Località. Piacenza. Progetto ECATE. Progetto E.C.A.T.E. Efficienza e Compatibilità Ambientale delle Tecnologie Energetiche
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1 Località Piacenza Doc. n. R 2.1/1 CONSORZIO LEAP Laboratorio Energia Ambiente Piacenza Progetto ECATE Rev 0. Progetto E.C.A.T.E. Efficienza e Compatibilità Ambientale delle Tecnologie Energetiche > STATO DELL ARTE DEL RECUPERO DI ENERGIA DA RSU NOTA : IL PRESENTE DOCUMENTO E EMESSO IN REVISIONE 0, IN PRIMA EMISSIONE. ESSO PUO ESSERE SOGGETTO A FUTURE REVISIONI 0 Prima emissione Ing. Pastor Ing. Zaffaroni Maggio06 REV DESCRIZIONE ELABOR VERIFICATO APPROVATO DATA
2 LEAP / Relazione Semestrale Sottoprogetto 2. Obiettivo Realizzativo 2.1. >STATO DELL ARTE DEL RECUPERO DI ENERGIA DA RSU 2
3 INTRODUZIONE Negli ultimi anni l attenzione verso i rifiuti urbani è stata imposta da produzioni crescenti nel tempo e dalla difficoltà di costruire impianti con il consenso delle popolazioni. E emersa così l inderogabile necessità di una corretta gestione del sistema rifiuti, in cui obiettivi strategici come la riduzione della produzione si coniughi a significativi recuperi di materia ed energia ed a smaltimenti finali sostenibili dal punto di vista ambientale. Da queste esigenze si sono sviluppate politiche, a livello europeo, nazionale e regionale, volte principalmente al potenziamento delle operazioni di raccolta differenziata di alcune tipologie di materiale, con conseguente riduzione delle quantità di rifiuti conferite a discarica. L incremento congiunto della pratica della raccolta differenziata con la presenza di residui di imballaggi ad elevato potere calorifico, ha determinato un evoluzione del rifiuto indifferenziato verso una composizione merceologica maggiormente interessante per il recupero energetico per via termica. Tenendo conto poi che una buona parte della componente combustibile è di tipo rinnovabile, i rifiuti urbani non hanno più rappresentato solo un problema per l ambiente ma anche una risorsa, da cui ricavare materiali ed energia. La componente del recupero energetico risulta così fortemente potenziata nei nuovi impianti, che hanno assunto la configurazione di vere e proprie centrali termoelettriche. Nella prima parte del documento, in base a dati riportati da enti europei e nazionali, si è presentata una sintesi della situazione europea e italiana in materia di produzione di rifiuti urbani e di loro caratterizzazione merceologica. In seguito, si è focalizzata l attenzione sulle alternative di trattamento e di smaltimento del rifiuto dopo la produzione, valutando quindi, dove possibile, le percentuali di rifiuto raccolto per via differenziata e, per l indifferenziato, le percentuali di rifiuto destinate alle diverse filiere di trattamento e smaltimento. Per lo smaltimento del rifiuto si distingue tra conferimento in discarica e conversione termica con conseguente recupero energetico, che può prevedere la combustione in impianti dedicati del rifiuto tal quale oppure la combustione in impianti dedicati o in co-combustione in impianti asserviti ad altri scopi (cementifici e centrali termoelettriche a carbone) di un combustibile ricavato da rifiuti (bioessiccato o CDR) in seguito a pretrattamenti biologici e meccanici. La seconda parte del rapporto consiste in una rassegna delle tecnologie impiantistiche attualmente disponibili sul mercato per l incenerimento del rifiuto tal quale, del bioessiccato o del CDR, con conseguente recupero di energia elettrica e termica. Le tecnologie di recupero energetico dalla combustione di rifiuti comporta naturalmente una serie di impatti ambientali legati prevalentemente ad emissioni gassose inquinanti. Di conseguenza, il terzo capitolo dello studio presentato si è concentrato sui trattamenti tecnologicamente applicabili per la rimozione dei principali inquinanti da incenerimento dei rifiuti urbani: ossidi di azoto, gas acidi, polveri, microinquinanti organici e inorganici. Le informazioni raccolte nel presente studio hanno lo scopo di illustrare il quadro generale attuale della produzione di rifiuti urbani in Europa, in Italia e in Emilia Romagna, delle tecnologie di conversione termica e dei presidi ambientali disponibili attualmente sul mercato. Studi successivi prevedono il confronto tecnologico, economico ed ambientale tra alcune filiere di recupero energetico dai rifiuti urbani, attraverso l applicazione di tecniche di analisi del ciclo di vita. 3
4 sono 1. PRODUZIONE, COMPOSIZIONE E DESTINO DEI RSU 1.1. Situazione europea Caratterizzazione del rifiuto prodotto: quantità e composizione merceologica. Attualmente, i 25 stati membri dell unione europea producono 243 milioni di tonnellate di Rifiuti Solidi Urbani (RSU) all anno (Stengler, 2005), con tendenza alla crescita (Figura 1.1) Figura.1.1. Produzione pro capite di RSU in Europa (EEA, 2002). In Figura 1.2XFigura X rappresentate le produzioni annue pro capite dell UE-15 nel La media registrata per tale anno risulta pari a circa 560 kg/ab/anno: il paese che ha registrato una produzione più elevata è il Lussemburgo, con circa 673 kg/ab/anno, mentre i valori più bassi sono quelli caratteristici di Grecia e Svezia, ben al di sotto dei 450 kg/ab/anno. 4
5 Produzione pro capite (kg/ab.anno) Austria Belgio Danimarca Finlandia Francia Germania Grecia Irlanda Italia Lussemburgo Paesi Bassi Portogallo Regno Unito Spagna Svezia Figura 1.2. Produzione pro-capite di rifiuti nei paesi dell UE-15 (Ferlini, 2005). Il quinto Programma di azione ambientale (5EAP) della comunità europea aveva fissato come obiettivo di stabilizzare la produzione di rifiuti solidi urbani dell Unione Europea (UE) ai livelli del 1985 (300 kg/ab) entro il Questo limite è stato significativamente superato, nella maggior parte dei paesi, del %. Il sesto Programma di azione ambientale (6EAP) del 2002, di conseguenza, non prevede nessun limite per la produzione di RSU (EEA, 2002) Il trattamento e lo smaltimento dei rifiuti urbani. In Figura 1.3 è presentato, per ogni paese dell UE, il destino dei RSU, cioè la percentuale di rifiuti inviati alle diverse filiere di gestione: riciclaggio, compostaggio, discarica, incenerimento e altro. 5
6 Figura 1.3 Modalità di gestione dei rifiuti urbani nei Paesi UE, 2001 (Ferlini, 2005). Riciclaggio Nell Unione Europea, tra il 1985 e il 1990, soltanto l 11% dei RSU era inviata a riciclo (considerando anche il compostaggio un alternativa di riciclo del rifiuto urbano, EEA, 1999b), mentre questa percentuale è salita al 21% nel 1995 e al 29% nel 2000 (Eurostat, 2002). A confronto, si riportano i dati di riciclaggio negli 8 paesi dell Europa dell Est per i quali sono disponibili: in tali paesi, nel periodo si è rilevato un tasso di riciclo dei RSU pari al 8.6%. Incenerimento L incenerimento con recupero energetico è un altra opzione per evitare la messa in discarica dei rifiuti. Nei paesi dell Europa occidentale, il 17% dei RSU erano inceneriti nel 1995 e il 18% nel 1999 (EEA, 1999b; Eurostat, 2002a). Attualmente, 50 milioni di tonnellate (20%) di RSU sono trattate termicamente in circa 400 impianti che producono sia energia termica, sia energia elettrica. La ripartizione geografica di questi impianti in Europa è riassunta in Tabella 1.1 mentre in Figura 1.4 sono confrontati i quantitativi di rifiuti termovalorizzati in diversi paesi europei e in Figura 1.5 le relative produzioni di energia elettrica e termica. 6
7 Tabella 1.1 Impianti europei di recupero energetico dai rifiuti funzionanti al Fonte: CEWEP. 7
8 Figura 1.4 Rifiuti termovalorizzati nel 1999 (Rylander, 2002) (*) dati incompleti 8
9 Figura 1.5 Produzione di energia elettrica e termica dall incenerimento di RSU (Rylander, 2002) (*) dati incompleti Messa in discarica Anche se in molti Paesi europei le politiche ambientali sono orientate ad una riduzione dello smaltimento del rifiuto non trattato in discarica, tale soluzione rimane l alternativa di smaltimento più utilizzata in Europa. Mediamente, il 50% circa di RSU prodotti in Europa è attualmente conferito in discarica (EEA, 2002). 9
10 TP PT La 1.2. Situazione italiana Caratterizzazione del rifiuto prodotto: quantità e composizione merceologica. Nel biennio , in Italia sono stati prodotti 131 milioni di tonnellate di rifiuti di cui 31 milioni di tonnellate di rifiuti urbani, 57,7 milioni di tonnellate di rifiuti speciali (tra cui 5,4 milioni di pericolosi) e oltre 42 milioni di tonnellate di rifiuti da costruzioni e demolizioni. Negli ultimi anni si è registrata una costante crescita della produzione di rifiuti urbani, come mostrato in Figura 1.6, in parte dovuta all effettivo aumento della loro produzione, in parte all assimilazione di molti rifiuti speciali nella categoria RU (ONR, 2005). La crescita, dall anno 1999 al 2004, è stata più pronunciata al Centro e più bassa al Nord e al Sud, come mostrato in Tabella 1.2. Anche riferendo la produzione di RSU al singolo abitante si evidenza per tutta l Italia una crescita nel tempo di tale parametro, che assume valori differenti al variare della zona geografica considerata (Figura 1.7). La produzione pro-capitetpf FPT di rifiuti urbani, infatti, risulta sempre superiore alla media italiana nelle regioni centrali rispetto alle regioni del nord e del sud Italia, raggiungendo 617 kg/ab/anno nel 2004, rispetto a una media italiana di 533 kg/ab/anno (Tabella 1.3). produzione pro-capite non è l effettiva produzione domiciliare del singolo cittadino, ma rappresenta il totale dei rifiuti raccolti a livello urbano per abitante residente e quindi comprende, oltre ai rifiuti domestici, anche i rifiuti del commercio e parte dei rifiuti speciali assimilati agli urbani (ONR, 2005). 10
11 Tabella 1.2 Produzione complessiva di RSU dall'anno 1999 all'anno 2004 (APAT, 2005). Produzione Produzione Produzione Produzione Produzione Produzione Crescita % RU (10 6 t/a) 1999 RU (10 6 t/a) 2000 RU (10 6 t/a) 2001 RU (10 6 t/a) 2002 RU (10 6 t/a) 2003 RU (10 6 t/a) NORD 12,9 13,3 13,4 13,6 13,6 14,0 9,1% CENTRO 6,1 6,2 6,5 6,6 6,6 6,9 14,4% SUD 9,4 9,5 9,5 9,6 9,8 10,2 7,9% ITALIA 28,4 29,0 29,4 29,9 30,0 31,2 9,8% 35,0 30,0 25,0 Mt RSU /anno 20,0 15,0 SUD CENTRO NORD 10,0 5,0 0, Figura 1.6 Produzione di RSU complessiva dal 1999 al 2004 (rielaborazione da APAT, 2005).
12 Tabella 1.3 Evoluzione temporale della produzione pro-capite di RSU (APAT, 2005). kg RSU /ab/anno 1991 kg RSU /ab/anno 1999 kg RSU /ab/anno 2000 kg RSU /ab/anno 2001 kg RSU /ab/anno 2002 kg RSU /ab/anno 2003 kg RSU /ab/anno 2004 NORD CENTRO SUD ITALIA
13 kgrsu/ab/anno NORD CENTRO SUD ITALIA Figura 1.7 Andamento temporale della produzione pro-capite di RSU (rielaborazione da APAT, 2005).
14 La composizione merceologica dei rifiuti urbani, negli ultimi 20 anni, ha registrato forti variazioni, con una crescita relativa dei materiali secchi (carta, cartone, plastiche, vetro e imballaggi) e dell organico proveniente da pubblici esercizi e da grandi ristorazioni (ONR, 2005). In Tabella 1.4 e in Figura 1.8 è rappresentata la composizione merceologica media italiana del rifiuto urbano all anno L organico è la classe merceologica prevalente, raggiungendo valori attorno al 30% del rifiuto complessivo. Tra le frazioni secche, risultano prevalenti le plastiche (11%) e i materiali cellulosici (Carta e cartone, attorno al 24%). Tabella 1.4 Composizione merceologica del rifiuto urbano. Anno 2003 (ONR, 2005). Materiale 10 3 tonnellate Composizione percentuale fonte: Federambiente fonte: COREPLA Carta e cartone % 24% Plastica % 11% Vetro % 8% Legno % 4% Metalli % 4% Organico % 33% Tessili 901 5% 3% Altro ,50% 13% TOTALE % 100% Altro 18% Carta e cartone 23% Tessili 5% Plastica 11% Organico 28% Metalli 3% Legno 5% Vetro 7% Figura 1.8 Composizione merceologica del rifiuto urbano, anno (rielaborato da Federambiente, 2003) 14
15 La raccolta differenziata: quantitativi e materiali raccolti. La composizione merceologica dei rifiuti urbani ha subito notevoli variazioni negli ultimi decenni, soprattutto a causa dell importanza crescente delle operazioni di raccolta differenziata, a scopo di riciclo e di recupero di diverse tipologie di materiale (alluminio, vetro, carta, plastica ). Dal 1998 al 2004 la frazione di rifiuti raccolti in modo differenziato è più che raddoppiata, passando da circa 3 milioni di tonnellate a più di 7 milioni di tonnellate raccolte nel 2004 (Tabella 1.5). Rispetto alla produzione italiana complessiva di rifiuti, la raccolta differenziata è passata da circa l 11% nel 1998 a più del 20% nel Tali valori, comunque, non raggiungono ancora l obiettivo di raccolta differenziata previsto dal Decreto Ronchi, che prevede che il 35% dei rifiuti prodotti vengano separati per via differenziata. Tabella 1.5. Evoluzione della raccolta differenziata in Italia. (APAT, 2005) Raccolta differenziata Raccolta indifferenziata Rifiuti totali 10 6 t/anno 10 6 t/anno 10 6 t/anno % RD sul totale ,0 23,4 26,4 11,4% ,7 24,7 28,4 13,1% ,2 24,3 28,5 14,7% ,1 24,3 29,4 17,4% ,7 24,2 29,9 19,1% ,3 23,7 30,0 21,1% ,1 24,1 31,1 22,7% Anche nel caso della raccolta differenziata esistono differenze legate alla zona geografica. Come riportato in Tabella 6 per l anno 2003, si può notare come nelle regioni del nord Italia la frazione di rifiuti raccolti per via differenziata sia prossima al valore obiettivo fissato dal Decreto Ronchi, mentre le regioni centrali e soprattutto quelle meridionali presentino dei tassi di raccolta differenziata molto inferiori al 35%. Tabella 1.6 Raccolta differenziata per materiale e per zona geografica. Anno 2003 (ONR, 2005). Frazione Organica* Vetro Plastica Legno Carta Metalli Alluminio Tessili % RD 2003 (10 3 t/a) (10 3 t/a) (10 3 t/a) (10 3 t/a) (10 3 t/a) (10 3 t/a) (10 3 t/a) (10 3 t/a) NORD 696,5 729,3 216,7 272,4 1245,3 33,7 7,9 33,7 33,5 CENTRO 150,3 134,0 40,0 9,4 468,3 12,2 0,4 12,2 17,1 SUD 131,7 63,1 83,6 32,4 229,2 4,0 0,2 4,0 6,7 ITALIA 978,6 926,4 340,2 314,2 1942,8 49,9 8,4 49,9 21,1 * compresi sfalci e potature 15
16 Le classi merceologiche più rappresentative del complesso di materiale raccolto per via differenziata (Figura 1.9) sono le frazioni cellulosiche (carta e cartone 42%), il vetro (20%) e la frazione organica (21%), seguite da legno e plastica (entrambi attorno al 7%). I materiali tessili, l alluminio e gli altri metalli, invece, non sono una componente rilevante del materiale differenziato, raggiungendo valori attorno o addirittura inferiori all 1% rispetto al complesso del rifiuto raccolto per via differenziata. Alluminio 0,2% Tessili Metalli 1,1% 1,1% Frazione Organica* 21,2% Carta 42,1% Vetro 20,1% Legno 6,8% Plastica 7,4% Figura 1.9 Distribuzione percentuale delle frazioni merceologiche raccolte per via differenziata nell intero territorio italiano. Anno 2003 (rielaborazione da ONR, 2005) Il trattamento e lo smaltimento dei rifiuti urbani. Obiettivo importante del Decreto Ronchi è limitare lo smaltimento in discarica del rifiuto tal quale, incentivando il recupero di materiale e di energia dal rifiuto prima del suo conferimento in discarica. Il recupero di materiale è possibile attraverso differenti percorsi di trattamento: grazie alla raccolta differenziata è possibile separare materiali il cui riciclo è molto conveniente dal punto di vista economico e ambientale (vetro, alluminio e altri metalli), reintroducendo tali materiali all interno del loro ciclo produttivo, a parziale sostituzione di materia prima vergine; la frazione organica separata attraverso la raccolta differenziata, proveniente da grandi utenze (ristorazione, mense ) o da attività di manutenzione del verde pubblico può essere sottoposta a compostaggio che ne riduce la putrescibilità, trasformandola in un materiale, denominato compost, riutilizzabile in campo agronomico come ammendante organico a parziale sostituzione dei fertilizzanti chimici (Grosso, 2003); il rifiuto indifferenziato può essere selezionato a valle della sua raccolta, in modo da separare la frazione secca, più adatta alla combustione, da quella umida (FOP Frazione 16
17 Organica Putrescibile), che viene conferita in discarica in seguito ad una eventuale stabilizzazione biologica che ne riduce la putrescibilità, trasformandola in FOS (Frazione Organica Stabilizzata); dalla frazione secca del rifiuto, separata al momento della sua produzione oppure a valle delle operazioni di raccolta, o dal rifiuto indifferenziato è possibile, attraverso procedure di trattamento meccanico e biologico, ottenere un combustibile con migliori proprietà, denominato CDR (Combustibile Derivato da Rifiuti). Le alternative di recupero energetico prevedono: l incenerimento del rifiuto indifferenziato all interno di impianti dedicati, con produzione di energia elettrica ed eventualmente termica; l incenerimento in impianti dedicati del combustibile derivato da rifiuti (CDR), prodotto a partire dalla frazione secca del rifiuto oppure dal rifiuto indifferenziato; la combustione in impianti non dedicati (cementifici e centrali termoelettriche) del CDR (Grosso, 2003), a parziale sostituzione di combustibili convenzionali con caratteristiche fisiche simili (carbone). Complessivamente, nel 2004, in tutti gli impianti di biostabilizzazione, produzione di CDR, compostaggio e incenerimento sono stati trattati oltre 13 milioni di rifiuti urbani (ONR, 2005), a fronte dei 17,8 milioni di rifiuti urbani smaltiti in discarica (Tabella 1.8). Le potenzialità autorizzate per i differenti impianti di trattamento (biostabilizzazione, produzione di CDR e compostaggio) e di smaltimento (incenerimento) dei rifiuti solidi urbani sono presentate in Tabella 1.7. La produzione di CDR risulta essere l alternativa di trattamento del rifiuto urbano più diffusa, mentre solamente nelle regioni settentrionali l incenerimento riveste, almeno potenzialmente, un ruolo importante nello smaltimento dei rifiuti urbani. Dall analisi dei quantitativi di CDR inceneriti, molto inferiori rispetto a quelli prodotti, sembra che, una volta prodotto, tale combustibile non sia poi effettivamente impiegato per la produzione di energia, almeno all interno di impianti di incenerimento dedicati (Tabella 1.8). Da uno studio precedente (Grosso et al., 2004) si è stimata la potenzialità di utilizzo di CDR in Italia in impianti non dedicati (cementifici e centrali termoelettriche a carbone). L ipotesi di partenza è che tutte le centrali termoelettriche siano adatte all impiego di tale combustibile, poiché equipaggiate con sistemi di depolverazione e di rimozione degli ossidi di azoto e di zolfo, mentre solo il 60% dei cementifici sia adatto alla co-combustione. Potenzialmente, come presentato in Tabella 1.9, ogni anno si potrebbero quindi impiegare circa 2,3 milioni di tonnellate di CDR in co-combustione. L incenerimento del rifiuto urbano tal quale, invece, è una pratica più comune rispetto alla distruzione termica del CDR in impianti dedicati e rappresenta il destino di circa il 10% del rifiuto prodotto e non inviato a riciclo (Figura 1.10). Dalle indicazioni riportate in Tabella 1.10, si ottiene conferma della maggiore diffusione di tale pratica nelle regioni settentrionali, sia per numero di impianti (29 su un totale di 48), sia per rifiuti smaltiti (3,2 milioni di tonnellate nel 2004 su un totale di 4,1 Mt/a per l Italia) sia, di conseguenza, per energia prodotta (elettrica e termica). Nonostante l obiettivo di riduzione del conferimento in discarica del rifiuto non trattato, confrontando gli effettivi quantitativi di rifiuti in ingresso ai differenti sistemi di trattamento e smaltimento (Tabella 1.8 e Figura 1.10) si nota come lo smaltimento in discarica del rifiuto 17
18 indifferenziato sia ancora molto comune, soprattutto nel Sud Italia. Si stima, infatti, che sul totale del rifiuto portato in discarica il 76% sia rifiuto da raccolta indifferenziata e il 24% siano residui dai diversi processi di trattamento (biostabilizzazione, produzione di CDR, incenerimento, residui da selezione delle raccolte differenziate). Dal 2001 al 2004, comunque, si è registrato un considerevole decremento (-22%) dell uso della discarica, con una quantità di rifiuto smaltito passata da 20 milioni di tonnellate nel 2001, a 18,8 milioni nel 2002 a 17,9 nel a 17,7 milioni di tonnellate nel 2004 (ONR, 2005). 18
19 Tabella 1.7 Potenzialità autorizzate per zona geografica per i differenti impianti di trattamento e smaltimento RSU (ONR 2005, APAT 2005). Potenzialità autorizzata (Mt/a) Biostabilizzazione* Produzione CDR* Compostaggio** Incenerimento** NORD 2,01 2,19 2,85 3,78 CENTRO 0,81 2,73 1,18 0,60 SUD 1,27 2,14 1,25 0,47 ITALIA 4,10 7,06 5,28 4,85 * Riferito al 2003 ** Riferito al 2004 Tabella 1.8 Rifiuti trattati e smaltiti per zona geografica nei differenti impianti (ONR 2005, APAT 2005) Biostabilizzazione* Produzione CDR* Rifuto in ingresso (Mt/a) Incenerimento Compostaggio** RSU** Incenerimento CDR** Smaltimento in discarica** NORD 0,82 1,41 2,00 2,57 0,15 5,48 CENTRO 0,56 1,22 0,36 0,25 0,27 4,81 SUD 1,01 1,83 0,31 0,26 0,04 7,45 ITALIA 2,39 4,46 2,67 3,08 0,47 17,74 * Riferito al 2003 ** Riferito al 2004
20 Smaltimento in discarica** 57% Incenerimento CDR** 2% Incenerimento RSU** 10% Compostaggio** 9% Produzione CDR* 14% Biostabilizzazione* 8% * Riferiti al 2003 ** Riferiti al 2004 Figura 1.10 Ripartizione percentuale dei rifiuti prodotti tra le differenti alternative di trattamento e smaltimento. Tabella 1.9 Potenzialità di utilizzo di CDR in co-combustione in Italia. Anno (Grosso et al., 2004) Forni da cemento Centrali termoelettriche a carbone Capacità produttiva (2002) t/anno (1) - Potenza installata (2004) MW (2) Impianti idonei alla cocombustione 60 % 100 % Apporto calorico medio del CDR 20 % 5 % Utilizzo potenziale di CDR t/a t/a (1) Fonte: AITEC, 2004 (2) Fonte: Napoletano, 2004
21 Tabella 1.10 Incenerimento dei rifiuti e corrispondente produzione elettrica e termica per zone geografiche. Anno 2004 (APAT, 2005) Impianti Ru trattati kt/a Sanitari kt/a Altri Speciali kt/a NORD , CENTRO ,0 5,75 3, ,5 - SUD 6 260,7 3,02 37,1 44, ,3 - ITALIA , CDR kt/a Totale Rifiuti kt/a Recupero Energetico elettrico GWhe Recupero Energetico termico GWht
22 1.3. Situazione emiliana Caratterizzazione del rifiuto prodotto: quantità e composizione merceologica. Nella regione Emilia Romagna, come nel resto dell Italia, la produzione di rifiuti urbani è aumentata continuamente negli ultimi anni, fino a raggiungere valori di produzione complessiva attorno a 2,7 milioni di tonnellate di RU nel 2004, corrispondenti a circa 660 kg per abitante residente (Figura 1.11). In Emilia Romagna negli ultimi anni si è prodotta una frazione di rifiuti piuttosto costante e attorno all 9% della produzione complessiva italiana (Tabella 1.11). La produzione pro-capite di RSU, invece, dal 1999 risulta notevolmente superiore alla media italiana, come riportato in Tabella 1.12: in Emilia Romagna si sono prodotti tra 600 e 650 kg di rifiuti ogni anno, mentre la media italiana rimane inferiore a 550 kg/ab/anno. 3,0 2,53 2,52 2,63 2,61 2,73 2,5 2,41 2,0 1,5 1,0 0,61 0,63 0,63 0,65 0,65 0,66 0,5 0, Prod. Complessiva (Mt/a) Prod. Pro-capite (t/ab/a) Figura 1.11 Andamento temporale della produzione complessiva e pro-capite di rifiuti urbani in Emilia Romagna (rielaborazione da APAT, 2005) 22
23 Tabella 1.11 Produzione complessiva di RSU dall'anno 1999 all'anno 2004, confronto tra l Emilia Romagna e la situazione italiana (rielaborazione da APAT, 2005). Produzione Produzione Produzione Produzione Produzione Produzione Crescita % RU (10 6 t/a) 1999 RU (10 6 t/a) 2000 RU (10 6 t/a) 2001 RU (10 6 t/a) 2002 RU (10 6 t/a) 2003 RU (10 6 t/a) Emilia Romagna 2,4 2,5 2,5 2,6 2,6 2,7 13,1% ITALIA 28,4 29,0 29,4 29,9 30,0 31,2 9,8% Frazione % 8,5% 8,7% 8,6% 8,8% 8,7% 8,8% Tabella 1.12 Evoluzione temporale della produzione pro-capite di RSU, confronto tra l Emilia Romagna e la situazione italiana (rielaborazione da APAT, 2005). kg RSU /ab/anno 1991 kg RSU /ab/anno 1999 kg RSU /ab/anno 2000 kg RSU /ab/anno 2001 kg RSU /ab/anno 2002 kg RSU /ab/anno 2003 kg RSU /ab/anno 2004 Emilia Romagna ITALIA Δ produzione
24 La raccolta differenziata: quantitativi e materiali raccolti. Anche nella regione Emilia Romagna, come in Italia, la raccolta differenziata ha subito un notevole incremento negli ultimi anni, come evidenziato in Figura 1.12, in cui è presentata l evoluzione temporale (dal 1998 al 2004) della produzione di rifiuti urbani e della frazione di RSU raccolta per via differenziata. Tra il 1998 e il 2004 la quantità di rifiuti separati al momento della produzione è più che raddoppiata, passando da valori prossimi a tonnellate, nel 1998, a valori superiori a tonnellate nel 2004, corrispondenti a percentuali di raccolta differenziata prossime al 30% (Tabella 1.13). Tabella 1.13 Evoluzione della raccolta differenziata in Emilia Romagna (APAT, 2005). Raccolta differenziata Raccolta indifferenziata Rifiuti totali 10 6 t/anno 10 6 t/anno 10 6 t/anno % RD sul totale Emilia % RD sul totale ITALIA ,34 1,88 2,21 15,2% 11,4% ,46 1,95 2,41 19,1% 13,1% ,55 1,94 2,49 22,1% 14,7% ,62 1,89 2,52 24,7% 17,4% ,69 1,94 2,63 26,3% 19,1% ,73 1,88 2,61 28,1% 21,5% ,81 1,92 2,73 29,7% 22,7% 24
25 3,00 2,50 2,00 Mt RSU /anno 1,50 1,00 0,50 0, Rifiuto differenziato Rifiuto indifferenziato Figura 1.12 Andamento temporale della raccolta differenziata e indifferenziata in Emilia Romagna (rielaborazione da APAT, 2005). Da un confronto tra le percentuali di raccolta differenziate raggiunte in Emilia e quelle medie italiane (Figura 1.13) si nota come la regione, pur non raggiungendo l obiettivo di raccolta differenziata del 35%, fissato dal Decreto Ronchi, riesca a mantenersi sempre al di sopra della performance media italiana (tra 4 e 8 punti percentuali, come si può ricavare dai dati riportati in Tabella 1.13). 25
26 35,0% 30,0% 25,0% % Raccolta Differenziata 20,0% 15,0% 10,0% 5,0% 0,0% RD Emilia Romagna RD Italia Figura 1.13 Evoluzione temporale della percentuale di rifiuti differenziati in Emilia Romagna e in Italia (rielaborazione da APAT, 2005). Tra le tipologie di materiale raccolte per via differenziata (Figura 1.14), le frazioni merceologiche maggiormente rappresentative sono la carta e i materiali cellulosici (prossimi al 40%), il vetro (attorno al 23%), la frazione organica, comprensiva di sfalci e potature, e il legno (entrambi attorno al 14%). Come evidenziato anche in precedenza per l intero territorio italiano, la raccolta di materiali come i metalli, l alluminio e i tessili non riveste grande importanza in termini di quantitativi recuperati all interno della regione. Rispetto ai materiali complessivamente raccolti per via differenziata in Italia, invece, l Emilia Romagna contribuisce in maniera sensibile alla raccolta dell alluminio (25% del materiale recuperato in Italia) e del legno (20%), come riportato in Tabella Per quanto riguarda la raccolta della frazione organica, invece, la regione contribuisce solamente con il 7% rispetto all organico complessivamente raccolto per via differenziata in Italia. 26
27 Tabella 1.14 Raccolta differenziata per materiale in Emilia Romagna e confronto con la situazione italiana. Anno (rielaborazione da ONR, 2005) Frazione Vetro Plastica Legno Carta Metalli Alluminio Tessili % RD Organica* 2003 (10 3 t/a) (10 3 t/a) (10 3 t/a) (10 3 t/a) (10 3 t/a) (10 3 t/a) (10 3 t/a) (10 3 t/a) Emilia Romagna 66,6 109,4 29,9 65,7 184,5 6,4 2,2 6,4 28,1 ITALIA 978,6 926,4 340,2 314,2 1942,8 49,9 8,4 49,9 21,1 Frazione % 6,8% 11,8% 8,8% 20,9% 9,5% 12,8% 25,8% 12,8% * compresi sfalci e potature Metalli 1,4% Alluminio 0,5% Tessili 1,4% Frazione Organica* 14,1% Carta 39,2% Vetro 23,2% Legno 14,0% Plastica 6,4% Figura 1.14 Distribuzione percentuale delle frazioni merceologiche raccolte per via differenziata in Emilia Romagna. Anno 2003 (rielaborazione da ONR, 2005) Il trattamento e lo smaltimento dei rifiuti urbani. Rispetto alla situazione media italiana, presentata al paragrafo e riportata anche nelle tabelle seguenti, in Emilia Romagna, l incenerimento del rifiuto urbano è maggiormente diffuso. Nella regione, infatti, è localizzato il 14% della potenzialità autorizzata di incenerimento dei rifiuti, presentata in Tabella 1.15 ed espressa in termini di milioni di tonnellate di rifiuti termovalorizzabili all anno, ed è effettivamente incenerito il 19% del rifiuto urbano non differenziato bruciato complessivamente in Italia (Tabella 1.16). Il peso rilevante dello smaltimento di rifiuti tramite termovalorizzazione si ripercuote in modo positivo sulla produzione di energia termica ed elettrica. La regione Emilia Romagna produce circa il 10% dell energia elettrica e circa il 12% dell energia termica prodotte complessivamente in Italia da attività di termodistruzione dei rifiuti, come riportato in Tabella In Figura 1.15 è sintetizzato il destino medio dei rifiuti urbani prodotti in Emilia Romagna e non inviati a riciclaggio. Lo smaltimento in discarica continua a rivestire un ruolo molto importante 27
28 nella gestione complessiva dei RSU (47%), pur risultando notevolmente ridimensionato rispetto alla situazione media italiana (attorno al 60%, Figura 1.10). La produzione e la combustione di CDR sono le alternative di trattamento e smaltimento meno comuni nella regione mentre si evidenzia ancora la grande importanza dello smaltimento tramite incenerimento del rifiuto indifferenziato, che supera il 20%, cioè pari al doppio del valore rilevato sull intero territorio italiano (Figura 1.10). Smaltimento in discarica** 42% Incenerimento CDR** 2% Biostabilizzazione* 13% Incenerimento RSU** 23% Compostaggio** 13% Produzione CDR* 7% * Riferito al 2003 ** Riferito al 2004 Figura 1.15 Ripartizione percentuale dei rifiuti prodotti tra le differenti alternative di trattamento e smaltimento. 28
29 Tabella 1.15 Potenzialità autorizzate in Emilia Romagna per i differenti impianti di trattamento e smaltimento RSU e confronto con la situazione italiana (rielaborazione da ONR, 2005 e APAT, 2005). Potenzialità autorizzata (Mt/a) Biostabilizzazione* Produzione CDR* Compostaggio** Incenerimento** Emilia Romagna 0,49 0,22 0,61 0,71 ITALIA 4,10 7,06 5,28 4,85 Frazione % 12,0% 3,2% 11,5% 14,7% Tabella 1.16 Rifiuti trattati e smaltiti in Emilia Romagna nei differenti impianti e confronto con la situazione italiana (rielaborazione da ONR, 2005 e APAT, 2005) Rifuto in ingresso (Mt/a) Biostabilizzazione* Produzione CDR* Compostaggio** Incenerimento Incenerimento Smaltimento in RSU** CDR** discarica** Emilia Romagna 0,33 0,19 0,33 0,59 0,045 1,12 ITALIA 2,39 4,46 2,67 3,08 0,47 17,74 Frazione % 13,8% 4,2% 12,2% 19,1% 9,4% 6,3% Tabella 1.17 Incenerimento dei rifiuti e corrispondente produzione elettrica e termica in Emilia Romagna e confronto con la situazione italiana. Anno 2004 (rielaborazione da APAT, 2005). Impianti Ru trattati kt/a Sanitari kt/a Altri Speciali kt/a Emilia Romagna ITALIA , Frazione % 16,7% 19,1% 22,3% 9,1% 9,4% 16,8% 10,3% 12,3% CDR kt/a Totale Rifiuti kt/a Recupero Energetico elettrico GWhe Recupero Energetico termico GWht
30 2. STATO DELL ARTE DELLE TECNOLOGIE PER LA PRODUZIONE DI ENERGIA DAI RSU: COMBUSTIONE DIRETTA 2.1. Tipologie di combustibili Le strategie di gestione dei rifiuti urbani delineate a livello europeo dalla Direttive 91/156/CEE e 1999/31 CE, recepite in Italia con i Decreti legislativi 22/97 e 36/03 e successivi documenti attuativi, scoraggiando il ricorso alla discarica per i rifiuti non trattati e per i rifiuti ad elevato potere calorifico, hanno determinato negli ultimi anni un notevole sviluppo delle tecnologie orientate al recupero di materia e/o alla produzione di energia dai rifiuti. In particolare i trattamenti meccanico-biologici si sono rivelati particolarmente idonei al conseguimento di entrambi questi obiettivi (Sala, 2005). I processi di recupero energetico possono riguardare il rifiuto urbano tal quale oppure il rifiuto urbano trasformato, in seguito a una serie di pretrattamenti biologici e/o meccanici, in bioessiccato o CDR (combustibile derivato da rifiuto). La fase di pretrattamento dei rifiuti solidi urbani può essere avere differenti configurazioni: può comprendere solo una fase biologica, solo delle operazioni meccaniche di selezione oppure può combinare il processo biologico con una fase di raffinazione meccanica. La scelta della configurazione della linea di pretrattamento deve essere effettuata sulla base sia della composizione del rifiuto in arrivo all impianto sia delle caratteristiche del materiale che si vuole ottenere, le quali dipendono essenzialmente dalla sua destinazione finale Bioessiccato La riduzione del contenuto di umidità del rifiuto, essenziale per migliorarne le caratteristiche termiche, può essere conseguita mediante un processo di essiccazione termica o di essiccazione biologica. L essiccazione termica prevede l utilizzo di un flusso di aria calda prodotto mediante bruciatori a gas naturale o, qualora l impianto di pretrattamento sia localizzato sullo stesso sito di quello di termovalorizzazione, mediante l utilizzo di vapore spillato dalla turbina. L essiccazione biologica utilizza invece, per lo stesso scopo, il calore rilasciato dalle reazioni biochimiche di degradazione aerobica della sostanza organica. A fronte di una maggiore durata del processo e di un contenuto residuo di umidità più elevato rispetto al processo termico, il processo biologico presenta l innegabile vantaggio di richiedere consumi energetici notevolmente più bassi, e limitati alla sola insufflazione di aria di processo. Si definisce aerobico un processo biologico finalizzato alla promozione delle reazioni esotermiche microbiche che si svolgono in presenza di ossigeno a carico della frazione organica biodegradabile presente in un rifiuto (CITEC, 2002). Nei pretrattamenti dei rifiuti si distinguono due differenti processi aerobici: la biostabilizzazione, il cui scopo primario è il raggiungimento della stabilità biologica del rifiuto in seguito alla biossidazione della sostanza organica putrescibile in esso contenuta; la bioessiccazione, il cui scopo primario è la riduzione dell umidità del rifiuto in seguito 30
31 ad una fase di biossidazione della sostanza organica fermentescibile in esso contenuta. La durata di tale processo è di circa 14 giorni. A valle dei processi di bioessiccazione, durante i quali si ha una perdita di acqua per evaporazione e una perdita di materiale solido, costituito da una frazione di solidi volatili del rifiuto di partenza (Tabella 2.1.), si ottiene un combustibile definito bioessiccato, che presenta caratteristiche combustibili migliori rispetto al rifiuto tal quale. Tabella 2.1 Bilancio di materia della bioessiccazione, nell ipotesi di un rifiuto di partenza con un contenuto di organico del 31,5% e un umidità del 32% (valori in kg) Combustibile derivato dai rifiuti (CDR) Il CDR è il prodotto finale di un trattamento di raffinazione che riguarda o la frazione secca ottenuta per separazione meccanica dei rifiuti urbani indifferenziati e/o dei rifiuti bioessiccati oppure la frazione secca proveniente dalla raccolta differenziata (CITEC 2002) e che viene impiegato come combustibile in impianti dedicati (inceneritori) oppure a parziale sostituzione di carbone in cementifici e centrali termoelettriche (co-combustione). Scopo della raffinazione è rimuovere le sostanze pericolose per la combustione e in modo da ottenere un materiale (il CDR appunto) che possieda le caratteristiche individuate da specifiche norme tecniche (DM 5/2/98, Norma UNI ) e sintetizzate in tabella 2.2. Il DM 5 febbraio prevede una sola tipologia di combustibile, definita CDR di qualità normale, le cui caratteristiche sono riportate nella prima colonna della tabella 2.2. In una bozza del Comitato Termotecnico Italiano riguardante la revisione della Norma UNI (novembre 2003) si distingue, invece, in base alle caratteristiche chimico-fisiche ed in particolare sulla base del contenuto di materiali inerti ed inquinanti, tra RDF (Refused Derived Fuel) di qualità normale e RDF di qualità elevata. Le specifiche tecniche dell RDF di qualità normale coincidono con quelle del CDR del DM 5/2/98 e sono perciò quelle riportate nella prima colonna della Tabella 2.2, mentre quelle dell RDF di qualità elevata sono riportate nella seconda colonna della Tabella
32 P min P max P max P max P max P max P max P max P min P max P max P max P max P max P max P max P max Tabella 2.2 Caratteristiche del CDR ai sensi del Decreto Ministeriale 5/2/98 confrontate con quelle dell RDF secondo la norma UNI Caratteristica CDR / RDF di qualità normale RDF di qualità elevata unità di misura limite di limite di unità di misura accettabilità accettabilità Umidità % t.q. max 25 % t.q. max 18 PCI -1 kj kg t.q.p kj kg s.s.p Ceneri % s.s. max 20 % s.s. max 15 Arsenico -1 mg kg s.s.p 9-1 mg kg s.s.p 5 Cadmio+ Mercurio -1 mg kg s.s.p 7 Cloro totale % t.q. max 0,9 % s.s. max 0,7 Cromo -1 mg kg s.s.p mg kg s.s.p 70 Rame solubile -1 mg kg s.s.p mg kg s.s.p 50 Manganese -1 mg kg s.s.p mg kg s.s.p 200 Nichel -1 mg kg s.s.p 40-1 mg kg s.s.p 30 Piombo volatile -1 mg kg s.s.p mg kg s.s.p 100 Zolfo % t.q. max 0,6 % t.q. max 0,3 Cadmio -1 mg kg s.s.p 3 Mercurio -1 mg kg s.s.p 1 Ai sensi della legislazione italiana vigente (DM 5/2/98) il CDR deve presentare una componente di base derivante dal rifiuto solido urbano. Tuttavia, ai fini di migliorarne le caratteristiche combustibili, nella sua produzione possono essere utilizzati fino al 50% in peso anche i seguenti rifiuti speciali: plastiche non clorurate; poliaccoppiati; gomme sintetiche non clorurate; resine e fibre artificiali e sintetiche con contenuto di Cl < 0,5% in massa; pneumatici fuori uso. Poiché il rifiuto solido urbano di partenza è generalmente caratterizzato da un elevato tenore di umidità (anche fino al 30% in peso), un generico processo di produzione di CDR dovrà comprendere una fase di essiccazione, generalmente biologica (bioessiccazione). Successivamente bioessiccato deve essere alimentato ad una linea di raffinazione meccanica per l ottenimento di un materiale con caratteristiche conformi a quelle richieste per il CDR. Il trattamento di raffinazione sarà tipicamente costituito dalle seguenti fasi: riduzione dimensionale ed omogeneizzazione dei materiali secchi grezzi; deferrizzazione; asportazione di metalli non ferrosi; asportazione di materiali inerti (vetro, ceramiche, sassi, inerti vari); triturazione (al fine di ottenere la pezzatura desiderata, in funzione della tecnologia di combustione); 32
33 ulteriore essiccamento, addensamento o pellettizzazione (in funzione delle modalità di alimentazione degli impianti di termorecupero e della distanza dal punto di produzione). Nel gergo tecnico gli impianti di produzione di CDR sono identificati come impianti MBT (Mechanical-Biological Treatment plants). Le rese di produzione del CDR possono essere molto variabili a seconda della tecnologia utilizzata. A livello medio italiano si registra una resa del 33% circa (APAT-ONR, 2003), mentre impianti allo stato dell arte sono in grado di garantire una resa dell ordine del 50% o anche leggermente superiore, grazie all ottimizzazione della linea di trattamento. Il potere calorifico del materiale ottenuto dipende ovviamente dalle caratteristiche del rifiuto di partenza. Ad esempio è possibile raggiungere valori dell ordine dei kj/kg, partendo da un rifiuto iniziale con PCI pari a circa kj/kg (quale è quello che si registra mediamente nelle aree urbane del Nord Italia). In seguito alla miscelazione delle categorie di rifiuti speciali illustrate in precedenza è possibile raggiungere e superare valori dell ordine di kj/kg. In un ottica di bilancio energetico del processo complessivo è opportuno considerare anche i consumi di energia elettrica dell impianto di produzione, suddivisi tra i consumi dei ventilatori per l aerazione forzata del rifiuto durante il trattamento di bioessiccazione e i consumi delle apparecchiature elettromeccaniche per la raffinazione. Gli impianti più recenti operanti in Italia presentano un consumo totale dell ordine di kwh per tonnellata di materiale trattato, suddivisi in kwh per la fase di bioessiccazione e kwh per la raffinazione meccanica. Sulla base dei parametri appena riportati è evidente come il processo di produzione del CDR comporti un inevitabile penalizzazione energetica, da intendere come una diminuzione del contenuto di energia del rifiuto di partenza. Infatti la riduzione in massa del materiale durante il trattamento è superiore all aumento del potere calorifico conseguibile, il che si traduce in una riduzione del carico termico (Figura 2.1). A questo va aggiunto l ulteriore aggravio energetico costituito dall energia consumata per il processo. Sulla base di considerazioni energetiche, quindi, l impiego di CDR in impianti di incenerimento dedicati non sembra vantaggiosa. Per quanto riguarda i parametri chimici del CDR, quelli più critici appaiono essere il contenuto di cloro e di metalli volatili (in particolare cadmio e mercurio). Il cloro presenta infatti implicazioni sia di tipo emissivo (formazione di HCl e di composti organici clorurati) che operativo (problemi di incrostazioni e corrosione degli impianti di co-combustione). I metalli volatili possono invece essere rilasciati in atmosfera nel caso di co-combustione del CDR in impianti industriali privi di adeguati sistemi di controllo delle emissioni. Il CDR, a fronte di una cospicua riduzione di massa (superiore al 40%), variabile in funzione del grado di affinamento, di un elevato consumo energetico associato alle varie fasi del trattamento e della generazione di materiali di scarto, presenta però alcuni vantaggi rispetto ai rifiuti solidi non trattati. Il potere calorifico è più elevato e più costante nel tempo e le caratteristiche fisico chimiche sono più omogenee, facilitando lo stoccaggio ed il trasporto. Inoltre la combustione del CDR produce una quantità minore di ceneri di fondo, anche se alcuni studi (Chang et al., 1998) hanno dimostrato che le ceneri di fondo prodotte dalla combustione del CDR presentano una concentrazione di metalli pesanti superiore a quella riscontrata nelle ceneri di fondo della combustione degli RSU. 33
34 1,8 1,6 1,4 1,2 Resa PCI Carico termico 1 0,8 0,6 0,4 0,2 0 RSU Bioessiccato CDR Figura 2.1 Confronto tra RSU, bioessiccato e CDR in termini di resa di produzione, potere calorifico e carico termico (pari al prodotto tra la resa e il PCI). I valori sono espressi in termini relativi, ponendo pari a 1 quelli del RSU. Non è considerato il consumo energetico per la produzione del bioessicato e del CDR Soluzioni impiantistiche per la combustione dei rifiuti Combustione in forni a griglia Il forno a griglia costituisce il sistema maggiormente sperimentato nel campo del termoutilizzo dei rifiuti, con unità operanti in un ampio campo di potenzialità, da qualche decina a tonnellate al giorno. La combustione avviene su una griglia alimentata attraverso una tramoggia ed un dispositivo di spinta che distribuisce il materiale sulla griglia stessa (Ghezzi, 2000). La griglia è generalmente mobile e può assumere differenti configurazioni in modo da favorire il rimescolamento dei rifiuti, provocarne l avanzamento e promuovere, per quanto possibile, il contatto con l aria comburente. Per facilitare il movimento di avanzamento della massa dei rifiuti le griglie sono generalmente inclinate verso il basso, anche se non mancano esempi di griglie orizzontali. Inoltre le diverse sezioni in cui è suddivisa la griglia possono assumere differenti velocità di movimento per favorire la completa combustione del rifiuto. L aria necessaria al processo di combustione viene alimentata in parte sotto la griglia attraverso il letto di combustione (aria primaria) ed in parte sopra la griglia per garantire il completamento del processo di ossidazione in fase gassosa (aria secondaria e terziaria). Il materiale, avanzando lungo la griglia, subisce dapprima un fenomeno di essiccamento e viene poi sottoposto a processi di gassificazione, ignizione e combustione fino a diventare un residuo 34
35 solido incombustibile. Infine viene scaricato nella parte finale della griglia, in genere in sistemi a bagno d acqua. Il completamento della combustione dei prodotti volatili generati nel letto (composti solo parzialmente ossidati, idrocarburi leggeri, sostanze derivate dalla gassificazione, etc.) avviene nella camera di combustione posta superiormente alla griglia. Inizialmente le camere di combustione di un forno a griglia erano adiabatiche e seguite da una camera di post-combustione (richiesta dalla normativa). Attualmente la camera di combustione è dotata in genere di superfici di scambio termico e anche la camera di post-combustione, non più richiesta espressamente dalla normativa e sostituita da una zona a condizioni controllate, è dotata di idonee superfici di scambio termico per il controllo della temperatura. Si ottiene in questo modo un integrazione del sistema forno caldaia, che permette anche di ridurre, rispetto al caso adiabatico, la quantità di aria secondaria necessaria per il controllo della temperatura dei fumi (Ghezzi, 2000). All uscita della camera di combustione i fumi entrano in una caldaia a recupero per la generazione di vapore in pressione. Per quanto ogni costruttore abbia sviluppato proprie peculiari configurazioni, griglie e caldaie sono ascrivibili a due tipologie fondamentali, che possono essere comunque combinate tra loro (Figura 2.2): griglie a barrotti (inclinate od orizzontali, con barrotti fissi o mobili) e griglie a rulli; caldaie verticali e caldaie orizzontali. Figura 2.2: Forno a griglia con caldaia orizzontale. 35
36 I forni a griglia con raffreddamento ad acqua L evoluzione delle caratteristiche dei rifiuti che vengono alimentati al forno (in particolare l aumento del potere calorifico e la diminuzione del contenuto di ceneri), derivante sia dalle variazioni merceologiche che dai processi di pretrattamento dei rifiuti, implica maggiori possibilità di resa in termini di recupero, ma comporta inevitabilmente anche un aumento della criticità delle condizioni di esercizio del forno e dell aggressività sui materiali di costruzione nell ambiente della camera di combustione. I maggiori responsabili dell aggressione ai materiali sono rappresentati da diverse componenti presenti nel rifiuto e nei prodotti di combustione, quali l anidride carbonica, l ossigeno, il monossido di carbonio, l acido cloridrico, le polveri, dei composti gassosi dello zolfo e certi sali fusi. Le componenti di impianto che sono prevalentemente coinvolte in questo nuovo regime di esercizio sono sostanzialmente quelle relative al letto di combustione, alle pareti di contenimento, alle superfici di scambio della prima zona di caldaia e ai banchi surriscaldatori. In particolare, per fronteggiare questo tipo di problematiche, sono state introdotte griglie raffreddate ad acqua, in grado di operare con poteri -1 calorifici fino a kj kgp P. Attualmente si tende inoltre a diminuire l inclinazione della griglia per avere un miglior controllo dell avanzamento del materiale (svincolandolo dall effetto della forza di gravità), a compartimentare fortemente la distribuzione dell aria sotto la griglia ed a modificarne la lunghezza tenendo conto della maggiore facilità di combustione dei rifiuti. Grazie a questi accorgimenti, con i forni a griglia è oggi possibile ottenere efficienze di combustione molto elevate, anche superiori al 99% (Ghezzi, 2000). Il raffreddamento ad acqua è stato introdotto, come già illustrato, per limitare il grado di usura delle piastre, aumentato a seguito del maggiore PCI del rifiuto bruciato e, quindi, per poter garantire per lungo tempo un corretto assetto delle stesse. Tale sistema di raffreddamento prevede l utilizzo di piastre realizzate per essere flussate con acqua per mezzo di un circuito chiuso di raffreddamento; il calore asportato dalle piastre è poi recuperato attraverso opportuni scambiatori di calore che prelevano il calore dall acqua riscaldata dalle piastre e lo cedono nuovamente alla sezione di combustione (pre-riscaldo dell aria di combustione) o alla sezione di recupero energetico. Questa capacità di raffreddamento è molto importante per minimizzare l usura meccanica, che dipende anche dalla temperatura del materiale, e permette inoltre di limitare l attacco chimico sulle piastre della griglia. Infatti la corrosione, in particolare, da acido cloridrico porta ad un rapido assottigliamento dello spessore delle piastre per temperature di metallo superiori ai 550 C: durante il funzionamento normale, la temperatura si mantiene tra 400 e 500 C mediante il raffreddamento ad aria, mentre nel caso di raffreddamento con acqua tale temperatura è in genere inferiore ai 200 C. Poiché l azione più aggressiva si verifica normalmente nella parte alta della griglia, solitamente sono raffreddate ad acqua le prime (due o tre) sezioni di griglia o quelle intermedie, mentre nelle ultime sezioni è mantenuto il classico raffreddamento ad aria. Si sono, cioè, introdotte delle griglie con raffreddamento misto: il raffreddamento ad aria viene mantenuto nei settori di griglia meno soggetti ad usura e il più efficiente raffreddamento ad acqua viene introdotto nelle sezioni maggiormente esposte alla fiamma. Il raffreddamento di alcuni settori di griglia con acqua può, quindi, offrire alcuni importanti vantaggi funzionali ed operativi (Tonelli e Gariboldi, 2003): 36
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