Il federalizing process europeo

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1 E D I T O R I A L E 17 S E T T E M B R E Il federalizing process europeo di Beniamino Caravita Professore ordinario di Istituzioni di diritto pubblico Sapienza Università di Roma

2 Il federalizing process europeo * di Beniamino Caravita Professore ordinario di Istituzioni di diritto pubblico Sapienza Università di Roma Sommario: 1. Ripensare i processi europei. 2. La storia europea come storia comune. 3. I valori comuni dell'europa. 4. Le garanzie costituzionali dei valori comuni. 5. La dimensione europea e comune delle discipline sostanziali. 6. Il processo europeo non si può interrompere. 7. Ripensare le categorie del federalismo. 8. I primi modelli di federalismo moderno: l'uscita dai domini coloniali. 9. I modelli federali nel secondo dopoguerra e la fine del colonialismo. 10. Il federalizing process europeo. 11. Federalismo europeo, federalismi nazionali? 12. Come ripensare l'assetto istituzionale europeo. 13. In mezzo al guado. 1. Ripensare i processi europei. È evidente che oggi non sembra il migliore momento per parlare di un federalizing process europeo: a torto o a ragione, i morsi della crisi economica che attanaglia gli Stati del vecchio continente vengono ricondotti fondamentalmente alla costruzione europea, ai vincoli economici e finanziari che ne derivano, alla impossibilità di manovre economiche e sociali nazionali, alla cecità dei burocrati di Bruxelles, alla non democraticità della costruzione europea. Quest'ultima è poi l'affermazione più tranchant e negativa, giacché in essa è implicito un giudizio di valore: la costruzione europea non è e non potrà mai essere democratica, giacché la democrazia presuppone un demos, un popolo, e un popolo europeo non esiste. Ne abbiamo discusso tanto e ne continueremo a discutere. Ma, a mio modesto giudizio, la discussione non è ancora pienamente centrata. Ho l'impressione - e non me ne vogliano i miei amici e colleghi costituzionalisti e comunitaristi - che la discussione sull'europa non sia mai riuscita ad uscire da logiche settoriali, di materia, e non sia ancora approdata ad un approccio * Relazione introduttiva al Convegno sul tema La Sovranità finanziaria condizionata", Università di Siena, Dipartimento di Giurisprudenza, il 9 Maggio federalismi.it n. 17/2014

3 pienamente di diritto costituzionale. Ne abbiamo parlato sotto un profilo di teoria generale (c'è un popolo europeo? C'è uno stato europeo? C'è una costituzione europea?), sotto un profilo economico e finanziario, ovvero esaminando le politiche europee settore per settore; abbiamo seguito e inseguito minuziosamente i complicati processi decisionali europei, verificando se questa o quella procedura rispettasse precisamente questo o quel comma del Trattato 1 : non abbiamo mai provato a mettere insieme tutte queste analisi settoriali, affrontandole con un occhio e un profilo globale. Occorre in realtà mettere insieme un'analisi diacronica, che ci dica quanta unità e quanta divisione c'è stata e c'è nella storia dell'europa; un'analisi valoriale, chiedendoci se esistano valori comuni ai popoli europei; un'analisi di stretto diritto costituzionale, ponendoci la domanda se esistano strumenti giuridici per garantire a livello europeo il rispetto dei valori comuni, se si possano utilizzare le tradizionali categorie del diritto costituzionale nazionale a livello europeo, e se si possa parlare di una forma di Stato europea, di una forma di governo europea, di un sistema delle fonti europeo. Un'analisi approfondita va dedicata al profilo materiale, per vedere cioè quante e quali regole abbiamo in comune in Europa, spesso senza accorgercene o comunque senza dare a questo fatto il giusto peso; e non si può sfuggire infine ad un esame comparato con lo svolgimento del federalizing process negli altri modelli federali. Solo l'approfondimento di questi temi ci può dare la possibilità di evitare o comunque circoscrivere e storicizzare quella sensazione dell'essere "tutti senza bussola", così efficacemente descritta da Ulrich Beck nel suo ultimo libro 2. E a ognuna di queste domande è possibile dare risposte, che sono in realtà più condivise di quanto si possa immaginare. 1 E questo il rischio che corre la discussione pur autorevolmente introdotta circa la legittimità comunitaria dell introduzione dell euro. La tesi di fondo di Giuseppe Guarino, da ultimo riportata in Saggio di verità sull'europa e sull'euro, versione , in è quella della illegittimità del Regolamento n. 1466/1997 del Consiglio del 7 luglio 1997 per il rafforzamento della sorveglianza delle posizioni di bilancio nonché della sorveglianza e del coordinamento delle politiche economiche, per violazione degli articoli 102, 103, 189, c, del TUE. Lo spazio di questa nota e i tempi di pubblicazione del presente articolo non mi permettono di scendere in una interlocuzione serrata con il Maestro (il che, in una discussione orale, gli avevo promesso). Vorrei però sottolineare che, al punto 23 del suo saggio, Guarino riconosce che "forse per l'unione europea è venuto il momento di fare un salto e di puntare all'unione politica". Mi piace poi ricordare una intuizione di Guarino, che potrebbe e dovrebbe essere approfondita; afferma infatti l'a. che il vero tema oggi - per l'italia almeno - è quello del rapporto tra il costo del debito pubblico, cioè gli interessi che si pagano di volta in volta sullo stock del debito, e il tasso di crescita del Pil: uno spread troppo alto tra i due tassi impedisce definitivamente il recupero del debito. 2 U. BECK, Europa tedesca. La nuova geografia del potere, Laterza, federalismi.it n. 17/2014

4 2. La storia europea come storia comune. Così non c'è dubbio che la storia europea è una storia comune, in cui momenti e istituzioni di unità si intrecciano con momenti e istituzioni di divisione, fino ai drammi provocati dalla cecità dei nazionalismi europei: i colonialismi e le due grandi guerre mondiali. L'Europa che conosciamo oggi, che amiamo per il suo essere senza confini e odiamo per il suo essere senza confini, è figlia della cultura e della civilizzazione greca, dell'impero romano, delle invasioni barbariche, e dell'impero romano di oriente; è figlia del risorgere degli studi all'inizio del primo millennio, del diritto romano comune e dell'uso del latino 3 ; è figlia delle crociate e del rapporto con la cultura araba e islamica, della scissione luterana; è figlia delle grandi scoperte e dell'espansione coloniale; è figlia di Westfalia e della formazione degli stati nazionali. È figlia legittima delle grandi rivoluzioni, quella industriale, quella americana, quella francese, quella socialista 4. Ma soprattutto è figlia del plus jamais ça, dell'angoscia dal risveglio dagli incubi della seconda guerra mondiale, della distruzione della dignità umana, delle decine di milioni di morti. È da qui che riparte il progetto europeo che oggi conosciamo: certo, la ciclicità della storia europea, il suo alternarsi tra unità e divisione ci dimostrano che nulla è irreversibile, che l'europa non può non essere caratterizzata dalla Vielfalt, dalla molteplicità, e che ogni progetto di annichilire questa Vielfalt è intimamente autoritario e per ciò solo destinato a fallire, assuma esso vesti latine, arabe, francesi, inglesi, spagnole, tedesche o russe; ma, nello stesso tempo, che la Vielfalt europea ha spesso prodotto frammentazione. Basti pensare, per rimanere vicini nel tempo, al crollo repentino dell'impero Austro-Ungarico, che ha sperduto la sua molteplicità in frammentazione drammatica: l'originale e originario melting pot, l'incredibile miscuglio di razze, religioni, etnie tenuto insieme nell'impero si dissolse all inizio del secolo scorso tra ben nove nuovi stati europei. 3 Qui di solito mi piace ricordare il De usu et auctoritate iuris civilis Romanorum per dominia Principum Christianorum, testo seicentesco dell'inglese Arthurus Duck. 4 Per approfondimenti si veda G. MAMMARELLA, P. CACACE, Storia e politica dell Unione europea, Roma- Bari, federalismi.it n. 17/2014

5 Oggi, come ieri, la scommessa europea è come mantenere la Vielfalt, evitando la frammentazione e producendo un unità che non si trasformi in assimilazione ovvero in egemonia dell'una cultura sull'altra 5. Tant'è che tra i principi costituzionali europei si afferma che l'europa rispetta la ricchezza della sua diversità culturale e linguistica e vigila sulla salvaguardia e sullo sviluppo del patrimonio culturale europeo 6. Ed è per questo che - nonostante la ricchezza economica e politica attuale - l'europa non può essere tedesca, secondo il provocatorio titolo del lavoro di Ulrich Beck (il cui contenuto analitico, peraltro, è molto più condivisibile della provocazione lanciata nel titolo). 3. I valori comuni dell'europa. Sul fronte valoriale, l'europa oggi è ampiamente unificata. L'art. 2 del trattato sull'unione europea icasticamente prevede che L'Unione si fonda sui valori del rispetto della dignità umana, della libertà umana, della democrazia, dell'uguaglianza, dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti umani, compresi i diritti delle persone appartenenti a minoranze. Questi valori, definiti comuni agli Stati membri in una società caratterizzata dal pluralismo, dalla non discriminazione, dalla tolleranza, dalla giustizia, dalla solidarietà e dalla parità tra donne e uomini, non sono mero flatus vocis, non sono retoriche e vuote affermazioni di principio che cadono in deserti valoriali o, addirittura, in campi diversamente orientati, ma corrispondono in larghissima misura alle proclamazioni di principio di tutte le costituzioni europee moderne. Certo, vi saranno sfumature diverse tra paese e paese, nella storia e nella tradizione dell'uno la libertà avrà un colore più accentuato di eguaglianza, oppure il rispetto dei diritti delle minoranze potrà, nel rispetto della dignità umana, essere diversamente modulato, ma non vi è dubbio che questi valori, nel loro nucleo essenziale, rappresentano una base comune a tutti i paesi europei e si ricollegano indissolubilmente alle originarie costituzioni nazionali, permettendo così di parlare di una tradizione costituzionale comune (questa è a mio giudizio la critica di fondo al Bundesverfassungsgericht che continua a contrapporre i valori costituzionali tedeschi a quelli europei 7 : a meno di non voler semplicemente dire che - nell'ambito della vigente Costituzione tedesca - la sovranità nazionale non si tocca!). D altro lato, mettere in dubbio 5 Cfr. P. GROSSI, L Europa del diritto, Roma-Bari, Laterza, Art. I-3, terzo comma, del Trattato di Lisbona del 1 gennaio Cfr. Sentenza BVerfGE 89, 155 vom 12 Oktober 1993, Az: 2 BvR 2134, 2159/92, del 12 ottobre 1993, meglio nota come Maastricht-Urteil. Cfr. Art. 23 della Legge Fondamentale Tedesca, denominato L Unione europea. 5 federalismi.it n. 17/2014

6 l'efficacia delle dichiarazioni di principio significa - paradossalmente e contraddittoriamente - mettere in discussione anche il ruolo e l'efficacia delle dichiarazioni di principi delle costituzioni nazionali: le une e le altre hanno basi comuni nella storia, nella cultura, nell'esperienza europea; le une e le altre sono fatte dei medesimi ingredienti giuridici; le une e le altre hanno una prima conseguenza costituzionale, costituendo un fattore di integrazione delle comunità intorno a valori e simboli comuni 8, e poi un primo effetto giuridicamente positivo, quello cioè di orientare l'attività del decisore, dell'amministratore, del giudice, dell'interprete e un secondo, consistente nel costituire parametro di legittimità delle decisioni giurisdizionali 9 Né la mancata menzione delle radici cristiane e giudaiche ha dimidiato la ricchezza e il significato dell'esperienza comune: senza voler sminuire l'enorme significato dell'impatto politico, culturale, valoriale del cristianesimo nella costruzione dell'europa, è difficile ritenere che gli ideali di tolleranza, la difesa del pluralismo culturale, l'avvento del liberalismo politico, l'eguaglianza delle condizioni fra i sessi siano solo il prolungamento culturale del dogma cristiano 10. L'Europa, in verità, è plurale anche sotto questo punto di vista, giacché laicamente permette una proficua convivenza tra cattolici, protestanti, ebrei, mussulmani, atei. L'esistenza di un profilo valoriale comune si è naturalmente vieppiù accentuata con la Carta europea dei diritti fondamentali 11. Sotto il profilo della struttura economica, l'europa si è raccolta intorno alla formula dell economia sociale di mercato, esplicitata adesso nell'art. 3 del Trattato 12, peraltro insieme ad altri valori di non meno peso e significato di quelli generalissimi elencati nell'art. 2. Nonostante tutte le critiche, le scelte sottese alla formula dell'economia sociale di mercato sembrano più significative delle ambiguità. L'Europa rigetta, infatti, scelte di collettivizzazione e di dirigismo 8 Secondo il magistrale insegnamento di R. SMEND, Verfassung und Verfassungsrecht, Duncker & Humblot, München, Nella dottrina costituzionale italiana, questa posizione fu magistralmente illustrata da V. CRISAFULLI, La costituzione e le sue disposizioni di principio, Giuffrè, Milano, J. F. SCHAUB, L'Europe a-t-elle une histoire?, Albin Michel, Parigi, 2008, p P. RIDOLA, La Carta dei diritti fondamentali dell Unione Europea e le tradizioni costituzionali comuni degli stati membri, in Le riforme istituzionali e la partecipazione dell Italia all Unione Europea, S.P. Panunzio e E. Sciso (a cura di), Giuffrè, Milano, 2002; e Le tradizioni costituzionali comuni e l identità culturale europea in una prospettiva storica, in Diritto romano attuale, n.9/2003, 109 ss.. 12 Art. 3 comma 1 del Trattato sul Funzionamento dell Unione Europea: 1. L'Unione ha competenza esclusiva nei seguenti settori: a) unione doganale; b) definizione delle regole di concorrenza necessarie al funzionamento del mercato interno; c) politica monetaria per gli Stati membri la cui moneta è l'euro; d) conservazione delle risorse biologiche del mare nel quadro della politica comune della pesca; e) politica commerciale comune. 6 federalismi.it n. 17/2014

7 autoritario, optando per un modello in cui l'economia di mercato sappia (perché ciò deve fare) bilanciare la massimizzazione del profitto, che pure potrebbe derivare da una economia fortemente competitiva, con i valori sociali chiaramente espressi nello stesso art. 3, comma 3, tra cui in primo luogo la piena occupazione; e poi progresso sociale, elevato livello di tutela e di miglioramento della qualità dell'ambiente, rifiuto del l'esclusione sociale e delle discriminazioni, promozione della giustizia e della protezione sociali, parità fra uomo e donna, solidarietà fra le generazioni, tutela dei diritti del minore, coesione economica, sociale e territoriale, solidarietà tra gli Stati membri. Ed è per questo che non può non stupire l'incapacità di costruire proposte per lo sviluppo e l'occupazione: a meno di non pensare che il richiamo costituzionale alla stabilità dei prezzi - in nome del timore tutto tedesco dell'inflazione - non possa di per sé giustificare politiche recessive, contrarie ai richiamati principi. 4. Le garanzie costituzionali dei valori comuni. Questi valori comuni non sono indifesi. E, ricalcando la discussione tedesca del primo dopoguerra, non sono indifesi né da un punto di vista della garanzia politica, né da un punto di vista della garanzia giurisdizionale. L'art. 7 del Trattato prevede una specifica procedura - chiaramente politica, certo! - a tutela dei valori richiamati dall'art. 2. Infatti, su proposta motivata di un terzo degli Stati membri, del Parlamento europeo o della Commissione europea, il Consiglio, deliberando alla maggioranza dei quattro quinti dei suoi membri previa approvazione del Parlamento europeo, può constatare che esiste un evidente rischio di violazione grave da parte di uno stato membro di tali valori. Con un interessante meccanismo istruttorio, il Consiglio, prima di procedere alla constatazione, ascolta lo Stato membro in questione e può rivolgergli delle raccomandazioni, per poi verificare se i motivi che hanno condotto a tale constatazione permangono validi. Constatata all'unanimità l'esistenza di una violazione grave e persistente, il Consiglio a maggioranza qualificata può sospendere alcuni dei diritti derivanti allo Stato membro in questione dall'applicazione dei trattati. Si tratta di una procedura complicata e macchinosa, certo, ma non meno delle procedure sanzionatorie verso le entità federate tipiche degli stati federali. Ma soprattutto costituisce un importante arma di dissuasione di cui la Ue dispone nei confronti degli stati membri. Sul versante giurisdizionale, è indubbia ormai la funzione di custodia dei valori costituzionali comuni da parte della Corte di giustizia. La primazia del diritto comunitario sui diritti nazionali si è negli anni imposta anche negli ordinamenti più refrattari, e, insieme alla disapplicazione della normativa nazionale contrastante, all'effetto diretto e al monopolio dell'interpretazione vincolante 7 federalismi.it n. 17/2014

8 dei Trattati da parte della Corte di giustizia, costituisce lo strumento giuridico che ha dato le gambe al processo di omogeneizzazione del diritto europeo 13. In Italia, ma probabilmente anche negli altri stati membri, è sempre più frequente la chiamata in causa della Corte di giustizia, attraverso la questione di interpretazione pregiudiziale, in luogo della sollevazione della questione di legittimità costituzionale: quando c è di mezzo normativa comunitaria (ed è sempre più frequente!), sulle questioni che toccano principi costituzionali (che sono in larga misura comuni!), i giudizi nazionali preferiscono chiamare in causa il giudice europeo, affianco e in luogo - di quello costituzionale nazionale 14. In Germania è frequente l'uso della Verfassungsbeschwerde per sollecitare (o solleticare?) il giudizio sulle scelte comunitarie del Bundesverfassungsgericht: ma, al di là dell'auspicio che il Bundesverfassungsgericht possa autolimitarsi, chiamando in causa la Corte di giustizia 15, è possibile che non ci siano strumenti che permettano di portare di fronte alla Corte di Giustizia l'errato bilanciamento dei valori costituzionali europei, provocato da una o più omissioni delle istituzioni comunitarie? Non si potrebbe utilizzare a tal fine quella specie di Verfassungsbeschwerde o recurso de amparo comunitario che è il ricorso in carenza previsto dall'art. 235 del Trattato sul funzionamento, azionabile sia da Stati che da privati? Senza mettere in discussione le esigenze di risanamento dei conti di questo (il nostro) o di altri paesi comunitari e consapevoli che nel 13 La Corte costituzionale italiana ha sancito la diretta efficacia delle pronunce pregiudiziali della Corte di Giustizia nel nostro ordinamento con la sent. n. 113 del 1985 (in Giur. Cost, 1985, I, 694 e ss., orientamento confermato in anche in C. cost. n. 168 del 1991, ivi, 1991, 1409 e ss.), e delle pronunce espresse in sede contenziosa con la sent. n. 389 del 1989 (in Giur. Cost 1989, I, 1757 e ss.). 14 Vd., tra le tante che si possono citare, le ordinanze nn e 3132/2012 con cui il TAR Lazio ha sollevato questione pregiudiziale in tema di contributi in favore dell AGCOM (art. 12, direttiva 2002/20/CE) concluso con sentenza CGE del 18/07/2013; l ord. n. 4183/2013 in cui è stata sollevata, sempre dal Giudice Amministrativo del Lazio, la questione relativa ai costi minimi per il trasporto su strada, decisa con sentenza del 4/9/2014; nonché l ordinanza della Corte di Cassazione n. 4801/2014, in tema di credito per il mandato ex lege fra Stato e consorzi agrari. Sul tema si veda inoltre A. VUOLO, La tutela multilivello dei diritti in una controversa pregiudiziale di interpretazione, in federalismi.it, n. 16 del Il BVerfG ha riconosciuto in modo espresso di ritenersi astrattamente vincolato all'applicazione dell'art. 267 TFUE con la sentenza Solange I e con l'ordinanza Vielleicht (rispettivamente BVerfGE 317, 271 e BVerfGE 52, 187), ma non ha mai utilizzato lo strumento del rinvio pregiudiziale. Cfr. M.T. RÖRIG, Germania, in P. PASSAGLIA (a cura di), Corti costituzionali e rinvio pregiudiziale, disponibile sul sito della Corte costituzionale ( p. 59 ss. Per approfondimenti sui rapporti tra il Tribunale federale e le corti europee cfr. C. VIDAL, Germania, in A. CELOTTO J. TAJADURA J. DE M. BÀRCENA (a cura di), Giustizia costituzionale e Unione europea, Editoriale scientifica, Napoli, 2011, p. 47 ss.; W. HASSEMER, La giurisprudenza della Corte costituzionale tedesca e le corti europee, in Nuove Autonomie, n. 1, 2006, p. 11 ss.; G. CERRINA FERONI, Karlsruhe, Lussemburgo, Strasburgo: la Interpretationsverbund dei diritti fondamentali ancora lontana, in G. F. FERRARI (a cura di), Corti nazionali e Corti europee, Edizioni scientifiche italiane, Napoli, 2006, p. 191 ss. 8 federalismi.it n. 17/2014

9 bilanciamento dei valori costituzionali la discrezionalità del decisore politico è amplissima, forse è anche vero che l'uso di questa discrezionalità che palesemente mette a repentaglio o addirittura a rischio di annichilimento uno o più valori costituzionali può essere portato di fronte al giudice costituzionale comune per verificare, sfuggendo alla logica politica e intergovernativa, quali siano i nuclei da salvaguardare e in che modo. 5. La dimensione europea e comune delle discipline sostanziali. In realtà, nella maggior parte della disciplina dei settori della vita associata è ormai predominante la dimensione europea: e ciò perché tali settori sono stati oggetto di un importante processo di omogeneizzazione in forza del quale oggi il contenuto sostanziale delle legislazioni dei singoli Stati europei è in larga misura identico, differenziandosi eventualmente solo il grado e la qualità dell'attuazione. I dati, nella loro banale crudezza, sono impressionanti. Nelle 20 macro aree individuate nella normativa comunitaria erano vigenti, al 31 luglio 2013, atti legislativi. Di questi, una larga maggioranza sono regolamenti, cioè atti che si applicano direttamente negli ordinamenti nazionali. In ogni caso, il tasso di attuazione delle direttive è ormai vicino al 100%, pur se è ancora molto alto il numero dei procedimenti di infrazione, strumento cruciale per verificare ex post l'omogeneità del l'attuazione normativa negli ordinamenti statali. È rispetto a questa enorme massa di normazione comunitaria, che i giudici e le autorità nazionali devono operare con i tre citati strumenti della primazia del diritto comunitario, dell'effetto diretto e della disapplicazione della normativa contrastante, mentre sull uniforme interpretazione del diritto comunitario vigila, poi, in modo attento la Corte di giustizia. Difficile penetrare nelle discipline materia per materia, per verificare quale sia il grado di omogeneità delle discipline normative statali fra di loro. Si può solo procedere per campione, operando dei carotaggi materia per materia. Con questo spirito, mi è capitato di chiedere ad illustri colleghi di dedicare gli editoriali di federalismi del all'approfondimento della dimensione europea della disciplina di diversi settori sostanziali (i diritti di libertà, le politiche di sicurezza, le politiche della concorrenza, le politiche dell'energia, la disciplina bancaria, le politiche agricole, le politiche dell'istruzione, i servizi di interesse economico generale, i mercati finanziari, le politiche ambientali); e in questo spirito ho assegnato e seguito una tesi di dottorato e una di 16 Cfr. i contributi di L. Violini, U. Triulzi, G.M. Roberti, G. Napolitano, T. E. Frosini, M. De Poli, A. Sciaudone, A. Poggi, B. Caravita, S. Staiano, F. Cintioli, R. Rordorf, A. Celotto, M. Cecchetti, P. Ridola. 9 federalismi.it n. 17/2014

10 laurea 17 che hanno esaminato i settori dei mercati finanziari, delle imposte indirette, delle comunicazioni elettroniche, della tutela ambientale, della politica delle migrazioni. Un fenomeno recente ancora da indagare con attenzione è quello delle modifiche costituzionali interne resesi necessarie a seguito di normativa comunitaria Questa serie di modifiche costituzionali, da leggere assieme alle pronunce di alcune Corti costituzionali, non sono interessanti solo per darci l idea di chissà quale evoluzione politica stia prendendo questa o quell area dell Unione. Questi cambiamenti sono di un importanza capitale perché rappresentano un precedente difficilmente ravvisabile nelle esperienze statuali passate: alcuni Stati sovrani operano delle modifiche alle proprie Costituzioni (simbolo per eccellenza del loro essere superiorem non recognoscentes) a causa del fatto che un altro ordinamento, a loro esterno, ha loro imposto di farlo 18! Il quadro, com è facilmente immaginabile, contiene ombre e luci: ma, a fronte di una significativa omogeneità complessiva, le ombre riguardano la insoddisfazione che deriva da una parziale attuazione di una direttiva o da un non totale omogeneizzazione: non vorrei essere ottimista, ma sono nei, più che ombre. 6. Il processo europeo non si può interrompere. Lo scenario, allora, è molto chiaro: o si porta a termine questo processo attraverso il raggiungimento della stabilità economico-finanziaria e la risistemazione dell assetto istituzionale dell Unione; oppure il fallimento dell Unione Europea difficilmente ne permetterà una riedizione limitata e avrà conseguenze devastanti non solo sull'equilibrio mondiale, ma potrebbe giungere anche sino al travolgimento degli stessi Stati nazionali come li abbiamo conosciuti dalla metà del XVII secolo. Le singole identità nazionali sono infatti destinate a reggere solo nel quadro della stabile creazione di unità europea, ma sono profondamente a rischio se il processo europeo dovesse interrompersi (cosa terrebbe ancora insieme catalani e castigliani, scozzesi e inglesi 19, valloni e fiamminghi, romeni di cultura tedesca e romeni di cultura slava, addirittura Baviera e resto della Germania, e via continuando, fino alle situazioni in Italia evocate da taluno e temute 17 Su questi temi ho seguito la tesi di dottorato di Andrea Vannucci e la tesi di laurea magistrale di Federico Savastano, entrambi membri della redazione di federalismi.it. 18 Cfr. R. DICKMANN, Governance economica europea e misure nazionali per l equilibrio dei bilanci pubblici, Jovene, Napoli, 2013, p. 2 ss. 19 Cfr. E. MAINARDI, Il referendum in Scozia: tra devolution e indipendenza, in federalismi.it, n. 17 del federalismi.it n. 17/2014

11 da tutti?) 20. Dal crollo dell'impero Romano emersero frammentatissime istituzioni territoriali barbariche, dal crollo dell'impero Ottomano è nata la diaspora araba, dal crollo dell'impero Austro-Ungarico sorsero sette stati e staterelli e pezzi di territori confluirono in altri Stati ancora, dal crollo dell'unione sovietica è nata una quantità innumerevole di Stati sovrani e altrettanto è successo con il crollo della Jugoslavia. Cosa succederebbe in Europa? Soprattutto cosa potrebbe succedere in un Europa, a cui la globalizzazione volge ormai le spalle: non è più l'europa a giocare a suo vantaggio le chances della globalizzazione, ma sono i paesi extra-europei a sfruttare i nuovi meccanismi: merci prodotte a basso e bassissimo costo invadono i mercati europei, mentre i mercati finanziari scelgono inevitabilmente i paesi che presentano i tassi di crescita più interessanti e certo non paesi in decrescita più o meno marcata. E non bastano a invertire la tendenza i pur esistenti specie negli Stati Uniti - meccanismi di reshoring (rilocalizzazione) su cui si è soffermata recentemente l attenzione degli economisti 21. È qui, nel controverso, ma cruciale, rapporto con la globalizzazione, il nuovo fattore unificante di una comune dimensione europea? 7. Ripensare le categorie del federalismo. Tuttavia, per dare un giudizio complessivo e conclusivo sulle vicende europee, occorre comparare le trasformazioni del processo politico europeo con i processi delle altre grandi esperienze federali. Per argomentare la mia risposta sul processo federale europeo, devo fare un breve scenario, che vada al di là anche della tradizionale - ma egualmente insoddisfacente - tesi secondo cui esisterebbero innumerevoli definizioni di federalismo, tutte dotate di pari dignità: e, invero, una nozione bonne à tout faire è totalmente inutile sotto il profilo scientifico e della capacità di offrire strumenti di comprensione della realtà. Una nozione di federalismo 22, quale quella che ci è tramandata dai principali studi americani della seconda metà del XX secolo, non ha alcuna capacità euristica e limitatissime capacità descrittive. Si è infatti perso di vista il legame profondo e implicito tra crisi del modello europeo dello Stato nazionale, democrazia e federalismo, e si è costruito e poi inseguito un concetto formale di federalismo, quale mera tecnica di governo e di distribuzione decentrata del potere pubblico. Certo, nozione fattualmente comoda, giacché 20 Cfr. B. CARAVITA, La grande sfida dell Unione europea tra prospettive di rilancio e ombre di declino, in Trasformazioni costituzionali nel federalizing process europeo, Napoli, Jovene, 2012, 159 ss. 21 V. A. GIDDENS, Potente e turbolenta. Quale futuro per l Europa?, Il Saggiatore, Milano, 2014, 78 ss. 22 Per una nozione generale di federalismo si veda M. BOGNETTI, Federalismo, Torino, Utet, 2001, federalismi.it n. 17/2014

12 adattabile per dare una risposta a tutti i grandi fenomeni degli ultimi settanta anni, alla formazione di nuovi stati non caratterizzati dall omogeneità tradizionale dello stato nazionale, alla crescente devoluzione di poteri all'interno degli stati unitari, alla prepotente crescita di organizzazioni continentali e regionali. Ma proprio perché adattabile, alla fine insoddisfacente anche solo a fini descrittivi. Se si astrae dal formalismo (evidentemente, accusa che può essere rivolta non solo agli studiosi europei, ma anche a quelli di matrice americana), cosa tiene insieme i modelli statuali esaminati nell'handbook of Federal Countries, pubblicato nel 2002 e nel 2005 dal Forum of Federations 23? Tra le 25 esperienze lì citate, ci sono dentro gli Stati Uniti e le due piccole isole federate di Saint Kitts and Nevis, il Canada e le Comore, la Svizzera e la Russia, l'australia e la Malesia, il Brasile e gli Emirati Arabi Uniti, l'argentina o il Messico e il Pakistan, l'india e la Spagna. Legati da cosa? Il nome? La suddivisione del potere pubblico tra più livelli costituzionalmente previsti? Sono sufficienti queste caratteristiche? E, di fronte all evidente crisi di questa ricostruzione, la risposta americana (ma già prima quella europea) è stata quella del teorizzare la diffusione dello hybrid state 24, di un modello di stato ibrido e intermedio tra quello federale e quello unitario: e così rientrano a pieno titolo anche l'italia e, perché no, la Francia, la Gran Bretagna, il Perù o la Bolivia. Insoddisfacente. Forse anche fuorviante. E allora, anche per comprendere cosa sta succedendo oggi in Europa, dobbiamo tornare a cosa ha significato nell'esperienza mondiale lo Stato nazionale e paragonarlo ai primi originari modelli di moderna organizzazione federale. 25 Non c'è bisogno di ricordare come in Europa il modello dello Stato nazionale fu, dal XVII secolo in poi, la risposta principale e comunque vincente alla domanda dello state building, cioè del come costruire una efficiente struttura autoritativa. Nella tradizione europea, gli stati nazionali dovevano essere caratterizzati da omogeneità etnica, linguistica, culturale, religiosa e sono stati per tale ragione la base per la costruzione di apparati amministrativi funzionanti, poi per l'espansione della democrazia, infine per garantire a tutti i cittadini un adeguato livello di prestazioni sociali. Così, in Europa lo stato nazionale non può essere di per sé condannato: nei 23 A.L. GRIFFITH, K. NERENBERG (a cura di), Handbook of Federal Countries, McGill University Press, Montreal&Kingston-London-Ithaca, London, V. J. LOUGHLIN, Reconfiguring the Nation-State. Hybridity vs Uniformity, in J. LOUGHLIN J. KINCAID W. SWENDEN, Routledge Handbook of Regionalism and Federalism, Routledge, Abingdon-New York, Posizione che ho avuto modo di esprimere nel saggio B.CARAVITA, Italy: Between the hybrid state and Europe s federalizing process, in J. LOUGHLIN J. KINCAID W. SWENDEN, Routledge Handbook of Regionalism and Federalism, Routledge, Abingdon-New York, 2013, pp federalismi.it n. 17/2014

13 fatti, ha rappresentato un esperienza di modernizzazione istituzionale e di democratizzazione ed è tuttora, in Europa, la base per la redistribuzione delle risorse e per la costruzione del welfare state. Ma lo stato nazionale è stata una esperienza unicamente europea. Fuori dall'europa, lo state building ha seguito sempre strade diverse: e il federalismo è stata proprio una di queste strade, connessa specificamente, da un lato, alla impossibilità di riprodurre il modello dello Stato nazionale (e poi alla sua crisi), dall'altra, alla organizzazione di strutture democratiche, tra le quali quella federale appariva la più efficiente e la meno autoritaria. 8. I primi modelli di federalismo moderno: l'uscita dai domini coloniali. Così, se facciamo riferimento alle vicende moderne 26, il primo, grande modello di federalismo, con molte caratteristiche comuni, è quello che nasce dall'originario superamento della occupazione coloniale da parte degli stati nazionali europei: nell'arco del XIX secolo, cioè dalla fine del XVIII al primo anno del XX secolo, si assiste al fenomeno della creazione di modelli statuali in situazioni in cui, essendo impossibile la riproposizione dello stato nazionale di matrice europea, le elités bianche locali si orientano progressivamente, con un processo che sarà pluridecennale, verso la formazione sui grandi territori sottratti alla madrepatria (inglese, spagnola, portoghese, francese) di modelli federali di governo. Il federalismo rappresentò la strada migliore per costruire apparati pubblici efficienti in situazioni in cui, da un lato, non vi sarebbe stata la possibilità di riorganizzare uno stato intorno a comuni identità sociali, etniche, linguistiche, religiose, modellandolo sull esperienza dello Stato nazionale europeo, dall'altro, bisognava rispettare e preservare l'organizzazione territoriale delle élite bianche post-coloniali. Così Stati Uniti d'america, Canada, Messico, Brasile, Argentina e Australia hanno una radice comune e hanno sviluppato molte caratteristiche comuni: 1. indipendenza e superamento degli originari regimi coloniali (inglese, francese, spagnolo e portoghese) in un periodo di tempo che dalla fine del XVIII secolo all'inizio del XX (Stati Uniti: 1776; Messico: 1810; Argentina: 1816; Brasile: 1822; Canada: 1867; Australia: 1901); 2. Esistenza di una popolazione prevalentemente bianca e di origine europea; 26 Nel dibattito politologico la ricerca dei modelli federali prende le mosse dal termine romano foedus e introduce nell analisi anche l esperienza delle dodici tribù di Israele: vd. D. J. ELAZAR, Exploring Federalism, University of Alabama Press, Tuscaloosa, 1987, p. 2 ss. 13 federalismi.it n. 17/2014

14 3. Violenta emarginazione delle popolazioni autoctone; 4. Grande estensione territoriale (Canada: kmq; Stati Uniti: ; Brasile: ; Australia: ; Argentina: ; Messico: ); 5. Processi di federalizzazione durati periodi più o meno lunghi 27 ; 6. Democrazie maggioritarie secondo il modello presidenziale americano (Stati Uniti, Messico, Brasile, Argentina) o secondo il parlamentarismo Westminster (Canada, Australia). Tutti questi modelli di struttura federale hanno avuto, nel passare dei decenni, importanti problemi di organizzazione interna e i processi di federalizzazione e di democratizzazione sono in realtà durati decenni. Negli Stati Uniti, il processo federale è ripartito solo dopo la fine della Guerra civile, nel 1865, e i poteri centrali si sono definitivamente rafforzati solo dopo la crisi del 1929; in Brasile, il processo federale è durato più di settanta anni, dall indipendenza alla costituzione federale del In generale, nei tre Paesi dell'america Latina, vi sono stati lunghi periodi di sospensione democratica, in cui il federalismo è stato mera facciata 28. Comunque, senza entrare nel dettaglio delle singole vicende, oggi questi sei paesi sono considerati il paradigma di una moderna e funzionante organizzazione federale. 9. I modelli federali nel secondo dopoguerra e la fine del colonialismo. Una seconda esperienza di federalismo è relativo ai quei casi contemporanei nei quali il modello federale è stato usato come strumento per risolvere in società complesse drammatici conflitti etnici, linguistici, sociali e religiosi nella seconda fase del post-colonialismo 29. Rientrano in questo schema: sicuramente l'india (1947) e la Nigeria (1961); ad essi, si possono assimilare, pur con qualche differenza, Etiopia (1995) e Sudafrica (1996). Questi casi condividono molte caratteristiche con il primo modello: all'origine vi è stata l'indipendenza e la rottura del dominio coloniale (e ciò vale in particolare per l'india e la Nigeria, essendo i fenomeni del colonialismo e dell'indipendenza solo parzialmente rilevanti per l'organizzazione federale del Sudafrica e delll'etiopia); anche in questi casi conta la grande dimensione territoriale (India: kmq; 27 B. CARAVITA, Lineamenti di diritto costituzionale federale e regionale, Giappichelli, Torino, Sui federalismi sudamericani, v. L. CASSETTI C.LANDA (a cura di). Governo dell economia e federalismi. L esperienza sudamericana, Giappichelli, Torino, 2005; nonché L. CASSETTI, Revisioni costituzionali e appello al popolo. Appunti per una riflessione sul valore della Costituzione nell esperienza sudamericana, in federalismi.it, n. 10 del Sul federalismo come modello di risoluzione di conflitti etnici vd. F. FOSSATI, In Africa il federalismo può essere la premessa della democrazia, disponibile in loccidentale.it del 5 aprile federalismi.it n. 17/2014

15 Sud Africa: ; Etiopia: ; Nigeria: ). Vi è però una grande differenza rispetto ai primi federalismi postcoloniali: in questi casi non sono più le elités bianche locali a prendere il potere, bensì le elités autoctone, che devono affrontare - e sperano di risolverlo con il modello federale - il gravissimo problema dell insorgenza di grandi conflitti interni su territori mai omogeneizzati in un modello nazionale, inteso tradizionalmente come identità etnica, culturale, linguistica, religiosa della popolazione allocata su di un territorio. Sull'onda delle esperienze indiana e nigeriana, il federalismo è sempre più apparso come uno strumento utile per superare le conflittualità interne - sociali, religiose, etniche - dei nuovi stati, figli della rottura del modello coloniale ovvero (ri)sorti nel XX secolo; è il modello, tanto per fare esempi di attualità, che gli americani hanno tentato di adottare per l'iraq post-saddam, che l'unione africana ha proposto per il Sudan, che l'onu ha proposto per Sri Lanka, per Cipro, per la Palestina, per la Somalia. Il passaggio dal modello teorico alle esperienze pratiche non è stato positivo: il Sudan, dopo 50 anni di conflitto, si è recentemente diviso in due Stati; l'organizzazione federale irachena non riesce a decollare (e anzi le ultimissime vicende sembrano spingere proprio verso la dissoluzione dell apparato statale centrale); Cipro e Palestina rimangono wishful thinking; in Somalia non esiste più una organizzazione statale. 10. Il federalizing process europeo. Infine, per una di quelle vendette che la storia spesso riserva, il federalismo, nato per costruire apparati autoritativi pubblici diversi dallo stato nazionale, si va imponendo anche nella culla di questa esperienza, anche in Europa. Possiamo stupisci, indignarci, preoccuparci, essere scettici o increduli, ma oramai il terzo grande modello federale è proprio quello europeo. I 28 Stati membri stanno costruendo oggi - in tempi più brevi (il processo federale dura da poco più di sessant'anni) e in maniera incruenta (non ci sono guerre sul territorio dell'europa comunitaria!) - un nuovo grande modello federale (si pensi, per fare un paragone, alle vicende pluridecennali che hanno condotto all'attuale assetto degli Stati Uniti d'america, passando anche per una drammatica guerra civile). Con la seconda guerra mondiale, infatti, la vicenda degli stati nazionali europei ha raggiunto la sua conclusione, non solo per i paesi sconfitti (Germania, Italia), ma - paradossalmente - anche per i vincitori (Francia, Gran Bretagna), che hanno dovuto accettare, chi prima (Francia, 1957), chi dopo (Gran Bretagna, 1973) un sempre più penetrante coordinamento continentale. Nei sessanta anni successivi alla fine della seconda guerra mondiale, l'europa ha conosciuto nuovi importanti fenomeni. I Paesi europei hanno potuto conoscere un definitivo allargamento della 15 federalismi.it n. 17/2014

16 democrazia: sono entrati nell'unione prima i paesi sottoposti ad un regime totalitario (Spagna, Portogallo, Grecia, nel periodo fra il 1981 e il 1986); poi, dopo la caduta del Muro di Berlino, prima otto, poi altri tre, paesi sottoposti al controllo del comunismo russo, fratelli europei che erano stati egoisticamente abbandonati dopo la seconda guerra, permettendo che si alzasse un muro insensato, privo di radici storiche, tra Europa occidentale e Europa centro-orientale. Si dice che le istituzioni rappresentative comuni sono in Europa ancora imperfette, non pienamente soddisfacenti sotto il profilo democratico: sarà anche vero, ma prima di giungere a conclusioni definitive analizziamo quale realtà opera, nascosta o misconosciuta, al di sotto di queste imperfette istituzioni europee. Ormai più di 500 milioni di persone condividono discipline comuni in tutte le aree più importanti della vita associata, dalle telecomunicazioni alla tutela dell'ambiente, dalla disciplina delle assicurazioni a quella dei servizi economici di interesse generale, dall'agricoltura alla istruzione universitaria, dalle regole per il funzionamento delle banche alla disciplina dell'energia. I ventiquattro titoli della parte III del Trattato sul funzionamento dell'unione Europea non sono più meri orpelli, privi di contenuto, ma implicano che in tutte le aree o le materie da essi riguardate esistono discipline più o meno comuni e più o meno simili fra i ventotto Stati europei. Un sistema giudiziario comune, che coinvolge al suo interno le istituzioni giudiziarie nazionali e con esse si raccorda, assicura l uniformità dell interpretazione di questo diritto comune, grazie al principio consolidato e ormai indiscusso della supremazia del diritto comunitario. L'assetto istituzionale assicura anche un continuo meccanismo di adeguamento, uniformazione e tutela dei principi costituzionali e ordinamentali europei. Infine, ultimo nel tempo ma non ultimo per importanza, oramai è comune la politica monetaria di bilancio, tanto che le discipline nazionali di bilancio di fronte alle accelerazioni delle decisioni comunitarie diventano immediatamente, e drammaticamente, vecchie. È vero, infine, che non c'è - per fortuna! - una spesa pubblica centralizzata, ma le caratteristiche e le dimensioni della spesa pubblica nazionale sono fortemente orientate da decisioni comunitarie. Sicuramente ancora insufficiente è il livello di unitarietà delle politiche economiche e bancarie, e proprio dalla contraddizione che deriva da una moneta comune senza politiche economiche comuni derivano molte delle difficoltà attuali: ma è difficile pensare che su questo fronte non si riesca a costruire maggiori momenti di condivisione, a partire da un rafforzamento delle possibilità di intervento della BCE.. Solo la guerra, gli europei ancora non fanno insieme, come dimostrano tutte le più recenti vicende belliche, a partire da quella libica; ma, in realtà, non riescono nemmeno a farla separati. 16 federalismi.it n. 17/2014

17 In maniera più tecnica, solo un'area delle relazioni internazionali è ancora sotto un preminente controllo statale, e non riesce a trovare una soluzione comunitaria. E rimane sempre sulla costruzione europea il peso dello status differenziato, all'onu e per quanto attiene al ruolo di potenza nucleare, di Francia e Gran Bretagna, anche se nella caotica globalizzazione attuale queste due questioni non hanno forse più lo stesso rilievo di quaranta-cinquanta anni fa. 11. Federalismo europeo, federalismi nazionali? Se l evoluzione europea è quella di un modello federale, ci si potrebbe chiedere: come la mettiamo con la Germania, con la Spagna o con il Belgio? Se Germania, Belgio, Spagna sono autenticamente federali, può esistere un duplice livello di federalismo? In verità, già mettendo insieme l esperienza tedesca, quella spagnola e quella belga, ci si dà implicitamente la risposta. All'interno della nuova Europa federale, ormai tutti i vecchi stati nazionali si sono articolati al loro interno secondo un modello sussidiario, in cui lo Stato si organizza, cedendo poteri verso l'alto e verso il basso: e questo vale per la Germania, tradizionalmente federale, così come per la Francia, tradizionale campione dell'accentramento statalistico. Il vero federalismo, allora, oggi, quello con cui fare i conti, in Italia, come in Germania o in Spagna, non è quello interno a questo o a quel paese europeo, bensì proprio quello europeo. Ciò che stiamo praticando in Italia (così come negli altri Paesi europei) è piuttosto un processo di (ri)articolazione sussidiaria delle competenze 30. In questo quadro fermo rimanendo che ogni giudizio sul federalismo russo va sospeso in attesa di una verifica sulla natura democratica del sistema istituzionale rimane il problema di come inquadrare il federalismo svizzero, che può essere letto come l'ultimo tradizionale modello di una organizzazione romantica della società che riesce a resistere all'interno agli assalti massicci della globalizzazione, governandola però nei suoi rapporti verso l'esterno, oppure come una peculiare vicenda endoeuropea, particolarmente significativa sotto il profilo dell'esperienza storica, ma ormai - tranne per alcuni settori gelosamente conservati sotto il controllo interno - equiparabile ad un ventinovesimo membro dell'unione, in ragione del grande rilievo degli accordi di cooperazione. 30 Cfr. A. D ATENA, Costituzionalismo multilivello e dinamiche istituzionali, Giappichelli, Torino, 2007, e Modelli federali e sussidiarietà nel riparto delle competenze normative tra l Unione europea e gli Stati membri, in Il diritto dell UE, n. 1 del 2005, p. 59 ss. 17 federalismi.it n. 17/2014

18 12. Come ripensare l'assetto istituzionale europeo. Resta poi da capire quale possa essere la chiave per ripensare l assetto istituzionale europeo dandogli, nello stesso tempo, una più intensa legittimazione democratica e maggior dinamismo 31. Su questo tema ci si limita tralaticiamente ad evidenziare la necessità di aumentare i poteri di Parlamento e Commissione a discapito di quelli del Consiglio, che rappresenterebbe un fossile intergovernativo nemico del metodo comunitario. Questa impostazione trascura un elemento di capitale importanza: non si può cercare di federare, fino ai profili più intimi delle scelte economico-finanziarie, Stati nazionali che hanno alle spalle una storia plurisecolare, senza lasciar loro un luogo nel quale possano esercitare istituzionalmente, se non la sovranità, almeno la compensazione dei propri interessi. In tutti gli Stati federali tradizionali, del resto, esiste - o è esistito - un luogo in cui le entità federate possono confrontarsi, attraverso propri rappresentanti; ed in tutti gli Stati federali questo luogo, che di solito è la Camera alta, detiene un ruolo cruciale nella determinazione delle politiche federali 32. Se ciò avviene nella gran parte delle esperienze federali che conosciamo, perché non dovrebbe poter avvenire nell Unione Europea nel suo avviarsi a concludere il proprio autonomo, originale federalizing process? Il metodo intergovernativo va dunque rivalutato non come luogo di esercizio del potere degli Stati più forti, bensì come strumento di confronto e di dialogo che consenta a tutti i singoli Stati membri dell Unione di mantenere la possibilità di parlare con la propria voce e di presentare e rappresentare le proprie istanze. In questo senso, il Consiglio giocherebbe il ruolo che le Camere alte svolgono negli Stati federali tradizionali. Andrebbero poi sicuramente rafforzati i poteri del Parlamento europeo, il che dovrebbe avvenire sia sul versante della produzione normativa, sia sul versante del rapporto con la Commissione, il cui problema oggi non è solo quello di essere un organo dotato di una scarsa legittimazione democratica, quanto ormai di essere poco al passo con i tempi e le sfide che l Europa deve affrontare. Ciò non vuol dire che la Commissione non abbia più ragione di esistere o che in Europa non debba esserci un organo esecutivo comune. La Commissione può 31 P. RIDOLA, Principio parlamentare e principio democratico nell Unione europea: il difficile cammino della democrazia federalistica, in G. BRONZINI F. GUARRIELLO V. PICCONE (a cura di), Le scommesse dell Europa. Diritti, istituzioni e politiche, Ediesse, Roma, 2009, p. 261 ss. 32 Sull argomento si veda S. VASSALLO, Come le seconde Camere rappresentano i territori. Le lezioni dell analisi comparata, in S. CECCANTI S. VASSALLO, Come chiudere la transizione, Il Mulino, Bologna, 2004, p. 339 ss.; B. CARAVITA, Il bicameralismo nelle più significative esperienze federali. Composizione e attività legislativa delle Camere alte, in P. CALDERISI F. CINTIOLI, G. PITRUZZELLA (a cura di), La costituzione promessa, Rubbettino, Soveria Mannelli, 2004, p. 85 ss. 18 federalismi.it n. 17/2014

19 continuare a rappresentare il vertice esecutivo dell Unione, ma deve svuotarsi del suo carattere tecnocratico per trasformarsi in un organo politico, una sorta di Direttorio alla svizzera, i membri del quale potrebbero essere eletti dal Parlamento Europeo, tenendo presente la necessità di bilanciare tanto le nuances politiche quanto gli Stati o almeno le grandi aree territoriali e iniziando a superare la logica comunitaria per cui ad ogni Stato spetta un posto in tutte le istituzioni. Un Direttorio destinato a restare in carica per l intera legislatura, fatta salva la possibilità di revoca di singoli membri con maggioranze altamente qualificate e per gravi violazioni. In questo modo si otterrebbe il duplice scopo di garantire alla Commissione una legittimazione popolare sostanzialmente diretta, ma allo stesso tempo se ne tutelerebbe l autonomia decisionale, sottraendola al rapporto fiduciario. In questo quadro, se dovesse essere tenuta ferma l'esigenza di un Presidente dell'unione, tale ruolo potrebbe essere svolto, secondo uno schema di rotazione annuale, da uno dei membri della Commissione-Direttorio, evitando così un elezione a suffragio universale e diretto di un Presidente della Commissione, che potrebbe essere o lacerante o inutile: infatti, nell'attuale contesto, o vengono candidati divisivi personaggi forti (un socialista contro un popolare, un esponente del sud contro un esponente del centro-nord) ovvero si presentano personaggi più o meno incolori, con l'ulteriore rischio che poi nessuno dei candidati presentati possa essere proposto come Presidente della Commissione, con un grave effetto di tradimento dell'espressione del voto popolare 33. La situazione che verrebbe a delinearsi in questo senso sarebbe così quella di un architettura istituzionale tipica di uno Stato federale, con una Camera bassa eletta direttamente dal popolo il Parlamento, una Camera alta di rappresentanza dei governi degli Stati membri il Consiglio europeo ed un governo la Commissione eletto dalla Camera bassa subito dopo l elezione della stessa, rispecchiandone la composizione politica e territoriale, e quindi non necessariamente secondo il modello maggioranza-opposizione In mezzo al guado. In verità, siamo in mezzo al guado: il metodo funzionalista ha dato il massimo che poteva, spingendo a mettere in comune un grandissimo numero di politiche settoriali, talmente grande da aver creato una situazione sostanzialmente irreversibile. La messa in comune della moneta è stato 33 La recente vicenda Junker non è lontana da questo schema 34 Cfr. B. CARAVITA, La grande sfida dell Unione europea tra prospettive di rilancio e ombre di declino, in Trasformazioni costituzionali nel federalizing process europeo, op. cit.; e T. E. FROSINI, La dimensione europea della forma di stato e di governo, in federalismi.it, n. 5 del federalismi.it n. 17/2014

20 l'ultimo passo funzionalista. E in realtà è ancora largamente possibile agire all interno del quadro istituzionale esistente, utilizzando le opportunità che offre la cooperazione rafforzata per realizzare una politica economica e di bilancio uniche. Il paragone con la tragica sorte dell'impero austro-ungarico dovrebbe farci operare tutti per evitare di precipitare nella gigantesca, ma inconcludente azione parallela del protagonista del musiliano Uomo senza qualità. Anche se tutti noi siamo uomini senza qualità - non ci sono oggi a livello europeo i grandi federatori che abbiamo avuto a livello nazionale - forse c'è ancora spazio per fare in modo che le azioni parallele che dobbiamo necessariamente intraprendere riescano ad evitare il ripetersi del disastro della frammentazione dell'europa. Anche perché questa volta, a differenza di cento anni fa, sarà difficile recuperare in un mondo che cresce e corre molto più di noi. 20 federalismi.it n. 17/2014

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