie parti. Il momento d inerzia ridotto J u tiene conto solo della massa del veicolo e del momento d inerzia delle ruote e degli organi di trasmissione. L accelerazione del disco della frizione è quindi ω u = M r M u J u (7.32) e la conseguente legge del moto del veicolo, supposto inizialmente fermo e considerando M u costante, è ω u (t) = M r M u t J u (7.33) Ne risulta un andamento lineare a partire da velocità ω u nulla, come illustrato in figura 7.6, la cui pendenza è direttamente proprozionale alla coppia M r trasmessa dalla frizione, che per l utilizzatore funge da coppia motrice; tale coppia deve essere superiore ala coppia resistente M u affinché la velocità cresca. Dinamica del motore prima dell innesto Applicando quindi il teorema dell energia cinetica al sistema composto dal motore e dalla campana della frizione si ottiene M m ω m M rω m = J m ω m ω m (7.34) Poiché si vuole portare il disco (figura 7.7) e la campana (figura 7.8) alla stessa velocità di rotazione, è opportuno che la velocità angolare del motore non aumenti; in tale caso, occorre far sì che il momento 7-9

104 Figura 7.8: Innesto a frizione dettaglio della campana. Figura 7.9: Velocità del motore durante la manovra di innesto della frizione. M r applicato dalla frizione all albero motore sia maggiore della coppia massima erogata dal motore 3 ; di conseguenza, quest ultimo decelera con una accelerazione negativa pari a: ω m = M m M r J m (7.35) Conseguentemente, supponendo M m costante e integrando la (7.35) a partire dalla condizione di velocità angolare iniziale del motore pari a ω, la legge del moto del sistema fisico composto dal motore e dalla sola campana della frizione risulta essere ω m (t) = ω M r M m J m t (7.36) come illustrato dalla figura 7.9, dalla quale si nota che se la velocità angolare iniziale del motore è troppo piccola, o troppo grande è la differenza tra la coppia erogata e quella applicata dalla frizione, la decelerazione può portare il motore a spegnersi. 3 Si ricordi che la coppia massima che la frizione può sviluppare è proporzionale alla forza normale applicata tra disco e campana, a meno di una piccola dipendenza di f dalla velocità. La forza normale, a sua volta, dipende dal precarico delle molle che mantengono premuti fra loro i due corpi. In generale, se la coppia massima erogabile dal motore supera la coppia massima trasmissibile dalla frizione in condizione di slittamento, la trasmissione non può funzionare correttamente perché in tali condizioni la frizione non può giungere alla condizione di non strisciamento. 7-1

105 Figura 7.1: Velocità di motore ed utilizzatore durante e al termine della manovra di innesto della frizione. Dinamica del sistema dopo l innesto Dopo un tempo t 1, detto tempo d innesto, le due velocità angolari saranno eguali; da tale condizione si ricava il tempo t 1 = M r ( ) J m J u ω ( Mm + M ); (7.37) u J m J u la frizione si comporterà quindi come un collegamento rigido, e la legge del moto del veicolo varrà ω m (t) = ω u (t) = ω m (t 1 )+ M m M u J m +J u (t t 1 ) (7.38) Tale legge vale se non vi è slittamento tra disco e campana della frizione, ovvero se sono verificate entrambe le equazioni: M max = 2f a A 2 R eq > M m (ω) J m ω M max = 2f a A 2 R eq > M u (ω)+j u ω (7.39) dove M max rappresenta il momento massimo che la frizione riesce a trasmettere in condizioni di slittamento incipiente. Si noti che la potenza dissipata durante l avviamento è Π = M r(ω m ω u ) (7.4) che corrisponde all area tratteggiata in figura 7.1. Si noti che: durante il transitorio d innesto gli organi della trasmissione sono sollecitati da un momento torcente M r maggiore della coppia M m erogata dal motore; siccome ciò deve essere possibile anche se M m è la coppia massima erogata dal motore, questo spiega le possibili rotture in fase di partenza, se gli organi di trasmissione sono dimensionati per M m massimo anziché per M r massimo; l aumento del momento M r trasmesso durante la fase di slittamento riduce il tempo d innesto a vantaggio delle prestazioni; la riduzione di J m e J u migliora le accelerazioni; aumentando il momento trasmesso dalla frizione in fase d innesto si ha un incremento della potenza dissipata con corrispondente incremento della temperatura del materiale d attrito e, tipicamente, una conseguente riduzione del coefficiente f. 7-11

106 Figura 7.11: Schema di contatto ruota-strada per ruota deformbile 7.3 Resistenza al rotolamento Con il termine resistenza al rotolamento (talora impropriamente indicato come attrito volvente) si definisce la resistenza incontrata da un corpo che rotoli senza strisciare macroscopicamente sulla superficie di un altro corpo. L esperienza, infatti, indica che per mantenere, ad esempio, una ruota in moto a velocità costante, anche in assenza di azioni resistenti attive, è necessario applicare delle azioni motrici, realizzate tramite coppie applicate alle ruote o forze al centro ruota. In varie applicazioni in campo ingegneristico, la potenza dissipata associata a questa forma di resistenza non può essere sempre trascurata. Si darà qui una spiegazione qualitativa del fenomeno, che in realtà è molto complessa e legata alla deformabilità dei corpi, indicando la procedura per includere tali effetti negli schemi di calcolo utilizzati per i corpi rigidi. Se i corpi fossero continui e perfettamente rigidi, quali si suppongono in schemi di prima approssimazione, nel rotolamento puro di un corpo su un altro, ammesso che le forze agenti tra i due corpi passino sempre per i punti di contatto, non si dovrebbe avere, per effetto di tale moto relativo, dispersione alcuna di energia meccanica. Infatti, essendo nullo, per la definizione stessa di rotolamento, il moto istantaneo tra i punti di contatto, le forze agenti tra i due corpi con linee d azione passanti per detti punti eseguono lavoro nullo. Anche se i corpi non fossero rigidi, ma perfettamente elastici, il rotolamento non darebbe dispersione di energia, perché l energia spesa per produrre la deformazione negli elementi che vengono successivamente a contatto sarebbe eguale a quella restituita da quelli che abbandonano il contatto. In realtà, i corpi reali non sono perfettamente elastici, con l effetto di far diminuire i valori che le forze elastiche assumono, nell intervallo in cui il corpo tende a riprendere la forma primitiva, rispetto ai valori che esse avevano, per il medesimo valore di deformazione, nell intervallo in cui questa aumentava. La distribuzione reale delle pressioni assume quindi l andamento (b), rispetto a quello simmetrico (a) del caso di perfetta elasticità. La risultante R n delle pressioni passa per un punto C 1 spostato nel verso del moto di una quantità u legata dalla relazione u = f v r al coefficiente di resistenza al rotolamento f v. È possibile a questo punto determinare la potenza perduta per rotolamento da prendere in considerazione nel teorema dell energia cinetica: W r = R n uω = f v R n v (7.41) essendo ω la velocità angolare della ruota, e v la velocità di avanzamento del centro ruota. 7-12

107 Figura 7.12: Schema di contatto ruota-strada: diagramma di carico Figura 7.13: Coefficiente di resistenza al rotolamento. 7-13

108 Figura 7.14: Schema di funzionamento della ruota strada Misura del coefficiente di resistenza al rotolamento Il coefficiente di resistenza al rotolamento è in genere funzione della velocità di marcia (diagramma sperimentale), normalmente approssimato con l espressione f v = f +Kv 2 (7.42) Qualora il campo di velocità lo permetta, viene ritenuto costante. Ruota strada Al fine di rilevare sperimentalmente il coefficiente di resistenza al rotolamento ad esempio di pneumatici, le più semplici macchine di prova sono quelle che utilizzano la cosiddetta ruota strada, ovvero una superficie cilindrica sulla quale la ruota viene fatta rotolare. Le condizioni reali di funzionamento del pneumatico sono intermedie tra i risultati ottenuti con i due tipi di macchina, e i risultati sono tanto più attendibili quanto più è alto il rapporto tra i raggi della ruota strada e del pneumatico. Per la misura del coefficiente di resistenza al rotolamento si può portare il complesso ruota-ruota strada a una velocità prestabilita per poi lasciare che il sistema proceda per inerzia disinnestando i motori. Applicando il bilancio di potenze al sistema si ottiene, nota la curva caratteristica del momento resistente M s (ω s ) applicato alla ruota strada e trascurando il momento resistente applicato al cerchio con pneumatico, avremo M s (ω s )ω s f v Zr ω = J s ω s ω s +J ωω (7.43) dove il pedice ( ) s si riferisce alle grandezze della ruota strada, r è il raggio di rotolamento sotto carico del pneumatico e Z è il carico verticale applicato zavorrando la ruota dotata di pneumatico. Ricordando per le ipotesi di rotolamento che r s ω s = r ω (7.44) otteniamo: da cui: M s (ω s ) r r s ω f v Zr ω = J s M s (ω s ) r r s f v Zr = ( ( r r s ( ) 2 r J s +J) r s ) 2 ωω +J ωω (7.45) ω (7.46) 7-14

109 Figura 7.15: Misura sperimentale della resistenza al rotolamento di un veicolo stradale. ovvero: f v = M s(ω s )r r s ( ) J s r 2 +Jrs 2 ω Zr rs 2 (7.47) La curva caratteristica M s (ω s ) può essere rilevata sperimentalmente registrando un transitorio di arresto della sola ruota strada. Il metodo presenta delle difficoltà di misura in quanto normalmente si registra la legge del moto ω(t), della quale è necessario calcolare numericamente l accelerazione angolare. Prove su strada In alternativa si effettuano prove su strada trainando un veicolo posto all interno di un cassone per impedire che su di esso si esercitino forze aerodinamiche, come illustrato in figura Un tirante dinamometrico collega il cassone con il veicolo, e applicando il bilancio di potenze alla sola autovettura avremo, in condizione di regime assoluto, Tv 4 f vi R ni r i ω i = (7.48) i=1 che, nelle ipotesi di egual coefficiente di attrito per le quattro ruote ed eguale raggio di rotolamento sotto carico, e ricordando che nelle ipotesi di rotolamento v = r i ω i porta a Tv f v v 4 R ni = (7.49) i=1 ma, nelle ipotesi di marcia in piano, detta M la massa del veicolo, l equilibrio alla traslazione verticale porta a 4 R ni = Mg i=1 (7.5) e quindi la (7.49) diventa f v = T Mg. (7.51) 7-15

110 7-16

111 Capitolo 8 Dinamica della macchina a un grado di libertà Generato il 1 settembre Considerazioni generali In questo capitolo si esaminerà il funzionamento di una macchina sotto l ipotesi di poter considerare tale sistema dotato di un solo grado di libertà. In generale, una macchina può essere pensata come composta da un motore, una trasmissione ed un utilizzatore, come mostrato dalla figura 8.1. Benché la suddivisione tra queste tre parti della macchina possa risultare talvolta schematica o poco aderente all effettivo funzionamento del sistema, è possibile in linea di massima affermare che: il motore ha il compito di produrre potenza meccanica, utilizzando una fonte di energia di diversa natura (chimica, elettrica o altro); l utilizzatore impiega la potenza meccanica resa disponibile dal motore per compiere uno scopo, che può essere di natura alquanto varia, ad esempio il sollevamento o la movimentazione di un carico, una lavorazione meccanica, la compressione di un fluido ecc.; la trasmissione ha il compito di trasferire la potenza dal motore all utilizzatore e, dal punto di vista della cinematica della macchina, stabilisce un rapporto (detto rapporto di trasmissione, come illustrato nel paragrafo 8.1.3) tra la velocità del motore e quella dell utilizzatore. L ipotesi che la macchina sia un sistema dotato di un solo grado di libertà, corrisponde ad affermare che la posizione di tutti i punti della macchina viene univocamente determinata dal valore di una sola coordinata libera, che nel seguito sarà sempre rappresentata dalla rotazione dell albero motore. Escludendo casi particolari in cui la macchina abbia più di una possibilità di movimento rigido (ad esempio macchine contenenti rotismi epicicloidali), questa ipotesi corrisponde a considerare trascurabili gli effetti di deformabilità degli organi (alberi, membri di sistemi articolati, cinghie ecc.) che compongono la macchina stessa. M otore T rasmissione U tilizzatore Figura 8.1: Schema della macchina a un grado di libertà 8-1

112 Per scrivere l equazione differenziale che governa il moto della macchina ad un grado di libertà è conveniente utilizzare il teorema dell energia cinetica Π = de c dt (8.1) nella forma detta di bilancio delle potenze, con Π = Ŵm +Ŵr +Ŵp E c = E cm +E cr (8.2) (8.3) avendo assunto nulla l energia cinetica associata alla trasmissione stessa in quanto la si idealizza in un componente privo di inerzia riducibile ad una rotazione, come illustrato nel seguito. Tale equazione assume la forma: Ŵ m +Ŵr +Ŵp = de c dt (8.4) in cui il termine Ŵm rappresenta la potenza dovuta a tutte le forze ed i momenti, a meno di quelli d inerzia, che si esercitano sul lato motore, ossia su tutte le parti della macchina poste a monte della trasmissione, il termine Ŵr tiene conto di tutte le forze e coppie agenti sull utilizzatore (ossia a valle della trasmissione), ed il termine Ŵp rappresenta le perdite che si realizzano nella trasmissione per effetto degli attriti e delle resistenze interne a questo organo Espressione della potenza motrice e della potenza resistente La potenza motrice rappresenta il contributo al bilancio di potenze dovuto a tutte le forze ed in momenti che agiscono sul lato motore della macchina, ossia su tutti gli organi posti a monte della trasmissione. Nel caso più generale, in cui sul lato motore agiscano n fm forze ed n mm momenti, tale termine si può scrivere come: Ŵ m = n fm i=1 n mm F mi v Fmi + j=1 M mj ω mj (8.5) in cui F mi rappresenta il valore della i-esima forza agente sul lato motore, v mi rappresenta la velocità del punto di applicazione della forza F mi e, analogamente, Mmj rappresenta il valore del j-esimo momento applicato al lato motore e ω mj la velocità angolare del corpo a cui viene applicato il momento. Si assume che la macchina sia caratterizzatada soli vincoli fissi, tali per cui le velocità v mi e le velocità angolari ω mj non dipendano esplicitamente dal tempo. Poiché la macchina possiede un solo grado di libertà, tutte le velocità e velocità angolari che compaiono nella (8.5) possono essere espresse, per mezzo di opportuni legami cinematici, in funzione di un unico parametro cinematico q. Nel seguito si assumerà che tale parametro sia la posizione angolare dell albero motore, ϑ m ; la sua derivata ϑ m, corrispondente alla derivata temporale della coordinata libera, q, è la velocità angolare dell albero motore, nel seguito spesso indicata con ω m. I legami cinematici assumono la forma: v Fmi = X Fmi ω m ω mi = Θ mi ω m (8.6) in cui Xmi e Θ mi sono gli jacobiani che definiscono il legame cinematico tra le velocità dei punti di applicazione delle forze e la velocità angolare dell albero motore; per l ipotesi di vincoli fissi, dipendono al più dalla coordinata libera q. Introducendo tali legami cinematici nella espressione (8.5) è possibile esprimere complessivamente la potenza motrice come prodotto della velocità angolare ω m per un termine M m che viene detto momento 8-2

113 motore ridotto 1 all albero motore: n fm n Ŵ m = F mi X mm Fmi + M mj Θ mj ω m = Mmω m (8.7) i=1 j=1 Il momento motore ridotto può essere interpretato come il valore di un momento applicato all albero motore che fornisce una potenza motrice uguale in ogni istante alla potenza motrice prodotta complessivamente da tutte le forze e coppie che agiscono effettivamente sul lato motore. Nella (8.7) si osserva che l espressione del momento motore ridotto dipende: dalle forze e coppie fisicamente agenti sul lato motore; tali grandezze a loro volta possono assumere valori costanti (ad esempio nel caso di una forza gravitazionale), oppure dipendere dalla posizione e/o dalla velocità dell albero motore (si veda ad esempio nel paragrafo 3.3 la forza sul pistone di un motore alternativo dovuta alla pressione nella camera di combustione. dagli jacobiani che legano il moto dei punti di applicazione delle forze fisiche alla rotazione dell albero motore; tali quantità sono costanti nel caso di legami cinematici lineari e dipendono invece dalla rotazione ϑ m dell albero motore se i legami cinematici sono non lineari. Di conseguenza, il momento motore ridotto dipenderà, in generale, sia dalla coordinata libera q, che rappresenta la posizione angolare dell albero motore ϑ m, sia dalla sua velocità angolare ω m : M m = M m(ϑ m,ω m ) (8.8) Se, come caso particolare, il momento motore ridotto non dipende dalla posizione angolare dell albero ma solo dalla sua velocità angolare, la relazione M m = M m(ω m ) viene detta caratteristica meccanica del motore, e curva caratteristica la sua rappresentazione grafica nel piano cartesiano M m ω m, come nell esempio di figura 8.6. Se invece il momento motore dipende anche dalla posizione angolare dell albero lo studio della dinamica della macchina risulta più complesso, come sarà discusso nel paragrafo 8.3. In alcune applicazioni è però possibile approssimare il momento motore nel seguente modo: M m(ϑ m,ω m ) = M m = 1 Θ Θ M m(ϑ m,ω m )dϑ m (8.9) ove con Θ si è indicata la rotazione corrispondente ad un periodo del moto 2, in modo da eliminarne la dipendenza dalla posizione angolare dell albero: tale approssimazione è giustificata dal fatto che, se la macchina ruota ad una velocità pressoché costante, le variazioni che si producono nel momento motore rispetto al suo valore medio sono assorbite dalle inerzie e dalle deformabilità dei suoi organi. Questa motivazione, necessariamente incompleta e qualitativa, potrà essere meglio precisata quando si affronteranno i problemi dell isolamento delle vibrazioni e delle oscillazioni torsionali di una macchina. Per quanto riguarda l espressione della potenza resistente è possibile definire un momento resistente ridotto, sulla base di considerazioni analoghe a quelle presentate per la potenza motrice. Tale quantità rappresenta l effetto complessivo di tutte le forze e coppie agenti sul lato utilizzatore, e consente di scrivere la potenza resistente nella forma n fr Ŵ r = i=1 n F ri X mr Fri + j=1 M rj Θ rj ω r = M rω r (8.1) in cui le varie grandezze introdotte assumono significato analogo, per il lato utilizzatore, a quanto introdotto nella (8.5) e nella (8.6) per il lato motore. 1 Il momento ridotto può essere positivo o negativo; nel primo caso, il motore sta introducendo lavoro nel sistema, mentre nel secondo caso lo sta estraendo. 2 Ad esempio, per un motore alternativo a combustione interna monocilindrico a quattro tempi, ad un periodo corrispondono due giri dell albero motore, quindi Θ = 4π; per un analogo motore a 6 cilindri in linea, in caso di perfetta simmetria e bilanciamento delle parti l angolo si riduce a Θ = 2/3π. 8-3

114 8.1.2 Energia cinetica: momento d inerzia ridotto di motore e utilizzatore Per quanto riguarda l energia cinetica del lato motore, si consideri il caso più generale in cui questo sia composto da n cm corpi, e siano m mi e J mi rispettivamente il valore della massa e del momento di inerzia dell i-esimo corpo. L energia cinetica complessiva del lato motore sarà fornita, in base al teorema di König, da: n cm E cm = i=1 ( 1 2 m m i v Gim v Gim + 1 ) 2 J m i ω im ω im (8.11) Anche in questo caso è possibile esprimere attraverso opportuni legami cinematici la relazione che intercorre tra le velocità dei baricentri dei diversi corpi, le velocità angolari di questi e la velocità angolare ω m dell albero motore v Gmi = X Gmi ω m ω mi = Θ mi ω m (8.12) Introducendo tali relazioni nella espressione dell energia cinetica del lato motore si ottiene è possibile definire il momento d inerzia ridotto del motore ridotto all albero motore: E cm = 1 2 n cm i=1 (m mi XGmi X Gmi +J mi Θmi Θ mi ) ω 2 m = 1 2 J mω 2 m (8.13) in questa espressione il momento d inerzia ridotto J m può essere interpretato come il momento di inerzia di un volano posto sull albero motore, la cui energia cinetica sia uguale all energia cinetica complessiva di tutte le inerzie presenti sul lato motore della macchina. Seilegamicinematiciespressidalla(8.12)sonononlineari, glijacobianix Gmi eθ mi, ediconseguenza il momento di inerzia ridotto J m, dipendono dalla posizione angolare dell albero motore ϑ m : J m = J m(ϑ m ) (8.14) se invece i legami cinematici sono lineari gli jacobiani e quindi anche il momento di inerzia ridotto sono costanti. Per quanto riguarda l energia cinetica dell utilizzatore, si può pervenire ad una scrittura dell energia cinetica analoga a quella ottenuta per il lato motore, che consente di definire un momento di inerzia ridotto dell utilizzatore J r: E cr = 1 2 n cr i=1 (m ri XGri X Gri +J ri Θri Θ ri ) ω 2 r = 1 2 J rω 2 r (8.15) In linea di principio, è possibile definire, in analogia, anche l energia cinetica associata alla trasmissione; tuttavia nel modello ideale considerato in questa trattazione si assume che l energia cinetica della trasmissione sia nulla, ovvero che sia nulla l inerzia ridotta della trasmissione stessa La trasmissione: espressione della potenza perduta La trasmissione di una macchina può essere realizzata per mezzo di dispositivi quali ingranaggi, alberi, organi flessibili (cinghie trapezoidali o dentate) catene o altri dispositivi. Dal punto di vista della cinematica della macchina, essa stabilisce una relazione tra il moto del lato motore e dell utilizzatore. Tale legame è espresso dal rapporto di trasmissione τ definito come: τ = ω r ω m (8.16) nel seguito si ipotizzerà che il valore del rapporto di trasmissione sia costante, benché esistano esempi di trasmissioni per le quali il valore di questo parametro varia con la posizione angolare dell albero motore 3. 3 Ad esempio il giunto di Cardano. 8-4

115 Per quanto riguarda invece il contributo della trasmissione al bilancio di potenze della macchina, la potenza dissipata dalla trasmissione viene di norma espressa come una frazione della potenza entrante nella trasmissione stessa, attraverso il rendimento η: η = W uscente W entrante, (8.17) ove il segno negativo è necessario dal momento che le due potenze considerate hanno generalmente segno opposto 4. Al fine di descrivere il flusso della potenza attraverso la trasmissione, si indichino con W m e W r le potenze agli alberi della trasmissione rispettivamente lato motore e lato utilizzatore, definite come W m = Ŵm J m ω m ω m (8.18) W r = Ŵr J r ω r ω r (8.19) e con W p la potenza dissipata all interno della trasmissione che, per le ipotesi fatte in precedenza sull assenza di inerzia nella trasmissione, risulta W p = Ŵp. (8.2) Per tutti e tre questi termini si adotterà la convenzione di considerare positivi i contributi di potenza entranti nella trasmissione, come mostrato in figura 8.2. W p W m Trasmissione W r Figura 8.2: Flussi di potenza attraverso la trasmissione Nel caso in cui sia W m > e W r < il moto è definito diretto ed il rapporto tra le due potenze W m e W r nella forma η d = W r W m (8.21) è detto rendimento (della trasmissione) nel moto diretto, Nel caso in cui sia W r > e W m <, il moto è detto retrogrado (o inverso) ed il rapporto tra le due potenze nella forma η r = W m W r (8.22) è detto rendimento nel moto retrogrado. Per rapporti di trasmissione τ = ω r /ω m che si discostano via via dall unità (τ < 1/6 e τ > 6) i due rendimenti divengono progressivamente diversi fra loro. Per τ = ω r /ω m 1 (motore veloce e utilizzatore lento), come spesso accade nelle applicazioni, in cui la trasmissione determina una riduzione di velocità tra il lato motore ed il lato utilizzatore, è η d > η r. Al diminuire di η d (η d <.4.5) può inoltre verificarsi il caso η r <, nel qual caso è necessario avere anche W m > (rispetto al caso di moto retrogrado già detto) per far funzionare la macchina in cui la trasmissione è inserita. In tal caso la trasmissione si definisce irreversibile e la potenza W m +W r viene tutta dissipata. È privo di significato fisico il caso in cui entrambe le potenze W m e W r siano negative. 4 Il caso particolare in cui hanno entrambe segno positivo viene considerato a parte. 8-5

116 Espressione della potenza perduta Effettuando un bilancio di potenze parziale della trasmissione, e facendo riferimento alle convenzioni indicate in figura 8.2, si ottiene l equazione W m +W r +W p = (8.23) al fine di ottenere l espressione della potenza perduta, conviene distinguere le diverse possibili condizioni di funzionamento della trasmissione. Condizioni di moto diretto. Inserendo nel bilancio di potenze della trasmissione la definizione del rendimento in moto diretto fornita in precedenza si ottiene: (1 η ( d ) )W m W p = W m W r = 1 (8.24) 1 W r η d in cui le due espressioni riportate per la potenza perduta W p sono equivalenti in quanto danno luogo allo stesso valore. Si osservi che, in conseguenza del fatto che < η d < 1 la potenza dissipata risulta sempre minore di zero, il che è in accordo con il fatto che all interno della trasmissione si verifica sempre una perdita di energia. Condizioni di moto retrogrado. In questo caso, ricordando la definizione del rendimento in moto retrogrado, ed escludendo per il momento il caso di trasmissione irreversibile, si ha: ( (1 η) r )W r W p = W m W r = 1 (8.25) 1 W m η r in questo caso si ha < η r < 1 e di conseguenza la potenza perduta risulta negativa. Caso di trasmissione irreversibile. In questo caso, indicando con ηr il rendimento in moto retrogrado per sottolineare il fatto che esso assume un valore negativo, si ottiene: ( (1 η) r)w r W p = W m W r = 1 (8.26) 1 W m η r in cui, osservando che questa volta η r <, si ha che la potenza perduta ha segno negativo e risulta in modulo maggiore sia della potenza lato motore W m, sia della potenza lato utilizzatore W r. Determinazione del flusso di potenza attraverso la trasmissione Nello studio del moto di una macchina, al fine di valutare correttamente la potenza perduta nella trasmissione, occorre determinare il flusso di potenza attraverso la trasmissione, ossia determinare se questa funzioni in condizioni di moto diretto o retrogrado. Si consideri una trasmissione per la quale sia: η d > η r > (8.27) ossia per la quale sia esclusa la possibilità di arresto spontaneo. Nel caso in cui le due potenze W m e W r delle forze agenti rispettivamente sul lato motore e sul lato utilizzatore abbiano segno opposto, la determinazione del flusso di potenza discende immediatamente dal segno di questi termini, secondo la tabella 8.1. Invece il caso in cui entrambi i termini W m e W r risultino positivi, il moto può essere diretto oppure retrogrado in funzione delle condizioni di funzionamento della macchina. Nel seguito di questo paragrafo si chiarirà in che modo sia possibile sciogliere 8-6

117 Lato motore Lato utilizzatore W m > W r < moto diretto W m < W r > moto retrogrado W m > W r > caso indeterminato Tabella 8.1: Riassunto delle condizioni di moto diretto e retrogrado della trasmissione l indeterminazione e decidere se il moto sia diretto o retrogrado. A tale fine si ipotizzerà per semplicità che i momenti di inerzia ridotti del lato motore e del lato utilizzatore J m e J r siano costanti, e si distingueranno due casi tipici che si verificano nello studio della dinamica della macchina: nel primo caso si assumerà di conoscere il valore della accelerazione della macchina nella condizione di funzionamento considerata. Nel secondo caso si considererà invece incognita l accelerazione della macchina. Caso 1 - accelerazione nota. In questo caso basta valutare la più comoda delle espressioni: W m = Ŵm J m ω m ω m W r = Ŵr J r ω r ω r (8.28) che corrispondono rispettivamente alla scrittura di un bilancio di potenze parziale del solo lato motore o del solo lato utilizzatore. Avremo necessariamente (per l ipotesi di trasmissione reversibile) che una delle due potenze W m e W r sarà positiva e l altra negativa, e sarà di conseguenza possibile determinare se la macchina funziona in moto diretto o retrogrado e quindi utilizzare l espressione corretta della potenza perduta W p secondo quanto indicato in precedenza. Caso 2 - accelerazione incognita. in questo caso occorre ipotizzare un flusso di potenza (moto diretto o retrogrado), ricavare l accelerazione e verificare l ipotesi fatta. Ipotizzando ad esempio moto diretto, avendo ridotto tutte le azioni agenti sui due lati motore ed utilizzatore ai momenti M m e M r e tutte le inerzie ai momenti ridotti di inerzia J m e J r, il bilancio di potenze diviene: M mω m +τm rω m (1 η d )(M m J m ω m )ω m = J m ω m ω m +τ 2 J r ω m ω m (8.29) che fornisce il valore della accelerazione angolare dell albero motore: ω m = η dm m +τm r η d J m +τ 2 J r (8.3) in cui il valore della accelerazione angolare risulta sicuramente positivo in quanto sia il momento motore ridotto sia il momento resistente ridotto sono positivi. Inserendo tale valore nella espressione della potenza W m entrante nella trasmissione dal lato motore è possibile verificare se questa risulta maggiore di zero, e quindi se il moto risulta effettivamente diretto, come precedentemente ipotizzato. Sostituendo nella condizione di moto diretto M m J m ω m > (8.31) l espressione della accelerazione angolare del motore (nell ipotesi di moto diretto), si ottiene una condizione necessaria e sufficiente affinché la macchina funzioni in moto diretto: ed essendo: si ottiene: Mm Jm η d Mm +τmr η d Jm +τ 2 Jr > (8.32) η d J m +τ 2 J r > (8.33) η d J mm m +τ 2 J rm m η d J mm m τj mm r > (8.34) 8-7

118 Figura 8.3: Macchina costituita da due corpi in moto relativo lungo un piano inclinato con attrito. da cui, semplificando e riordinando i termini: M m J m > τm r τ 2 J r (8.35) ossia condizione per avere moto diretto è che il rapporto tra la coppia dell utilizzatore ridotta all albero motore ed il momento d inerzia dell utilizzatore ridotto all albero motore stesso risulti minore del corrispondente rapporto relativo alle quantità direttamente agenti sul lato motore. In definitiva è quindi possibile, anche nel caso di accelerazione incognita, determinare a priori il flusso di potenza nella trasmissione Esempio applicativo: piani inclinati con attrito Si consideri la semplice macchina illustrata in figura 8.3, consistente in un corpo che scorre orizzontalmente su un piano liscio, sul quale scorre un altro corpo lungo un piano inclinato di un angolo α, la cui superficie sia caratterizzata da un coefficiente di attrito dinamico f d relativo allo strisciamento tra i due corpi. Il secondo corpo, a sua volta, sia vincolato a scorrere verticalmente su un piano liscio. La cinematica mostra che lo spostamento del secondo corpo è x r = x m tanα (8.36) quindi tanα è il rapporto di trasmissione τ. Moto diretto Si consideri il caso in cui il primo corpo si muova nel verso positivo di x m a velocità costante, quindi in condizioni di regime. La potenza motrice è Π m = F m ẋ m (8.37) La componente tangenziale della reazione vincolare è data da R T = f d R N (8.38) quindi, dall equazione che esprime l equilibrio alla traslazione in direzione orizzontale del primo corpo si ottiene R N = F m 1 (sinα+f d cosα) 8-8 (8.39)

119 Dall equazione che esprime l equilibrio alla traslazione in direzione verticale del secondo corpo si ottiene invece F r = R N (cosα f d sinα) = F m (cosα f d sinα) (sinα+f d cosα) (8.4) Ne risulta una potenza resistente (cosα f d sinα) Π r = F r ẋ r = F m ẋ m tanα (8.41) (sinα+f d cosα) Il rendimento è dato da η d = Π r Π m = (1 f dtanα) (1+f d /tanα) (8.42) ed è unitario in assenza di attrito, mentre decresce al crescere di f d e di α, fino ad annullarsi per tanα = 1 f d (8.43) Moto retrogrado Si consideri ora il caso in cui il secondo corpo si muova verso il basso, ovvero in direzione opposta al verso positivo di x r, sempre a velocità costante. La potenza associata alla forza F r è sempre data da Π r = F r ẋ r = F r ẋ m tanα (8.44) ma ora sia la forza che la velocità sono negative, in quanto la forza F r svolge il ruolo di forza motrice. Dal momento che il moto ha cambiato verso, si inverte anche il verso della componente tangenziale della reazione vincolare; quindi ora R T = f d R N (8.45) Dall equazione che esprime l equilibrio alla traslazione in direzione verticale del secondo corpo si ottiene ora R N = F r 1 (cosα+f d sinα) (8.46) Dall equazione che esprime l equilibrio alla traslazione in direzione orizzontale del primo corpo si ottiene invece F m = R N (sinα f d cosα) = F r (sinα f d cosα) (cosα+f d sinα) (8.47) Ne risulta una potenza Π m = F m ẋ m = F r ẋ m (sinα f d cosα) (cosα+f d sinα) (8.48) Il rendimento è ora dato da η r = Π m = (1 f d/tanα) Π r (1+f d tanα) (8.49) Anche in questo caso il rendimento è unitario in assenza di attrito, e decresce al crescere di f d e di α, fino ad annullarsi; questa volta, per tanα = f d (8.5) 8-9

120 È evidente come i due rendimenti, in presenza di attrito, siano diversi. Si noti che, per α = π/4, ossia per tan α = 1, il rapporto di trasmissione è unitario; in tale circostanza, le espressioni dei due rendimenti coincidono, e si ha η d α=π/4 = η r α=π/4 = (1 f d) (1+f d ) (8.51) Il meccanismo per cui si ha una perdita di potenza nelle trasmissioni è spesso associato all attrito legato allo strisciamento tra parti meccaniche. Questo semplice modello è in grado di illustrare in modo efficace come il rendimento possa non dipendere significativamente dalla velocità, e come i rendimenti in caso di moto diretto o retrogrado possano differire tanto più quanto più il rapporto di trasmissione è diverso da Condizioni di funzionamento della macchina ad un grado di libertà In definitiva, lo studio della macchina ad un grado di libertà può essere condotto sulla base dello schema rappresentato in figura 8.4, in cui l insieme di tutte le forze agenti sul lato motore viene ridotto ad un momento motore M m agente sull albero motore, l insieme delle forze agenti sull utilizzatore viene ridotto ad un unico momento resistente M r agente sull albero dell utilizzatore, e tutte le inerzie vengono ridotte ai due momenti di inerzia ridotti del motore e dell utilizzatore J m e J r rispettivamente. M m J m Lato Utilizzatore Trasmissione J r M r Lato Motore Figura 8.4: Schema della macchina ad un grado di libertà Le condizioni di funzionamento di questo sistema possono essere riassunte in tre categorie dette: regime assoluto (spesso indicato semplicemente come regime): si tratta di una condizione di funzionamento in cui l energia cinetica della macchina si mantiene costante nel tempo; moto vario (spesso indicato come transitorio): è una qualsiasi condizione di moto in cui l energia cinetica della macchina subisce una variazione nel tempo; esempi tipici di moto vario sono la fase di avviamento, durante la quale la macchina si porta dalla condizione di quiete ad una condizione di moto a regime, e di arresto, durante la quale avviene la transizione opposta dal regime alla quiete; regime periodico che può essere vista come una particolare condizione di moto vario, in cui l energia cinetica dela macchina, pur variando nel tempo, assume un andamento periodico, ossia ritorna ad assumere lo stesso valore ad intervalli regolari di tempo (in genere corrispondenti ad un multiplo o sottomultiplo intero del periodo di rotazione della macchina); Affinché una macchina possa funzionare in condizioni di regime assoluto, è necessario che si verifichino le seguenti due condizioni: il momento motore ridotto ed il momento resistente ridotto non devono dipendere dalla posizione angolare dei relativi alberi, ma unicamente dalle velocità angolari di questi; i momenti di inerzia ridotti del motore e dell utilizzatore devono essere costanti. Nel seguito si dirà macchina a regime assoluto una macchina per la quale si realizzano queste due condizioni. Lo studio del moto di questo tipo di macchina (sia in condizioni di regime, sia in transitorio) sarà oggetto del paragrafo

121 Nel paragrafo 8.3 si fornirà invece un cenno relativo al funzionamento di una macchina per la quale le condizioni (1) e (2) precedentemente citate non si verificano. Si mostrerà che per una macchina di questo tipo non è possibile il funzionamento in regime assoluto, ma possono sussistere invece condizioni di funzionamento di regime periodico. Per questo motivo, una macchina di questo tipo verrà detta macchina a regime periodico. 8.2 La macchina a regime assoluto Equazione di moto Al fine di scrivere l equazione di moto della macchina ad un grado di libertà, si applica l equazione di bilancio delle potenze (8.4) utilizzando le espressioni della potenza motrice, resistente, perduta e dell energia cinetica ricavate in precedenza. Per quanto riguarda la derivata dell energia cinetica, si può osservare che, se il momento di inerzia ridotto del motore e dell utilizzatore sono indipendenti dalla rotazione dei rispettivi alberi, allora le derivate dell energia cinetica ripettivamente del motore e dell utilizzatore assumono le seguenti espressioni: de cm dt = J mω m ω m de cr dt = J rω r ω r (8.52) Inserendo tale risultato nella espressione della condizione di moto diretto si ottiene: W m > se: M m J m ω m > (8.53) Inoltre le espressioni della potenza perduta in moto diretto e retrogrado diventano: W p = (1 η d )(Mm Jm ω m )ω m (moto diretto) W p = (1 η r )(M r J r ω r )ω r (moto retrogrado) (8.54) Per effetto del termine di potenza dissipata nella trasmissione, l equazione di moto della macchina, ossia l equazione differenziale che lega l accelerazione angolare dell albero motore alle forze agenti assume una diversa espressione in condizioni di moto diretto e retrogrado. Si consideri innanzitutto la condizione di moto diretto; inserendo nell equazione di bilancio delle potenze (8.4) le espressioni (8.7), (8.1), (8.54), (8.52) della potenza motrice, resistente, perduta e dell energia cinetica si ottiene: M mω m +M rω r (1 η d )(M m J m ω m )ω m = J mω m ω m +J rω r ω r (8.55) Inserendo in tale equazione l espressione del legame cinematico (8.16) tra la velocità angolare dell albero motore e dell albero dell utilizzatore e riordinando i termini si ottiene: (η d M m +τm r)ω m = (η d J m +τ 2 J r) ω m ω m (8.56) ed, esplicitando in funzione della accelerazione angolare dell albero motore, si ottiene l equazione di moto della macchina per condizioni di moto diretto: ω m = η dm m +τm r η d J m +τ 2 J r (8.57) nel caso in cui (come ipotizzato in questo paragrafo) il momento motore ed il momento resistente dipendano solo dalle velocità angolari dei rispettivi alberi e non dalla posizione angolare di questi, si ottiene una equazione differenziale del primo ordine, che consente di determinare la legge di moto dell albero motore, ossia l andamento nel tempo della velocità angolare ω m dell albero motore. 8-11

122 Nel caso in cui invece la macchina funzioni in condizioni di moto retrogrado, mediante passaggi analoghi si ottiene: ω m = M m +η r τm r J m +η r τ 2 J r (8.58) Unendo le due espressioni della accelerazione dell albero motore, valide rispettivamente nel caso di moto diretto e retrogrado, si ottiene l equazione di moto della macchina in regime assoluto, che esprime, in termini di equazione differenziale del primo ordine, la relazione tra le forze agenti nella macchina ed il moto di questa: ω m = η d M m(ω m )+τm r(ω m ) η d J m +τ 2 J r M m(ω m )+η r τm r(ω m ) J m +η r τ 2 J r per M m J m ω m > per M r J r ω r < (8.59) Condizioni di funzionamento in regime assoluto Le condizioni di funzionamento in regime assoluto della macchina si ottengono imponendo nella equazione di bilancio delle potenze la condizione di regime: de c dt = (8.6) in tal modo si ottiene l equazione: η d Mm(ω m )+τmr(ω m ) = per Mm > M m(ω m )+η r τm r(ω m ) = per M m < (8.61) in cui la prima equazione si riferisce a condizioni di moto diretto, e la seconda a condizioni di moto retrogrado. Si osservi che a regime, venendo a mancare il contributo dei termini inerziali, la condizione di moto diretto/retrogrado viene determinata esclusivamente dal segno del momento ridotto del motore o dell utilizzatore (che devono essere necessariamente di segno opposto, per consentire la conservazione dell energia cinetica). La condizione di regime (8.61) rappresenta una equazione non lineare nella incognita ω m, che può essere risolta con tecniche numeriche, ad esempio attraverso la minimizzazione di una opportuna funzione residuo, come visto in precedenza per le equazioni di chiusura nel metodo dei numeri complessi. Trattandosi di una equazione non lineare, non è possibile garantire a priori l unicità della soluzione: si potrà perciò avere un numero diverso di possibili condizioni di regime in funzione della particolare macchina considerata, e quindi delle espressioni dei momenti motore e resistente ridotti Esempio applicativo: moto di un impianto di sollevamento carichi In figura 8.5 si mostra un impianto di sollevamento carichi, composto da un motore asincrono trifase, collegato attraverso una trasmissione formata da una coppia di ingranaggi del tipo ruota elicoidale-vite senza fine 5 ad una puleggia. Sulla puleggia si avvolge una fune metallica collegata da un lato alla cabina che porta il carico da sollevare, ed alla estremità opposta ad un contrappeso. Nel seguito si indicheranno con m c, m u ed m q rispettivamente la massa della cabina a vuoto, la massa del carico utile portato dalla cabina e la massa del contrappeso. Infine, sull albero motore è calettato un volano J v che, come si vedrà nel seguito, ha lo scopo di limitare l accelerazione della cabina nella fase di avviamento dell impianto. 5 Si tratta di un tipo di rotismo atto a trasmettere il moto tra due assi fra loro ortogonali. Generalmente questo tipo di trasmissione presenta un elevato rapporto di riduzione (ossia un valore del rapporto di trasmissione τ molto inferiore ad 1) e da un rendimento modesto. 8-12

123 τ, η d, η r J v ω m M m m c, m u m q Figura 8.5: Impianto di sollevamento carichi Cenni sul funzionamento del motore asincrono trifase Il motore asincrono trifase è costituito da una parte fissa, detta statore e da una parte mobile, detta rotore, posta all interno dello statore e dotata della possibilità di ruotare rispetto ad un asse fisso. Su ciascuno di questi elementi è posto un avvolgimento trifase. L avvolgimento posto sullo statore, detto induttore, è alimentato con un sistema di tensioni trifase alternate, che genera un campo magnetico rotante con velocità angolare ω s detta velocità di sincronismo, pari a: ω s = 2πf a p (8.62) in cui f a è la frequenza della tensione di alimentazione e p è il numero di coppie di poli dello statore. Sul rotore si genera quindi una forza elettromotrice che dipende dalla velocità angolare del rotore e che si annulla quando questo ruota alla velocità di sincronismo, ossia in maniera sincrona rispetto al campo magnetico generato dallo statore. La caratteristica meccanica del motore è mostrata in figura 8.6. Come si può osservare, tale caratteristica assume un andamento pressoché rettilineo per velocità prossime a quella di sincronismo. Per evitare un funzionamento non corretto del motore (eccessive dissipazioni di energia con conseguente surriscaldamento) è necessario che il motore lavori a regime in prossimità della velocità di sincronismo, e che la sua velocità angolare non subisca eccessive oscillazioni attorno al valore di regime. M m M max ω s ω m ω m Figura 8.6: Caratteristica del motore asincrono trifase Si può inoltre osservare che per velocità angolari superiori alla velocità di sincronismo la coppia motrice diviene negativa, ossia risulta opposta alla velocità angolare dell albero motore. In queste condizioni il motore asincrono trifase si comporta come un organo frenante, sottraendo potenza alla macchina. 8-13

124 Le inerzie del motore asincrono trifase possono essere rappresentate per mezzo di un momento di inerzia J m che rappresenta il momento di inerzia del rotore rispetto al suo asse di rotazione. Osservazione: Nel caso di un impianto di sollevamento carichi occorre osservare che il senso di rotazione del campo magnetico rotante, e di conseguenza, il verso del momento motore, viene invertito tra la fase di salita e quella di discesa dell impianto. Nella fase di salita il momento motore risulta perciò concorde con una velocità angolare del motore che produca un sollevamento del carico utile, mentre nella fase di discesa il momento motore agisce secondo il senso di rotazione che produce la discesa del carico. Funzionamento in salita dell impianto Si considera innanzitutto la condizione di funzionamento dell impianto in cui la cabina si muove verso l alto. In questa situazione la macchina è soggetta, sul lato motore, ad una coppia motrice M m concorde con la velocità angolare dell albero motore e dipendente da questa secondo la caratteristica di figura 8.6. Sul lato utilizzatore invece agiscono le forze peso relative alla cabina(comprensiva del carico trasportato) e sul contrappeso. Come mostrato in figura 8.7, la forza peso e la velocità sono discordi sulla cabina e concordi sul contrappeso. ω r ω r V q V c V c V q (m c +m u )g m q g (m c +m u )g m q g Figura 8.7: Condizione di funzionamento in salita ed in discesa del lato utilizzatore dell impianto di sollevamento carichi Di conseguenza, la potenza motrice e la potenza resistente assumono le espressioni: Ŵ m = M m ω m (8.63) Ŵ r = (m c +m u )gv c +m q gv q (8.64) Ipotizzando che non vi sia strisciamento tra la fune e la puleggia, le velocità V c della cabina e V q del contrappeso possono essere espresse come: V c = Rω r V q = Rω r (8.65) (8.66) in cui R e ω r sono rispettivamente il raggio e la velocità angolare della puleggia. Inserendo tali relazioni nella espressione della potenza resistente si ottiene: Ŵ r = M rω r (8.67) essendo il momento resistente ridotto M r pari a: M r = (m c +m u m q )gr (8.68) 8-14

125 L energia cinetica del lato motore e del lato utilizzatore sono rappresentate dalle seguenti espressioni: E cm = 1 2 (J m +J v )ω 2 m (8.69) E cr = 1 2 (m c +m u )V 2 c m qv 2 q J pω 2 r (8.7) avendo indicato con J p il momento di inerzia della puleggia. Inserendo nella espressione della energia cinetica del lato utilizzatore i legami cinemetici precedentemente ricavati si ottiene: E cr = 1 2 ( mc R 2 +m u R 2 +m q R 2 +J p ) ω 2 r = J rω 2 r (8.71) Applicando alle espressioni ottenute l equazione (8.59) si ottiene: ω m = η d M m τ (m c +m u m q )gr η d (J m +J v )+τ 2 (m c R 2 +m u R 2 +m q R 2 +J p ) M m η r τ (m c +m u m q )gr (J m +J v )+η r τ 2 (m c R 2 +m u R 2 +m q R 2 +J p ) se M m (J m +J v ) ω m > se M m (J m +J v ) ω m < (8.72) Funzionamento in discesa dell impianto Si considera in questo caso che il motore ruoti in senso tale da produrre un moto verso il basso della cabina. Come osservato in precedenza, per effetto della inversione del senso di rotazione del campo magnetico rotante, anche il momento motore cambia verso e risulta quindi concorde con la velocità angolare dell albero motore, così come nel moto in salita. Per quanto riguarda invece l utilizzatore, si invertono le diresioni delle velocità della cabina e del contrappeso, come mostrato nella parte di destra della figura 8.7. Di conseguenza, l espressione della potenza motrice rimane immutata rispetto al caso in salita, mentre quella della potenza resistente cambia segno. Per quanto riguarda invece l energia cinetica l espressione rimane uguale sia per il lato motore che per l utilizzatore, perché la sua espressione non risente del segno delle velocità. Operando gli stessi passaggi descritti per il moto in salita si ottiene l equazione di moto: ω m = η d M m +τ (m c +m u m q )gr η d (J m +J v )+τ 2 (m c R 2 +m u R 2 +m q R 2 +J p ) M m +η r τ ((m c +m u m q )gr (J m +J v )+η r τ 2 (m c R 2 +m u R 2 +m q R 2 +J p ) se M m (J m +J v ) ω m > se M m (J m +J v ) ω m < (8.73) Esempio applicativo: autoveicolo in salita Si consideri un autoveicolo a due assi, a trazione posteriore, in moto lungo un piano inclinato. Il motore è collegato all assale con le ruote motrici da una trasmissione, il cui rapporto di trasmissione τ sia costante e noto, così come il rendimento η. Si considera la presenza di resistenza al rotolamento su entrambi gli assali. Si richiede di: 1. calcolare la coppia che consente di mantenere il veicolo in salita a regime; 2. calcolare l accelerazione che si ottiene per una coppia motrice superiore a quella di regime; 3. verificare l aderenza delle ruote motrici e condotte. 8-15

126 Figura 8.8: Veicolo in salita Potenza delle forze attive La potenza delle sole forze attive fornita dal motore è Ŵ m = C m ω m (8.74) mentre la potenza delle sole forze attive agenti dal lato dell utilizzatore è costituita dai contributi Ŵ g = M g x = Mgsinαẋ (8.75) dovuto al peso del veicolo, nel caso in cui il moto avvenga in salita lungo un piano inclinato di un angolo α; da Ŵ v = C vp ω p C va ω a (8.76) dovuto alle coppie resistenti al rotolamento delle ruote anteriori e posteriori. Nell ipotesi di puro rotolamento sia delle ruote anteriori che posteriori, posta ω p = τω m (8.77) la velocità angolare delle ruote motrici, la velocità del veicolo è ẋ = R p ω p = τr p ω m (8.78) mentre la velocità angolare delle ruote anteriori risulta ω a = ẋ R a = τ R p R a ω m (8.79) In base al modello presentato nel Capitolo 7, la resistenza al rotolamento è proporzionale alla componente normale della reazione scambiata fra ruota e terreno e al raggio della ruota attraverso un coefficiente di resistenza al rotolamento f v ; quindi la potenza espressa dalla (8.76) diventa Ŵ v = f vp N p R p ω p f va N a R a ω a (8.8) Dalle (8.77) e (8.79) si ricava Ŵ v = (f vp N p +f va N a )ẋ (8.81) e, nell ipotesi di eguaglianza delle ruote degli assali anteriore e posteriore, da cui f vp = f va = f v (8.82) 8-16

127 si ottiene infine Ŵ v = f v (N p +N a )ẋ (8.83) La scrittura del bilancio di potenze richiede quindi la conoscenza della componente normale al terreno delle reazioni scambiate con gli assali. In generale, il calcolo delle reazioni vincolari richiede la conoscenza della dinamica e quindi le reazioni vanno calcolate simultaneamente all equazione del moto. In questo caso particolare, però, è agevole notare che la scrittura dell equazione di equilibrio dell intero veicolo in direzione perpendicolare al piano su cui avviene il moto fornisce direttamente la somma delle reazioni necessarie: N p +N a = Mgcosα (8.84) Quindi la potenza dissipata per rotolamento, in virtù della (8.82), diventa Ŵ v = f v Mgcosαẋ (8.85) Coppia necessaria al moto a regime Nella condizione in esame, di moto in salita, la potenza viene sicuramente assorbita dall utilizzatore, quindi il moto è diretto. Quindi il bilancio di potenze dà ) Ŵ m +(Ŵg +Ŵv +Ŵp = (8.86) con Ŵp = (1 η d )Ŵm, ovvero η d C m ω m Mgsinαẋ f v Mgcosαẋ = (8.87) da cui, sostituendo l espressione (8.78) della velocità ẋ del veicolo in funzione della velocità angolare ω m del motore si ottiene C m = τ η d Mg(sinα+f v cosα)r p = (8.88) La coppia è sicuramente positiva in caso di pendenza α positiva; in caso di pendenza negativa, la coppia associata alla gravità cambia segno; la coppia motrice rimane positiva, e quindi il moto rimane diretto, fintanto che tanα > f v. Accelerazione allo spunto L energia cinetica del sistema è associata a: inerzia J m del motore; massa M dell intero veicolo; inerzia J p dell assale posteriore; inerzia J a dell assale anteriore. Risulta quindi E c = 1 2 ( Jm ω 2 +Mẋ 2 +J p ω 2 p +J a ω 2 a) = 1 2 (J m +τ 2 ( MR 2 p +J p +J a R 2 p r 2 a )) ω 2 m (8.89) Posta la potenza dissipata nella trasmissione pari a ) W p = (1 η d ) (Ŵm J m ω m ω m (8.9) 8-17

128 dal teorema dell energia cinetica si ricava C m ω m τmg(sinα+f v cosα)r p ω m (1 η d )(C m J m ω m )ω m ( )) (J m +τ 2 da cui, dopo alcune semplificazioni, si ricava = MR 2 p +J p +J a R 2 p r 2 a ω m ω m (8.91) ω m = η dc m τmg(sinα+f v cosα)r ( ) p (8.92) R η d J m +τ 2 MRp 2 p 2 +J p +J a ra 2 Verifica di aderenza delle ruote La verifica di aderenza delle ruote non è particolarmente attinente al tema di questo capitolo; viene qui discussa essenzialmente per illustrare come i bilanci di potenze possono anche essere utili al calcolo delle reazioni vincolari. Ruote anteriori. La verifica di aderenza delle ruote anteriori richiede la valutazione delle componenti normale e tangenziale della reazione vincolare scambiata tra ruota e terreno. La componente normale può essere agevolmente ricavata scrivendo l equilibrio dei momenti agenti sull intero veicolo rispetto ad un polo opportunamente posto al punto di contatto tra l assale posteriore ed il terreno, in modo da escludere la partecipazione della reazione scambiata con il terreno dalle ruote posteriori stesse: N a (p 1 +p 2 )+Mg(hsinα p 1 cosα)+mẍh+j p ω p +J a ω a +(C vp +C va ) = (8.93) Si noti che la coppia motrice non partecipa a questa equazione, in quanto si tratta di una coppia interna scambiata tra veicolo e assale posteriore. Considerando le definizioni C vp = f v N p R p C va = f v N a R a (8.94) (8.95) e l equazione (8.84), si ottiene C vp +C va = f v (N p R p +N a R a ) = f v (MgcosαR p N a (R p R a )) (8.96) e quindi, dalla (8.93), N a = Mg(p 1cosα hsinα) Mẍh J p ω p J a ω a f v MgcosαR p p 1 +p 2 f v (R p R a ) (8.97) In realtà, la componente normale della reazione vincolare sulla singola ruota è la metà del valore calcolato nella (8.97). Questa relazione si semplifica qualora sia R p = R a, come avviene ad esempio nella maggior parte degli autoveicoli. La componente tangenziale della reazione vincolare si ricava, ad esempio, dall equilibrio alla rotazione del solo assale anteriore, per il quale si ha J a ω a +C va T a R a = (8.98) in quanto non partecipano il peso, le reazioni scambiate nel vincolo con il veicolo e la componente normale della reazione scambiata con il terreno, in quanto il loro braccio è nullo. Da questa si ricava T a = J a R a ω a +f v N a (8.99) 8-18

129 La condizione di aderenza è data da N a > (8.1) in quanto le ruote anteriori devono essere a contatto con il terreno 6, e da T a N a f s (8.11) Si noti che, nel caso la reazione N a diminuisca, come avviene ad esempio per effetto di una accelerazione positiva, è possibile che la condizione (8.11) sia violata proprio a causa dell accelerazione angolare ω a dell assale. Quindi le ruote anteriori, in caso di accelerazione sufficientemente elevata, inizierebbero a strisciare prima di arrivare alla perdita di contatto (motociclo che impenna ). Ruote posteriori. Il calcolo della componente normale della reazione scambiata con il terreno si ricava dalle (8.84) e (8.97): N p = Mg((p 2 f v (R p R a ))cosα+hsinα)+mẍh+j p ω p +J a ω a +f v MgcosαR p p 1 +p 2 f v (R p R a ) (8.12) Il calcolo della componente tangenziale della reazione scambiata con il terreno può avvenire in due modi; il primo, banale, consiste nello scrivere l equilibrio alla traslazione dell intero veicolo in direzione parallela al piano inclinato, dalla quale si ottiene T p +T a +Mẍ+Mgsinα = (8.13) da cui si ottiene T p = T a Mẍ Mgsinα (8.14) Il secondo approccio consiste nello scrivere l equilibrio dei momenti del solo assale posteriore che, a differenza di quello anteriore, comprende anche la coppia motrice C: J p ω p +C vp T p R p C = (8.15) Quest ultima si ricava scrivendo un bilancio di potenza a valle della trasmissione ove, come potenza assorbita dall utilizzatore, si scriva la potenza associata alla coppia C incognita, uguale ed opposta alla coppia motrice applicata all assale: η d (C m J m ω m )ω m Cω p (8.16) da cui risulta C = η d τ (C m J m ω m ) (8.17) La reazione è quindi T p = J p R p ω p +f v N p η d τr p (C m J m ω m ) (8.18) La componente normale della reazione scambiata con il terreno, in questo caso, è essenzialmente costituita da contributi che, in caso di accelerazione positiva, tendono ad aumentarla. Quindi la principale causa di potenziale slittamento risulta dalla coppia motrice C m, a meno dell inerzia accumulata dal motore stesso e dall assale. 6 Si noti che, a parte il contributo associato al peso per la distanza p 1 tra l assale posteriore ed il baricentro, tutti gli altri contributi alla reazione N a sono negativi, in caso di accelerazione positiva. 8-19

130 8.3 Macchina in regime periodico Lo studio della dinamica di una macchina a regime periodico sarà limitato per semplicità di trattazione al caso in cui il motore e l utilizzatore della macchina siano posti sullo stesso albero, senza l interposizione di una trasmissione Equazione di moto L equazione della macchina a regime periodico può essere ottenuta mediante l equazione di bilancio delle potenze (8.4). Rispetto al caso della macchina a regime assoluto studiato in precedenza, si osserva che, nell ipotesi di assenza della trasmissione, viene a mancare il termine relativo alla potenza perduta W p, ed inoltre che, per effetto del fatto che i momenti ridotti di inerzia del motore e dell utilizzatore sono funzione della posizione angolare dell albero ϑ m (la quale, a sua volta, è funzione del tempo), la derivata dell energia cinetica assume la forma: de c dt = de c m dt + de c r dt = (Jm(ϑ m )+Jr(ϑ m ))ω m ω m + 1 d(jm(ϑ m )+Jr(ϑ m )) ωm 3 (8.19) 2 dϑ m in cui si è tenuto conto del fatto che: dϑ m dt = ω m (8.11) ed i momenti d inerzia associati al motore (J m) e al carico resistente (J r) sono stati entrambi ridotti alla rotazione ω m dell albero motore. Sostituendo queste espressioni nella equazione di bilancio di potenze si ottiene: Mm(ϑ m,ω m )+Mr (ϑ m,ω m ) = (Jm(ϑ m )+Jr(ϑ m )) ω m + 1 d(jm +Jr) ωm 2 (8.111) 2 dϑ m ed, esplicitando rispetto alla accelerazione angolare dell albero: Mm(ϑ m,ω m )+Mr (ϑ m,ω m ) 1 ( ) dj m + dj r 2 dϑ m dϑ m ω m = Jm(ϑ m )+Jr(ϑ m ) ω 2 m (8.112) in cui anche la coppia motrice M m e quella resistente M r sono state ridotte alla rotazione ω m dell albero motore Funzionamento in regime periodico: irregolarità periodica Per una macchina retta da una equazione di moto avente la forma (8.112) non è possibile determinare una condizione di funzionamento in regime assoluto. Infatti, per avere una condizione di regime assoluto sarebbe necessario che, in ogni istante del funzionamento, le derivate dei momenti di inerzia associati alle parti motrice e resistente della macchina si annullassero, così come le coppie motrice e resistente. Infatti se si impone la condizione di regime assoluto: de c dt si ottiene l equazione: = (8.113) M m(ϑ m,ω m )+M r (ϑ m,ω m ) = (8.114) Tale equazione può risultare soddisfatta in particolari istanti del funzionamento della macchina, in cui occasionalmente il momento motore ed il momento resistente assumono valori opposti, ma non può essere soddisfatta identicamente per qualsiasi valore del tempo, perché i due momenti agenti sull albero motore dipendono secondo espressioni diverse dalla posizione angolare dell albero. 8-2

131 E però possibile imporre che l andamento dell energia cinetica, pur non risultando esattamente costante nel tempo, sia periodico con periodo T: E c (t+t) E c (t) = t+t t de c dt = (8.115) dt Ciò significa che nel proprio moto la macchina subirà una periodica alternanza di fasi di accelerazione e di decelerazione, tali però da compensarsi a vicenda, in modo che la velocità media della macchina (anch essa da valutarsi sul periodo T) non cambi. Se si integra l equazione (8.4) di bilancio delle potenze tra il generico tempo t ed il tempo t+t e si impone la condizione (8.115) si ottiene: t+t t (M m +M r)ω m dt = t+t t de c dt = (8.116) dt si osservi poi che: ω m = dϑ m dt ω m dt = dϑ m (8.117) e si ponga: ϑ = ϑ m (t) (8.118) Θ = ϑ m (T +t) ϑ m (t) (8.119) si osservi che Θ rappresenta l angolo di cui l albero motore ruota in un periodo T. Inserendo tali relazioni nell integrale calcolato in precedenza nella (8.116) si ottiene: ϑ+θ ϑ (M m +M r)dϑ m = (8.12) tale equazione mostra che la macchina funziona in regime periodico se l integrale esteso al periodo della somma del momento motore e del momento resistente si annulla, ovvero se i valori medi nel periodo dei due momenti sono uguali ed opposti: ϑ+θ ϑ M mdϑ m = ϑ+θ ϑ M rdϑ m (8.121) Una funzione periodica continua e regolare 7 può presentare in un periodo un numero arbitrario di minimi e massimi relativi per i quali si annulla la derivata prima; tra questi devono necessariamente essere compresi un massimo ed un minimo assoluti, che sono rispettivamente i valori più grande e più piccolo assunti dalla funzione nel periodo. In un moto periodico anche l energia cinetica è una funzione periodica del tempo; in presenza di sollecitazioni a scalino 8 la velocità non è più regolare ma rimane continua; in presenza di sollecitazioni impulsive 9 la velocità non è più neppure continua, ma presenta a sua volta un salto. In ogni caso, in un periodo, è sempre possibile individuare almeno un massimo ed un minimo assoluti di valore finito; nei punti di massimo e di minimo si hanno le condizioni di energia cinetica massima e minima. Si consideri, per semplicità espositiva, un sistema per il quale il momento d inerzia totale ridotto all albero motore sia costante; per esso, il minimo ed il massimo dell energia cinetica corrispondono con il minimo ed il massimo della velocità angolare. 7 Ovvero una funzione la cui derivata prima è anch essa continua. 8 Ovvero sollecitazioni che variano bruscamente nel tempo, soggette a discontinuità con salto. 9 Ovvero sollecitazioni di durata molto breve, idealmente infinitesima, ma il cui integrale nel tempo sia finito, e quindi di ampiezza molto elevata, idealmente infinita. 8-21

132 Si consideri ora l integrale della potenza delle forze d inerzia dall istante t min, in cui si ha il minimo della velocità, all istante t max, in cui la velocità raggiunge il suo valore massimo ϑmax L tmax t min = = = ϑ min tmax t min ωmax ω min (M m +M r) dϑ J ω ω dt J ω dω = 1 2 J ( ωmax 2 ωmin 2 ) = 1 2 J (ω max +ω min )(ω max ω min ) = J ω med (ω max ω min ) (8.122) dove si è introdotta la velocità media ω med come la media aritmetica tra le velocità massima e minima ω med = ω max +ω min 2 (8.123) L integrale (8.122) rappresenta il lavoro compiuto dalle sollecitazioni attive a cui è soggetto il sistema durante il transitorio che porta dalla velocità minima a quella massima; esso è uguale ed opposto al lavoro assorbito durante il transitorio successivo dalla velocità massima alla minima, e quindi entrambi rappresentano una misura della variabilità delle coppie in gioco durante un periodo. Spesso, un problema tecnico presentato dalle macchine che operano in regime periodico consiste nel limitare le oscillazioni di velocità che la macchina subisce nel suo periodo di funzionamento. L entità delle oscillazioni di velocità può essere quantificata per mezzo di un parametro adimensionale i, detto grado di irregolarità periodica e definito come i = ω max ω min ω med (8.124) Si ricavi la variazione di velocità dalla (8.122) e la si sostituisca nella (8.124): i = Ltmax t min J ωmed 2 (8.125) La (8.125) mostra come, a pari variabilità delle forze attive sul periodo e a pari velocità media di funzionamento, l aumento dell inerzia ridotta J abbia l effetto di limitare l irregolarità periodica della macchina. A tal fine viene di norma aggiunto un volano, il cui momento di inerzia può essere determinato per mezzo di metodi approssimati come quello sopra esposto. Si consideri, ora, un sistema in cui sia rimossa l ipotesi di costanza del momento d inerzia ridotto all albero motore, ma in cui sia presente un volano di inerzia J v ; le coppie d inerzia a meno di quelle del volano si considerino parte della sollecitazione attiva: ( J v ω ω = Mm +Mr J ω 1 dj ) 2 dt ω2 ω (8.126) L integrale del secondo membro della (8.126) tra t min e t max rappresenta ora il lavoro L tmax t min delle forze complessive agenti sul sistema, incluso l effetto moderatore dell irregolarità periodica operato dall inerzia del sistema stesso. In analogia con la (8.122) si ottiene: ϑmax ( L tmax t min = Mm +Mr J ω 1 dj ) ϑ min 2 dt ω2 dϑ = J v ωmedi 2 (8.127) 8-22

133 e quindi si ricava un utile criterio per il dimensionamento di un ulteriore volano, ai fini del contenimento dell irregolarità periodica. L integrazione numerica delle equazioni di moto della macchina in regime periodico può essere utilizzata, ad esempio, per verificare a posteriori la correttezza del dimensionamento del volano, in quanto rende possibile valutare l effettiva irregolarità della macchina con volano montato, prescindendo dalle ipotesi semplificative che stanno alla base delle metodologie utilizzate nel dimensionamento di questo componente. Inoltre l integrazione numerica delle equazioni di moto può essere utilizzata per valutare le componenti armoniche del momento torcente che viene applicato all albero motore durante il funzionamento della macchina, e fornisce quindi la base per lo studio delle vibrazioni torsionali della macchina stessa. Questo argomento verrà ripreso nel seguito del corso Esempio applicativo: motore alternativo a combustione interna Nel capitolo 3 è stato illustrato il funzionamento del motore alternativo a combustione interna. Dal diagramma di figura 3.9 è evidente come la potenza delle varie fasi abbia non solo valore, ma anche segno diverso: durante la fase di compressione, il fluido riceve lavoro dal pistone, che, dal punto di vista della macchina, risulta quindi assorbito, mentre, durante la fase di espansione, il lavoro viene restituito dal fluido alla macchina; in più, durante tutte le fasi, la macchina deve vincere attriti ed altre resistenze. La coppia fornita dal motore è quindi fortemente variabile su di un ciclo che, per un motore monocilindrico a 4 tempi, è costituito da due giri completi, ovvero Θ = 4π, ed è tipicamente positiva solo per circa un quarto del periodo, ovvero π/2. Un altra fonte di periodicità nel moto di questo tipo di macchina è legata alla dipendenza dell inerzia ridotta all albero motore dalla posizione angolare dell albero stesso, come illustrato dall equazione (3.57) Esempio applicativo: pompa a stantuffo Si tratta di un meccanismo cinematicamente analogo al motore alternativo a combustione interna, ovvero di un manovellismo ordinario che spinge un pistone, il quale a sua volta, in prima approssimazione, aspira un fluido a pressione P a ragionevolmente costante durante la fase di discesa, e lo espelle a pressione P s di nuovo ragionevolmente costante durante la fase di risalita. Nelle ipotesi fatte, e considerando costante la coppia C m fornita dal motore, è relativamente agevole calcolare il lavoro su un periodo, pari ad un giro e quindi a 2π, che è dato da L 2π = 2π ( C m dc ) dϑ A pp dϑ = 2πC m A p (c max c min )(P s P a ) = (8.128) dove si è posta c = c(ϑ) la corsa del pistone, e si è sfruttato il fatto che la pressione è costante durante le fasi di aspirazione ed espulsione, e quindi π dc dϑ dϑ = (c max c min ) (8.129) Il diverso segno tra le pressioni P a e P s è dovuto al fatto che durante l aspirazione lo stantuffo scende e quindi il gas compie lavoro positivo, mentre durante l espulsione il pistone sale e quindi il gas compie lavoro negativo, ovvero assorbe lavoro dalla macchina. Dalla (8.128) si ricava la coppia motrice necessaria a mantenere la condizione di moto periodico C m = 1 2π A p(c max c min )(P s P a ) (8.13) 8-23

134 8.3.5 Esempio applicativo: motore elettrico in corrente continua Nel Capitolo 9 viene illustrato l azionamento elettromeccanico in corrente continua. In tale sistema, la coppia erogata, ancorché in genere ritenuta costante ad una data velocità di rotazione, risulta in realtà periodica. Si rimanda a tale capitolo per una discussione più estesa della natura di questa periodicità e per una breve illustrazione del regime periodico. 8-24

135 Capitolo 9 Azionamento elettromeccanico in corrente continua Generato il 1 settembre Introduzione In questo capitolo viene presentato un semplice esempio di azionamento elettromeccanico: il motore elettrico in corrente continua. Questo esempio viene usato per illustrare in generale i principi dell attuazione elettromeccanica, in quanto consente, attraverso l utilizzo di semplici nozioni di elettromagnetismo, di descrivere in modo completo ed efficace un sistema multidisciplinare, in cui la potenza elettrica viene trasformata in potenza meccanica 1. Dallo studio di questo semplice modello si passa poi allo studio in generale della stabilità dei sistemi in cui un motore viene accoppiato ad un utilizzatore. 9.2 Motore elettrico in corrente continua Il motore elettrico in corrente continua è costituito da una parte rotante, detta rotore, che ruota rispetto ad una cassa, detta statore, nella quale è presente un campo magnetico idealmente uniforme. La presenza di spire sul rotore fa sì che si generi tra rotore e statore una coppia in funzione della corrente circolante nellespire, mentrelavelocitàdirotazionerelativafrarotoreestatorefasìchesigeneriuncampoelettrico indotto lungo le spire. Il principio di funzionamento è illustrato in figura 9.1; la figura 9.2 mostra invece uno schema costruttivo del rotore Considerazioni generali Se una carica elettrica q è in moto con velocità v in un campo magnetico uniforme B, su di essa nasce una forza F = q v B, (9.1) detta forza di Lorenz. Se al posto della carica q con velocità v si considera una corrente i = dq/dt che scorre lungo un conduttore rettilineo di lunghezza L, al posto di q v si può sostituire L i, ove i è il vettore che esprime la corrente i lungo la direzione del conduttore, supposta fissata. La forza F che agisce su un conduttore rettilineo di lunghezza L posto in un campo magnetico uniforme B è quindi F = L i B, (9.2) ed è perpendicolare al piano individuato dal flusso magnetico B e dal vettore corrente i. 1 O, viceversa, la potenza meccanica viene trasformata in potenza elettrica, come nei generatori di corrente. 9-1

136 Figura 9.1: Principio di funzionamento del motore in corrente continua. Figura 9.2: Disegno schematico del rotore di un motore in corrente continua. 9-2

137 Analogamente, se un conduttore viene mosso con velocità v all interno di un campo magnetico B, sul conduttore viene indotto un campo elettrico E = B v a cui corrisponde, sulla lunghezza L del conduttore, una differenza di potenziale V = LB v tra i due capi del conduttore. (9.3) (9.4) Architettura generale La realizzazione di una macchina elettrica in corrente continua prevede pertanto che il conduttore venga messo in moto all interno di un campo magnetico B realizzato mediante magneti permanenti o in alternativa mediante un circuito di induzione. Il motore in c.c. è costituito da un rotore e da uno statore: nello statore è presente un sistema di magneti permanenti (motore a magneti permanenti) oppure una serie di avvolgimenti percorsi da una corrente di eccitazione (motori a campo avvolto) che generano un campo magnetico fisso nello spazio, idealmente uniforme e costante nel tempo, entro cui si muove il rotore. Quest ultimo è costituito da un albero sulla cui periferia è presente un avvolgimento formato da una serie di conduttori (avvolgimento di armatura), diretti lungo l asse dell albero in modo da formare delle spire che quindi si trovano a ruotare all interno del campo magnetico. Tale avvolgimento è munito di numerose prese equidistanti connesse ad un cilindro costituito da tante lamelle, isolate tra loro, su cui poggiano le spazzole che costituiscono il collegamento elettrico(strisciante) tra rotore e statore. I motori a magneti permanenti, così come quelli a campo avvolto se la corrente di eccitazione è mantenuta costante, vengono regolati attraverso la tensione di armatura e a ; naturalmente esistono altri modi per comandare un motore in c.c., ad esempio attraverso la corrente di armatura i a. Quando il rotore si muove all interno del campo magnetico, su di esso si manifestano due fenomeni, uno elettrico e uno meccanico. Si consideri, in un sistema di riferimento cartesiano, l asse del rotore diretto come z, e il campo magnetico B diretto come x Forza elettromotrice indotta Per effetto della velocità di rotazione ω del rotore, i lati della spira diretti come l asse del rotore si muovono nel campo magnetico con velocità v = ω R proporzionale a ω e diretta perpendicolarmente alla posizione radiale del conduttore. L equazione (9.4) applicata ad uno dei lati della spira diretti come l asse del rotore diventa V b = LB ( ω R ) e quindi, per costruzione, la differenza di potenziale indotta è sempre diretta come z e ha forma cosinusoidale: V b = LRBωcosθ avendo preso la direzione del campo magnetico come riferimento per l angolo θ, ove ω = θ. Si noti che la forza elettromotrice indotta sui lati della spira diretti radialmente è nulla in quanto diretta come z e quindi perpendicolare al conduttore stesso. La forza elettromotrice indotta sulla singola spira è quindi due volte quella fornita dalla (9.7) V b = 2LRBω cos θ. (9.8) Allo stesso risultato si può giungere a partire dalla definizione della tensione indotta su una spira per effetto della variazione del flusso magnetico Φ attraverso la spira stessa, V b = dφ dt. 9-3 (9.5) (9.6) (9.7) (9.9)

138 Nel caso in esame il flusso è Φ = B A = 2LRBsinθ, (9.1) in quanto la normale n dell area A = 2RL è inclinata dell angolo θ π/2 rispetto alla direzione del campo magnetico B. La variazione del flusso Φ è legata alla variazione di area efficace a seguito della rotazione della spira; si ha quindi dφ dt = 2LRBωcosθ, (9.11) da cui la relazione (9.8) Coppia motrice La forza che si esercita su uno dei lati della singola spira diretti come l asse del rotore per effetto della corrente di armatura fornisce al rotore una coppia C = R ( L i B ) (9.12) che è diretta, per costruzione, come l asse del rotore, e varia cosinusoidalmente con la posizione angolare del rotore C = LRBicosθ (9.13) Ancheinquestocaso, sinotichelaforzachenascesuilatidellaspiradirettiradialmentenonpartecipa alla coppia applicata al rotore, in quanto sempre diretta come z. La coppia totale che si esercita sul rotore per effetto dell intera spira è quindi C = 2LRBicosθ (9.14) Contatti striscianti Dalle (9.8) e (9.14) si evince che la forza elettromotrice indotta, come pure la coppia, sono mediamente nulle su un giro. Tuttavia, considerando ad esempio la coppia, se all atto del passare da positiva a negativa si inverte la polarità dei contatti agli estremi della spira, si ottiene una coppia C = 2LRBi cosθ (9.15) il cui valore medio è C = 1 2π 2π C dθ = 4 LRBi (9.16) π La funzione che descrive la dipendenza della coppia dall angolo θ è tutt altro che costante e regolare; tuttavia, se si considera l insieme delle spire, sfasate in modo da distribuire con uniformità i massimi e le cuspidi di cosθ, si ottiene una funzione caratterizzata da un valore medio pari a N volte la coppia (9.16) C m = N 4 π LRBi (9.17) e da una piccola irregolarità con frequenza pari ad un multiplo della velocità di rotazione legato al numero delle spire, N, come illustrato in figura 9.3. In modo analogo si ottiene che la forza elettromotrice indotta, in presenza di contatti striscianti che invertono la polarità ogni mezzo giro, è data dalla relazione V b = 2LRBω cosθ (9.18) 9-4

139 1.9 C, eb [adim] /π.2 N=1 N=3.1 N=7 N= θ [giri] Figura 9.3: Distribuzione sul giro di coppia e forza elettromotrice indotta da una spira in un motore elettrico in c.c. al crescere del numero delle spire N; il valore fornito dalla singola spira tende rapidamente al valor medio 2/π, pari a circa il cui valore medio è V b = 1 2π 2π V b dθ = 4 LRBω (9.19) π mentre la forza elettromotrice indotta media associata a tutte le spire è pari a N volte la (9.19) e b = N 4 π LRBω (9.2) Sia la coppia che la forza elettromotrice indotta presentano quindi un andamento sul giro che è sostanzialmente costante, con piccole perturbazioni a frequenza pari a 2N la velocità di rotazione. Questo disturbo va sotto il nome di ripple; ove necessario, può essere tenuto in conto usando le tecniche illustrate nel paragrafo 8.3 per il moto in regime periodico. Le spazzole possono essere sostituite, in motori moderni, da circuiti di commutazione della tensione che consentono di realizzare la funzionalità desiderata evitando la complessità meccanica e i problemi di usura e di manutenzione associati alla soluzione tradizionale. Questi motori sono detti brushless, ovvero senza spazzole Potenza elettromeccanica La potenza meccanica associata al motore è data dal prodotto tra la coppia fornita dal motore e la velocità angolare che si sviluppano tra rotore e statore Π m = C m ω = N 4 LRBiω (9.21) π ed è positiva, in quanto è generata dal motore. La potenza elettrica associata al motore è data dal prodotto tra la forza elettromotrice indotta dal movimento del rotore all interno del campo magnetico dello statore, e la corrente che percorre le spire Π e = e b i = N 4 LRBωi (9.22) π 9-5

140 Figura 9.4: Il modello del motore in corrente continua ed è negativa in quanto è assorbita dal motore. Le due potenze sono uguali ed opposte; questo significa che in un bilancio di potenza non partecipano, in quanto dal punto di vista elettromeccanico, ovvero, per quanto concerne il solo fenomeno dell induzione elettromagnetica, il motore trasforma potenza, ma non ne genera e neppure ne dissipa. Ne consegue che la coppia fornita dal motore può essere espressa come C m = Ki (9.23) mentre la forza elettromotrice esercitata dal rotore sul circuito di alimentazione può essere espressa come e b = Kω (9.24) mediante la stessa caratteristica K, che nei motori a magneti permanenti è costante, mentre in quelli avvolti è proporzionale al flusso magnetico generato dagli avvolgimenti sullo statore, il quale è proporzionale a sua volta alla corrente di eccitazione Modello elettrodinamico del motore in c.c. La prima caratteristica da considerare in un motore è la sua impedenza elettrica. La miglior via di determinazione è sperimentale, mediante una sua identificazione: fissato il rotore e applicando al motore una tensione armonica a frequenza variabile, è possibile misurare la corrente risultante e determinare la caratteristica tra corrente e tensione. Il circuito elettrico equivalente risulta formato da una resistenza in serie ad un sistema di resistenza e induttanza in parallelo tra loro, secondo lo schema riportato in figura 9.4. In tale sistema, R a e L a rappresentano rispettivamente la resistenza e l induttanza dell armatura, mentre e a ed i a sono la tensione e la corrente di armatura. La resistenza R a dell armatura esprime la resistenza elettrica che l insieme delle spire esercita sulla corrente di armatura i a. L induttanza L a dell armatura esprime l effetto di autoinduzione elettromagnetica che le spire esercitano su se stesse. La presenza della resistenza R L viene spiegata attraverso le perdite nel circuito magnetico 2 : tale valore R L si 2 A cavallo di due elementi in parallelo si ha la stessa differenza di potenziale, mentre la corrente complessiva si ripartisce tra i due componenti. Nel caso in esame, i due componenti hanno caratteristiche dinamiche differenti: il resistore è percorso da una corrente i R = V R L mentre l induttore è percorso da una corrente che, nel dominio delle frequenze, si esprime come i L = V jωl a Ne consegue che, in condizioni stazionarie, ovvero per i costante e Ω =, la differenza di potenziale sarà nulla e quindi la corrente passerà tutta per l induttanza, mentre a frequenza Ω tendente ad infinito la corrente passerà tutta per la resistenza. Per valori finiti di frequenza, la corrente si ripartisce tra i due rami, privilegiando la resistenza via via che la frequenza cresce. In conclusione: (9.25) (9.26) 9-6

141 Figura 9.5: Il modello essenziale del motore in corrente continua presenta molto maggiore del corrispondenter a (5-1 volte), ritenendo pertanto il suo effetto trascurabile, in quanto, a bassa frequenza, la corrente che passa per la resistenza R L è minima. Il circuito elettrico equivalente diventa pertanto come in figura 9.5 ed è pertanto possibile scrivere l equazione di chiusura della maglia (annullamento delle tensioni sulla maglia) per l avvolgimento rotorico L a di a dt +R ai a e b = e a (9.27) dove la forza controelettromotrice e b risulta proporzionale alla velocità angolare del rotore stesso, come indicato nella (9.24). Nei motori a magneti permanenti il controllo in genere si ottiene variando la tensione di alimentazione e a. Nei motori ad avvolgimento, come ulteriore parametro di controllo si dispone anche della tensione di alimentazione degli avvolgimenti, la quale fa variare K Funzionamento e rendimento del motore elettrico in c.c. Si consideri l equazione (9.27) del motore elettrico in condizioni di regime; in questo caso, da essa è possibile esplicitare la corrente elettrica i a = e a Kω R a (9.28) che, sostituita nella (9.23), consente di esprimere la dipendenza della coppia dalla velocità angolare del motore C m = K R a e a K2 R a ω (9.29) detta anche curva di funzionamento. Essa ha andamento rettilineo, con pendenza negativa; può essere traslata verticalmente variando la tensione di alimentazione e a, come illustrato in figura 9.6. La potenza elettrica che occorre fornire al motore è Π entrante = e a i a (9.3) che, in condizioni di regime, ovvero per corrente i a costante, a partire dalla (9.27), diventa Π entrante = R a i 2 a +Kωi a (9.31) considerare infinita la resistenza R L significa privilegiare il comportamento lento del circuito, ovvero considerarne un approssimazione statica; la resistenza R L non ha un significato fisico preciso; serve a descrivere l evidenza sperimentale che ad alta frequenza, quando nel modello sopra indicato una frazione via via più rilevante della corrente si trova a passare per la resistenza anziché per l induttanza, si manifesta una dissipazione di potenza via via maggiore nel circuito. 9-7

142 Figura 9.6: Curve di funzionamento di un motore elettrico in corrente continua per diverse tensioni di alimentazione e a (rette oblique); la curva C r rappresenta la coppia resistente generata da un generico utilizzatore, cambiata di segno. La potenza uscente, sotto forma di potenza meccanica, è data da Π uscente = C m ω (9.32) ovvero, mediante la (9.23) Π uscente = Ki a ω (9.33) Ne risulta un rendimento η = Π uscente Π entrante = 1 1+ R ai a Kω (9.34) che dipende da corrente e velocità angolare. Si noti che il rendimento va a zero nel momento in cui la coppia, e quindi la corrente, non è nulla ma si annulla la velocità angolare, e quindi il motore, fermo, deve sostenere un carico. Inoltre, il rendimento è minore di 1 ogni qual volta ci sia corrente, e quindi coppia; la riduzione del rendimento è di natura puramente elettrica, ed è legato alla differenza di potenziale che esprime la dissipazione ohmica nel conduttore, descritta dal termine R a i a, e al suo rapporto con la forza elettromotrice indotta, Kω. 9.3 L azionamento in corrente continua Si consideri un sistema costituito da un motore in c.c. con un carico inerziale illustrato in figura 9.7. In questa fase si vuole giungere alla scrittura delle equazioni di moto facendo alcuni cenni alla regolazione di tale sistema. Il sistema in esame è pertanto costituito da una massa m all estremità di una trave priva di massa e schematizzabile come un corpo rigido di lunghezza L. L altro estremo della trave è vincolato tramite una cerniera in modo tale essa possa compiere un moto rotatorio nel piano orizzontale. Supponendo che gli attriti che si sviluppano nella cerniera siano rappresentabili con uno smorzatore di tipo viscoso, nascerà una coppia resistente proporzionale alla velocità di rotazione della trave tramite il coefficiente di smorzamento viscoso equivalente r t. È possibile scrivere l equazione di moto del sistema tenendo conto dell inerzia del motore J m e del carico ridotto all albero motore J r = ml 2 e di inevitabili dissipazioni introdotte nel modello attraverso il 9-8

143 Figura 9.7: Un carico inerziale termine proporzionale alla velocità: (J m +J r ) θ +r t θ = C. (9.35) Ricordando l espressione della coppia motrice (9.23) e le (9.27) e (9.24), si ottiene il sistema di equazioni: J θ +r t θ Kia = L a di a dt +R ai a +K θ = e a (9.36) dove con J si è indicata l inerzia totale, comprensiva sia del momento d inerzia del motore che del carico. Il sistema di equazioni descrive pertanto la dinamica del sistema; si nota come la dinamica delle variabili di stato caratteristiche del motore sono mutuamente influenzate con le grandezze di stato caratteristiche della meccanica. In conclusione si vuole illustrare come spesso anche le discipline legate al controllo e all automatica diventino parte integrante della modellazione dinamica. Si pensi infatti di voler portare il sistema in una posizione desiderata o di riferimento θ rif (controllo in posizione). L azione della coppia motrice C = Ki a deve essere così regolata in modo da minimizzare la differenza tra la posizione angolare θ e quella di riferimento θ rif Controllo in tensione Essendo il motore l organo di attuazione, la regolazione avviene tramite la tensione e a di alimentazione che potrà assumere, ad esempio, la forma: e a = K p (θ rif θ) (9.37) in caso di semplice controllo proporzionale, o e a = K p (θ rif θ)+k i t in caso di controllo proporzionale ed integrale. t (θ rif θ) dt (9.38) Risposta in anello aperto. Si usi la trasformata di Laplace per esprimere la perturbazione di rotazione θ in funzione delle perturbazioni di tensione di alimentazione e a e di coppia dell utilizzatore C r, (sl+r)i a +skθ = e a (9.39a) ( s 2 ) J +sr t θ Kia = C r. (9.39b) 9-9

144 C r C(s) e a G(s) + + θ Figura 9.8: Schema a blocchi del sistema in anello aperto Tipicamente C r < quando il funzionamento è diretto. Esplicitando la corrente i a dalla (9.39a) e sostituendola nella (9.39b) si ottiene da cui s ( s 2 L a J +s(r a J +L a r t )+ ( R a r t +K 2)) θ = Ke a +(sl a +R a )C r, (9.4) θ = 1 K s (s 2 L a J +s(r a J +L a r t )+(R a r t +K 2 e a (9.41) )) } {{ } G(s) + 1 (sl a +R a ) s (s 2 L a J +s(r a J +L a r t )+(R a r t +K 2 C r. (9.42) )) } {{ } C(s) La figura 9.8 mostra lo schema a blocchi del sistema in anello aperto. La funzione di trasferimento del sistema in anello aperto G(s) ha un polo nell origine e altri due poli, tipicamente reali negativi e ben separati: s = p 1 2 = R aj +L a r t 2L a J ± ( Ra J +L a r t 2L a J ) 2 R ar t +K 2, (9.43) L a J di cui quello a più alta frequenza associato alla dinamica della parte elettrica, e quello a più bassa frequenza associato alla dinamica della parte meccanica. Occorre notare che non è stata specificata la natura della coppia dell utilizzatore; qualora essa presentasse una significativa dipendenza dall angolo θ o dalle sue derivate potrebbe modificare anche sostanzialmente la natura del sistema. Per questo motivo la regolazione di un sistema dinamico da una parte richiede una conoscenza il più possibile dettagliata della natura del sistema, mentre dall altra deve essere il più possibile robusta per comportarsi adeguatamente anche in presenza di incertezze sul modello. Controllo proporzionale. Il sistema di equazioni da risolvere, a partire dalla (9.36), diventa J θ +r t θ Ki = (9.44a) L a di a dt +R ai a +K θ = K p (θ θ rif ) (9.44b) Quest ultimo costituisce un sistema controllato in anello chiuso con una retroazione proporzionale all errore angolare. L obiettivo del controllo è quello di fare in modo che la rotazione del braccio θ(t) segua al meglio l andamento desiderato θ rif (t) (controllo in posizione). In questo esempio la grandezza in ingresso è la rotazione di riferimento del braccio θ rif (t), mentre la grandezza in uscita è la rotazione effettiva del braccio stesso, θ(t). La presenza del termine di controllo proporzionale fa sì che la tensione di alimentazione vari in modo da garantire una coppia che si oppone all errore di posizionamento. Tuttavia, in presenza di coppia resistente non nulla, perché nasca una coppia del motore che contrasti l errore occorre che l errore sia 9-1

145 db deg open loop ω Figura 9.9: Diagramma di Bode della funzione di trasferimento in anello aperto del motore elettrico in c.c. C r C(s) θ rif + e a R(s) G(s) + + θ Figura 9.1: Schema a blocchi del sistema in anello chiuso non nullo, e tanto più grande quanto più piccolo è il coefficiente di guadagno K p. Aumentare il guadagno K p riduce l errore ma non lo può annullare. Inoltre, un aumento eccessivo porta conseguenze negative sulla stabilità del sistema controllato. La funzione di trasferimento in anello aperto G(s) = 1 s K (s 2 L a J +s(r a J +L a r t )+(R a r t +K 2 )), (9.45) illustrata in Figura 9.9 (a titolo di esempio, L a = 1 4, J =.1, K =.1, R a =.1 e r t = ), esprime la rotazione θ del motore in funzione della tensione di alimentazione e a. Con riferimento allo schema a blocchi del sistema retroazionato di figura 9.1, il controllo proporzionale consiste nel progettare il regolatore R(s), che concorre a formare la funzione d anello del sistema regolato L(s) = R(s)G(s), nel modo più semplice possibile, in base solamente ad un progetto statico. Con i metodi dell automatica, si ipotizzi infatti di realizzare un regolatore R(s) = R 1 (s)r 2 (s), ove R 1 (s) = s gr µ R viene progettato staticamente, mentre R 2 (s) è una funzione polinomiale razionale che garantisca la stabilità del sistema controllato. Nel caso del controllo proporzionale, si sceglie a priori g R = e R 2 (s) = 1, nell ipotesi di poter ottenere le prestazioni desiderate contestualmente alla stabilità del sistema agendo soltanto sul guadagno µ R = K p. La funzione d anello L(s) = R(s)G(s) diventa quindi 9-11

146 db open loop open loop, regulated closed loop deg ω Figura 9.11: Diagramma di Bode delle funzioni di trasferimento in anello aperto e chiuso del motore elettrico in c.c. L(s) = K p G(s), il che corrisponde a traslare verticalmente la curva del modulo della funzione G(s) nel diagramma di Bode senza modificarne la fase. Siccome il sistema ha un polo nell origine, a bassa frequenza la fase è 9 gradi. Quando la frequenza si avvicina al polo non nell origine più piccolo in modulo, o polo dominante, la fase tende a 18 gradi. Siccome secondo il criterio di Bode occorre che l attraversamento dell asse a db avvenga quando la fase è sufficientemente in anticipo rispetto a 18 gradi, esso deve avvenire a frequenza inferiore a quella del polo dominante. Sia ω c la frequenza alla quale il modulo della funzione L(s) vale db (frequenza di crossover); sia ω la frequenza alla quale il modulo della funzione L(s) vale 3 db, in modo da avere un certo margine rispetto a ω c. Se si approssima la funzione di trasferimento del sistema con il solo polo dominante, in aggiunta a quello nell origine, si ha una fase di 12 gradi, che garantisce un margine di fase di 6 gradi, quando ω c = p 1 / 3. Allora L(jω), per ω < ω c, vale circa L(jω) = 1 K p K jω R a r t +K2. (9.46) Imponendo che 2log 1 ( L(jω) ) = 3 db si ricava K p = 1 3/2 ω R ar t +K 2 =.7ω R ar t +K 2. (9.47) K K Questo valore rappresenta il limite superiore al guadagno che garantisce la stabilità con un semplice controllo proporzionale. Occorre notare che un controllo di questo tipo non è necessariamente robusto, né rende il sistema particolarmente performante, in quanto non consente di aumentare sensibilmente il guadagno a bassa frequenza. Esercizio 9.1 Si calcolino il margine di fase e di guadagno della funzione di trasferimento (9.45). Esercizio 9.2 Si verifichi la robustezza del controllo proporzionale appena progettato, in termini di margine di fase e di guadagno, al variare di r t. La Figura 9.11, rispetto alla 9.9, mostra anche la funzione di trasferimento in anello aperto scalata per il guadagno µ R, ovvero la funzione d anello L(s), mettendo in evidenza come essa valga 3 db quando 9-12

147 -.5 imag real open loop open loop, regulated closed loop Figura 9.12: Diagramma di Nyquist delle funzioni di trasferimento in anello aperto e chiuso del motore elettrico in c.c. la fase è 12 gradi, e la funzione in anello chiuso, F(s), che ricalca la precedente ad alta frequenza mentre assume guadagno unitario a frequenze inferiori a ω c. La Figura 9.12 mostra le stesse funzioni di trasferimento nel piano complesso. In un certo senso, l uso del controllo proporzionale in sistemi di questo tipo consente di non considerare la dinamica del sistema nel progetto del regolatore semplicemente perché è possibile fare in modo che nella bandadifrequenzeincuiessasimanifesta(aldisopradiω c ) l ampiezzadellarispostasiasufficientemente attenuata da non consentirle di mettere a rischio la stabilità del sistema. Perché questa condizione sia soddisfatta, però, occorre porre un limite al guadagno, e quindi alle prestazioni del sistema in anello chiuso. La funzione di trasferimento in anello chiuso è data da F(s) = L(s)/(1+L(s)); se L(s) è razionale, e quindi può essere espressa come L(s) = N(s)/D(s), si ha F(s) = N(s)/(D(s) + N(s)). Nel caso in esame si ottiene ( s 3 L a J +s 2 (R a J +L a r t )+s ( R a r t +K 2) +KK p ) θ = KKp θ rif +(sl a +R a )C r, (9.48) da cui KK p θ = s 3 L a J +s 2 (R a J +L a r t )+s(r a r t +K 2 θ rif )+KK p } {{ } F(s) sl a +R a + s 3 L a J +s 2 (R a J +L a r t )+s(r a r t +K 2 C r. (9.49) )+KK p La differenza sostanziale, rispetto al caso in anello aperto, sta nel fatto che il polo nell origine è stato rimpiazzato da un polo circa in ω c, come appare chiaramente dalla Figura La funzione che moltiplica C r rappresenta l ammettenza del sistema in anello chiuso, ovvero la rotazione del motore in funzione del carico applicato. Per s = si ha la cedevolezza statica del sistema, θ (s=) = R a KK p C r(s=). (9.5) Come si vede, è costituita da termini elettrici (K e R a ) e legati al controllo (K p ). La cedevolezza statica rappresenta l errore statico per effetto di un disturbo di coppia. L ammettenza si mantiene costante fino al primo polo, circa in ω c, poi scende fino ad avere asintoticamente pendenza 2 ( 4 db) per via dello zero in R a /L a. Quindi l errore dinamico associato ad un 9-13

148 disturbo di coppia si attenua al crescere della frequenza, in quanto l ammettenza è analoga ad un filtro passa-basso del secondo ordine. Esercizio 9.3 Si valuti la banda passante del sistema (9.49). Esercizio 9.4 Si valuti la sensitività al disturbo di coppia C r del sistema (9.49). Controllo proporzionale-integrale. Occorre conoscere l integrale dell errore di posizionamento. Si definisca una nuova variabile (o stato) e, tale per cui ė = θ θ rif. Il problema diventa J θ +r t θ Kia = L a di a dt +R ai a +K θ = K p (θ θ rif ) K i e ė = θ θ rif. (9.51a) (9.51b) (9.51c) La presenza del termine integrale fa sì che la tensione di alimentazione dipenda anche da quanto l errore è perdurato nel tempo. Di conseguenza, la tensione avrà anche un contributo persistente, che smette di crescere solo quando l errore si è esattamente annullato. Esercizio 9.5 Si indichi come l aggiunta del contributo integrale al controllo possa giovare alle prestazioni statiche del sistema controllato, garantendo nel contempo caratteristiche di stabilità analoghe a quelle del controllo puramente proporzionale Controllo in corrente Mediante l uso di amplificatori di potenza è possibile separare l azionamento meccanico, ovvero la generazione della coppia C m = Ki, dalla generazione della corrente i necessaria per ottenere la coppia. In questo caso, purché si rimanga al di sotto del valore i max di saturazione, è possibile imporre direttamente il valore della corrente desiderata. Il modello del motore si riduce quindi a J θ = Ki+C r (9.52) ovvero, nel dominio di Laplace, θ = 1 s 2 K J } {{ } G(s) i+ 1 s 2 1 J C r, (9.53) a meno di poli ad alta frequenza. Quindi la funzione di trasferimento tra la corrente e la rotazione è semplicemente costituita da due poli nell origine. Perché la funzione d anello garantisca la stabilità e le prestazioni desiderate occorre progettare un regolatore che abbia uno zero al di sotto della frequenza ω c alla quale la funzione d anello vale db, e almeno un polo a frequenza superiore ad ω c, in modo da ripristinare il comportamento asintotico della (9.53) e cancellare il più rapidamente possibile eventuali dinamiche ad alta frequenza. In questo modo il margine di fase sarà di circa 9 gradi. Si vuole quindi progettare un regolatore della corrente in funzione della differenza tra l angolo desiderato e quello effettivo, i = R(s)(θ rif θ), con la struttura R(s) = µ R 1+s/z 1+s/p, (9.54) dove µ R è il guadagno statico, z lo zero e p il polo. Si scelga z =.1ω c e p = 1.ω c ; il guadagno si determina imponendo che il modulo della funzione d anello L(s) = R(s)G(s) valga db per s = jω c. Data la G(s), si ha circa L(jω) = µ 1+j/.1 1 R 1+j/1. ω 2 c K J = µ R 1.1 ω 2 c K J = 1 (9.55) 9-14

149 db deg open loop open loop, regulated closed loop ω Figura 9.13: Diagramma di Bode delle funzioni di trasferimento in anello aperto e chiuso del motore elettrico in c.c. controllato in corrente. da cui si ricava µ R =.1ωc 2 J K La funzione ad anello chiuso diventa (9.56) 1+s/z θ = µ R K s 2 (1+s/p)J +µ R K(1+s/z) θ 1+s/p rif + s 2 (1+s/p)J +µ R K(1+s/z) C r. (9.57) Si noti come l errore statico sia 1/(µ R K), ovvero circa 1/(.1ω 2 cj). Le figure 9.13 e 9.14 mostrano rispettivamente il diagramma di Bode e di Nyquist delle funzioni di trasferimento in anello aperto e chiuso del motore controllato in corrente per J = 1 kg m 2, K = 1 V s/radian, ω c = 1 radian/s. Questo progetto sembra indicare che scegliendo ω c opportunamente grande è possibile aumentare a piacere la banda passante del motore e/o aumentare a piacere il guadagno statico e quindi ridurre l errore di posizionamento statico. Vi possono essere, però, delle controindicazioni. Per esempio, se il sistema presenta delle dinamiche poco smorzate ad alta frequenza (ad esempio una coppia di poli complessi coniugati con smorzamento basso), quando ω c diventa sufficientemente grande il picco corrispondente ai poli complessi coniugati verrà amplificato fino a far assumere valore unitario alla funzione d anello alla frequenza corrispondente. Di conseguenza si rischia di avere spill-over, ovvero eccitazione di modi non previsti nel progetto del regolatore. Siccome su tali modi è possibile che ci siano incertezze, sia in termini di frequenza che soprattutto di smorzamento, dovuti sia alla difficoltà di caratterizzarli che alla loro variabilità in funzione di parametri del sistema (in dipendenza della configurazione, per esempio), è opportuno cautelarsi adeguatamente. Esercizio 9.6 Si consideri la funzione d anello del motore controllato in corrente. Si aggiunga una coppia di poli complessi coniugati con pulsazione caratteristica arbitrariamente alta e smorzamento dell 1%. Si diagrammi la funzione d anello per diversi valori di guadagno, in modo che ω c si avvicini via via alla pulsazione caratteristica dei due poli ad alta frequenza. Esercizio 9.7 Si aggiunga al regolatore un polo nell origine per cancellare l errore statico; quale altra modifica occorre apportare al regolatore per garantire la stabilità del sistema controllato? 9-15

150 -.5 imag real open loop open loop, regulated closed loop Figura 9.14: Diagramma di Nyquist delle funzioni di trasferimento in anello aperto e chiuso del motore elettrico in c.c. controllato in corrente Azionamento in c.c. di un compressore L obiettivo in questo caso è regolare la velocità angolare di un compressore azionato da un motore in corrente continua. Il motore in c.c. è costituito da un rotore di momento d inerzia J m. Sulrotoreagisceunacoppiamotriceproporzionaleallacorrentediarmaturai a, secondouncoefficiente di coppia K, come descritto nella (9.23). La curva caratteristica del motore, ovvero la coppia motrice erogata a regime, quindi per θ = e di/dt =, si presenta lineare, funzione parametrica della tensione di alimentazione e a C = K (e a K R θ ) a (9.58) La curva caratteristica del compressore può essere in prima approssimazione schematizzata come una funzione proporzionale al quadrato 3 della velocità angolare: C r = r θ 2, (9.59) con r >. L equazione di moto dell albero è: J θ = C +C r (9.6) dove con J si è indicata l inerzia totale comprensiva sia del momento d inerzia del motore che del compressore. Sostituendo l equazione caratteristica del compressore e l equazione motore si ottiene: J θ +r θ 2 = Ki a (9.61) Per ricavare ora la corrente i a in funzione della grandezza di regolazione e a, tensione di alimentazione del motore, si deve ricorrere al modello del motore introdotto nella (9.27). Le equazioni della dinamica del sistema diventano pertanto J θ +r θ 2 Ki a = L a di a dt +R ai a +K θ = e a (9.62) 3 A rigore, la curva caratteristica dovrebbe essere espressa come C r = r θ θ, in quanto la coppia si oppone sempre alla velocità angolare. La distinzione è superflua se la velocità angolare ha sempre segno positivo. 9-16

151 Figura 9.15: Il motore di azionamento di un compressore e le relative curve caratteristiche e quindi possono essere viste nella forma: θ = r J θ 2 + K J i a di a dt = R a i a K (9.63) 1 + e a L a L a θ L a Definendo ora il vettore di stato { } θ {x} = i a e il vettore degli ingressi { } {u} = e a il sistema di equazioni può essere scritto nella forma (9.64) (9.65) {ẋ} = {f ({x})}+[b]{u} (9.66) Taleequazione, comesivede, ènonlineareepermette, unavoltanotalatensionee a, diricavarelavelocità angolare del sistema. Naturalmente tale modello può fornire, data la velocità e l accelerazione angolare, la tensione di alimentazione del motore stesso; tale applicazione, che sfrutta la dinamica inversa del sistema, può ad esempio servire per controllare in anello aperto la velocità del compressore. Naturalmente tale logica di controllo in anello aperto soffre degli inconvenienti derivanti dal non considerare i disturbi esterni e le incertezze del modello stesso. Si possono integrare numericamente le (9.63) e analizzare la risposta ad assegnati andamenti della tensione e a (t). In alternativa, dal momento che interessa studiare il comportamento del sistema nell intorno della condizione di funzionamento a regime, il problema può essere analizzato linearizzando le equazioni di moto nell intorno di una assegnata velocità θ ritenuta costante. Tale analisi si effettua risolvendo il sistema di equazioni algebriche non lineari {} = {f ({x})}+[b]{u} (9.67) ottenuto dalla (9.66), dal momento che si ricerca la soluzione avendola supposta costante; si ottiene = r J θ 2 + K J i a = R a i a K (9.68) 1 + e a L a L a θ L a da cui è possibile determinare la tensione necessaria e la conseguente corrente che circola nel circuito statorico, o viceversa conoscere la velocità angolare ad una assegnata tensione di alimentazione e a. Tale soluzione può essere inoltre vista in forma grafica come in figura 9.16, permettendo ancora una volta di ricavare, nota e a, la velocità angolare di regime e la coppia di regime. 9-17

152 Figura 9.16: Condizione di moto a regime per il sistema motore a c.c.-compressore L analisi di stabilità del sistema Si possono a questo punto linearizzare le equazioni di moto non lineari nell intorno della posizione di equilibrio { } θ {x } = (9.69) i a ovvero, indicando con θ = θ θ e i a = i a i a, da cui {x} = {x} {x }, si ottiene {ẋ} = {f ({x })}+ {f} {x} (9.7) {x} {x}+[b]{u} ma, per definizione di equilibrio, {f ({x })}+[B]{u } = {} (9.71) per cui l equazione diventa {ẋ} = {f} {x} = [A] {x}+[b] {u} (9.72) {x} {x}+[b] {u} con [A] = 2r θ J K L a L omogenea associata K J R a L a (9.73) {ẋ} = [A] {x} (9.74) ammette la soluzione generica: {x} = {X}e λt (9.75) che, sostituita nella (9.74), dà ([A] [I]λ){X}e λt = {} (9.76) Il sistema di equazioni ammette soluzione diversa da quella banale {X} = {} se il determinante della matrice dei coefficienti è nullo, ovvero se 2r θ det J λ K J K R a = (9.77) λ L a L a 9-18

153 ovvero λ 2 + ( ) 2r θ J + R a λ+ K2 +2r θ R a = (9.78) L a JL a Risolvendo l equazione caratteristica precedente è possibile calcolare le radici(o autovalori) del sistema ( ) λ = 1 2r θ 2 J + R ( ) 2 a ± 2r θ L a J + R a 4 K2 +2r θ R a (9.79) L a JL a che sono un indice della stabilità della soluzione di equilibrio rispetto alla quale il sistema è stato linearizzato. Si noti come il primo addendo degli autovalori sia sempre negativo; quindi il sistema è stabile se la parte sotto radice è minore in modulo del primo addendo, ovvero K 2 R a +2r θ >. (9.8) Inoltre, a seconda che il radicando sia maggiore o minore di zero, i due autovalori stabili si possono presentare puramente reali (negativi) o complessi coniugati. Se invece K 2 R a +2r θ < (9.81) il sistema presenta una forma di instabilità statica messa in evidenza dal fatto che un autovalore ha parte reale positiva. Stabilità statica. Ad analoghe conclusioni si può giungere considerando l equazione ) ) J θ = C( θ +C r ( θ (9.82) ossia considerando le curve caratteristiche ad una assegnata tensione di armatura e a. Definita θ dalla soluzione dell equazione (9.82) per θ =, è possibile effettuare l analisi di stabilità linearizzando nell intorno della velocità angolare trovata, ottenendo pertanto ) J θ = C ( θ + C θ da cui ( C J θ = + C r θ θ θ che ammette come soluzione ) ) ( θ θ +C r ( θ θ θ ) + C r θ ) ( θ θ, (9.83) θ θ, (9.84) θ = Ωe λt (9.85) che, sostituita nell omogenea associata ( C + C ) r Jλ θ =, (9.86) θ θ θ θ da cui: ( λ = 1 C + C r J θ θ θ θ ). (9.87) 9-19

154 Perché il sistema si presenti come stabile, l autovalore λ, essendo reale, deve essere negativo, ovvero deve essere: C + C r <. (9.88) θ θ θ θ Ricordando l espressione (9.58) della coppia motrice a regime, e quella (9.59) della coppia resistente si ottiene così la medesima condizione di stabilità: C + C r = K2 2r θ <. (9.89) θ θ θ R θ a L analisi di stabilità presentata in questo paragrafo va sotto il nome, forse improprio, di studio della stabilità statica. Essa consiste nel valutare, a partire da una condizione di riferimento di equilibrio statico, la variazione dei termini che compongono un equazione di equilibrio in conseguenza di una variazione della derivata di ordine minimo della coordinata libera; nel caso in esame, θ. Questo tipo di analisi consente di esprimere una condizione necessaria, ma non sufficiente, per la stabilità della soluzione di riferimento. Per una trattazione più approfondita si veda il capitolo 6. Controllo proporzionale. Si consideri l equazione J ω = Ki+C r (ω) (9.9) con la corrente del motore data dalla R a i+kω = e a, (9.91) avendo scelto di definire e a = K p (θ θ rif ). (9.92) Questo corrisponde a trascurare la dinamica della parte elettrica del motore, ovvero L a di/dt =. A seguito di una linerizzazione attorno ad una posizione di equilibrio θ =, da cui ω =, si ottiene l equazione J ω = K R a K p (θ θ rif ) K2 R a ω +C r/ω ω, (9.93) a cui occorre aggiungere θ = ω. Si ha quindi { } 1 θ = ω K K p K2 + C r/ω JR a JR a J { θ ω } + K JR a K p θ rif. (9.94) Il polinomio caratteristico della matrice è ( K λ 2 2 +λ C ) /ω + K K p =. (9.95) JR a J JR a Perché la soluzione di equilibrio sia stabile occorre che gli autovalori abbiano parte reale negativa. si ottiene λ = 1 ( K 2 C ) ( /ω 1 K 2 ± C ) 2 /ω K K p (9.96) 2 JR a J 4 JR a J JR a Occorre che K p > e C /ω < K 2 /R a affinché gli autovalori abbiano sicuramente parte reale negativa. Se K p è sufficientemente grande da rendere il discriminante negativo, gli autovalori diventano complessi coniugati. Questo può rappresentare un vantaggio, nel senso che la rapidità con cui il sistema risponde è maggiore, ma introduce sovraelongazione nella risposta. Per questo motivo, è opportuno che K p sia limitato. Intuitivamente, è opportuno che lo smorzamento del sistema sia prossimo a quello critico. 9-2

155 Controllo proporzionale-integrale. Si definisca ora e a = K p (θ θ rif ) K i t t (θ θ rif ) dt; (9.97) aggiungendo al sistema precedente l equazione ė = θ θ rif, si ottiene 1 ė θ = 1 e ω K K i K K p K2 + C θ r/ω + ω JR a JR a JR a J 1 K JR a K p θ rif. (9.98) Il polinomio caratteristico della matrice è ( K λ 3 +λ 2 2 C ) r/ω +λ K K p + K K i =. (9.99) JR a J JR a JR a L espressione analitica delle radici è piuttosto involuta e poco espressiva. Tuttavia, si può notare come un requisito per l asintotica stabilità sia dato dal criterio di Routh-Hurwitz, dal quale, per C r/ω < K 2 /R a (requisito di stabilità statica del sistema non controllato), si ottiene K i < K p ( K 2 C r/ω JR a J ). (9.1) Si ricordi che il criterio di Routh-Hurwitz esprime una condizione necessaria, basata sull ipotesi di assenza di radici sull asse immaginario. 9.4 Equazioni di Lagrange per sistemi elettromeccanici Senza grandi pretese di eleganza formale, si vogliono generalizzare le equazioni di Lagrange nel caso del problema elettromeccanico, applicandolo al contesto del motore elettrico in c.c Approccio in corrente Si consideri innanzitutto un induttore ideale lineare, di induttanza L(da non confondersi con la lunghezza del conduttore nei paragrafi precedenti), la cui relazione costitutiva è V = L di dt La potenza associata a questo componente è Π L = i V = Li di dt, che può essere espressa anche come Π L = d ( ) 1 dt 2 Li2. Inoltre, ricordando che la corrente i è la derivata rispetto al tempo della carica q, si ottiene Π L = d ( ) 1 dt 2 L q2. (9.11) (9.12) (9.13) (9.14) Si consideri ora, anche se non necessario per il semplice modello di motore in c.c. considerato finora, la relazione costitutiva di un condensatore di capacità C, i = C d V dt (9.15)

156 L i V C Figura 9.17: Induttore e condensatore (LC). La potenza ad esso associata è Π C = Vi = C V d V dt che può essere espressa anche come Π C = d ( ) 1 dt 2 C V 2, (9.16) (9.17) o, invertendo la relazione costitutiva, come Π C = d ( 1 q 2 ). dt 2 C (9.18) Si noti come, se si sceglie come variabile indipendente la carica q, le funzioni le cui derivate danno la potenza dell induttore e del condensatore assomiglino rispettivamente ad un energia cinetica e ad un energia potenziale. Questi componenti elettrici, infatti, nella loro idealizzazione sono conservativi, ovvero immagazzinano e rilasciano energia senza dissipazione. Quindi, definita una funzione L e = 1 2 L q2 1 q 2 2 C, (9.19) l applicazione del formalismo di Lagrange a L e consente di scrivere ( ) d Le L e dt q q = L q + q =, (9.11) C ovvero la relazione di equilibrio alla maglia che lega un induttore e un condensatore collegati fra loro come in figura È possibile anche definire l equivalente della funzione di dissipazione, D e = 1 2 R q2, (9.111) ove come elemento dissipativo si è considerato un resistore lineare di caratteristica R. Il suo contributo alla equazione relativa alla coordinata q è D e / q = R q, ovvero la differenza di tensione associata al resistore. L applicazione del formalismo di Lagrange diventa così d dt ( Le q ) L e q + D e q = L q + q +R q =, (9.112) C ovvero la relazione di equilibrio alla maglia che lega un induttore, un condensatore e un resistore collegati fra loro come in figura

157 L i V R C Figura 9.18: Resistore, induttore e condensatore (RLC). Nelle relazioni precedenti occorre aggiungere il lavoro generalizzato delle eventuali forze non descritte in L e per una variazione virtuale della variabile indipendente q. Per esempio, il lavoro associato ad un generatore di tensione e a è δw ea = δqe a. (9.113) Il lavoro associato alla forza controelettromotrice del motore in c.c. in esame è δw eb = δqe b = δqk θ. (9.114) Si consideri ora il lato meccanico del motore in corrente continua. La funzione di Lagrange, L m, è L m = 1 2 J θ 2. (9.115) Il lavoro è dato da δw m = δθ(c m +C u ) = δθ(k q +C u ), (9.116) ove si è considerata l espressione C m = K q per la coppia motrice. La funzione di Lagrange complessiva, L, è L = 1 2 L a q J θ 2. (9.117) La funzione di dissipazione complessiva è D = 1 2 R a q 2 (9.118) Il lavoro complessivo è ( δw = δq e a K θ ) +δθ(c u +K q). (9.119) Dall applicazione del formalismo di Lagrange alla funzione L così definita, alla funzione di dissipazione D, e al corrispondente lavoro generalizzato W, rispetto alle due coordinate libere q e θ, si ottiene L a q +R a q +K θ = e a J θ K q = C u, (9.12a) (9.12b) ovvero le medesime equazioni scritte in precedenza, come era lecito attendersi. In sostanza, il formalismo di Lagrange può essere vantaggiosamente esteso a problemi multidisciplinari, ove sia possibile definire 9-23

158 convenientemente le grandezze che vi partecipano. Questo consente di rendere automatica e generale la scrittura delle equazioni che governano il problema. I contributi elettromeccanici forniti al problema dal motore in corrente continua possono anche essere trattati in forma unificata. Il motore in corrente continua dà un contributo di trasformazione di energia da elettrica a meccanica e viceversa che è puramente conservativo. Per questo motivo lo si può portare nella funzione di Lagrange, sotto forma di contributo L elettromeccanico, a condizione che all equazione meccanica dia un contributo del tipo d dt ( L θ ) L = C m = K q, (9.121) θ mentre all equazione elettrica deve dare un contributo del tipo ( ) d L L = e b = K dt q q θ. (9.122) È immediato verificare, senza dimostrazione, che questo si ottiene ponendo L = K θq. In alternativa, se si pone L = Kθ q, si ottengono i medesimi contributi alle equazioni meccanica ed elettrica Approccio in tensione Si consideri ora un approccio complementare al precedente. Si definisca l integrale della tensione ϕ, tale per cui ϕ = V. La legge costitutiva dell induttanza, data dalla (9.11), può essere riscritta come d ϕ dt da cui si ricava = L di dt, (9.123) i = 1 L ϕ. (9.124) La potenza corrispondente è Π L = i d ϕ dt = 1 L ϕd ϕ dt = d dt ( 1 2 ϕ 2 L ). (9.125) Analogamente, la legge costitutiva del condensatore, data dalla (9.15), si può scrivere come i = C d2 ϕ dt 2. La potenza ad esso associata è Π C = i d ϕ dt = C ϕ ϕ = d dt È possibile anche riscrivere la funzione di dissipazione (9.111) come D e = 1 ϕ 2 2 R. La funzione di Lagrange relativa alle grandezze elettriche è (9.126) ( ) 1 C ϕ2. (9.127) 2 (9.128) L e = 1 2 C ϕ2 1 ϕ 2 2 L, (9.129) e l equazione della dinamica del sistema è data da ( ) d Le L e dt ϕ ϕ + D e ϕ = Q ϕ, (9.13) 9-24

159 1 2 3 L R e a i a e b i b 4 Figura 9.19: Motore elettrico in corrente continua, approccio in tensione. dove la Q ϕ, non ancora definita, è la corrente generalizzata che fluisce nel nodo a cui è associato il flusso rispetto al quale viene scritta l equazione della dinamica. Ora, a differenza di quanto visto in precedenza, anziché un equilibrio delle tensioni lungo una maglia, si stanno scrivendo bilanci di corrente ai nodi. Quindi occorre prestare attenzione a come vengono definite le variazioni di flusso ϕ. Occorre anche trovare un modo per esprimere il lavoro delle tensioni esterne, quali la tensione di alimentazione e a e la forza controelettromotrice e b = K θ. Si consideri di nuovo l esempio del motore elettrico in corrente continua, mettendo in evidenza i nodi 1, 2, 3 e 4 ai capi dei componenti del circuito equivalente come illustrato in Figura La funzione di Lagrange è data da L e = 1 (ϕ 1 ϕ 2 ) 2, (9.131) 2 L mentre la funzione di dissipazione è data da D e = 1 ( ϕ 2 ϕ 3 ) 2. 2 R (9.132) L effetto delle tensioni e a e e b si introduce con il metodo dei moltiplicatori di Lagrange. Si definiscano le relazioni ϕ 1 ϕ 4 = e a ϕ 3 ϕ 4 = e b = K θ, (9.133a) (9.133b) analoghe a vincoli anolonomi sulle derivate dei flussi ai rispettivi nodi. Introducendo le correnti incognite i a e i b, associate ai rami 1 4 e 3 4, si ottiene il lavoro virtuale δw e = i a (δϕ 1 δϕ 4 )+i b (δϕ 3 δϕ 4 ). (9.134) Il sistema finale può essere scritto in funzione delle incognite nodali, ϕ 1, ϕ 2, ϕ 3 e ϕ 4, e delle correnti nei rami di alimentazione e di forza controelettromotrice, i a = q a e i b = q b, ovvero 1 ϕ 1 1/L 1/L ϕ 1 1/R 1/R ϕ 2 1/R 1/R 1 1/L 1/L ϕ 2 ϕ ϕ 3 ϕ 4 =. ϕ q a q a e a 1 1 q b q b K θ (9.135) Si noti come le matrici siano simmetriche e significativamente sparse. Questo problema è indeterminato; infatti il flusso ϕ è definito a meno di una costante. Lo si può agevolmente verificare constatando che la somma delle prime quattro righe dà. Per ovviare al problema, 9-25

160 occorre mettere a terra un nodo. Ad esempio, se si pone ϕ 4 =, e quindi anche ϕ 4 = e δϕ 4 =, si ottiene 1 1/R 1/R 1/R 1/R ϕ 1 ϕ 2 ϕ 3 q a q b + 1/L 1/L 1/L 1/L ϕ 1 ϕ 2 ϕ 3 q a q b = e a K θ. (9.136) È agevole verificare l equivalenza tra questo sistema e l equazione di equilibrio alla maglia ottenuta con l approccio in corrente: dalla quarta e dalla quinta equazione si ricava ϕ 1 = e a e ϕ 3 = K θ; dalla terza equazione si ricava ϕ 2 = ϕ 3 +R q b, ovvero ϕ 2 = K θ +Ri b ; dalla prima equazione si ricava ϕ 1 ϕ 2 + L q a = che, derivata una volta, dà e a K θ Ri b + Ldi a /dt = ; per costruzione, i a va dal nodo 1 al nodo 4, quindi è opposta alla corrente i b ; ne consegue che i = i b = i a, da cui l equazione di equilibrio alla maglia. Questo approccio, solo all apparenza complesso, è in realtà di relativamente facile implementazione numerica, in analogia con l approccio agli spostamenti nel calcolo strutturale. 9-26

161 Capitolo 1 Azioni mutue tra elementi di macchine Parte II Generato il 1 settembre Azioni aerodinamiche Nelle macchine si devono spesso considerare azioni tra solidi e fluidi; questi ultimi possono essere ritenuti veri e propri membri non rigidi della macchina, accoppiati con i membri solidi, dei quali bagnano tutta o parte della superficie. Le azioni possono avere carattere di forze interne, come ad esempio in una turbina in cui il fluido si muove entro condotti facenti parte della macchina e reagisce su di essi, oppure di forze esterne, come l azione dell aria su di una aeroplano o la resistenza offerta dal mezzo all avanzamento di una nave o di una vettura, quando tutta la massa del fluido è considerata esterna al sistema che si studia. Esse inoltre possono essere costituite da semplici pressioni statiche come quelle che sostengono un corpo immerso in un fluido o che vengono esercitate da un fluido in pressione sulle pareti di un recipiente chiuso, oppure possono essere pressioni dinamiche, cioè esercitate dal fluido in conseguenza del suo moto o del moto del solido. Spesso l azione del fluido costituisce una resistenza al moto di un corpo in esso totalmente o parzialmente immerso; in tal caso essa prende il nome di resistenza del mezzo ed è una resistenza passiva, che, di regola, si deve cercare di ridurre il più possibile. Nasce così il problema di ottimizzare la forma al fine di aumentarne la penetrazione (carene di navi, forme di autovetture,...). In generale però tale azione tra corpo e fluido ha una componente utile che si cerca di massimizzare (forza propulsiva di un elica, forza portante di un ala). Le forze esercitate da fluidi in quiete sono determinate dalla fluidostatica, mentre assai più complessa è la ricerca delle azioni esercitate dai fluidi in moto, la quale più particolarmente interessa le macchine e forma oggetto della fluidodinamica, comprendente come casi particolari l idrodinamica e l aerodinamica. Supponiamo che il corpo sia fermo rispetto al fluido; in tal caso l unica azione agente sul corpo è la spinta fluidostatica. Tale spinta è proporzionale, come noto, alla densità del fluido e al volume del corpo. Se invece il corpo si muove con una certa velocità in un fluido, oppure se il corpo è investito da un fluido in moto con una certa velocità, nascono su ogni elemento infinitesimo di area della superficie del corpo stesso delle forze infinitesime normali e tangenziali. Si supponga che la corrente sia laminare e il fluido incomprimibile (numero di Mach, definito come il rapporto tra la velocità del fluido e la velocità di propagazione del suono nel fluido stesso, minore di.1.2). In tali condizioni, sul contorno del corpo il fluido aderisce e ciò significa che la velocità del fluido a contatto con il corpo si annulla 1 : la velocità del fluido passa pertanto da zero al valore v allontanandosi dal corpo. 1 Si veda la nota 4 del Capitolo

162 Figura 1.1: Sezioni di riferimento in campo automobilistico per la valutazione del coefficiente di resistenza del veicolo: proiezione frontale (a) e massima sezione trasversale (b). Per esprimere la generica forza F e il generico momento aerodinamico M in modo semplice si ricorre alle espressioni: F = 1 2 ρv2 SC f M = 1 2 ρv2 SlC m (1.1) ove 1/2ρv 2 è la pressione dinamica, spesso indicata con q in aeroelasticità 2. Si suppone quindi che essi siano proporzionali alla pressione dinamica della corrente indisturbata e a una superficie di riferimento S (nell espressione del momento compare anche una lunghezza l) tramite un coefficiente adimensionale da determinare sperimentalmente. I coefficienti che compaiono nelle (1.1) sono funzione, oltre che della forma del corpo e della sua posizione relativa alla direzione della corrente, del numero di Reynolds Re = ρvl µ (1.2) ove ρ e µ sono rispettivamente la densità e la viscosità dinamica del fluido (la viscosità cinematica è ν = µ/ρ). La dipendenza dei coefficienti aerodinamici dal numero di Reynolds non è grande se il valore di quest ultimo è sufficientemente elevato, come si verifica per tipiche applicazioni aeronautiche, con lunghezze dell ordine del metro, velocità dell ordine del centinaio di m/s, densità dell ordine di 1 kg/m 3 e viscosità dell ordine di kg/(ms). I coefficienti aerodinamici ricavati sperimentalmente sono da ritenersi indipendenti dalla velocità se il numero di Reynolds è superiore ad alcuni milioni. La superficie S e la lunghezza l di riferimento possono essere qualsiasi: esse esprimono solamente la dipendenza delle forze e dei momenti rispettivamente dal quadrato e dal cubo delle dimensioni lineari del corpo. È però evidente che il valore dei coefficienti aerodinamici dipende dalla scelta della superficie e della lunghezza di riferimento. In campo automobilistico, nel quale la portanza è spesso da ritenersi un effetto indesiderato della presenza dell aria, mentre la resistenza è una rilevante fonte di dissipazione, si usa scegliere quale superficie di riferimento l area della superficie trasversale del veicolo, anche se una certa confusione può essere ingenerata dal fatto che taluni usano l area della proiezione frontale (a) e altri l area della massima sezione trasversale (b) indicate in figura 1.1. In campo aeronautico, viceversa, come superficie di riferimento per un velivolo si considera in genere la sezione in pianta dell ala, in quanto si è primariamente interessati alla forza portante, mentre quella resistente, altrettanto importante, viene comunque in seconda battuta, essendo tipicamente, in normali condizioni di volo, di almeno un ordine di grandezza inferiore. 2 Da non confondere con la generica coordinata libera; di solito la confusione non è possibile dal momento che la pressione dinamica q è uno scalare, mentre le coordinate libere sono raccolte in un vettore {q}. 1-2

163 Figura 1.2: Schematizzazione del moto laminare di un fluido. 1.2 Teoria elementare della lubrificazione Gli strisciamenti tra corpi asciutti si verificano nelle macchine solo in casi eccezionali, quando sia utile avere un forte attrito, come ad esempio nei freni e negli innesti a frizione; negli altri casi le superfici a contatto sono sempre bagnate da un liquido detto lubrificante, ovvero lubrificate. Per lubrificazione si intende la riduzione dell attrito tra superfici a contatto in moto relativo mediante l interposizione tra esse di un apposito mezzo detto appunto lubrificante. Tale liquido, interposto tra le due superfici, impedisce il fenomeno della microsaldatura che si è riconosciuto nel Capitolo 7 essere la causa dell attrito cinetico (o dinamico). Da un lato, possono essere usati come lubrificanti gli olii e i grassi, che hanno la proprietà di formare veli superficiali (epilamini) di spessore molecolare (qualche micron) aderenti alle superfici striscianti. I lubrificanti possono essere anche solidi (grafite) per condizioni operative a temperature molto basse. D altra parte, un azione più decisiva viene esercitata dal lubrificante nella lubrificazione idrostatica e in quella idrodinamica, le quali consistono nella interposizione tra le superfici striscianti di un velo continuo di lubrificante che, per quanto sottile, ha però spessore sufficiente per impedire il contatto diretto tra le due parti. Lo strisciamento non avviene più fra solido e solido (attrito cinetico) o fra strati molecolari aderenti alle superfici (attrito untuoso), ma fra gli strati del lubrificante interposto tra queste (attrito mediato o fluido) che può assumere valori pari anche a 1/1 (dipendente solo dal tipo di lubrificante) di quello che si ha nell attrito radente (dipendente dallo stato e dalla natura delle superfici). Tutti i fluidi reali sono viscosi e oppongono una resistenza allo scorrimento delle particelle che li compongono. Se noi facciamo scorrere degli strati di fluido gli uni sugli altri, fra gli strati stessi si esercita un azione che si oppone al moto relativo, come illustrato in figura 1.2. Tale azione è proporzionale alla velocità con la quale avviene lo scorrimento, secondo un coefficiente caratteristico del fluido, detto coefficiente di viscosità, ovvero il coefficiente µ illustrato nella definizione del numero di Reynolds Descrizione del problema Nel seguito, per semplicità espositiva, viene considerato un problema piano, in cui due corpi sono in movimento relativo di traslazione in direzione parallela alle superfici, ritenute piane, tra le quali avviene la lubrificazione. Si assume inoltre che non ci siano perdite laterali, per cui il meato di fluido può essere a tutti gli effetti considerato in movimento in un condotto per cui quindi vale il principio di conservazione della massa. Per semplicità, si consideri il corpo inferiore vincolato al telaio, mentre il corpo superiore viene fatto scorrere con velocità v; il caso in cui entrambe le superfici si muovono verrà brevemente discusso nel seguito. La velocità del fluido nel meato sia u, diretta essenzialmente lungo il condotto. Questa velocità potrà variare in funzione della posizione nel condotto, sia trasversale che longitudinale. Sul corpo superiore, per effetto della presenza del fluido in moto relativo, si generano una forza normale ed una tangenziale. 1-3

164 La forza normale per unità di larghezza, data dall integrale della pressione relativa p nel fluido lungo la lunghezza del meato, è N = l p dx; (1.3) si è considerata direttamente la pressione relativa in quanto la pressione di riferimento agisce comunque anche sul resto del corpo. Si indichi con b la dimensione del condotto nella terza direzione, perpendicolare al piano in cui avviene il moto, per cui la forza normale scambiata è F N = bn. La forza tangenziale per unità di larghezza, data dall integrale degli sforzi di taglio τ alla parete, è T = l τ dx (1.4) L effetto globale dell interazione con il fluido viscoso può essere descritto mediante un coefficiente di attrito equivalente, detto di attrito mediato f m = T N (1.5) che esprime il rapporto tra la forza tangenziale che si oppone al movimento e quella normale che occorre per separare i corpi. La determinazione del coefficiente di attrito mediato, e la valutazione delle caratteristiche geometriche e meccaniche necessarie perché la lubrificazione, e quindi l attrito mediato, abbiano luogo, richiede lo studio della fluidodinamica del lubrificante per poter determinare la pressione p e gli sforzi di taglio τ agenti sul corpo sostentato Fluidodinamica del lubrificante Nel moto laminare, considerando due strati di ordinate z e z + z, caratterizzati dalle velocità u e u+ u, la velocità relativa sarà u. Il gradiente di velocità per z tendente a è pari a du/dz, da cui la legge di Petroff 3 : τ = µ du dz (1.7) che descrive la legge costitutiva degli sforzi tangenziali viscosi, in caso di moto laminare, affermando che sono linearmente proporzionali al gradiente di velocità in direzione normale alla superficie a cui si riferiscono. Si analizzi il problema del moto del fluido interposto tra due superfici in moto, supponendo che: il moto del fluido sia laminare permanente per strati paralleli all asse z; le forze di volume (peso e inerzia) siano trascurabili rispetto a quelle dovute alla viscosità 4 ; il fluido sia incomprimibile e abbia µ costante (ovvero, in sostanza, la temperatura si mantenga costante all interno del condotto); il moto avvenga in una sola direzione (lungo x). Si assume dunque il problema piano e quindi che non vi sia fuoriuscita laterale in direzione y (perpedicolare al piano x z), secondo lo schema illustrato in figura La legge di Petroff in realtà rappresenta una semplificazione della definizione più generale dello sforzo viscoso laminare che, nel caso bidimensionale, è ( u τ = µ z + w ) x avendo chiamato w la componente della velocità in direzione z, nulla per ipotesi nel caso in esame. 4 Quest ipotesi non è verificata, ad esempio, in caso di moto nel meato a corona circolare che si ha in un accoppiamento perno-sede 1-4 (1.6)

165 Figura 1.3: Schematizzazione del moto laminare di un fluido tra due superfici in moto relativo. Imponendo l equilibrio alla traslazione secondo x per un prisma elementare di fluido di dimensioni (dx,1,dz), si ottiene ovvero pdz (p+dp)dz τdx+(τ +dτ)dx = (1.8) dpdz = dτdx dp dx = dτ dz. (1.9) Questa relazione afferma che la variazione della pressione lungo il condotto è pari alla variazione degli sforzi tangenziali nella direzione trasversale. Ricordando la legge di Petroff (1.7), si ottiene: dp dx = µd2 u dz 2, ovvero un equazione differenziale lineare del 2 o ordine a coefficienti costanti completa. Se si scrive l analoga equazione di equilibrio in direzione trasversale si ricava invece (1.1) dpdx = dτdz dp dz = dτ dx. (1.11) In questo caso, però, nell ipotesi che la velocità w in direzione trasversale sia nulla e così pure le sue derivate, e che quindi la velocità u in direzione longitudinale, per effetto dell equazione di bilancio di massa, non dipenda dalla coordinata x lungo il meato, dalla derivata della legge di Petroff (1.7) si ottiene dτ/dx =, da cui si ricava dp dz =, (1.12) ovvero la pressione non varia in direzione trasversale, per cui la dp/dx che compare nella (1.1) non dipende dalla variabile z rispetto alla quale è differenziata la velocità u. Grazie alla (1.12), l integrale generale, somma della soluzione dell omogenea associata e dell integrale particolare, è dato dalla: µu = dp z 2 +Cz +D, (1.13) dx 2 in cui le costanti di integrazione C e D sono da determinare a partire dalle condizioni al contorno: u() = D = u(h) = v µv = dp h 2 µv +Ch C = dx 2 h dp h dx2. (1.14) L espressione del campo di velocità (1.13) diventa quindi: u(z) = dp z 2 dx2µ + 1 ( µv µ h dp ) h z = v dx 2 h z dp z (h z), (1.15) dx2µ 1-5

166 mentre gli sforzi di taglio sulla faccia superiore dell elemento di fluido alla quota z sono τ = µ v h dp ( ) h dx 2 z. (1.16) Questo risultato è dato dalla sovrapposizione dei moti di Newton, lineare in z e legato al trascinamento v per la diversa velocità delle due pareti al contorno, e di Couette, parabolico in z e legato al gradiente di pressione dp/dx. Ipotizzando che non vi siano fuoriuscite laterali e sostituendo la (1.15) nell equazione di continuità della portata volumetrica per unità di larghezza Q = h u dz = costante, (1.17) esprimente la portata di fluido vista dal corpo solidale con il telaio, otteniamo, considerando costante la viscosità e ricordando che p = dp/dx non è funzione di z: Q = v h h z dz p ( hz z 2 ) dz = v [ ] z 2 h [ ] p hz 2 h h 2µ h 2 2µ 2 z3 = vh 3 2 p h 3 (1.18) 12µ in cui il primo termine, detto portata di trascinamento, è un effetto del trascinamento della parete mobile sul meato, e il secondo, detto portata di pressione, dipende dal gradiente di pressione; se p = questo termine si annulla. Dall espressione della portata (1.18) è possibile determinare il gradiente di pressione: p = 12µ h 3 ( vh 2 Q ) (1.19) Dal momento che la portata Q, per la (1.17), è costante lungo x, se anche h(x) fosse costante tutti i termini a destra dell uguale sarebbero costanti, e quindi p dovrebbe necessariamente essere costante. Ma agli estremi del meato la pressione è pari a quella atmosferica, quindi la pressione relativa è nulla; di conseguenza p = dp dx = C dp = C dx p(x) = C x+d (1.2) che, con le condizioni al contorno p() = D =, p(l) = C =, implica che p =, ovvero il sostentamento non è possibile Lubrificazione idrostatica Nel paragrafo precedente è stato evidenziato come, se h fosse costante, non sarebbe possibile il sostentamento naturale e di conseguenza la lubrificazione idrodinamica naturale. Si deve quindi ricorrere a quella idrostatica, nella quale la pressione viene fornita al lubrificante tramite una pompa. In realtà, la portata Q s = bq s associata al gradiente di pressione Q s = p h 3 12µ (1.21) viene immessa da un circuito di alimentazione. A regime, essa è costante; quindi il gradiente di pressione diventa p = 12µQ s h 3 (1.22) La pressione relativa, nell estremo al quale viene immessa la portata, vale p = lp, mentre all estremo al quale il fluido fuoriesce libero 5 vale. Quindi, a partire dalle condizioni al contorno p() = p D = p, p(l) = C = p/l, si ottiene un andamento lineare della pressione ( p(x) = p 1 x ) (1.23) l 5 Trascurando eventuali perdite di carico concentrate dovute all effusione del meato in una camera. 1-6

167 Figura 1.4: Andamento della pressione nel meato per effetto della geometria. Da questa, a partire dalla (1.3), si ricava lo spessore del meato in funzione del carico N = bn, della geometria del problema, delle proprietà del fluido e della portata imposta Q s. N = p bl 2 = p bl2 = bl2 6µQ s 2 h 3 h = 3 l2 6µ Q s (1.24) N Gli sforzi tangenziali definiti nella (1.16), sulla superficie inferiore del corpo in movimento (z = h) in questo caso valgono ( ) v τ s (h) = µ h 6Q s h 2 (1.25) La forza resistente T = bt agente sul corpo in movimento è quindi ( ) v T = µbl h 6Q s h 2 (1.26) Ne risulta, idealmente, un coefficiente di attrito mediato T f m = N = T N = vh 2 6Q s l h l (1.27) C è quindi un contributo al coefficiente di attrito mediato che è proporzionale alla velocità relativa tra le pareti e al quadrato dello spessore, e inversamente proporzionale alla portata immessa nel meato; la dipendenza del cubo dello spessore dalla portata immessa illustrato nella (1.24) fa sì che il coefficiente di attrito mediato diminuisca al crescere della portata immessa. Se la portata dovuta al gradiente di pressione è concorde con il movimento relativo, il corpo superiore è trascinato nella direzione del moto dagli sforzi tangenziali; questo fa sì che ci sia una riduzione del coefficiente di attrito mediato (il termine h/l) tanto più grande quanto più grande è lo spessore del meato. Si noti però che la potenza perduta non è data soltanto da Π d = T v, ma anche dalla potenza necessaria per alimentare il flusso forzato, Π h = p Q s ; quindi l elevata efficienza meccanica di questa soluzione viene attenuata dalla riduzione in efficienza complessiva legata alla necessità di provvedere al forzamento della lubrificazione. 1-7

168 1.2.4 Lubrificazione idrodinamica Nel caso in cui all estremo iniziale non venga imposta una pressione maggiore di quella presente all estremo finale, la pressione relativa deve essere nulla agli estremi del meato e variabile lungo di esso per ottenere capacità di sostentamento; quindi, a tal fine, vi deve essere una variazione di altezza h(x). Vi sarà quindi, lungo il meato, un punto di ascissa x in cui la pressione è massima ed è individuata dal fatto che in quel punto il gradiente p è nullo p = 12µ h 3 (x ) ( ) vh(x ) Q 2 = vh(x ) = 2Q Q = vh(x ) 2 e quindi, sostituendo la (1.28) nella (1.19), quest ultima diventa (1.28) p = 6µv h 3 (h h(x )) (1.29) Si nota immediatamente che se v =, ovvero non vi è moto relativo tra le superfici, la portata è nulla e quindi non può instaurarsi la lubrificazione idrodinamica (problema degli organi di macchine dotati di moto con arresto). Nel punto in cui si ha la massima pressione, la portata di pressione è nulla e si ha solo la portata di trascinamento 6. Nella zona in cui il gradiente p è positivo, la portata di pressione si sottrae a quella di trascinamento, mentre dove p è negativo la portata di pressione si somma a quella di trascinamento. L azione di sostentamento per unità di larghezza del cuscinetto risulta quindi pari a: N = l p(x) dx = l dx x p (ξ) dξ (1.37) ovvero la pressione genera una spinta per unità di larghezza del cuscinetto N, capace di tenere separate le due superfici. Inoltre, sulla superficie superiore in moto si genera una reazione d attrito per unità di larghezza del cuscinetto pari a: T sup = l τ z=h(x) dx (1.38) 6 Sostituendo l espressione (1.28) della portata, Q = vh(x )/2, in quella (1.29) del gradiente di p: p (x) = 12µ ( ) vh(x) h 3 Q = 6µv (x) 2 h 3 (x) (h(x) h(x )) (1.3) e, integrandola sulla lunghezza l del meato, si ottiene: l l p(l) p() = p 6µv (x) dx = h 3 (x) (h(x) h(x )) dx = (1.31) Utilizzando un espressione lineare per l altezza del meato: h(x) = h 1 h 1 h 2 x l da cui, differenziando: (1.32) dh = h 1 h 2 l dx dx = dh l h 2 h 1 (1.33) h2 h h(x ) l 6µv h 1 h 3 dh = h 2 h 1 (1.34) che semplificata nelle costanti: h2 h 1 h(x) h(x ) h 3 dh = h2 h 1 dh h2 h 2 = h(x ) h 1 espressione che sostituita nell espressione (1.32) di h valutata in x, dh h 3 h(x ) = 2h 1h 2 h 1 +h 2 (1.35) 2h 1 h 2 = h 1 h 1 h 2 x (1.36) h 1 +h 2 l permette di calcolare l ascissa x. 1-8

169 mentre su quella inferiore si genera una reazione d attrito per unità di larghezza T inf = l τ z= dx Possiamo quindi calcolare il coefficiente di attrito mediato come: f m = T N (1.39) (1.4) che tipicamente è dell ordine di.1. Ricordando che b indica la larghezza del meato, l azione tangenziale genera una potenza resistente: W r = b T v = btv = f m bnv = f m Nv (1.41) che, in un bilancio termico del fluido, risulta entrante in esso e quindi positiva; questa si trasforma in calore portando il lubrificante alla temperatura θ: f m Nv = αbl(θ θe ) θ = θ e + f m Nv bαl (1.42) ove α è il coefficiente di scambio termico, θ è la temperatura del fluido a regime e θ e è la temperatura esterna verso cui avviene lo scambio termico all equilibrio. Noto quindiilcarico N = bn cheilcuscinettodevesopportareelasuageometria(b,l), sipuòvalutare la temperatura di funzionamento e quindi scegliere l olio della gradazione più opportuna, tenendo conto che all aumento della temperatura la viscosità µ, e quindi la capacità di sostentamento, decresce. Si noti che, noto il carico N, la temperatura di esercizio risulta essere, secondo questo modello semplificato, inversamente proporzionale alla larghezza b del cuscinetto. Proprio la temperatura di esercizio del fluido, e quindi la necessità di dissipare il calore accumulato nel fluido durante il funzionamento, può diventare un criterio dimensionante per la larghezza del cuscinetto. Si noti inoltre che, se entrambe le superfici sono in moto, l integrale generale (1.13) deve essere risolto per le condizioni al contorno { u() = v1 (1.43) u(h) = v 2 dove v 1 e v 2 sono le velocità delle due superfici. Se esse sono eguali e concordi, è facile verificare che la portata Q è pari a, ovvero non può instaurarsi la lubrificazione idrodinamica naturale, che risulta quindi legata alla velocità relativa tra le due superfici che delimitano trasversalmente il meato. Si noti, infine, che il carico effettivo applicabile nella realtà è inferiore a quello ricavato da questa trattazione elementare, infatti il fluido non ha sempre direzione parallela a x, ma si ha fuoriuscita laterale e, quand anche questa non vi fosse, il moto non è rigorosamente unidirezionale, ma piano. Sperimentalmente si è ricavato un fattore correttivo c = (b + l)/b, detto coefficiente di fuoriuscita laterale, e il carico effettivamente sopportabile è P = bn c (1.44) Per i perni lubrificati, illustrati in figura 1.5, la teoria elementare non è più sufficiente e si deve ricorrere alla integrazione numerica delle equazioni di Navier-Stokes o alla teoria semplicata di Reynolds; infatti il perno cambia posizione del centro al variare del carico a parità di velocità angolare, o a pari carico al variare della velocità di rotazione. Nella lubrificazione idrodinamica, per basse velocità angolari dei perni è possibile ancora il contatto tra le superfici e, per valori molto bassi della velocità periferica v, nella zona detta di attrito combinato, il coefficiente di attrito mediato f m anziché variare con legge parabolica come vorrebbe la teoria, ritorna a crescere fino ad assumere il valore dato da OB nella figura 1.6, che rappresenta l attrito untuoso. Questo è uno dei motivi per cui gli olii lubrificanti sono addittivati con prodotti che creino un resistente epilamine. 1-9

170 Figura 1.5: Perno lubrificato. Figura 1.6: Lubrificazione idrodinamica: dipendenza dell attrito mediato dalla velocità relativa. 1-1

171 Capitolo 11 Modellazione elementi a fluido Generato il 1 settembre 212 La soluzione completa del campo di moto di un fluido richiede la determinazione di: densità (1), pressione (1), temperatura (1), vettore velocità (3), e tensore degli sforzi (9) del fluido; i termini fra parentesi rappresentano il numero di componenti di ciascuna grandezza incognita, per un totale di 15 incognite di campo. Allo scopo abbiamo disponibili le seguenti leggi fisiche: conservazione della massa (1) bilancio della quantità di moto (3) bilancio del momento delle quantità di moto (3) conservazione dell energia (1, primo principio della termodinamica) equazione di stato (1) I termini fra parentesi rappresentano il numero di componenti di ciascuna equazione, per un totale di 9 relazioni. Notiamo immediatamente che una relazione esplicita si può ottenere rapidamente per i fluidi più comuni dalla conservazione del momento delle quantità di moto applicata ad un volume elementare infinitesimo. Tale relazione stabilisce l importante proprietà di simmetria del tensore degli sforzi, riducendone le relative componenti incognite a 6. Si hanno pertanto 12 incognite di campo con 6 equazioni, ragion per cui devono essere determinate 6 ulteriori relazioni fra le variabili del campo fluido per permettere la chiusura del bilancio equazioni-incognite. Tali relazioni costituiscono quello che viene genericamente detto legame costitutivo, cioè la relazione che collega il tensore degli sforzi al tensore delle velocità di deformazione. La determinazione di tale relazione si basa su considerazioni sia teoriche che sperimentali, ma la determinazione dei parametri che la caratterizzano richiede comunque una sperimentazione appropriata. Alle relazioni costitutive è solitamente demandato anche il soddisfacimento del vincolo fisico associato all entropia che, in un sistema isolato, non può che crescere o rimanere invariata (secondo principio della termodinamica, irreversibilità di processi termodinamici reali). Assegnata la legge costitutiva, il bilancio incognite-equazioni è quindi chiuso. Per la determinazione di tutte le grandezze di campo summenzionate, le leggi di cui sopra vengono scritte per elementi infinitesimi di fluido, assunto come continuo, dando origine ad un sistema di equazioni differenziali alle derivate parziali. Per la soluzione di tali equazioni occorre poi assegnare le condizioni al contorno e, nel caso instazionario, le condizioni iniziali, specifiche di ciascun problema. Molto spesso, nella pratica ingegneristica, è però 11-1

172 possibile ottenere risultati significativi utilizzando le leggi di cui sopra sotto forma di bilanci globali che, pur non permettendo certo la soluzione completa del campo di moto del fluido, rendono possibile la determinazione di significative relazioni, estremamente utili per l analisi e la progettazione di sistemi industriali a fluido, per i quali viene spesso usata la denominazione di idraulici, quando elaborano liquidi, e pneumatici, quando elaborano gas. Tali sistemi sono modellabili con flussi interni in: tubi (tubazioni), valvole, pompe, e motori/attuatori, che, con accettabile approssimazione, si possono ritenere sostanzialmente monodimensionali ed approssimabili ad isotermici. In realtà il fluido subisce anche apprezzabili variazioni di temperatura dovute agli attriti interni e di parete, comunque non tali da influenzare significativamente il suo movimento, e vengono pertanto trascurate. A causa della monodimensionalità, il bilancio del momento delle quantità di moto non è d interesse, mentre la conservazione dell energia viene utilizzata, di solito, a posteriori, per determinare la quantità di calore da smaltire a causa dell inevitabile riscaldamento del fluido causato dagli attriti. Si possono pertanto scrivere le sole: conservazione della massa (1) bilancio della quantità di moto, o bilancio dell energia meccanica (1) equazione di stato (1). Noi faremo riferimento a tale semplificazione, utile per una significativa parte di problemi associati a impianti idraulici e pneumatici, che, utilizzata in forma di bilanci globali su opportuni volumi di controllo, ci permetterà di affrontare alcuni semplici e significativi problemi. Inoltre, come illustrato nel seguito, non si cercherà un modello unico onnicomprensivo, in grado di descrivere il comportamento puntuale del fluido, ma piuttosto un insieme di semplici modelli, adatti alla descrizione di specifici componenti di circuiti idraulici, nei quali vengono trascurati gli aspetti inessenziali alla descrizione del comportamento fondamentale di tali componenti. L utilizzo di tali componenti all interno di uno schema di connessione riconducibile ad una rete consente di descrivere il comportamento del sistema nell ambito di validità delle approssimazioni utilizzate. Conservazione della massa: la conservazione della massa in un volume di controllo, con un flusso entrante ed uno uscente, si scrive semplicemente: (ρau) entrante (ρau) uscente = d(ρv) dt (11.1) Bilancio dell energia meccanica: è poi pratica comune non utilizzare direttamente l equazione del bilancio della quantità di moto, ma il suo integrale primo, ossia il teorema dell energia meccanica, spesso chiamato teorema di Bernoulli, pratica impropria nel caso di bilancio globale completo dell energia meccanica sulle grandezze medie sezionali di flussi monodimensionali, che comunque accetteremo fra virgolette. Più accettabile è invece la generica denominazione di trinomio di Bernoulli per le espressioni: e p ρ + u2 +gz = cost. 2 p γ + u2 +z = cost. 2g (11.2) (11.3) che compariranno fra breve. Ci limitiamo qui a scrivere la relativa relazione ipotizzando che il fluido di interesse sia sostanzialmente incomprimibile, in moto sostanzialmente stazionario e soggetto al solo 11-2

173 campo gravitazionale. Ricordiamo che l ipotesi di incomprimibilità non è tanto legata al fatto che il fluido sia un gas o un liquido, quanto al rapporto fra la velocità dello stesso e la propagazione delle piccole perturbazioni interne al campo a velocità sonica c, detto numero di Mach M. Tale rapporto deve essere significativamente minore di uno per potere parlare di fluido incomprimibile, ragion per cui i nostri richiami di fluidodinamica saranno generalmente validi per un fluido generico, gas o liquido, purché M sia significativamente minore di uno. Il bilancio di energia meccanica per unità di massa è p ingresso + u2 entrante +gz ingresso = p uscita + u2 uscente +gz uscita +Energia dissipata (11.4) ρ ingresso 2 ρ uscita 2 dove il termine Energia dissipata, rappresentante l energia dissipata per unità di massa di fluido, sarà precisato più avanti. Si noti che dimensionalmente questa equazione contiene delle velocità al quadrato. Una forma equivalente, spesso usata, si ottiene dividendo per g entrambi i termini, ottenendo: p ingresso + u2 entrante +z ingresso = p uscita + u2 uscente Energia dissipata +z uscita + γ ingresso 2g γ uscita 2g g (11.5) in cui tutti i termini hanno le dimensioni di una lunghezza, e a volte permettono una più intuitiva valutazione dell importanza relativa dei vari termini. Come vedremo nelle applicazioni successive, utilizzeremo spesso tale relazione anche per flussi instazionari, ragion per cui riteniamo utile giustificare subito tale estensione in modo da evitarne usi impropri. Allo scopo notiamo che il bilancio dell energia meccanica sopra riportato si può ricavare dall integrazione del bilancio della quantità di moto di un flusso stazionario lungo il tubo, ritenuto sensibilmente rettilineo. Nella derivata totale della quantità di moto, d dt (ρu) = ρ ( u dξ ξ dt + u t ), (11.6) ove ξ è una coordinata curvilinea lungo il tubo, per cui dξ/dt = u e, siccome si è considerata l ipotesi di incomprimibilità, non compare esplicitamente la derivata della densità ρ, in quanto nulla, l ipotesi di stazionarietà implica la condizione u t =. (11.7) Qualora si consideri un flusso non stazionario, l approssimazione data dal considerare ancora valida la (11.7) può essere ancora relativamente accettabile purché l integrale del termine temporale della variazione della quantità di moto, ρ u t, (11.8) lungo il tubo, si possa ritenere trascurabile rispetto agli altri termini. È importante rilevare, come già visto in altri casi, che nella pratica ingegneristica si ricorre spesso a simili approssimazioni, che trascurano alcuni termini del problema al fine di una più semplice soluzione senza però inficiare sensibilmente la validità dei risultati ottenibili. In tali approssimazioni, anche se il tralasciare formalmente alcuni termini appare come considerare gli stessi nulli, il relativo significato fisico è invece sempre associato al fatto che essi sono trascurabili rispetto agli altri fattori che intervengono nella scrittura delle relazioni d interesse. Poiché noi utilizzeremo prevalentemente l equazione di Bernoulli per determinare la velocità media del flusso monodimensionale in condizioni dominate dai gradienti di pressione e dal termine convettivo, ρu u ξ, (11.9) della variazione della quantità di moto (11.6), l approssimazione stazionaria manterrà un significativo livello di accettabilità anche quando la velocità potrà variare temporalmente in modo non trascurabile. In 11-3

174 ultima analisi, la validazione di tale ipotesi spetta alla sperimentazione, ed infatti una lunga pratica ne ha ampiamente dimostrato il livello di validità nelle tipiche applicazioni che qui esemplificheremo, ma potrà, anzi dovrà, comunque sempre essere verificata a posteriori analizzando accuratamente i risultati ottenuti. È infatti evidente che, se dopo avere risolto le equazioni che modellano il nostro sistema a fluido sulla base di una certa ipotesi, la soluzione ottenuta non verifica le ipotesi stesse, la formulazione sviluppata non può che ritenersi inappropriata. D altro canto, l ottenimento di risultati consistenti con gli assunti non può certo garantire la bontà fisica della soluzione se quest ultima è soggetta solo ad approssimazioni plausibili ma non rigorosamente provate, ragion per cui la verifica sperimentale diventa essenziale. È utile aggiungere che spesso tale verifica può essere assunta a priori come scontata sulla base di pratiche consolidate da una vasta letteratura. Un ulteriore immediata applicazione di quanto appena detto viene suggerito dalla formula espressa in unità di lunghezza (11.5), che chiaramente ci dice che per i fluidi più comuni, già in presenza di variazioni di pressione dell ordine di pochi bar, si potrà spesso trascurare il termine associato a variazioni di quota, poiché le variazioni di energia gravitazionale corrispondenti sono trascurabili rispetto alle quote barometriche e d energia cinetica, ipotesi valida per molte applicazioni industriali di componenti a fluido. Continuiamo ancora notando che il nostro volume di controllo è sì prevalentemente monodimensionale, ma dotato di sezione finita, per cui l equazione di cui sopra implica che si possano definire una pressione ed una velocità mediamente uniformi nella stessa. Senza dilungarci ricordiamo che tale condizione è praticamente soddisfatta per correnti turbolente su tutta la sezione, al di fuori, al più, di uno strato genericamente sottile vicino alla parete fisica che contiene il volume di controllo. In sostanza, nella sezione il flusso è dominato dalle forze d inerzia, mentre gli sforzi viscosi si evidenziano solo in prossimità della parete del tubo, quando la velocità diminuisce fino ad annullarsi per soddisfare la condizione di adesione del fluido alla parete. Si noti che si è preferito parlare di distribuzione di velocità nella sezione, evitando ogni riferimento improprio ad un possibile strato limite di parete, essendo tale estensione del concetto di strato limite inappropriata, anche se spesso usata in letteratura 1. Come detto, l esistenza di moti stabilmente turbolenti dipende essenzialmente dal prevalere delle forze d inerzia sulle forze viscose, condizione come noto sintetizzata da un numero di Reynolds medio sulla sezione sufficientemente elevato. Nel caso di flussi prevalentemente monodimensionali, tale numero di Reynolds è definito da: Re = ρd iu µ = D iu ν, (11.1) essendo D i una dimensione caratterizzante la sezione di riferimento, spesso definita per una generica sezione col termine di diametro idraulico equivalente, o semplicemente diametro idraulico, dato da: D i = 4A P (11.11) dove A è l area della sezione e P è il suo perimetro. Chiaramente, per tubi a sezione circolare, D i altro non è che il diametro reale del tubo. Con tale definizione si può approssimativamente ritenere che il flusso sia sicuramente turbolento per Re > 4 e laminare per Re < 2, mentre per valori compresi fra 2 e 4 si ha una condizione di flusso misto, detto di transizione. In generale, la transizione presenta una isteresi, nel senso che, in assenza di perturbazioni, per numeri di Reynolds in crescita da valori inferiori a 2, il flusso tende a rimanere significativamente laminare ben dentro l intervallo critico, e, viceversa, in diminuizione da valori maggiori di 4, il flusso tende a permanere turbolento. La condizione Re > 4 è generalmente soddisfatta, e sarà assunta come vera nella maggior parte della nostra trattazione, salvo quando verranno specificamente evidenziati flussi meglio approssimabili come laminari. Si ricorda che la viscosità dipende sia dalla pressione che dalla temperatura. In particolare la viscosità dei liquidi diminuisce significativamente all aumentare della temperatura, aumentando invece, ma con minore sensitività, all aumentare della pressione. Per i gas si hanno invece aumenti di viscosità sia all aumentare della pressione che della temperatura. Si ricordano alcuni valori tipici di orientamento per la viscosità cinematica alla pressione atmosferica, e per temperature attorno ai 2 o C: acqua 1 6, 1 La nozione di strato limite presuppone che al di fuori di esso esista una regione del campo di moto del fluido nel quale il comportamento possa essere approssimato dal modello del fluido perfetto, ovvero non viscoso. Questo, nelle condutture di sezione piccola rispetto alla lunghezza, non è mai possibile, in quanto tutto il campo di moto risente della viscosità, sia pure in modo diverso. 11-4

175 olî qualche decina di 1 6, aria m 2 /s. Nella pratica ingegneristica il termine Energia dissipata viene denominato genericamente come perdite d attrito, o anche perdite di carico, con riferimento al termine energetico associato ad un salto di pressione che eguaglia le perdite stesse. Tale dicitura richiama la semplice ed intuitiva constatazione che per vincere la resistenza d attrito del fluido bisogna applicare una pressione. Tali perdite vengono generalmente suddivise in perdite distribuite lungo tratti di tubazione di sezione a caratteristiche costruttive sensibilmente costanti e perdite concentrate, collegate ad esempio a: brusche variazioni di sezione, intersezioni di tubazioni, brusche curve, raccordi. Le perdite d attrito distribuite su una tubazione di lunghezza L, diametro idraulico D i e percorsa da un fluido alla velocità media u sono generalmente espresse tramite la relazione: con Energia dissipata per unità di volume = f L D i ρu 2 2 (11.12) f = f (Re) (11.13) funzione dimensionale determinata sperimentalmente. Le perdite concentrate hanno un analoga espressione: Energia dissipata per unità di volume = K ρu2 2 (11.14) dove K è ancora una volta determinato sperimentalmente. Qualora l elemento di concentrazione della perdita coinvolga una variazione di sezione, K è generalmente espresso assumendo per u la velocità più elevata. È opportuno ricordare che tale convenzione non ha nulla di arbitrario, in quanto la perdita concentrata coinvolge un volume equivalente di controllo abbastanza limitato, per il quale è sempre possibile scrivere la relazione di continuità in termini volumetrici (Au) entrante = (Au) uscente. (11.15) Comunque è opportuno verificare attentamente la convenzione utilizzata per definire K ogni volta che se ne reperiscono i valori in letteratura e/o su manuali. Può essere utile ricordare l estensione del bilancio dell energia meccanica testè illustrato al caso in cui il volume di controllo non sia un semplice tratto di condotta, ma contenga anche macchine utilizzatrici/operatrici, che scambino potenza con l esterno. Scriviamo pertanto il: Bilancio globale generalizzato dell energia meccanica: ( ) ( ) pingresso (ρau) entrante + u2 entrante puscita +gz ingresso = (ρau) ρ ingresso 2 uscente + u2 uscente +gz uscita ρ uscita 2 + Potenza dissipata + Potenza esterna dove il termine Potenza esterna si riferisce alla potenza totale scambiata con l esterno, positiva in uscita, mentre il termine Potenza dissipata indica la potenza totale dissipata all interno. Come abbiamo detto precedentemente, l energia dissipata si trasforma in calore che è parzialmente smaltito lungo il circuito idraulico, principalmente per conduzione verso componenti con esso a contatto e convezione verso l ambiente che lo circonda. Come già detto, noi riterremo che, anche in assenza di un significativo smaltimento termico distribuito, le variazioni di temperatura non siano generalmente tali da causare 11-5

176 significativi effetti sul flusso. In tale asserzione si ritiene implicitamente che il fluido elaborato sia continuamente rinnovato, in quanto è chiaro che, qualora la stessa massa fluida fosse continuamente ricircolata in un impianto chiuso che non è in grado di smaltire naturalmente il calore accumulato sotto forma di energia interna lungo il percorso, la temperatura continuerebbe a salire invalidando l assunto. Poiché questo è proprio ciò che avviene negli impianti a fluido di potenza, tali impianti sono sempre dotati di un sistema di raffreddamento, concentrato in uno o più radiatori, che ha il compito di smaltire l energia termica accumulata dal fluido a causa dell attrito. Ecco allora che a questo punto possiamo chiarire cosa intendevamo quando abbiamo detto che il bilancio dell energia ci avrebbe permesso di trarre opportune conclusioni sullo smaltimento dell accumulo dell energia dissipata per attrito sotto forma di energia interna. Infatti se E t è l energia totale dissipata per unità di massa e Q è la portata di massa elaborata nel circuito idraulico, la variazione media di temperatura del fluido sarà T = E t c p, (11.16) mentre la potenza termica totale generata, e quindi da smaltire per mantenere la temperatura del fluido in limiti accettabili, sarà P t = QE t. (11.17) Tali valori permettono il dimensionamento di massima del sistema di raffreddamento del fluido. Equazione di stato: l equazione di stato di un fluido è una generica relazione del tipo: ρ = ρ(p,t) (11.18) Per flussi idraulici e pneumatici approssimabili come incomprimibili è spesso necessario poter valutare alcuni effetti causati dalla comprimibilità sul bilancio di massa del fluido attorno alla condizione nominale di funzionamento. Infatti si ricorda che in tale bilancio interviene il termine d(ρv), dt (11.19) per il quale il volume V funge da fattore di amplificazione delle variazioni di densità ρ, variazioni che invece abbiamo ritenuto inessenziali e tali da non influenzare significativamente il bilancio energetico meccanico. Limitandosi a flussi poco comprimibili e con limitate variazioni di temperatura, è spesso accettabile utilizzare un approssimazione linearizzata dell equazione di stato ottenuta con uno sviluppo attorno ad una densità media nota di riferimento ρ : ( ) ( ) ρ ρ ρ = ρ + p+ T p T T p ρ ( 1+ 1 ρ ( ρ p ) T p+ 1 ρ ( ρ T ) T p ) (11.2) Chiaramente, in condizioni normali 2, la densità aumenta all aumentare della pressione, ( ρ/ p) T >, mentre diminuisce all aumentare della temperatura, ( ρ/ T) p <. Tenendo conto delle condizioni precedenti, si definiscono allora due significative grandezze caratterizzanti i fluidi: il modulo di comprimibilità volumetrica (isotermico) ( ) p β = ρ, (11.21) ρ T detto anche bulk modulus in inglese, e 2 Vi sono notevoli eccezioni nel comportamento di alcuni fluidi, che spesso si verificano in prossimità di un cambiamento di stato. Ad esempio, l acqua ha ( ρ/ T) p > tra e 4 gradi centigradi a pressione atmosferica. 11-6

177 il coefficiente di dilatazione volumetrica isobarico α = 1 ( ) ρ, (11.22) ρ T p per cui la formula espressa dall equazione 11.2 si scrive: ( ρ = ρ 1+ 1 ) β p α T (11.23) Spesso è utile riferire β e α ad un generico volume di riferimento V, invece che ad una densità. Essendo, a parità di massa, il volume inversamente proporzionale alla densità, si avrà: ρ = 1 V (11.24) e quindi dρ = dv V 2, per cui ( ) p β = ρ ρ T α = 1 ρ ( ρ T ( p = ρ V ) p = 1 ρ ( ρ V ) ( V p = V ρ T V ) V T p ) T = 1 V ( V T (11.25), (11.26) ). (11.27) p Siccome abbiamo assunto trascurabili gli effetti termici sulla dinamica del fluido, α non sarà considerato. Al contrario, β sarà una caratteristica della massima importanza nella determinazione della dinamica dei sistemi a fluido ogniqualvolta non potremo ritenere il fluido perfettamente incomprimibile, in quanto ne caratterizzerà la relativa rigidezza. Si noti che è anche possibile la definizione di un coefficiente di comprimibilità adiabatica β a, collegabile a β tramite la relazione: β a = c p c v β. (11.28) Essendo 3 γ = c p c v (11.29) significativamente approssimabile a uno per i liquidi, per essi la distinzione fra i due moduli è solitamente inessenziale. Per i gas, invece, la differenza può essere significativa; si ricordi che c p /c v vale all incirca 1.4 per gas perfetti biatomici, e l utilizzo del modulo adiabatico meglio approssima la realtà, in quanto per i gas l ipotesi di adiabaticità, ovvero scambio di calore nullo, è più appropriata. Per un gas, approssimato come perfetto, ricordando la definizione di β e la relativa equazione di stato, p = ρrt, (11.3) si constata facilmente che β = p (mentre α = 1/T) e quindi β a = c p c v p = γp. (11.31) Nel prosieguo, salvo diversa ed esplicita menzione, noi utilizzeremo sempre il simbolo β, sottintendendo allo stesso β a nel caso di gas. Si può quindi avere un idea immediata dell ordine di grandezza della comprimibilità di un gas, mentre per i liquidi si ricordano i valori approssimativi a 2 o C: per gli olî 3 Non si confonda questo γ, rapporto tra i calori specifici a pressione e a volume costante, con quello usato nella (11.5) per indicare la densità specifica ρg. 11-7

178 utilizzati nei circuiti idraulici β = 1.5 Gpa (15 bar), e per l acqua β = 2.1 Gpa (21 bar). La comprimibilità volumetrica generalmente diminuisce all aumentare della temperatura, con variazioni che dipendono da liquido a liquido; l acqua, ad esempio, non presenta significative variazioni nell intervallo 2 1 o C, mentre gli olî idraulici possono subire una diminuizione di circa il 25%. È importante rilevare che nelle reali condizioni operative, per quanto si ponga attenzione ad evitare l inclusione e la formazione di gas, una certa percentuale di inclusione di gas non disciolto è sempre presente. Tale inclusione può influenzare significativamente la rigidezza del fluido, esperienza spesso drammaticamente avvertita quando il calore sviluppato dall eccessivo riscaldamento dei freni di un autoveicolo si trasmette al fluido del circuito frenante che evapora parzialmente, facendo sì che la pressione esercitata sul pedale del freno produca un effetto frenante estremamente limitato, poiché frenando non si fa altro che comprimere le bolle di vapore sviluppatesi in seno al liquido (fading). Infatti, il vapore ed il liquido agiscono come due elementi elastici in serie, per i quali, come ben sappiamo, si sommano le relative flessibilità(inverso delle rigidezze), per cui se una è preponderante sull altra diventa praticamente la sola responsabile della cedevolezza globale del sistema idromeccanico. Può essere utile evidenziare tale concetto nei casi di interesse applicativo. Supponiamo che in un volume complessivo V t ci sia una parte V l di liquido e una parte V g di gas; sarà evidentemente V t = V l +V g e V t = V l + V g. Chiamando β il modulo relativo a tutto il volume, dalla sua definizione in termini volumetrici potremo scrivere la precedente relazione delle variazioni volumetriche nella forma: V t β p = V l β l p+ V g β g p, (11.32) da cui proseguendo: V t β p = V t V g per arrivare a: β l 1 β = 1 β l + V g V t ( 1 p+ V g β g p, (11.33) β g 1 β l spesso più semplicemente approssimabile con 1 β 1 β l + V g V t 1 β g, ) (11.34) (11.35) essendo β l β g. Da tale formula si vede come per un inclusione volumetrica di gas dell 1%, ovvero per V g /V t =.1, alla pressione media operativa atmosferica, β g 1 bar, un fluido idraulico con β l = 15 bar abbia una rigidezza volumetrica effettiva di soli circa 1 bar, mentre alla pressione media operativa di 15 bar si abbia un valore solo dimezzato. Questa è certamente una delle ragioni che ben evidenzia l opportunità dell utilizzo di circuiti idraulici di potenza operanti a pressioni relativamente alte. Ad ulteriore complemento si rileva che l inclusione di aria nei circuiti idraulici operanti alla pressione atmosferica può raggiungere valori ben maggiori dell 1%, mentre ad alte pressioni medie operative l aria tende a dissolversi nel liquido con minore degrado della rigidezza volumetrica dello stesso. Pur senza dilungarci oltre, notiamo che un ulteriore diminuzione della rigidezza apparente del fluido può imputarsi anche alla deformabilità strutturale degli elementi che lo contengono. Abbiamo già richiamato come la distinzione fra flussi comprimibili e non sia associata al numero di Mach M e quindi alla velocità di propagazione del suono nel fluido. Può essere ora utile ricordare che la velocità del suono altro non è che la velocità di propagazione delle piccole perturbazioni di campo nel mezzo, approssimato come non dissipativo, ed è data da c = ( p ρ ) adiabatico = β a ρ. (11.36) Come già ricordato, per i liquidi la distinzione fra comprimibilità isotermica e adiabatica è inessenziale, mentre per i gas è necessario usare β a. Si ricorda che per i gas perfetti la celerità del suono, a partire dalla (11.36), è data dalla c = γrt (11.37)

179 Riprendendo il bilancio di massa dato dalla (11.1), qui ripetuto per chiarezza espositiva: (ρau) entrante (ρau) uscente = d(ρv), (11.38) dt dopo aver condotto buona parte della presentazione precedente sulla base dell ipotesi di flusso incomprimibile parrebbe naturale riscrivere la stessa in termini puramente volumetrici, e cioè: (Au) entrante (Au) uscente = dv dt, (11.39) essendo quindi ogni effetto instazionario attribuibile alla sola variabilità del volume di controllo, come nel caso di un cilindro con pistone mobile o di una valvola con elemento di chiusura scorrevole. Ricordando l equazione di stato linearizzata ( ρ = ρ 1+ p ) (11.4) β e trascurando le dilatazioni termiche, è infatti facilmente verificabile che per i liquidi p/β rimane nell ordine di soli alcuni punti percentuali anche per variazioni di alcune centinaia di bar, mentre per i gas, essendo p/β dell ordine di p/p l effetto è sostanzialmente dipendente dalla pressione media operativa, ma può comunque rimanere adeguatamente contenuto in presenza di una pressurizzazione media adeguata. È comunque utile esplicitare tali considerazioni eseguendo alcuni passaggi. Sostituendo allora l equazione di stato linearizzata nel bilancio di massa abbiamo: (ρau) entrante (ρau) uscente = ρ dv dt +ρ V d p β dt, (11.41) che, assumendo p/β sufficientemente minore di uno, permette di confondere ρ con ρ e quindi di semplificare ρ e riscrivere la stessa in termini puramente volumetrici: (Au) entrante (Au) dv uscente = dt + V d p β dt. (11.42) Tale formula mostra come, anche per flussi ben approssimabili come incomprimibili, in presenza di relativamente elevate variazioni temporali di pressione e/o volumi non piccoli si possano introdurre eccessive approssimazioni trascurando il termine V d p β dt. (11.43) La differenza essenziale fra liquidi e gas è allora legata alla pressione di riferimento implicita nell equazione di stato linearizzata. Infatti, come già detto, per i liquidi tale equazione può fornire una buona approssimazione anche per variazioni di pressione di centinaia di bar e si può quindi scrivere anche assumendo come pressione di riferimento la pressione nulla, e quindi direttamente in termini di pressione assoluta: (Au) entrante (Au) uscente = dv dt + V dp β dt (11.44) e non di variazione p. È anche opportuno ricordare che la pressione non può essere minore di zero, corrispondendo infatti la pressione nulla al vuoto assoluto. Una banale constatazione da cui consegue l impossibilità di aspirare un liquido alla pressione atmosferica ad un altezza di più di 1/(ρg) metri, circa 1 m nel caso dell acqua. Di fatto, a causa delle perdite di carico e della necessità di garantire una portata adeguata, il fluido deve pervenire a destinazione con una velocità, e quindi energia cinetica, adeguata, tale altezza è in pratica assai inferiore al limite sopra riportato. Inoltre, all abbassarsi della pressione a livelli significativamente inferiori alla pressione atmosferica, il fluido libera ogni gas in esso disciolto e comincia a vaporizzare, diventando praticamente bifasico (gas-liquido); i gas disciolti e il suo vapore formano bolle di varie dimensioni. Tale condizione è spesso fonte di varie forme di vibrazioni, 11-9

180 rumore e generazione di sollecitazioni dinamiche. Quando poi il liquido viene assoggettato a ricompressione, si possono generare fenomeni di erosione dovuti a pressioni intense e fortemente localizzate, causate dall esplosione delle bolle, che sono spesso in grado di rompere i legami intermolecolari del materiale con cui vengono a contatto durante l esplosione stessa, formando cavità ed erosioni distruttive. Il termine generalmente usato per tali situazioni è quello di cavitazione. Concludiamo ricordando la scrittura del bilancio globale della quantità di moto per un flusso stazionario applicato ad un volume di controllo fisso: F = ρu(u n) ds, (11.45) S essendo F la risultante di tutte le forze applicate al volume di controllo, U la velocità di efflusso e S la superficie che racchiude il volume di controllo. Tale formula risulterà utile per determinare le forze scambiate fra fluido e parti meccaniche, sia fisse che mobili Esempi di applicazione dei concetti richiamati Colpo d ariete Perfino nelle normali condotte domestiche dell acqua potabile è a volte possibile avvertire un colpo metallico proveniente dalle tubazioni quando si chiude bruscamente un rubinetto ben aperto. Tale botto è associato alla sovrapressione che si genera a causa della comprimibilità dell acqua. Non ci addentreremo qui in uno studio dettagliato del fenomeno, ma solo in un analisi semplificata, in grado di fornire però alcune utili indicazioni pratiche. Supponiamo allora che si sia stabilito un flusso stazionario avente velocità media u in una tubazione di lunghezza L e area A; a tale flusso sarà associata un energia cinetica T = 1 2 ρlau2. (11.46) In conseguenza di una chiusura istantanea della condotta, il flusso viene improvvisamente bloccato all uscita, e comincerà a comprimersi, propagando, alla velocità del suono c e in senso retrogrado al flusso, una sovrapressione che si accompagna ad un annullamento della sua velocità. Dopo un tempo L/c, tutto il fluido avrà velocità nulla e, trascurando gli effetti gravitazionali, tutta l energia cinetica si sarà trasformata ed accumulata in energia elastica, che sarà data da: E = p dv. (11.47) V Il principio di conservazione della massa, applicato alla tubazione, ci dice che dv dt + V dp β dt =, (11.48) o anche dv = V β dp, (11.49) che, sostituita nell integrale precedente, permette di scrivere E = 1 LA 2 β p2. (11.5) Eguagliando le due energie, si ricava la variazione di pressione massima conseguente ad una soppressione istantanea del flusso: β p ci = ρ u = ρcu (11.51) ρ 11-1

181 Figura 11.1: Variazione di pressione massima in una condotta che, va rilevato, non dipende dalla pressione già esistente nella condotta. È facile constatare che già con un modesto flusso d acqua, con velocità di circa un metro al secondo, si può instaurare una sovrapressione di una decina di bar. Naturalmente, una chiusura istantanea del rubinetto di casa non è ipotizzabile ma, come abbiamo già detto, zero non vuol mai dire zero di per sé, ma qualcosa di piccolo rispetto ad una grandezza di riferimento. È allora evidente che la rapidità di chiusura non è un valore assoluto, ma va collegata ad un tempo caratteristico legato al propagarsi della perturbazione ipotizzata. Tale tempo può, riferendosi ad una compressione e riespansione completa, assumersi dato da T c = 2 L c, (11.52) ragion per cui, per evitare sovrapressioni eccessive, sarà opportuno effettuare le manovre di chiusura in tempi molto maggiori di tale quantità. Tale condizione si può facilmente soddisfare in occasione di manovre di chiusura programmabili a priori, ma può imporre un vincolo inaccettabile in tutte le operazioni di regolazione, sia di normale funzionamento che di emergenza, nelle quali è richiesta una certa prontezza, ragion per cui è spesso opportuno provvedere con opportuni accorgimenti di progetto, su cui non è opportuno qui dilungarsi. Chiaramente, l esempio domestico viene fatto solo per immediatezza intuitiva. Per un esempio più significativo basti pensare alle lunghe condotte in pressione che alimentano le turbine idrauliche e agli impianti a fluido che contengono componenti di regolazione con banda passante avente frequenze dell ordine di 1/T c. Il grafico di figura 11.1 permette una valutazione approssimata della variazione di pressione massima p max che si sviluppa in una condotta in cui il fluido scorre alla pressione p e la chiusura avviene con legge lineare su un tempo T. I simboli utilizzati sono: K = p ic 2p, T c = 2L c, N = T T c (11.53) Flusso stazionario da una piccola apertura (orifizio) Si supponga che in un tubo di area A t sia inserito un diaframma con un apertura di area A o, centrata attorno all asse del tubo, come illustrato in figura Se A o è significativamente minore di A t, ovvero se l apertura è un orifizio, si ha in genere una forte contrazione del flusso, la cui minima sezione non si stabilisce in coincidenza del diaframma ma in una sezione contratta, detta appunto di vena contracta, 11-11

182 Figura 11.2: Orifizio poco a valle e di area A c = C c A o, essendo C c un opportuno coefficiente di contrazione. Allora, tra la sezione 2 e una sufficientemente a monte della sezione 1 si possono scrivere le seguenti equazioni: dalla (11.15) A t u t = A c u c, e dalla (11.4), ricordando la (11.14) da cui 2 p ρ (11.54) = u 2 c (1+K c ) u 2 t, (11.55) 1 u c = Ac (1+Kc ) ( A t ) 2 2 p ρ. (11.56) Più usualmente, però, le perdite dovute alla contrazione vengono tenute in conto riscrivendo la formula (11.56) nella forma: C u 2 p u c = ( ) 2 ρ, (11.57) Ac 1 A t dove C u è un coefficiente, detto di velocità, lievemente inferiore ad uno, dell ordine di.98, spesso omesso essendo assai prossimo ad 1, il che corrisponde anche ad assumere perdite concentrate nulle e quindi K vc =. Si può allora scrivere la portata corrispondente in termini delle grandezze geometriche effettive: C u C c A o q = ( Cc A o 1 A t ) 2 che, definendo un coefficiente d efflusso 2 p ρ, (11.58) C u C c C e = ( ), (11.59) 2 Cc A o 1 A t 11-12

183 si scrive più sinteticamente: 2 p q = C e A o ρ. (11.6) Nella prassi, C e è il coefficiente di più facile valutazione sperimentale, dipende dal numero di Reynolds ed è sensibilmente compreso fra.6 e.7 per rapporti di contrazione che soddisfino la relazione:.2 A o /A t.6. Per mantenersi consistenti con la relazione sopra illustrata, per il calcolo della portata da un orifizio sarà allora opportuno calcolare la relativa velocità d efflusso con: 2 p u o = C e ρ. (11.61) Va anche notato che nelle formule precedenti si è sempre assunto p > e che un eventuale variazione del segno del salto di pressione starebbe ad indicare l inversione del flusso attraverso l orifizio. Chiaramente, sia la portata che la velocità d efflusso sono grandezze con un verso, e quindi segno, e un inversione di flusso è sempre possibile. In relazione a tale eventualità, sarà opportuno scrivere: 2 p q = C e A o sign( p) (11.62) ρ nella quale, qualora si evidenzino asimmetrie geometriche, si dovrà inoltre avere cura di utilizzare un C e dipendente anch esso dal segno del salto di pressione. Una simile precauzione può essere evitata solo se è possibile garantire l impossibilità di inversione del flusso sulla base di considerazioni fisiche, ragion per cui p diventerà invece una sicura indicazione di errori di calcolo e/o di modellazione. La presenza del termine 2 p/ρ nelle formule presentate evidenzia chiaramente che tali formule non sono utilizzabili per flussi laminari. In tale caso è infatti noto che la portata è invece proporzionale a p, per cui si può scrivere: q = C el A o p. (11.63) Si riportano quindi brevemente le espressionidi C el per due geometrie di orifizi più comuni, valide quando la dimensione massima degli stessi è molto minore della dimensione del tubo: per orifizi circolari: C el = d 12.6µ ; (11.64) per orifizi rettangolari e corone circolari di altezza molto inferiore alla circonferenza media: C el = dimensione minima. (11.65) 1.2µ Anchesenonèunorifizio, ricordiamoquilaformulaperilc el delflussopianofraduepiastredilunghezza L distanti h, con h/l molto minore di uno: C el = h2 12µL (11.66) Essendo h/l molto minore di uno, il flusso è sostanzialmente bidimensionale sia per intagli rettangolari che circolari, e tale formula è assai utile per determinare le perdite di flusso conseguente ai giochi costruttivi. Come già precedentemente ricordato a commento del bilancio di energia meccanica nelle condotte, si rileva che le espressioni sopra ricavate valgono per flussi stazionari, ma verranno da noi utilizzate anche nel caso non stazionario, essendo tale fenomeno dominato dalle variazioni di pressione e dai termini inerziali convettivi

184 Figura 11.3: Molla-smorzatore a fluido Molla-smorzatore a fluido Con riferimento alla figura 11.3, si assuma che il cilindro-pistone contenga un fluido inizialmente pressurizzato uniformemente, in modo da non avere squilibri di pressione sulle due facce. Assumendo che ogni successivo movimento sia effettuato in modo da causare variazioni di pressione tali da permettere di utilizzare il bilancio di massa basato sull equazione di stato linearizzata (11.42), ricordando la (11.63), potremo scrivere: P 1 = P 2 = β A p x ( A pẋ C eli A eli ( P 1 P 2 ) C ele A ele P 1 ) β A p (L x) (A pẋ+c eli A eli ( P 1 P 2 ) C ele A ele P 2 ), (11.67) dove L è la corsa del pistone, e i termini di scambio di fluido, fra le due camere e verso l esterno, sono formulati assumendo un flusso laminare, ritenendo quindi che gli accoppiamenti cilindro-pistone e stelosupporti siano sufficientemente precisi da garantire giochi tali da mantenere il numero di Reynolds ben dentro i limiti di laminarità in ogni condizione operativa. C eli è il coefficiente di efflusso laminare interno attraverso l area anulare A eli attorno al pistone, C ele è il coefficiente di efflusso laminare verso l esterno attraverso i supporti dello stelo. Supponendo che l attrito che si stabilisce fra cilindro e pistone e fra stelo e supporti sia approssimabile con una dissipazione viscosa di coefficiente r, la forza generata dalla molla-smorzatore sarà: F = ( P 1 P 2 )A p rẋ. (11.68) Le formule di cui sopra possono essere sintetizzate nella seguente forma matriciale: equazione di stato: { } P 1 P = β 2 A p equazione di uscita: +β C eli A eli +C ele A ele x C elia eli 1 x 1 L x F = A p [ 1 1 ] { P 1 P 2 L x C elia eli { } x P1 C eli A eli +C ele A ele P 2 L x ẋ; (11.69) } rẋ; (11.7) 11-14

185 le quali mostrano come il sistema risponda con la generazione di una forza ad un movimento assegnato definito da x, ẋ. Si deve rilevare che il comportamento della molla-smorzatore a fluido non solo sia non lineare, per la presenza dello spostamento x a denominatore, ma sia anche caratterizzato da un sistema di equazioni differenziali che non permettono di definire la forza come puntualmente dipendente dai valori istantanei di x, ẋ, poiché la stessa viene a dipendere dall integrazione di un sistema di equazioni differenziali e quindi dalla storia del movimento. Caso limite: smorzatore Solo nel caso in cui il coefficiente di comprimibilità sia talmente elevato, e i movimenti sufficientemente lenti da rendere le derivate delle variazioni di pressione trascurabili rispetto alla variazione temporale delle pressioni nelle due camere, il sistema sarà approssimabile con la semplice relazione algebrica: F = A2 p [ ] C elia eli +C ele A ele 1 1 x C eli A eli L x C eli A eli x C elia eli +C ele A ele L x 1 1 x 1 L x +r ẋ. (11.71) In tal modo è sì possibile una relazione algebrica che permette di determinare la forza esercitabile dalla molla-smorzatore a fluido, ma il comportamento rimane comunque non lineare, ed una linearizzazione è possibile solo per piccole perturbazioni attorno ad una condizione di riferimento, ovvero ad un dato valore di x. Caso limite: molla Si noti che una forza dipendente dalla sola posizione è possibile solo con tenute perfette e senza nessun attrito di contatto, nel qual caso si ha una molla a fluido: C eli A eli = C ele A ele =, (11.72) si ha { } P 1 P = β 2 1 x 1 L x ẋ (11.73) che, per integrazione (trascurando la dipendenza da x del termine forzante), dà { P1 P 2 } = β 1 x 1 L x La forza diventa F [ ] { } P = A p P 2 = βa p ( 1 x + 1 L x (x x ). (11.74) ) (x x ) = βa p L x(l x) (x x ), (11.75) che rappresenta un elemento elastico non lineare, la cui linearizzazione attorno a x = x dà: F L = βa p x. (11.76) x (L x ) Si noti come il minimo della rigidezza equivalente si abbia per x = L/2, mentre questa tenda ad infinito quando x è tale da far tendere a zero il volume di una delle camere

186 Figura 11.4: Attuatore idraulico lineare Attuatore idraulico lineare Se nel cilindro studiato nel caso precedente, che supponiamo attuato con un liquido, apriamo due luci di alimentazione che, grazie ad una valvola di distribuzione, possiamo collegare sia ad una elevata pressione dialimentazione, ritenutacostante, P a, cheaunapressionediscaricop s (spessolapressioneatmosferica), otteniamo un attuatore, leggasi anche motore, idraulico lineare, ovvero una macchina che genera uno spostamento o una forza, illustrato in figura Utilizzando i concetti qui presentati, il comportamento di tale sistema è modellabile tramite il seguente sistema di equazioni differenziali non lineari: bilancio di massa nelle due camere, dalle (11.67) e (11.6): P 1 = P 2 = β 2 A p ẋ C eli A eli (P 1 P 2 ) C ele A ele (P 1 P e )+C e A ic A p x ρ (P a P 1 ) β 2 A p ẋ+c eli A eli (P 1 P 2 ) C ele A ele (P 2 P e ) C e A uc A p (L x) ρ (P 2 P s ) ; equazione di moto del pistone: Mẍ = A p (P 1 P 2 ) rẋ F, (11.77) essendo F una generica forza esterna applicata alla stelo (opposta allo spostamento x)

187 Anch esse sono sintetizzabili in forma matriciale nella seguente: 1 ẋ ẍ r A p A p M M M P = 1 P β β C elia eli +C ele A ele β C elia eli 2 x A p x A p x β L x β C elia eli A p (L x) β C elia eli +C ele A ele A p (L x) x ẋ P 1 P 2 (11.78) + βc e A p x 2 ρ (P a P 1 ) βc e 2 A p (L x) ρ (P 2 P s ) { Aic A uc } + β C elea ele A p x β C elea ele A p (L x) P e 1 M F, (11.79) dalla quale si vede che si può controllare il movimento del pistone e la forza generata controllando le portate di fluido nelle camere del cilindro tramite le aperture A ic, A uc. Spostanto opportunamente la valvola a cassetto è possibile anche invertire il collegamento tra le camere del pistone e le pressioni di alimentazione e scarico. In questo modo il comportamento dell attuatore è perfettamente simmetrico

188 11-18

189 Capitolo 12 Sistemi vibranti ad un grado di libertà Parte II Generato il 1 settembre Identificazione dello smorzamento Smorzamento viscoso: moto libero Nell ipotesi di avere uno smorzamento di tipo viscoso, la risposta del moto libero è retta da una legge del tipo ) x(t) = X e sin( ξωt 1 ξ2 ω t+φ (12.1) Negli istanti di tempo t per cui ) sin( 1 ξ2 ω t+φ = 1 (12.2) la risposta è tangente all inviluppo esponenziale X e ξωt ; (12.3) tuttavia le tangenti non sono orizzontali, e i punti di tangenza sono leggermente spostati a destra del punto di massima ampiezza. Generalmente questo fatto è trascurabile e l ampiezza del punto di tangenza può essere considerata coincidente con l ampiezza al punto di massimo dell oscillazione. Con riferimento alla simbologia indicata in figura, il decremento logaritmico tra due oscillazioni consecutive è ( ) ( x1 X e ξω t ) δ = ln = ln = ξω T (12.4) x 2 X e ξω(t+t) Dal momento che il periodo di una oscillazione è si ottiene T = 2π ω = 2π ω 1 ξ 2 δ = 2πξ = 2πξ 1 ξ 2 (12.5) (12.6) ove l approssimazione si può ritenere valida per valori di ξ relativamente piccoli (si noti che per ξ =.1 l errore è dello.5%, mentre per ξ =.3 l errore è del 5%). La validità dell approssimazione è illustrata in figura Si noti inoltre che, per ξ =.1, l attenuazione è x 2 /x 1 = e ξωt =.53, ovvero l ampiezza dell oscillazione su un periodo è quasi dimezzata. Ne consegue che il segnale si attenua molto rapidamente. 12-1

190 Figura 12.1: Identificazione dello smorzamento. Figura 12.2: Validità dell approssimazione dello smorzamento identificato mediante la relazione (12.6). 12-2

191 Smorzamento viscoso: moto forzato Per una forzante armonica del tipo F (t) = F sin(ωt) (12.7) il lavoro introdotto in un periodo in un sistema meccanico è pari a L = F dx T (12.8) e supponendo il sistema a regime con legge del moto x(t) = X sin(ωt+φ) (12.9) ne deriva quindi che dx = dx dt = X ωcos(ωt+φ)dt (12.1) dt e quindi la (12.8) diventa 1 2π L = ωf X ω sin(ωt)cos(ωt+φ) dt = πf X sinφ (12.12) dove si è sfruttata la relazione T = 2π/ω tra periodo e pulsazione. Nell ipotesi di smorzamento viscoso, quindi con F D = rẋ e fase φ = π/2, il lavoro dissipato 2 a regime è L D = T rẋ dx = ω 2 r X 2 2π ω cos 2 (ωt+φ) dt = ωπr X 2 (12.13) Imponendo l annullamento della somma del lavoro (12.12) compiuto dalla forzante F e di quello (12.13) assorbito dallo smorzamento viscoso si ottiene L+L D = πf X sinφ ωπr X 2 =, (12.14) da cui è possibile ricavare il valore dello smorzamento r = F sinφ ω X (12.15) a seguito del rilevamento sperimentale del modulo X e della fase φ della risposta del sistema ad una forzante armonica (si ricordi che per un sistema ad un grado di libertà π < φ ), di cui siano noti ampiezza F e pulsazione ω. Dalla misura dell energia dissipata scopriamo che, a parità di ampiezza X della risposta, il lavoro dissipato varia proporzionalmente con la pulsazione ω, mentre a parità di pulsazione si modifica con il quadrato dell ampiezza della risposta. 1 Si ricordi che, secondo le formule di prostaferesi, cos(ωt+φ) = cos(ωt)cosφ sin(ωt)sinφ (12.11) e che l integrale sul periodo del prodotto di funzioni ortogonali dà zero, a meno che non si tratti della stessa funzione, ovvero del quadrato di una funzione; quindi nella (12.12) solo il termine sin 2 (ωt) dà integrale diverso da zero. 2 È relativamente agevole verificare che il lavoro compiuto su un periodo dalle forze elastiche e di inerzia per il movimento armonico descritto dalla (12.9) è nullo; di conseguenza, se la forzante compie lavoro, questo non può che essere assorbito dalle forze dissipative. 12-3

192 Smorzamento isteretico A dispetto di quanto evidenziato nel paragrafo precedente, molte esperienze di laboratorio hanno mostrato che se il fenomeno dissipativo è legato a fenomeni d isteresi, come spesso avviene ad esempio per lo smorzamento delle vibrazioni nelle strutture metalliche, l energia dissipata in un ciclo è indipendente dalla frequenza di vibrazione, e dipende solamente dal quadrato dell ampiezza di deformazione e quindi di vibrazione, per cui ovvero L D X 2 L D = α X 2 (12.16) L D = ωπr eq X 2 = α X 2. (12.17) Da questa si ricava uno smorzamento equivalente, all equilibrio, dato da r eq = 1 ω α π (12.18) per cui l equazione differenziale, la cui soluzione descrive il moto del sistema quando è forzato armonicamente alla frequenza ω, diventa mẍ+ 1 ω α πẋ+kx = F sin(ωt) (12.19) il cui integrale particolare ha un ampiezza F X = ) (12.2) 2 α (k ω2 m) +( 2 π che in risonanza vale X = F α/π (12.21) Si noti che l equazione (12.19) non è in grado di descrivere il comportamento generale del sistema, in quanto il coefficiente che moltiplica ẋ dipende dalla pulsazione ω della forzante; quindi è in grado di descrivere solamente il comportamento del sistema soggetto ad una forzante armonica alla frequenza ω. La conclusione è che lo smorzamento viscoso, descritto dalla relazione costitutiva F D = rẋ, consente di introdurre smorzamento nei modelli matematici dei sistemi fisici preservando i vantaggi dell uso di modelli lineari o linearizzati, ma l evidenza sperimentale mostra che in alcuni casi non descrive in modo adeguato la natura della dissipazione che ha luogo nei meccanismi durante i fenomeni di vibrazione. Tuttavia, vista l importanza dello studio di fenomeni meccanici quali le vibrazioni, sia libere che forzate armonicamente, la possibilità di tarare empiricamente il coefficiente di smorzamento ξ in funzione della pulsazione ω della forzante consente comunque di utilizzare il modello viscoso, introducendo quindi il fenomeno fondamentale della dissipazione dell energia associata alle vibrazioni, tenendone ben presenti i limiti di applicabilità Isolamento delle vibrazioni Come abbiamo visto, la forzante armonica impressa al nostro oscillatore potrebbe essere dovuta a un macchinario ruotante con velocità angolare ω posto sulla massa di fondazione. La forza trasmessa al terreno, al generico tempo t, sarà F tr (t) = kx+rẋ = kxe iωt +irωxe iωt = (k +irω)xe iωt = F tr e iωt (12.22) 12-4

193 Figura 12.3: Macchine che trasmettono vibrazioni al terreno. Figura 12.4: Sistema soggetto a vibrazione del terreno. dove F tr = F k 2 +(rω) 2 (k mω 2 ) 2 +(rω) 2 (12.23) ovvero F tr F = ( 1+ 2ξ ω ) 2 ω ( ) 2 ω 1 ω 2 + (2ξ ωω ) 2 (12.24) Come visto in precedenza, questa forzante armonica applicata al terreno lo porterà a vibrare con un ampiezza b, ovvero con una legge del tipo descritto dalla (5.64), che forzerà le strutture circostanti, come illustrato in figura Per questa struttura l equazione di equilibrio dinamico è ovvero mẍ+r(ẋ ẏ)+k(x y) = (12.25) mẍ+rẋ+kx = rẏ +ky = b(iωr +k)e iωt (12.26) 12-5

194 Figura 12.5: Modulo e fase della risposta di un sistema vibrante smorzato (N.B.: nel disegno ω/ω è indicato con ω/ω n, lo smorzamento r è indicato con c, mentre la fase φ è rappresentata con segno opposto). e il relativo integrale particolare è x p = X e i(ωt+φ) (12.27) con X = b k 2 +(rω) 2 (12.28) (k mω 2 ) 2 +(rω) 2 ovvero X b ( 1+ 2ξ ω ) 2 ω = ( ) 2 ω 1 ω 2 + (2ξ ωω ) 2 (12.29) Si noti che pur essendo due fenomeni diversi, la soluzione è del tutto analoga a quella della forza trasmessa, descritta dalla (12.24). In entrambi i casi interessa che la soluzione sia 1 tanto per la forza trasmessa F tr /F al terreno quanto per la trasmissibilità β = X /b. I parametri di progetto sono: per la macchina eccitatrice la massa M, la pulsazione di funzionamento a regime ω e il momento statico di eccenticità me, prodotto della massa eccentrica m e della distanza dal centro di rotazione e; per la struttura eccitata la massa m, l ampiezza dello spostamento imposto b e ovviamente la pulsazione ω dell eccitazione, che è uguale a quello della macchina sbilanciata. Diagrammiamo l andamento di β = X /b al variare di ω/ω. Si nota che per ω/ω = 2 la trasmissibilità è pari a 1 e che al crescere del rapporto tra le frequenze la trasmissibilità scende fino a tendere asintoticamente a zero per ω/ω. Questo fatto avviene indipendentemente dal valore dell indice di smorzamento ξ, il cui effetto è, al suo aumento, di ridurre l ampiezza di vibrazione per ω/ω = 1, ma d altra parte, rallenta la diminuzione di β per ω/ω. 12-6

195 Riassumendo, converrebbe quindi scegliere ω/ω > 2, e quindi la rigidezza k < mω 2 /2, e nel contempo avere valori del fattore di smorzamento ξ piccoli per non ricorrere a rigidezze k troppo piccole, che comportano, ad esempio, frecce statiche elevate. Poiché abbiamo scelto di far operare la fondazione con ω/ω > 2, ciò significa che tutte le volte che il macchinario viene avviato o arrestato, entrambe le fondazioni, durante il transitorio, si troveranno a passare per ω/ω = 1 e quindi non conviene avere valori dell indice di smorzamento troppo piccoli, o addirittura trascurabili, in quanto ciò porterebbe ad ampiezze in risonanza elevate che creerebbero problemi ai collegamenti verso l esterno del macchinario. In secondo luogo, operare con valori di ξ piccoli significa anche non poter più trascurare l integrale generale dell omogenea associata, che partecipa alla soluzione completa, perché torna a essere presente tutte le volte che avvengono delle perturbazioni, per quanto piccole, delle condizioni di regime, e la sua cancellazione può richiedere un numero elevato di cicli. I problemi maggiori vengono, tuttavia, creati dalla rigidezza k. Dal diagramma di figura 12.5 si vede, ad esempio, che per ridurre del 6% le vibrazioni nelle strutture circostanti dobbiamo avere ω/ω > 2, ovvero k < mω 2 /4. Tale ragionamento porterebbe a scegliere ω, ma in tale caso δ st = mg k = g ω 2 (12.3) ovvero lo schiacciamento statico è inversamente proporzionale al quadrato della pulsazione caratteristica del sistema, per cui dovremmo realizzare fondazioni con frecce statiche molto grandi, e tale problema è ovviamente di impossibile soluzione se abbiamo macchine lente in cui ω è dell ordine di qualche centinaio di giri/min. Per un asta omogenea ed uniforme, la rigidezza k è esprimibile come k = F h = F hε = FE hσ = FEA hf = EA h (12.31) quindi per ridurre k, scelto un materiale e quindi il modulo di elasticità E, dovremo avere delle aree A piccole e degli spessori h degli elementi elastici (ad esempio un tappeto di gomma) grandi. Ma, perché la molla sia in grado di sopportare un certo carico, ad esempio quello statico, deve valere la relazione A > F σ amm > mg σ amm (12.32) quindi ovvero k > mge σ amm h ω = k ge m > σ amm h (12.33) (12.34) da cui si nota che per avere una bassa pulsazione caratteristica ω ed essere contemporaneamente in grado di sostenere la sollecitazione statica si dovrebbero avere bassi valori di E e corrispondentemente, impossibili nei materiali, alti valori di σ amm e comunque alti valori di h, che potenzialmente creerebbero problemi di instabilità delle aste caricate di punta Strumenti di misura delle vibrazioni Tra le applicazioni del nostro oscillatore degna di nota è la misura delle vibrazioni assolute di un corpo, come illustrato in figura Con riferimento alle grandezze indicate nella figura 12.6 e ai relativi versi positivi degli spostamenti, avremo che K s x +Bẋ = Mẍ M = M (ẍ i ẍ ) (12.35) 12-7

196 Figura 12.6: Strumento di misura delle vibrazioni assolute di un corpo. dove x i è il movimento del telaio, che rappresenta un cedimento imposto del vincolo, mentre x M è lo spostamento assoluto della massa M, e x = x i x M è lo spostamento relativo 3, ovvero la grandezza che viene direttamente misurata per determinare, in via indiretta, il movimento x i imposto alla cassa dello strumento. La (12.35) può essere riscritta usando le nostre consuete notazioni come dove kx +rẋ = Mẍ M = M (ẍ i ẍ ) (12.36) x i (t) = X i sin(ω i t+ψ i ) (12.37) è l andamento temporale dell i-esima componente armonica (serie di Fourier) dello spostamento incognito x(t) del vincolo. Riordinando l equazione avremo Mẍ +rẋ +kx = ω 2 i X i Me i(ωit+ψi) (12.38) di cui l integrale particolare ha coefficiente complesso X i = ω2 i X i Me iψi ωi 2M +k +irω = i 1 ( ωi ω ( ωi ω ) 2 X i e iψi ) 2 +i2ξ ω i ω = X i e iφi (12.39) con ω = k/m e ξ = r/r c = r/(2mω ). Se riferiamo le fasi della risposta a quelle delle componenti armoniche avremo che X i = 1 ( ωi ( ωi ω ) 2 X i ) 2 +i2ξ ω i ω ω = X i e i(φ ψi) = X i e iβi (12.4) da cui si ottiene X i X i ( ) 2 ωi ω = ) 2 ωi 1 ( ω 2 + ( 2ξ ω i ω ) 2 (12.41) 3 Si noti che, come indicato nella figura, il verso di x è opposto a quello di x M e x i 12-8

197 Figura 12.7: Risposta dello strumento di misura delle vibrazioni. e 2ξ ω i β i = tan 1 ω ( ωi 1 ω ) 2 (12.42) Si nota, quindi, che, se ω i ω (almeno 4 5 volte) la misura dell ampiezza della vibrazione relativa permette di ricavare quella incognita di trascinamento. Ovviamente, affinché la misura non sia distorta, X i / X i deve essere costante e β i = nπ (con n=,1,2,...,n) per i = 1,2,3,...,N. Questa esigenza comporta che il sismografo, tale è il nome dello strumento, abbia una frequenza propria ω < ω 1 /4, dove ω 1 è la prima delle armoniche significative del segnale che si intende misurare, e tale condizione verifica automaticamente che non vi sia distorsione per le componenti armoniche di ordine superiore. I sismografi sono quindi strumenti pesanti e ingombranti, dovendo avere una frequenza propria necessariamente bassa; normalmente si usano indici di smorzamento ξ dell ordine di.6-.7 per ridurre l effetto delle condizioni iniziali. Nel caso duale di ω i ω risulta che X i / X i, per cui ẍ M (t) = ẍ i (t) ẍ (t) = ẍ i (t) (12.43) e la forza d inerzia agente sulla massa M è praticamente dovuta al solo moto di trascinamento, per cui, se riuscissimo a misurare la reazione della molla, questa, a meno del guadagno, sarebbe pari all accelerazione incognita del vincolo. Ovviamente la necessità di non distorcere la misura comporta che la condizione ω i ω sia verificata per la massima frequenza presente nello sviluppo in serie del segnale incognito, ovvero ω deve essere dell ordine dei khz. Dobbiamo avere, quindi, massa M molto piccola e rigidezza k molto grande. Spesso come elemento elastico si usa una lastra di quarzo, materiale piezoelettrico 4 che, se sollecitato lungo l asse elettrico, produce sulle facce ortogonali all asse delle cariche di segno opposto proporzionali 4 Letteralmente, un materiale che genera una carica elettrostatica per effetto di uno sforzo. Si tratta di materiali polari che, deformati o caricati lungo direzioni preferenziali, si polarizzano elettricamente, producendo un dipolo elettrico e quindi una carica di spostamento, in analogia con i condensatori piani le cui piastre siano spostate. Il legame costitutivo, qui ridotto per semplicità in forma monodimensionale, è formato da una parte elastica σ = Eε ee e da una dielettrica D = eε+ǫe 12-9 (12.44) (12.45)

198 Figura 12.8: Accelerometro piezoelettrico. alla forza applicata (circa 2 pc/n). L uso del quarzo limita la frequenza minima di misura (dell ordine dell Hz). Riscrivendo l equazione differenziale in coordinate assolute Mẍ Mi +rẋ Mi +kx Mi = rẋ i +kx i = (iω i r +k) X i e i(ωt+ψi) (12.46) otteniamo l integrale particolare x Mi (t) = X Mi e iωit (12.47) con X Mi = (k +iω ir) X i e iψi k Mω 2 i +iω ir = X Mi e iβi (12.48) ovvero X Mi X i = H i = k 2 +(ω i r) 2 (k Mω 2i )2 +(ω i r) 2 (12.49) e ( β i = tan 1 ωi r ( ) ) 2k Mωi 2 k 2 +kmωi 2 +(ω ir) 2 (12.5) Utilizzando, a esempio, un fattore di smorzamento ξ =.7 si nota che la fase varia, per un range di frequenza compreso tra.6ω e ω, con legge pari a β i ω i /ω. dove σ e ε sono i consueti sforzi e deformazioni, D ed E sono rispettivamente lo spostamento dielettrico ed il campo elettrico, E è la rigidezza del materiale, ǫ è la sua costante dielettrica ed infine e è la costante piezoelettrica. Quindi uno strumento di questo tipo consente di tradurre una misura di sforzo o di deformazione direttamente in una misura elettrica, fatte salve esigenze ulteriori di condizionamento ed amplificazione del segnale. 12-1

199 12.4 Risposta a forzante impulsiva Impulso di quantità di moto Si consideri un generico sistema meccanico ad un grado di libertà, mẍ+kx = f (t). (12.51) La forzante f (t) sia un impulso. Per il momento, la si consideri semplicemente una forzante che vale lontano da t, e che abbia un valore tendente ad infinito per t =. A questa definizione poco rigorosa si affianca il requisito che l integrale dell impulso sia però finito, e valga f 1. La durata dell evento impulsivo deve essere trascurabile rispetto alla scala dei tempi del problema, definita da T = 2π/ω = 2π/ k/m. Siccome la forzante impulsiva ha durata infinitesima, mentre la forza è diversa da zero, non possono ragionevolmente avere luogo variazioni finite di x, per cui il contributo delle forze elastiche kx ad equilibrare l ingresso sarà nullo. Il valore della forza tende istantaneamente ad infinito; l accelerazione che ne consegue tenderà anch essa istantaneamente ad infinito. Siccome l integrale della forza è finito, e l integrale di una forza nel tempo corrisponde ad un impulso di quantità di moto, ad esso corrisponderà una variazione finita di quantità di moto del sistema, ovvero + f (t) dt = q = + f (t) dt = m ( ẋ ( +) ẋ ( )), (12.52) dove ẋ( ) e ẋ( + ) hanno il significato di velocità appena prima e appena dopo l applicazione della forzante impulsiva. Di conseguenza, l applicazione di una forzante impulsiva corrisponde ad una repentina modifica delle condizioni iniziali di velocità del problema, in corrispondenza del tempo t =, pari a ẋ = f 1 m. (12.53) Ne consegue che, intuitivamente, risolvere un problema di forzamento impulsivo corrisponde a risolvere il problema omogeneo, nel quale l effetto dell impulso si manifesta in una modifica delle condizioni iniziali Impulso Un impulso è una funzione che per una durata tendente a zero assume un valore molto elevato, tendente ad infinito, mentre è nulla al di fuori di quell intervallo di tempo. Tuttavia, l integrale nel tempo di tale funzione, su un dominio che comprenda l intervallo in cui non è nulla, è finito. Al di là della sua formalizzazione matematica, accennata nel seguito ma sostanzialmente lasciata a corsi successivi, si pensi ad un impulso come a qualche cosa che ha luogo in un tempo molto limitato rispetto alla scala dei tempi caratteristica del problema che si sta analizzando. Se ciò è vero, l espressione precisa dell impulso in funzione del tempo non ha molta importanza, ciò che conta è l effetto che esso ha sul sistema. Come indicato in figura 12.9, si immagini che l impulso, convenzionalmente definito all istante t =, abbia forma rettangolare, ovvero sia nullo per t < a/2 e t > a/2, e assuma il valore b per a/2 < t < a/2, senza (per ora) precisare quanto valga per t = ±a/2. Questo equivale a descriverlo come una sequenza di due scalini di ampiezza uguale e segno opposto, distanziati di un tempo a. L integrale rispetto al tempo tra e + dell impulso così definito vale ab; se si assume convenzionalmente che tale valore sia 1, si ottiene l ampiezza dell impulso b = 1/a. Quindi, se la durata a tende a, l ampiezza tende ad infinito, ma l integrale rimane finito. È possibile immaginare altre funzioni con caratteristiche analoghe, ma più regolari, come quelle illustrate in figura 12.1: un triangolo di base 2a e altezza b (funzione con continuità C ), la funzione (1+cos(πt/a))b/2 in [ a,a] (funzione con continuità C 1 ), ecc. Il loro limite per a è lo stesso, come pure il loro integrale. La funzione δ(t) si chiama delta di Dirac, e non è una vera e propria funzione, ma viene definita nell ambito delle funzioni generalizzate o distribuzioni. Come anticipato, gode della proprietà + δ(t) dt = 1, (12.54)

200 b t a Figura 12.9: Approssimazione di un impulso come sequenza di due scalini. b rettangolo ( ( 1+cos 2π t )) b a 2 triangolo t 2a Figura 12.1: Approssimazioni di un impulso. e vale per t mentre tende ad infinito per t =. La figura mostra la rappresentazione grafica della funzione δ(t). L impulso può essere interpretato come la derivata della funzione scalino, indicata con step(t) e rappresentata in figura Quest ultima è definita come il limite di una funzione infinitamente derivabile, che vale per t e 1 per t +, che passa per 1/2 per t =, e che è dispari rispetto a tale punto, ovvero step( t) = 1 step(t). Dal momento che la funzione scalino, così definita, è infinitamente derivabile, anche l impulso è infinitamente derivabile. Inoltre, l impulso è pari rispetto all origine, ovvero δ( t) = δ(t). Come approssimazione della funzione scalino, si consideri, per esempio, la funzione (1 + tanh(αt))/2, quando α +. La figura ne mostra l andamento per alcuni valori di α. La sua derivata è (1 tanh 2 (αt))α/2, e al limite per α + si comporta come le approssimazioni di impulso definite in precedenza. La figura ne mostra l andamento per i medesimi valori di α. t Figura 12.11: Funzione impulso: δ(t)

201 1 t Figura 12.12: Funzione scalino: step(t). 1 α = 1 α = 1 α = Time Figura 12.13: Funzione scalino approssimata come (1 + tanh(αt))/

202 5 4 α = 1 α = 1 α = Time 1.8 α = 1 α = 1 α = Figura 12.14: Impulso approssimato come derivata di (1 + tanh(αt))/2. Il grafico sopra riporta la funzione, il grafico sotto ne riporta la normalizzazione a valore massimo unitario, per consentirne il confronto visivo. Time 12-14

203 f d step(t) f d = f( + ) f( ) f c (t) t f( + ) f(t) f( ) t Figura 12.15: Funzione discontinua con salto. Esercizio 12.1 Si propongano altre funzioni che approssimano la funzione scalino al tendere a + del loro parametro che ne definisce la pendenza nell origine. Una funzione f(t) che presenta discontinuità con salto in t = può essere espressa come composizione di una parte regolare, f c (t), a cui si aggiunge una costante f d moltiplicata per la funzione scalino, ovvero f (t) = f c (t)+f d step(t), (12.55) come illustrato in figura La costante f d rappresenta la differenza tra i limiti destro e sinistro della funzione discontinua, ovvero f d = f( + ) f( ). Questa funzione diventa derivabile, in senso generalizzato, in tutto il dominio: d dt f (t) = d dt f c(t)+f d δ(t), (12.56) in quanto la derivata dello scalino è l impulso. In base a ragionamenti analoghi, basati sull uso della funzione rampa, indicata con ramp(t), si possono definire funzioni continue ma non derivabili in senso stretto. Esercizio 12.2 Si mostri come una funzione continua, ma con una discontinuità con salto nella derivata prima, può essere rappresentata mediante la funzione ramp(t). L impulso gode di altre proprietà interessanti. Una proprietà, nota come proprietà del campionamento, afferma che il prodotto tra la funzione δ(t) e una generica funzione f (t) è f (t)δ(t) = f ()δ(t). (12.57) Non ne viene data dimostrazione. Un altra, estremamente importante, è : + f (t)δ(t) dt = f(). (12.58) 12-15

204 Questo significa che integrare una qualsiasi funzione moltiplicata per un impulso equivale ad estrarne il valore per l istante in cui l impulso è definito. Per estrarre f(t) ad un istante arbitrario t, basta valutare l impulso in δ(t t ). La proprietà diventa + f (t)δ(t t ) dt = f(t ). (12.59) La proprietà si dimostra considerando che, siccome l impulso è la derivata dello scalino, la derivazione del prodotto di funzioni dà f (t)δ(t) = f (t) d dt step(t) = d ( ) f (t)step(t) f (t)step(t). (12.6) dt Se f (t) è regolare, il prodotto f (t)step(t) è pari a f (t) per t >, e a per t <. Ne consegue che l integrale f (t)δ(t) dt = f (t)step(t) f (t)step(t) dt = f (+ ) f (+ )+f () = f (), (12.61) dove + f (t)step(t) dt = lim a + + a f (t) dt = f(+ ) lim a +f(a) = f(+ ) f(). (12.62) Se f (t) non è regolare, ma presenta una discontinuità con salto in t =, ovvero proprio nell istante di tempo in cui viene valutata dalla δ(t), è comunque possibile eseguire l operazione, ed il risultato è molto interessante. Si consideri l espressione di f(t) data dalla (12.56); la proprietà in esame diventa f (t)δ(t) dt = f (t)step(t) (f c(t)+f d δ(t))step(t) dt = f (+ ) f c (+ )+f c () 1 2 f d = f c ()+ 1 2 f d = f(+ )+f( ), (12.63) 2 in quanto f (+ ) = f c (+ )+f d. Ovvero, viene preso il valore della funzione che rappresenta la media tra i limiti destro e sinistro, dal momento che f c () = f( ) e f d = f( + ) f( ). Questa dimostrazione fa uso della proprietà che si vuole dimostrare, dimostrata in precedenza per funzioni regolari. Tuttavia la si sta applicando ad una funzione non regolare, step(t). Quindi la dimostrazione è valida se si considera la funzione step(t) come limite di una funzione regolare, in base alla sua definizione. In alternativa, si può rappresentare il dominio di integrazione come l unione di due parti, che escluda la discontinuità, ovvero + + f (t)δ(t) dt = f (t)δ(t) dt+ f (t)δ(t) dt + = f (t)step(t) f (t)step(t) dt f (t)step(t) f (t)step(t) dt + + = 1 2 f ( ) ++f (+ ) 1 2 f ( +) f (+ )+f ( +) = f (+ )+f ( ), (12.64) 2 ovvero il medesimo risultato ottenuto in precedenza

205 Generalizzazione Come anticipato, l impulso è un astrazione matematica che rappresenta qualcosa di breve durata rispetto alla scala dei tempi del problema in esame, ma che lascia effetti non trascurabili. Si consideri ora un generico sistema meccanico ad un grado di libertà, mẍ+rẋ+kx = f (t). (12.65) La forzante f (t) sia costituita dall impulso introdotto in precedenza, e dalla sua derivata: f (t) = f 1 δ(t)+f 2 δ(t). (12.66) È lecito attendersi che la risposta x(t) sia anch essa caratterizzata da discontinuità. In particolare, se il sistema prima dell impulso era a riposo, la risposta del sistema sarà data da una funzione regolare x c (t) moltiplicata per uno scalino al tempo t, ovvero x(t) = x c (t)step(t). (12.67) In base alle proprietà dello scalino, le sue derivate sono ẋ(t) = ẋ c (t)step(t)+x c (t)δ(t) = ẋ c (t)step(t)+x c ()δ(t) (12.68a) ẍ(t) = ẍ c (t)step(t)+ẋ c (t)δ(t)+x c () δ(t) = ẍ c (t)step(t)+ẋ c ()δ(t)+x c () δ(t). (12.68b) Sostituendo queste espressioni nella (12.65) si ottiene ( m ẍ c (t)step(t)+ẋ c ()δ(t)+x c () δ(t) ) +r(ẋ c (t)step(t)+x c ()δ(t))+kx c (t)step(t) = f 1 δ(t)+f 2 δ(t). (12.69) Raccogliendo i termini omogenei si ottiene (mẍ c (t)+rẋ c (t)+kx c (t))step(t) +(mẋ c ()+rx c () f 1 )δ(t) +(mx c () f 2 ) δ(t) =. (12.7) Siccome tale relazione deve essere vera qualunque sia t, occorre annullare indipendentemente i termini moltiplicati per le funzioni step(t), δ(t) e δ(t). Si ricavano quindi le relazioni mẍ c (t)+rẋ c (t)+kx c (t) = mẋ c ()+rx c () = f 1 mx c () = f 2. (12.71a) (12.71b) (12.71c) La (12.71a) rappresenta un equazione differenziale omogenea in x c (t), la soluzione del sistema a seguito della forzante impulsiva. Ne consegue che la forzante impulsiva dà luogo ad un movimento libero del sistema, analogo a quello che risulta da una perturbazione delle condizioni iniziali. Le (12.71c) e (12.71b) definiscono le condizioni iniziali su posizione e velocità, x c () = f 2 m ẋ c () = f 1 f 2 r m m. (12.72a) (12.72b) La risposta di un sistema ad una forzante impulsiva corrisponde al moto libero del medesimo sistema, dato dall integrale generale della(12.65), calcolato a partire dalle condizioni iniziali fornite dalle(12.72)

206 Viene quindi formalizzata e generalizzata la conclusione, ottenuta intuitivamente all inizio, che una forzante impulsiva, come pure la sua derivata, equivalgono ad una perturbazione finita delle condizioni iniziali del sistema. Dal punto di vista fisico, una forzante descritta mediante un impulso può essere ritenuta rappresentativa di una sollecitazione applicata per una durata T f 2π/ k/m. Ad essa corrisponde una discontinuità finita nella velocità, e quindi nell energia cinetica del sistema. La derivata dell impulso, invece, non è altrettanto facilmente spiegabile in modo intuitivo. In base alla sua definizione, la si può considerare come una sequenza di due impulsi, di segno opposto, separati da un tempo che tende a zero. Si tratta quindi di una doppietta di impulsi. Ad essa corrisponde una discontinuità finita nello spostamento, e quindi una discontinuità nell energia potenziale. Inoltre, alla discontinuità finita dello spostamento corrisponde un impulso di velocità, e quindi un impulso al quadrato di energia cinetica. Esercizio 12.3 Si scriva la derivata prima dell impulso ottenuto approssimando la funzione scalino come (1+tanh(αt))/2. Se ne rappresenti il grafico per α +. Esercizio 12.4 Si scriva l espressione della soluzione (12.67) del problema della risposta impulsiva in base alle condizioni iniziali definite dalle (12.72). Quindi la si sostituisca nella (12.65) per verificarne il soddisfacimento (suggerimento: per semplicità, conviene prima considerare il caso non smorzato, con r = ). Esercizio 12.5 In analogia con quanto svolto finora per la risposta impulsiva, si ricavi la risposta ad una forzante a scalino, f(t) = f step(t). Si discuta in particolare la natura dell equazione del moto che si ottiene e la scelta delle condizioni iniziali. Esercizio 12.6 Si calcoli la risposta di un sistema meccanico smorzato ad una sequenza di scalini di ampiezza b e b, rispettivamente a t = a/2 e t = a/2, come indicato in figura Quindi, si verifichi che al tendere di a a si ottiene la risposta all impulso

207 Capitolo 13 Sistemi vibranti a più gradi di libertà Generato il 1 settembre Sistemi a più gradi di libertà non smorzati Per un sistema non smorzato con N gradi di libertà, le equazioni che ne governano il moto possono essere sempre scritte nella forma matriciale dove [M]{ẍ(t)}+[K]{x(t)} = {f (t)} (13.1) [M] e [K] sono rispettivamente le matrici quadrate di massa e di rigidezza di ordine N; {x(t)} e {f (t)} sono i vettori di ordine N degli spostamenti e delle forze agenti, entrambi funzione del tempo. Si consideri, ad esempio, il sistema illustrato in Figura Applicando il principio di sovrapposizione degli effetti, ovvero calcolando le forze che agiscono sul sistema prima per x 1, x 2 = e poi quelle per x 1 =, x 2 si possono facilmente determinare le equazioni di equilibrio dinamico delle due masse, m 1 ẍ 1 +k 1 x 1 +k 2 (x 1 x 2 ) = f 1 m 2 ẍ 2 +k 3 x 2 +k 2 (x 2 x 1 ) = f 2. (13.2a) (13.2b) Queste possono essere riscritte come [ ]{ } [ m1 ẍ1 k1 +k + 2 k 2 m 2 ẍ 2 k 2 k 2 +k 3 ]{ x1 x 2 } = { f1 f 2 } (13.3) ovvero nella forma della (13.1) con Figura 13.1: Sistema dinamico a 2 gradi di libertà. 13-1

208 la matrice di massa [ m1 [M] = m 2 ] (13.4) la matrice di rigidezza [ k1 +k [K] = 2 k 2 k 2 k 2 +k 3 il vettore delle incognite { } x1 {x} = x 2 ed il vettore dei termini noti { } f1 {f} = f 2 ] (13.5) (13.6) (13.7) Moto libero: modi propri di vibrare La soluzione del moto libero, per {f} = {}, sarà del tipo {x(t)} = {X}e λt (13.8) dove {X} è un vettore di ordine X di ampiezze indipendenti dal tempo. Imponendo la soluzione (13.8) all equazione differenziale otteniamo ( λ 2 [M]+[K] ) {X}e λt = {} (13.9) la quale presenta soluzione non banale, ovvero per {X} {}, quando det ( λ 2 [M]+[K] ) ([ ]) λ = det 2 m 1 +k 1 +k 2 k 2 k 2 λ 2 =, (13.1) m 2 +k 2 +k 3 che è il polinomio di grado 2N in λ m 1 m 2 λ 4 +(m 1 (k 2 +k 3 )+m 2 (k 1 +k 2 ))λ 2 +k 1 k 2 +k 1 k 3 +k 2 k 3 = (13.11) detto polinomio caratteristico, da cui, posti a = m 1 m 2 b = (m 1 (k 2 +k 3 )+m 2 (k 1 +k 2 )) (13.12) c = k 1 k 2 +k 1 k 3 +k 2 k 3 si ottiene il polinomio di secondo grado in λ 2 aλ 4 +bλ 2 +c = (13.13) le cui radici sono λ = b ) 2 ( b 2a + c 2a a λ = b ) 2 ( b 2a c 2a a (13.14a) (13.14b) 13-2

209 Dal momento che per definizione le masse e le rigidezze sono positive, si ha sempre λ 2 j <, quindi i singoli autovalori sono a due a due immaginari e coniugati: λ 1 2 = ±iω 1 λ 3 4 = ±iω 2. (13.15a) (13.15b) Questa proprietà ha valore generale: quando le matrici di massa [M] e di rigidezza [K] sono definite positive, le N radici del polinomio caratteristico in λ 2 sono reali negative, quindi le 2N radici λ sono immaginarie coniugate. Nei problemi di interesse per la meccanica la matrice di massa [M] è sempre definita positiva; qualora la matrice di rigidezza fosse semi-definita, le corrispondenti radici λ sarebbero nulle. Questa eventualità è possibile quando al sistema è consentito un movimento rigido (ad esempio i 6 gradi di libertà di moto rigido di un velivolo nello spazio) oppure quando il sistema rappresenta un meccanismo. Sostituendo le radici nell equazione di partenza si ottiene ( [K] ω 2 1 [M] ) {X} 1 = {} (13.16) e ( [K] ω 2 2 [M] ) {X} 2 = {} (13.17) che permettono di calcolare, a meno di una costante arbitraria, dipendente dalle condizioni iniziali, le forme modali {X} j, o modi, del sistema associate a ogni frequenza propria ω j. Nel caso in esame, [ ω 2 1 m 1 +k 1 +k 2 k 2 k 2 ω 2 1m 2 +k 2 +k 3 ]{ 1X 1 1X 2 } 1 = { } (13.18) Risolvendo ad esempio la prima equazione, ( ω 2 1 m 1 +k 1 +k 2 ) 1X 1 k 2 1 X 2 = (13.19) si ottiene la relazione tra le componenti 1 X 1 e 1 X 2 dell autovettore, che risulta definito, ad esempio, 1 {X} 1 = ω 2 1m 1 +k 1 +k 2 1 X 1 (13.2) k 2 e analogamente {X} 2 = 1 ω 2 2m 1 +k 1 +k 2 k 2 2 X 1 (13.21) ove si è arbitrariamente posta unitaria la prima componente dell autovettore, data l intrinseca indeterminazione della soluzione. Ad un risultato del tutto analogo si può giungere risolvendo, ad esempio, la seconda equazione e ponendo unitaria la seconda componente dell autovettore; infatti la matrice [A] = λ 2 [M]+[K] (13.22) èsingolarequaloraaλsisostituiscaunqualsiasiautovaloredelproblema; neconseguecheuna 1 equazione del sistema è combinazione lineare delle altre. Nel caso, ad esempio, che m 1 = m 2 = m e k 1 = k 2 = k 3 = k, abbiamo che k ω 1 = (13.23a) m ω 2 = 3 k m (13.23b) 1 Si suppone che le radici del polinomio caratteristico abbiano molteplicità pari esattamente a 1; questa ipotesi può essere rimossa, come verrà illustrato nel seguito. Si veda in particolare la nota

210 Figura 13.2: Forme modali e risposta del sistema dinamico a 2 gradi di libertà. a cui corrispondono { } 1 {X} 1 = 1 1X 1 { } 1 {X} 2 = 1 2X 1 (13.24a) (13.24b) La figura 13.2 mostra come al primo modo corrisponda un movimento in cui la molla di mezzo non viene deformata; infatti, le due componenti dell autovettore sono identiche. Di conseguenza, il sistema si comporta come se le due masse fossero collegate rigidamente. Il secondo modo, al contrario, vede le due masse muoversi in opposizione, per cui la molla centrale è deformata esattamente il doppio di quelle di estremità. Di conseguenza, è come se le due masse fossero disaccoppiate, e la molla centrale fosse messa a terra nel suo punto medio. Il moto generico avviene come combinazione di due movimenti armonici a frequenze tra loro incommensurabili (il loro rapporto è 3, quindi un numero irrazionale). Ritornando all equazione (13.9) di partenza, se la si premoltiplica per l inversa della matrice di massa [M] si ottiene ( ) λ 2 [I]+[M] 1 [K] {X}e λt = {} (13.25) che è una forma del tutto analoga a (γ[i] [A]){V} = {} (13.26) 13-4

211 ovvero ad un problema agli autovalori in forma canonica, ove γ sono gli autovalori della matrice [A] e {V} sono i corrispondenti autovettori, posto γ = λ 2, [A] = [M] 1 [K] e {V} = {X}. Nell esempio iniziale si ha [ ] [M] 1 1/m = (13.27) 1/m e quindi la matrice [A] = [M] 1 [K] = [ 2k/m k/m k/m 2k/m ] (13.28) che ne risulta è simmetrica; questo in generale non è più vero per matrici [M] e [K] meno banali, anche se, al costo di un cambio di base per le incognite, è possibile ottenere un problema agli autovalori nella forma canonica della (13.26) con la matrice simmetrica 2. Gli autovalori della matrice (13.28) sono γ 1 2 = k m, 3 k m mentre gli autovettori, a meno di una costante, sono { } 1 {V} 1 = 1 { } 1 {V} 2 = 1 (13.33) (13.34a) (13.34b) Esercizio 13.1 Si verifichi che gli autovalori della matrice nella forma della (13.25) sono anche autovalori della matrice nella forma della (13.32) Ortogonalità dei modi propri Si può ora dimostrare l ortogonalità dei modi di vibrare. Se ω 1 e ω 2 sono due autovalori distinti di un generico problema omogeneo, e {X} 1 e {X} 2 sono i corrispondenti autovettori, si ha ( ω 2 1 [M]+[K] ) {X} 1 = {} (13.35) e ( ω 2 2 [M]+[K] ) {X} 2 = {}. (13.36) L equazione (13.35) può essere liberamente premoltiplicata per {X} T 2 senza alterarne il valore: {X} T 2 ( ω 2 1 [M]+[K] ) {X} 1 = (13.37) 2 Dal momento che si assume che la matrice di massa sia simmetrica e definita positiva, è possibile decomporla nel prodotto di una matrice triangolare inferiore per la sua trasposta secondo Cholesky [M] = [L][L] T quindi, operando il cambio di variabili il problema diventa {z} = [L] T {x} [M]ẍ+[K]{x} = {} (13.29) (13.3) (13.31) { z}+[l] 1 [K][L] T {z} = {} (13.32) e quindi, assumendo che la matrice [K] sia simmetrica, anche la matrice [L] 1 [K][L] T rimane simmetrica. 13-5

212 da cui si ricava {X} T 2 [K]{X} 1 = ω2 1 {X} T 2 [M]{X} 1 (13.38) Allo stesso modo, si può moltiplicare la trasposta dell equazione (13.36) per {X} 1 : ( {X} T 2 ω2 2 [M] T +[K] T) {X} 1 = (13.39) da cui si ricava, anche in considerazione della simmetria delle matrici [M] e [K], {X} T 2 [K]{X} 1 = ω2 2 {X} T 2 [M]{X} 1 (13.4) Quindi, per l uguaglianza dei termini a primo membro delle (13.38) e (13.4), si ha ω 2 1 {X} T 2 [M]{X} 1 = ω2 2 {X} T 2 [M]{X} 1 (13.41) ovvero ( ω 2 2 ω1) 2 T {X} 2 [M]{X} 1 =. (13.42) Se ω 2 ω 1, cioè le frequenze proprie sono distinte 3, deve valere la relazione {X} T 2 [M]{X} 1 = (13.43) e, di consequenza {X} T 2 [K]{X} 1 = (13.44) Più in generale, detti j e k gli indici di due modi, deve essere {X} T k [M]{X} j = {X} T k [K]{X} j = (13.45a) (13.45b) quando j k; ovvero, i modi propri vibrare, associati a frequenze proprie distinte, sono ortogonali rispetto alla matrice di massa e rigidezza 4. Quando si pre- e post-moltiplica per lo stesso autovettore si ottiene {X} T j [M]{X} j = m j {X} T j [K]{X} j = k j (13.46a) (13.46b) dove m j e k j sono chiamate rispettivamente massa e rigidezza generalizzata, o massa e rigidezza modale associate al modo j-esimo. Nell esempio iniziale, m 1 = { 1 1 } T [ m m ]{ 1 1 } = 2m (13.47a) m 2 = 2m k 1 = 2k k 2 = 6k (13.47b) (13.47c) (13.47d) 3 Nel caso in cui due o più autovalori siano uguali, se è possibile individuare un numero di autovettori indipendenti pari alla molteplicità degli autovalori coincidenti, come sempre avviene nei casi di interesse pratico per lo studio delle vibrazioni dei sistemi meccanici, in cui le matrici di massa sono simmetriche e definite positive, o al più semidefinite, gli autovettori, per la loro arbitrarietà, possono essere ortogonalizzati proprio imponendo le condizioni (13.43) e (13.44). Un tipico esempio in cui ciò avviene è dato dai sistemi non vincolati, come i velivoli, che ammettono i sei spostamenti rigidi, ai quali è associato l autovalore nullo con molteplicità 6. Un altro esempio è dato dai modi associati al movimento delle superfici di comando nel caso si consideri il velivolo a comandi liberi. 4 Attenzione: i modi propri non sono ortogonali fra loro; dall analisi si ottiene che {X} T j {X} k = se j k per il problema in forma canonica, in cui la matrice che moltiplica l autovalore è l identità, [I]. Ma il problema meccanico non è in forma canonica, quindi gli autovalori che ne risultano non sono in generale ortogonali rispetto a loro stessi. 13-6

213 La rigidezza e la massa modale tra loro stanno in un rapporto ben preciso, k j /m j = ωj 2, ma per il resto sono indeterminate; o meglio, il loro valore dipende dal valore arbitrariamente assegnato all autovettore, il quale è determinato a meno di un fattore di scala. Se per esempio si sceglie di ridefinire l autovettore j-esimo, {X} j, come {X} j = c j{x} j, si ottiene ( m j = {X} j ( k j = {X} j ) T [M]{X} j = c2 j {X} T j [M]{X} j = c2 jm j ) T [K]{X} j = c2 j {X} T j [K]{X} j = c2 jk j. (13.48a) (13.48b) Indipendentemente dal valore di c j, si ha k j /m j = ω2 j, quindi la scalatura dell autovalore non ha alcun effetto sulla frequenza caratteristica di quel modo. Questo consente di scalare gli autovettori in modo da modificare convenientemente la massa e la rigidezza modali. Una scalatura usata spesso, detta a massa unitaria, consiste nel rendere la matrice delle masse modali pari alla matrice identità. Esercizio 13.2 Si riscrivano gli autovettori del problema iniziale scalati a massa unitaria. Esercizio 13.3 Si mostri come, in caso di autovalori coincidenti, è possibile ortogonalizzare gli autovettori corrispondenti Approccio modale Cerchiamo ora un sistema di coordinate libere che disaccoppi contemporaneamente il sistema tanto inerzialmente quanto elasticamente, ovvero tale per cui le equazioni che, risolte, descrivano il moto del sistema siano disaccoppiate. Se costruiamo una matrice quadrata [ψ] le cui colonne siano costituite dai modi propri di vibrare, ovvero [ [ψ] = 1X 1 2 X 1 1X 2 2 X 2 ] detta anche matrice modale, e definiamo la trasformazione (13.49) {x(t)} = [ψ]{q(t)} (13.5) con {q(t)} detto vettore delle coordinate principali, il problema (13.1) diventa [M][ψ]{ q}+[k][ψ]{q} = {f} (13.51) Se si premoltiplica 5 la (13.51) per la trasposta della matrice modale (13.49), si ottiene [ψ] T [M][ψ]{ q}+[ψ] T [K][ψ]{q} = [ψ] T {f} (13.54) Da quanto detto in precedenza, si vede che [ψ] T [M][ψ] = [diag(m j )] [ψ] T [K][ψ] = [diag(k j )] (13.55a) (13.55b) dove [diag(m j )] e [diag(k j )] sono matrici diagonali, ovvero tali per cui m jk e k jk sono nulli se j k, mentre m j e k j sono rispettivamente la massa e la rigidezza associate al modo j-esimo. 5 Questa operazione può apparire un artifizio, ma ha una giustificazione più profonda se si considera che l equazione (13.1) può essere ricondotta ad un principio variazionale e quindi ad una relazione del tipo δ{x} T {F ({x})} = (13.52) per cui la trasformazione (13.5) viene applicata sia alle incognite da cui dipendono le forze {F} che alle loro variazioni virtuali, ovvero δ{q} T [ψ] T {F ([ψ]{q})} =. (13.53) 13-7

214 Nell esempio iniziale, si ha [ ] 2m [diag(m j )] = 2m [ ] 2k [diag(k j )] = 6k quindi il problema diventa [ 2m 2m ]{ q1 q 2 } + [ 2k 6k ]{ } { } q1 f1 +f = 2 q 2 f 1 f 2 (13.56a) (13.56b) (13.57) Si noti che le due equazioni sono disaccoppiate, ovvero ogni equazione dipende solo dalla propria incognita; l accoppiamento tra i gradi di libertà fisici si è tradotto, a livello modale, in accoppiamento tra i corrispondenti termini noti. Sostituendo uno ad uno gli autovalori ed i corrispondenti autovettori, l equazione omogenea (13.9) risulta soddisfatta; ne consegue che, così come sono stati accostati gli autovettori a dare la matrice modale [ψ], è possibile accostare gli autovalori a dare la matrice diagonale dei quadrati delle frequenze proprie [ diag ( ω 2 j )] = [ ω 2 1 ω 2 2 tale per cui 6 ] (13.58) [K][ψ] [M][ψ] [ diag ( ω 2 j)] = [] (13.59) La (13.59), se premoltiplicata per la trasposta della matrice modale (13.49), diventa ovvero [ψ] T [K][ψ] [ψ] T [M][ψ] [ diag ( ω 2 j)] = [] (13.6) [diag(k j )] [diag(m j )] [ diag ( ω 2 j)] = [] (13.61) Se la matrice di massa modale [diag(m j )] è definita positiva 7, la sua inversa esiste; quindi la (13.61) può essere riscritta, previa premoltiplicazione per l inversa della matrice di massa modale, come [diag(m j )] 1 [diag(k j )] = [ diag ( ωj 2 )] (13.65) 6 Si noti l odine in cui vengono eseguiti i prodotti di matrici, essenziale perché ogni autovettore venga moltiplicato per il proprio autovalore. 7 L unico motivo per cui la matrice di massa, anziché essere definita positiva, può essere semidefinita, è che ad un grado di libertà non sia associata inerzia. Questa eventualità viene scartata nella presente trattazione perché in tale caso il grado di libertà privo di massa può essere eliminato staticamente, rendendo la nuova matrice di massa strettamente definita positiva. Ad esempio: dato il problema [ ]{ } [ ]{ } { } m ẍ1 k11 k + 12 x1 f1 = (13.62) ẍ 2 k 21 k 22 x 2 f 2 la cui matrice di massa è chiaramente semidefinita positiva in quanto tutti i minori principali sono positivi tranne uno che è nullo, a condizione che la matrice [K] non sia singolare la seconda equazione può essere usata per esplicitare x 2 in funzione di x 1 x 2 = f 2 k 21 x 1 k 22 (13.63) che, sostituito nella prima equazione, dà ( ) k 21 mẍ 1 + k 11 k 12 x 1 = f 1 k 12 f 2 (13.64) k 22 k 22 ovvero dal problema iniziale se ne ottiene uno di dimensioni inferiori ma con la matrice di massa definita positiva. 13-8

215 Nel caso in esame, [diag(m j )] 1 [diag(k j )] = [ 1/(2m) 1/(2m) ][ 2k 6k ] = [ k/m 3k/m ] (13.66) Questo suggerisce una scelta interessante per la normalizzazione dei modi propri, detta a massa unitaria; se si dividono i coefficienti del modo j-esimo per il valore m j, si ottiene: [ψ I ] = [ψ] [ diag ( mj )] 1 (13.67) A questo punto, le relazioni (13.55a) e (13.55b), attraverso la nuova matrice modale [ψ I ], diventano [ψ I ] T [M][ψ I ] = [ diag ( mj )] 1[ψ] T [M][ψ] [ diag ( mj )] 1 = [ diag ( mj )] 1[diag(mj )] [ diag ( mj )] 1 = [I] (13.68a) [ψ I ] T [K][ψ I ] = [ diag ( mj )] 1[ψ] T [K][ψ] [ diag ( mj )] 1 = [ diag ( )] 1[diag(kj mj )] [ diag ( )] 1 mj = [diag(m j )] 1 [diag(k j )] = [ diag ( ωj 2 )] (13.68b) ove si è sfruttato il fatto che [ diag ( mj )] T = [ diag ( mj )] 1 in quanto la matrice è diagonale; allo stesso modo, l ultimo passaggio che porta alla matrice di rigidezza modale è lecito perché il prodotto di matrici diagonali è commutativo Risposta a forzanti armoniche Analizziamo, ora, la risposta del generico sistema di Equazione 13.1 quando soggetto a forzanti armoniche [M]{ẍ(t)}+[K]{x(t)} = {f}e iωt (13.69) che, a regime, ammette una soluzione del tipo {x(t)} = {x}e iωt (13.7) dove il vettore delle ampiezze di vibrazione {x} è soluzione di ( [K] ω 2 [M] ) {x} = {f} (13.71) ovvero {x} = ( [K] ω 2 [M] ) 1 {f} (13.72) che può essere anche riscritta come {x} = [H(ω)]{f} (13.73) dove [H(ω)] è la matrice dell ammettenza meccanica (in inglese, receptance matrix) del sistema; è quadrata, di ordine N, e ne costituisce il modello della risposta in frequenza. La sua inversa, [Z(ω)] = [H(ω)] 1 (13.74) è detta matrice dell impedenza meccanica, e descrive la forza che il sistema oppone ad un dato movimento. Dalla definizione si ricava [Z(ω)] = [K] ω 2 [M] (13.75) [H(ω)] = ( [K] ω 2 [M] ) 1 (13.76) 13-9

216 Se si applica la trasformazione modale all impedenza meccanica, si ottiene [ψ] T [Z(ω)][ψ] = [ψ] T ( [K] ω 2 [M] ) [ψ] = [diag(k j )] ω 2 [diag(m j )] = [ψ] T [H(ω)] 1 [ψ] (13.77) si inverta quindi la (13.77); si ottiene ( [diag(kj )] ω 2 [diag(m j )] ) 1 = [ψ] 1 [H(ω)][ψ] T (13.78) e quindi la [H(ω)] si ottiene come [H(ω)] = [ψ] ( [diag(k j )] ω 2 [diag(m j )] ) 1 [ψ] T (13.79) Dalla (13.79) si evince che la matrice [H(ω)] è simmetrica; se si utilizza la normalizzazione a massa unitaria dei modi, ovvero la matrice (13.67), la (13.79) diventa [H(ω)] = [ψ I ] ([ diag ( ω 2 j)] ω 2 [I] ) 1 [ψi ] T = [ψ I ] [ diag ( 1/(ω 2 j ω 2 ) )] [ψ I ] T (13.8) ed il generico coefficiente è dato da h jk (ω) = x j (ω) f k (ω) = h kj (ω) = x k(ω) f j (ω) = N r=1 rx Ij rx Ik ω 2 r ω 2 (13.81) da cui si nota come il sistema possa andare in risonanza qualora la pulsazione della forzante ω uguagli una delle N frequenze ω r proprie del sistema vibrante. Ritornando al sistema vibrante iniziale, risulta che risolvendo il sistema di equazioni lineari h 11 (ω) = h 21 (ω) = 2k +ω 2 m 3k 2 4kmω 2 +ω 4 m 2 = 2k ω 2 m m 2 (k/m ω 2 )(3k/m ω 2 ) k 3k 2 4kmω 2 +ω 4 m 2 = k m 2 (k/m ω 2 )(3k/m ω 2 ) (13.82a) (13.82b) mentre, in termini modali, si ottiene h 11 (ω) = h 21 (ω) = 1 2m(k/m ω 2 ) + 1 2m(3k/m ω 2 ) = 2k ω 2 m m 2 (k/m ω 2 )(3k/m ω 2 ) 1 2m(k/m ω 2 ) 1 2m(3k/m ω 2 ) = k m 2 (k/m ω 2 )(3k/m ω 2 ) (13.83a) (13.83b) Come si vede dalla figura 13.3, ove è mostrato l andamento del modulo di h 11, non si commette un grande errore se studiamo la risposta del sistema nell intorno della prima frequenza propria considerando la risposta di un sistema ad un solo grado di libertà che abbia massa pari a m 1 e rigidezza pari a k 1. Analogo discorso si può fare considerando la sola risposta dovuta alla seconda frequenza propria se la pulsazione della forzante è di valore non troppo dissimile da questa. Ovvero abbiamo verificato empiricamente che pur essendo i sistemi fisici continui, purché le loro frequenze proprie siano ragionevolmente separate nel dominio delle frequenze, è lecito, nell ipotesi che lo spettro della forzante sia limitato nello stesso dominio, considerare il contributo di un numero limitato di modi le cui frequenze proprie associate stanno nel dominio dello spettro della forzante. Ovvero: è possibile studiare la risposta dinamica a regime di un sistema continuo con un modello matematico caratterizzato da un numero discreto di gradi di libertà. Ne consegue, inoltre, che misurando sperimentalmente la receptance matrix, dalla risposta misurata nell intorno di una risonanza possiamo ricavare i parametri modali (massa modale o massa generalizzata m j e rigidezza modale o rigidezza generalizzata k j ) così come il modo di vibrare. 13-1

217 Figura 13.3: Risposta modale del sistema dinamico a 2 gradi di libertà Considerazioni sull utilizzo dell approccio modale Le considerazioni che stanno alla base dell utilizzo pratico dell approccio modale si basano principalmente su aspetti computazionali: 1. la risposta a forzante armonica utilizzando la base di coordinate fisiche richiede l inversione della matrice di impedenza meccanica, [Z(ω)], [H(ω)] = ( [K] ω 2 [M] ) 1. (13.84) Se occorre calcolare la risposta a più armoniche, ad esempio perché una forzante periodica è stata decomposta nella sommatoria di forzanti armoniche mediante sviluppo in serie di Fourier arrestato ad un certo ordine, si devono invertire tante matrici quante sono le armoniche, con una complessità computazionale che può essere elevata (dell ordine di n 3 operazioni, a meno che una particolare struttura delle matrici non consenta ottimizzazioni). Viceversa, l approccio modale non richiede alcuna inversione, ma solo prodotti di matrici: si veda la (13.8); 2. se si usano tecniche esplicite di integrazione numerica, in genere il calcolo delle incognite (in questo caso le velocità) ad un dato istante di tempo è funzione delle loro derivate ad un tempo antecedente secondo una formula del tipo 8 {ẋ(t+ t)} = {ẋ(t)}+ t{ẍ(t)} (13.85) Il calcolo delle accelerazioni richiede l inversione della matrice di massa: {ẍ(t)} = [M] 1 ({f} [K]{x(t)}) (13.86) che invece viene evitata se si usa l approccio modale, in quanto senza particolari normalizzazioni dei modi l accelerazione è ( ) { q(t)} = [diag(1/m j )] [ψ] T {f} [diag(k j )]{q(t)} (13.87) mentre, se si usa la normalizzazione a massa unitaria, si ha ( { q I (t)} = [ψ I ] T {f} [ diag ( ) ωj)] 2 {qi (t)}. (13.88) Algoritmi più sofisticati richiedono l inversione di una combinazione lineare delle matrici di massa e di rigidezza, operazione in ogni caso banale se le matrici, proiettate in base modale, sono diagonali. 8 La formula di integrazione numerica riportata corrisponde al metodo di Eulero esplicito e non è raccomandabile per questioni di stabilità dell algoritmo; viene qui utilizzata al solo fine di illustrare senza eccessivi tecnicismi le operazioni richieste per l integrazione esplicita di sistemi dinamici

218 Si noti tuttavia che questi vantaggi si pagano in qualche modo, perché l approccio modale richiede comunque l estrazione di autovalori ed autovettori, operazione in generale relativamente costosa(dell ordine di n 4 ). Occorre verificare quale strada è più conveniente in funzione del tipo di risultato che si vuole ottenere. Ad esempio, l approccio modale può essere comunque conveniente nel caso le autosoluzioni siano già disponibili, perché il loro calcolo era comunque richiesto per altri motivi Esempio: soluzione di equilibrio statico di un sistema libero Si vuole applicare l approccio modale all esempio illustrato nel paragrafo Il problema, in forma matriciale, è [ ]{ } [ ]{ } { } m ẍ1 k k x1 F + = (13.89) m k k ẍ 2 x 2 Si consideri il problema agli autovalori che risulta dall equazione omogenea associata: ( [ ] [ ]){ } { } ω 2 m k k x1 + = m k k x 2 (13.9) da cui si ricava l equazione caratteristica = ( k ω 2 m ) 2 k 2 = ω 2 m ( ω 2 m 2k ) (13.91) quindi gli autovalori sono: ω 2 1 = ω 2 2 = 2 k m (13.92a) (13.92b) Si ricavi ora lo spostamento della seconda massa in funzione di quello della prima, alternativamente con il primo ed il secondo autovalore; si ottiene: { } { } { } x1 = 1X 1 1 q x 1 = q 2 1 1X (13.93a) { } { } { } x1 = 2X 1 1 q x 2 = q 2 2X (13.93b) 2 da cui si ricava la matrice dei modi [ ] 1 1 [ψ] = 1 1 (13.94) Ora occorre ridurre le matrici di massa e di rigidezza, secondo le (13.55a), (13.55b), e il termine noto in base modale: [ ] [diag(m j )] = [ψ] T 2m [M][ψ] = (13.95a) 2m [ ] [diag(k j )] = [ψ] T [K][ψ] = (13.95b) 4k { } [ψ] T F {F} = (13.95c) F La (13.95b) mette in evidenza la singolarità della matrice [K]. Il problema (13.9), trasformato secondo l approccio modale, diventa quindi 2m q 1 = F 2m q 2 +4kq 2 = F (13.96a) (13.96b) 13-12

219 Figura 13.4: Assorbitore dinamico di vibrazioni usato su cavi dell alta tensione. ovvero si ottengono due equazioni disaccoppiate di cui la prima descrive un moto uniformemente accelerato, associato alla traslazione rigida dell intero sistema, mentre la seconda descrive un tipico oscillatore armonico non smorzato, associato alla vibrazione delle due masse attorno al baricentro. Si calcoli, infatti, la posizione del baricentro relativa ai due modi (13.93a) e (13.93b): x CG1 = x CG2 = mj1 X j q 1 mj = q 1 (13.97a) mj2 X j q 2 mj = (13.97b) dalla (13.97a) si deduce che la coordinata modale q 1 esprime naturalmente il moto del baricentro del sistema; per l ortogonalità dei modi propri attraverso la matrice di massa ne risulta la necessità che il baricentro non si sposti in conseguenza del moto secondo l altro modo proprio. È interessante notare come l approccio modale abbia portato direttamente ed in modo naturale alla scrittura delle due equazioni (4.43) e (4.52), ove si ponga q 1 = x CG e q 2 = x, che nel paragrafo erano state dedotte attraverso una serie di ragionamenti all apparenza specifici per il particolare problema in esame Applicazione: assorbitore dinamico Il concetto su cui si basa l assorbitore dinamico è quello di trasferire tutta l energia introdotta in un sistema vibrante da un campo di forze, mandandone volutamente in una sorta di risonanza un particolare, mentre il resto del sistema è mantenuto in quiete. È importante notare che l assorbitore dinamico, come dice il nome stesso, non dissipa energia. Al contrario, assorbe l energia associata al movimento forzato a regime di un sistema, e la confina, sotto forma di energia cinetica e potenziale elastica, in una parte del sistema stesso

220 Figura 13.5: Modello dell assorbitore dinamico. Nella figura è rappresentata la sospensione di una linea elettrica ad alta tensione. Ovvi problemi impediscono di collegare il cavo a terra, ad esempio con un elemento dissipativo. D altronde il basso smorzamento del cavo e l ampio spettro del vento incidente, oltre al fenomeno delle vibrazioni indotte per distacco di vortici, rendono molto probabile l eccitazione in risonanza della campata. Consideriamo il comportamento del cavo con l assorbitore dinamico, considerando quest ultimo, per semplicità, a un solo grado di libertà anzichá a quattro, ovvero ci si riconduca allo schema seguente dove m 1 e k 1 sono rispettivamente la massa e la rigidezza a flessione del cavo, mentre m 2 e k 2 sono quelle di uno dei due contrappesi. Essendo il sistema lineare, o come tale approssimabile, la forzante armonica è una delle componenti dello sviluppo in serie di Fourier dell azione del vento. Le equazioni di moto sono le soluzioni a regime del sistema m 1 ẍ 1 +k 1 x 1 +k 2 (x 1 x 2 ) = F sin(ωt) m 2 ẍ 2 +k 2 (x 2 x 1 ) = Effettuiamo le seguenti sostituzioni ω 11 = ω 22 = X = F k 1 k 1 m 1 k 2 m 2 (13.98a) (13.98b) (13.99a) (13.99b) (13.99c) e imponiamo come soluzioni degli integrali particolari otterremo x 1 (t) = X 1 sin(ωt) x 2 (t) = X 2 sin(ωt) 1+ k 2 k 1 ( ) 2 ω ω 11 X X 1 k 2 k 1 X 2 = X ( ) 2 ω X 2 = ω 22 (13.1a) (13.1b) (13.11a) (13.11b) 13-14

221 Figura 13.6: Risposta della massa 1 dell assorbitore dinamico. ovvero X 1 X = X 2 X = 1+ k 2 k 1 1+ k 2 k 1 1 ( ω ω 22 ) 2 ( ) 2 ( ) 2 ω ω 1 ω 11 ω 22 1 ( ) 2 ( ) 2 ω ω 1 ω 11 ω 22 k 2 k 1 k 2 k 1 (13.12a) (13.12b) Si nota immediatamente che per ω = ω 22, pari alla frequenza propria del solo assorbitore dinamico messo a terra, X 1 /X si annulla 9, mentre X 2 /X = k 1 /k 2, ovvero k 2 X 2 = F = ω 2 m 2 X 2 (13.13) che ci permette, noto F e ω, ovvero nota la forzante, di determinare l entità della massa m 2 una volta fissata la massima freccia ammissibile X 2 per il trefolo che regge la massa stessa. Le due frequenze proprie del sistema dipendono, ovviamente, dal rapporto µ = m 2 m 1 (13.14) 13.4 Vibrazioni forzate smorzate Come sappiamo esistono diversi tipi di smorzamento, quali il viscoso, l isteretico, quello dovuto ad attrito coulombiano, quello aerodinamico, ecc. È in generale difficile valutare quale tipo di smorzamento agisca in una particolare struttura; spesso il fenomeno dissipativo è dovuto alla presenza contemporanea di più di tipi di smorzamento. In molti casi, tuttavia, lo smorzamento è piccolo e possono essere fatte alcune ipotesi semplificative. Il sistema di equazioni di equilibrio dinamico per il sistema vibrante di figura 13.7 è dato da [ ]{ } [ ]{ } [ ]{ } { } m1 ẍ1 c1 +c + 2 c 2 ẋ1 k1 +k + 2 k 2 x1 f1 = m 2 ẍ 2 c 2 c 2 +c 3 ẋ 2 k 2 k 2 +k 3 9 Infatti, per tale frequenza, si annullano i due zeri della funzione di trasferimento tra la forzante X e lo spostamento della massa 1, X 1. Si noti che è improprio dire che l assorbitore viene fatto funzionare in risonanza, perché, dal momento che viene montato sul sistema, non è più definita una sua frequenza propria indipendente, ma, dato che aggiunge un grado di libertà al sistema su cui viene montato, il sistema risultante ha una frequenza propria in più, che però dipende dalle caratteristiche dinamiche dell insieme. x 2 f

222 Figura 13.7: Sistema vibrante a 2 gradi di libertà smorzato. (13.15) ovvero [M]{ẍ}+[C]{ẋ}+[K]{x} = {f} (13.16) Smorzamento proporzionale Si ha il cosiddetto smorzamento proporzionale se la matrice [C] può essere scritta come [C] = α[m]+β[k] (13.17) con i casi particolari per cui α = o β =. Quindi il termine proporzionale si riferisce al fatto che la matrice di smorzamento [C] è proporzionale alle matrici di massa e di rigidezza. In tutti e tre i casi si dimostra facilmente che la matrice modale (13.49) del sistema conservativo associato, ovvero quello senza smorzamento, che diagonalizza tanto la matrice di massa [M] quanto quella di rigidezza [K], rende diagonale anche la matrice [C]. Infatti, nel caso più generale di equazione (13.17) [ψ] T [C][ψ] = [ψ] T (α[m]+β[k])[ψ] = α[diag(m j )]+β[diag(k j )] = [diag(c j )] (13.18) quindi il problema (13.16), in coordinate principali, diventa [diag(m j )]{ q}+[diag(c j )]{ q}+[diag(k j )]{q} = [ψ] T {f} (13.19) che rappresenta un set di N equazioni disaccoppiate, tante quanti sono i gradi di libertà del sistema, del tipo m j q j +c j q j +k j q j = {X} T j {f} (13.11) dove {X} j è il j-esimo autovettore del sistema conservativo associato. L equazione, che risolta fornisce la legge del moto di un sistema ad un grado di libertà forzato, mette in luce che, a meno di una costante arbitraria, la forzante è data dal lavoro che le restanti forze agenti sul sistema compiono per il j-esimo modo di vibrare. Le frequenze proprie del sistema sono date da ω Di = ω j 1 ξj 2 ω j = k j m j ξ j = c j = α + βω j 2m j ω j 2ω j 2 (13.111a) (13.111b) (13.111c) mentre la contrazione della soluzione avviene con le ampiezze che decrescono esponenzialmente con legge del tipo e ξjωjt, e il generico termine della matrice di trasferimento vale h jk (ω) = h kj (ω) = N r=1 rx j rx k k r m r ω 2 +iωc r (13.112) 13-16

223 Il modello di smorzamento proporzionale viene essenzialmente introdotto perché, per strutture debolmente smorzate, consente di utilizzare le forme modali ottenute per il sistema conservativo ad un costo computazionale decisamente inferiore a quello necessario nel caso di smorzamento generico, illustrato nel seguito. Un analisi puramente qualitativa di questo modello mostra che se l idea di forze dissipative proporzionali alle forze elastiche può essere plausibile, in quanto le forze elastiche sono proporzionali alla deformazione e quindi a movimenti relativi, l idea di forze dissipative proporzionali alle forze d inerzia lascia abbastanza perplessi, in quanto le forze d inerzia sono proporzionali alle accelerazioni assolute, e quindi a movimenti assoluti. Per cui si arriva all assurdo che su di un sistema non vincolato, sottoposto ad un movimento rigido, agisce uno smorzamento strutturale di tipo viscoso. In conclusione, la scelta di questo tipo di smorzamento va vista soprattutto come un espediente per introdurre in modo computazionalmente vantaggioso una dissipazione che di caso in caso deve essere tarata per risultare globalmente equivalente a quella rilevata sperimentalmente per un dato sistema debolmente smorzato Smorzamento isteretico Nel caso di smorzamento isteretico o strutturale, abbiamo già visto nel Capitolo 12 che l energia dissipata in un ciclo è indipendente dalla pulsazione, ma dipende solo dalla ampiezza di vibrazione, ovvero, nel dominio delle frequenze 1, [M]ω 2 {x}+i η [K]ω{x}+[K]{x} = {f} (13.113) ω ove si è usata la matrice proporzionale [C] = η [K] (13.114) ω per rendere la proporzionalità dello smorzamento dalla rigidezza, attraverso il coefficiente η, ma non dalla frequenza. Ne risulta l equazione ( ω 2 [M]+(1+iη)[K] ) {x} = {f} (13.115) nella quale la dissipazione è ottenuta sfasando le forze elastiche di un angolo tan 1 η. In coordinate principali si ottiene ( ω 2 [diag(m j )]+(1+iη)[diag(k j )] ) {q} = [ψ] T {f} (13.116) ovvero un set di N equazioni disaccoppiate, tante quanti sono i gradi di libertà del sistema, del tipo ω 2 m j q j +(1+iη)k j q j = {X} T j {f} (13.117) dove {X} j è il j-esimo autovettore del sistema conservativo associato. Ovviamente λ 2 j = k j (1+iη) = ω 2 j 1+η2 e itan 1 η m j (13.118) mentre il generico termine della matrice di trasferimento vale h jk (ω) = h kj (ω) = N r=1 rx j rx k k r m r ω 2 +iηk j (13.119) 1 Questo tipo di smorzamento non è rappresentabile nel dominio del tempo, perché dà luogo ad un sistema dal comportamento non causale

224 Smorzamento viscoso generico Quando la matrice di smorzamento non è proporzionale alla matrice di massa e/o a quella di rigidezza, la matrice modale (13.49) del sistema conservativo associato non diagonalizza la matrice di smorzamento. Si può tuttavia ottenere un sistema disaccoppiato nel modo seguente. Il set di N equazioni differenziali del secondo ordine è convertito in un set di 2N equazioni differenziali del primo ordine, assegnando nuove variabili (chiamate variabili di stato) a ciascuna delle coordinate libere originali e delle loro derivate nel tempo [ ]{ } [ ]{ } { } m1 ẋ1 m1 ẋ1 = m 2 m 2 ovvero [ m1 m 2 ]{ ẍ1 ẍ 2 m 1 m 2 m 1 c 1 +c 2 c 2 m 2 c 2 c 2 +c 3 Sostituendo } [ c1 +c + 2 c 2 c 2 c 2 +c 3 ẍ 1 ẍ 2 ẋ 1 ẋ 2 + ]{ ẋ1 ẋ 2 ẋ 2 } [ k1 +k + 2 k 2 k 2 k 2 +k 3 m 1 m 2 k 1 +k 2 k 2 k 2 k 2 +k 3 ẋ 2 ]{ x1 x 2 ẋ 1 ẋ 2 x 1 x 2 (13.12a) } { } f1 = f 2 (13.12b) = f 1 f 2 (13.121) x 1 = z 1 x 2 = z 2 ẋ 1 = ż 1 = z 3 ẋ 2 = ż 2 = z 4 ẍ 1 = ż 3 ẍ 2 = ż 4 otteniamo m 1 m 2 m 1 c 1 +c 2 c 2 m 2 c 2 c 2 +c 3 ż 3 ż 4 ż 1 ż 2 + m 1 m 2 k 1 +k 2 k 2 k 2 k 2 +k 3 z 3 z 4 z 1 z 2 (13.122a) (13.122b) (13.122c) (13.122d) (13.122e) (13.122f) = f 1 f 2 (13.123) ovvero [A]{ż}+[B]{z} = {g} (13.124) con [ ] [] [M] [A] = [M] [C] [ ] [M] [] [B] = [] [K] { } {} {g} = {f} (13.125a) (13.125b) (13.125c) Si noti che le matrici [A] e [B] sono simmetriche, ancorché non più definite positive; gli autovalori del problema omogeneo associato sono direttamente gli autovalori del problema meccanico, e sono in generale o reali o complessi coniugati

225 Si consideri ancora il problema di figura 13.7, con m 1 = m 2 = m, c 1 = c 2 = c 3 = c, k 1 = k 2 = k 3 = k. In questo caso particolare di smorzamento proporzionale si ottiene, dal calcolo degli autovalori e degli autovettori e [diag(ω j )] = 3c+ 9c 2 12mk 2m 3c 9c 2 12mk 2m c+ c 2 4mk 2m c c 2 4mk 2m (13.126) 3c+ 9c 2 12mk 3c 9c 2 12mk c+ c 2 4mk c c 2 4mk 2m 2m 2m 2m 3c+ 9c 2 12mk 3c 9c 2 12mk c+ c 2 4mk c c 2 4mk [ψ] = 2m 2m 2m 2m (13.127) Si noti che gli autovalori sono o reali, se i radicandi sono positivi, o complessi coniugati, se i radicandi sono negativi; inoltre, le prime e le ultime due righe della matrice degli autovettori soddisfano la relazione [ ψ1 2 ] = [ ψ3 4 ] [diag(ωj )] (13.128) che traduce la condizione x 1 = z 1 ẋ 1 = ż 1 = z 3 = ω j x 1 x 2 = z 2 ẋ 2 = ż 2 = z 4 = ω j x 2 (13.129a) (13.129b) (13.129c) (13.129d) mentre le ultime due righe della matrice degli autovettori contengono gli autovettori del sistema conservativo di partenza, come atteso dal momento che la matrice di smorzamento è proporzionale. Nel caso invece generale, di smorzamento non proporzionale, i modi propri smorzati esistono, ma non sono più identici a quelli del sistema conservativo e vi sono differenze di fase (non più o π) tra le componenti delle coordinate libere. I modi sono quindi complessi e in generale non sono più definibili punti nodali (aventi componente nulla dello spostamento). Esercizio 13.4 Dato il problema omogeneo associato alla (13.16) si dimostri che non può avere autovettori {X} reali associati agli eventuali autovalori complessi coniugati Dal continuo al discreto Lo studio delle vibrazioni di sistemi continui, ad esempio dei modi propri di vibrare di una trave, viene affrontato in modo abbastanza simile a quello descritto in questo capitolo per i sistemi discreti a più gradi di libertà, a partire dalle equazioni differenziali alle derivate parziali che descrivono la dinamica del continuo. Questa trattazione esula dallo scopo del corso di Dinamica dei Sistemi Aerospaziali; tuttavia, dal momento che sono evidenti i punti di contatto tra i due argomenti, viene qui introdotto, in modo del tutto qualitativo, il problema della discretizzazione dei problemi continui, che consente di superare i limiti della trattazione analitica qualora il problema non sia risolvibile in forma chiusa. In particolare, si illustra come, attraverso una discretizzazione sia pure grossolana del problema continuo, sia possibile stimare le sue frequenze proprie con accuratezza via via crescente

226 Figura 13.8: Torsione di una trave omogenea incastrata. Si consideri la sola torsione della trave rettilinea di figura 13.8, di lunghezza L e di rigidezza GJ ed inerzia J p torsionali uniformi, incastrata all estremo x = e libera all estremo x = L. Dal momento che si tratta di un sistema continuo, possiede infiniti gradi di libertà e quindi infiniti modi di vibrare. L equilibrio alla rotazione attorno all asse di un concio infinitesimo di trave afferma che la derivata del momento torcente equilibra le coppie torcenti distribuite d dx M t = M t = µ Il momento torcente è legato alla derivata prima dell angolo di rotazione attorno all asse (13.13) M t = GJ d dx θ = GJθ (13.131) le coppie torcenti distribuite, in presenza di solo movimento di rotazione attorno all asse, per effetto di piccole perturbazioni della posizione di equilibrio, per il principio di d Alembert sono date dalla coppia di inerzia distribuita, µ = J p θ(x,t) (13.132) quindi l equazione differenziale alle derivate parziali che governa le piccole perturbazioni della torsione di una trave uniforme rispetto alla posizione di equilibrio è GJθ +J p θ = (13.133) Senza presentare i dettagli della soluzione analitica del problema, lo studio delle vibrazioni del continuo, una volta applicate le condizioni al contorno di rotazione nulla all estremo incastrato, θ() =, e momento torcente nullo all estremo libero, GJθ (L) =, ci dice che le sue pulsazioni proprie sono ω k = ( π 2 +kπ ) GJ J p L 2 (13.134) ed i corrispondenti modi sono (( π ) x θ k (x) = sin 2 L) +kπ Quindi, posto GJ φ = J p L 2 (13.135) (13.136) la pulsazione associata al primo modo, la cui forma è un quarto di onda di seno, è ω 1 = π 2 φ = 1.57φ (13.137) Per poter stimare i modi propri di vibrare di questo problema, si può immaginare di trasformarlo in qualche modo da continuo a discreto, per ricondurlo in una forma nota; ad esempio, si può pensare di suddividere la trave in due parti, come illustrato in figura 13.9, e di associare le rispettive inerzie alle 13-2

227 rotazioni dei due estremi. Siccome il primo è incastrato, solo l inerzia associata al secondo, pari a J p L/2, darà luogo ad una coppia associata all accelerazione angolare dell estremo libero. La rotazione relativa tra i due estremi darà luogo ad una coppia elastica dovuta alla rigidezza torsionale dell intera trave, GJ/L. Ne risulta l equazione differenziale lineare omogenea a coefficienti costanti J p L 2 θ L + GJ L θ L = (13.138) la cui costante caratteristica è ω = GJ 2 J p L 2 = 2φ (13.139) mentre la forma associata è una variazione lineare dell angolo θ da a θ L. Dal momento che il problema è stato approssimato in maniera piuttosto grossolana, non ci aspettiamo una particolare accuratezza, soprattutto in virtù del fatto che la differenza tra la forma corretta e quella approssimata del modo è così notevole; tuttavia, si nota che il rapporto tra 2 = 1.41 e π/2 = 1.57 è pari a.9, quindi l errore commesso è solo del 1% rispetto alla soluzione analitica (13.137). Si consideri ora un modello leggermente più raffinato, come illustrato in figura 13.1, in cui la trave è divisa in tre parti, e si considerino, come incognite, la rotazione di mezzeria e quella dell estremo libero. L inerzia associata alla rotazione di mezzeria sarà la metà dell inerzia polare della trave, mentre quella associata alla rotazione di estremità sarà pari ad un quarto. La rigidezza delle molle torsionali sarà invece il doppio della rigidezza iniziale, in quanto la lunghezza degli spezzoni di trave è la metà della lunghezza originaria. Si ottengono le equazioni ovvero J p L 4 J p L 2 J p L 4 [ 2 1 } + θ L { θl/2 2 GJ L/2 GJ L/2 ]{ } θl/2 + GJ [ 2 1 θ L L/2 1 1 GJ L/2 GJ L/2 ]{ θl/2 { θl/2 θ L } { } = θ L } = { } (13.14) (13.141) e, infine, [ 2 1 ]{ } [ θl/ φ θ L 1 1 Le radici del polinomio caratteristico sono ω = 2 2± 2φ ]{ θl/2 θ L } = { } (13.142) (13.143) Figura 13.9: Modello ad un grado di libertà per la torsione di una trave omogenea incastrata

228 Figura 13.1: Modello a due gradi di libertà per la torsione di una trave omogenea incastrata. di cui la minore è pari a circa 1.53φ, con un errore rispetto alla soluzione analitica (13.137) inferiore al 3%. La forma modale è data da una spezzata, ovvero da una funzione che varia linearmente da a θ L/2 e quindi a θ L, in cui θ L/2 = 1 2 θ L (13.144) che, caso fortuito, posta unitaria la rotazione all estremo libero per entrambe le forme, è esattamente uguale alla soluzione analitica: sin(π/4) = 1/ 2. L altra radice dà una stima della pulsazione del secondo modo di vibrare, che sarà decisamente più grossolana rispetto a quella del primo (circa il 22% di errore). Al raffinarsi della suddivisione, e quindi al crescere del numero dei gradi di libertà del modello discreto approssimato, la stima della prima pulsazione propria, e via via di quelle immediatamente successive, diventa sempre più accurata

229 Capitolo 14 Rappresentazione agli stati di sistemi vibranti e modelli approssimati Generato il 1 settembre 212 La rappresentazione agli stati di un sistema dinamico consiste nella scrittura di un problema differenziale nella forma {ẋ} = [A]{x}+[B]{u} {y} = [C]{x}+[D]{u} (14.1a) (14.1b) ove la relazione dinamica tra ingresso {u} e uscita {y} dipende da una relazione differenziale lineare. Qualsiasi sistema lineare di equazioni differenziali, di qualsiasi ordine, può essere rappresentato in questa forma a seguito di opportune trasformazioni. Se la matrice [D] è nulla, non vi è termine di trasmissione diretta, e il sistema si dice strettamente proprio. È sempre possibile descrivere un sistema proprio come combinazione di un termine di trasmissione diretta tra ingresso e uscita e di un sistema strettamente proprio, quindi lo studio di quest ultimo caso è sufficiente per lo studio del caso più generale. La capacità di rappresentare un sistema dinamico generico nella forma agli stati consente di studiarne le caratteristiche ed il comportamento mediante le tecniche sviluppate nell ambito della teoria dei sistemi. La formulazione agli stati è considerata parte di un approccio moderno alla teoria dei sistemi, nato e fiorito nella seconda metà del ventesimo secolo, in contrapposizione ad un approccio classico mediante funzioni di trasferimento formulate nel dominio di Laplace, fiorito nella prima metà dello stesso secolo. I due approcci sono quasi perfettamente analoghi in quanto a contenuti, ma presentano vantaggi e svantaggi diversi, che li rendono complementari. La conoscenza di entrambi gli approcci e la capacità di utilizzare il più vantaggioso a seconda dell ambito di applicazione e delle esigenze di analisi costituiscono importanti strumenti. Le implicazioni relative all opportunità di utilizzare o meno la formulazione agli stati vengono lasciate ad altri corsi per i quali l argomento è centrale 1. In questo capitolo si vogliono soprattutto presentare le tecniche per descrivere problemi tipici della dinamica dei sistemi aerospaziali mediante tale formalismo. I paragrafi da 14.1 a 14.3 sono da intendersi come un ripasso di teoria dei sistemi nei domini del tempo e di Laplace Rappresentazione agli stati nel dominio del tempo Dalla teoria dei sistemi è noto che la soluzione ad un problema di questo tipo è data dalla combinazione lineare di una soluzione dipendente dalle condizioni iniziali {x }, in assenza di forzamento ({u} = {}), 1 Si rammenta che la formulazione agli stati di sistemi dinamici è stata discussa nell ambito del corso di Fondamenti di Automatica, al quale si rimanda per approfondimenti e rigore delle formalizzazioni. 14-1

230 e da una dipendente dall ingresso {u} ({u} = {u(t)} {}). La prima va sotto il nome di integrale generale, mentre la seconda va sotto il nome di integrale particolare Integrale generale La soluzione dell integrale generale ha la forma {x g } = e [A](t t) {x }. (14.2) Si ricorda che la funzione esponenziale di matrice è definita come e [A](t t) = k= 1 k! [A]k (t t ) k. (14.3) È immediato verificare che ( d dt e[a](t t) = d ) 1 dt k! [A]k (t t ) k = k= = [A] k= k k! [A]k (t t ) k 1 k= = [A]e [A](t t) 1 (k 1)! [A]k 1 (t t ) k 1 = e [A](t t) [A], (14.4) da cui risulta che la (14.2) soddisfa la (14.1a) per {u} = {}. La soluzione dell integrale generale tende ad annullarsi se il sistema descritto dalla matrice [A] è asintoticamente stabile 2. Questo si verifica quando gli autovalori λ i della matrice, in generale reali o complessi coniugati in quanto la matrice è reale, hanno parte reale negativa. Esponenziale di matrice La (14.3) rappresenta la definizione di esponenziale di matrice. Tuttavia, la definizione come serie non rappresenta uno strumento pratico per il suo calcolo (si veda [4] per una discussione completa sull argomento). Se invece, qualora sia possibile, si opera una decomposizione spettrale della matrice [A], si ottiene [A] = [V][diag(λ)][V] 1, (14.5) ove [diag(λ)] è una matrice diagonale contenente gli autovalori λ i della matrice [A], mentre la matrice [V] contiene i rispettivi autovettori, {v} i. La (14.3) diventa così e [A](t t) 1 ( = [V][diag(λ)][V] 1) k (t t ) k k! k= 1 = [V] k! ([diag(λ)](t t )) k [V] 1 k= [ ( = [V] diag e λ(t t))] [V] 1. (14.6) 2 Si ricorda che a rigore la stabilità può essere valutata per le singole soluzioni, e non per i sistemi. Fanno eccezione, tra gli altri, i sistemi lineari tempoinvarianti. 14-2

231 Integrale particolare La soluzione dell integrale particolare è data dall integrale di convoluzione tra l ingresso {u(t)} e la soluzione e [A]t, ovvero {x p (t t )} = t t e [A](t τ) [B]{u(τ)} dτ. (14.7) Esercizio 14.1 Si verifichi la proprietà commutativa della convoluzione, tale per cui t e [A](t τ) [B]{u(τ)} dτ = t Suggerimento: si operi il cambio di variabile η = t τ. e [A]τ [B]{u(t τ)} dτ. (14.8) Anche in questo caso, ricordando l espressione della derivata dell integrale d dt b(t) a(t) f (t τ) dτ = b(t) a(t) d dt f (t τ) dτ +f (b(t)) d dt b(t) f (a(t)) d a(t), (14.9) dt è immediato verificare che d t dt {x p(t t )} = [A]e [A](t τ) [B]{u(τ)} dτ +[B]{u(t)}. (14.1) t Siccome [A] è costante e quindi può essere portata fuori dal segno di integrale, l ultima espressione corrisponde alla (14.1a). Ricordando la (12.58), e supponendo per semplicità che il sistema abbia un solo ingresso u e che quindi la matrice [B] sia formata da una sola colonna, la risposta ad un ingresso sotto forma di Delta di Dirac u(t) = δ(t t ) è {x(t t )} = t t e [A](t τ) [B]δ(τ) dτ = e [A](t t) [B]. (14.11) Quindi la funzione e [A](t t) [B] rappresenta la risposta impulsiva del sistema in termini di stato. Nel momento in cui, anziché soltanto lo stato {x}, si considera anche la relazione di uscita {y} data dalla (14.1b), si ottiene la funzione {h(t t )} = [C]e [A](t t) [B]+[D]δ(t t ), (14.12) che rappresenta la risposta impulsiva del sistema Rappresentazione agli stati nel dominio di Laplace La rappresentazione agli stati assume forme particolarmente significative quando viene valutata nel dominio di Laplace: s{x} = [A]{x}+[B]{u} {y} = [C]{x}+[D]{u}, (14.13a) (14.13b) ove si sono supposte per semplicità condizioni iniziali nulle. La soluzione del problema forzato diventa {y} = ( ) [C](s[I] [A]) 1 [B]+[D] {u}. (14.14) 14-3

232 14.3 Realizzazione agli stati di una funzione di trasferimento Una generica funzione di trasferimento razionale strettamente propria, caratterizzante un semplice sistema a singolo ingresso e singola uscita (Single-Input Single-Output, SISO), esprimibile come n a i y (n i) = i= n b i u (n i), (14.15) i=1 con a = 1, può essere realizzata agli stati in varie forme. Con y (i) si indica la derivata di ordine i della funzione y. La sua rappresentazione nel dominio di Laplace è y = n i=1 b is n i n i= a is n iu, (14.16) oppure y = n i=1 b is n i s n + n i=1 a isn iu (14.17) per sottolineare che a = 1 per definizione. Esercizio 14.2 Si mostri come una funzione di trasferimento non strettamente propria possa essere espressa come somma di una funzione strettamente propria e di un termine di trasmissione diretta. Il motivo per cui una funzione è realizzabile in molteplici forme è legato alla constatazione che la realizzazione agli stati richiede più coefficienti (n 2 per [A], n sia per [B] che per [C], per un totale di n 2 +2n) di quanti presenti nella forma razionale di Eq. (14.15), ovvero al più 2n. Questa semplice considerazione sottintende un altra considerazione: la forma razionale non contiene eventuali cancellazioni tra poli e zeri coincidenti, né eventuali dinamiche nascoste, ovvero non raggiungibili o non osservabili. Quindi la forma agli stati consente di considerare nei modelli anche quegli aspetti che non contribuiscono direttamente alla relazione ingresso-uscita, ma possono essere presenti nella fisica di un problema, con conseguenze potenzialmente non trascurabili sul suo comportamento dinamico. Quanto detto vale anche per sistemi a ingresso multiplo e a uscita multipla (Multi-Input Multi- Output, MIMO), a patto di considerare le a i come matrici quadrate di ordine n y n y, e le b i come matrici rettangolari di ordine n y n u. In questo caso, si avrebbe n i= con [a ] = [I], e { [a i ] y (n i)} = n i=1 { [b i ] u (n i)}, (14.18) ( n ) 1( n {y} = [a i ]s n i [b i ]s ){u}. n i (14.19) i= i= Invarianza di una rappresentazione agli stati Una rappresentazione agli stati è invariante rispetto ad una trasformazione degli stati che sia invertibile. Data una trasformazione {x} = [T]{x } (14.2) invertibile, tale per cui {x } = [T] 1 {x}, (14.21) 14-4

233 il sistema (14.1) diventa {ẋ } = [T] 1 [A][T]{x }+[T] 1 [B]{u} (14.22a) {y} = [C][T]{x }+[D]{u}. (14.22b) Si consideri ora, in analogia con la (14.14), la rappresentazione nel dominio di Laplace della (14.22), ( ( ) 1[T] {y} = [C][T] s[i] [T] [A][T]) 1 1 [B]+[D] {u} ( ( ) 1[T] = [C][T] s[t] 1 [T] [T] [A][T]) 1 1 [B]+[D] {u} ( ( ) 1[T] = [C][T] [T] (s[i] [A])[T]) 1 1 [B]+[D] {u} ( ) = [C][T][T] 1 (s[i] [A]) 1 [T][T] 1 [B]+[D] {u} ( ) = [C](s[I] [A]) 1 [B]+[D] {u}. (14.23) La(14.23) è identica alla(14.14), quindi una trasformazione invertibile dello stato non cambia la relazione tra ingresso e uscita Raggiungibilità ed osservabilità Definizione di raggiungibilità: Un sistema, per essere raggiungibile, deve consentire di portare, in un tempo finito arbitrario, il suo stato {x} dal valore iniziale {x } ad un qualsiasi valore desiderato, attraverso un opportuna scelta degli ingressi {u} tra l istante iniziale e quello finale. Spesso la raggiungibilità è denominata controllabilità. Definizione di osservabilità: Perché un sistema sia osservabile, il moto di ogni suo stato, a partire da un qualunque valore iniziale {x }, deve poter essere rilevato in un tempo finito attraverso le uscite {y}, in assenza di forzamento {u}. Le nozioni di raggiungibilità e osservabilità sono generali 3, ovvero si applicano a sistemi lineari anche tempovarianti o, in caso di sistemi non lineari, si applicano alla loro linearizzazione attorno ad una soluzione di riferimento. Per i sistemi lineari tempo-invarianti, esistono criteri di verifica particolarmente semplici. Si definiscono le matrici di raggiungibilità [K r ] = [ [B], [A][B], [A] 2 [B],... [A] n 1 [B] ] (14.24) e osservabilità [ [K o ] = [C] T, [A] T [C] T, ( [A] T) 2 [C] T,... ( [A] T) n 1 [C] T ], (14.25) con n pari al numero degli stati. Il sistema si dice raggiungibile se la matrice [K r ] ha rango pieno, e si dice osservabile se la matrice [K o ] ha rango pieno. Si noti che, se il sistema ha n u ingressi e n y uscite, le matrici [K r ] e [K o ] hanno ordine rispettivamente n (n n u ) e n (n n y ). Ne consegue che il loro rango non può essere maggiore di n, la dimensione più piccola. Tuttavia, è possibile che abbiano rango inferiore a n, nel qual caso il sistema sarebbe rispettivamente non raggiungibile o non osservabile. 3 Esistono anche definizioni meno stringenti, che vengono riportate per completezza. Si parla di stabilizzabilità quando un sistema è raggiungibile, oppure i suoi stati non raggiungibili sono asintoticamente stabili. Si parla di rilevabilità (in inglese detectability) quando un sistema è osservabile, oppure i suoi stati non osservabili sono asintoticamente stabili. 14-5

234 Verifica intuitiva del criterio di osservabilità La definizione di osservabilità dice che qualunque sia lo stato iniziale {x }, deve poter essere rilevato attraverso le uscite {y} in un tempo finito, in assenza di forzamento {u}. Questo significa che l uscita dovuta all integrale generale, {y} = [C]e [A]t {x }, (14.26) deve essere non-nulla qualunque sia {x }. Se esiste un vettore {x } = {z} tale per cui la (14.26) è identicamente nulla, ovvero [C]e [A]t {z} {}, {z} {}, (14.27) allora anche tutte le derivate di {y} devono essere identicamente nulle. Ne consegue che {ẏ} = [C][A]e [A]t {z} = {} {ÿ} = [C][A] 2 e [A]t {z} = {}... { y (n 1)} = [C][A] n 1 e [A]t {z} = {}. (14.28a) (14.28b) (14.28c) Perché questo sia vero qualunque sia t, compreso t =, il vettore {z} deve essere ortogonale a tutte le matrici [C][A] k, con k =,n 1. Ma questo è possibile solo se la matrice [K o ] ha rango minore di n. Un ragionamento analogo può essere svolto per il criterio di raggiungibilità. Si può anche notare che dato un sistema {ẋ o } = [A o ]{x o }+[B o ]{u o } (14.29a) {y o } = [C o ]{x o } che sia osservabile, ovvero tale per cui [K o ] abbia rango pieno, si ottiene un sistema (14.29b) {ẋ r } = [A r ]{x r }+[B r ]{u r } (14.3a) {y r } = [C r ]{x r } (14.3b) sicuramente raggiungibile ponendo [A r ] = [A o ] T, [B r ] = [C o ] T, [C r ] = [C o ] T, dal momento che la matrice di raggiungibilità [K r ] di quest ultimo sistema è strutturalmente identica alla matrice di osservabilità del problema precedente Rappresentazione agli stati di problemi meccanici La rappresentazione agli stati di problemi meccanici richiede di esprimere l equazione [M]{ z}+[r]{ż}+[k]{z} = {f} (14.31) mediante la quadrupla di matrici [A], [B], [C], [D] Oscillatore armonico smorzato Si consideri il caso di un oscillatore armonico smorzato, oggetto principale di studio del capitolo 5. Il suo moto è descritto dall equazione m z +rż +kz = f. (14.32) 14-6

235 La realizzazione agli stati più intuitiva consiste nel definire w = ż e quindi { } w {x} = z {u} = {f} [ ] r/m k/m [A] = 1 [ ] 1/m [B] = [C] = [ 1 ]. (14.33a) (14.33b) (14.33c) (14.33d) (14.33e) Si considerino gli autovalori del sistema, radici del polinomio caratteristico Essi sono det(λ[i] [A]) = λ 2 +λr/m+k/m =. (14.34) λ = r 2m ± ( r ) 2 k 2m m. (14.35) Il polinomio caratteristico è ovviamente identico a quello che si ottiene considerando direttamente l equazione di secondo grado originaria. Per questo sistema il problema dell osservabilità e della raggiungibilità non si pone, in quanto sappiamo dalla fisica che si tratta di un sistema in realtà ad un solo grado di libertà, quindi un forzamento applicato al grado di libertà non può non eccitarlo, e la misura scelta è direttamente il grado di libertà stesso. È tuttavia interessanteverificareil calcolo delle matrici di raggiungibilità e osservabilità; si ottiene [ ] 1/m r/m 2 [K r ] = (14.36a) 1/m [ ] 1 [K o ] =, (14.36b) 1 e quindi il sistema è raggiungibile e osservabile (anche in assenza di smorzamento, per r =, e addirittura anche in assenza della molla, per k = ) Forma canonica di controllabilità Tra le infinite realizzazioni possibili, un caso importante è rappresentato dalla forma canonica di controllabilità, o forma canonica di raggiungibilità, ẋ 1 a 1 a 2 a 3... a n x 1 1 ẋ 2 1 x 2 ẋ 3 = 1 x 3 + u (14.37a) ẋ n... x n x 1 y = [ ] x 2 b 1 b 2 b 3... b n x 3. (14.37b).. x n Il nome esprime il fatto che la matrice di raggiungibilità è intrinsecamente triangolare superiore, con i coefficienti diagonali unitari, e quindi la raggiungibilità è strutturalmente garantita indipendentemente dai coefficienti della funzione originaria. Esercizio 14.3 Si scriva la matrice di raggiungibilità [K r ] della forma canonica di raggiungibilità. 14-7

236 Bilanciamento. È opportuno ricordare che spesso le matrici che si ottengono mediante canonicizzazione sono mal condizionate. Può essere vantaggioso scalarle mediante algoritmi di bilanciamento che scalano gli stati e l ingresso in modo da migliorare il condizionamento sia per quanto riguarda la fattorizzazione della matrice [A] che l estrazione dei suoi autovalori. Si vedano ad esempio le funzioni balance di Matlab e Octave, e le funzioni dgebal e dggbal di LAPACK. Il bilanciamento consiste nel calcolare una matrice di trasformazione [T] che consenta di esprimere gli stati {x} come {x} = [T]{ˆx}. (14.38) A questo punto, il problema diventa } { ˆx = [T] 1 [A][T]{ˆx}+[T] 1 [B]{u} (14.39a) {y} = [C][T]{ˆx}+[D]{u}. (14.39b) La scalatura [T] viene scelta in modo che la matrice bilanciata [T] 1 [A][T] abbia la norma di righe e colonne dello stesso ordine di grandezza. Ad esempio, si consideri la matrice [A] associata ad un oscillatore armonico non smorzato di frequenza caratteristica pari a ω = 1 radianti/s, realizzato in forma canonica di raggiungibilità, ovvero octave:1> A = [ -1; 1 ] A = -1 1 octave:2> [T, AA] = balance(a) T = AA = Anche per un problema così semplice una scalatura è opportuna. Essa consiste nel dividere il primo stato per 8. Per ragioni di efficienza, la funzione balance effettua la scalatura utilizzando potenze di 2. Oscillatore armonico smorzato Si consideri il problema descritto dall equazione (14.32). La sua realizzazione in forma canonica di controllabilità è molto simile a quella presentata nelle (14.33), ottenuta in modo del tutto intuitivo. Si riscriva infatti tale equazione nella forma z + r m ż + k m z = f + 1 m f. (14.4) 1 a 1 a 2 b 1 b

237 In base alle (14.37) ne risultano le matrici {u} = f [ r/m k/m [A] = 1 [ ] 1 [B] = [C] = [ 1/m ]. ] (14.41a) (14.41b) (14.41c) (14.41d) La differenza principale rispetto alla scrittura intuitiva delle (14.33) sta nel fatto che ora la divisione per m compare nella matrice [C] anziché nella [B]. Di conseguenza gli stati non assumono il significato di posizione e velocità, ma di integrale della quantità di moto e quantità di moto. Data la specificità di questo caso, per cui il coefficiente b 1 è sempre zero, nulla vieta di considerare la forma presentata nelle (14.33). Generico sistema meccanico Si ottiene il risultato desiderato con una minima rielaborazione 4 della forma canonica di controllabilità, ovvero {u} = {f} [ [M] 1 [R] [M] 1 [K] [A] = [I] [] [ ] 1 [M] [B] = [] [C] = [ [] [I] ]. ] (14.43a) (14.43b) (14.43c) (14.43d) Si noti che è richiesta l inversione della matrice di massa del problema. Tale operazione può essere onerosa per problemi di grandi dimensioni. In tali casi, dal momento che il problema può essere formulato in modo che la matrice di massa sia simmetrica definita positiva, può essere opportuno riformulare la formalizzazione agli stati considerando prima una decomposizione di Cholesky della matrice, tale per cui [M] = [L][L] T, (14.44) ove [L] sia una matrice triangolare inferiore. Si ponga poi {w} = [L] T {z}. A questo punto, il problema di equazione (14.31) può essere riformulato come [L][L] T { z}+[r][l] T [L] T {ż}+[k][l] T [L] T {z} = {f} [L]{ẅ}+[R][L] T {ẇ}+[k][l] T {w} = {f} {ẅ}+[l] 1 [R][L] T {ẇ}+[l] 1 [K][L] T {w} = [L] 1 {f}. (14.45) 4 Una realizzazione secondo la forma canonica avrebbe la matrice [A] data dalla (14.43b), mentre le matrici [B] e [C] sarebbero [ [I] [B] = [] ] [C] = [ [] [M] 1 ]. (14.42) Anche in questo caso gli stati perderebbero il significato fisico di spostamenti e velocità; per questo motivo può essere preferibile utilizzare la forma modificata. 14-9

238 Le matrici [L] 1 [R][L] T e [L] 1 [K][L] T sono simmetriche per costruzione se anche le matrici [R] e [K] lo sono. La rappresentazione agli stati diventa {u} = {f} (14.46a) [ [L] 1 [R][L] T [L] 1 [K][L] T ] [A] = (14.46b) [I] [] [ ] 1 [L] [B] = (14.46c) [] [ ] [C] = [] [L] T. (14.46d) Forma canonica di osservabilità Un altro caso importante è rappresentato dalla forma canonica di osservabilità, ẋ 1 a x 1 b 1 ẋ 2 a 2 1 x 2 b 2 ẋ 3 = a 3 x 3 + b 3... u (14.47a) ẋ n a n... x n b n x 1 y = [ 1... ] x 2 x 3. (14.47b). x n Il nome esprime il fatto che la matrice di osservabilità è intrinsecamente triangolare superiore, con i coefficienti diagonali unitari, e quindi l osservabilità è strutturalmente garantita indipendentemente dai coefficienti della funzione originaria. Esercizio 14.4 Si scriva la matrice di osservabilità [K o ] della forma canonica di osservabilità. Oscillatore armonico smorzato Si consideri il problema descritto dall equazione (14.32). Ricordando la (14.4), la sua realizzazione in forma canonica di osservabilità è {u} = f [ r/m 1 [A] = k/m [ ] [B] = 1/m [C] = [ 1 ] ] (14.48a) (14.48b) (14.48c) (14.48d) Anche questa forma può essere ottenuta in modo relativamente intuitivo, definendo mw = mż +rz (14.49) e quindi mẇ +kz = f. (14.5) 14-1

239 Le matrici di raggiungibilità e osservabilità sono [ ] 1/m [K r ] = (14.51a) 1/m [ ] 1 r/m [K o ] =, (14.51b) 1 a conferma che il problema è strutturalmente osservabile e, nel caso specifico, raggiungibile Risposta a forzanti specifiche Risposta impulsiva In aggiunta a quanto già illustrato nella sezione 12.4 si consideri un generico sistema, rappresentato agli stati, in cui, senza ledere la generalità, sia presente un solo ingresso u(t) impulsivo u(t) = f 1 δ(t t 1 ). La soluzione generale data dalla (14.7), con t 1 > t, diventa {x p (t t )} = t t e [A](t τ) [B]f 1 δ(τ t 1 ) dτ = step(t t 1 )e [A](t t1) [B]f 1, (14.52) che, come già notato nella sezione 12.4, corrisponde all integrale generale dato dalla (14.2) in cui le condizioni iniziali siano {x } = [B]f 1. Esercizio 14.5 A partire dalla (14.52) si valuti la risposta del sistema meccanico descritto da mẍ + rẋ+ kx = f δ(t t 1 ) con condizioni iniziali x(t ) = e ẋ(t ) =, con t 1 > t Risposta a scalino Si consideri una forzante a scalino, ovvero una forza che ha valore nullo per t < t 1 e valore costante pari a f per t > t 1, senza che occorra specificarne il valore al tempo t 1. Si consideri un generico sistema, rappresentato agli stati, in cui, senza ledere la generalità, sia presente un solo ingresso u(t) a scalino di valore f al tempo t 1. La soluzione generale data dalla (14.7), con t 1 > t, diventa {x p (t t )} = t t e [A](t τ) [B]f step(τ t 1 ) dτ = step(t t 1 ) t t 1 e [A](t τ) dτ [B]f, (14.53) ove la funzione step(t t 1 ) è stata introdotta per imporre che la soluzione sia considerata solo per t t 1, mentre per t < t 1 la soluzione è nulla per causalità 5. Si consideri il cambio di variabile τ = η+t, per cui dτ = dη; si ottiene {x p (t t )} = step(t t 1 ) t 1 t e [A]η dη[b]f = step(t t 1 ) ([A] 1 e [A]η) t 1 t [B]f = step(t t 1 )[A] 1( [I] e [A](t t1)) [B]f. (14.54) Perché la risposta sia definita occorre che [A] non sia singolare. Se gli autovalori della matrice [A] hanno parte reale negativa, per t si ottiene la soluzione statica lim {x p(t t )} = [A] 1 [B]f, (14.55) t data direttamente dalla (14.1a) per {u} costante a transitorio esaurito, ovvero per {ẋ} = {}. L uscita a transitorio esaurito è quindi {y} = [C][A] 1 [B]+[D]. (14.56) Esercizio 14.6 A partire dalla (14.54) si valuti la risposta del sistema meccanico descritto da mẍ + rẋ+ kx = f step(t t 1 ) con condizioni iniziali x(t ) = e ẋ(t ) =, con t 1 > t. 5 Siccome per t < t 1 l ingresso è nullo, anche l uscita deve essere nulla

240 14.6 Approssimazioni In questo paragrafo sono presentate le definizioni di alcune forme di approssimazione di sistemi dinamici la cui applicazione può essere utile nel caso in cui siano valide opportune ipotesi, in base alle quali la dinamica del sistema, o una sua porzione, siano trascurabili ai fini dell analisi che si intende effettuare. Alcune definizioni saranno fornite in modo intuitivo, sia perché la loro formalizzazione richiede strumenti relativamente sofisticati che non è opportuno introdurre in questo contesto, sia perché spesso la scelta di quando utilizzare un approssimazione e quanto spingerla sono soggettive e spesso basate su considerazioni empiriche Approssimazione statica Si ha un approssimazione cosiddetta statica (o stazionaria) quando la dinamica del sistema viene interamente trascurata. Si consideri la soluzione a regime, ovvero a transitorio esaurito, di un sistema dinamico asintoticamente stabile, soggetto ad un ingresso costante {u(t)} = {u }. Questo significa che la soluzione è costituita dal solo integrale particolare, dal momento che l integrale generale in caso di stabilità asintotica si annulla a condizione di lasciar trascorrere un tempo sufficientemente lungo. In caso di ingresso costante, l integrale particolare è dato da una soluzione costante; ovvero, posto {} = [A]{x}+[B]{u }, (14.57) si ricava {x} che, sostituito nella relazione di uscita, dà {y} = [C][A] 1 [B]{u }. (14.58) Si noti che la matrice [A] deve essere invertibile; questa condizione è verificata in caso di stabilità asintotica, perché in tale caso tutti gli autovalori di [A] devono avere parte reale negativa, e quindi sono diversi da zero 6. Si ipotizzi ora un processo in cui l ingresso {u} non è più costante, ma varia lentamente. Se la variazione è sufficientemente lenta e regolare, si può pensare di suddividerla in tratti costanti, raccordati da scalini. In tale caso, la risposta sarà data da sequenze di integrali particolari costanti, analoghi a quello appena determinato, raccordati da integrali generali che tengono conto della variazione improvvisa di condizioni al contorno. Se il tempo necessario perché l integrale generale si annulli è piccolo rispetto alla durata del singolo tratto in cui è stato discretizzato l ingresso, allora si può ridurre la lunghezza dei tratti, affinando la discretizzazione. Se l ingresso è sufficientemente regolare, questo comporta salti più piccoli nelle condizioni al contorno, e così via, fino a rendere di nuovo continuo l ingresso. Ne risulta, in modo intuitivo, che la regolarità dell ingresso fornisce un termine di paragone da confrontare con la rapidità di annullamento dell integrale generale. Se l ingresso è sufficientemente regolare, la dinamica del sistema non viene eccitata, e quindi è sufficiente considerare un approssimazione statica del sistema stesso, {y(t)} s = [C][A] 1 [B]{u(t)}, (14.59) dove con s = si è indicata una uguaglianza non in senso stretto, ma mediante approssimazione stazionaria. Approssimazione statica: interpretazione nel dominio di Laplace Se si considera la trasformata di Laplace della rappresentazione agli stati, l approssimazione statica consiste nel valutare l uscita per s =. Dalla (14.14) si ottiene {y(s)} s= = [C][A] 1 [B]{u(s)} (14.6) che, antitrasformata di nuovo nel dominio del tempo, dà la (14.59). 6 Si ricordi che una matrice è invertibile quando il suo determinante non è nullo, e il determinante di una matrice è pari al prodotto di tutti i suoi autovalori

241 Approssimazione stazionaria con ingresso instazionario In alcuni contesti, il fatto che l ingresso {u(t)} dipenda dal tempo porta a chiamare impropriamente quasi-stazionaria l approssimazione stazionaria appena descritta. Questo non è corretto, perché la non-stazionarietà, ovvero la variabilità nel tempo, è solo dell ingresso. La dinamica del sistema viene interamente trascurata. Si consideri per esempio un sistema dinamico molto semplice, costituito dalle forze aerodinamiche stazionarie, F = 1 2 ρv2 SC f (α), (14.61) la cui dipendenza dall angolo di incidenza α è confinata nel generico coefficiente C f, che può essere scomposto in C l e in C d proiettando la forza in direzione rispettivamente perpendicolare e parallela alla velocità relativa v, di cui v è il modulo. Il modello di forze aerodinamiche descritto dal coefficiente C f è puramente stazionario, in quanto non dipende dalla storia di α ma solo dal suo valore istantaneo, nell ipotesi che ogni transitorio si sia esaurito. Se ad esempio la velocità relativa v è combinazione di un vento asintotico v in una direzione fissata, e di un movimento del corpo, ḣ, perpendicolare al vento relativo, l angolo di incidenza istantaneo è α = θ tan 1 ( ḣ v ), (14.62) dove θ rappresenta l orientazione del corpo rispetto alla direzione del vento relativo. Se si considera l angolo di incidenza dato dalla (14.62) nel modello di forze aerodinamiche dato dalla(14.61) si compie una forzatura, in quanto la(14.61) è un modello stazionario delle forze aerodinamiche, mentre α può variare nel tempo (per via del termine ḣ, nel caso di moto vario), e quindi viola l ipotesi di stazionarietà. L approssimazione può divenire accettabile se la variazione di α è sufficientemente lenta da consentire di trascurare il transitorio della dinamica delle forze aerodinamiche che causerebbe. Il modello delle forze rimane tuttavia puramente stazionario, nonostante l ingresso instazionario Approssimazione quasi-stazionaria L approssimazione quasi-stazionaria consiste nell approssimare la convoluzione con la funzione esponenziale della (14.7) mediante uno sviluppo in serie di Taylor, arrestato all ordine desiderato, nell ipotesi che i transitori siano sufficentemente veloci da poter essere trascurati. In alternativa, si consideri la (14.1a). La sua derivata dà {ẍ} = [A]{ẋ}+[B]{ u}, (14.63) nell ipotesi che l ingresso sia sufficientemente regolare da poter essere derivato, e che la sua derivata sia nota. È possibile sostituire la (14.1a) nella (14.63), da cui si ottiene {ẍ} = [A]([A]{x}+[B]{u})+[B]{ u}. (14.64) In analogia con il caso dell approssimazione statica, nell ipotesi che l ingresso e la sua derivata siano sufficientemente regolari rispetto al tempo necessario per annullare l integrale generale, si trascuri la derivata seconda dello stato, {ẍ}. Si ottiene {y(t)} qs1 = [C][A] 1 [B]{u(t)} [C][A] 2 [B]{ u(t)}, (14.65) che rappresenta un approssimazione quasi-stazionaria del primo ordine. In analogia con l uguaglianza mediante approssimazione stazionaria, indicata con =, s con qs1 = si vuole indicare una uguaglianza mediante approssimazione quasi-stazionaria del primo ordine. Esercizio 14.7 Si verifichi come, scrivendo la convoluzione nella forma dell esercizio 14.1 con la forzante {u(t τ)} sviluppata in serie di Taylor rispetto a t, l integrazione della forma risultante consenta di riottenere la (14.65)

242 L operazione può essere ripetuta arrestandosi ad ordini più elevati. Ad esempio, se si deriva ulteriormente la (14.63) e si eseguono le opportune sostituzioni, si ottiene {y(t)} qs2 = [C][A] 1 [B]{u(t)} [C][A] 2 [B]{ u(t)} [C][A] 3 [B]{ü(t)}, (14.66) che rappresenta un approssimazione quasi-stazionaria del second ordine. In generale, la sequenza di derivazioni può essere continuata a piacere. Tuttavia, al crescere dell ordine, sono richieste via via derivate di ordine superiore dell ingresso, la cui disponibilità può essere problematica, oltre a non avere un chiaro significato fisico. Si noti come in questo caso la dinamica del sistema venga in parte recuperata mediante la dinamica dell ingresso (le sue derivate), attraverso opportune matrici [C][A] n [B] fra loro indipendenti. Approssimazione quasi-stazionaria: interpretazione nel dominio di Laplace Se si considera la trasformata di Laplace della rappresentazione agli stati, l approssimazione quasistazionaria consiste nel valutare lo sviluppo in serie di Taylor della funzione di trasferimento, arrestato all ordine dell approssimazione, per s =. Si ricorda che la derivata dell inversa di una matrice [M] rispetto ad un generico parametro scalare s è data dalla relazione d ([M] 1) ( ) = [M] 1 d ds ds [M] [M] 1. (14.67) Esercizio 14.8 Si verifichi la relazione (14.67). Da questa relazione, con alcune manipolazioni, si ricava d j ( ) ds j [C](s[I] [A]) 1 [B] = j!( 1) j [C](s[I] [A]) j 1 [B]. (14.68) Lo sviluppo in serie di Taylor della (14.14) attorno a s = dà quindi {y(s)} = ( ) [C][A] 1 [B] s[c][a] 2 [B]... s k [C][A] k 1 [B] {u(s)} (14.69) Questa può essere riscritta come {y(s)} = [C][A] 1 [B]{u(s)} [C][A] 2 [B]s{u(s)}... [C][A] k 1 [B]s k {u(s)}, (14.7) ove si è messa in evidenza, mediante moltiplicazione per s j, la derivazione dell ingresso. Questa relazione, antitrasformata di nuovo nel dominio del tempo, dà {y(t)} qs-k = j=,k { } [C][A] j 1 [B] u (j) (t), (14.71) ovvero la formula dell approssimazione quasi-stazionaria dedotta in precedenza, compresa l approssimazione stazionaria intesa come approssimazione quasi-stazionaria di ordine. Con {u (j) (t)} si indica la derivata j-esima dell ingresso. Esempio: oscillatore armonico Si consideri il caso dell oscillatore armonico in forma canonica di osservabilità dato dalle (14.48). Si supponga che il forzamento avvenga mediante cedimento imposto v della base, ovvero che f = kv +r v. Si noti che, per r, occorre conoscere a priori la derivata prima del moto della base

243 Oscillatore armonico non smorzato. Si consideri innanzitutto il caso non smorzato, ovvero con r =. L approssimazione stazionaria è data da z s = [ 1 ][ 1 k/m ] 1 [ 1/m ] kv = v. (14.72) L approssimazione stazionaria non può che consistere in uno spostamento del corpo identico a quello del vincolo, in assenza di forze dinamiche che lo contrastino. L errore commesso può essere agevolmente valutato rispetto alla frequenza della forzante considerando che la risposta a forzante armonica di questo sistema è 1 z(jω) = 1 Ω 2 /ω 2 v(jω), (14.73) ove ω = k/m. Se ne deduce che l approssimazione stazionaria corrisponde a trascurare il contributo delle forze d inerzia, cosa lecita fintanto che Ω ω. Si consideri ora un approssimazione quasi-stazionaria del primo ordine. Si ottiene z qs1 = v [ 1 ][ 1 k/m ] 2 [ 1/m ] k v = v. (14.74) L aggiunta di un termine del primo ordine non comporta alcun cambiamento nell approssimazione. Ciò è in qualche misura atteso, perché non vi sono contributi del primo ordine alla dinamica del sistema. Si consideri infine un approssimazione quasi-stazionaria del secondo ordine. Si ottiene z qs2 = v [ 1 ][ 1 k/m ] 3 [ In frequenza, questa approssimazione diventa 1/m ] k v = v v/ω 2. (14.75) z(jω) = ( 1+Ω 2 /ω 2 ) v(jω). (14.76) Il miglioramento che introduce rispetto alle precedenti può essere valutato considerando che la (14.73) può essere riscritta come ( z(jω) = 1+ Ω2 /ω 2 ) 1 Ω 2 /ω 2 v(jω), (14.77) che mette in luce come compaia un termine del secondo ordine in Ω. L approssimazione quasi-stazionaria del second ordine tende alla (14.77) per Ω ω. Oscillatore armonico smorzato. In questo caso, l approssimazione stazionaria è data da z s = [ 1 ][ r/m 1 k/m In frequenza, questo corrisponde a ] 1 [ 1/m ] (kv +r v) = v + r v. (14.78) k z(jω) = (1+2jξΩ/ω )v(jω). (14.79) L errore commesso può essere agevolmente valutato rispetto alla frequenza della forzante considerando che la risposta a forzante armonica di questo sistema è 1+2jξΩ/ω z(jω) = 1 Ω 2 /ω 2 +2jξΩ/ω v(jω), (14.8) 14-15

244 ove ω = k/m e ξ = r/(2 km). Se ne deduce che l approssimazione stazionaria corrisponde non solo a trascurare il contributo delle forze d inerzia, cosa lecita fintanto che Ω ω, ma anche a sopravvalutareilcontributodelleforzeviscose, dalmomentoche, seω 2 /ω 2 ètrascurabile, allorala(14.8) si riduce all unità, mentre l approssimazione stazionaria dà una risposta complessa e quindi sfasata. Si consideri ora un approssimazione quasi-stazionaria del primo ordine. Si ottiene z qs1 = v + r k v [ 1 ][ ] 2 [ r/m 1 ](k v +r v) = v r2 k/m 1/m k2 v. (14.81) In frequenza, questo diventa z(jω) = ( 1+4ξ 2 Ω 2 /ω 2 ) v(jω). (14.82) L errore rispetto all espressione esatta della risposta in frequenza contiene a numeratore un termine Ω 2 /ω 2, oltre a termini di ordine superiore, che sono trascurabili quando Ω ω. Ciò che più conta è che la presenza del contributo quasi-stazionario rende l approssimazione puramente reale, e quindi elimina lo sfasamento spurio introdotto dall approssimazione stazionaria. Non conviene spingersi oltre, dal momento che un approssimazione quasi-stazionaria del second ordine richiederebbe la conoscenza della derivata terza dello spostamento del vincolo,... v. Esempio: forze aerodinamiche Si ipotizzi di poter esprimere, mediante un modello agli stati, la dinamica delle forze aerodinamiche in funzione di un ingresso dipendente dal tempo. In questo caso, l uscita y rappresenta le forze aerodinamiche in senso lato, mentre l ingresso u rappresenta la condizione al contorno cinematica, ad esempio l angolo di incidenza effettivo in un problema bidimensionale associato ad un corpo aerodinamico rigido. Come illustrato nella (14.62), la dipendenza dal tempo dell ingresso α in un semplice modello come quellorappresentatodalcoefficientec f della(14.61)puòesserelegatoalmovimentodelsistema, descritto da rotazione θ e spostamento trasversale h. Una volta nota la quadrupla, qualora il tipo di analisi lo giustifichi, è possibile ricavarne modelli approssimati, mediante approssimazione statica o quasi-stazionaria. In quest ultimo caso, conviene arrestarsi al prim ordine, in quanto, se si considera la linearizzazione dell angolo di incidenza α = θ ḣ v, (14.83) l ingresso u = α è proporzionale a θ e ḣ. L approssimazione quasi-stazionaria del prim ordine richiede infatti la conoscenza dell ingresso fino alla derivata prima, che contiene θ e ḧ. Nella descrizione della dinamica di un sistema meccanico, di solito le incognite cinematiche compaiono fino alla derivata seconda, per via delle forze d inerzia. Quindi conviene arrestare l ordine dell approssimazione al più a quel valore che richiede la derivata massima delle incognite cinematiche che sia già disponibile. Il generico coefficiente aerodinamico diventa così C f (t) qs1 = [C][A] 1 [B]α(t) [C][A] 2 [B] α(t) ( ) ( ) = [C][A] 1 [B] θ ḣ [C][A] 2 [B] θ ḧ v v [ = [ + 1 v [C][A] 2 [B] ] { θ ḧ } [C][A] 2 1 [B] v [C][A] 1 [B] + [ [C][A] 1 [B] ]{ θ h ] { θ ḣ } }. (14.84) 14-16

245 dove Se si considera per esempio un problema del tipo { θ [M] ḧ } { θ +[R] ḣ } { θ +[K] h } = { m l }, (14.85) m = 1 2 ρv2 SLC m l = 1 2 ρv2 SC l (14.86a) (14.86b) sono rispettivamente il momento aerodinamico e la portanza, la loro rappresentazione quasi-stazionaria del prim ordine mediante la (14.84) porta a scrivere ( [M]+ 1 [ L/v [C 2 ρv2 S m ][A m ] 2 ]){ } [B m ] θ 1/v [C l ][A l ] 2 [B l ] ḧ ( + [R]+ 1 [ [Cm ][A 2 ρv2 S m ] 2 [B m ] L/v [C m ][A m ] 1 ]){ } [B m ] θ [C m ][A m ] 2 [B m ] 1/v [C l ][A l ] 1 [B l ] ḣ ( + [K]+ 1 [ [Cm ][A 2 ρv2 S m ] 1 ]){ } [B m ] θ [C l ][A l ] 1 = [B l ] h { m l }, (14.87) dove si è sfruttato il fatto che la (14.84) dipende dal movimento della struttura, θ e h, e dalle loro derivate fino al secondo ordine. Quindi l approssimazione porta a contributi formalmente analoghi a rigidezze, smorzamenti e inerzie di natura aerodinamica. Senza voler entrare nel significato fisico di questi contributi, dal punto di vista della modellazione le approssimazioni (quasi-)stazionarie consentono quindi di estendere l utilizzo di modelli e tecniche di analisi già note ed impiegate per la dinamica strutturale a problemi di interazione. Nota a margine: la scrittura diretta della quadrupla del sistema è piuttosto complessa, se non impossibile. Per questo motivo non vengono forniti esempi. Di solito viene ricavata mediante tecniche specifiche di identificatione basate sulla minimizzazione dell errore nella rappresentazione nel dominio di Laplace di modelli aerodinamici instazionari di cui è nota o calcolabile la rappresentazione analitica o per lo meno numerica [5] Residualizzazione degli stati veloci Nel giustificare l approssimazione stazionaria, si è introdotta l idea di confrontare i tempi di annullamento dell integrale generale con la regolarità dell ingresso. In realtà i sistemi meccanici, ad esempio le grandi strutture metalliche, sono caratterizzate da comportamento dinamico particolare: i movimenti liberi sono molto poco smorzati, e coprono un ampio intervallo di frequenze. Lo smorzamento strutturale presente, anche se piccolo, è sufficiente a rendere il comportamento della struttura asintoticamente stabile. Quindi è lecito attendersi che i movimenti liberi a frequenze più basse, ω l, vengano eccitati dall ingresso, nel momento in cui Ω ω l, rispondendo quindi dinamicamente, mentre i movimenti liberi a frequenze più alte, ω v, per cui vale ancora Ω ω v, vengano sì eccitati, ma solo staticamente. Si supponga ora di essere in grado di partizionare gli stati del problema in lenti, {x l }, le cui frequenze caratteristiche ω l siano in qualche modo confrontabili con quelle dell ingresso, e veloci, {x v }. Il problema diventa { {ẋl } {ẋ v } } = [ [All ] [A lv ] [A vl ] [A vv ] ]{ {xl } {x v } {y} = [ [C l ] [C v ] ]{ {x l } {x v } } [ [Bl ] + [B v ] ] {u} (14.88a) (14.88b) 14-17

246 A questo punto, in base alle considerazioni precedenti, si trascuri la dinamica degli stati veloci, ponendo {ẋ v } r = {}, dove r = indica approssimazione per residualizzazione della dinamica veloce. L equazione degli stati veloci diventa quindi algebrica: {} r = [A vl ]{x l }+[A vv ]{x v }+[B v ]{u}. (14.89) Da quest ultima è immediato ricavare il valore degli stati veloci, {x v } r = [A vv ] 1 [A vl ]{x l } [A vv ] 1 [B v ]{u}, (14.9) che, sostituiti nell equazione degli stati lenti e in quella dell uscita, danno ( ) ( ) {ẋ l } = r [A ll ] [A lv ][A vv ] 1 [A vl ] {x l }+ [B l ] [A lv ][A vv ] 1 [B v ] {u} } {{ } } {{ } [A r ] ( ) {y} = r [C l ] [C v ][A vv ] 1 [A vl ] } {{ } [C r ] ( {x l }+ [B r ] ) [C v ][A vv ] 1 [B v ] {u}. } {{ } [D r ] (14.91a) (14.91b) Come si può notare, da un sistema strettamente proprio, mediante residualizzazione degli stati veloci se ne è ottenuto uno proprio, in cui compare il termine di trasmissione diretta [D r ] relativo agli stati residualizzati. Esistono numerosi criteri e tecniche, dal punto di vista matematico, che consentono di operare la scelta di quali stati eliminare. Esse si basano in genere su considerazioni di ottimalità della base ridotta che si ottiene. Tra queste vale la pena di citare la selezione in base alla frequenza dei modi propri, l uso di spazi di Krylov con controllo sull errore residuo, l uso del troncamento bilanciato [6]. Esempio: residualizzazione della dinamica veloce di un sistema libero in coordinate modali Si consideri l esempio delle due masse non vincolate e collegate da una molla, discusso nel paragrafo Utilizzando la forma canonica di controllabilità, si ottiene {u} = f [A] = [B] = [C] = 2k/m 1 1 1/(2m) 1/(2m) [ (14.92a) (14.92b) (14.92c) ]. (14.92d) Sono state usate le matrici ottenute mediante l approccio modale. Questo consente di utilizzare agevolmente le frequenze caratteristiche per partizionare gli stati in lenti e veloci. Nel caso in esame, si considerano lenti gli stati associati al moto libero del sistema, che ha frequenza nulla, mentre quelli associati al moto relativo tra le due masse, che ha frequenza ω = 2k/m, sono considerati veloci. Si ottiene: [ ] [ ] [A ll ] = [A 1 lv ] = (14.93a) [ ] [ ] 2k/m [A vl ] = [A vv ] = (14.93b) 1 [ ] [ ] 1/(2m) 1/(2m) [B l ] = [B v ] = (14.93c) [C l ] = [ 1 1 ] [C v ] = [ 1 1 ]. (14.93d) 14-18

247 Il sistema residualizzato diventa [ ] [A r ] = (14.94a) 1 [ ] [B r 1/(2m) ] = (14.94b) [ ] [C r 1 ] = (14.94c) 1 [ ] [D r 1/(4k) ] =. (14.94d) 1/(4k) Si noti come la dinamica non dipenda in alcun modo dalla molla k (infatti [A vl ] e [A lv ] sono nulle). Il suo effetto sul moto delle due masse è puramente statico, attraverso il termine di trasmissione diretta [D r ]. Esempio: residualizzazione della dinamica veloce di un sistema libero in coordinate fisiche Si consideri un sistema topologicamente analogo al precedente, ma costituito da due masse diverse, con m 2 m 1. Si considerino direttamente le posizioni delle due masse quali coordinate libere. Si consideri, come uscita, l azione interna nella molla, definita come N = k(z 1 z 2 ). Utilizzando la forma canonica di controllabilità, si ottiene {u} = f [A] = [B] = k/m 1 k/m 1 k/m 2 k/m /m 1 [C] = [ k k ]. (14.95a) (14.95b) (14.95c) (14.95d) L uso delle coordinate fisiche rende difficile decidere quali stati possano essere considerati veloci, quindi residualizzabili staticamente, e quali debbano invece essere considerati lenti, di cui è necessario preservare la dinamica. In questo caso specifico, intuitivamente occorre preservare la dinamica degli stati a cui è associata la massa più grande, ovvero la seconda. Si ottiene: [ ] [ ] k/m2 k/m2 [A ll ] = [A 1 lv ] = (14.96a) [ ] [ ] k/m1 k/m1 [A vl ] = [A vv ] = (14.96b) [B l ] = ] [ [B v ] = 1 ] [ 1/m1 (14.96c) [C l ] = [ k ] [C v ] = [ k ]. (14.96d) Il sistema residualizzato diventa [ ] [A r ] = 1 [ ] [B r 1/m2 ] = [C r ] = [ ] [D r ] = [ 1 ]. (14.97a) (14.97b) (14.97c) (14.97d) 14-19

248 Si noti come la dinamica non dipenda in alcun modo dalla molla k, ma soltanto dalla massa m 2 che, per ipotesi, è grossolanamente equivalente alla massa totale. Questo modello è tanto più sbagliato quanto più è violata l ipotesi m 2 m 1. Inoltre c è una trasmissione diretta tra l ingresso f e l azione interna nell asta, pari esattamente a 1. La misura dell azione interna non dipende quindi dalla dinamica, ed è pari alla forza stessa. Una immediata conseguenza di questa approssimazione è che il movimento complessivo del sistema risulta errato. Infatti, il sistema dovrebbe muoversi di moto uniformememte accelerato con accelerazione a = f/(m 1 +m 2 ), mentre l accelerazionedovuta all approssimazioneèa r = f/m 2. Inoltre, l azione interna dovrebbe essere N = fm 2 /(m 1 +m 2 ), ma l approssimazione restituisce N r = f. Si consideri ora lo stesso problema, ovvero con m 2 m 1, in coordinate modali. Le frequenze caratteristiche e i rispettivi modi propri sono { } ω1 2 1 = {X} 1 = (14.98a) ω 2 2 = k m 1 +m 2 m 1 m 2 {X} 2 = 1 { m2 /m 1 1 } (14.98b) Le matrici diventano [A] = 1 [B] = m 1 +m 2 [C] = k(m 1 +m 2 )/(m 1 m 2 ) [ 1 m2 /m ] (14.99a) (14.99b) (14.99c) A seguito del partizionamento in stati lenti e veloci, e della residualizzazione statica di questi ultimi, si ottiene [ ] [A r ] = (14.1a) 1 [ ] [B r 1 1 ] = (14.1b) m 1 +m 2 [ ] [C r 1 ] = (14.1c) 1 [ ] [D r 1 1 ] = k(1+m 1 /m 2 ) 2. (14.1d) m 1 /m 2 La forza nella molla è data da 1 F = k(x 2 x 1 ) = (14.11) 1+m 1 /m 2 ovvero differisce da quella applicata per la parte equilibrata dalla massa m 1 sotto forma di forza d inerzia. Esempio: residualizzazione della dinamica veloce di un motore elettrico in CC Si consideri il modello di motore elettrico in corrente continua che trascina una coppia resistente dipendente dalla velocità angolare descritta nel paragrafo

249 Dopo aver linearizzato il problema attorno alla condizione di regime ω = θ, i = i in funzione della tensione di alimentazione e a imposta, si ottiene l equazione differenziale lineare { d ω dt i } [ ]{ 2rω /J K/J ω = K/L a R a /L a i } { + }. (14.12) e a /L a Si supponga che l uscita sia y = ω. In genere, la dinamica della parte elettrica del sistema è più veloce di quella della parte meccanica. Se questa ipotesi è fondata, allora si può considerare lento lo stato associato alla parte meccanica, ω, e veloce quello associato alla parte elettrica, i. Questo consiste nel porre di/dt r =. Dalla seconda riga della (14.12) si ottiene i r = K R a ω + 1 R a e a (14.13) che, sostituito nella prima riga della (14.12), dà ( ) ω = r 2rω + K2 ω + K e a. (14.14) J JR a JR a Al medesimo risultato si giunge considerando [A ll ] = 2rω J [A lv ] = K J [A vl ] = K L a [A vv ] = R a L a (14.15a) (14.15b) [B l ] = [B v ] = 1 L a (14.15c) [C l ] = 1 [C v ] =, (14.15d) per cui il sistema residualizzato diventa ( ) [A r 2rω ] = + K2 J JR a (14.16a) [B r ] = K JR a (14.16b) [C r ] = 1 (14.16c) [D r ] =. Gli autovalori della matrice del problema (14.12) sono (14.16d) ( rω λ = J + R ) (rω a ± 2L a J R ) 2 a K2. (14.17) 2L a JL a Se R a /L a rω /J (dinamica della parte elettrica molto più veloce di quella della parte meccanica), diventano ( ) λ = 2rω J + K2. (14.18) JR a Il secondo è pari al coefficiente caratteristico che si ottiene con la residualizzazione, dato dalla (14.16a)

250 Accelerazione dei modi Con il nome di accelerazione dei modi (o, a volte, modi di accelerazione ), si intende la soluzione di un problema statico dettagliato per il quale le sollecitazioni dinamiche siano ottenute dall analisi di un modello approssimato. Come illustrato nel seguito, questo corrisponde ad una residualizzazione statica della dinamica degli stati ritenuti veloci rispetto alla banda passante del forzamento. Si consideri un generico problema a più gradi di libertà [M]{ẍ}+[K]{x} = {f} (14.19) caratterizzato da scale delle dinamiche proprie molto diverse tra loro, tali per cui, in presenza di forzamento {f} con banda relativamente limitata rispetto alle dinamiche più veloci del sistema, sia lecita una residualizzazione statica di queste ultime. Anche se non è strettamente necessario, tale residualizzazione, specialmente a fini illustrativi, può risultare molto efficace se si descrivono i gradi di libertà {x} su base modale, ovvero {x} = [ψ]{q}. Si suddividano i modi in lenti, [ψ l ], e veloci, [ψ v ], con [ψ] = [[ψ l ][ψ v ]]. Usando l approccio modale il problema diventa [ [diag(mil )] [] [] [diag(m iv )] ]{ { ql } { q v } } [ [diag(kil )] [] + [] [diag(k iv )] ]{ {ql } {q v } } { = [ψ l ] T {f} [ψ v ] T {f} e, a seguito della residualizzazione statica della dinamica dei modi veloci, ovvero posto { q v } = r {}, [ ]{ } [ ]{ } { } [diag(mil )] [] { ql } [diag(kil )] [] {ql } r [ψ + = l ] T {f} [] [] { q v } [] [diag(k iv )] {q v } [ψ v ] T. {f} } (14.11) (14.111) Questa approssimazione è accettabile nel momento in cui le frequenze caratteristiche degli stati veloci, ω iv = k iv /m iv, sono molto più grandi dell estremo superiore della banda di frequenze che caratterizza la forzante {f}. A questo punto la soluzione è {x} = [ψ l ]{q l }+[ψ v ]{q v } = [ψ l ]{q l }+[ψ v ][diag(k iv )] 1 [ψ v ] T {f}, (14.112) ove {q l } risulta dall integrazione della dinamica dei gradi di libertà lenti, mentre i gradi di libertà veloci sono risolti direttamente in quanto associati alle equazioni algebriche che costituiscono il secondo blocco della (14.111). Questo approccio richiede un cambiamento completo di base, e quindi la conoscenza di [ψ l ] e [ψ v ], il cui calcolo, per problemi con un elevato numero di gradi di libertà, può essere molto oneroso. Siccome il calcolo di un sottoinsieme dei modi propri di vibrare può essere relativamente più efficiente 7, sarebbe utile poter ottenere lo stesso risultato della (14.112) avendo a disposizione soltanto i modi lenti, ovvero [ψ l ]. Si consideri ora il problema dato dalla (14.19) in cui le forze d inerzia, in linea con l approssimazione data dalla residualizzazione statica della dinamica degli stati veloci, siano espresse in funzione dei soli stati lenti, quindi {f in } = [M][ψ l ]{ q l }, a dare da cui [K]{x} = {f} [M][ψ l ]{ q l }, (14.113) {x} = [K] 1 ({f} [M][ψ l ]{ q l }). (14.114) Siccome la matrice di rigidezza modale si può esprimere come [diag(k i )] = [ψ] T [K][ψ], (14.115) 7 Ad esempio utilizzando metodi iterativi per il calcolo degli autovalori quali il metodo delle potenze a blocchi o il metodo di Lanczos

251 k 1 m 1 k 2 m 2 f 2 x 1 x 2 Figura 14.1: Esempio di applicazione dell accelerazione dei modi. l inversa della matrice di rigidezza è [K] 1 = [ψ][diag(k i )] 1 [ψ] T = [ψ l ][diag(k il )] 1 [ψ l ] T +[ψ v ][diag(k iv )] 1 [ψ v ] T. (14.116) La (14.114) diventa quindi {x} = [ψ][diag(k i )] 1 [ψ] T ({f} [M][ψ l ]{ q l }) = [ψ l ][diag(k il )] 1 [ψ l ] T ({f} [M][ψ l ]{ q l }) +[ψ v ][diag(k iv )] 1 [ψ v ] T ({f} [M][ψ l ]{ q l }); (14.117) ma, per l ortogonalità dei modi propri rispetto alla matrice di massa, nell ultimo termine a destra dell espressione precedente si ha [ψ v ] T [M][ψ l ] = [], quindi la (14.114) può essere scritta come {x} = [ψ l ][diag(k il )] 1( ) [ψ l ] T {f} [diag(m il )]{ q l } +[ψ v ][diag(k iv )] 1 [ψ v ] T {f}. (14.118) A partire dal primo blocco della (14.111), si può scrivere [ψ l ] T {f} [diag(m il )]{ q l } = [diag(k il )]{q l }, (14.119) che, sostituito nella (14.118), dà di nuovo la (14.112). Quindi la soluzione del problema (14.19) mediante residualizzazione statica della dinamica degli stati veloci corrisponde ad integrare prima le equazioni del moto degli stati lenti, data dal primo blocco della (14.111), e quindi risolvere il problema statico dato dalla (14.113) in cui le forze d inerzia sono portate a secondo membro e scritte in funzione dei soli stati lenti, come illustrato dalla (14.114). Questa procedura richiede la semplice fattorizzazione della matrice di rigidezza 8, in aggiunta al calcolo dei soli autovettori [ψ l ], o di una opportuna base di spostamenti da considerarsi lenti, anziché il calcolo di tutti gli autovettori. Si noti infine che la dimostrazione riportata sopra si avvale dell ortogonalità degli autovettori rispetto alle matrici di massa e di rigidezza; tuttavia, l approssimazione del problema mediante accelerazione dei modi rimane valida qualunque sia la base scelta, come dimostrato nell esercizio Esercizio 14.9 Scelto un sottospazio arbitrario [H l ] delle coordinate {x}, che non soddisfa il criterio di ortogonalità rispetto alle matrici di massa e di rigidezza, lo si utilizzi come base di coordinate generalizzate lente applicando l approssimazione dell accelerazione dei modi. Dato il complemento [H v ] di [H l ], tale per cui [H] = [[H l ][H v ]] rappresenta una base completa, si scriva l equazione del moto nelle nuove coordinate, si residualizzino staticamente quelle veloci e si ricavi la soluzione {x} in funzione delle coordinate lente {q l } e della residualizzazione di quelle veloci, {q v }. Si verifichi che la soluzione per accelerazione dei modi è coincidente. Si consideri per esempio il sistema illustrato in figura 14.1, costituito da una massa m 1 collegata al telaio da una molla k 1, e da una seconda massa m 2, confrontabile con m 1, connessa alla prima da una molla k 2 molto più rigida dell altra, k 2 k 1. Le equazioni del moto sono [ m1 m 2 ]{ ẍ1 ẍ 2 } + [ k1 +k 2 k 2 k 2 k 2 ]{ x1 x 2 } = { f1 f 2 }. (14.12) 8 A condizione che la matrice [K] non sia singolare; se lo fosse, questo significa che tra i gradi di libertà sono presenti movimenti rigidi. Quindi occorre rendere il problema staticamente determinato, imponendo opportune condizioni di vincolo che rimuovano i movimenti rigidi senza alterare la soluzione statica in termini di azioni interne

252 A partire dall equazione omogenea associata alle equazioni del moto, si possono calcolare i modi propri di vibrare del problema, ω1 2 2 = 1 ( k2 + k ) ( 1 +k 2 1 k2 + k ) 2 1 +k 2 4 k 1 k 2. (14.121) 2 m 2 m 1 2 m 2 m 1 m 1 m 2 Il sistema sia soggetto ad una forzante armonica di frequenza Ω confrontabile con quella del primo modo, applicata alla seconda massa; siccome k 2 k 1, la frequenza del primo modo è circa ω 1 = k1 /(m 1 +m 2 ). A questo punto si può considerare veloce la coordinata associata al secondo modo di vibrare. Ne consegue che l equazione del modo lento dà come risultato q l (jω) = 2 X I1 ω 2 1 Ω2f 2, (14.122) ove 2 X I1 è l elemento del primo modo associato allo spostamento della massa m 2, avendo assunto per i modi propri la normalizzazione a massa unitaria. La soluzione diventa quindi ( ) {x(jω)} = r {X I1 } 2 X I1 ω1 2 +{X I2} 2 X I2 Ω2 ω2 2 f 2. (14.123) Questa soluzione mette in luce come il primo modo risponda dinamicamente, mentre il secondo risponde staticamente, in quanto il termine esatto 1/(ω2 2 Ω 2 ) è sostituito da 1/ω2, 2 nell ipotesi che ω2 2 Ω 2. Se si considerano, per esempio, m 1 = m 2 = 1 kg, k 1 = (2π) 2 N/m, k 2 = 1k 1 N/m, si ha ω 1 = 4.44 radian/s e ω 2 = radian/s, con {X I1 } = {.7534;.7887} e {X I2 } = {.7887;.734}, f 2 = 1 N e Ω = 5 radian/s. Si ottiene e quindi {x(jω)} = {x(j5)} = ({ } ({ { e Ω e 5 } { e e 5 }) = }) { (14.124) }. (14.125) Si noti che il contributo alla soluzione dato dal modo veloce è di alcuni ordini di grandezza inferiore in modulo a quello dato dal modo lento. Tuttavia, l azione interna nella molla k 2, data da N = k 2 (x 2 x 1 ), calcolata con il solo modo lento è pari a N l = k 2 [ 1 1]{X I1 }q l, e quindi N l =.35355k 2 q l = e 4k 2 N, mentre il contributo del modo veloce è N v r = k2 [ 1 1]{X I2 }q v = 1.262e 4k 2 N. Di conseguenza, la somma dei due contributi dà N = N l +N v r = e 4k2 N. Come confronto, la soluzione esatta è N = e 4k 2 N. Si può quindi notare come la residualizzazione statica della dinamica degli stati veloci possa portare ad una soluzione molto più accurata rispetto alla loro semplice eliminazione. Le figure 14.2 e 14.3 mostrano lo spostamento delle masse 1 e 2, rispettivamente, per effetto della forza applicata alla massa 2. La soluzione esatta, ottenuta dal calcolo della risposta in frequenza di un sistema a due gradi di libertà, è confrontata con la soluzione di: un modello semplificato, corrispondente a considerare solo la risposta del modo a frequenza più bassa (indicata come modo #1 nella legenda), quindi {x} = {X l }q l, con q l dato dalla (14.122); un modello semplificato consistente nella residualizzazione statica del modo più veloce (indicata come acc. modi, modale nella legenda), secondo la (14.123); un modello semplificato ottenuto definendo due forme di spostamento generalizzate {X 1 } = {1;1}, corrispondente ad uno spostamento in cui la molla 2 non si deforma, e {X 2 } = {;1}, corrispondente ad uno spostamento in cui la molla 1 non si deforma (indicata come acc. modi, arbitraria nella legenda); il modo in cui la molla 2 non si deforma è considerato lento (vi corrisponde un 14-24

253 ampiezza, m/n 1e+1 1e+ 1e-1 1e-2 1e-3 massa 1 1e-4 1e-5 esatto modo #1 1e-6 acc. modi, modale acc. modi, arbitrario 1e fase, deg frequenza, radian/s Figura 14.2: Diagramma di Bode della funzione di trasferimento tra la forza applicata alla massa 2 e lo spostamento della massa

254 ampiezza, m/n 1e+1 1e+ 1e-1 1e-2 1e-3 massa 2 1e-4 1e-5 esatto modo #1 1e-6 acc. modi, modale acc. modi, arbitrario 1e fase, deg frequenza, radian/s Figura 14.3: Diagramma di Bode della funzione di trasferimento tra la forza applicata alla massa 2 e lo spostamento della massa

255 ampiezza, N/N 1e+3 1e+2 1e+1 1e+ 1e-1 azione interna molla 2 1e-2 1e-3 esatto modo #1 1e-4 acc. modi, modale acc. modi, arbitrario 1e fase, deg frequenza, radian/s Figura 14.4: Diagramma di Bode della funzione di trasferimento tra la forza applicata alla massa 2 e l azione interna nella molla 2. valore ({X 1 } T [K]{X 1 })/({X 1 } T [M]{X 1 }) = 4.44 radian/s), mentre l altro è considerato veloce ( ({X 2 } T [K]{X 2 })/({X 2 } T [M]{X 2 }) = radian/s); si noti però che le matrici di massa e di rigidezza corrispondenti alle nuove variabili non sono diagonali, in quanto la trasformazione non corrisponde ai modi propri. Si può notare come tutti i modelli diano risultati sostanzialmente equivalenti per frequenze inferiori a quella del primo modo di vibrare, mentre il loro comportamento si differenzia tra loro e da quello esatto man mano che la frequenza si avvicina a quella del secondo modo di vibrare. Questo è consistente con l osservazione che in prossimità di un modo di vibrare la risposta è dominata dal contributo alla soluzione dato dal modo stesso, e tutti i modelli descrivono accuratamente il primo modo di vibrare. La figura 14.4, invece, mostra l azione interna nella molla 2, mettendo in evidenza come un modello ottenuto per troncamento del modello esatto, quello indicato come modo #1, non sia in grado di ottenere il comportamento statico corretto, mentre vi riescono perfettamente entrambi i modelli ottenuti mediante residualizzazione statica della dinamica degli stati veloci. Quindi la residualizzazione può non portare miglioramenti significativi alla qualità del movimento del sistema, qualora esso sia sostanzialmente descritto dalla dinamica a bassa frequenza. Tuttavia può portare significativi miglioramenti alla qualità delle azioni interne, qualora la dinamica a bassa frequenza non sia in grado di descriverle accuratamente. Questo esempio mostra anche come la base degli stati lenti non debba essere necessariamente costituita da soli modi propri di vibrare. In pratica conviene spesso utilizzare alcuni modi propri per descrivere il grosso del movimento libero, in quanto rappresentano una base molto efficiente per la sua descrizione alle 14-27

256 frequenze nella banda che caratterizza la forzante, arricchendo però la base con altre forme, linearmente indipendenti dai modi scelti, che contribuiscano ad incrementare l efficacia della base ridotta nel descrivere le caratteristiche del problema che sono di interesse per l analisi. La discussione di questi aspetti travalica tuttavia i limiti del corso

257 Capitolo 15 Sistemi immersi in campi di forza Generato il 1 settembre Sistemi ad un grado di libertà Freno a disco Siconsideriunfrenoadiscocomequelloillustratoinfigura15.1esisuppongachelarigidezzaelosmorzamento del vincolo della pinza in direzione verticale siano k s ed r s, e m p sia la sua massa. Esercitando Figura 15.1: Freno a disco. una forza N sulla pinza, nascerà una forza frenante su ogni lato del disco disco, la cui somma è pari a F = 2Nf (15.1) diretta in verso opposto alla velocità periferica relativa del disco, mentre la pinza del freno sarà sottoposta a una forza uguale e opposta. Ricordiamo che il coefficiente di attrito f varia in funzione della velocità relativatraiduecorpichestriscianoconunaleggechehal andamentodifigura7.3,riportataapagina7-4. Scrivendo l equilibrio alla traslazione in direzione verticale (approssimabile alla direzione della velocità periferica V r del disco nella zona di contatto tra questo e le pastiglie) otteniamo m p ẍ r s ẋ k s x+2nf (V r ) = (15.2) 15-1

258 dove il coefficiente di attrito f(ẋ) = f(v r (ẋ)), nelle zone in cui è ragionevolmente regolare, è localmente approssimabile con il suo sviluppo in serie di Taylor arrestato al prim ordine, f (ẋ) = f(v r (ẋ ))+ df (ẋ ẋ ẋ=ẋ ) = f(v r )+ df dv r dẋ dv r Vr=V r dẋ ẋ= ẋ = f(v r ) df dv r ẋ, (15.3) Vr=V r in quanto V r = V ẋ, e la condizione di linearizzazione si riferisce a ẋ =, per cui V r (ẋ ) = V r = V e dv r /dẋ = 1. Quindi, sostituendo la (15.3) nella (15.2), si ottiene ( m p ẍ r s ẋ k s x+2n f (V r ) df ) dv r ẋ. (15.4) Vr=V r L equazione (15.4) diventa ( m p ẍ+ r s +2N df dv r Vr=V r ) ẋ+kx = 2Nf (V r ) (15.5) Esistono regioni, nel diagramma di figura 7.3, in cui, per V r che tende a zero, la pendenza della curva del coefficiente di attrito dinamico è negativa, per cui, in tali regioni, sarà sempre possibile trovare valori della forza N per la quale il coefficiente di smorzamento complessivo r = r s +2N df dv r < ; (15.6) Vr=V r in tali casi rischiano di innescarsi oscillazioni autoeccitate. Il fenomeno è fortemente non-lineare, in quanto non appena la velocità relativa si allontana dal tratto di curva a pendenza fortemente negativa lo smorzamento torna ad essere dissipativo Campo di forze aerodinamico Analogamente, un sistema vibrante ad un grado di libertà investito da una vena fluida può dare origine a forme di instabilità. Supponiamo ora un generico corpo in moto verticale 1 con relativa traslazione x rispetto alla sua posizione di equilibrio. Figura 15.2: Composizione delle velocità di vento V e corpo ẋ. L ala verrà investita da una velocità relativa V r, la cui composizione è illustrata in figura 15.2, di modulo V r = V 2 +ẋ 2 (15.7) 1 In aeroelasticità spesso per indicare lo spostamento di un profilo alare in direzione perpendicolare alla direzione del vento asintotico si usa il simbolo h, che deriva da heave, il nome con cui in inglese si indica tale movimento, detto anche plunge. 15-2

259 Figura 15.3: Decomposizione della forza aerodinamica. con anomalia ( ) ẋ ˆα = tan 1 V (15.8) rispetto alla direzione della vena indisturbata V. L anomalia rappresenta un vero e proprio angolo di incidenza cinematico, dovuto alla composizione della velocità assoluta del corpo con la velocità del vento asintotico. Sul profilo alare, quindi, si genera una forza aerodinamica F che è opportuno decomporre in portanza (L come lift, perpendicolare al vento relativo V r ) e di resistenza (D come drag, diretta come il vento relativo V r ) che nel caso di ala ferma saranno dirette come nella parte sinistra di figura 15.3 e varranno rispettivamente 2 : L = 1 2 ρv 2 SC L (α) (15.1) D = 1 2 ρv 2 SC D (α) (15.11) dove ρ è la densità del fluido, mentre S è la superficie di riferimento rispetto alla quale sono stati calcolati i coefficienti adimensionali C L e C D, dei quali è stata messa in evidenza la dipendenza 3 dall angolo di incidenza α. Nel caso di profilo in traslazione con velocità ẋ, le forze di resistenza e portanza agiscono come nella parte destra di figura 15.3 e valgono rispettivamente: L = 1 2 ρv 2 r SC L (α ˆα) (15.12) D = 1 2 ρv 2 r SC D (α ˆα), (15.13) in quanto l angolo di incidenza effettivo è dato dalla somma, con segno, dell angolo α, dovuto al calettamento del profilo, e dell angolo ˆα, dovuto alla velocità di traslazione ẋ, che va sottratto al precedente. 2 Spesso si dice che la forza aerodinamica F è F = 1 2 ρv 2 SC F. (15.9) In realtà la forza aerodinamica F è data dall integrale degli sforzi esercitati dal fluido sul contorno del corpo immerso nel fluido stesso. L espressione sopra riportata nasce dal fatto che, in base al teorema π di Buckingham, è possibile mettere in evidenza la dipendenza della forza F da tre parametri dimensionali (nel caso specifico la densità ρ, la velocità V e la lunghezza attraverso cui si esprime la superficie S), in modo da esprimerla in forma adimensionale attraverso un coefficiente C F che dipenda solo da altri parametri adimensionali, come l angolo di incidenza, il numero di Mach, di Reynolds, ed altri (si veda anche la nota 3). 3 I coefficienti possono dipendere anche da altri parametri adimensionali caratteristici; fra questi, vale sicuramente la pena di menzionare i numeri di Reynolds e di Mach, che esprimono gli effetti legati alla viscosità e alla comprimibilità del fluido. In genere, però, queste dipendenze non influenzano direttamente i fenomeni dinamici di interesse, perché nel corso di questi fenomeni il loro valore varia di poco, o addirittura rimane costante. 15-3

260 Spesso, in aeroelasticità, la velocità di riferimento e la densità vengono riassunte nella pressione dinamica di riferimento q = 1 2 ρv 2 r (15.14) Questo consente di studiare agevolmente i fenomeni dinamici a parità di numero di Mach, che dipende dalla velocità V r ma anche dalla quota, a cui è associata la densità ρ e quindi la celerità del suono. Superficie aerodinamica di automobile da corsa Venendo a un esempio pratico, uno dei profili alari usati nel recente passato nello sport automobilistico 4 era il NACA 9, che veniva montato posteriormente, collegato direttamente ai portamozzi delle ruote motrici tramite due bracci verticali. L angolo d incidenza statico α comunemente usato era di circa 14 o così da farlo lavorare in prossimità del minimo (massimo negativo) del coefficiente di portanza C L e ottenere la massima deportanza possibile (circa 1.2) indipendentemente dalla velocità di avanzamento V della vettura. Il corrispondente C D legato alla resistenza passiva della sola ala era circa.12 per quell angolo di attacco. A una certa velocità V, costante, trascurando l effetto degli spoiler anteriori, la sospensione posteriore sarà compressa rispetto alla posizione indeformata per effetto non solo della quota parte del peso della vettura che su di essa si scarica, ma anche per effetto della deportanza e della resistenza agenti sull ala posteriore. L equilibrio alla rotazione della vettura rispetto all asse anteriore, nell ipotesi che il baricentro sia a metà tra gli assi, dà N R l = W l +Dh Ll, (15.15) 2 dove N R è la forza che agisce sulla sospensione, W è il peso, L la forza deportante, D la resistenza, l la distanza tra gli assi e h l altezza dell alettone rispetto al suolo. Da questa relazione si ricava uno schiacciamento statico della sospensione posteriore 5 x = N R k s (15.16) dove k s indica la rigidezza della sospensione posteriore (per semplicità supponiamo i montanti dell ala rigidi). 4 Si noti che il profilo NACA 9 è simmetrico; siccome le superfici aerodinamiche delle automobili da corsa devono essenzialmente fornire deportanza, in applicazioni moderne si usano soprattutto ali a profilo non simmetrico, spesso a profili multipli, montate con la concavità verso l alto, e fornite di vari dispositivi (spesso fissi e dettati più da considerazioni regolamentari che da effettive ragioni ingegneristiche di efficacia ed efficienza) volti ad aumentare il coefficiente di portanza massimo (negativo). 5 A seguito di uno schiacciamento della sola sospensione posteriore è lecito domandarsi se la vettura subisca anche un movimento di beccheggio, che a rigore modificherebbe l angolo di calettamento del profilo alare. Non c è contraddizione tra il trascurarne l effetto sull angolo di calettamento e il considerarne l effetto dovuto alla velocità di traslazione del profilo alare in direzione verticale perché una elevata rigidezza della sospensione può dare luogo a significative velocità verticali con trascurabili rotazioni di beccheggio. Figura 15.4: Auto da corsa. 15-4

261 Figura 15.5: Caratteristiche del profilo alare NACA

262 Consideriamo, ora, il moto traslatorio lungo la verticale della sala posteriore completa di ala, su cui agisce, trascurando l effetto della coppia aerodinamica, la forza aerodinamica per effetto della velocità V r, dovuta sia alla velocità V di avanzamento, sia alla velocità ẋ di vibrazione. Scrivendo l equazione di equilibrio alla traslazione verticale della sola sospensione posteriore, ala compresa, avremo, con ovvio significato dei simboli non definiti: m s ẍ r s ẋ k s x 1 2 ρv 2 r SC D (α ˆα)sin ˆα+ 1 2 ρv 2 r SC L (α ˆα)cos ˆα = (15.17) Le componenti delle forze di resistenza e portanza possono essere linearizzate; dal momento che è ragionevole ritenere ẋ piccolo rispetto alla velocità di avanzamento V, la (15.7) diventa V r = V (15.18) e conseguentemente sin ˆα = ˆα = ẋ (15.19) V cos ˆα = 1 (15.2) per cui la (15.17) diventa m s ẍ r s ẋ k s x 1 2 ρvsc D( ˆα+α)ẋ+ 1 2 ρv 2 SC L ( ˆα+α) = (15.21) A loro volta, i coefficienti di portanza e resistenza possono essere linearizzati secondo Taylor nell intorno della posizione statica di α = α = 12 o, ovvero: C L (α ˆα) = C L (α) dc L(α) ˆα = C L (α ) dc L(α) ẋ (15.22) dα dα V α=α α=α C D (α ˆα) = C D (α) dc D(α) ˆα ẋ = CD (α dα ) (15.23) V α=α tenendo anche in conto del piccolo valore numerico della derivata del coefficiente di resistenza rispetto all angolo d incidenza, dc D /dα =. Sostituendo le (15.22, 15.23) nella (15.21) si ha: ( ) m s ẍ r s ẋ k s x+ 1 2 ρv 2 SC L (α ) 1 2 ρvs dcl (α) +C D (α ) ẋ = (15.24) dα α=α ovvero ( ( )) m s ẍ+ r s ρvs dcl (α) +C D (α ) ẋ+k s x = 1 dα 2 ρv 2 SC L (α ) (15.25) α=α Per il profilo scelto, in prossimità dell angolo di incidenza di riferimento considerato la pendenza della curva statica 6 del coefficiente di portanza, come riportato in figura 15.5, è negativa e molto maggiore del coefficiente di resistenza, per cui il contributo di origine aerodinamica allo smorzamento del sistema è instabilizzante, ed esisterà sempre una velocità V di avanzamento della vettura al di sopra della quale la soluzione di equilibrio statico x nel cui intorno il problema è stato linearizzato diventa instabile. 6 Si noti che la curva riportata in figura 15.5 si riferisce a misure statiche di coefficienti di forza (e momento) che, per gli angoli di incidenza di interesse per questo problema, includono condizioni di stallo. In tali condizioni, il valore dei coefficienti in genere dipende non solo dall angolo di incidenza, ma anche dalla sua storia temporale; ovvero, le curve presentano una isteresi tanto più marcata quanto più sono rapide le variazioni di angolo di incidenza. Per questo motivo, a rigore, l analisi svolta in questo paragrafo è valida solo per fenomeni sufficientemente lenti da poter essere considerati stazionari dal punto di vista dell aerodinamica. Per ulteriori chiarimenti sul concetto di approssimazione stazionaria si veda la nota

263 Infatti se, per un dato α dc L (α) +C D (α ) < (15.26) dα α=α allora esiste un valore di V per cui ( ) r eq = r s ρvs dcl (α) +C D (α ) < (15.27) dα α=α ovvero Di conseguenza, le radici del polinomio caratteristico dell equazione m s ẍ+r eq ẋ+k s x = (15.28) λ 1 2 = r eq 2m s ± ( req 2m s ) 2 k s m s (15.29) se, come probabile, hanno discriminante negativo, e quindi sono complesse coniugate, hanno sicuramente parte reale positiva; se viceversa hanno discriminante positivo e quindi sono reali e distinte, almeno una radice è sicuramente maggiore di zero. Siccome l origine dell instabilità è legata ad una nonlinearità del legame tra il coefficiente aerodinamico e l angolo di incidenza, per effetto di un fenomeno complesso come lo stallo, non è possibile ricavare da queste considerazioni alcuna informazione sulla stabilità del problema nel suo insieme, se non l instabilità della soluzione di equilibrio statico. A volte, condizioni di instabilità di questo tipo, dovute ad effetti non lineari che insorgono in problemi altrimenti lineari e stabili, risultano in una evoluzione della soluzione da equilibrio statico ad un ciclo limite, ovvero ad una soluzione di equilibrio dinamico periodico, con un ampiezza limitata ma finita. Un fenomeno di questo tipo è il cosiddetto flutter da stallo Sistemi vibranti a 2 gdl perturbati nell intorno della posizione di equilibrio Estendiamo ai sistemi a 2 gdl quanto già visto per i sistemi a un solo grado di libertà, andando a valutare la stabilità delle soluzioni di equilibrio statico di sistemi di questo tipo. Le equazioni di equilibrio dinamico per il sistema di figura 15.6 sono mẍ+r x ẋ+k x x = F x (x,y,ẋ,ẏ) mÿ +r y ẏ +k y y = F y (x,y,ẋ,ẏ) (15.3a) (15.3b) dove i termini F x e F y dovuti al campo di forze sono funzioni non lineari di x e y e delle loro derivate rispetto al tempo. In linea di principio tali forze possono dipendere da derivate di ordine arbitrario delle coordinate libere (ad esempio, in figura 15.3, fino al secondo ordine). Senza ledere la generalità, nel seguito si considera la dipendenza soltanto fino al primo ordine. Il sistema di equazioni (15.3) può essere riscritto in forma matriciale come [M]{ z}+[r]{ż}+[k]{z} = {F ({z},{ż})} (15.31) 15-7

264 Figura 15.6: Sistema a 2 gdl immerso in un campo di forze. con { } x {z} = y { Fx (x,y,ẋ,ẏ) {F ({z},{ż})} = F y (x,y,ẋ,ẏ) [ ] m [M] = m [ ] rx [R] = r y [ ] kx [K] = k y } (15.32) (15.33) (15.34) (15.35) (15.36) Del sistema potremo calcolare una 7 posizione di equilibrio statico, se esiste, definita da [K]{z } = {F ({z },{})} (15.37) ovvero con {z} = {z } e {ż} = {}, e quindi, nell intorno di tale soluzione, linearizzare il campo di forze [ ] [ ] {F ({z},{ż})} {F} {F} = {F ({z },{})}+ ({z} {z })+ {ż} (15.38) {z} {z },{} {ż} {z },{} ma [ ] {F} = {z} {z },{} [ ] {F} = {ż} {z },{} F x x F y x F x ẋ F y ẋ F x y F y y F x ẏ F y ẏ {z },{} {z },{} = [K F ] (15.39a) = [R F ] (15.39b) Indicando con il vettore {z} gli spostamenti a partire dalla posizione di equilibrio statico {z} = {z }+{z} (15.4) il sistema di equazioni differenziali di partenza può essere riscritto come [M] { z } +([R]+[R F ]) { ż } +([K]+[K F ]){z} = {} (15.41) 7 Dato che le equazioni non sono lineari, possono esistere più soluzioni di equilibrio statico, o nessuna. 15-8

265 ovvero, con ovvio significato dei simboli, [M] { z } +[R T ] { ż } +[K T ]{z} = {} (15.42) Si ottiene un sistema di equazioni differenziali lineari omogenee a coefficienti costanti la cui soluzione è del tipo {z(t)} = { Z } e λt (15.43) dove λ sono le radici di ( λ 2 [M]+λ[R T ]+[K T ] ){ Z } e λt = {} (15.44) Analizziamo separatamente i vari casi che possono presentarsi Campo di forze puramente posizionale In questo caso il sistema si riduce a [M] { z } +[R] { ż } +[K T ]{z} = {} (15.45) ovvero, trascurando lo smorzamento strutturale [R], in genere limitato, si ottiene [M] { z } +[K T ]{z} = {} (15.46) da cui si ha il problema agli autovalori ( λ 2 [M]+[K T ] ){ Z } e λt = {} (15.47) Essendo la matrice [M] reale, simmetrica e definita positiva, tutti i suoi minori principali dominanti sono positivi, ovvero p 1 = m 11 > ; p 2 = m 11 m 22 m 12 m 21 > (15.48) Analogamente ciò vale per la matrice [K] p 1 = k 11 > ; p 2 = k 11 k 22 k 12 k 21 > (15.49) Per quanto riguarda la matrice [K F ], possono presentarsi due casi: il campo di forze è conservativo, per cui F x y = F y x (15.5) e la matrice [K F ] risulta simmetrica; il campo di forze non è conservativo, per cui F x y F y x (15.51) e la matrice [K F ] non risulta simmetrica; In entrambi i casi, tuttavia, i valori di λ sono comunque le radici del polinomio m 11 m 22 λ 4 +(m 11 k T22 +m 22 k T11 )λ 2 +(k T11 k T22 k T12 k T21 ) = (15.52) ovvero aλ 4 +bλ 2 +c = (15.53) 15-9

266 con a = m 11 m 22 b = m 11 k T22 +m 22 k T11 c = k T11 k T22 k T12 k T21. (15.54a) (15.54b) (15.54c) Le generiche radici sono date dalla relazione ( λ 2 1 2,3 4 = b ) 2 b 2a ± c 2a a (15.55) ove a > dal momento che la matrice di massa è definita positiva. Campo di forze conservativo Si possono presentare due casi: la matrice [K T ] è definita positiva, ovvero p 1 = k T11 > ; p 2 = k T11 k T22 k 2 T12 > (15.56) con b > e c >, in quanto k T21 = k T12 perché il campo di forze è conservativo. Le radici del polinomio caratteristico (15.55) risultano essere λ 2 1 2,3 4 <, (15.57) essendo nella (15.55) c a >, (15.58) per cui i quattro autovalori sono tutti immaginari, come illustrato in figura 15.7(a), e il moto libero risultante è semplicemente stabile; è realistico pensare che si annulli per effetto dell inevitabile smorzamento strutturale, fin qui trascurato. la matrice [K T ] non è definita positiva, ovvero o oppure p 1 = k T11 < (15.59) p 2 = k T11 k T22 k 2 T12 < (15.6) oppure entrambe le condizioni sono verificate. Nell ipotesi che p 2 < avremo che nella (15.55) e quindi a c < (15.61) λ > λ <. (15.62a) (15.62b) La prima radice porta a due valori di λ reali ed opposti, come illustrato in figura 15.7(b), che danno luogo per la soluzione positiva a un fenomeno di instabilità statica (divergenza) essendo la soluzione data dalla (15.43). La stessa condizione si può verificare per p 1 <. 15-1

267 (a) Stabile per c/a >. (b) Instabile per c/a <. Figura 15.7: Autovalori di un sistema conservativo. Campo di forze non conservativo Accade che F x y F y x e la matrice [K T ] risulta non simmetrica. Ricordando che le radici del polinomio caratteristico sono date dalla (15.55), ovvero con λ 2 1 2,3 4 = 1 ( b± ) 2a = ( ) 2 b c 2a a (15.63) (15.64) (15.65) se risulta che si ottiene < (15.66) λ 2 1 2,3 4 = 1 ( b±i 2a ) = e itan 1 ( /b) 2a b2 + = e iα b2 + (15.67) 2a e quindi ( ( ) ( )) 1 λ 1 2 = ± b2 + e iα/2 1 α α = ± b2 + cos +isin = ±(ψ 1 +iψ 2 ) (15.68) 2a 2a 2 2 ( ( ) ( )) 1 λ 3 4 = ± b2 + e iα/2 1 α α = ± b2 + cos isin = ±(ψ 1 iψ 2 ) 2a 2a 2 2 (15.69) Le radici sono illustrate in figura 15.8(a). Ricordando la soluzione generale (15.43), sappiamo che, come più volte mostrato, ciascuna coppia di radici coniugate, quando vengono imposte le condizioni iniziali, fornisce una soluzione puramente reale {z(t)} = { Z 1 } e (ψ 1+iψ 2)t +conj ({ Z 1 }) e (ψ 1+iψ 2)t + { Z 2 } e (ψ 1 iψ 2)t +conj ({ Z 2 }) e (ψ 1 iψ 2)t (15.7) 15-11

268 (a) Instabile per <. (b) Instabile per matrice [R T ] non definita. Figura 15.8: Autovalori di un sistema non conservativo. delle quali quella con parte reale positiva è esponenzalmente espansiva (instabile), mentre l altra è esponenzialmente contrattiva (asintoticamente stabile). Ovvero il moto libero risultante è ellittico e instabile con pulsazione ψ 2. Il fenomeno, in aeroelasticità, prende il nome di flutter. Se invece e > (15.71) c < (15.72) si avrà b < e quindi, essendo λ 2 1 2,3 4 = 1 ( b± ) 2a (15.73) avremo due soluzioni reali opposte e due immaginarie coniugate, con quella reale positiva che porta alla divergenza, in analogia con quanto illustrato in figura 15.7(b) per la possibile instabilità dei sistemi conservativi. Gli altri casi portano a soluzioni armoniche stabili, differenti solo nei valori delle frequenze proprie da quello già trattato nel caso di campo di forze conservativo. Banale è poi il caso in cui la matrice [R T ] sia definita negativa, o non definita, come illustrato in figura 15.8(b). Il sistema sarà soggetto a fenomeni di instabilità dinamica, con ampiezze crescenti esponenzialmente nel tempo Instabilità aeroelastica della sezione tipica La dinamica di un corpo aerodinamico deformabile immerso in un fluido rappresenta un problema di notevole complessità. Tuttavia, l essenza dei fenomeni che lo coinvolgono può essere descritta efficacemente da un modello piuttosto semplice e tuttavia rappresentativo di sistemi di particolare importanza in aeronautica e in meccanica in genere, detto sezione tipica. Questo modello, descritto in figura 15.9, è costituito da un profilo alare che si muove nel suo piano; di esso si considerano solo i gradi di libertà di traslazione in direzione perpendicolare alla corrente asintotica e di rotazione attorno all asse di beccheggio. In prima approssimazione, può essere ritenuto rappresentativo di un ala ad elevato allungamento senza freccia, o della sezione di un ponte sospeso, o di una superficie aerodinamica di automobile da corsa

269 Figura 15.9: Sezione tipica: profilo alare immerso in un fluido, soggetto a in moto piano. Le equazioni semplificate 8 che descrivono la dinamica del sistema di figura 15.9 sono: mẍ+r x ẋ+k x x = Lcosψ +Dsinψ J θ +r x l 2 θ +kx l 2 θ = M (15.74a) (15.74b) dove ψ è l angolo tra la velocità relativa V r della vena e la direzione della corrente indisturbata V, supposta costante, mentre l è la distanza di entrambi i complessi molla-smorzatore dal punto a cui è riferita la rotazione. Esercizio 15.1 Si ricavino le equazioni del moto (15.74). Si noti che, nel puro moto rotatorio, ogni punto della superficie del profilo possiede una velocità di trascinamento diversa, quindi la velocità relativa V r varia da punto a punto del profilo. Non sarebbe quindi lecito utilizzare l approssimazione stazionaria 9 delle forze aerodinamiche, dal momento che questa 8 Le equazioni qui riportate, per semplicità, si basano sull assunto che il punto nel piano della sezione a cui si riferiscono le coordinate libere sia simultaneamente il baricentro ed il centro di taglio della sezione tipica. Di conseguenza, le matrici di massa e di rigidezza sono diagonali, cosa abbastanza rara e, d altra parte, non sempre desiderabile nelle normali costruzioni aeronautiche. 9 Con il termine approssimazione stazionaria si intende che di un modello dinamico si considera solo la parte statica, ovvero si assume che il sistema risponda istantaneamente ad un ingresso con la sola risposta statica. Per fare un esempio meccanico, è come se di un sistema ad un grado di libertà, retto dall equazione mẍ+rẋ+kx = f, (15.75) a condizione che sia asintoticamente stabile, si considerasse solo la parte kx = f (15.76) Questa approssimazione è sicuramente drastica in assoluto, ma può essere ritenuta ragionevole, ad esempio, se il sistema viene forzato da una forzante armonica di frequenza ω k/m. Le forze aerodinamiche, al pari delle forze meccaniche ed in totale analogia con i sistemi elettro- ed idromeccanici studiati nei paragrafi precedenti, sono descrivibili sotto forma di sistemi dinamici, che, ad esempio, per un profilo alare consentono di descrivere i coefficienti di forza e momento in funzione della storia temporale dell angolo di incidenza. In altre parole, sono descritte dall uscita di un sistema dinamico il cui ingresso è l angolo di incidenza. Per molte applicazioni pratiche, ogni volta che la dinamica dell aerodinamica è caratterizzata da costanti di tempo molto più piccole di quelle degli ingressi, nel nostro caso legati al movimento della struttura e quindi, in prima battuta, alle frequenze proprie del sistema meccanico, il sistema dinamico che descrive le forze aerodinamiche può essere approssimato nella forma stazionaria, ovvero considerandone solo la parte statica. La stima delle costanti di tempo delle forze aerodinamiche si basa sul concetto di frequenza ridotta; ovvero, nell ipotesi che la rilevanza della dinamica dell aerodinamica che interessa il corpo sia legata al tempo in cui una particella di fluido interagisce con il corpo stesso, ovvero alla lunghezza caratteristica del corpo nella direzione del flusso (la corda c per un profilo alare, o meglio la semicorda secondo una certa letteratura) divisa per la velocità di riferimento del flusso (V ), si definisce la frequenza ridotta come il numero adimensionale che esprime il rapporto tra la pulsazione del movimento e questa misura caratteristica della velocità dell aerodinamica: frequenza ridotta = k = ωc 2V (15.77) 15-13

270 Figura 15.1: Composizione delle velocità del vento V e del corpo ẋ a dare l angolo di incidenza cinematico ψ. presuppone l esistenza di un angolo di incidenza definito per tutto il profilo; senonché, è possibile dimostrare che riferendosi alla velocità di trascinamento di un punto P 1 del profilo alare, in genere vicino al bordo d attacco 1, posto a una certa distanza b 1 dall asse di rotazione, è possibile utilizzare ancora l approssimazione stazionaria. In pratica, per il calcolo delle forze aerodinamiche, si utilizza l angolo di incidenza instazionario calcolato con la velocità relativa di P 1. L approssimazione stazionaria è comunemente accettata per frequenze ridotte inferiori a.1, ma c è chi fa salire questo numero fino a.1 ed oltre. 1 Alcuni autori, utilizzando la teoria dei profili sottili applicata ad una lamina piana in moto oscillatorio armonico, fanno cadere questo punto a 3/4 della corda, quindi in posizione opposta al centro aerodinamico che, per la medesima teoria, cade ad 1/4 della corda. Tuttavia, i risultati ottenuti in questo modo sono a volte in contrasto con l evidenza sperimentale. La motivazione sostanziale è legata al fatto che l approssimazione stazionaria delle forze e del momento aerodinamico non è in grado di descriverne la dipendenza dalla sola velocità di rotazione del profilo, perché non contiene l informazione associata a questo ingresso; sono necessarie approssimazioni di ordine superiore, ad esempio l approssimazione quasi-stazionaria. Quest ultima parte dalla definizione dei coefficienti aerodinamici come risposta di un sistema dinamico C A (s) = H (s)α(s) (15.78) Se la soluzione di interesse è caratterizzata da una bassa frequenza ridotta, è ragionevole supporre che uno sviluppo in serie di Taylor attorno alla frequenza nulla possa descriverne, in prima battuta, la dinamica. Quindi H (s) = H ()+ H s s+ 1 s= 2 2 H s 2 s 2 (15.79) s= Si verifica che la parte reale della funzione complessa H (s) è simmetrica rispetto all asse immaginario, mentre la parte immaginaria è antisimmetrica; quindi, se la funzione è regolare nell intorno di, la si può valutare in assieme alle sue derivate rispetto a s, ottenendo numeri reali. Ma quando si moltiplica la (15.79) per α(s), si ha che sα(s) nel dominio del tempo corrisponde a α(t), mentre s 2 α(s) nel dominio del tempo corrisponde a α(t); quindi, dal momento che la funzione di trasferimento H e le sue derivate sono costanti in quanto valutate a frequenza nulla, l approssimazione della relazione (15.78) ottenuta mediante la (15.79) può essere rappresentata nel dominio del tempo come C A (t) = H ()α(t)+ H s α(t)+ 1 s= 2 2 H s 2 α(t) (15.8) s= Se ci si ferma al termine di ordine si ottiene l approssimazione stazionaria; le approssimazioni ottenute considerando termini di ordine superiore vanno sotto il nome generale di approssimazione quasi-stazionaria. L errore che si ottiene considerando anche l effetto dell incidenza associata a θ nell approssimazione stazionaria è essenzialmente dovuto al fatto che si sta scrivendo qualcosa del tipo ( C A (t) = H () α(t)+ b ) 1 θ(t) V (15.81) che, come si può notare, è ben diverso dalla (15.8) arrestata al primo ordine: innanzitutto θ è solo una porzione di α, inoltre manca completamente l informazione su H/ s. Ciò nonostante, l uso della (15.81) per frequenze ridotte molto piccole da una parte è ritenuto accettabile, dall altra è desiderabile perché consente di introdurre smorzamento di natura aerodinamica anche sulla coordinata libera di rotazione, pur conoscendo soltanto i coefficienti aerodinamici stazionari. Per una formalizzazione del concetto di approssimazione di modelli dinamici si rimanda al capitolo

271 Varrà quindi V t = ẋ+b 1 θ (15.82) ( 2 V r = V 2 + ẋ+b 1 θ) (15.83) ) (ẋ+b1 θ ψ = tan 1 (15.84) V Se si considerano piccole perturbazioni di x e θ attorno all equilibrio, valgono le consuete approssimazioni ( ) sinψ = sin ẋ+b 1 θ = V ẋ+b 1 θ (15.85) r V cosψ = V V r = 1 (15.86) L angolo di incidenza che si utilizza per il calcolo dei coefficienti aerodinamici secondo l approssimazione stazionaria è quindi, ad ogni istante di tempo, dato dalla somma dell angolo di incidenza cinematica ψ, ottenuto considerando l angolo formato dalla velocità relativa, per composizione della velocità di traslazione del corpo e della velocità del vento, con una direzione di riferimento sul corpo, e dell angolo di incidenza geometrica θ, legato alla rotazione della linea di riferimento rispetto al vento asintotico, ovvero α = ψ +θ = ẋ+b 1 θ V +θ (15.87) per cui il sistema di equazioni differenziali che descrive il moto della sezione tipica diventa [ } [ } [ ]{ } m rx kx x + J r x l 2 + k x l 2 θ ]{ ẍ θ ]{ ẋ θ = 1 { 2 ρv r 2 CL (α)cosψ +C S D (α)sinψ cc M (α) (15.88) dove ai coefficienti di portanza e resistenza si aggiunge il coefficiente di momento C M rispetto al punto a cui è riferita la rotazione θ, mentre la corda c viene aggiunta per una corretta dimensionalizzazione del momento aerodinamico. Dopo aver linearizzato attorno alla posizione di equilibrio, che per semplicità si assume essere α =, e considerando un profilo simmetrico quale il NACA9 di figura 15.11, per il quale i coefficienti di portanza e di momento rispetto al centro aerodinamico sono nulli per α =, mentre il coefficiente di resistenza presenta un minimo, si ottiene: C L (α)cosψ +C D (α)sinψ = 2π { }} = { { }} { dc L C L ()+ α C dα D () ẋ+b 1 θ V α= C M (α) = C M () + dc M } {{ } dα = α α= (15.89a) (15.89b) Sostituendo ad α la sua espressione (15.87) in funzione delle coordinate libere, e riordinando i termini delle equazioni, le forze di campo linearizzate possono essere scritte, in forma matriciale, come { } 1 ( F = 1 M 2 ρv CL/α +C D () ) b 1 ( CL/α +C D () ) { } S 2 V V ẋ c cb 1 θ C M/α C M/α V V 1 [ ]{ } 2 ρv S 2 CL/α x (15.9) cc M/α θ }, 15-15

272 Figura 15.11: Curve C L -α, C D -α e C M -α del profilo NACA

273 dove per praticità si è usata la notazione C /α dc/dα, per cui [R T ] = [K T ] = r x ρv S ( C L/α +C D () ) 1 2 ρv Sb 1 ( CL/α +C D () ) k x 1 2 ρv ScC M/α r x l ρv Sb 1 cc M/α 1 2 ρv SC 2 L/α k x l ρv 2 ScC M/α (15.91) (15.92) Instabilità legate allo smorzamento aerodinamico Dall analisi delle matrici (15.91, 15.92) si deduce la possibilità di avere instabilità dinamica per il grado di libertà di spostamento (tipicamente associato alla flessione dell ala) se r x ρv S ( C L/α +C D () ) <, (15.93) mentre il profilo sarebbe instabile per quanto concerne il grado di libertà torsionale se r x l ρv Sb 1 cc M/α <. (15.94) Senessunadellecondizioni(15.93, 15.94)èverificata, lamatrice[r T ]risultadefinitapositivaacondizione che il suo determinante sia positivo, ovvero ( ) 2 1 r x (r x l ρv ( S l 2 ( C L/α +C D () ) ) ) +b 1 cc M/α >. (15.95) Come è noto, per i profili alari normalmente usati si ha C L/α > (pari a circa 2π) per piccoli angoli di incidenza, lontano dall incidenza di stallo. Sempre nell ipotesi di angoli di incidenza lontani da quello di stallo, il coefficiente di momento, quando è riferito al centro aerodinamico del profilo, ovvero C M = C MCA, per definizione non dipende dall angolo di incidenza; quindi, per piccoli angoli di incidenza C MCA/α. Seviceversailpuntoal qualesonoriferitele coordinateliberesi trovainposizionearretrata rispetto al centro aerodinamico, detta e la distanza tra tale punto ed il centro aerodinamico, il coefficiente di momento C M nel generico punto di riferimento si ricava dalla relazione 1 2 ρv 2 ScC M (α) = 1 2 ρv 2 ScC MCA ρv 2 SeC L (α) (15.96) e quindi, dato che ci occorre solo la sua derivata rispetto all angolo di incidenza, C M/α = e c C L/α (15.97) in quanto, come affermato in precedenza, C MCA/α per definizione di centro aerodinamico. Ne consegue che un instabilità associata ad un eventuale smorzamento aerodinamico negativo è improbabile, ma il fenomeno potrebbe avvenire per profili con elevata sezione frontale (ad esempio, travi a semplice o doppio T, ecc.). Flutter Tuttavia, analizzando la matrice [K T ], dove si è fatto uso della (15.97), il termine k T22 = k x l ρv 2 ScC M/α = k x l ρv 2 SeC L/α (15.98) 15-17

274 (a) Coalescenza lungo l asse immaginario di due frequenze proprie che si dipartono in direzione perpendicolare all asse dando luogo ad una soluzione instabile (flutter). (b) Qualora sia presente smorzamento, le radici non coalescono, ma evolvono in direzioni diverse; il flutter potrebbe anche non avere luogo. Figura 15.12: Coalescenza, al crescere della velocità V, di due frequenze proprie; per semplicità sono mostrate solo le radici con parte immaginaria positiva. della matrice di rigidezza mostra come le forze aerodinamiche possano modificare la frequenza propria torsionale del profilo alare riducendola al crescere della velocità, mentre quella flessionale, dipendente da k T11, rimane sostanzialmente costante. Per cui se, come di solito si verifica per le normali costruzioni aerodnautiche, la frequenza propria torsionale nel vuoto è più alta di quella flessionale, e il centro aerodinamico si trova più avanti (in genere al 25 27% della corda) rispetto all asse di rotazione della sezione (dal 25% della corda per le pale di elicottero fino al 35 45% per velivoli commerciali), vi sarà sempre una velocità V per cui le due frequenze diverranno molto prossime, dando luogo al fenomeno del flutter per coalescenza delle due pulsazioni, come illustrato in figura 15.12(a); nella realtà, la presenza di smorzamento sia di natura strutturale che soprattutto di natura aerodinamica potrà spostare il fenomeno ad una velocità più elevata, o addirittura inibirlo, in quanto gli autovalori tenderanno a comportarsi come in figura 15.12(b): non vi è una vera e propria coalescenza degli autovalori, che rimangono sempre distinti, ma semplicemente un avvicinamento lungo la direzione immaginaria, a cui può seguire un allontanamento lungo la direzione reale. Divergenza aeroelastica Il coefficiente k T22 consente anche di mettere in luce un altra forma di instabilità aeroelastica, che si ottiene quando la velocità V, e quindi la pressione dinamica, assume un valore tale per cui k T22 = 1 2 ρv 2 = k xl 2 SeC L/α (15.99) Intalecasolamatrice[K T ]diventasingolare, equindisihaunacondizionedistabilitàstaticaindifferente, ovvero una condizione di limite di stabilità a frequenza nulla. Questo fenomeno va sotto il nome di divergenza aeroelastica, e la velocità a cui avviene si chiama velocità di divergenza. È evidente che se la frequenza del modo flessionale è inferiore a quella del modo torsionale nel vuoto, al crescere della velocità V la frequenza torsionale intersecherà quella flessionale prima di annullarsi, e quindi la condizione di flutter viene tipicamente incontrata prima di quella di divergenza. Per questo motivo, nelle tipiche costruzioni aeronautiche la condizione di divergenza raramente diventa critica, mentre quella di flutter è spesso determinante nelle scelte di progetto. Tuttavia la semplice riduzione di rigidezza torsionale dovuta alla presenza delle forze aerodinamiche può influenzare significativamente il comportamento sia statico che dinamico del velivolo già a velocità decisamente inferiori a quella di divergenza, ad esempio sotto forma di fenomeni quali l inversione dei comandi

275 Appendice A Cenni di dinamica del corpo rigido nello spazio Generato il 1 settembre 212 A.1 Introduzione In questo capitolo si richiama la dinamica del corpo rigido nello spazio. Lo studio di questo argomento è alla base della dinamica di sistemi di vario tipo e complessità. Ne viene presentata nel seguito l applicazione alla modellazione dei giroscopi meccanici, come quello illustrato in figura A.1. Figura A.1: Il giroscopio (Applied Dynamics - F.C. Moon 1998) applicato alla misura del rateo di imbardata (yaw rate) di un velivolo (immagine del velivolo da Questi strumenti consentono la misura indiretta della velocità angolare di un corpo rigido rispetto ad un sistema di riferimento inerziale. Questa misura è fondamentale per la realizzazione dei sistemi di navigazione inerziale (Inertial Measurement Unit, IMU), che sono alla base non solo dei sistemi di A-1

276 navigazione strumentale dei velivoli e dei veicoli spaziali, ma anche di numerosi altri sistemi di ausilio alla condotta dei veicoli, quali i sistemi di controllo della stabilità dei veicoli (Electronic Stability Control, ESC, dei quali il più famoso è quello sviluppato da Bosch e Mercedes-Benz e noto come Elektronisches Stabilitätsprogramm, ESP). I giroscopi meccanici presentano alcuni svantaggi che ne sconsigliano l uso nei moderni sistemi di navigazione inerziale, soppiantati da sistemi laser per applicazioni ad alta precisione (e costo) o da sistemi micro-elettro-meccanici (Micro-Electro Mechanical Systems, MEMS) per applicazioni a bassa precisione (e costo; la carenza di precisione viene compensata dalla fusione di misure diverse). La teoria alla base dei giroscopi meccanici presenta tuttavia un indubbio interesse didattico, storico ma anche applicativo. A.2 Dinamica del corpo rigido nello spazio Al fine di fornire uno strumento per la valutazione della dinamica del corpo rigido, che permetta di passare in modo generale alla dinamica nello spazio, si vogliono formulare alcune considerazioni alla base dell analisi dinamica di sistemi multicorpo nello spazio. A.2.1 Richiami di calcolo vettoriale in notazione matriciale La posizione di un punto P nello spazio è identificabile mediante un vettore. Se si utilizza un sistema di riferimento cartesiano ortogonale caratterizzato dalla terna destrorsa i, j, k, le componenti del vettore sono le sue coordinate. Le coordinate del vettore possono venire organizzate in forma matriciale. È infatti possibile passare da un vettore (P O) nella forma: (P O) = p x i+p y j +p z k (A.1) alla forma matriciale alternativa: p x (P O) = p y p z (A.2) Prodotto scalare Il prodotto scalare tra due vettori (P O) e (Q O), indicato come (P O) (Q O), è lo scalare (P O) (Q O) = p x q x +p y q y +p z q z. (A.3) Utilizzando il formalismo matriciale si ottiene T p x q x (P O) (Q O) = p y q y = p xq x +p y q y +p z q z. p z q z (A.4) Si noti come il primo vettore, (P O), sia stato trasposto, in modo da renderelecito il prodotto matriciale tra un vettore riga e un vettore colonna di pari lunghezza 1. Prodotto vettore Il prodotto vettore di due vettori (P O) e (Q O), indicato come (P O) (Q O), è un vettore di componenti: i j k (P O) (Q O) = p x p y p z q x q y q z = (p yq z p z q y ) i+(p z q x p x q z ) j +(p x q y p y q x ) k. (A.5) 1 Si ricordi che il prodotto tra matrici richiede che la matrice a sinistra abbia numero di colonne pari al numero di righe della matrice a destra. A-2

277 Al medesimo risultato si arriva definendo la matrice antisimmetrica 2 [(P O) ], p z p y [(P O) ] = p z p x, (A.6) p y p x costruita a partire dal primo vettore nel prodotto di Eq.(A.5), e calcolando poi il prodotto matrice-vettore (P O) (Q O) = [(P O) ](Q O) p z p y = p z p x p y p x q x q y q z = p y q z p z q y p z q x p x q z p x q y p y q x. (A.7) Proprietà dell algebra vettoriale L algebra vettoriale presenta utili proprietà, che nel formalismo matriciale possono assumere una forma notevole. Le più importanti e utili, facilmente verificabili 3, sono: p q = q p {p} T {q} = {q} T {p} (A.8a) p q = q p [p ]{q} = [q ]{p} (A.8b) r ( p q) = q ( p r) [p ] T = [p ] (A.8c) p q r = q( p r) ( q p) r [p ][q ] = {q}{p} T {q} T {p}[i] (A.8d) = p q r + q r p {} = [p ][q ]{r}+[q ][r ]{p} + r p q +[r ][p ]{q} (A.8e) ( p q) r = p q r q p r [([p ]{q}) ] = [p ][q ] [q ][p ] = q( p r) p( q r) = {q}{p} T {p}{q} T (A.8f) Si ricordi che l associatività del prodotto vettore è da destra, ovvero p q r = p ( q r). (A.9) Nei casi dubbi, si consiglia l uso delle parentesi come nella (A.9). Esercizio A.1 Verificare le proprietà descritte nelle (A.8), utilizzando sia la notazione vettoriale che quella matriciale. A.2.2 Cinematica del punto materiale nello spazio Per definire la cinematica di un corpo rigido, si può fare riferimento ai moti relativi. In particolare è utile definire il moto di un generico punto P in funzione della sua posizione all interno del corpo, e del moto rigido del corpo stesso. Posizione di un punto solidale ad un corpo rigido Si definisca la posizione del punto P rispetto all origine O, data dal vettore (P O). Tale posizione può essere descritta come la somma della posizione di P rispetto ad un polo Q arbitrario ma solidale con il corpo rigido, (P Q), e della posizione del polo Q rispetto all origine, (Q O), ovvero (P O) = (P Q)+(Q O). (A.1) Se il corpo a cui appartengono i punti P e Q è rigido, la loro distanza P Q non cambia. Tuttavia, per effetto della rotazione rigida del corpo, può cambiare l orientazione del vettore (P Q) rispetto al sistema di riferimento inerziale. 2 Una matrice [A] è antisimmetrica quando la sua trasposta è uguale al suo opposto, [A] T = [A]. 3 Alcune delle proprietà illustrate nelle (A.8) sono ovvie, altre richiedono manipolazioni non banali. Non ne viene data dimostrazione perché esula dagli scopi del corso. A-3

278 Velocità di un punto solidale ad un corpo rigido La velocità del punto P si ottiene dalla derivata rispetto al tempo della (A.1), v P = d dt (P O) = d dt (P Q)+ d dt (Q O). (A.11) Il primo termine a secondo membro della (A.11), d(p Q)/dt, rappresenta un cambiamento di orientazione del vettore (P Q), il cui modulo è costante per l ipotesi di corpo rigido. Il secondo termine a secondo membro della (A.11), d(q O)/dt, rappresenta la velocità assoluta del punto Q, v Q. Di conseguenza, la (A.11) può essere riscritta come v P = v Q + r (A.12) dove r = (P Q). Siccome per la definizione di corpo rigido il vettore posizione r non varia in modulo, la sua derivata rispetto al tempo è legata alla sola variazione di direzione, che secondo le relazioni di Poisson (si veda la nota 3 di pagina 1-6) risulta essere pari a: d dt (P Q) = r = ω r. La (A.12) può essere infine scritta come v P = v Q + ω r, (A.13) (A.14) che rappresenta la velocità del punto P in funzione del moto rigido del corpo al quale P è solidale, espresso da v Q e ω. È comodo esprimere la (A.14) nella forma del tutto analoga v P = v Q r ω, (A.15) sfruttando la proprietà del prodotto vettore ω r = r ω, illustrata nella (A.8b), grazie alla quale è possibile esprimere con notazione matriciale la velocità del punto P, {v P } = {v Q } [r ]{ω} = [ [I] [r ] ]{ } {v Q }, (A.16) {ω} in forma lineare rispetto alla velocità {v Q } e alla velocità angolare {ω} del corpo rigido. Accelerazione di un punto solidale ad un corpo rigido L accelerazione del punto P, ottenuta per derivazione dal vettore velocità, sarà allora data da: a P = a Q + ω r + ω ( ω r). L analoga espressione con notazione matriciale è {a P } = {a Q } [r ]{ ω}+[ω ][ω ]{r} = [ [I] [r ] ]{ {a Q } { ω} } +[ω ][ω ]{r}. (A.17) (A.18) Si noti che la matrice che moltiplica da sinistra l accelerazione {a Q } e l accelerazione angolare { ω} è la medesima della (A.16). Esercizio A.2 Utilizzando le proprietà (A.8), mettere in luce come il termine centrifugo delle (A.17, A.18), contenente la velocità angolare ω (o {ω}), sia diretto rispetto al vettore r (o {r}). L algebra vettoriale è uno strumento molto potente e sintetico per descrivere la cinematica (e la dinamica) nello spazio, ma a volte male si presta alla scrittura di espressioni di facile implementazione in codici di calcolo, specialmente nel caso di generalizzazione a sistemi con più corpi rigidi. Al contrario l algebra matriciale, anche se può sembrare meno intuitiva e meno adatta alla soluzione manuale di semplici problemi, meglio si presta alla scrittura di codici di calcolo numerico, grazie alla sua più agevole sistematizzazione: la costruzione delle equazioni risolventi si riduce a sequenze di prodotti tra matrici e tra matrici e vettori opportunamente costruiti. In ogni caso le due notazioni sono, inevitabilmente, del tutto equivalenti, e verranno utilizzate indifferentemente nel seguito. A-4

279 A.2.3 Descrizione delle rotazioni In generale, un vettore {p} può essere proiettato da un sistema di riferimento ad un altro mediante una trasformazione lineare, che consiste nella moltiplicazione per una matrice di rotazione, [R]: {p} = [R]{p}. (A.19) Ortonormalità Le matrici di rotazione godono di alcune proprietà notevoli. La più importante è la ortonormalità: l inversa della matrice è uguale alla sua trasposta. Questa proprietà si desume da una semplice constatazione: il prodotto scalare tra due vettori non dipende dal sistema di riferimento in cui sono espressi. Si considerino due vettori, {p} e {q}, espressi in un dato sistema di riferimento, indicato con un singolo apice. Se entrambi i vettori sono proiettati in un altro sistema di riferimento, indicato con due apici, tramite la matrice di rotazione [R], {p} = [R]{p} {q} = [R]{q}, (A.2a) (A.2b) il loro prodotto scalare deve rimanere invariato. Ne risulta {p} T {q} = {p} T {q} = {p} T [R] T [R]{q}. (A.21) Se ne deduce che [R] T [R] = [I] e quindi [R] 1 = [R] T. (A.22) Rotazioni attorno agli assi coordinati La descrizione delle numerose proprietà delle matrici di rotazione, e di come queste possano essere più o meno efficientemente parametrizzate in funzione dei numerosi tipi di parametri esula dallo scopo di questo corso. Viene solamente proposta la costruzione delle matrici di rotazione associate a rotazioni attorno ad uno degli assi coordinati del sistema di riferimento iniziale. [R] x = 1 cosα sinα sinα cosα [R] y = cosβ sinβ 1 sinβ cosβ [R] z = cosγ sinγ sinγ cosγ 1. (A.23) Dal punto di vista del calcolo numerico queste trasformazioni corrispondono a rotazioni di Givens in uno spazio a tre dimensioni. Esse sono alla base di numerosi algoritmi per la trasformazione di matrici, ad esempio la decomposizione QR. Sequenze di rotazioni È bene ricordare che le rotazioni non si sommano; viceversa, la rotazione corrispondente ad una sequenza di rotazioni si ricava moltiplicando le relative matrici di rotazione. Occorre prestare attenzione al fatto che ogni rotazione viene riferita all orientazione risultante dalla combinazione delle rotazioni precedenti. La figura A.2 mostra la dipendenza dell orientazione finale dalla sequenza con cui sono effettuate le rotazioni intermedie. Ad esempio, una rotazione di 9 gradi attorno all asse z come quella descritta da [R] z porta l asse x finale ad allinearsi all asse y iniziale (da A a B). Di conseguenza, una successiva rotazione attorno all asse x finale (da B a C) avverrebbe attorno a quello che inizialmente era l asse y. Se la sequenza delle rotazioni venisse invertita, e quindi si eseguisse prima una rotazione attorno all asse x (da A a D), seguita da una rotazione attorno all asse z (da D a E), l orientazione finale del corpo sarebbe diversa da quella ottenuta nel primo caso. A-5

280 z y z x x A y y y B C x z x z D x y z E Figura A.2: Sequenza di rotazioni. Rotazione e velocità angolare È utile considerare come la velocità angolare {ω} si ricavi dalla derivazione della matrice di rotazione. Siccome una rotazione non modifica la lunghezza di un vettore, ma al più ne cambia l orientazione, questo vale anche per i versori di un sistema di riferimento. Per questo motivo, in base alle relazioni di Poisson illustrate nella nota 3 di pagina 1-6, la derivata rispetto al tempo di una matrice di rotazione dà [Ṙ] = [ω ][R]. (A.24) Dalla (A.24) è immediato notare come [Ṙ] [R] T = [ω ]. (A.25) Si premoltiplichi ora la (A.24) per [R] T : [ ] [R] T Ṙ = [R] T [ω ][R]. (A.26) È relativamente semplice verificare che [( ) ] [R] T [ω ][R] = [R] T {ω} = [ω ], (A.27) dove {ω} = [R] T {ω} è la velocità angolare {ω}, definita nel sistema assoluto, proiettata quindi nel sistema di riferimento definito dalla matrice [R] mediante premoltiplicazione per [R] T. Le matrici di rotazione verranno usate nel seguito per formulare nel modo più conveniente i problemi di dinamica dei corpi rigidi nello spazio. Esercizio A.3 Si verifichi la (A.24). (Suggerimento: si derivi la relazione [R][R] T = [I] rispetto al tempo). Esercizio A.4 Si verifichi la (A.27). (Suggerimento: si derivi la relazione [R] T [R] = [I] rispetto al tempo, e la si confronti con la precedente). Esercizio A.5 A partire dalla (A.24), si ricavi la velocità angolare dalle matrici di rotazione descritte nella (A.23) e dalle loro derivate temporali. Esercizio A.6 Come si potrebbe definire la variazione virtuale di orientazione, da utilizzare per scrivere il lavoro virtuale di una coppia? A.2.4 Forze e coppie d inerzia L accelerazione del generico punto P, data dalla (A.18), e pesata dalla densità che il materiale di cui è costituito il corpo ha nel punto P, dà la forza d inerzia elementare che agisce sul corpo nel punto P, d F i = ρ a P dv. (A.28) A-6

281 Forza d inerzia L integrale della (A.28) sul volume V dà la forza d inerzia complessiva che agisce sul corpo, ricordando che a Q, ω e ω non dipendono dalla posizione del punto P, F i = ρ a P dv = V V ( ) ( = ρdv a Q + V V } {{ } } {{ } = m ( ρ a Q r ω ) + ω ω r dv ) ( ρ rdv ω ω ω ρ rdv s Q V ) } {{ } s Q (m a Q s Q ω + ω ω s Q ), (A.29) ove è stato messo in evidenza il momento statico rispetto al polo Q, s Q. In notazione matriciale, il momento statico è x {s Q } = ρ{r}dv = ρ y V V dv. (A.3) z Si ricordi che il vettore r (o {r}) è costante in modulo, ma cambia direzione al variare dell orientazione del corpo. Sempre in notazione matriciale, la (A.29) diventa {F i } = (m{a Q } [s Q ]{ ω}+[ω ][ω ]{s Q }). (A.31) Il polo Q può essere opportunamente scelto in modo da annullare il momento statico s Q (o {s Q }). Il punto che soddisfa questo requisito è il baricentro del corpo rigido, G. In tale caso, se si pone Q = G, la (A.31) diventa semplicemente {F i } = m{a G }, (A.32) dove {a G } è l accelerazione del baricentro G. La (A.32) mostra come, per quanto riguarda la forza d inerzia, il caso tridimensionale non si discosti da quanto anticipato nel caso piano: essa è direttamente proporzionale all accelerazione attraverso la massa. Coppia d inerzia Il momento dell azione d inerzia (A.28) rispetto al polo generico Q è ( C iq = ρ r a P dv = ρ r a Q r ω ) + ω ω r dv V V (A.33) Dal momento che, per le (A.8), r ω ω r = ω r r ω, la (A.33) diventa ( C iq = V ) ρ rdv } {{ } s Q ( a Q + ρ r r ω ) + ω r r ω dv V (A.34) (A.35) Usando la notazione vettoriale è relativamente più complicato 4 esprimere il contributo alla coppia d inerzia dato dal secondo integrale a secondo membro isolando la velocità e l accelerazione angolare, che 4 Occorre infatti definire un operatore tale per cui r r diventa un tensore doppio, il cui contributo all espressione della coppia è analogo a quello dato dal termine {r}{r} T usato nella notazione matriciale. A-7

282 non dipendono dalla posizione del punto P. Usando invece la notazione matriciale, la (A.35) diventa [( ) ] ( ) ( ) {C iq } = ρ{r}dv {a Q }+ ρ[r ][r ]dv { ω}+[ω ] ρ[r ][r ]dv {ω}, } V {{ } } V {{ } } V {{ } [s Q ] [J Q] [J Q] (A.36) ove nell ultimo termine a destra si è fatto uso della rappresentazione matriciale della (A.34) e si è messa in evidenza la matrice dei momenti d inerzia [J Q ], valutata rispetto al polo Q. Il momento d inerzia è 5 z y x y x [J Q ] = ρ[r ][r ]dv = ρ z V V y 2 +z 2 xy xz = ρ yx z 2 +x 2 yz dv = V zx zy x 2 +y 2 z y z x dv y x I xx I xy I xz I yx I yy I yz I zx I zy I zz. (A.37) Si ricordi che la matrice dei momenti d inerzia [J Q ] e il momento statico {s Q }, essendo costruiti mediante integrazione sul volume di una relazione che contiene il vettore {r}, in generale variano al variare dell orientazione del corpo. Esercizio A.7 Si esprimano il momento statico {s Q } e la matrice d inerzia [J Q ] in un sistema di riferimento solidale con il corpo, descritto dalla matrice di rotazione [R]. Esercizio A.8 Si calcoli la derivata rispetto al tempo di momento statico e matrice d inerzia. Esercizio A.9 Si calcoli la derivata rispetto al tempo di momento statico e matrice d inerzia considerando la loro espressione in un sistema di riferimento solidale con il corpo, come da esercizio A.7. Se la coppia d inerzia è riferita al baricentro G, la (A.36) diventa {C ig } = [J G ]{ ω} [ω ][J G ]{ω}. (A.38) Usando la notazione matriciale, le forze e le coppie d inerzia possono venire espresse quindi come { } ([ {F}i m[i] [sq ] T ][ ] [ {aq } [ω ][sq ] T ] ) = + {ω} {C iq } [s Q ] [J Q ] { ω} [ω ][J Q ] ( [ m[i] [sq ] T ][ ] { [( ) ] } ) {aq } [s = Q ] T {ω} {ω} (A.39a) [s Q ] [J Q ] { ω} [([J Q ]{ω}) ] che se riferite al baricentro divengono {F i } = m{a G } (A.4a) {C ig } = [J G ]{ ω} [ω ][J G ]{ω} = [J G ]{ ω}+[([j G ]{ω}) ]{ω}. (A.4b) La coppia d inerzia nel caso tridimensionale si differenzia dal caso piano in quanto in generale può dipendere non solo dall accelerazione angolare, ma anche dalla velocità angolare ω. Questo traduce, ad esempio, il fenomeno per cui un moto rotatorio a velocità angolare anche costante può dare luogo a coppie d inerzia attorno ad assi diversi da quello di rotazione. Quello che succede è che l accelerazione centripeta dovuta alla velocità angolare può dare luogo a forze d inerzia che hanno braccio non nullo rispetto all asse o al polo di rotazione, e quindi a coppie d inerzia anche in assenza di accelerazione. Esercizio A.1 Verificare la (A.34). 5 Si noti che la matrice dei momenti di inerzia è simmetrica e definita positiva. A volte, in letteratura, i termini extra-diagonali sono definiti con segno opposto rispetto a quello indicato nella (A.37). A-8

283 Esercizio A.11 La matrice dei momenti d inerzia [J Q ] per definizione è simmetrica definita positiva. Tuttavia queste proprietà non sono direttamente desumibili dalla definizione data nella (A.36). Si verifichi la simmetria e la positiva definizione della matrice [J Q ]. Esercizio A.12 Si valuti la potenza associata alle coppie d inerzia (si consideri ad esempio la (A.4b)). Esercizio A.13 Si valutino le forze e le coppie d inerzia dovute ad un moto puramente rotatorio attorno all asse z ( ω = ω z k, ω = ωz k) passante per il baricentro di un corpo rigido. A.2.5 Geometria delle masse Come già notato in precedenza, le equazioni del moto possono essere ricavate attraverso diversi procedimenti, fra loro equivalenti. La scelta di un particolare procedimento può essere vantaggiosa nel momento in cui comporta una semplificazione o un minore sforzo nel giungere a risultati che devono necessariamente essere analoghi. Matrice di inerzia nell espressione dell energia cinetica Nel caso del formalismo di Lagrange, il contributo alle equazioni del moto dato dalle forze di inerzia si ricava a partire dall energia cinetica. L energia cinetica associata al movimento di un corpo rigido nello spazio è T = 1 ρ v P v P dv = 1 ρ( v Q r ω) ( v Q r ω)dv. (A.41) 2 2 V V Anche in questo caso, la notazione vettoriale risulta meno intuitiva nel momento in cui occorre considerare il termine associato al momento d inerzia. Usando la notazione matriciale, T = 1 ρ{v P } T {v P }dv = 1 ρ({v Q } [r ]{ω}) T ({v Q } [r ]{ω})dv 2 V 2 V = 1 ρ{v Q } T {v Q }dv 1 ρ{ω} T [r ] T {v Q }dv 2 V 2 V 1 ρ{v Q } T [r ]{ω}dv + 1 ρ{ω} T [r ] T [r ]{ω}dv (A.42) 2 2 V V Siccome la velocità del punto di riferimento, o polo, Q, ovvero {v Q } e la velocità angolare del corpo rigido {ω} non dipendono dalla posizione all interno del corpo, {r}, possono essere portati fuori dagli integrali. La (A.42) diventa T = 1 ( ) 2 {v Q} T ρdv {v Q } 1 ( ) V 2 {ω}t ρ[r ] T dv {v Q } V } {{ } } {{ } m [s Q ] T 1 ( ) 2 {v Q} T ρ[r ]dv {ω}+ 1 ( ) V 2 {ω}t ρ[r ] T [r ]dv {ω}. (A.43) V } {{ } } {{ } [s Q ] [J Q] Èagevoleverificarecomelamassam, ilmomentostatico[s Q ]eilmomentod inerzia[j Q ]corrispondano a quelli ottenuti nel paragrafo precedente. L energia cinetica può essere scritta come T = 1 { } T [ {vq } m[i] [sq ] T ]{ } {vq }. (A.44) 2 {ω} [s Q ] [J Q ] {ω} Nel caso particolare in cui il punto Q coincida con il baricentro G del corpo, l espressione (A.44) dell energia cinetica diventa T = 1 2 m{v G} T {v G }+ 1 2 {ω}t [J G ]{ω}, (A.45) A-9

284 ovvero il noto teorema di König, ove la matrice dei momenti di inerzia [J G ] è ora riferita al baricentro 6. Energia cinetica nel formalismo di Lagrange L utilizzo dell espressione (A.45) dell energia cinetica nel formalismo di Lagrange richiede una certa cautela, perché il momento d inerzia [J G ] dipende dall orientazione del corpo, e il legame tra questa e la velocità angolare {ω} non è riducibile in modo semplice alla relazione tra le coordinate Lagrangiane {q} e le loro derivate { q}. È tuttavia possibile dimostrare che, espressa la velocità angolare del corpo nella forma {ω} = [ ] {ω} { q} { q} (A.47) in funzione della derivata rispetto al tempo delle coordinate Lagrangiane {q}, il contributo dell energia cinetica associata alla rotazione del corpo alle equazioni del moto generalizzate rispetto alle coordinate {q} si ottiene nella forma [ ] T {ω} ([ω ][J G ]{ω}+[j G ]{ ω}) = {Q} { q}, (A.48) {q} ove {Q} {q} sono le forze generalizzate che compiono lavoro per una variazione virtuale delle coordinate libere {q}, posto tale lavoro pari a δl = δ{q} T {Q} {q}. Si noti bene che le {Q} {q} non sono necessariamente momenti in senso stretto, in quanto sono coniugate alle variazioni virtuali dei parametri di rotazione δ{q}, e non a rotazioni virtuali. Matrice d inerzia nella scrittura di quantità di moto e momento delle quantità di moto È inoltre possibile definire la quantità di moto e il momento delle quantità di moto come { {Q} {Γ Q } } [ m[i] [sq ] T = [s Q ] [J Q ] ]{ {vp } {ω} } (A.49) che, se riferiti al baricentro G del corpo, diventano {Q} = m{v G } {Γ G } = [J G ]{ω}. (A.5a) (A.5b) La derivata rispetto al tempo delle (A.5) fornisce di nuovo le (A.4), ovvero le forze e le coppie di inerzia relative al corpo rigido per un movimento riferito al baricentro. Quest ultimo è anche il polo a cui è riferito il momento. Esercizio A.14 Si verifichi che la derivata delle (A.5) fornisce le (A.4). 6 La matrice di inerzia riferita al baricentro consente una ulteriore semplificazione. Si osservi come, in generale, data una arbitraria velocità angolare {ω}, il corrispondente momento delle quantità di moto {Γ G } = [J G ]{ω} sia un vettore non parallelo a {ω}, ovvero non è garantito che esista uno scalare γ tale per cui {Γ G } = γ{ω}. Se si ipotizza che esistano particolari valori di {ω}, detti {ω}, tali per cui il corrispondente { Γ G } risulta parallelo a {ω} attraverso un coefficiente di proporzionalità γ, si ottiene γ{ω} = [J G ]{ω} (A.46) La (A.46) è un problema agli autovalori in forma canonica, tipo [A]{x} = λ{x}, la cui soluzione sono i tre valori di γ, detti momenti principali d inerzia, per cui esistono altrettante direzioni {u} = {ω}/ {ω}, mutuamente ortogonali, che definiscono l orientazione del sistema di riferimento principale d inerzia (gli assi principali d inerzia) rispetto al sistema di riferimento in cui è espressa la matrice [J G ]. Dal momento che la matrice [J G ] è simmetrica definita positiva, i suoi autovalori, ovvero i momenti principali d inerzia, sono reali e positivi. A-1

285 A.2.6 Applicazione al caso piano Applicando al caso piano quanto appena illustrato nel caso generale, occorre considerare solo le prime due equazioni (equilibrio alla traslazione nelle direzioni x e y del piano) e l ultima (equilibrio alla rotazione attorno all asse z), in funzione delle rispettive componenti del moto. Si definisca la matrice di massa con [M] = m = J Q = V V m m(y G y Q ) m m(x G x Q ) m(y G y Q ) m(x G x Q ) J Q ρdv (A.51) (A.52a) ( x 2 +y 2) dv (A.52b) per cui l energia cinetica assume la forma T = 1 2 ẋ Q ẏ Q ω z T [M] ẋ Q ẏ Q ω z, (A.53) con ẋ Q e ẏ Q a indicare le componenti della velocità del punto Q nelle direzioni x e y del piano e ω z a indicare la velocità di rotazione attorno all asse z. L energia cinetica riferita al baricentro è T = 1 2 m( ẋ 2 G +ẏg 2 ) J Gωz, 2 (A.54) avendo indicato con ẋ G e ẏ G le componenti del vettore velocità del baricentro del corpo rigido. Infine, la forza e la coppia d inerzia risultano: F ix ẍ Q m(x G x Q ) F iy = [M] ÿ Q m(y G y Q ) ω2 z (A.55) C izq ω z che, se riferite al baricentro, si riducono a F ix F iy C izq = mẍ G mÿ G J G ω z (A.56) A.3 Fenomeni giroscopici In assenza di forzanti e di dissipazioni, un corpo in rotazione idealmente tende a mantenere invariato il suo momento delle quantità di moto. Si possono intuitivamente distinguere due tipi di variazione del momento delle quantità di moto. Un tipo è costituito da una variazione della sua entità. A questo tipo di variazione si oppone l inerzia, ad esempio, del volano di un motore quando viene accelerato. Questo tipo di variazione richiede che sia compiuto un lavoro, perché ad una variazione del momento delle quantità di moto corrisponde una variazione dell energia cinetica del corpo. Un altro tipo è costituito da una variazione della direzione del momento delle quantità di moto, che infatti è un vettore. Quando si cerca di cambiare l orientazione di un corpo in rotazione, questo genera delle coppie, legate all inerzia, ovvero alla tendenza a contrastare il cambiamento del suo stato di moto. Una variazione di direzione del momento delle quantità di moto che non ne comporti una variazione di entità può non richiedere che sia compiuto un lavoro, perché è possibile che avvenga senza variazione di energia cinetica. Per studiare questo fenomeno, conviene scrivere le coppie d inerzia che nascono quando l orientazione del corpo cambia con una velocità angolare imposta. A-11

286 A.3.1 Coppia d inerzia in un sistema di riferimento relativo Si consideri innanzitutto la (A.4b), ricordando che la matrice dei momenti d inerzia [J G ] dipende dall orientazione del corpo. Si supponga il corpo vincolato in modo che il proprio baricentro non si possa spostare. Il moto rigido consentito dai vincoli è costituito da una variazione arbitraria dell orientazione del corpo. Inerzia indipendente dall orientazione del corpo In generale, è possibile scegliere un sistema di riferimento solidale con il corpo, nel quale la matrice dei momenti d inerzia sia costante e pari a [ J G ]. La velocità angolare del corpo, espressa in un sistema di riferimento inerziale, sia {ω}. La velocità angolare può essere espressa nel sistema di riferimento solidale con il corpo moltiplicandola per la trasposta della matrice di rotazione [R], che esprime l orientazione del corpo rispetto al sistema di riferimento inerziale, ovvero {ω} = [R] T {ω}. La (A.4b), proiettata nel sistema di riferimento del corpo moltiplicandola per la trasposta della matrice di rotazione [R], [R] T {C ig } = [R] T [ω ][R] [ J G ] {ω} [ JG ] [R] T { ω} (A.57) fornisce le coppie d inerzia nel sistema di riferimento del corpo. È lecito domandarsi che cosa si ottenga derivando la velocità angolare nel sistema di riferimento solidale con il corpo, {ω}. Si derivi l espressione {ω} = [R]{ω} rispetto al tempo. Si ottiene { ω} = [ω ][R]{ω}+[R] { ω }. (A.58) Si noti come il primo termine a secondo membro possa essere ricondotto a [ω ]{ω} = {}. Di conseguenza, vale la relazione { ω } = [R] T { ω}, (A.59) secondo la quale la derivata della velocità angolare nel sistema di riferimento solidale con il corpo consente di ottenere l accelerazione angolare nel medesimo sistema 7. Ricordando inoltre la relazione (A.27), [R] T [ω ][R] = qui riscritta per comodità, si ottiene [( ) ] [R] T {ω} = [ω ], (A.6) [R] T {C ig } = [ω ] [ J G ] ω [ JG ]{ ω }. (A.61) Velocità angolare nel sistema solidale con il corpo Le relazioni precedenti sono di relativamente facile uso e possono essere applicate in un qualsiasi sistema di riferimento avendo naturalmente l accortezza di esprimere tutte le quantità nello stesso sistema. Si consideri ad esempio un corpo rigido messo in rotazione rispetto ad un suo asse z con velocità angolare Φ, detta velocità di nutazione o di spin. Dal punto di vista fisico, si può immaginare il corpo rotante rispetto ad una cassa, alla quale è collegato mediante due perni lungo l asse z comune a corpo e cassa. La rotazione tra corpo e cassa è data dalla matrice di rotazione [R] corpo-cassa = cosφ sinφ sinφ cosφ 1. (A.62) 7 Si noti bene che { ω } è l accelerazione angolare assoluta proiettata in un sistema di riferimento solidale con il corpo, così come {ω} è la velocità angolare assoluta proiettata in un sistema di riferimento solidale con il corpo; non sono in nessun caso grandezze relative che, nell ipotesi di corpo rigido, per definizione sarebbero necessariamente nulle. A-12

287 La velocità angolare tra corpo e cassa, sia in un sistema di riferimento solidale con il corpo che in uno solidale con la cassa, è quindi {ω} corpo-cassa = Φ. (A.63) Si ipotizzi ora di applicare una rotazione alla cassa, e di conseguenza al corpo ad essa vincolato, rispetto ad un asse fisso perpendicolare al precedente, ad esempio l asse x, 1 [R] cassa-telaio = cosψ sinψ, (A.64) sinψ cosψ con velocità Ψ, detta di precessione, Ψ {ω} cassa-telaio =, (A.65) ove con telaio si intende un sistema di riferimento inerziale 8. La velocità angolare del corpo nel sistema di riferimento inerziale è data dalla velocità tra corpo e cassa, {ω} corpo-cassa, proiettata nel sistema di riferimento inerziale mediante la matrice di rotazione [R] cassa-telaio, a cui si aggiunge la velocità angolare tra cassa e telaio, {ω} cassa-telaio, {ω} corpo-telaio = [R] cassa-telaio {ω} } {{ cassa-telaio } {ω} cassa-telaio = Ψ ΦsinΨ ΦcosΨ. +[R] cassa-telaio [R] corpo-cassa {ω} corpo-cassa } {{ } {ω} corpo-cassa (A.66) Viceversa, la velocità angolare proiettata nel sistema di riferimento del corpo è data dalla(a.66) premoltiplicata per la matrice di rotazione che porta dal sistema di riferimento inerziale al sistema di riferimento del corpo, {ω} corpo-telaio = [R] T corpo-cassa [R]T cassa-telaio {ω} corpo-telaio = [R] T corpo-cassa [R]T cassa-telaio {ω} cassa-telaio } {{ } {ω} cassa-telaio = ΨcosΦ ΨsinΦ Φ. T +[R] corpo-cassa {ω} corpo-cassa } {{ } {ω} corpo-cassa (A.67) La derivata della velocità angolare fornisce l accelerazione angolare. Se quest operazione viene applicata alla velocità angolare nel sistema di riferimento inerziale, {ω}, si ottiene l accelerazione angolare nel sistema di riferimento inerziale, { ω}. Si supponga ora, per semplicità, che anche la velocità Ψ sia costante. Questo corrisponde a considerare una condizione di moto a regime. Nella realtà ciò non si verificherà se non in casi particolari; tuttavia, se l accelerazione Ψ fosse limitata, il suo effetto sulle coppie d inerzia potrebbe essere considerato alla stregua di un disturbo. Dalla derivazione della (A.67) si ricava { ω } corpo-telaio = Ψ ΦsinΦ Ψ ΦcosΦ, (A.68) 8 Si noti che la cosiddetta messa a terra non corrisponde esattamente ad un sistema inerziale, in quanto la Terra è soggetta al proprio moto rotatorio, e al moto di rivoluzione attorno al Sole. Mentre quest ultimo ha velocità angolare decisamente bassa rispetto alle applicazioni di interesse (2π radianti/anno), la velocità di rotazione della Terra (2π radianti/giorno, pari a circa radianti/s) può non essere trascurabile in applicazioni che richiedano particolare precisione, tanto da essere considerata nei sistemi di navigazione inerziale per uso aeronautico. A-13

288 avendosuppostochelavelocitàdirotazione Φsiamantenutacostantedaimotorichemettonoinrotazione il corpo, e che Ψ sia costante per la durata dell analisi. Coppia giroscopica nel sistema di riferimento solidale con il corpo Dalla (A.61), nell ipotesi che il sistema solidale con il corpo sia anche principale d inerzia e quindi la matrice dei momenti d inerzia [ J G ] sia diagonale, [ JG ] = I 1 I 2 I 3, (A.69) si ricava [R] T {C ig } = Φ ΨsinΦ Φ ΨcosΦ ΨsinΦ ΨcosΦ I 1 I 2 I 3 Ψ ΦsinΦ Ψ ΦcosΦ. I 1 I 2 I 3 ΨcosΦ ΨsinΦ Φ (A.7) Sviluppando i prodotti matriciali e ricordando che per corpi cilindrici a base circolare per simmetria si ha che I 1 = I 2 = I (momento d inerzia rispetto ad un qualunque asse contenuto nel piano x y), si ottiene I 3 sinφ [R] T {C ig1 } = I 3 cosφ Ψ Φ. (A.71) Si può avere una più immediata interpretazione fisica della coppia d inerzia proiettandola sul sistema di riferimento della cassa, [R] T cassa-telaio {C ig} = [R] corpo-cassa [R] T {C ig } = I 3 Ψ Φ. (A.72) La coppia che nasce è detta coppia giroscopica. Si noti come la coppia sia proporzionale al prodotto delle due velocità angolari. Si noti anche che la coppia è attorno all asse y, mentre la velocità angolare con cui varia l orientazione della cassa è attorno all asse x del sistema di riferimento solidale con la cassa stessa. Ne consegue che la coppia giroscopica agisce con 9 gradi di sfasamento rispetto al movimento di precessione. Applicazioni della coppia giroscopica Questa coppia è sfruttata in numerose applicazioni, quali ad esempio alcuni strumenti di misura di velocità o di posizione angolari, e le piattaforme inerziali. Si noti anche come, controllando la velocità Ψ di precessione, è possibile variare l intensità della coppia giroscopica permettendo l applicazione di una coppia di controllo, anche di elevata entità, perpendicolarmente al piano Ψ Φ. Tale principio è utilizzato nei cosiddetti giroscopi per momenti di controllo (Control Moment Gyros, CMG), utilizzati per il controllo dell assetto dei satelliti (figura (A.3). Tale coppia può essere inoltre fonte di perturbazioni e sollecitazioni strutturali significative. Un fenomeno giroscopico di esperienza comune è legato alla guida di biciclette e motocicli (figura A.4). Questi veicoli, in velocità, devono essere inclinati attorno all asse di rollio per consentirne la conduzione lungo una traiettoria circolare, per far sì che la combinazione di forza centrifuga e peso, applicata nel baricentro, passi per la linea di contatto tra le ruote e il terreno. Il passaggio dalla posizione verticale a quella inclinata richiede di cambiare l orientazione dell asse di rotazione delle ruote, che si comportano come veri e propri giroscopi. A-14

289 Figura A.3: Un Control Moment Gyro (CMG) della ECP: a sinistra il sistema reale, a destra il modello fisico. Figura A.4: Effetto della coppia giroscopica sulla forcella anteriore di una motocicletta (Prof. V. Cossalter). A-15

1 Introduzione alla Meccanica Razionale 1 1.1 Che cos è la Meccanica Razionale... 1 1.2 Un esempio... 2

1 Introduzione alla Meccanica Razionale 1 1.1 Che cos è la Meccanica Razionale... 1 1.2 Un esempio... 2 Indice 1 Introduzione alla Meccanica Razionale 1 1.1 Che cos è la Meccanica Razionale..................... 1 1.2 Un esempio................................. 2 2 Spazi Vettoriali, Spazio e Tempo 7 2.1 Cos

Dettagli

GIROSCOPIO. Scopo dell esperienza: Teoria fisica. Verificare la relazione: ω p = bmg/iω

GIROSCOPIO. Scopo dell esperienza: Teoria fisica. Verificare la relazione: ω p = bmg/iω GIROSCOPIO Scopo dell esperienza: Verificare la relazione: ω p = bmg/iω dove ω p è la velocità angolare di precessione, ω è la velocità angolare di rotazione, I il momento principale d inerzia assiale,

Dettagli

Programma dettagliato del corso di MECCANICA RAZIONALE Corso di Laurea in Ingegneria Civile

Programma dettagliato del corso di MECCANICA RAZIONALE Corso di Laurea in Ingegneria Civile Programma dettagliato del corso di MECCANICA RAZIONALE Corso di Laurea in Ingegneria Civile Anno Accademico 2015-2016 A. Ponno (aggiornato al 19 gennaio 2016) 2 Ottobre 2015 5/10/15 Benvenuto, presentazione

Dettagli

2. Giovedì 5/03/2015, 11 13. ore: 2(4) Spazi vettoriali euclidei. Vettori nello spazio fisico: Prodotto scalare e prodotto

2. Giovedì 5/03/2015, 11 13. ore: 2(4) Spazi vettoriali euclidei. Vettori nello spazio fisico: Prodotto scalare e prodotto Registro delle lezioni di MECCANICA 1 Corso di Laurea in Matematica 8 CFU - A.A. 2014/2015 docente: Francesco Demontis ultimo aggiornamento: 21 maggio 2015 1. Lunedì 2/03/2015, 11 13. ore: 2(2) Presentazione

Dettagli

Forza. Forza. Esempi di forze. Caratteristiche della forza. Forze fondamentali CONCETTO DI FORZA E EQUILIBRIO, PRINCIPI DELLA DINAMICA

Forza. Forza. Esempi di forze. Caratteristiche della forza. Forze fondamentali CONCETTO DI FORZA E EQUILIBRIO, PRINCIPI DELLA DINAMICA Forza CONCETTO DI FORZA E EQUILIBRIO, PRINCIPI DELLA DINAMICA Cos è una forza? la forza è una grandezza che agisce su un corpo cambiando la sua velocità e provocando una deformazione sul corpo 2 Esempi

Dettagli

Transitori del primo ordine

Transitori del primo ordine Università di Ferrara Corso di Elettrotecnica Transitori del primo ordine Si consideri il circuito in figura, composto da un generatore ideale di tensione, una resistenza ed una capacità. I tre bipoli

Dettagli

Energia e Lavoro. In pratica, si determina la dipendenza dallo spazio invece che dal tempo

Energia e Lavoro. In pratica, si determina la dipendenza dallo spazio invece che dal tempo Energia e Lavoro Finora abbiamo descritto il moto dei corpi (puntiformi) usando le leggi di Newton, tramite le forze; abbiamo scritto l equazione del moto, determinato spostamento e velocità in funzione

Dettagli

Grandezze scalari e vettoriali

Grandezze scalari e vettoriali Grandezze scalari e vettoriali Esempio vettore spostamento: Esistono due tipi di grandezze fisiche. a) Grandezze scalari specificate da un valore numerico (positivo negativo o nullo) e (nel caso di grandezze

Dettagli

Fondamenti di Automatica

Fondamenti di Automatica Fondamenti di Automatica Risposte canoniche e sistemi elementari Dott. Ing. Marcello Bonfè Dipartimento di Ingegneria - Università di Ferrara Tel. +39 0532 974839 E-mail: marcello.bonfe@unife.it pag. 1

Dettagli

FONDAMENTI DI CONTROLLI AUTOMATICI Ingegneria Meccanica. http://web.ing.unimo.it/~lbiagiotti/fondamenticontrolli1415.html SISTEMI ELEMENTARI

FONDAMENTI DI CONTROLLI AUTOMATICI Ingegneria Meccanica. http://web.ing.unimo.it/~lbiagiotti/fondamenticontrolli1415.html SISTEMI ELEMENTARI FONDAMENTI DI CONTROLLI AUTOMATICI Ingegneria Meccanica http://web.ing.unimo.it/~lbiagiotti/fondamenticontrolli1415.html SISTEMI ELEMENTARI Ing. e-mail: luigi.biagiotti@unimore.it http://www.dii.unimore.it/~lbiagiotti

Dettagli

bensì una tendenza a ruotare quando vengono applicate in punti diversi di un corpo

bensì una tendenza a ruotare quando vengono applicate in punti diversi di un corpo Momento di una forza Nella figura 1 è illustrato come forze uguali e contrarie possono non produrre equilibrio, bensì una tendenza a ruotare quando vengono applicate in punti diversi di un corpo esteso.

Dettagli

7 Applicazioni ulteriori

7 Applicazioni ulteriori 7 Applicazioni ulteriori 7 Applicazioni ulteriori 7.1 Strutture con maglie chiuse 7.1.1 Analisi cinematica Si consideri la struttura in figura 7.1: i gradi di libertà sono pari a l =3n c v =3 0 3 = 0,

Dettagli

13. Campi vettoriali

13. Campi vettoriali 13. Campi vettoriali 1 Il campo di velocità di un fluido Il concetto di campo in fisica non è limitato ai fenomeni elettrici. In generale il valore di una grandezza fisica assegnato per ogni punto dello

Dettagli

V= R*I. LEGGE DI OHM Dopo aver illustrato le principali grandezze elettriche è necessario analizzare i legami che vi sono tra di loro.

V= R*I. LEGGE DI OHM Dopo aver illustrato le principali grandezze elettriche è necessario analizzare i legami che vi sono tra di loro. LEGGE DI OHM Dopo aver illustrato le principali grandezze elettriche è necessario analizzare i legami che vi sono tra di loro. PREMESSA: Anche intuitivamente dovrebbe a questo punto essere ormai chiaro

Dettagli

. Si determina quindi quale distanza viene percorsa lungo l asse y in questo intervallo di tempo: h = v 0y ( d

. Si determina quindi quale distanza viene percorsa lungo l asse y in questo intervallo di tempo: h = v 0y ( d Esercizio 1 Un automobile viaggia a velocità v 0 su una strada inclinata di un angolo θ rispetto alla superficie terrestre, e deve superare un burrone largo d (si veda la figura, in cui è indicato anche

Dettagli

Controlli Automatici T. Trasformata di Laplace e Funzione di trasferimento. Parte 3 Aggiornamento: Settembre 2010. Prof. L.

Controlli Automatici T. Trasformata di Laplace e Funzione di trasferimento. Parte 3 Aggiornamento: Settembre 2010. Prof. L. Parte 3 Aggiornamento: Settembre 2010 Parte 3, 1 Trasformata di Laplace e Funzione di trasferimento Prof. Lorenzo Marconi DEIS-Università di Bologna Tel. 051 2093788 Email: lmarconi@deis.unibo.it URL:

Dettagli

Come visto precedentemente l equazione integro differenziale rappresentativa dell equilibrio elettrico di un circuito RLC è la seguente: 1 = (1)

Come visto precedentemente l equazione integro differenziale rappresentativa dell equilibrio elettrico di un circuito RLC è la seguente: 1 = (1) Transitori Analisi nel dominio del tempo Ricordiamo che si definisce transitorio il periodo di tempo che intercorre nel passaggio, di un sistema, da uno stato energetico ad un altro, non è comunque sempre

Dettagli

Cap 3.1- Prima legge della DINAMICA o di Newton

Cap 3.1- Prima legge della DINAMICA o di Newton Parte I Cap 3.1- Prima legge della DINAMICA o di Newton Cap 3.1- Prima legge della DINAMICA o di Newton 3.1-3.2-3.3 forze e principio d inerzia Abbiamo finora studiato come un corpo cambia traiettoria

Dettagli

Nome..Cognome.. Classe 4G 4 dicembre 2008. VERIFICA DI FISICA: lavoro ed energia

Nome..Cognome.. Classe 4G 4 dicembre 2008. VERIFICA DI FISICA: lavoro ed energia Nome..Cognome.. Classe 4G 4 dicembre 8 VERIFIC DI FISIC: lavoro ed energia Domande ) Energia cinetica: (punti:.5) a) fornisci la definizione più generale possibile di energia cinetica, specificando l equazione

Dettagli

POLITECNICO DI MILANO CORSO DI LAUREA ON LINE IN INGEGNERIA INFORMATICA ESAME DI FISICA

POLITECNICO DI MILANO CORSO DI LAUREA ON LINE IN INGEGNERIA INFORMATICA ESAME DI FISICA 1 POLITECNICO DI MILANO CORSO DI LAUREA ON LINE IN INGEGNERIA INFORMATICA ESAME DI FISICA Per ogni punto del programma d esame vengono qui di seguito indicate le pagine corrispondenti nel testo G. Tonzig,

Dettagli

1. calcolare l accelerazione del sistema e stabilire se la ruota sale o scende [6 punti];

1. calcolare l accelerazione del sistema e stabilire se la ruota sale o scende [6 punti]; 1 Esercizio Una ruota di raggio R = 15 cm e di massa M = 8 Kg può rotolare senza strisciare lungo un piano inclinato di un angolo θ 2 = 30 0, ed è collegato tramite un filo inestensibile ad un blocco di

Dettagli

Programmazione modulare a.s. 2015-2016 Disciplina: Meccanica

Programmazione modulare a.s. 2015-2016 Disciplina: Meccanica Programmazione modulare a.s. 2015-2016 Disciplina: Meccanica Classe: 5 Meccanica Docente prof. Angelo Rinaldi Ore settimanali previste: 4 ore ro totale di ore 4x33=132 ore Libro di testo Corso di Meccanica

Dettagli

Fondamenti e didattica di Matematica Finanziaria

Fondamenti e didattica di Matematica Finanziaria Fondamenti e didattica di Matematica Finanziaria Silvana Stefani Piazza dell Ateneo Nuovo 1-20126 MILANO U6-368 silvana.stefani@unimib.it 1 Unità 9 Contenuti della lezione Operazioni finanziarie, criterio

Dettagli

quale agisce una forza e viceversa. situazioni. applicate a due corpi che interagiscono. Determinare la forza centripeta di un

quale agisce una forza e viceversa. situazioni. applicate a due corpi che interagiscono. Determinare la forza centripeta di un CLASSE Seconda DISCIPLINA Fisica ORE SETTIMANALI 3 TIPO DI PROVA PER GIUDIZIO SOSPESO Test a risposta multipla MODULO U.D Conoscenze Abilità Competenze Enunciato del primo principio della Calcolare l accelerazione

Dettagli

Usando il pendolo reversibile di Kater

Usando il pendolo reversibile di Kater Usando il pendolo reversibile di Kater Scopo dell esperienza è la misurazione dell accelerazione di gravità g attraverso il periodo di oscillazione di un pendolo reversibile L accelerazione di gravità

Dettagli

L EQUILIBRIO UNIVERSALE dalla meccanica celeste alla fisica nucleare

L EQUILIBRIO UNIVERSALE dalla meccanica celeste alla fisica nucleare L EQUILIBRIO UNIVERSALE dalla meccanica celeste alla fisica nucleare Cap.4 giroscopio, magnetismo e forza di Lorentz teoria del giroscopio Abbiamo finora preso in considerazione le condizionidi equilibrio

Dettagli

Prova scritta di Fisica Generale I Corso di studio in Astronomia 22 giugno 2012

Prova scritta di Fisica Generale I Corso di studio in Astronomia 22 giugno 2012 Prova scritta di Fisica Generale I Corso di studio in Astronomia 22 giugno 2012 Problema 1 Due carrelli A e B, di massa m A = 104 kg e m B = 128 kg, collegati da una molla di costante elastica k = 3100

Dettagli

SISTEMI VINCOLATI. 1. Punto fisso: il vincolo impedisce ogni spostamento del punto.

SISTEMI VINCOLATI. 1. Punto fisso: il vincolo impedisce ogni spostamento del punto. SISTEMI VINCOLATI Definizione 1 Si dice vincolo una qualunque condizione imposta ad un sistema materiale che impedisce di assumere una generica posizione e/o atto di moto. La presenza di un vincolo di

Dettagli

Modulo di Meccanica e Termodinamica

Modulo di Meccanica e Termodinamica Modulo di Meccanica e Termodinamica 1) Misure e unita di misura 2) Cinematica: + Moto Rettilineo + Moto Uniformemente Accelerato [+ Vettori e Calcolo Vettoriale] + Moti Relativi 3) Dinamica: + Forza e

Dettagli

FAM. 1. Sistema composto da quattro PM come nella tabella seguente

FAM. 1. Sistema composto da quattro PM come nella tabella seguente Serie 11: Meccanica IV FAM C. Ferrari Esercizio 1 Centro di massa: sistemi discreti Determina il centro di massa dei seguenti sistemi discreti. 1. Sistema composto da quattro PM come nella tabella seguente

Dettagli

LEGGE DI STEVIN (EQUAZIONE FONDAMENTALE DELLA STATICA DEI FLUIDI PESANTI INCOMPRIMIBILI) z + p / γ = costante

LEGGE DI STEVIN (EQUAZIONE FONDAMENTALE DELLA STATICA DEI FLUIDI PESANTI INCOMPRIMIBILI) z + p / γ = costante IDRAULICA LEGGE DI STEVIN (EQUAZIONE FONDAMENTALE DELLA STATICA DEI FLUIDI PESANTI INCOMPRIMIBILI) z + p / γ = costante 2 LEGGE DI STEVIN Z = ALTEZZA GEODETICA ENERGIA POTENZIALE PER UNITA DI PESO p /

Dettagli

Disegno di Macchine. corso per I anno della laurea in ing. meccanica Docente: ing. Francesca Campana

Disegno di Macchine. corso per I anno della laurea in ing. meccanica Docente: ing. Francesca Campana Disegno di Macchine corso per I anno della laurea in ing. meccanica Docente: ing. Francesca Campana Lezione n 4 Componentistica di base: alberi, trasmissione per cinghie e catene, giunti Alberi Appunti

Dettagli

Cosa determina il moto? Aristotele pensava che occorresse uno sforzo per mantenere un corpo in movimento. Galileo non era d'accordo.

Cosa determina il moto? Aristotele pensava che occorresse uno sforzo per mantenere un corpo in movimento. Galileo non era d'accordo. Introduzione Cosa determina il moto? Aristotele pensava che occorresse uno sforzo per mantenere un corpo in movimento. Galileo non era d'accordo. riassunto Cosa determina il moto? Forza - Spinta di un

Dettagli

Facoltà di Scienze Matematiche, Fisiche e naturali. CFU = 3 9 incontri di 3 ore. del Corso di Studio Obiettivi formativi del corso

Facoltà di Scienze Matematiche, Fisiche e naturali. CFU = 3 9 incontri di 3 ore. del Corso di Studio Obiettivi formativi del corso Allegato A al Bando per la partecipazione al progetto sperimentale di orientamento e formazione per l iscrizione all Università I Facoltà di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali Facoltà di Scienze Matematiche,

Dettagli

9. Urti e conservazione della quantità di moto.

9. Urti e conservazione della quantità di moto. 9. Urti e conservazione della quantità di moto. 1 Conservazione dell impulso m1 v1 v2 m2 Prima Consideriamo due punti materiali di massa m 1 e m 2 che si muovono in una dimensione. Supponiamo che i due

Dettagli

Politecnico di Bari I Facoltà di Ingegneria Corso di Laurea Specialistica in Ingegneria Meccanica ENERGIA EOLICA

Politecnico di Bari I Facoltà di Ingegneria Corso di Laurea Specialistica in Ingegneria Meccanica ENERGIA EOLICA Politecnico di Bari I Facoltà di Ingegneria Corso di Laurea Specialistica in Ingegneria Meccanica ENERGIA EOLICA turbine eoliche ad asse verticale VAWT A.A. 2008/09 Energie Alternative Prof.B.Fortunato

Dettagli

ENERGIA. Energia e Lavoro Potenza Energia cinetica Energia potenziale Principio di conservazione dell energia meccanica

ENERGIA. Energia e Lavoro Potenza Energia cinetica Energia potenziale Principio di conservazione dell energia meccanica 1 ENERGIA Energia e Lavoro Potenza Energia cinetica Energia potenziale Principio di conservazione dell energia meccanica 2 Energia L energia è ciò che ci permette all uomo di compiere uno sforzo o meglio

Dettagli

Dimensionamento delle strutture

Dimensionamento delle strutture Dimensionamento delle strutture Prof. Fabio Fossati Department of Mechanics Politecnico di Milano Lo stato di tensione o di sforzo Allo scopo di caratterizzare in maniera puntuale la distribuzione delle

Dettagli

Anche nel caso che ci si muova e si regga una valigia il lavoro compiuto è nullo: la forza è verticale e lo spostamento orizzontale quindi F s =0 J.

Anche nel caso che ci si muova e si regga una valigia il lavoro compiuto è nullo: la forza è verticale e lo spostamento orizzontale quindi F s =0 J. Lavoro Un concetto molto importante è quello di lavoro (di una forza) La definizione di tale quantità scalare è L= F dl (unità di misura joule J) Il concetto di lavoro richiede che ci sia uno spostamento,

Dettagli

Lezione 10: Il problema del consumatore: Preferenze e scelta ottimale

Lezione 10: Il problema del consumatore: Preferenze e scelta ottimale Corso di Scienza Economica (Economia Politica) prof. G. Di Bartolomeo Lezione 10: Il problema del consumatore: Preferenze e scelta ottimale Facoltà di Scienze della Comunicazione Università di Teramo Scelta

Dettagli

LA CORRENTE ELETTRICA CONTINUA

LA CORRENTE ELETTRICA CONTINUA LA CORRENTE ELETTRICA CONTINUA (Fenomeno, indipendente dal tempo, che si osserva nei corpi conduttori quando le cariche elettriche fluiscono in essi.) Un conduttore metallico è in equilibrio elettrostatico

Dettagli

DINAMICA DEL PUNTO MATERIALE E CONCETTO DI FORZA. Dinamica: studio delle forze che causano il moto dei corpi

DINAMICA DEL PUNTO MATERIALE E CONCETTO DI FORZA. Dinamica: studio delle forze che causano il moto dei corpi DINAMICA DEL PUNTO MATERIALE E CONCETTO DI FORZA Dinamica: studio delle forze che causano il moto dei corpi 1 Forza Si definisce forza una qualunque causa esterna che produce una variazione dello stato

Dettagli

APPUNTI SUL CAMPO MAGNETICO ROTANTE

APPUNTI SUL CAMPO MAGNETICO ROTANTE APPUTI UL CAPO AGETICO ROTATE Campo agnetico Rotante ad una coppia polare Consideriamo la struttura in figura che rappresenta la vista, in sezione trasversale, di un cilindro cavo, costituito da un materiale

Dettagli

Consideriamo due polinomi

Consideriamo due polinomi Capitolo 3 Il luogo delle radici Consideriamo due polinomi N(z) = (z z 1 )(z z 2 )... (z z m ) D(z) = (z p 1 )(z p 2 )... (z p n ) della variabile complessa z con m < n. Nelle problematiche connesse al

Dettagli

a t Esercizio (tratto dal problema 5.10 del Mazzoldi)

a t Esercizio (tratto dal problema 5.10 del Mazzoldi) 1 Esercizio (tratto dal problema 5.10 del Mazzoldi) Una guida semicircolare liscia verticale di raggio = 40 cm è vincolata ad una piattaforma orizzontale che si muove con accelerazione costante a t = 2

Dettagli

19 Il campo elettrico - 3. Le linee del campo elettrico

19 Il campo elettrico - 3. Le linee del campo elettrico Moto di una carica in un campo elettrico uniforme Il moto di una particella carica in un campo elettrico è in generale molto complesso; il problema risulta più semplice se il campo elettrico è uniforme,

Dettagli

F S V F? Soluzione. Durante la spinta, F S =ma (I legge di Newton) con m=40 Kg.

F S V F? Soluzione. Durante la spinta, F S =ma (I legge di Newton) con m=40 Kg. Spingete per 4 secondi una slitta dove si trova seduta la vostra sorellina. Il peso di slitta+sorella è di 40 kg. La spinta che applicate F S è in modulo pari a 60 Newton. La slitta inizialmente è ferma,

Dettagli

Richiami sulle derivate parziali e definizione di gradiente di una funzione, sulle derivate direzionali. Regola della catena per funzioni composte.

Richiami sulle derivate parziali e definizione di gradiente di una funzione, sulle derivate direzionali. Regola della catena per funzioni composte. PROGRAMMA di Fondamenti di Analisi Matematica 2 (che sarà svolto fino al 7 gennaio 2013) A.A. 2012-2013, Paola Mannucci e Claudio Marchi, Canali 1 e 2 Ingegneria Gestionale, Meccanica-Meccatronica, Vicenza

Dettagli

Controllo di velocità angolare di un motore in CC

Controllo di velocità angolare di un motore in CC Controllo di velocità angolare di un motore in CC Descrizione generale Il processo è composto da un motore in corrente continua, un sistema di riduzione, una dinamo tachimetrica ed un sistema di visualizzazione.

Dettagli

Fondamenti di macchine elettriche Corso SSIS 2006/07

Fondamenti di macchine elettriche Corso SSIS 2006/07 9.13 Caratteristica meccanica del motore asincrono trifase Essa è un grafico cartesiano che rappresenta l andamento della coppia C sviluppata dal motore in funzione della sua velocità n. La coppia è legata

Dettagli

Forze, leggi della dinamica, diagramma del. 28 febbraio 2009 (PIACENTINO - PREITE) Fisica per Scienze Motorie

Forze, leggi della dinamica, diagramma del. 28 febbraio 2009 (PIACENTINO - PREITE) Fisica per Scienze Motorie Forze, leggi della dinamica, diagramma del corpo libero 1 FORZE Grandezza fisica definibile come l' agente in grado di modificare lo stato di quiete o di moto di un corpo. Ci troviamo di fronte ad una

Dettagli

Complementi di Analisi per Informatica *** Capitolo 2. Numeri Complessi. e Circuiti Elettrici. a Corrente Alternata. Sergio Benenti 7 settembre 2013

Complementi di Analisi per Informatica *** Capitolo 2. Numeri Complessi. e Circuiti Elettrici. a Corrente Alternata. Sergio Benenti 7 settembre 2013 Complementi di Analisi per nformatica *** Capitolo 2 Numeri Complessi e Circuiti Elettrici a Corrente Alternata Sergio Benenti 7 settembre 2013? ndice 2 Circuiti elettrici a corrente alternata 1 21 Circuito

Dettagli

2.2.3 Comportamento degli organi che trasformano l energia meccanica 32 2.2.3.1 Effetti inerziali 32 2.2.3.2 Effetto della rigidezza e dello

2.2.3 Comportamento degli organi che trasformano l energia meccanica 32 2.2.3.1 Effetti inerziali 32 2.2.3.2 Effetto della rigidezza e dello Indice Prefazione IX 1. Un nuovo approccio alla progettazione e costruzione di macchine 1 1.1 Sistemi tecnici nella costruzione di macchine: esempi 1 1.2 Concetti essenziali del nuovo approccio alla progettazione

Dettagli

METODO PER LA DESCRIZIONE DEL CAMPO MAGNETICO ROTANTE

METODO PER LA DESCRIZIONE DEL CAMPO MAGNETICO ROTANTE Ing. ENRICO BIAGI Docente di Tecnologie elettrice, Disegno, Progettazione ITIS A. Volta - Perugia ETODO PER LA DESCRIZIONE DEL CAPO AGNETICO ROTANTE Viene illustrato un metodo analitico-grafico per descrivere

Dettagli

APPUNTI DEL CORSO DI SISTEMI IMPIANTISTICI E SICUREZZA INTRODUZIONE AGLI IMPIANTI ELETTRICI: FONDAMENTI DI ELETTROTECNICA

APPUNTI DEL CORSO DI SISTEMI IMPIANTISTICI E SICUREZZA INTRODUZIONE AGLI IMPIANTI ELETTRICI: FONDAMENTI DI ELETTROTECNICA APPUNTI DEL CORSO DI SISTEMI IMPIANTISTICI E SICUREZZA INTRODUZIONE AGLI IMPIANTI ELETTRICI: FONDAMENTI DI ELETTROTECNICA Concetti e grandezze fondamentali CAMPO ELETTRICO: è un campo vettoriale di forze,

Dettagli

ITI M. FARADAY Programmazione modulare

ITI M. FARADAY Programmazione modulare ITI M. FARADAY Programmazione modulare A.S. 2015/16 Indirizzo: ELETTROTECNICA ed ELETTRONICA Disciplina: ELETTROTECNICA ed ELETTRONICA Classe: V A elettrotecnica settimanali previste: 6 INSEGNANTI: ERBAGGIO

Dettagli

Idrostatica Correnti a pelo libero (o a superficie libera) Correnti in pressione. Foronomia

Idrostatica Correnti a pelo libero (o a superficie libera) Correnti in pressione. Foronomia Idrostatica Correnti a pelo libero (o a superficie libera) Correnti in pressione Foronomia In idrostatica era lecito trascurare l attrito interno o viscosità e i risultati ottenuti valevano sia per i liquidi

Dettagli

CLASSE: 1^ CAT. E 1^ GRA

CLASSE: 1^ CAT. E 1^ GRA ITS BANDINI - SIENA MATERIA DI INSEGNAMENTO: FISICA e LABORATORIO CLASSE: 1^ CAT. E 1^ GRA In relazione alla programmazione curricolare ci si prefigge di raggiungere i seguenti obiettivi disciplinari:

Dettagli

6 Cenni sulla dinamica dei motori in corrente continua

6 Cenni sulla dinamica dei motori in corrente continua 6 Cenni sulla dinamica dei motori in corrente continua L insieme di equazioni riportato di seguito, costituisce un modello matematico per il motore in corrente continua (CC) che può essere rappresentato

Dettagli

Disegno di Macchine. Lezione n 7 Componentistica di base: alberi. corso per I anno della laurea in ing. meccanica Docente: ing.

Disegno di Macchine. Lezione n 7 Componentistica di base: alberi. corso per I anno della laurea in ing. meccanica Docente: ing. Disegno di Macchine corso per I anno della laurea in ing. meccanica Docente: ing. Francesca Campana Lezione n 7 Componentistica di base: alberi Introduzione ai componenti di macchine I componenti meccanici

Dettagli

28360 - FISICA MATEMATICA 1 A.A. 2014/15 Problemi dal libro di testo: D. Giancoli, Fisica, 2a ed., CEA Capitolo 6

28360 - FISICA MATEMATICA 1 A.A. 2014/15 Problemi dal libro di testo: D. Giancoli, Fisica, 2a ed., CEA Capitolo 6 28360 - FISICA MATEMATICA 1 A.A. 2014/15 Problemi dal libro di testo: D. Giancoli, Fisica, 2a ed., CEA Capitolo 6 Lavoro, forza costante: W = F r Problema 1 Quanto lavoro viene compiuto dalla forza di

Dettagli

L IDENTIFICAZIONE STRUTTURALE

L IDENTIFICAZIONE STRUTTURALE e L IDENTIFICAZIONE STRUTTURALE I problemi legati alla manutenzione e all adeguamento del patrimonio edilizio d interesse storico ed artistico sono da alcuni anni oggetto di crescente interesse e studio.

Dettagli

Problemi di dinamica del punto materiale (moto oscillatorio) A Sistemi di riferimento inerziali

Problemi di dinamica del punto materiale (moto oscillatorio) A Sistemi di riferimento inerziali Problemi di dinamica del punto materiale (moto oscillatorio) A Sistemi di riferimento inerziali Problema n. 1: Un corpo puntiforme di massa m = 2.5 kg pende verticalmente dal soffitto di una stanza essendo

Dettagli

Pressione. Esempio. Definizione di pressione. Legge di Stevino. Pressione nei fluidi EQUILIBRIO E CONSERVAZIONE DELL ENERGIA NEI FLUIDI

Pressione. Esempio. Definizione di pressione. Legge di Stevino. Pressione nei fluidi EQUILIBRIO E CONSERVAZIONE DELL ENERGIA NEI FLUIDI Pressione EQUILIBRIO E CONSERVAZIONE DELL ENERGIA NEI FLUIDI Cos è la pressione? La pressione è una grandezza che lega tra di loro l intensità della forza e l aerea della superficie su cui viene esercitata

Dettagli

Esponenziali elogaritmi

Esponenziali elogaritmi Esponenziali elogaritmi Potenze ad esponente reale Ricordiamo che per un qualsiasi numero razionale m n prendere n>0) si pone a m n = n a m (in cui si può sempre a patto che a sia un numero reale positivo.

Dettagli

La pista del mio studio Riflettiamo sulla pista. Guida per l insegnante

La pista del mio studio Riflettiamo sulla pista. Guida per l insegnante Riflettiamo sulla pista Guida per l insegnante Obiettivi educativi generali Compito di specificazione - possiede capacità progettuale - è in grado di organizzare il proprio tempo e di costruire piani per

Dettagli

Definire la potenza e ricordare l unità di misura della potenza. Definire l energia e la sua unità di misura. Enunciare il teorema delle forze vive

Definire la potenza e ricordare l unità di misura della potenza. Definire l energia e la sua unità di misura. Enunciare il teorema delle forze vive Programmazione per competenze: Istituto scolastico Classe Riferimento ai documenti programmatici Liceo scientifico, indirizzo scienze applicate II Competenza N 3.2, Asse scientifico tecnologico Analizzare

Dettagli

A. Maggiore Appunti dalle lezioni di Meccanica Tecnica

A. Maggiore Appunti dalle lezioni di Meccanica Tecnica Il giunto idraulico Fra i dispositivi che consentono di trasmettere potenza nel moto rotatorio, con la possibilità di variare la velocità relativa fra movente e cedente, grande importanza ha il giunto

Dettagli

Per studio di funzione intendiamo un insieme di procedure che hanno lo scopo di analizzare le proprietà di una funzione f ( x) R R

Per studio di funzione intendiamo un insieme di procedure che hanno lo scopo di analizzare le proprietà di una funzione f ( x) R R Studio di funzione Per studio di funzione intendiamo un insieme di procedure che hanno lo scopo di analizzare le proprietà di una funzione f ( x) R R : allo scopo di determinarne le caratteristiche principali.

Dettagli

Regole della mano destra.

Regole della mano destra. Regole della mano destra. Macchina in continua con una spira e collettore. Macchina in continua con due spire e collettore. Macchina in continua: schematizzazione di indotto. Macchina in continua. Schematizzazione

Dettagli

CORRENTE E TENSIONE ELETTRICA LA CORRENTE ELETTRICA

CORRENTE E TENSIONE ELETTRICA LA CORRENTE ELETTRICA CORRENTE E TENSIONE ELETTRICA La conoscenza delle grandezze elettriche fondamentali (corrente e tensione) è indispensabile per definire lo stato di un circuito elettrico. LA CORRENTE ELETTRICA DEFINIZIONE:

Dettagli

a) Il campo di esistenza di f(x) è dato da 2x 0, ovvero x 0. Il grafico di f(x) è quello di una iperbole -1 1

a) Il campo di esistenza di f(x) è dato da 2x 0, ovvero x 0. Il grafico di f(x) è quello di una iperbole -1 1 LE FUNZIONI EALI DI VAIABILE EALE Soluzioni di quesiti e problemi estratti dal Corso Base Blu di Matematica volume 5 Q[] Sono date le due funzioni: ) = e g() = - se - se = - Determina il campo di esistenza

Dettagli

Seconda Legge DINAMICA: F = ma

Seconda Legge DINAMICA: F = ma Seconda Legge DINAMICA: F = ma (Le grandezze vettoriali sono indicate in grassetto e anche in arancione) Fisica con Elementi di Matematica 1 Unità di misura: Massa m si misura in kg, Accelerazione a si

Dettagli

Luigi Piroddi piroddi@elet.polimi.it

Luigi Piroddi piroddi@elet.polimi.it Automazione industriale dispense del corso 10. Reti di Petri: analisi strutturale Luigi Piroddi piroddi@elet.polimi.it Analisi strutturale Un alternativa all analisi esaustiva basata sul grafo di raggiungibilità,

Dettagli

PROGRAMMA DEFINITIVO di Tecnologie Elettrico-Elettroniche e Applicazioni. Docente: VARAGNOLO GIAMPAOLO. Insegnante Tecnico Pratico: ZANINELLO LORIS

PROGRAMMA DEFINITIVO di Tecnologie Elettrico-Elettroniche e Applicazioni. Docente: VARAGNOLO GIAMPAOLO. Insegnante Tecnico Pratico: ZANINELLO LORIS ISTITUTO VERONESE MARCONI Sede di Cavarzere (VE) PROGRAMMA DEFINITIVO di Tecnologie Elettrico-Elettroniche e Applicazioni Docente: VARAGNOLO GIAMPAOLO Insegnante Tecnico Pratico: ZANINELLO LORIS Classe

Dettagli

Esempi di funzione. Scheda Tre

Esempi di funzione. Scheda Tre Scheda Tre Funzioni Consideriamo una legge f che associa ad un elemento di un insieme X al più un elemento di un insieme Y; diciamo che f è una funzione, X è l insieme di partenza e X l insieme di arrivo.

Dettagli

LA CORRENTE ELETTRICA

LA CORRENTE ELETTRICA L CORRENTE ELETTRIC H P h Prima che si raggiunga l equilibrio c è un intervallo di tempo dove il livello del fluido non è uguale. Il verso del movimento del fluido va dal vaso a livello maggiore () verso

Dettagli

Controllo del moto e robotica industriale

Controllo del moto e robotica industriale Controllo del moto e robotica industriale (Prof. Rocco) Appello del 27 Febbraio 2008 Cognome:... Nome:... Matricola:... Firma:... Avvertenze: Il presente fascicolo si compone di 8 pagine (compresa la copertina).

Dettagli

u 1 u k che rappresenta formalmente la somma degli infiniti numeri (14.1), ordinati al crescere del loro indice. I numeri u k

u 1 u k che rappresenta formalmente la somma degli infiniti numeri (14.1), ordinati al crescere del loro indice. I numeri u k Capitolo 4 Serie numeriche 4. Serie convergenti, divergenti, indeterminate Data una successione di numeri reali si chiama serie ad essa relativa il simbolo u +... + u +... u, u 2,..., u,..., (4.) oppure

Dettagli

Matematica 1 - Corso di Laurea in Ingegneria Meccanica

Matematica 1 - Corso di Laurea in Ingegneria Meccanica Matematica 1 - Corso di Laurea in Ingegneria Meccanica Esercitazione su massimi e minimi vincolati 9 dicembre 005 Esercizio 1. Considerare l insieme C = {(x,y) R : (x + y ) = x } e dire se è una curva

Dettagli

MOTO DI UNA CARICA IN UN CAMPO ELETTRICO UNIFORME

MOTO DI UNA CARICA IN UN CAMPO ELETTRICO UNIFORME 6. IL CONDNSATOR FNOMNI DI LTTROSTATICA MOTO DI UNA CARICA IN UN CAMPO LTTRICO UNIFORM Il moto di una particella carica in un campo elettrico è in generale molto complesso; il problema risulta più semplice

Dettagli

DIMENSIONAMENTO DEL MARTINETTO PER RICIRCOLO DI SFERE

DIMENSIONAMENTO DEL MARTINETTO PER RICIRCOLO DI SFERE DIMENSIONAMENTO DEL MARTINETTO PER RICIRCOLO DI SFERE Per un corretto dimensionamento del martinetto a ricircolo di sfere è necessario operare come segue: definizione dei dati del dell applicazione (A)

Dettagli

I.I.S. MARGHERITA DI SAVOIA NAPOLI ANNO SCOLASTICO 2014/2015. CLASSE III SEZ. Ae INDIRIZZO LICEO ECONOMICO PROGRAMMA DI FISICA

I.I.S. MARGHERITA DI SAVOIA NAPOLI ANNO SCOLASTICO 2014/2015. CLASSE III SEZ. Ae INDIRIZZO LICEO ECONOMICO PROGRAMMA DI FISICA I.I.S. MARGHERITA DI SAVOIA NAPOLI ANNO SCOLASTICO 2014/2015 CLASSE III SEZ. Ae INDIRIZZO LICEO ECONOMICO PROGRAMMA DI FISICA PROFESSORESSA: REGALBUTO PAOLA LE GRANDEZZE: LE GRANDEZZE FONDAMENTALI E DERIVATE,

Dettagli

Libri di testo adottati: Macchine Elettriche, HOEPLI di Gaetano Conte;

Libri di testo adottati: Macchine Elettriche, HOEPLI di Gaetano Conte; Libri di testo adottati: Macchine Elettriche, HOEPLI di Gaetano Conte; Obiettivi generali. Laboratorio di Macchine Elettriche, HOEPLI di Gaetano Conte; Manuale di Elettrotecnica e Automazione, Hoepli;

Dettagli

Istituto Tecnico dei Trasporti e Logistica Nautico San Giorgio Genova A/S 2012/2013 Programma Didattico Svolto Elettrotecnica ed Elettronica

Istituto Tecnico dei Trasporti e Logistica Nautico San Giorgio Genova A/S 2012/2013 Programma Didattico Svolto Elettrotecnica ed Elettronica Docenti: Coppola Filippo Sergio Sacco Giuseppe Istituto Tecnico dei Trasporti e Logistica Nautico San Giorgio Genova A/S 2012/2013 Programma Didattico Svolto Classe 3A2 Elettrotecnica ed Elettronica Modulo

Dettagli

LICEO SCIENTIFICO STATALE AUGUSTO RIGHI BOLOGNA

LICEO SCIENTIFICO STATALE AUGUSTO RIGHI BOLOGNA MINISTERO DELLA PUBBLICA ISTRUZIONE UFFICIO SCOLASTICO REGIONALE PER L'EMILIA ROMAGNA LICEO SCIENTIFICO STATALE AUGUSTO RIGHI BOLOGNA SOSPENSIONE del giudizio anno scolastico 2012/13: INDICAZIONI LAVORO

Dettagli

Modellistica e Simulazione del Comportamento Dinamico di Beccheggio di un Trattore Agricolo

Modellistica e Simulazione del Comportamento Dinamico di Beccheggio di un Trattore Agricolo Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia Facoltà di Ingegneria Modellistica e Simulazione del Comportamento Dinamico di Beccheggio di un Trattore Agricolo Relatore: Prof. Roberto Zanasi Correlatori:

Dettagli

Strane anomalie di un motore omopolare Di Valerio Rizzi e Giorgio Giurini

Strane anomalie di un motore omopolare Di Valerio Rizzi e Giorgio Giurini Strane anomalie di un motore omopolare Di Valerio Rizzi e Giorgio Giurini Gli scriventi, in qualità di studiosi del generatore omopolare hanno deciso di costruire questo motore per cercare di capire le

Dettagli

SENSORI E TRASDUTTORI

SENSORI E TRASDUTTORI SENSORI E TRASDUTTORI Il controllo di processo moderno utilizza tecnologie sempre più sofisticate, per minimizzare i costi e contenere le dimensioni dei dispositivi utilizzati. Qualsiasi controllo di processo

Dettagli

LA CORRENTE ELETTRICA Prof. Erasmo Modica erasmo@galois.it

LA CORRENTE ELETTRICA Prof. Erasmo Modica erasmo@galois.it LA CORRENTE ELETTRICA Prof. Erasmo Modica erasmo@galois.it L INTENSITÀ DELLA CORRENTE ELETTRICA Consideriamo una lampadina inserita in un circuito elettrico costituito da fili metallici ed un interruttore.

Dettagli

CAPITOLO 5 IDRAULICA

CAPITOLO 5 IDRAULICA CAPITOLO 5 IDRAULICA Cap. 5 1 FLUIDODINAMICA STUDIA I FLUIDI, IL LORO EQUILIBRIO E IL LORO MOVIMENTO FLUIDO CORPO MATERIALE CHE, A CAUSA DELLA ELEVATA MOBILITA' DELLE PARTICELLE CHE LO COMPONGONO, PUO'

Dettagli

IL RISPARMIO ENERGETICO E GLI AZIONAMENTI A VELOCITA VARIABILE L utilizzo dell inverter negli impianti frigoriferi.

IL RISPARMIO ENERGETICO E GLI AZIONAMENTI A VELOCITA VARIABILE L utilizzo dell inverter negli impianti frigoriferi. IL RISPARMIO ENERGETICO E GLI AZIONAMENTI A VELOCITA VARIABILE L utilizzo dell inverter negli impianti frigoriferi. Negli ultimi anni, il concetto di risparmio energetico sta diventando di fondamentale

Dettagli

BILANCIAMENTO. 8-1 Bilanciamento statico di un rotore

BILANCIAMENTO. 8-1 Bilanciamento statico di un rotore 8 BILANCIAMENTO Come si è visto al capitolo 7-3.3, quando il baricentro di un rotore non coincide con l asse di rotazione possono insorgere fenomeni vibratori di entità rilevante, talvolta tali, in condizioni

Dettagli

QUESITO 1 A FISICA. Il candidato illustri il primo principio della termodinamica. Consideri poi la seguente

QUESITO 1 A FISICA. Il candidato illustri il primo principio della termodinamica. Consideri poi la seguente QUESITO 1 A Il candidato illustri il primo principio della termodinamica. Consideri poi la seguente circostanza: nel cilindro di un motore avviene una rapida espansione di un gas contro il pistone. Il

Dettagli

Esercizi svolti di Elettrotecnica

Esercizi svolti di Elettrotecnica Marco Gilli Dipartimento di Elettronica Politecnico di Torino Esercizi svolti di Elettrotecnica Politecnico di Torino TOINO Maggio 2003 Indice Leggi di Kirchhoff 5 2 Legge di Ohm e partitori 5 3 esistenze

Dettagli

Prese d aria supersoniche [1-14]

Prese d aria supersoniche [1-14] Politecnico di Milano Facoltà di Ingegneria Industriale Corso di Laurea in Ingegneria Aerospaziale Insegnamento di Propulsione Aerospaziale Anno accademico 2011/12 Capitolo 4 sezione a2 Prese d aria supersoniche

Dettagli

Oscillazioni: il pendolo semplice

Oscillazioni: il pendolo semplice Oscillazioni: il pendolo semplice Consideriamo il pendolo semplice qui a fianco. La cordicella alla quale è appeso il corpo (puntiforme) di massa m si suppone inestensibile e di massa trascurabile. Per

Dettagli

Fondamenti di Automatica

Fondamenti di Automatica Fondamenti di Automatica Progetto di controllo e reti correttrici Dott. Ing. Marcello Bonfè Dipartimento di Ingegneria - Università di Ferrara Tel. +39 053 974839 E-mail: marcello.bonfe@unife.it pag. 1

Dettagli

L idea alla base del PID èdi avere un architettura standard per il controllo di processo

L idea alla base del PID èdi avere un architettura standard per il controllo di processo CONTROLLORI PID PID L idea alla base del PID èdi avere un architettura standard per il controllo di processo Può essere applicato ai più svariati ambiti, dal controllo di una portata di fluido alla regolazione

Dettagli

Meccanica applicata alle macchine. Laurea Triennale in Ingegneria Industriale. Livello e corso di studio ING-IND/13

Meccanica applicata alle macchine. Laurea Triennale in Ingegneria Industriale. Livello e corso di studio ING-IND/13 Insegnamento Livello e corso di studio Settore scientifico disciplinare (SSD) Meccanica applicata alle macchine Laurea Triennale in Ingegneria Industriale ING-IND/13 Anno di corso 2 Numero totale di crediti

Dettagli