IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE DEI CONTI IL GIUDICE UNICO DELLE PENSIONI

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1 REPUBBLICA ITALIANA N. 104/09 IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE DEI CONTI SEZIONE GIURISDIZIONALE REGIONALE PER IL VENETO IL GIUDICE UNICO DELLE PENSIONI Nella persona del Referendario dott. Giovanni Comite. Visto il Testo Unico delle leggi sulla Corte dei Conti, approvato con r.d.12 luglio 1934, n.1214, e successive modifiche; visti gli artt.1 e 6 del d.l. 15 /11/93 n. 453, convertito nella l.19/1994; visto l art. 5, della legge 21 luglio 2000 n.205; visti gli artt. 131, 132, 420, 421, 429, 430 e 431 c.p.c, nonché l art. 26 del Reg. Proc. per i giudizi innanzi alla Corte dei Conti, di cui al r.d. 13 agosto 1933, n.1038; visto l atto introduttivo del giudizio; esaminati gli altri atti e i documenti tutti di causa; chiamato il giudizio alla pubblica udienza del 29 gennaio 2009, con l assistenza del segretario dott.ssa Chiara Grella, ha pronunciato la seguente SENTENZA Sul ricorso in materia di pensioni, iscritto al n del registro di segreteria e congiunto a richiesta cautelare di sospensione, promosso ad istanza del sig. S. G., nato, Omissis, a Omissis (Omissis), ivi residente, in Omissis, rappresentato e difeso, in virtù di mandato a margine dell atto introduttivo del giudizio, dagli avv.ti Alvise Cecchinato e Susanna Geremia, presso lo studio dei quali, a Venezia, San Marco 4603,

2 2 è elettivamente domiciliato, avverso l Istituto Nazionale di Previdenza per i Dipendenti dell Amministrazione Pubblica (I.N.P.D.A.P.), sede provinciale di Venezia, in persona del legale rappresentante p.t., per < l accertamento, previo ove occorra annullamento degli atti relativi al trattamento pensionistico in questione dell illegittimità dell iniziativa dell INPDAP di recupero di credito erariale accertato sulla partita di pensione iscrizione , e quindi della irripetibilità delle somme di cui è stata intimata la restituzione, e con condanna per l effetto dell Ente previdenziale a cessare dalle pretese, restituendo quanto già incamerato, oltre interessi, anche anatocistici, e rivalutazione monetaria dal dovuto al saldo come per legge>. Considerato in FATTO Con il ricorso in epigrafe indicato, ritualmente notificato e depositato il 15 aprile 2008, il sig. G. S. avversava il provvedimento n , in data 23 novembre 2007, con il quale l INPDAP provinciale di Venezia disponeva il recupero della somma di ,76, quale asserito credito erariale emerso sulla partita di pensione n , intestata al medesimo, per maggiori assegni corrisposti e non dovuti a far tempo dal 01 settembre 1994 al 30 novembre 2007, ed applicava la ritenuta cautelare di 270,77, a decorrere dal dicembre 2007 e fino al 30 aprile Dalle risultanze in atti emergeva che l attore, già dipendente del Ministero dell Istruzione, cessava dal servizio, in data 31 agosto 1994, con attribuzione di trattamento provvisorio di pensione a far tempo dal 01 settembre successivo.

3 3 Con nota n. 4697, del 15 novembre 1996, il Provveditorato agli Studi di Venezia riliquidava il trattamento provvisorio nella misura, annua lorda, di , a decorrere dal 01 settembre 1994, elevata a , dal 01 gennaio 1995, e a , dal 01 dicembre 1995, oltre Indennità Integrativa Speciale e aumenti perequativi dovuti d ufficio ai sensi delle norme vigenti. Con decreto n , del 28 luglio 2003, il Centro Servizi Amministrativi, ora Ufficio Scolastico Provinciale, di Venezia attribuiva al ricorrente la pensione definitiva che recava importi annui lordi inferiori: , a far tempo dal 01 settembre 1994, , dal 01 gennaio 1995, e a decorrere dal 01 dicembre Le minori somme conseguivano al riconoscimento di un anzianità di servizio utile (provved. n.8493, del 23 giugno 1999 richiamato nel decreto definitivo) pari ad anni 34, mesi 5 e giorni 26 (periodo arrotondato per difetto ad anni 34), in luogo dei 35 anni accertati in sede di provvedimento provvisorio, così rideterminato per la impossibilità di valorizzare in quiescenza il periodo luglio 1973 in quanto contemporaneo ad altri servizi. Il succitato decreto, applicato dall INPDAP, quale Ente pagatore, sulla rata meccanografica di dicembre 2007, originava un conguaglio a debito, quale differenza tra trattamento provvisorio e definitivo, pari ad ,24, che, in ragione di quanto statuito dall art.1, commi , della legge 23 dicembre 1996, n.662, ritualmente applicato dall Amministrazione previdenziale, era rideterminato in ,76, con abbuono, quindi, di un quarto del maturato sino al 31 dicembre 1995.

4 4 Conseguentemente, con il provvedimento n.13533, del 23 novembre 2007, l Istituto portava a conoscenza del pensionato quanto accertato, ingiungendo il pagamento della complessiva somma di ,76, ed applicando la ritenuta cautelare mensile di 270,77, dal mese di dicembre 2007 e sino al 30 aprile Con successiva lettera del 19 dicembre 2007, il ricorrente, a mezzo di patronato INAS - CISL, contestava il recupero azionato, adducendo la propria buona fede, ingenerata da pagamenti reiterati per più di tredici anni e dovuti ad esclusivo errore dell Amministrazione, richiesta che non sortiva effetto alcuno. Seguiva, quindi, l odierna domanda con annessa sospensiva, nella quale i patroni dell attore osservavano come il recupero erariale era da considerarsi assolutamente illegittimo per violazione dell art. 9, della legge n.428/1985 (in ordine alle liquidazioni con procedure automatizzate), dell art. 162, del T.U. n.1092/1973, da interpretare in relazione alla sopravvenuta disciplina di cui alla legge n.241/1990 in ordine ai termini per la conclusione del procedimento di liquidazione della pensione definitiva. Richiamavano, inoltre, la violazione del principio di settore, evidenziato nella sentenza della Corte Costituzionale n.166/1996, afferente l irripetibilità delle somme corrisposte in più in presenza del requisito della buona fede e della percezione delle stesse per un lungo lasso di tempo, e di cui all art. 206, del D.P.R. n.1092/1973. E quanto dedotto trovava riscontro nella nota sentenza delle Sezioni Riunite, n.7/2007/qm, e in diverse altre pronunce delle Sezioni territoriali

5 5 di questa Corte (in particolare la sent. n.199/2008 di questa Sezione, integralmente richiamata), atteso che le maggiori somme attribuite per svariati anni, al pensionato in buona fede, erano supportate dalla convinzione della definitività del trattamento percepito. In ordine alla richiesta di sospensione, fermo restando il comprovato fumus boni iuris, osservavano che il periculum poteva e doveva essere ravvisato con maggiore elasticità, atteso che il recupero di tali importi costituiva ragione di grave pregiudizio per il pensionato, anche alla luce di quanto menzionato dall art. 38 della Costituzione, poiché verrebbe ad essere diminuito il trattamento di pensione diretto a soddisfare i bisogni primari del titolare e della sua famiglia. Con memoria, in atti al 28 aprile 2008 congiuntamente al fascicolo amministrativo, si costituiva in giudizio la sede I.N.P.D.A.P. di Venezia, che concludeva per il rigetto della domanda, in sede cautelare e di merito, con declaratoria dell obbligo di restituire il debito accertato; in subordine, per l ipotesi di accoglimento, instava acché l eventuale restituzione fosse limitata alla sola sorte capitale. L Istituto evidenziava, in primo luogo, che essendo intervenuto come ordinatore secondario di spesa, era obbligato ad operare il conguaglio e a recuperare le somme erogate in più, in ragione del carattere provvisorio del trattamento di quiescenza sul quale l indebito si era costituito, che non consentiva di attribuire rilevanza alla buona fede. Asseriva, inoltre, che la <ratio> dell art. 162, del D.P.R. n.1092/1973, era quella di consentire all Amministrazione, in sede di calcolo della pensione definitiva, una modifica delle determinazioni già assunte, con

6 6 conseguente conguaglio a debito o a credito, non soggetto per legge ad alcuna prescrizione. Conseguentemente, nel prendere atto della recente giurisprudenza delle Sezioni Riunite, di cui alla sentenza n. 7/2007/QM, richiamava, al riguardo, le osservazioni formulate dalla Procura Generale nel predetto giudizio in ordine alla questione. Quindi, rilevava come il superamento dei termini fissati dai regolamenti, previsti dall art. 2, della legge n.241/1990, non poteva avere l effetto di sanare l indebito; l art. 162, del D.P.R. n.1092/1973 e successive modifiche ed integrazioni, legittimava, pertanto il conguaglio a debito o a credito in sede di liquidazione della pensione definitiva, senza prefissione di un termine finale e, quindi, lo stesso conguaglio non era soggetto per legge ad alcun termine di prescrizione. Soggiungeva che se un termine era previsto esso non poteva coincidere con quello procedimentale ma con quello ordinario decennale di prescrizione. Rilevava, ancora, che la <...legge prevede a favore del ricorrente il rimedio consistente nel mettere in mora l Amministrazione in caso di inosservanza dei termini...fino alla denuncia di omissione di atti d ufficio, qualora l inerzia si protragga ulteriormente>. Precisava, inoltre, che l affidamento del pensionato andava provato caso per caso; che lo stesso era in grado di verificare i dati contenuti nell atto di liquidazione provvisoria e che la insufficiente tutela della buona fede non intaccava il contenuto dell art. 38, 2 comma, della Costituzione, in quanto norma programmatica. Infine rilevava come nel relativo procedimento erano intervenute diverse Amministrazioni, comprese la Ragioneria Generale dello Stato e la Corte

7 7 dei Conti, in sede di controllo, oltre all Amministrazione attiva dell interessato, da chiamare a rendere conto del loro operato. In ultimo, nella denegata ipotesi di accoglimento, chiedeva di disporre la restituzione della sola sorte capitale, senza ricarico per emolumenti accessori, così come ribadito da varie sentenze di questa Corte. Con ordinanza n. 46/2008, del 28 maggio 05 giugno 2008, la Sezione, in composizione collegiale, pur ravvisando prima facie la ricorrenza del <fumus>, in ragione del mancato rispetto dei termini regolamentari previsti per l adozione del provvedimento definitivo di pensione, respingeva la richiesta cautelare per insussistenza del <periculum in mora>. Con memoria, in atti al 19 gennaio 2009, il ricorrente ribadiva il contenuto della domanda con le formulate conclusioni. Alla pubblica udienza odierna, presente, per il ricorrente, l avv. Mattiello Sabrina su delega degli avv.ti Cecchinato/Geremia, che insisteva per l accoglimento del ricorso, per l INPDAP il dott. Mauro Dal Corso, nel riportarsi agli scritti defensionali in atti, avversava le succitate conclusioni, la causa, ritenuta matura, era trattenuta e decisa come da dispositivo in calce, pubblicamente letto ex art. 5, della legge n. 205/2000, depositato al termine dell udienza in allegato al relativo verbale, a disposizione delle parti come da vigente normativa. Ritenuto in DIRITTO In via pregiudiziale di rito la Sezione rileva che l implicita richiesta, sottesa all argomentare motivo dell INPDAP, volta ad integrare il

8 8 contraddittorio nei confronti di soggetti pubblici intervenuti a vario titolo nel procedimento amministrativo pensionistico (Amministrazione attiva, Ragioneria dello Stato e Corte dei Conti in sede di Controllo), è da ritenere non ammissibile oltre che ultronea ai fini dell odierno decidere. E ciò perché non può negarsi che la stessa è finalizzata a regolare i rapporti obbligatori correnti tra l Istituto previdenziale e le predette Amministrazioni, per i quali difetta la giurisdizione di questa Corte. Infatti, è da precisare che mentre è devoluta alla Corte dei Conti sia l azione del privato avente ad oggetto l accertamento del diritto all an ed al quantum di pensione, che l azione di recupero intrapresa dall Amministrazione Previdenziale e quella di rivalsa nei confronti del pensionato, disposta da parte dell Ente datore di lavoro il quale abbia rifuso l indebito predetto all Ente previdenziale (cfr. Corte di Cassazione SS.UU. Sentenza n. 920/1999, nonché Corte dei Conti Sezione Lombardia sent. n.442/2005, Sezione Veneto, sent. n.584/2006 e n.628/2007), rimane, invece, estranea alla giurisdizione contabile la controversia sull esistenza o meno dell obbligo, ovvero la determinazione della misura della sua eventuale sussistenza, dell Ente di appartenenza del pensionato, o di altri Uffici, di rifondere all Amministrazione Previdenziale l importo indebitamente erogato, per effetto di errore contenuto negli atti di liquidazione del trattamento di quiescenza. In tale fattispecie, la domanda giudiziale attiene a un rapporto obbligatorio distinto da quello pensionistico e sorgente tra soggetti diversi dal pensionato ed in base ad un titolo ed a presupposti differenti(ex multis Corte dei Conti Sezione III, sent. n. 62/2000, n.198/2000, Sezione Sicilia sent. n. 1235/2003, id.

9 9 Sezione Lazio, sent. n. 547/2004). Così come compiutamente evidenziato dalla Sezione III centrale d appello il < difetto di giurisdizione appare giustificato dal fatto che le parti processuali in senso formale e sostanziale sono soggetti che, in questa specifica fase, nulla hanno a che vedere con la determinazione di un trattamento di pensione (omissis) controvertendo tra loro soltanto in ordine all individuazione del soggetto cui dovranno essere addossate le responsabilità di un versamento erariale ritenuto conseguenza (omissis) di errori imputabili all Amministrazione di appartenenza ovvero all Ente liquidatore del trattamento di pensione>(cfr. Corte dei Conti, Sezione III, sentt. n.62/2000 e n.24/2005). Chiarito l ambito soggettivo, sempre in sede pregiudiziale ma gradata, questo Giudice deve osservare, contrariamente a quanto rivendicato da parte attorea in termini di accoglimento del ricorso previo annullamento degli atti relativi al trattamento di pensione, che in fattispecie la giurisdizione di questa Corte ha natura dichiarativa poiché tende all accertamento del diritto a pensione e nella misura di legge (rientrando nella cognizione della stessa anche le conseguenze in termini di recupero): in tale evenienza l atto o gli atti gravati sono degradati a meri presupposti processuali proprio perché la giurisdizione investe l intero rapporto. La pienezza di quest ultima consente, quindi, di conoscere di ogni aspetto del provvedimento impugnato (legittimità e merito) all unico scopo di accertare il diritto soggettivo a pensione nella sua esatta misura con esclusione di pronunce a carattere caducatorio o annullatorio, estranee al

10 10 potere ascrivibile alla Corte dei Conti. Ciò premesso, in via preliminare, la Sezione deve precisare, invece, che il recupero in questione non conseguiva all applicazione delle cc.dd. procedure automatizzate, richiamate da parte ricorrente per evidenziarne la definitività del provvedimento di quiescenza trascorso un anno dalla sua modifica. Invero le procedure automatizzate, di cui all art. 5, del D.P.R. n.429/1986, consistono in quelle <...variazioni di carattere generale apportate, in esecuzione di disposizioni di legge o per istruzioni ministeriali, con o senza pagamento di arretrati, le cui...elaborazioni di aggiornamento degli archivi magnetici sono eseguite dal sistema informativo...>. E solo con riferimento a tali procedure generalizzate che l art. 5 citato impone il riscontro, dalle direzioni provinciali del Tesoro (ora INPDAP), entro il termine di un anno, a norma dell art. 9, della legge n.428/1985. Passando al merito, la controversia odierna attiene alla giuridica possibilità, per l Amministrazione Previdenziale, di ripetere somme di danaro corrisposte in più, ma non dovute, sul trattamento provvisorio di quiescenza dell accipiens pensionato, nel periodo 01 settembre novembre Sosteneva il ricorrente che, nella predetta fattispecie, la non esigibilità era una conseguenza automatica della buona fede e dell affidamento ingenerato dal conferimento, per un lungo lasso di tempo, di un trattamento di quiescenza errato nel suo ammontare ed erogato a seguito di determinazione delle amministrazioni preposte, senza alcuna propria

11 11 partecipazione procedimentale. Soggiungeva, inoltre, che l indebito andava dichiarato irripetibile in maniera integrale, alla luce dei principi enunciati dalla Consulta nella sentenza n.166/1996, sulla base di quanto previsto dall art.206, del T.U. n.1092/1973, così come affermato dalla Sezioni Riunite di questa Corte con la sentenza n.7/2007/qm e da diverse altre pronunce delle Sezioni territoriali. L Amministrazione previdenziale, da parte sua, avversava le predette conclusioni in ragione dell obbligo giuridico al recupero, gravante sulla medesima, delle somme indebitamente corrisposte, attese le norme di diritto comune (art c.c.) e di diritto amministrativo (art. 162 T.U. n.1092/1973) che regolano la materia. Prendeva, inoltre, atto di quanto statuito dalla recente sentenza delle Sezioni Riunite, n. 7/2007/QM, facendo proprie le osservazioni della Procura Generale in essa contenute. Per le ragioni di seguito espresse, il ricorso si appalesa fondato e, pertanto, meritevole di accoglimento. Al riguardo è necessario, preliminarmente, inquadrare la fattispecie sotto l aspetto normativo disciplinare. L art del c.c. disciplina il c.d. pagamento non dovuto, in quanto non supportato da idonea causa (ad es. solvendi, donandi), accordando al solvens la ripetizione di quanto pagato, indipendentemente da ogni altra considerazione relativa alla scusabilità dell errore ed alla buona fede dell accipiens: ciò in ragione del fatto che il nostro Ordinamento non ammette l esecuzione di una prestazione non sorretta da giustificazione causale giuridicamente rilevante. La giurisprudenza ha poi introdotto, progressivamente, il principio della

12 12 tutela dell affidamento ingenerato nel privato in buona fede, nel senso che la legittimità del provvedimento amministrativo, con cui si agiva per il recupero dell indebito, era valutata anche alla stregua di questo affidamento. Per altro verso, la non ripetizione delle somme pagate in più rispetto a quelle dovute, da parte di talune amministrazioni, trovava riscontro in proprie peculiari discipline, che attribuivano rilevanza all elemento psicologico del beneficiato. Tra tali normative, particolari e derogatorie al principio generale della ripetizione dell indebito, merita menzione, per il favorevole trattamento che ne conseguiva per i pensionati, l art. 206 del D.P.R del 1973, che stabiliva il principio dell irripetibilità dell indebito emergente a seguito di revoca o modifica del provvedimento definitivo di pensione, in assenza di fatto doloso dell interessato. La norma era autenticamente interpretata dal 1 comma, dell art. 3, della legge 428/1985, nel senso che il recupero era escluso quando, in presenza delle condizioni stabilite dagli artt. 204 e 205 del T.U. 1092/1973, il provvedimento definitivo di concessione o di riliquidazione di pensione veniva modificato o revocato da altra determinazione formale soggetta a registrazione. Analoga disciplina si rinviene nell ambito delle pensioni a carico dell Assicurazione Generale Obbligatoria (AGO), ove l art. 52, della legge n.88 del 1989, anch esso interpretato autenticamente dal Legislatore con l art. 13, della legge 412 del1991, precisava che la < sanatoria ivi prevista opera in relazione alle somme corrisposte in base a formale, definitivo provvedimento che risulti viziato da errore di qualsiasi natura imputabile all Ente erogatore >, fatto, comunque, salvo il caso di

13 13 percezione dolosa. La suddetta disciplina, con riferimento all articolo 52, della legge 88/1989, avente formulazione letterale e sostanziale identica all art. 206 del T.U del 1973, in termini di definitività del provvedimento di pensione, ha superato anche il vaglio di legittimità costituzionale, con la sentenza n. 383, del 31 luglio 1990, del Giudice delle Leggi. Quest ultima affermava che < in altri termini, è sancita l irripetibilità delle somme erogate, sia che l errore sia caduto sull an, sia sul quantum. Unica condizione richiesta è quella della mancanza di dolo dell interessato La suddetta interpretazione è adeguatrice ai precetti costituzionali, ponendo su un piano di parità il trattamento dei pensionati INPS e quello dei pensionati ex dipendenti pubblici >. Ne conseguiva, quindi, che l Amministrazione attiva dell interessato o, nei casi previsti, l Ente previdenziale potevano revocare o modificare, quale espressione del potere di autotutela, un provvedimento definitivo di pensione, in presenza di errore di fatto in cui le stesse fossero incorse in sede di liquidazione del trattamento di quiescenza, con conseguente irripetibilità delle somme in più corrisposte, in assenza di dolo dell interessato. Ora, la normativa vigente, in specie l art.162 del D.P.R. 1092/1973, nel testo modificato dall art. 7 del D.P.R.138/1986, per i dipendenti delle Amministrazioni Statali, e le leggi n.3/1979, n.153/1981, n.131/1983 e successive modifiche, per gli amministrati dalle Casse di previdenza dei dipendenti degli enti locali, ha previsto, altresì, l attribuzione, in favore dell interessato e nelle more dell emanazione del provvedimento

14 14 definitivo, di trattamento provvisorio di pensione, determinato in base ai servizi accertati, alla qualifica attribuita, risultanti dalla documentazione prodotta ovvero in possesso dell amministrazione. La succitata disciplina prevedeva, inoltre, che qualora l importo della pensione definitiva risultante dal decreto di concessione registrato alla Corte dei Conti non fosse stato uguale a quello attribuito in via provvisoria, la direzione provinciale del tesoro (ora INPDAP) provvedeva alle necessarie variazioni, facendo luogo al conguaglio a credito o a debito. Con chiarezza, non sempre agevolmente riscontrabile nel risultato del procedimento normativo, emergeva l esistenza di un dovere giuridico, in capo all Amministrazione, di verificare la sussistenza dei presupposti per operare un conguaglio a debito o a credito sulle poste di pensione, una volta intervenuto il provvedimento definitivo di quiescenza. Ciononostante, le lunghe dilazioni temporali, che, soprattutto per il passato, informavano il procedimento amministrativo pensionistico, hanno sollevato, da un punto di vista interpretativo, il problema della estensione analogica dell art. 206 del T.U. 1092/1973, in tema di irripetibilità di indebito derivante da pensione, quando si è in presenza di revoca o di modifica di decreti di liquidazione provvisoria di pensione, come nel caso che ci riguarda, accompagnata dalla sussistenza di determinate condizioni, quali la buona fede del percettore e la tardività del provvedimento che ha fatto emergere l indebito. Ora pare ragionevole ritenere che la <ratio> della norma che prevede la irripetibilità delle somme corrisposte in più (art. 206 T.U.1092/1973) sia da rinvenire nell affidamento che ingenera, nel pensionato, la concessione

15 15 del trattamento definitivo di pensione e nella sua buona fede nel percepire somme che la stessa Amministrazione riconosce definitivamente dovute. Secondo la più autorevole giurisprudenza, seguita anche da questo Giudicante, l'affidamento <dell'accipiens> era ammissibile soltanto con riferimento all'esistenza di una determinazione finale che avesse carattere di definitività, per cui doveva ritenersi che al di fuori delle ipotesi di cui agli artt. 205 e 206 del T.U., conseguenti a provvedimenti di revoca o modifica di pensioni definitive, che avevano carattere eccezionale e derogatorio e non erano suscettibili d interpretazione analogica, non sussisteva la possibilità per il giudice di attribuire rilievo alla buona fede del percettore per somme erroneamente corrisposte dall'amministrazione su trattamenti provvisori (Corte dei conti, sez. riun., 14 gennaio 1999, n. 1/QM; id. Corte dei conti, Sezione 2^, 10 luglio 2002, n. 228). Tuttavia, giova rammentare che, secondo quanto ritenuto dalla stessa Corte Costituzionale, nel settore previdenziale sembra essersi affermato un principio di settore secondo il quale <...diversamente dalla generale regola codicistica di incondizionata ripetibilità dell'indebito, trova applicazione la diversa regola, propria di tale sottosistema, che esclude la ripetizione in presenza di una situazione di fatto...avente come minimo comune denominatore la non addebitabilità al percipiente della erogazione non dovuta> (Corte cost., sent. n. 166, del 24 maggio 1996, ma anche sentenze n.431, del 14 dicembre 1993, e n. 240, del 10 giugno 1994).

16 16 In ragione di tale principio, parte della giurisprudenza contabile, soprattutto di primo grado, ha affermato, in più occasioni, che l erroneità nell erogazione di somme non dovute non legittima l'azione di recupero da parte dell'ente previdenziale nei confronti del pensionato quando questi le abbia riscosse in buona fede e sia trascorso un tempo così lungo da indurre nel percipiente il ragionevole pensiero che le somme risultassero effettivamente dovute (Corte dei conti, Sezione Piemonte, sent. n.1590, del 15 settembre 2003, id, 28 ottobre 2003, n. 1834; Sez. giurisdizionale Sicilia, sent. n.1, del 2 gennaio 2004). Ora non vi è chi non veda come il sistema normativo, che prevede l'irripetibilità delle sole somme erogate al pensionato in forza del trattamento pensionistico definitivo, appare legittimo, ragionevole e sostenibile solo se il lasso di tempo che intercorre tra la concessione del trattamento provvisorio e l'erogazione di quello definitivo è contenuto e tale da non indurre in errore il percipiente di buona fede che faccia affidamento sulla pensione per il soddisfacimento delle sue esigenze di vita. Al riguardo, infatti, è bene precisare che dal momento del collocamento a riposo del lavoratore si apre il procedimento amministrativo di concessione del trattamento pensionistico, che comporta l'accertamento del diritto al trattamento stesso e la determinazione del suo ammontare. Riguardo a tali adempimenti l'art. 2, della legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi) ha stabilito che ogni amministrazione deve determinare il termine entro il quale ogni

17 17 procedimento deve concludersi, a meno che il termine stesso fosse già precisato dalla legge e che in mancanza di determinazioni dell'amministrazione il procedimento doveva concludersi entro trenta giorni, ora novanta, così come disposto dall art. 3, commi 6^ bis e 6^ quater, del d.l. 14 marzo 2005, n.35, convertito, con modificazioni, nella legge 14 maggio 2005, n.80, che ha innovato il succitato articolo 2. Si trattava di un principio di civiltà giuridica diretto a favorire l'efficienza dell'azione amministrativa e ad evitare che l'incertezza delle situazioni giuridiche si prolungasse indefinitamente, con danno sia per l'amministrazione che, soprattutto, per il cittadino. Deve, quindi, ritenersi, anche per evitare censure di violazione degli artt. 3, 38 e 97 della Costituzione, che nell'ordinamento esista una norma generale che impone all'amministrazione di appartenenza del pensionato ed all'ente previdenziale di concludere in tempi brevi e ragionevoli il procedimento per la concessione del trattamento definitivo di pensione e che qualora tale termine venga superato non può onerarsi, il pensionato in buona fede, dell eventuale recupero di somme costituitesi sul trattamento provvisorio ma emergenti in sede di conguaglio con il trattamento definitivo, effettuato a notevole distanza temporale, nel caso di specie a distanza di 13 anni circa (dicembre 2007). Così posta la questione appare evidente che ogniqualvolta l'ente previdenziale pretenda dal pensionato la ripetizione di somme occorre verificare se si è in presenza di un indebito in senso proprio ovvero se, a causa dell'inerzia dell'amministrazione che ha protratto indefinitamente

18 18 un procedimento, il diritto al mantenimento delle maggiori somme percepite si è consolidato nel percipiente. Nel primo caso gli Enti potranno ripetere le somme erroneamente corrisposte secondo le normali regole civilistiche, nel caso di specie troverà applicazione l art c.c. quale norma di chiusura, operante nei casi non soggetti a discipline speciali; nella seconda ipotesi non potrà farsi luogo alla ripetizione perché, in buona fede, il pensionato è legittimato a ritenere che il procedimento per la concessione del trattamento pensionistico si sia ormai concluso e che, pertanto, l'importo percepito sia definitivo. Tali considerazioni hanno trovato conferma nell Autorevole recente pronuncia delle Sezioni Riunite di questo Istituto, che nella sentenza n.7/qm/2007, dell 11 luglio 07 agosto 2007, risolvendo talune questioni di massima, tutte riferibili alla problematica relativa alla ripetibilità o meno di indebito corrisposto a titolo di trattamento pensionistico provvisorio, hanno statuito che: <...in assenza di dolo dell interessato, il disposto contenuto nell art. 162, del D.P.R. n.1092 del 1973, concernente il recupero dell indebito formatosi sul trattamento pensionistico provvisorio, deve interpretarsi nell ambito della disciplina sopravvenuta contenuta nella legge n. 241 del 1990, per cui, a decorrere dall entrata in vigore di detta legge n. 241 del 1990, decorso il termine posto per l emanazione del provvedimento definitivo sul trattamento di quiescenza, non può più effettuarsi il recupero dell indebito, per il consolidarsi della situazione esistente, fondato sull affidamento riposto nell amministrazione>.

19 19 Ciò comporta, a parere di questo Giudicante, non una deroga al principio dell esigibilità dell indebito costituitosi sul trattamento provvisorio di pensione, ma una conferma del principio di settore afferente l irripetibilità di maggiori somme percepite in buona fede solo su pensione definitiva, in quanto dal combinato disposto dell art. 162, del T.U. n.1092/1973, e della disciplina sopravvenuta di cui alla legge n.241/1990, deriva la trasformazione del provvedimento provvisorio in definitivo qualora quest ultimo non venga emanato nei termini legali o regolamentari disciplinanti la materia. Soggiungeva, al riguardo, il Giudice delle Questioni di Massima che: <Il termine di legge o regolamentare amministrativo entro il quale l Amministrazione deve procedere all emissione del provvedimento definitivo di quiescenza assume dunque -atteso l inequivoco dettato normativo relativo alla contestualità dell emissione del provvedimento di pensione definitiva e dell eventuale, conseguente conguaglio - portata identificativa del connesso limite temporale da ritenersi sussistente per l eventuale esercizio legittimo del potere recuperatorio destinato a incidere sfavorevolmente sull assetto economico del percettore...alla scadenza del predetto limite temporale non si può dunque ravvisare alcuna ulteriore possibilità di esercizio del potere di recupero, e ciò nella considerazione che i limiti temporali fissati nella subiecta materia sono previsti a tutela (e non già a discapito) degli interessi privati coinvolti nel procedimento e operano come limite esterno destinato a segnare il discrimine tra esercizio dinamicamente legittimo del potere restrittivo da

20 20 parte dell Amministrazione e il sopravvenire della preclusiva carenza del potere stesso>. Naturalmente l individuazione del limite temporale per l emanazione del provvedimento definitivo sul trattamento di quiescenza, decorso il quale non può più effettuarsi il recupero dell indebito, è rimesso all accertamento ed alla valutazione del Giudice di merito, così come precisato nella succitata sentenza, che limitava l operatività <...della...pronuncia di massima solo per le fattispecie successive alla data di entrata in vigore della richiamata legge 07 agosto 1990 n.241>. Deve soggiungersi, comunque, che la mancanza di una norma che indichi il termine entro il quale il procedimento deve concludersi non implica che al procedimento non sia applicabile alcun termine e che l'amministrazione possa protrarlo indefinitamente senza giungere alla sua conclusione. <In buona sostanza l entrata in vigore delle disposizioni di cui alla legge n.241 del 1990 quali integrate dalle disposizioni di legge e regolamentari ex art. 2 della legge stessa ha innovato non tanto con riguardo all obbligo già esistente - di portare a compimento atti dovuti, quanto rispetto alle modalità stesse dell adempimento, per le quali ora vige il dovere di adottare un provvedimento espresso entro il termine univocamente applicabile. Tale innovazione, per quel che qui rileva, è destinata a tutelare i pensionati destinatari dell azione della pubblica amministrazione, i quali da un lato possono ora riporre un affidamento qualificato nella durata dei procedimenti che li riguardano, e, dall altro, possono immediatamente far valere le conseguenze dell inadempimento per superamento del termine

21 21 prefissato, dovendo peraltro escludersi nella subiecta materia la necessità di previa diffida per contrastare l inadempimento, in quanto nella fattispecie si fanno valere diritti soggettivi non subordinati all adozione di un provvedimento costitutivo dell Amministrazione..., fermo restando la diversa e autonoma problematica relativa alle modalità per accertare e far valere, anche facendo ricorso alle modalità già sommariamente indicate con la sentenza di queste Sezioni Riunite n.1/qm del 1999 ( diffida ex legge n.241 del 1990 e/o denuncia di omissione di atti d ufficio), eventuali responsabilità in ordine al ritardo e/o all omissione del provvedimento di liquidazione della pensione definitiva...>.(corte dei Conti, SS.RR. sent. n.7/2007/qm). In tal modo il Giudice delle Questioni di Massima, con funzione nomofilattica, ha chiarito che il superamento del termine, di legge o regolamentare, entro il quale la P.A. deve procedere all emissione del provvedimento definitivo di pensione, <...assume...portata identificativa del connesso limite temporale da ritenersi sussistente per l eventuale esercizio legittimo del potere recuperatorio destinato ad incidere sfavorevolemente sull assetto economico del percettore>. In sintesi, alla scadenza di tale termine vengono in rilievo sia un interesse oppositivo del pensionato, che mira a conservare un utilità già acquisita e connotata dalla formazione di un affidamento legittimo e tutelabile, e sia un interesse pretensivo, volto ad ottenere, anche dopo lo spirare del termine regolamentare l emissione del provvedimento definitivo di pensione, che, avendo natura ampliativa della sfera giuridica

22 22 dell interessato, è soggetto al principio dell inesauribilità del potere amministrativo. Ed è in relazione a tale ultimo profilo che parte ricorrente può certamente diffidare l Amministrazione preposta, anche in sede penale per le eventuali omissioni di atti d ufficio. A ciò, inoltre, è da aggiungere, come enunciato con chiaro argomentare dalle Sezioni Riunite, che limitare la tutela del pensionato alla mera applicabilità, in materia di recupero di un indebito tardivo e/o abnorme, delle norme sulla prescrizione decennale, <...non soddisfa l esigenza di pervenire ad una soluzione costituzionalmente orientata e coerente con il complessivo quadro normativo vigente e applicabile...>. Ora, nell ipotesi di causa, il ricorrente è stato collocato in quiescenza a far data dal 1 settembre 1994: in ragione di quanto previsto dall art. 162, del D.P.R. n.1092/1973, come sostituito dall art. 7, del D.P.R. 19 aprile 1986, n.138, al medesimo è stato attribuito un trattamento provvisorio determinato in relazione ai servizi prestati risultanti dalla documentazione in possesso dell Amministrazione attiva ovvero prodotta dal medesimo pensionato. Pertanto da tale momento, ossia dal collocamento in quiescenza del dipendente, si è aperto il procedimento amministrativo di concessione del trattamento definitivo, che comporta l accertamento del diritto al trattamento stesso e la determinazione dell ammontare esatto della pensione, che normalmente coincide con quello provvisorio. A seguito dell entrata in vigore della legge n. 241/1990, precedente, quindi, al collocamento a riposo, l Amministrazione attiva era tenuta ad

23 23 emanare il provvedimento definitivo entro i termini regolamentari ovvero legali stabiliti dalla normativa di riferimento. Ora, il Decreto Ministeriale 06 aprile 1995, n.190 (pubblicato sul S.O. alla Gazzetta Ufficiale 25 maggio 1995, n.120, recante Regolamento di attuazione degli artt. 2, secondo comma, e 4, primo comma, della legge 07 agosto 1990, n. 241, relativo ai termini entro i quali debbono essere adottati i provvedimenti finali di competenza di organi ed uffici dell Amministrazione dell Istruzione) ha previsto, nella tabella A allegata, che il procedimento amministrativo per il conferimento della pensione definitiva ordinaria diretta doveva essere ultimato entro 365 giorni. Successivamente, il decreto legge n. 79, del 28 marzo 1997, convertito, con modificazioni, nella legge 28 maggio 1997, n. 140, all art.3 ha previsto che <Il trattamento pensionistico dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche di cui all art.1, comma 2, del decreto legislativo 03 febbraio 1993, n.29, e successive modificazioni, compresi quelli di cui ai commi 4 e 5 dell art. 2 dello stesso decreto legislativo (ora art. 1, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n.165) è corrisposto in via definitiva entro il mese successivo alla cessazione dal servizio > (comma 1). Trattandosi di norma primaria che prevale su quella secondaria regolamentare e che trova applicazione per tutte le Amministrazioni pubbliche, entro il termine di trenta giorni il Ministero dell Istruzione era tenuto ad emanare il decreto definitivo di pensione, termine decorrente, in questo caso, dalla data di entrata in vigore del d.l. 79/1997.

24 24 Anche l INPDAP provvedeva, comunque, ad indicare tali termini nella chiara e puntuale Circolare n. 31, del 17 maggio 1999, ove il tempo per l adozione del provvedimento definitivo era mutuato dai vari Decreti Ministeriali riguardanti la materia (cfr. DD.MM. n.304/1992, n.325/1997 e n.352/1998). Ed invero, con decorrenza 18 febbraio 1993, l INPDAP ha stabilito criteri temporali uniformi entro i quali concludere il procedimento pensionistico: nella specie 540 giorni per le cessazioni dal servizio avvenute a tutto il 31 dicembre 1991, 180 giorni per le cessazioni collocate tra il 01 gennaio 1992 e sino al 17 febbraio 1993, 120 giorni, per i collocamenti a riposo avvenuti tra il 18 febbraio 1993 ed il 28 marzo 1997, e 30 giorni, a far tempo dal 29 marzo 1997 in poi. Il superamento della predetta previsione temporale, con riguardo ai 365, assegnati dal Regolamento Ministeriale, o ai 30 giorni assegnati dalla legge, potrà conservare, comunque, la conformità a norma solo nella misura in cui lo stesso si presenti come ragionevole e congruo: in sintesi il tempo è funzione dell affidamento, inteso quale situazione giuridica protetta dal protrarsi di esso oltre ogni ragionevole limite d incertezza (cfr. in senso conforme Consiglio di Stato, Sezione V, sent. n.1224, del 28 febbraio 2002, e Adunanza Plenaria, dec. n.20, del 12 dicembre 1992, nonché Corte dei Conti, Sezione Lombardia, sent. 309, del 29 aprile 2005). Nel caso de quo la pensione provvisoria è stata conferita con provvedimento del 1994, successivamente riliquidata con nota n.4697, del 15 novembre 1996, mentre il trattamento definitivo è stato attribuito

25 25 con decreto n , del 28 luglio 2003, del Centro Servizi Amministrativi di Venezia, applicato dall INPDAP sulla rata di dicembre 2007, quindi è intervenuto oltre ogni ragionevole previsione (dopo circa nove anni ed applicato dopo ulteriori quattro), trasformando così il provvedimento provvisorio in definitivo. Il protrarsi del procedimento di determinazione del trattamento definitivo di pensione per un così lungo periodo, senza che il ricorrente fosse stato interpellato o abbia omesso di fornire dati od informazioni all'amministrazione, è palesemente ingiustificato e legittima la percezione da parte del medesimo delle somme erogate in più dall'ente previdenziale, posto che appare ragionevole ritenere che il sig. G. S., in perfetta buona fede, quindi nell ignoranza dell errore in cui era incorsa l Amministrazione attiva, che aveva inizialmente liquidato la pensione rapportata ad un anzianità di anni 35, ridotta ad anni 34 con il decreto definitivo (fatto non controverso tra le parti), si era oramai convinto, soprattutto per i <tempi biblici> in cui ha trovato applicazione il trattamento provvisorio, dell assoluta conformità di quanto ricevuto a quanto dovuto, e, quindi, dell avvenuta conclusione del procedimento teso al trattamento definitivo di pensione. Ora, il concetto di affidamento, quale valore fondamentale dello Stato di diritto, costituzionalmente protetto nel nostro Ordinamento (si veda al riguardo Corte Costituzionale, sent. n.39, del 10 febbraio 1993 e n. 155, del 04 aprile 1990) ed in quello Comunitario, che ha accentuato le tutele dell interesse privato nei confronti delle azioni normativa e amministrativa delle Istituzioni europee (cfr. Corte di Giustizia delle Comunità Europee,

26 26 15 luglio 2004, causa C 459/02), per essere definito legittimo e tutelabile deve collocarsi, chiaramente, nel contesto di una condotta, del percettore delle maggiori somme, caratterizzata dall assenza di qualsiasi violazione dolosa del dovere di correttezza. E della sussistente condizione di buona fede e del conseguente affidamento, ingenerato da un così lungo periodo di percezione delle somme, si rendeva conto l Amministrazione previdenziale, che nel determinare la misura dell indebito provvedeva a ridurlo di un quarto in applicazione della legge n. 662/1996: cosa che non sarebbe stata possibile qualora fosse stato riconosciuto il dolo del soggetto percettore, così come previsto dall art. 1, comma 265, della legge 23 dicembre 1996, n.662. Inoltre, l assenza di dolo, quale elemento costitutivo dell azione di ripetizione, non trovava obiezioni neanche nella memoria dell Amministrazione convenuta, che affermava solo la non rilevanza dello stato soggettivo della buona fede giacché l indebito era maturato sulla pensione provvisoria e, quindi, era sempre ripetibile nonostante la sua ricorrenza. In ragione di quanto premesso deve dichiararsi, ai sensi dell art.206, del D.P.R. n.1092/1973, la non esigibilità delle somme intimate con il provvedimento INPDAP n , del 23 novembre 2007, per complessivi ,76, con conseguente restituzione di tutto quanto recuperato a titolo cautelare. Sulle somme dovute non gravano interessi e rivalutazione monetaria, poiché non viene in rilievo un credito pensionistico, non erogato ovvero

27 27 corrisposto in ritardo, fondato su una norma di legge, quanto, invece, un correttivo delineato in tutti i casi in cui il pensionato abbia percepito in buona fede assegni in più non dovuti. Perciò, nella fattispecie, non trova ingresso la giurisprudenza di questa Corte formatasi al riguardo sui crediti da pensione, poiché si tratta d indebita erogazione che, nella ponderazione dei contrapposti interessi dell Erario e del pensionato in buona fede, è affrancata dal recupero (cfr. ex plurimis Sezione III App., sent. n.519/2004, e Sezione I, sent. n.246/2007/a). Sussistono, stante la particolarità della vicenda esaminata, giusti motivi per compensare integralmente, tra le parti, le spese del giudizio cautelare e di merito. P.Q.M. La Corte dei Conti, Sezione Giurisdizionale regionale per il Veneto, Giudice Unico delle Pensioni, disattesa ogni contraria istanza, deduzione od eccezione, definitivamente pronunciando, dichiara irripetibili, ai sensi dell art. 206, del D.P.R. n. 1092/1973, le somme ingiunte con il provvedimento INPDAP n.13533, del 23 novembre 2007, e pari ad ,76, con conseguente restituzione di quanto recuperato a titolo cautelare. Sulle somme dovute non gravano interessi e rivalutazione monetaria come precisato in parte motiva. Dichiara integralmente compensate, tra le parti, le spese del giudizio cautelate e di merito. Manda alla segreteria della Sezione per i successivi adempimenti. Così deciso in Venezia, nella Camera di Consiglio, all esito della pubblica

28 28 udienza del 29 gennaio IL GIUDICE UNICO DELLE PENSIONI (F.to dott. Giovanni Comite) Il Giudice Unico delle Pensioni, ravvisati gli estremi per l applicazione dell art. 52, del D.Lgs. 30 giugno 2003, n.196 DISPONE che a cura della Segreteria venga apposta l annotazione di cui al comma 3 di detto art. 52, nei riguardi del ricorrente e degli eventuali dante ed aventi causa. Il GIUDICE UNICO DELLE PENSIONI (F.to dott. Giovanni Comite) Depositata in Segreteria il 30/01/2009 p. Il Dirigente F.to Guarino In esecuzione del provvedimento del G.U.P., ai sensi dell art.52, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n.196, in caso di diffusione, omettere le generalità e gli altri dati identificativi del ricorrente e degli eventuali dante ed aventi causa. Venezia, 30/01/2009 p. Il Dirigente F.to Guarino

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