Seminario del 14 novembre 2013
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- Mario Riva
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1 Seminario del 14 novembre 2013 In un versetto della Bibbia è detto che quando un uomo conversa con una donna il nome di Dio si confonde. Sexus, il taglio, la sessualità nella parola. Leggiamo questo versetto a modo nostro, il che non vuol dire che vi sarebbe un modo contrario per leggerlo. Non siamo per fraintendere il messaggio che questo versetto ci consegna, lo stiamo trasponendo per avanzare sul filo dell esperienza della psicanalisi che, ribadiamo, è esperienza intellettuale, di vita. In questo versetto è adombrata la differenza originaria, quella estrema. La differenza assoluta è la sessualità nella parola. E differenza in atto ciascuna volta. La prerogativa dell atto di parola (e la sessualità ne è essenziale proprietà) è quella di costringere il nome a funzionare come nome, vale a dire a funzionare nell equivoco. Il tetragramma che è concepito come non rappresentabile, che funziona soltanto nel rinvio incessante ad altri nomi di Dio; ecco come intendere l espressione biblica: il nome di Dio si confonde. Nell atto di parola funziona sempre il terzo, è in funzione cioè il significante che rinvia a un altro significante. Per dire in altro modo, occorre che il nome sia rimosso per funzionare come significante per quello successivo. La differenza originaria non consente di trattenere come originari gli elementi di cui si compone la relazione, un uomo una donna, anziché la relazione stessa. In questo caso il versetto sembra inoltre suggerire che non esiste l insieme degli uomini né quello delle donne. Nei vangeli, poi, la differenza originaria si esprime in modo ancor più radicale e compiuto. In effetti nel nuovo testamento possiamo dire che assistiamo all irruzione del sembiante: Cristo, il dispositivo, ciascun uomo, ciascuna donna, impossibile da qui in avanti ragionare sulla base dell insieme come dato. L insieme non è mai finito e non può escludere l errore di calcolo, anzi si fonda proprio sull errore. Ecco dunque il lapsus, l evento, il miracolo della parola che agisce. Il figlio, il significante che consente al nome di funzionare come tale, che impedisce al nome di immobilizzarsi nel nome del nome. Questa è la procedura. La procedura allora: dal due al tre, il due che non è senza il tre. Un nome funziona soltanto quando è suscettibile di confondersi, non è mai quello, non si erige a nome del nome. Non vi è identità senza disgiunzione preliminare. Il nome che è istanza d autorità ma nella libertà. Dunque l autorità del nome senza il dispotismo, il nominalismo, vale a dire senza il rinvio alla cosa, il rinvio al Dio non absconditus; senza il rinvio alla sua voce, quella di Dio, anziché il rinvio alla voce di nessuno. Il diritto dell Altro senza la chiarezza, il sostegno della voce di nessuno. E la voce non è pubblica, ecco la funzione del coro, nessuno. Il coro interviene nell intervallo. Dalla questione ebraica a quella cattolica: il percorso è dal nome al significante, dalla questione della nominazione a quella della procedura. Per noi, è la necessità che si ritrae nella lingua stessa, si fa interna alla lingua, non
2 più esterna all atto di parola. Senza determinismo. Ecco la questione del numero e della trinità. La questione ebraica: il nome rende illeggibile il tetragramma, il nome di Dio, impronunciabile, proietta Dio nell alto dei cieli, lo rende invisibile, avviando la nominazione. La funzione di nome è la funzione di zero. Quella che rende possibile calcolare sulla base dell errore di calcolo. Dunque, la questione del nome è anche la questione del numero. Nell antico testamento, ma nell antichità in genere, senza il figlio, senza la trinità, il numero è ancora investito di sacralità, si assume ancora il peso del nome ineffabile. Impossibile la funzione di zero senza ammettere l errore di calcolo. Nel vangelo: chi è senza peccato scagli la prima pietra: ecco l errore di calcolo che impedisce l esistenza della prima pietra. Impossibile il fondamento, ovvero il nome del nome. La prima pietra è già la seconda. Oppure, la pietra scartata dal costruttore che diventa la pietra angolare, dunque nessuna prima pietra. Nella cultura greca, con l eccezione probabilmente di Pitagora, si fissa e si tramanda il preconcetto ontologico, che diviene pregiudizio scientifico, di pensare il numero come fosse un ente al di fuori della parola, ovvero di strapparlo all atto di parola; alla sua scrittura, dunque di pensarlo al di fuori della tripartizione del segno: nome, significante e Altro. Questo è avvenuto secondo le due modalità che poi si sono trasmesse nel pensiero occidentale e che ancora imperversano nell ideologia scientifica fino a diffondersi nell opinione comune. La prima modalità è quella platonica del numero come idea primitiva e astratta, del numero indefinitamente numerabile, quindi come un idea assoluta e sottratta al tempo della parola, all errore di calcolo. La seconda modalità è quella aristotelica, che pensa il numero (e non solo il numero) come un puro dato, frutto di una convenzione del tutto estranea all atto di contare e calcolare, dunque il numero come motore immobile e identico a sé. Queste ideologie che sono all origine del naturalismo e del convenzionalismo, nella linguistica come in generale nell ideologia scientifica, ovvero nell epistemologia, si trovano accomunate nell operazione chirurgica preliminare di sottrarre il numero alla parola e al tempo dell atto. In entrambi i casi il numero è pensato come ripetizione, senza limite, dell unità. Con poche ma importanti eccezioni a questo modo di pensare (Cantor, Peano e pochi altri). Il numero che obbedirebbe dunque alla ragione algebrica e a quella geometrica secondo il concetto aristotelico d infinito potenziale, astraendo dall infinito attuale. Il fantasma di padronanza è all origine della credenza in una realtà ritenuta dipendente dalla ripetizione di elementi identici, riproducibili indefinitamente, senza differenza e senza variazione. Il principio aristotelico d identità (con le sue inevitabili conseguenze, principio di non contraddizione e del terzo escluso) ha soffocato la differenza originaria, l originaria disgiunzione. Allora la sessualità si è convertita nell erotismo. La rappresentazione del mondo ha trionfato insieme al mondo sostanza inerte, eterna, immobile e unitaria, che obbedirebbe o tenderebbe vanamente di opporsi a leggi già scritte al di fuori dell atto di parola. Il sogno è stato cancellato o relegato ai margini del
3 pensiero. Anziché motore della vita, del racconto, è stato imprigionato, considerato espressione di pazzia. La trinità è il tentativo di rompere questo dualismo ontologico, un tentativo isterico, se vogliamo, ma in definitiva un modo per salvaguardare l atto di parola, inaugurando la possibilità di una procedura. Gli scienziati, i grandi matematici, anche i linguisti, nel momento felice delle loro invenzioni, in realtà piuttosto che filosofi, o ontologici, erano teologi trinitari. L inconscio è il numero e, come il numero, esige quindi la tripartizione del segno che inaugura la procedura. La scienza è la parola presa nella tripartizione del segno, ovvero la cosa avulsa dalla sostanza, la cosa strappata al nominalismo e al convenzionalismo. Per questo lo scienziato è piuttosto teologo. Nel senso che gli occorre l atteggiamento del teologo, ovvero di accostare la realtà nella tripartizione del segno, per cui risulti impossibile fissarla nella bipartizione come sostanza, o come convenzione. La tripartizione è il metodo scientifico, la scrittura scientifica dell esperienza. Impossibile pensare anche la lingua al di fuori della tripartizione. Ciascun atto termina ma non ha fine. L infinito attuale anziché potenziale. La psicanalisi potrebbe forse corrispondere a una rivalutazione della trialità dell esperienza, sulle orme della teologia trinitaria, tenendo conto dell Edipo. Che cosa accade quando al padre al figlio e allo spirito si sostituisce il nome, il significante e l Altro? Il padre è diventato un nome, vale a dire l esperienza dell atto di parola ha guidato questa trasposizione e l esperienza scientifica, teoretica, non può che essere l esperienza che procede dall atto di parola. Questo il processo all origine di ogni ricerca e invenzione scientifica: ciascuna scienza (ce lo insegna la linguistica che forse è la regina delle scienze) non può che procedere dall attuale, dall atto di parola. Il nome come atto, il significante come atto, l Altro in atto. Nominare qualcosa, già significa, tolta la cosa, avviare la procedura. Tolta la cosa, ovvero assumere la rimozione originaria. La procedura è il risultato di una necessità linguistica, cioè che il nome funzioni, nel rinvio a un significante e poi a un altro ancora. Considerare l oggetto come il toglimento della cosa vale subito a introdurre la tripartizione e la procedura. La trinità per i padri della chiesa era la matrice essenziale di ogni realtà. Nel nome del padre, del figlio e dello spirito santo era garantito l agire dell uomo, dunque la procedura. La sostanza si dissolveva, l inerzia (aristotelica) della materia era annullata. L oggetto non era più in alcun modo rappresentabile. Introdurre il nome vale a introdurre l equivoco e dunque corrisponde al toglimento della cosa. La stessa cosa è rinviata alla cosa stessa non senza la cosa altra. L altra cosa, e tutto è ancora da raccontare, la vita innanzi con la sua apertura. La ricerca, in qualsiasi ambito, si avvale della cosa per dare la caccia al sembiante. Occorre che la cosa non rimanga la stessa, e non si esaurisca nella cosa stessa, ma approdi alla cosa altra. Questo è il processo di qualità. Anche la linguistica, come la matematica e qualsiasi disciplina, non può sottrarsi da questa condizione. Consideriamo ideologica, e specificamente epistemologica, qualsiasi ricerca che si areni elevando a universale un elemento della
4 ternarietà. Quindi ogni indagine il cui risultato sia la la ricaduta nel dualismo del pensiero, impedendo alla ricerca stessa di proseguire. Il nome, il significante e l Altro. Possiamo ora procedere rilanciando ciascun elemento per impedire che si riduca unicamente alla stessa cosa, alla cosa stessa o all altra cosa. Di qui le nostre definizioni: il nome (primo elemento) è un significante (secondo elemento) che funziona nella rimozione (terzo elemento). Avremmo potuto dire: il nome è un significante nell Altro. E anche qui si aprirebbero altre infinite direzioni per proseguire nell indagine. La varietà procede dall introduzione della trasposizione relativamente a uno o più elementi della relazione triale. Trasposizione qui vale come sostituzione. E la stessa varietà esige la singolarità di ciascun elemento. Singolare risulta ciascun elemento (della relazione) che non sussista eguale a se stesso: ecco il paradosso in cui incorre qualsiasi ricerca. Esaminiamo ancora un altra definizione che riprendiamo da Lacan: un significante rappresenta un soggetto per un altro significante. Per quanto vogliamo essere comprensivi, dobbiamo comunque ammettere che questa enunciazione è in odore di dualismo e, dunque, a rischio ideologico. Se possiamo interpretarla come il tentativo di sciogliere il soggetto dalle pastoie della sostanza, della cosa universale, questo tentativo fallisce contro la ripetizione del termine significante che ricorre due volte, lasciandoci ricadere nel concetto di sostanza sebbene non riferita banalmente al soggetto. Per quanto l enunciazione lacaniana sembri apportare il vantaggio di una messa in questione ulteriore del soggetto, ora è il termine di significante qui a rischio di sostantificazione. Questo sbilanciamento è poi quello che ha offerto la base per il rilancio di un certo lacanismo di maniera, ripetitivo e mortifero. L eccessiva valorizzazione attribuita al simbolico ha generato soltanto un ribaltamento della questione, senza mettere radicalmente in questione più di tanto il soggetto. In effetti, il valore positivo attribuito al soggetto si è capovolto in quello negativo. Sono ancora vicende del fantasma di padronanza: dal soggetto attivo a quello passivo. E con ciò, è anche mutato lo statuto dell oggetto. In realtà, di fronte a un soggetto passivo non restano che le vestigia del sembiante, non resta che un oggetto considerato irrimediabilmente perduto. Il sembiante è semplicemente ridotto a un misero resto, mentre non ancora riconosciute permangono le sue virtù. Questo resto, la castrazione e il rinvio del desiderio a scapito del godimento, anzi scisso, irrimediabilmente opposto al godimento. Anche enunciati lacaniani quali: il desiderio umano è il desiderio dell Altro oppure non bisogna cedere sul proprio desiderio, non sono certo stati di grande aiuto in direzione di un superamento. Lacan, aggiungendo agli oggetti freudiani la voce e lo sguardo, aveva già posto una forte ipoteca sulla staticità della relazione fra soggetto e oggetto. Lo sguardo suppone una forte prevalenza dell oggetto. Il soggetto guarda ma è sotto l effetto dello sguardo da parte dell oggetto. Il guardare si converte nello sguardo, l oggetto prevale sul soggetto. Il significante rappresenta il soggetto per un altro significante. Quest ultimo significante è dunque un altro, è nell Altro. Ma un significante nell Altro non corrisponde precisamente al nome? Ritorniamo pertanto alla formula di Verdiglione, con l aggiunta del quarto elemento, il soggetto, che a questo punto
5 non è che un elemento eccedente, che potremmo ricondurre a una sorta di contraccolpo, quasi fosse un effetto di ritorno, un surplus che pur non potendo mancare indica piuttosto un intoppo nella formula, un arresto, un funzionamento scorretto o non del tutto corretto. Voglio giungere a dire che forse questo quarto elemento non è altro che il sintomo (anche ricordando che nel nodo borromeo di Lacan proprio il sintomo era fatto corrispondere a uno specifico anello che si annodava agli altri tre, immaginario, simbolico e reale). Si tratta dunque del sintomo. Ma si tratta, per noi, anche del nome del nome, ovvero, nell enunciato lacaniano, dell altro significante che replica semplicemente il primo. Vale a dire che vi è soggetto quando il significante non rinvia semplicemente al successivo, nella pura differenza da sé, ma fa registrare un intoppo (l oggetto) che lo costringe a ripetersi eguale a se stesso; quando un significante non è più in grado di funzionare come nome nella rimozione ma viene bloccato come nome del nome. Per noi è una riprova della conclusione alla quale eravamo giunti per altra via, del sintomo come qualcosa che si oppone al funzionamento rigidamente fissato, ontologico, della struttura. Il soggetto, infine, non è che il contrappunto sintomatico, anzi con la sua eventuale insistenza segnala proprio il ripiego del sintomo nel sintomatico. Come il sintomo, il soggetto è un contrappunto del sembiante. Ma il soggetto è anche un sintomo consacrato, ovvero è il modo per fissare e annullare precisamente la risorsa che il sintomo rappresenta. Il soggetto è il sintomo nella sua chiusura. Il sintomo come esigenza di tripartizione, il sintomo procede cancellando il dualismo e instaurando la tripartizione. Quando la tripartizione funziona davvero, il sintomo si dissolve e anche il soggetto svanisce. Anche l atto di scrivere è un modo efficace di mettere in funzione la tripartizione e le correzioni eventualmente apportate a qualsiasi testo vanno in questa direzione. Qualsiasi scienza esige la tripartizione del segno. E la tripartizione equivale all ascolto. Perciò la scrittura è un buon esercizio per l ascolto. La cancellazione del soggetto è dunque il primo passo sul cammino dell ascolto. Anche la poesia è prima di tutto un esercizio di cancellazione del soggetto.
Siamo così arrivati all aritmetica modulare, ma anche a individuare alcuni aspetti di come funziona l aritmetica del calcolatore come vedremo.
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