Stupefacenti: effetti e conseguenze della sentenza della Corte Costituzionale n. 32 del
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- Flavia Bossi
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1 Stupefacenti: effetti e conseguenze della sentenza della Corte Costituzionale n. 32 del Ringrazio e mi congratulo con i promotori di questo incontro, Camera Penale e ANM sezione di Bari, per la sensibilità e la tempestività dimostrate nell'organizzare una tavola rotonda su una questione tanto spinosa e dagli effetti così rilevanti sulla gestione di migliaia di processi aventi ad oggetto la disciplina degli stupefacenti. Probabilmente neppure la Corte costituzionale ha avuto l'esatta cognizione e consapevolezza di quali e quante sarebbero state le questioni e conseguenze su tutte le fasi processuali, a cominciare dalla formulazione dell imputazione e dalla custodia cautelare (si pensi che le condotte criminose di lieve entità con droghe leggere non consentono più la custodia cautelare in carcere) e finanche sul giudicato, che una pronuncia di illegittimità costituzionale, in pendenza della conversione in legge di una norma che andava a sostituire l'articolo 73 quinto comma, avrebbe provocato, con riferimento alla tematica della successione delle norme penali nel tempo e degli effetti abrogativi delle norme dichiarate incostituzionali, se si considera che non ci si trova di fronte all espunzione dall'ordinamento giuridico di norme incriminatrici, ma alla reviviscenza della normativa preesistente alla legge dichiarata incostituzionale. Prima di entrare nel vivo dell'argomento di cui mi devo occupare, vorrei fare qualche premessa su alcune disposizioni normative collegate alla dichiarazione di illegittimità costituzionale delle norme di legge. Occorre partire dall art. 136 Cost. che stabilisce che quando la Corte dichiara l illegittimità costituzionale di una norma di legge o di un atto avente forza di legge, la norma cessa di avere efficacia dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione (e non dalla data della camera di consiglio o da quella coincidente con il deposito della sentenza). L art. 30, co. 3 L. n. 87/53, in attuazione dell art. 136 della Costituzione, dispone che la norma incostituzionale cessa di avere applicazione dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione della Corte Costituzionale. Dunque, se nel periodo intercorrente tra la data di deposito della sentenza e la data di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale gli effetti più favorevoli per l indagato/imputato si verificano comunque, ai sensi dell art. 2, comma 4, c.p., il trattamento sanzionatorio deteriore produce - invece - irrimediabilmente il suo effetto. Ciò già induce a 1
2 preferire che gli effetti si producano nell ultima data (il giorno successivo alla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale), conformemente ad alcune sentenze della Suprema Corte. Pertanto, gli effetti della sentenza sono entrati in vigore il 6 marzo 2004, il giorno successivo alla pubblicazione della sentenza sulla Gazzetta Ufficiale (n Serie speciale) ed hanno provocato la scomparsa dell art. 73 riformato nel 2006, sicché, cessando l effetto che aveva abrogato il vecchio 73, quest ultimo rivive nell intero testo previgente. La legge Fini-Giovanardi (dl. 30 dicembre 2005 n. 272 convertito il n. 49, in vigore dal 28 febbraio) aveva modificato la legge Iervolino-Vassalli la quale stabiliva, all art. 73 co. 1, la pena della reclusione da otto a venti anni e la multa da euro a euro , per le condotte di cessione, vendita e illecita detenzione di sostanze stupefacenti di cui alle tabelle I e III, e la pena della reclusione da due a sei anni e la multa da a per le stesse condotte riguardanti sostanze di cui alle tabelle seconda e quarta. Aveva, inoltre, unificato il trattamento sanzionatorio anche dei fatti di lieve entità, prevedendo la pena della reclusione da uno a sei anni e della multa da euro 3000 ad euro per qualsiasi categoria di sostanze stupefacenti, mentre in precedenza era prevista la reclusione da uno a sei anni e la multa da euro 2582 ad euro per le droghe pesanti, e la pena della reclusione da sei mesi a quattro anni e la multa da euro 1032 ad euro per le droghe leggere. A seguito della dichiarazione di illegittimità costituzionale, è evidente l'impossibilità di applicare la disciplina della legge Fini-Giovanardi, incostituzionale, alle condotte venute in essere prima della sua entrata in vigore ( ), a prescindere da ogni valutazione di maggior favore della stessa (con riferimento al minimo edittale previsto per le droghe pesanti) e ciò in ossequio agli effetti ex tunc delle sentenze della Corte Costituzionale. Quanto ai fatti commessi durante la sua vigenza, dal 28 febbraio 2006 fino alla pubblicazione della sentenza della corte Costituzionale (6 marzo 2014), le norme dichiarate incostituzionali possono continuare a trovare applicazione, ove più favorevoli, con la doverosa precisazione che, una volta individuata la disciplina complessivamente più favorevole, il giudice è tenuto ad applicarla nella sua integralità, non potendo combinare un frammento della legge dichiarata incostituzionale ed un frammento di quella vigente, giacché in tal modo, come più volte detto dalla Corte di cassazione, si verrebbe ad applicare una terza legge di carattere intertemporale 2
3 non prevista dal legislatore, violando il principio di legalità. Ciò premesso, va rilevato che il D.L n. 146 è stato convertito con modificazioni in legge n. 10, ed ha confermato, sia pure in pendenza del deposito della motivazione della sentenza della Consulta, l'introduzione del nuovo reato di cui al quinto comma dell'articolo 73. Ciò determina una inevitabile sovrapposizione del nuovo V comma -non colpito né direttamente né indirettamente (in quanto non divenuto privo del suo oggetto non rinviando a disposizioni caducate), dalla declaratoria di incostituzionalità, non essendo stata ancora convertita la legge al momento della pronuncia della sentenza della Corte Costituzionale- al testo dell'art. 73 V comma di cui alla versione Iervolino-Vassalli, risuscitato a seguito dell'eliminazione dell'effetto della legge, dichiarata incostituzionale, che lo aveva abrogato. Ne consegue che le ipotesi più gravi saranno sanzionate diversamente a seconda che la droga sia pesante o sia leggera, mentre le ipotesi di lieve entità sono sanzionate indistintamente, determinando una insanabile contraddizione interna all ordinamento che potrà essere risolta solo attraverso un nuovo ricorso alla Corte Costituzionale, avendo a tale proposito la Consulta, nella sentenza di cui ci si occupa, detto espressamente che «la declaratoria di illegittimità costituzionale colpisce per intero le due disposizioni impugnate e soltanto esse, restando impregiudicata la valutazione di questa Corte in relazione ad eventuali ulteriori impugnative aventi ad oggetto altre disposizioni della medesima legge». In realtà, ciò che preoccupa maggiormente non sono gli effetti diretti abroganti derivanti dalla incostituzionalità degli articoli 4 bis e 4 vicies ter, bensì gli effetti indiretti, di cui parlerà la collega Manganelli, relativi alle altre disposizioni introdotte dalla legge di conversione affette dal medesimo vizio di quelle impugnate, e relativi alle altre modifiche normative intervenute dal 2006 in poi, dovendo valutare caso per caso se si tratta di disposizioni caducate che non siano più applicabili perché divenute prive del loro oggetto, ovvero se devono continuare ad avere applicazione in quanto non presuppongono la vigenza degli articoli 4 bis e 4 vicies ter. Si possono ipotizzare alcune possibili soluzioni: 1-ritenere che la reviviscenza, equivalendo all entrata in vigore di una norma prima inesistente, determini l abrogazione delle norme vigenti e incompatibili, ivi incluso anche il nuovo 5 comma, in vigore dal 24 dicembre 2013 (che prevede l irragionevole 3
4 pena indifferenziata della reclusione da uno a cinque anni e della multa da euro 3000 ad euro , a fronte della differenziazione per le ipotesi base), e, conseguentemente, a partire dal 6 marzo 2014 le condotte criminose saranno punite dal vecchio 73. La conclusione eviterebbe la soluzione di un vecchio 73 inglobante il nuovo 5 comma convertito in legge. Per le condotte criminose non ancora irrevocabili al 6 marzo si potrà ricorrere al principio di cui all art. 2, 4 c., CP, tenendo presente che il tempo di commissione del reato attiene all abrogato 73 e che la legge posteriore è il 73 redivivo (se le condotte criminose fossero state consumate vigente la Iervolino-Vassalli, si applicherebbe propriamente il 73 resuscitato). Quindi, per le condotte criminose con droghe pesanti si applica l abrogato 73 che ha un minimo edittale più favorevole (6 anni); per le condotte criminose con droghe leggere si applica il redivivo 73; per le condotte criminose di lieve entità con droghe pesanti il nuovo 5 comma che ha massimo edittale più favorevole (5 anni), da considerare ex art. 2, 6 c., CP; per le condotte criminose di lieve entità con droghe leggere il vecchio 73 co. 5 (che prevedeva la pena massima 4 anni); 2-ritenere che entrambe le norme ora vigenti disciplinanti l ipotesi di lieve entità siano applicabili e soggette alla disciplina dell'art. 2 codice penale comma 4 e 6, con applicazione delle disposizioni più favorevoli al reo, sulla base del tempus commissi delicti, salvo che sia stata pronunciata sentenza irrevocabile; 3-ritenere che la reviviscenza della norma abrogata (che prevedeva le pene della reclusione da uno a sei anni e della multa da euro 2582 a , se si trattava di sostanze stupefacenti di cui alle tabelle I e III previste dall'articolo 14, ovvero le pene della reclusione da sei mesi a quattro anni e della multa da euro 1032 ad euro se si trattava di sostanze di cui alle tabelle II e IV) non ha gli stessi effetti di una norma di nuova emanazione, sicché soccombe rispetto a quest'ultima, che a differenza di quella "recuperata" prevede una fattispecie autonoma di reato, e non anche una circostanza attenuante ad effetto speciale pur stabilendo una pena più favorevole rispetto al passato con riferimento alle sostanze stupefacenti pesanti, ed una meno favorevole con riferimento alle droghe cosiddette leggere; 4-sollevare questione di illegittimità costituzionale della nuova norma di cui al quinto comma dell'articolo 73, per contrasto ed incompatibilità con il comma quinto di cui all'articolo 73 della legge Vassalli, con specifico riferimento ai fatti di lieve entità 4
5 relativi alle cosiddette droghe leggere, per irragionevolezza dell'equiparazione del trattamento sanzionatorio per le ipotesi di lieve entità. Infatti, la Corte Cost. ha affrontato solo il profilo del vizio formale della legge Fini-Giovanardi, non intendendo entrare nel merito circa l equiparazione tra droghe leggere e pesanti, trattandosi di materia rimessa alle scelte discrezionali del legislatore. Ed il legislatore, convertendo il decreto legge del 23 dicembre 2013 dopo che la Corte Costituzionale aveva abrogato la normativa Fini-Giovanardi e giocando d anticipo rispetto alla pubblicazione della decisione della Consulta, ha ritenuto consapevolmente e deliberatamente di non distinguere, nella nuova fattispecie di spaccio di lieve entità, tra droghe leggere e pesanti. Fattispecie di cui all art comma Ritengo personalmente che a tale formidabile pasticcio si possa far fronte solo sollevando una questione di legittimità costituzionale della nuova fattispecie di spaccio di lieve entità per manifesta irragionevolezza della equiparazione del trattamento sanzionatorio, ora inspiegabilmente limitata alle ipotesi di lieve entità. Ed in effetti, un attenta lettura della motivazione della sentenza della Corte Costituzionale impone di concludere per la piena applicabilità dell'art. 73 comma 5 nella formulazione modificata dal decreto legge, avendo stabilito appunto che le norme successive alla Fini-Giovanardi destinate a cadere per effetto della dichiarazione di illegittimità sono solo quelle che siano divenute prive del loro oggetto, in quanto rinviano a disposizioni caducate. Ebbene, il comma 5 non risulta essere stato privato del proprio oggetto dalla caducazione degli altri commi dell'articolo, in quanto per effetto della reviviscenza della previgente disciplina, continuano ad essere puniti, anche se con un trattamento sanzionatorio diverso, gli stessi fatti ai quali il comma 5 si riferisce. Ciò comporta, in estrema sintesi: -I fatti di lieve entità commessi a far data dal 24 dicembre 2013 sono disciplinati dall'art. 2 del citato decreto legge. -Per le condotte poste in essere prima del (data di entrata in vigore della legge di conversione n. 49/2006), l individuazione della legge più favorevole va effettuata avendo presente i trattamenti sanzionatori previsti dal d.p.r. 309/90 (prima della legge Fini-Giovanardi) ed il decreto legge n. 146/2013, 5
6 convertito con modificazioni nella legge n. 10/2014; -Per le condotte poste in essere dal , vale a dire dalla data di entrata in vigore della legge di conversione n. 49/2006, fino al 6 marzo 2014 (giorno successivo alla pubblicazione della sentenza della Corte costituzionale n. 32/2014 sulla Gazzetta Ufficiale), l individuazione della legge più favorevole va effettuata avendo presente i trattamenti sanzionatori previsti sia dal d.p.r. 309/90, sia dalla legge di conversione n. 49/2006 sia dal decreto legge n. 146/2013, convertito con modificazioni nella legge n. 10/2014. Occorre doverosamente premettere che la sentenza della Corte Costituzionale ha espressamente chiarito che risulta evidente che nessuna incidenza sulle questioni sollevate possono esplicare le modifiche apportate all art. 73, comma 5, del d.p.r. n. 309 del 1990 dall art. 2 del decreto-legge 23 dicembre 2013, n. 146 (Misure urgenti in tema di tutela dei diritti fondamentali dei detenuti e di riduzione controllata della popolazione carceraria), convertito, con modificazioni, dall art. 1, comma 1, della legge 21 febbraio 2014, n.10. Trattandosi di ius superveniens che riguarda disposizioni non applicabili nel giudizio a quo, non si ravvisa la necessità di una restituzione degli atti al giudice rimettente, dal momento che le modifiche, intervenute medio tempore, concernono una disposizione di cui è già stata esclusa l applicazione nella specie, e sono tali da non influire sullo specifico vizio procedurale lamentato dal giudice rimettente in ordine alla formazione della legge di conversione n. 49 del 2006, con riguardo a disposizioni differenti. Inoltre, gli effetti del presente giudizio di legittimità costituzionale non riguardano in alcun modo la modifica disposta con il decreto-legge n. 146 del 2013, sopra citato, in quanto stabilita con disposizione successiva a quella qui censurata e indipendente da quest ultima. La Consulta ha anche aggiunto e ciò sembra avere quasi un carattere di ammonimento, che la declaratoria di illegittimità costituzionale colpisce per intero le due disposizioni impugnate e soltanto esse, restando impregiudicata la valutazione di questa Corte in relazione ad eventuali ulteriori impugnative aventi ad oggetto altre disposizioni della medesima legge. Ha precisato che l'atto affetto da vizio radicale nella sua formazione è inidoneo ad innovare l'ordinamento e quindi anche ad abrogare la precedente normativa (sentenze n. 123 del 2011 e n. 361 del 2010), sostanzialmente è tamquam non esset, aggiungendo: Sotto questo profilo, la situazione risulta assimilabile a quella della caducazione di norme legislative emanate in difetto di delega, per 6
7 le quali questa Corte ha già riconosciuto, come conseguenza della declaratoria di illegittimità costituzionale, l applicazione della normativa precedente (sentenze n. 5 del 2014 e n. 162 del 2012), in conseguenza dell inidoneità dell atto, per il radicale vizio procedurale che lo inficia, a produrre effetti abrogativi anche per modifica o sostituzione. Deve, dunque, ritenersi che la disciplina dei reati sugli stupefacenti contenuta nel d.p.r. n. 309 del 1990, nella versione precedente alla novella del 2006, torni ad applicarsi, non essendosi validamente verificato l effetto abrogativo. Si è anche preoccupata la Consulta, con ciò introducendo la tematica relativa al rispetto della giurisprudenza comunitaria ed intendendo chiarire che non di abrogazione di fattispecie incriminatrice si tratta, di precisare che se non si determinasse la ripresa dell'applicazione delle norme sanzionatorie contenute nel d.p.r. 309 del 1990 resterebbero non punite alcune tipologie di condotte per le quali sussiste un obbligo sovranazionale di penalizzazione in virtù della normativa dell'unione Europea, il che determinerebbe una violazione del diritto dell'unione Europea che l'italia è tenuto a rispettare in virtù degli articoli 11 e 117 primo comma della costituzione. Si è perfettamente resa conto la Consulta che la illegittimità costituzionale delle disposizioni impugnate avrebbe comportato la reviviscenza del trattamento sanzionatorio più severo per i reati concernenti le cosiddette droghe pesanti, ma in proposito ha testualmente osservato che gli eventuali effetti in malam partem di una decisione della corte non possono precludere l'esame nel merito della normativa impugnata, e che quanto agli effetti sui singoli imputati, è compito del giudice comune, quale interprete delle leggi, impedire che la dichiarazione di illegittimità costituzionale vada a detrimento della loro posizione giuridica, tenendo conto dei principi in materia di successione di leggi penali nel tempo ex articolo 2 c.p., che implica l'applicazione della norma penale più favorevole al reo. Analogamente, rientra nei compiti del giudice comune individuare quali norme, successive a quelle impugnate, non siano più applicabili perché divenute prive del loro oggetto (in quanto rinviano a disposizioni caducate) e quali, invece, devono continuare ad avere applicazione in quanto non presuppongono la vigenza degli articoli 4 bis e 4 vicies ter, oggetto della presente decisione. Sicuramente complessi sono gli effetti sui fatti di lieve 7
8 entità disciplinati dal comma 5 dell'articolo 73, in ordine al quale si sono succeduti nel tempo tra differenti regimi sanzionatori, suscettibili tutti di attuale applicazione, con la doverosa precisazione che l'ultimo integra un'autonoma fattispecie di reato e non più un ipotesi di reato attenuata. Ed infatti, con il nuovo art. 73 quinto comma, il termine massimo di prescrizione si riduce da 25 anni a sette anni e sei mesi, sia con riferimento alle droghe cosiddette pesanti che a quelle cosiddette leggere. Con riferimento alle droghe pesanti sono certamente più favorevoli le disposizioni conseguenti all'applicazione della fattispecie di reato autonoma, che prevedono un massimo edittale di cinque anni per l'ipotesi consumata (sei anni ai fini prescrizionali), piuttosto che entrambe le precedenti discipline che configuravano solo un'ipotesi attenuata, dunque non valutabile ai fini del computo della prescrizione, ai sensi del comma 2 dell'articolo 157 codice penale. Non si deve dimenticare che la diminuzione della pena per effetto della concessione delle circostanze attenuanti ad effetto speciale non rileva ai fini del computo dei termini di prescrizione, sicché sia per le droghe leggere sia per le droghe pesanti, la pena massima, pari a cinque anni di reclusione prevista dalla nuova fattispecie autonoma di reato, introduce, sotto tale aspetto, in presenza di aggravanti, una disciplina maggiormente favorevole rispetto alle due precedenti contenute nel comma 5 dell'articolo 73, le quali, pur comportando una diminuzione di pena (ci si riferisce in particolare alla pena prevista per i fatti di lieve entità relative alle droghe leggere) non avrebbero potuto incidere sul calcolo del termine di prescrizione. L applicazione delle vecchie norme comporterà notevoli conseguenze sui tempi di prescrizione dei reati. Nulla di diverso per i fatti di reato inerenti le droghe pesanti,per i quali la pena edittale massima è sempre stata pari a 20 anni di reclusione. Diversa è la situazione per le droghe cosiddette leggere, il cui trattamento sanzionatorio è ritornato a quello di sei anni di reclusione nel massimo, ed è notevolmente inferiore a quello previsto dalla norma dichiarata incostituzionale. Per tali fatti, il termine di prescrizione per l'ipotesi consumata è di sei anni, o di sette anni e sei mesi computando le interruzioni, fatta salva l'incidenza delle aggravanti ad effetto speciale, come ad esempio la famigerata recidiva (se contestata) e di quelle che stabiliscono una pena di specie diversa da quella ordinaria. 8
9 Infatti, la presenza di circostanze attenuanti e/o aggravanti, ivi compresa la recidiva, comporta effetti diversificati a seconda dell adesione alla tesi della applicabilità o meno della nuova disposizione di cui all'articolo 73 comma cinque: - l autonoma fattispecie comporta l operatività dei normali criteri di cui agli artt. 63 e ss. c.p. In particolare, nel caso di riconoscimento di attenuanti in presenza di recidiva (o di altra aggravante) si opera il giudizio di comparazione e, in caso di equivalenza, la pena base è quella prevista dalla nuova fattispecie (reclusione da uno a cinque anni e della multa da euro a euro ); nel caso di prevalenza delle attenuanti (oggi consentita in ogni caso dopo la sentenza n. 251/12 della Corte costituzionale) la diminuzione è operata sulla citata pena base; - la reviviscenza dell ipotesi lieve del comma 5 del DPR 309/90 originario comporta che si sia in presenza di una circostanza attenuante (del fatto di lieve entità) che non si sottrae al giudizio di comparazione con le aggravanti eventualmente contestate (spesso la recidiva); di conseguenza, in caso di ritenuta equivalenza, la pena va determinata avendo come riferimento la sanzione fissata per le fattispecie base: per le droghe pesanti pena detentiva da 8 a 20 anni, per le droghe leggere da 2 a 6 anni; nell ipotesi di prevalenza dell attenuante opera solo questa, con la relativa pena. Solo nel caso di ulteriori attenuanti (sempre prevalenti) la diminuzione opera sulla pena prevista per l ipotesi lieve. In conclusione, l adesione alla tesi della reviviscenza del testo originario del DPR 309/90 comporta sempre effetti più sfavorevoli per le droghe pesanti, mentre per le droghe leggere gli effetti, a seconda dei casi, possono essere sfavorevoli accogliendo sia l una sia l altra tesi (ad esempio: se si ritiene la reviviscenza dell ipotesi lieve, nel caso di giudizio di equivalenza con l aggravante si applica la pena da 2 a 6 anni di cui all art. 73 commi 1 e 4, meno favorevole di quella dell ipotesi delittuosa autonoma da 1 a 5 anni; se però prevale l attenuante si verifica l opposta situazione, applicandosi la pena dell ipotesi lieve, da 6 mesi a 4 anni, più favorevole di quella della fattispecie delittuosa autonoma). Giudizio di appello e di cassazione In conseguenza dei nuovi e più ristretti termini di prescrizione derivanti dall introduzione di una fattispecie di reato autonoma, in Corte di appello non si farà in tempo a fissare i processi, che erano stati già calendarizzati con tempi più lunghi, e 9
10 non si potrà evitare l'estinzione dei reati, che dovrà essere dichiarata anche in presenza di una causa di inammissibilità dell impugnazione, qualora la declaratoria di incostituzionalità della norma e la conseguente reviviscenza della precedente disciplina si ripercuota anche sul tempo di prescrizione dell'illecito penale, facendolo maturare. In caso di sentenze non ancora passate in giudicato, con riferimento alle sentenze di patteggiamento per le fattispecie rientranti nel risorto comma 4 dell'articolo 73, per le quali è stato proposto ricorso per cassazione, è presumibile ritenere che tali procedimenti saranno definiti con annullamento senza rinvio, con trasmissione degli atti per l ulteriore corso, in conseguenza dell'illegalità del trattamento sanzionatorio applicato, per consentire alle parti di rinegoziare l accordo su altre basi o di proseguire con il rito ordinario, ovvero con rinvio, essendo venuto meno uno dei termini essenziali del contenuto dell'accordo che ha portato al patteggiamento e dovendosi conseguentemente modificarsi il computo della pena. Stessa sorte riceveranno i ricorsi per cassazione avverso le sentenze di appello (anche se il ricorso sia inammissibile trattandosi di questione che la Cassazione deve rilevare d ufficio ex art. 609 co. 2 cpp), perché occorrerà procedere ad una nuova valutazione di merito sull'entità della pena con l'uso del potere discrezionale del giudice, a meno che dalle sentenze dei due gradi di merito risultino espresse valutazioni di fatto, suscettibili di inequivoca riapplicazione della pena. Ed infatti quando, al fine di dichiarare l'intervenuta prescrizione, non occorrono valutazioni di fatto, la Corte di cassazione può applicare d'ufficio la disciplina più favorevole successiva alla presentazione del ricorso, ai sensi dell'articolo 619 comma 3 cpp. Sentenze passate in giudicato I problemi più grossi sembrano quelli che si proporranno in sede di esecuzione, se non interverrà il legislatore con un apposita disciplina transitoria. Come statuito anche nell ordinanza della Suprema Corte sez. I, , l art. 673 c.p.p. è norma successiva all art. 30 l. 87/1953, ed ha implicitamente abrogato, assorbendone completamente la disciplina, il comma 4 del predetto art. 30, che stabilisce che quando in applicazione delle norme dichiarate illegittime è stata pronunciata sentenza irrevocabile di condanna, ne cessano l'esecuzione e tutti gli effetti penali. 10
11 L art. 673 c.p.p. prevede la revoca della sentenza di condanna solo in ipotesi di abrogazione o dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma incriminatrice, non anche nel caso, come nella specie, in cui v è stata la reviviscenza della vecchia disposizione e la condotta continua ad essere prevista come reato. Ciò dovrebbe significare che in fase di esecuzione la modifica non dovrebbe comportare alcun effetto, ex art. 2 co. 4 c.p., che fa sempre salvi i casi di pronuncia di sentenza irrevocabile; per il resto, nel caso di successioni di leggi nel tempo, la disciplina più favorevole va individuata in concreto, con riferimento al caso specifico sottoposto all'esame del giudice. Secondo alcuni permane il cd. valore costitutivo (ex nunc) della sentenza d'illegittimità dettato dall'art. 136 della Cost. e la generale intangibilità del giudicato; l'efficacia ex tunc non é automaticamente conferita dall'art. 30 della legge costituzionale n. 87/53, la quale con l'art. 30 incide sul cd. effetto abrogativo, meglio delineando le conseguenze stabilite dall'art. 136 Cost.: in pratica, elimina l'efficacia del tempus regit actum; il 673 c.p.p. permette il travolgimento del giudicato solo con riguardo al fatto (norma incriminatrice) che non é più reato, e non quando rivive una fattispecie incriminatrice precedente. Si obietta da altri che l'ultimo comma dell'art. 30 della legge 87/1953 dice che "quando in applicazione della norma dichiarata incostituzionale è stata pronunciata sentenza IRREVOCABILE di condanna, ne cessano la esecuzione e tutti gli effetti penali". In proposito la giurisprudenza della cassazione è divisa, attribuendo talune decisioni, al comma 4 dell art. 30, uno spazio autonomo e più ampio rispetto all art. 673 c.p.p., perché impedisce anche l'esecuzione della pena o della frazione di pena inflitta in base alla norma dichiarata costituzionalmente illegittima. Ritengo che, allo stato, occorra attendere la decisione sul punto delle Sezioni Unite (l udienza è stata fissata per il prossimo 29 maggio, rel. Ippolito), che, a seguito dell ordinanza del 20 novembre 2013 della prima sezione penale della corte di cassazione, sono state investite della seguente questione di diritto oggetto di contrasto giurisprudenziale: se la dichiarazione di illegittimità costituzionale di una norma penale sostanziale, diversa dalla norma incriminatrice (nella specie l'art. 69 comma 4 c.p., a seguito della sentenza della Consulta n. 251 del 2012), comporti, oppure no, la rideterminazione della pena in executivis, così vincendo la preclusione del giudicato. Bari,
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