Il Dio del per-dono : dono ricevuto e testimonianza cristiana attiva nella città e nel mondo

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1 Il Dio del per-dono : dono ricevuto e testimonianza cristiana attiva nella città e nel mondo 1 P. Gustavo Gutiérrez Voglio anzitutto ringraziarvi per l invito e per questa opportunità di condividere alcune riflessioni sulla fede e la speranza che abbiamo in comune. Voglio anche ringraziare per la presenza di tanti missionari italiani nel mio Paese, tra i quali ho molti amici. Ho conosciuto molto bene don Sandro Dordi [sacerdote Fidei Donum della diocesi di Bergamo, assassinato a Chimbote, Perù, il 25 agosto 1991, da Sendero Luminoso. È in corso la causa di beatificazione, ndr], e sono stato molto vicino alla terribile vicenda della sua morte. Desidero presentare il mio tema in tre punti. Il primo riguarda la nozione di evangelizzazione e la sua realtà. Il secondo esamina il significato di quello che noi chiamiamo la povertà e la condizione dei poveri. Il terzo punto è una piccola riflessione sulla memoria che la Chiesa deve fare della testimonianza di Gesù. Per quanto riguarda il primo punto, vorrei cominciare commentando brevemente tre frasi. La prima è di Paolo VI, che nell Evangelii Nuntiandi ha detto: La Chiesa esiste per evangelizzare (EN 14). Possiamo capire questo punto dicendo che evangelizzare è la ragion d essere della Chiesa; non si può dire che la Chiesa prima esiste e dopo evangelizza, ma esistenza e impegno per l evangelizzazione sono una sola cosa. Se la Chiesa non evangelizza non è Chiesa, ma solo un gruppo di persone. L evangelizzazione è una tematica molto importante nell Evangelii Nuntiandi, la quale può guidarci nel comprendere cosa sia l evangelizzazione. La seconda frase è ben detta da papa Francesco: Evangelizzare è rendere presente nel mondo il Regno di Dio (EG 178). E semplicemente questo: avere al centro della predicazione Gesù, venuto per dire che il Regno è qui, anche se non ancora pienamente. Credo che questa definizione di evangelizzazione sia molto bella. La terza frase viene ancora da papa Francesco: La prima motivazione per evangelizzare è l amore di Dio che abbiamo ricevuto (EG 264). Senza amore non c è evangelizzazione, come è detto nel Vangelo di Giovanni: dobbiamo amare come Gesù ama e ha amato. Un altra frase dei vangeli sinottici dice: Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date. L accento si pone sulla gratuità dell amore di Dio e questo è stato molto presente nel lavoro dei missionari nel secolo XVI, soprattutto in Bartolomé De Las Casas che ripeteva: Dobbiamo dare gratuitamente. Parole molto concrete, perché egli aveva un idea potremmo dire teologica per interpretare l arrivo degli europei nel continente latinoamericano, da lui visto come una ricompensa. Diceva, infatti: Siamo gratuitamente figli di Dio e dobbiamo avere una condotta gratuita verso le popolazioni indigene. Qui c è una questione centrale per tutta la Bibbia nell Antico e nel Nuovo Testamento circa la gratuità dell amore di Dio. Quando dico gratuito non intendo arbitrario, anche se sfortunatamente a volte ha avuto questo senso. Gratuito è l amore per le persone al di là dei loro meriti. Lo abbiamo visto in questi giorni parlando del libro di Giona.

2 Quello che Giona non ha colto è proprio la gratuità dell amore di Dio; egli, che era un credente, non ha saputo comprendere il senso dell amore di Dio che guarda lontano e che vale per tutte le persone. Come è stato detto più volte in questi giorni, c è un documento molto interessante del Concilio, l Ad Gentes, che parla della nozione di evangelizzazione e ha allargato il senso della missione, che precedentemente era stato ristretto. Il Concilio ha recuperato il senso globale dell evangelizzazione e nei primi cinque capitoli di questo documento è affermata con molta chiarezza una questione che sembra teorica, ma che è molto importante: e cioè, che l evangelizzazione della Chiesa è un prolungamento delle due missioni trinitarie, del Figlio e dello Spirito Santo. Questo è molto importante perché fa derivare l evangelizzazione della Chiesa direttamente dalla Trinità e mostra che la missione della Chiesa viene da lontano e attraversa tutta la storia umana. Questi cinque capitoli sono stati scritti dal padre Yves Congar e rappresentano un testo teologico molto importante. La missione deve creare comunione con la Trinità. La comunione della Trinità è una comunione col Dio della nostra fede e una comunione fra gli esseri umani, fra noi. Questo è il senso di una parola molto importante nella Bibbia per definire comunione, che in greco è koinonia, e che nel contesto biblico ha tre significati: la koinonia fra le tre Persone divine; la koinonia dell essere umano con Dio; la koinonia tra le persone, come ad esempio la colletta per aiutare i poveri. Questo punto sembra un po teorico, bello ma poco concreto. In realtà, questo fondamento teologico dell annuncio del messaggio di Gesù è una questione molto importante, superiore alla nostra comprensione. Oggi parliamo molto di nuova evangelizzazione. Vorrei dire che l espressione: Abbiamo bisogno di una nuova evangelizzazione è stata usata spesso in questi tempi, a partire da un testo latinoamericano in preparazione alla conferenza di Medellin (1968), dal titolo Nuova evangelizzazione. Ricordo questo fatto per sottolineare da quale idea di nuova evangelizzazione si è partiti: va cambiato il nostro punto di vista perchè la maniera di vedere le cose è importante per capire la realtà e annunciare il Vangelo là dove siamo chiamati. Termino questa prima parte ricordando un testo dei vangeli. Come sapete, c è una narrazione che si ritrova più o meno nella stessa forma in sei momenti, è l unico testo nel Vangelo che è ripetuto tante volte. E quello della moltiplicazione dei pani e dei pesci. Possiamo ipotizzare che, se questo episodio è stato raccontato parecchie volte (si può dire che questo miracolo è l unico che Giovanni racconta e che coincide con gli altri vangeli), farne memoria sia particolarmente importante perché contiene un messaggio: più che la capacità di moltiplicare il pane (che noi non possediamo), l episodio mette in luce l importanza di condividerlo con i fratelli. La comunione (koinonia) è una riunione contrassegnata dal fatto di entrare in contatto con altre persone. Non abbiamo alibi per non condividere. Si dice che dovevano essere saziate cinquemila persone dopo la predicazione di Gesù, e lui era preoccupato per la loro fame fisica, dato che la fame spirituale era stata placata dalle sue parole. Condividere il cibo per tutti, a partire da cinque pani e due pesci, è una parabola che spiega come ogni cristiano non deve cercare di avere tante cose, ma deve condividere con gli altri ciò che ha. Ogni cristiano deve condividere la gioia, la compassione, e la consolazione di essere amato da Dio. La parola compassione non è un sinonimo di simpatia, ma la stessa parola: la 2

3 prima deriva dal latino, l altra dal greco, ma sono esattamente la stessa parola. La compassione non è solo avvicinare il nostro prossimo sofferente, ma anche gli altri. La simpatia è una maniera particolare per parlare di fraternità. Il Regno di Dio è condividere, e la possibilità di condividere è per noi sempre presente. I quattro vangeli parlano anche del numero delle ceste che sono utilizzate per distribuire il cibo: dodici. Perchè non cinque o dieci? Perchè dodici è il numero del Popolo di Dio, delle tribù, degli apostoli di Gesù. Mi sembra che queste dodici ceste rappresentino una sfida storica che chiede agli apostoli di fare come Gesù: condividere. Questa presenza nei vangeli e nella Bibbia è molto simbolica e probabilmente è questo il senso della moltiplicazione dei pani. Non si tratta soltanto di un miracolo: c è un messaggio importante riguardante il Regno di Dio. Come secondo tema vorrei parlare della realtà della povertà e dei poveri. La Chiesa di tutti è specialmente la Chiesa dei poveri. Credo che nel secolo passato ci sia stato un cambio nella percezione della povertà anche grazie ad un intuizione di papa Giovanni XXIII che ne ha parlato nel settembre del 1962, un mese prima dell inizio del Concilio. La Chiesa ha sempre ripetuto questo nei secoli, da Gesù ad oggi; nel Concilio tale tema è stato molto presente, anche se nei documenti conciliari non vi è molto spazio. Il difensore del tema della povertà è stato il cardinal Lercaro, grande personalità che ha molto insistito su questo alla fine della Prima Sessione, dicendo apertamente che Il tema del Concilio deve essere la povertà e l annuncio del Vangelo ai poveri. Dopo di questo possiamo parlare di tante altre cose, partendo da questo punto. Egli fu ascoltato con molto rispetto, e questo stimolo è stato molto importante per la Chiesa latinoamericana. Medellin è una conferenza celebrata tre anni dopo la fine del Concilio e abbiamo cercato di rispondere alla preoccupazione di papa Giovanni XXIII. Credo che questa percezione sia presente oggi e vorrei indicarne due caratteristiche. La prima caratteristica è molto importante per la riflessione teologica e per l annuncio del Vangelo, ed è che la povertà è una realtà molto complessa. Di solito, si pensa subito all aspetto economico del problema, e questo è vero; è un aspetto molto importante, ma non l unico. E cambiato il modo di leggere questa complessità perché sono state messe in luce altre caratteristiche della povertà legate all aspetto culturale, razziale, di genere. Ciò comporta un interpetazione più estesa e profonda di quello che chiamiamo povertà, ricordando una frase di un poeta francese, Verlaine, che diceva: Quello che è più profondo nell essere umano è la pelle. Certamente si tratta di un paradosso perchè la pelle è la superficie esterna del corpo, ma è molto importante perchè il suo colore è assai rilevante quando si parla di povertà: ci sono tanti motivi legati alla differenza di razza. Anche la condizione femminile è spesso una condizione di povertà, sebbene ontologicamente non sia povertà, ma socialmente lo è. L appartenenza ad una cultura non occidentale è una condizione di povertà che è multidimensionale, una realtà di cui l evangelizzazione deve tenere conto. Questa complessità è stata presente nella conferenza di Medellin. Non voglio sminuire l importanza del fattore economico, ma la povertà è qualcosa di più ampio. L altra caratteristica che vorrei anche ricordare, è quella delle cause della povertà. Per molto tempo l umanità e la Chiesa hanno accettato la povertà come un fatto naturale, quasi una fatalità. Certe persone venivano al mondo ricche, altre 3

4 povere, come un fatto naturale. Certamente non è così. La povertà nella sua complessità è una creazione nostra, di noi esseri umani, noi facciamo e abbiamo fatto la povertà, perciò se le cose stanno così dobbiamo vedere che la solidarietà con i poveri, la lotta contro la povertà non è una questione puramente economica ma è una questione di mentalità: la mentalità della superiorità maschile sulla realtà femminile è una categoria mentale certamente falsa che dobbiamo cercare di cambiare. Vivere la solidarietà con il povero non è soltanto aiutare queste persone, ma lottare contro le cause di questa condizione. Ricordo un grande Congresso Eucaristico a Filadelfia negli Stati Uniti (1976) a cui non ero presente, ma che ho ascoltato alla radio. Una persona molto importante nella Chiesa ebbe a dire: Vengo da un continente povero. Voi nordamericani siete ricchi e avete il dovere di aiutare le persone del mio continente, del mio Paese. In un altro momento, Hélder Câmara, che era arcivescovo di Recife in Brasile, ha cominciato alla stessa maniera: Io vengo da un continente povero e siamo poveri perché abbiamo le multinazionali, con contratti di lavoro ingiusti e voi dovete aiutare questi Paesi dell America Latina, denunciando l ingiustizia e chi l ha appoggiata, come il governo nordamericano. Ha avuto poco tempo per parlare. Parlare di cose scomode è sempre conflittuale per tante persone, ma questa è la realtà. Questa complicità ha tante cause all interno dei nostri Paesi anche le persone che vivono nei Paesi poveri non sono esenti da colpa per la povertà che esiste nel loro Paese. Questo è un po più complicato. Il povero è l insignificante, considerato così dalla nostra società. Abbiamo una piccola frase di una filosofa, Hannah Arendt, che ha coniato un espressione: Il povero è quello che non ha il diritto di avere diritti, mangiare, avere una casa il povero è colui che noi diciamo insignificante. Insignificanza per ragioni economiche, razziali, culturali o di genere. Questo complica molto la situazione ma è la realtà con cui dobbiamo confrontarci. Io penso che l aiuto immediato ai poveri sia sempre importante, ma oggi non è l unica cosa da fare. Sappiamo che la povertà è creata da noi. Per questa ragione dobbiamo avere una visione più complessa ed esigente della povertà, sennò possiamo avere difficoltà. Papa Francesco ce lo ricorda: la povertà non è soltanto una questione statistica, che fa analisi utili ma non sufficienti. Vorrei ricordare un secondo punto, il significato biblico della povertà. A mio parere, abbiamo tre modi di comprendere e di parlare della povertà: uno, certamente molto presente nella Bibbia, la povertà materiale, preferirei dire reale. È una povertà scandalosa. Dopo il Concilio, in America Latina, la riflessione teologica si è centrata sullo scandalo della presenza di una terribile povertà in un continente anche oggi certamente considerato cristiano. E l aspetto più rilevante della povertà. L altro modo è quello della povertà spirituale. C è qualche confusione intorno a questo tipo di povertà. E un espressione metaforica: la povertà reale viene usata per definire quella spirituale. Ma per questo c è un altra metafora più adatta: quella dell infanzia spirituale. Un ottantenne può avere un infanzia spirituale Ciò significa mettere la nostra vita nelle mani di Dio. Perciò è chiamata povera: è il nostro confidare in lui. Il povero spirituale è il discepolo, o meglio, il santo. Quando parliamo dell opzione preferenziale per i poveri, parliamo dei poveri reali, non dei poveri spirituali. Questi ultimi sono pochi, veramente. Fare l opzione per i santi è 4

5 molto facile: l opzione per questa gente sofferente, invece, no. La povertà spirituale si può leggere nelle Beatitudini di Matteo quando dice beati, felici i poveri spirituali, i discepoli che mettono la loro vita nelle mani di Dio. Ciò non avviene in un giorno; è un cammino. Qualcuno parla anche del povero spirituale come dell ignorante, del peccatore: la Bibbia non dice mai che il peccatore è un povero spirituale La povertà spirituale è la santità. Conseguenza di questo è la terza nozione di povertà: la povertà volontaria, presente nella Bibbia e nel messaggio di Gesù. Viene dalla povertà reale, perché la solidarietà con i poveri reali chiama ad essere come loro povero reale, vivendo le difficoltà che nella vita vivono i poveri reali; per esempio, l arcivescovo Romero ha scelto una povertà volontaria, a fianco dei poveri del suo Paese. Ha ricevuto critiche (e non solo) da molti. Vi è anche povertà spirituale, in quella volontaria: come mettere la nostra vita nelle mani di Dio, se abbiamo altri dei? La povertà volontaria esige poi una certa povertà materiale: non possiamo solo dire di imitare la vita dei poveri. Il povero appare insignificante: se la nostra società non accetta questo, se non lo consente, non possiamo dire di sentirci in solidarietà con i poveri. E quello che ha fatto Romero, e perciò è stato assassinato. La sua povertà volontaria ha incontrato resistenza in altre persone. Un filosofo francese protestante, Paul Ricoeur, diceva che non siamo veramente con i poveri se non siamo contro la povertà: essere contro la povertà è una maniera di essere con i poveri. Per finire, sulla povertà, direi questo: la povertà in ultima analisi significa morte. Morte fisica e culturale. I missionari del secolo XVI avevano questa espressione: Gli indigeni stanno morendo prima del loro tempo. Questo accade oggi, per i poveri dell umanità. La gente muore ancora per le malattie. Credo che la povertà sia questo, anche dal punto di vista culturale. Se noi non valorizziamo una cultura, in un certo modo uccidiamo le persone che vi appartengono: è una questione molto importante. Questa maniera di vedere la povertà ha condotto all opzione preferenziale per i poveri. Vorrei enfatizzare un solo punto: diciamo preferenziale, perché vogliamo sottolineare che l amore di Dio è per tutte le persone, è universale, senza distinzione, e allo stesso tempo va prima ai poveri reali, perciò diciamo preferenziale. Dal momento che non sono solo i poveri che devono ricevere il nostro amore, non è facile per noi comprendere l opzione per gli ultimi di questo mondo. Passiamo al terzo punto: la memoria. La memoria è un tema molto importante nella Bibbia. Ricorda, Israele, è un espressione molto frequente. Vorrei dire che noi cristiani abbiamo e dobbiamo vivere due memorie. Una è la memoria - che conosciamo benissimo - dell Ultima Cena. Nell Ultima Cena, Gesù dice: Fate questo in memoria di me ; non dice soltanto di cenare, ma di fare memoria di me; un ricordo, una memoria della vita, dell insegnamento, della passione, morte e resurrezione di Gesù. Tutto questo per dare, per esprimere la nostra gratitudine, per ringraziare: è questa l Eu-caristia. L altra memoria invece si trova nel vangelo di Giovanni ed è la lavanda dei piedi. Nel vangelo di Giovanni non abbiamo la narrazione dell istituzione dell Eucaristia; si può dire che il racconto della lavanda dei piedi, sostituisce quello dell istituzione dell Eucaristia. Gesù lava i piedi dei discepoli e dice Vi ho dato 5

6 l'esempio, perché come ho fatto io, facciate anche voi, in servizio umile per gli altri. La simbologia della lavanda dei piedi è accogliere la persona, è dirle: Tu qui sei un bene. Abbiamo queste due memorie e non possiamo fare la scelta di una sola di queste memorie, perché entrambe sono legate. Eucaristia e fare qualcosa per le altre persone, sono una sola cosa. Possiamo ricordare una frase della lettera di Giacomo: La fede senza le opere è morta. La Cena, l Eucaristia, il ringraziare senza opere, senza comunicare e condividere con gli altri l amore di Dio, è pure cosa morta. Per concludere, Giona è un credente, ma rifiuta di agire secondo la fede dell amore gratuito di Dio. Non ha capito che il Dio della sua fede è un Dio di tutti. Questo capita oggi anche a tanti di noi. Quando si dice il Dio del per-dono, dono qui significa regalo, per- è un superlativo, dunque il perdono è un grande regalo. Dobbiamo però comprendere che non c è un regalo senza un esigenza. Le Beatitudini sono molto chiare in questo. Dobbiamo amare come Gesù ci ha amato. Gesù ringrazia parecchie volte e contemporaneamente è attento alla storia del suo tempo. Credo che accettare il dono di essere figli di Dio significa essere chiamati a vivere come amici, come fratelli. In tedesco, dono si può tradurre con un espressione che significa Grazia. Grazia si dice anche Gabe, cioè dono, mentre compito, esigenza si dice Aufgabe, per-dono. La vita cristiana si muove tra Gabe e Auf-gabe, tra la Grazia e l esigenza. Il vescovo di San Salvador, Romero, credo abbia mostrato questo. Le due grandi dimensioni della vita cristiana sono la preghiera, e l azione per cambiare quello che non è degno della persona umana. Mi pare di capire che non ci sia opposizione tra le due, e questo è fondamentale per chi crede in un Dio incarnato. Risposte agli interventi in sala D.: Quanto le sembra che oggi in questo contesto la Chiesa sia profetica? R.: Credo che ci siano molte contraddizioni nella Chiesa e allo stesso tempo credo che sia giusto parlare di una Chiesa profetica. Non tutta la Chiesa va in questa direzione ma ci sono tanti casi in questi ultimi tempi. Quando vedo nel mio Paese, nel mio continente, tante persone nate in Occidente che sono lì da anni, da decenni, per lavorare tra i più poveri, vedo una Chiesa profetica, e devo dire che vedere tante persone impegnate, alcune pure uccise, è un sostegno alla mia fede. Bisogna usare molta modestia e umiltà quando parliamo di Chiesa profetica, perché soltanto Dio sa quanto lo sia. Ho ricordato all inizio il nome di una persona che ha dato la sua vita per il lavoro tra i poveri in una piccola città portuale del Perù, ma capisco che anche una vita di missione è solo una goccia nel mare di un problema che è mondiale. D.: Faccio molta fatica a capire la frase che si trova nel vangelo di Giovanni (12,8), quando Gesù si trova a casa di Lazzaro, e Maria utilizza trecento grammi di profumo; Giuda la critica e Gesù risponde: I poveri li avete sempre con voi. La 6

7 Teologia della Liberazione si fonda sul fatto che la povertà non è una condizione naturale inevitabile, questa frase di Gesù si pone in contraddizione R.: Ringrazio per la domanda. Gesù difende questa donna e dice: I poveri li avete sempre con voi, frase che riprende il Vecchio Testamento, nel Deuteronomio (15,4.7.8), dove si indica la meta: Non vi sarà alcun bisognoso tra di voi Se vi sarà in mezzo a te qualche tuo fratello che sia bisognoso non chiuderai la mano anzi, gli aprirai la mano, ovvero dobbiamo avere solidarietà con i poveri, aprire la mano e il cuore. I poveri li avete sempre con voi è una constatazione di fatto, non una resa. Se il povero coincidesse come alcuni dicono - con il peccatore, si aprirebbe un altra prospettiva, del tipo: Non ci sarà alcun peccatore fra voi; se ci sarà in mezzo a voi qualche peccatore voi dovrete perdonarli i peccatori li avete sempre con voi. Questo significherebbe arrendersi alla realtà di fatto, ma non lo si può fare di fronte alla povertà materiale. D.: Più che una domanda, un parere. Quindici anni fa sono stato in Ecuador e ho visitato una famiglia in missione alla periferia di Guayaquil, in una baraccopoli dove vivevano in case sulle palafitte. Sono stato quest anno a Sydney, e in periferia c era un altro tipo di favela. Che differenza c è tra le due? Nelle case della periferia australiana c è una solitudine impressionante perchè le persone dal venerdì pomeriggio si riempiono di birra e si chiudono dentro fino al lunedì mattina quando vanno a lavorare. Vogliamo portare l annuncio alle persone mettendole in guardia contro il male, che è dentro di noi. R.: Il tempo ci aiuta a capire una persona, una cultura, ma saremo ricompensati se sapremo ascoltare prima di parlare. E questa la via per entrare in un mondo che non è il nostro. D.: La Chiesa non si rinnova con documenti, discorsi, desideri La Chiesa si rinnova quando cambia le sue strutture e i documenti rinnovano la Chiesa quando vengono tradotti in scelte strutturali che cambiano una Chiesa canonicamente definita. Allora, se lei sognasse di poter cambiare la Chiesa e quella italiana in particolare, da dove comincerebbe? Che cosa possiamo fare per camminare verso il suo sogno? R.: Cambiare la Chiesa cambiare i vescovi non cambiate il Papa, per favore! Il rinnovamento della Chiesa non è solo questione di piani, idee, strutture, sono soprattutto le persone che devono cambiare per passare il testimone. Quando parliamo di Chiesa dobbiamo pensare che noi ne siamo parte e chiederci cosa abbiamo fatto personalmente o nelle nostre piccole comunità. Per esempio, credo che la conversione personale sia necessaria, e per questo riprendo quanto detto nel Deuteronomio: sempre ci saranno difficoltà, sempre ci sarà il sogno che non ci siano più poveri in mezzo a noi. Alla fine del Discorso della Montagna si dice: Siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste. Il problema è andare in questa direzione, riconoscendo le difficoltà di altre posizioni, ma il sogno di una Chiesa migliore non deve finire solo perchè vediamo cose che non vanno bene. Dobbiamo pensare prima alle nostre responsabilità. D.: Due domande che scaturiscono dai grandi temi che ha trattato: l immigrazione e la presenza dell Islam in Italia. Di quest ultimo si parla come di una 7

8 contrapposizione tra bene e male. Non è certamente così, ma le nostre comunità sono disorientate R.: Credo che questi due problemi, immigrati e Islam, siano molto presenti soprattutto qui in Europa e nel Nord America. L America Latina è piuttosto terra di emigranti, di gente che parte. Il problema è molto complesso: da una parte credo che la persona sia la cosa più importante e allora una persona ha diritto alla vita, e una società ha anche il diritto di evitare difficoltà che turbino l ordine sociale. Credo che essere aperti all immigrazione sia un fatto presente nella storia dell umanità e ora per le distanze geografiche ridotte dalla globalizzazione, la diseguaglianza tra Paesi ricchi e Paesi poveri è destinata a continuare; la povertà è un fatto molto importante e l immigrazione è un problema non soltanto per i Paesi che ricevono, ma soprattutto per quelli da cui le persone partono. E un problema internazionale, e solo a questo livello ci si può permettere di fare qualcosa per cambiare la situazione. Ma è sempre la povertà il motivo più forte che spinge le persone a partire. Diverso è il tema dell Islam: dobbiamo conoscere di più e meglio questa cultura, a volte parliamo dell Islam a partire da ciò che accade in questi giorni, cioè fatti di violenza localizzati in varie parti del mondo. Ma non possiamo dire che tutto il mondo musulmano è così. Credo che la grande difficoltà sia innanzitutto l aspetto internazionale. Allo stesso tempo noi cristiani dobbiamo imparare a conoscere meglio questa cultura. Ricordo il film sui monaci di Tiberine uccisi in Algeria, Des dieux et des hommes: i monaci avevano capito questo mondo, questo popolo e il testamento del superiore della comunità è bellissimo. Sono martiri, ma avevano capito profondamente la gente in mezzo a cui vivevano il Vangelo. Il problema qui non è economico, come il lavoro per i migranti, ma riguarda una religione presente nell umanità che dobbiamo conoscere di più, pur riconoscendo che in alcune circostanze la questione è molto difficile e delicata. D.: Una volta la missione era andare all estero, adesso l estero viene da noi. Abbiamo fronteggiato situazioni di continua emergenza, di certo dobbiamo ricordare che la Chiesa è un avamposto della missione. C è ancora la possibilità di levarsi i calzari e considerare il territorio di missione come un territorio sacro anche se si è spostato e non è più all estero ma dentro i nostri confini? R.: Ad Gentes parla della missione come del compito di tutta la Chiesa, solo in seguito indica differenti momenti e situazioni, come le condizioni del Paese in cui si fa missione. Non bisogna stancarsi di ripetere che la missione è una testimonianza, un dialogo, soprattutto, senza imposizioni forzate come purtroppo è avvenuto nell arco della storia. Imporre una cultura è una maniera di forzare altre persone, mentre il dialogo capisce le ragioni dell altro: la missione non è proselitismo, ma è attrazione. D.: Stasera è serata di emozioni Romero, santo subito? R.: Ho sentito persone nel mio continente che chiamano Romero già santo, senza che ci sia stata la proclamazione ufficiale. La gente ha bisogno di dare un nome alle strade, alle chiese, di avere un giorno in cui ricordare un santo credo che per Romero sarà il 24 di marzo, giorno della sua uccisione mentre celebrava la Messa. 8

9 Al di là del processo di beatificazione, c è un grande consenso su di lui per la dolorosa ricchezza che rappresenta per la Chiesa latinoamericana. D.: Nei seminari e nella formazione è presente un apertura formativa all ad gentes? Quali difficoltà nella formazione dei preti in America Latina? R.: Personalmente non ho un esperienza lunga di insegnamento per chi si prepara a diventare prete in seminario. Nel mio Paese non sono mai stato professore di teologia, ma ho sempre lavorato molto nella pastorale. Sono stato venticinque anni nella stessa parrocchia, ma ho sentito e visto molti studenti. La realtà è molto diversa a seconda dei Paesi e dei momenti che si attraversano. Immediatamente dopo il Concilio, la situazione andava meglio. Abbiamo avuto in America Latina cambiamenti politici e una riflessione teologica importante. Oggi si deve ripensare la formazione ma per questo abbiamo bisogno di un certo impulso, come quello che abbiamo ora da papa Francesco, e credo che certe cose possano cambiare. Credo che la teologia da manuale non sia molto interessante e che la predicazione nella Chiesa sia oggi una cosa molto fragile perchè quelli che predicano non conoscono bene la Bibbia... ma l omelia, un dialogo sulla lettura è ben altro! Ci sono molte eccezioni, ma la teologia deve avere lo scopo di rispondere alle sfide della realtà. D.: Dobbiamo lottare per la giustizia sociale? R.: In America Latina c è stata una reazione contro la Teologia della Liberazione, che è un modo di interpretare la realtà della Chiesa oggi, a partire dall America Latina. Anche i media hanno tanto attaccato questa realtà. Nel 1987, durante una Conferenza di militari delle Americhe del Nord e del Sud, si parlava di Teologia della Liberazione tanto interesse è molto curioso, e un po comico! Mai i militari europei hanno tenuto un meeting per parlare di teologia! L idea centrale che circola è che la Teologia della Liberazione si oppone alla civiltà cristiana e occidentale, e i militari in America Latina sono molto presenti in tutti gli ambiti della società. Le teologie sono in relazione con il tempo che si sta vivendo, non esiste una teologia eterna: la riflessione ha bisogno del momento storico, in dialogo col pensiero umano. Mi chiedono spesso: Se si dovesse scrivere la Teologia della Liberazione adesso, lei scriverebbe le stesse cose? No sì forse sì! Un giorno ho trovato un modo per rispondere a un uomo che mi faceva la stessa domanda. Amico mio, sei sposato? Potresti scrivere oggi una lettera a tua moglie così come gliela scrivevi quando eravate fidanzati? Lui mi ha risposto di no, e io gli ho detto: E la stessa cosa per me, la stessa situazione. Per me, fare teologia è scrivere una lettera d amore al Dio della mia fede, dalla Chiesa a cui appartengo, dal mio popolo. Questo è il mio modo di fare teologia; non posso scrivere le stesse cose, perchè il tempo matura molte cose. Dobbiamo comprendere cosa è la teologia. Essa ha le radici nella spiritualità, ed è orientata alla predicazione. Evangelizzare è molto più importante che fare teologia, ma questa serve a mettere in relazione il messaggio di Gesù con la sequela di Gesù e la sua presentazione all esterno. Se la collocazione della teologia è questa, gli studenti possono avere un interesse più forte per studiare teologia, ma se è solo un esercizio scolastico non attrae i giovani. 9

10 L opzione preferenziale per i poveri rappresenta il 90% della Teologia della Liberazione: il punto è comprendere, come ha detto papa Francesco, che l opzione per i poveri è una questione teologica, non è una questione soltanto sociologica. E una sfida a rispettare il messaggio di Gesù. Dopo Puebla, Santo Domingo, Aparecida, la Teologia della Liberazione è stata accettata. Ad Aparecida, due persone sono state determinanti: Benedetto XVI con il suo discorso sull opzione preferenziale per i poveri, e l allora cardinal Bergoglio che ha dato la sua supervisione al testo finale, in cui al centro di tutto sono sempre richiamati i poveri. L amore di Dio è universale, ma l opzione preferenziale è per i poveri. Monsignor Romero diceva: C è un solo modo per sapere se siamo vicini a Dio: se siamo vicini ai poveri, siamo vicini a lui. I poveri sono il nostro mondo. L opzione preferenziale per i poveri aiuta di più a vedere le cose dal basso verso l alto, rispetto alla visione valoriale che ci arriva dai mezzi di comunicazione, in mano sempre ai ricchi. Ci è stato detto che è importante aiutare i poveri insegnando loro a pescare; ma è molto più importante che ci sia un fiume dove esista la possibilità di pescare. 10

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