IL PAZIENTE CON SCOMPENSO CARDIACO CRONICO PUO RECARSI IN QUOTA O AFFRONTARE UN VIAGGIO AEREO? QUALI LIMITAZIONI E QUALI ACCORGIMENTI?

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1 IL PAZIENTE CON SCOMPENSO CARDIACO CRONICO PUO RECARSI IN QUOTA O AFFRONTARE UN VIAGGIO AEREO? QUALI LIMITAZIONI E QUALI ACCORGIMENTI? Parte I: l adattamento alla quota nel paziente con scompenso cardiaco Lo scompenso cardiaco cronico è tra le malattie più frequenti nei paesi occidentali, con nuovi casi all anno negli USA (Lloyd-Jones et al. 2010). Sia il tasso di sopravvivenza, sia la qualità di vita dei pazienti scompensati sono migliorati in modo significativo durante l ultimo decennio, soprattutto grazie a un miglioramento delle terapie. Di conseguenza, molti pazienti conducono una vita normale o quasi per un periodo di tempo prolungato, che può includere la possibilità di passare del tempo libero in quota, di solito ad un altitudine tra i e i metri. Alcune domande alle quali spesso non è facile rispondere sono se sia sicuro per i pazienti scompensati stare ad alta quota, se tutti i pazienti si comportano allo stesso modo in quota o se ci sono differenze tra i pazienti in quota relativamente alla severità dello scompenso e alle comorbilità e, infine, se i pazienti scompensati devono adattare la propria prestazione fisica quando sono in quota. Inoltre, non è chiaro se, tra le diverse strategie terapeutiche disponibili per lo scompenso, ce ne sia una più appropriata per i soggetti che programmano un soggiorno in quota. E opportuno tenere presente che anche i viaggi aerei costituiscono nella sostanza una esposizione alla quota elevata. Se infatti i moderni vettori sono tutti ottimamente pressurizzati, è pur vero che nella cabina di un aeromobile che viaggia alla usuale quota di crociera (di solito intorno ai metri) la pressurizzazione corrisponde all esposizione ad una quota di circa mt, con significative variazioni tra i diversi aeromobili (vedi figura 1). In questo caso, tuttavia, il problema è di minore entità, in quanto il paziente impegnato in un volo rimane per la maggior parte del tempo seduto e non necessita di compiere esercizio. Anzi, in tale condizione le problematiche maggiori sono di tipo assai diverso e sono relative al rischio di trombosi venosa profonda secondaria alla prolungata immobilità e alla esposizione ad aria ambiente a basso grado di umidità con rischio di fenomeni di disidratazione. Il problema delle comorbilità Lo scompenso cardiaco cronico è una sindrome caratterizzata dalla compromissione di diverse parti del corpo, come i polmoni, i reni, i muscoli, la circolazione polmonare, i globuli rossi e il sistema nervoso simpatico, le quali necessitano di uno specifico adattamento all altitudine, o possono essere ulteriormente compromesse in alta quota. Inoltre, i pazienti scompensati presentano spesso comorbilità, quali per citarne solo alcune malattie polmonari, ipertensione sistemica, sindrome metabolica, vasculopatie coronariche e

2 periferiche, che possono ostacolare l adattamento alla quota, in particolare quando associate allo scompenso cardiaco. Perciò, i pazienti con scompenso e malattie polmonari compresa l ipertensione polmonare sproporzionata dovuta allo scompenso cardiaco (Simonneau et al. 2009) anemia, insufficienza renale severa, angina o cardiopatie primitive valvolari o pericardiche, che vogliono salire in quota, dovrebbero essere valutati per quanto riguarda lo scompenso e anche per le specifiche comorbilità da cui sono affetti. Per esempio, in un paziente con scompenso e BPCO, il secondo è il fattore che effettivamente limita l esposizione alla quota, per via di una riduzione di PO 2 maggiore rispetto ai soggetti scompensati senza BPCO (Gong et al. 1984; Gong 1989). Ne è una controprova l osservazione che, tra i pazienti scompensati esposti a basse quote (sotto il livello del mare, come nel Mar Morto), quelli affetti da scompenso e BPCO (con desaturazione arteriosa da sforzo) migliorano la propria prestazione più dei pazienti scompensati senza BPCO (Abinader et al. 1999). L adattamento alla quota e lo scompenso cardiaco: quali rischi e quali margini di sicurezza. Diversi meccanismi di adattamento alla quota o conseguenze di questa possono influenzare negativamente le condizioni fisiche dei pazienti con scompenso cardiaco, il che comprende un aumento dell attività simpatica, della pressione polmonare e sistemica, della frequenza cardiaca, il contenuto idrico del polmone, o una riduzione della gittata sistolica (Agostoni et al. 2009; Rimoldi et al. 2010; Cogo and Miserocchi 2011; Swenson 2011). Alcuni di questi effetti sono transitori ma, poiché possono essere associati a un peggioramento dello scompenso cardiaco, dovrebbero essere considerati con cautela nel valutare se un paziente scompensato può recarsi o no ad alta quota. Perciò, in prima istanza, sarebbe bene sconsigliare ai pazienti scompensati di salire a quote elevate, sebbene sia stato recentemente suggerito che esposizioni brevi (3-4 ore) e ripetute ad una quota simulata fino a 2.700m possono giovare ai pazienti in termini di qualità di vita, forza muscolare e prestazione fisica (Saeed et al. 2012). In ogni caso, un esposizione di 3-4 ore può essere diversa da una di 24 ore o più, perché può essere necessario più tempo perché si sviluppino completamente gli effetti negativi di alcuni meccanismi di adattamento alla quota. Attualmente sono molto pochi gli esperimenti veri, non di laboratorio, disponibili per i pazienti scompensati in quota. Infatti, sebbene sia possibile simulare condizioni di ipossia in laboratorio, non si può fare lo stesso per altre variabili presenti in quota, come un ambiente freddo e secco o tempo atmosferico avverso in generale. Fare esercizio in un ambiente freddo e secco comporta un consumo di energia maggiore rispetto all esercizio effettuato in condizioni favorevoli. È comunque ormai consolidato che i pazienti con coronaropatie e funzione ventricolare sinistra conservata possono raggiungere alte quote e praticarvi attività fisica in sicurezza, e che eventi cardiaci avversi, quali angina instabile o sindrome coronarica, non sono più frequenti che al livello del mare, se si escludono i soggetti non abituati allo sforzo (Schmid et al. 2006; de Vries et al. 2010; Dehnert and Bartsch 2010). Infatti, Schmid et al (Schmid et al. 2006) hanno mostrato che i pazienti

3 coronaropatici completamente rivascolarizzati possono raggiungere lo Jungfraujoch (3.454 m) in sicurezza e praticarvi esercizio, e de Vries et al (de Vries et al. 2010) hanno mostrato che i pazienti con storia di infarto miocardico acuto e funzione ventricolare sinistra conservata presentavano una riduzione della capacità di esercizio simile a quella dei controlli sani a 4.200m nella regione dell Aconcagua dopo un periodo di 10 giorni di acclimatamento (de Vries et al. 2010). Non ci sono dati disponibili per i pazienti scompensati, fatta eccezione per un altro studio del gruppo di Schmid (Nobel et al. 2010), che ha mostrato che i pazienti scompensati in condizioni cliniche stabili, classe NYHA II e con VO 2 di picco a 540m >50% del predetto, possono raggiungere lo Jungfraujoch (3.454 m) in sicurezza e praticarvi attività fisica. In questi pazienti scompensati, il VO 2 di picco si riduceva del 22% in quota e non si osservavano cambiamenti significativi negli eventi aritmici così come nelle misurazioni ecocardiografiche, fatta eccezione per un aumento della pressione polmonare. Va tuttavia sottolineato che, nello studio di Schmid, i pazienti scompensati raggiungevano lo Jungfraujoch in funivia e rimanevano a metri solo per poche ore. Sia l assenza di uno sforzo significativo per raggiungere la quota, sia la brevità dell esposizione possono aver contribuito al risultato positivo riportato da Schmid. Infatti, uno sforzo significativo è associato all accumulo di liquidi nel polmone tanto quanto una permanenza di qualche giorno ad alta quota (Singh et al. 1965; Heath and Williams 1981; Agostoni et al. 2009). Diversi pazienti affetti da scompenso cardiaco sono portatori di defibrillatori impiantabili (ICD) per il trattamento dell aritmia, e molti hanno pacemaker per la terapia di risincronizzazione cardiaca (CRT) come cura per lo scompenso. Attualmente sono disponibili poche informazioni riguardo al funzionamento degli ICD e CRT ad alta quota. Weilenmaen et al. hanno studiato 13 pazienti portatori di pacemaker monocamerali e non hanno riscontrato variazioni della soglia di stimolazione ventricolare a un altitudine di 4.000m, sebbene la durata dell esposizione fosse di soli 30 minuti e possa non riflettere con precisione quello che accadrebbe con una permanenza più prolungata in condizioni di ipossia ipobarica (Weilenmann et al. 2000). In uno studio recente su pazienti svizzeri che abitano ad alta quota, inoltre, è stato riportato un raro rischio di scossa di ICD (4%) ed è stato suggerito che i pazienti con ICD che abitano ad altitudini contenute possano praticare attività fisica moderata in sicurezza (Kobza et al. 2008). Cosa ci insegnano i dati ottenuti in laboratorio Sono disponibili informazioni più precise circa la prestazione fisica dei pazienti scompensati esposti a ipossia acuta, ottenute in laboratorio. Di fatto, la prestazione si riduceva progressivamente nei pazienti scompensati che si esercitavano a un altitudine simulata di 1.000, 1.500, e 3.000m (figura 2). Si noti che tale riduzione era maggiore nei pazienti scompensati che nei soggetti normali, e ancora maggiore nei pazienti con scompenso cardiaco severo (Agostoni et al. 2000), laddove la severità della malattia era definita dal VO 2 di picco (prestazione fisica normale: VO 2 di picco >20ml/min/kg, capacità di esercizio lievemente ridotta: VO 2 di picco tra 20 e 15 ml/min/kg, e capacità di esercizio

4 notevolmente ridotta: VO 2 di picco <15 ml/min/kg). In media, abbiamo osservato una riduzione della capacità di esercizio di ~2%, ~4%, ~10% ogni 1.000m di altitudine rispettivamente nei soggetti normali, nei pazienti scompensati con capacità di esercizio normale o lievemente ridotta e nei pazienti scompensati con capacità di esercizio notevolmente ridotta. Questi dati sono in linea con le osservazioni di Schmid allo Jungfraujoch (Nobel et al. 2010). Inoltre, è importante osservare che la diffusione alveolocapillare dei gas è correlata alla prestazione fisica nei pazienti scompensati sia al livello del mare (Agostoni et al. 2006a), sia a quota simulata (Agostoni et al. 2002b), e che durante esercizio aumenta nei pazienti sani, non cambia nei pazienti con scompenso cardiaco moderato, e diminuisce nei pazienti con scompenso severo (Agostoni et al. 2003; Cattadori et al. 2009). La diffusione alveolo-capillare dei gas è correlata negativamente al gradiente alveolo-capillare di O 2 al picco dell esercizio, sia in normossia che in ipossia (Agostoni et al. 2002b). È da notare che i pazienti scompensati che riescono ad aumentare la diffusione alveolo-capillare durante esercizio leggero sono quelli che mostravano la minore riduzione di prestazione fisica a un altitudine simulata di 2.000m (figura 3) (Agostoni et al. 2002b). Le informazioni sopra riportate suggeriscono che la diffusione alveolo-capillare dei gas a riposo e i suoi cambiamenti durante esercizio influenzano la prestazione fisica dei pazienti scompensati in condizioni di ipossia. Bisogna anche notare che non abbiamo dati sugli effetti di un soggiorno prolungato ad alta quota sui pazienti scompensati. Infatti, l adattamento all altitudine nei soggetti sani comprende, tra le altre cose, un miglioramento della ventilazione, della diffusione alveolo-capillare e della capacità di ossigenazione del sangue. Tutti questi fattori dovrebbero aumentare la prestazione fisica dei pazienti scompensati. Allo stesso modo, non abbiamo dati per rispondere alla domanda che viene posta di frequente su qual è la velocità con cui un paziente può raggiungere in sicurezza l alta quota, compresi il ritmo di salita e le tappe ad altitudine intermedia. Di conseguenza, sarebbe bene raccomandare cautela ai pazienti scompensati che intendono fare lunghi soggiorni ad alta quota. Conclusioni In conclusione l esposizione alla quota, vuoi per escursione che per viaggio aereo, è da considerarsi relativamente sicura per il paziente affetto da scompenso cardiaco cronico, purché in stabili condizioni e in assenza di altre significative comorbilità che interferiscano con i meccanismi di adattamento. I pazienti con comorbilità da scompenso devono essere valutati con cura, perché le comorbilità possono precludere loro in maniera definitiva una permanenza sicura ad alta quota. Fatte salve queste condizioni è possibile permettere al paziente con scompenso di raggiungere quote fino a mt. Il paziente dovrà però essere informato del fatto che deve aspettarsi una riduzione della sua prestazione fisica in relazione alla severità della malattia e all altitudine che raggiunge. Un problema a parte, ma della massima importanza, riguarda i consigli terapeutici da dare al paziente che intende programmare un viaggio in quota. Non è scontato che gli stessi trattamenti giudicati adeguati in condizioni di normossia, infatti, lo siano anche in condizioni di ipossia.

5 Questo sembra valere in particolar modo per i beta bloccanti, la cui azione contrasta in parte i meccanismi di adattamento alla quota. Poiché tale interferenza sembra essere prevalentemente legata la blocco recettoriale di tipo beta 2, i beta bloccanti cardioselettivi, come bisoprololo e nebivololo, sono probabilmente più sicuri nei pazienti che devono affrontare un viaggio in quota. Una più approfondita disamina di questo argomento è tuttavia riservata alla seconda parte di questo focus on. Piergiuseppe Agostoni - Mauro Contini U.O. Scompenso Cardiaco e Cardiologia Clinica e Riabilitativa Centro Cardiologico Monzino, Milano

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