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1 Poste italiane spa - spedizione in a. p. D.L. 353/03 (conv. L. 46/04) art. 1 comma 1, ne/vr numero agosto ,00 settimanale diretto da luigi amicone numero agosto ,00

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3 EDITORIALE Missione Tempi Cari lettori, ecco perché vi chiediamo fiducia e il doppio degli abbonamenti Vent anni fa, quando Tempi si presentò per la prima volta sul palcoscenico del Meeting di Rimini, Vittorio Feltri ci benedì, Gad Lerner scommise che non avremmo mangiato il panettone di Natale. Era l agosto del E si capisce, Gad perse la scommessa. Entrando nel nostro ventesimo anno di azione in un contesto economico e sociale difficilissimo siamo quasi obbligati a rendere incandescenti le ragioni della nostra avventura. Ed ecco l incandescenza: dentro la notizia di una clamorosa svolta giudiziaria su un fatto atroce di 27 anni fa l assassinio di una nostra amica, Lidia Macchi (vedi a pagina 48) una strana provvidenza ci ha condotto a ricordarci che tutte le ragioni di questo giornale affondano in un incontro. L Incontro. Se abbiamo fatto Tempi è per portare dentro la nostra professione l entusiasmo per Gesù Cristo come «chiave di volta della storia e dell universo», direbbe Giovanni Paolo II. Per portare un rivolo di «invincibile compagnia» (e questo è don Giussani). Le circostanze ci hanno condotto a fare gli imbrattacarte piuttosto che gli imbianchini? Bene, da imbrattacarte cerchiamo di giudicare tutto e trattenere la bellezza; di raccontare la vita fino al punto di documentare la speranza che è in essa. Speranza. Per fare e rifare popolo. Perché solo nella speranza un popolo si fa e parte, dentro ogni situazione, positiva o avversa che sia. Vogliamo dire una parola straziata ma esatta? Missione. Questo giornale è una piccola missione nella grande terra del diavolo. Che non sono i non credenti e tutto ciò che non è dalla nostra parte. Terra del diavolo è il mondo là dove insegna che l uomo, l essere che dice io, che cerca ragioni e che porta scolpita dentro un ansia di felicità che non lo fa rassegnare a finire ai vermi, è una passione inutile. Tempi esiste per questo, per incontrare uomini e per difendere la passione per l uomo. Perciò, non ci sorprende il coraggio con cui certi illustri amici e lettori (alcuni li vedete già in tempi.it, i vescovi Negri e Cavina, l ebrea Angelica e la cattolica Costanza) hanno esposto la faccia per dire che la voce di Tempi ha un valore. Perciò, rilanciamo la palla. Missione Tempi. Raddoppiamo gli abbonamenti. Che significa proprio questo: regalate un abbonamento a un amico. Oppure segnalate all ufficio abbonamenti persone alle quali ritenete che Tempi potrebbe interessare e noi provvederemo a contattarle. O ancora, dateci dei nomi di amici, conoscenti, parenti, da abbonare con formule promozionali. Insomma, cari abbonati e lettori della prima e dell ultima ora, fatevi venire delle idee e non mollate, non ci mollate proprio adesso. Adesso che tenere piantata questa Avviso ai lettori Questo numero di Tempi resterà in edicola tre settimane. Il prossimo numero uscirà dunque il 21 agosto. TEMpi è una piccola MissIOne nella grande TERRA DEL DIAVOLO. Che non sono quelli che stanno DALL ALTRA parte. Ma chi predica contro l uomo bandiera sotto il vento sferzante della miseria economica e della ricca distrazione di massa diventa un impresa ardimentosa e, perciò, necessaria. Grazie dell amicizia. MINUTI Un brutto incubo eppure vero Ho fatto un sogno. Mi trovavo in un paese mediorientale dalle strade polverose, sotto a un cielo color piombo. Sulla porta della mia casa qualcuno nella notte aveva tracciato un segno con il gesso. Quel segno significava che dovevamo andarcene. Partire, scappare anzi, subito, o morire. Nel sogno avevo una grande famiglia, genitori anziani, fratelli e sorelle, e una nidiata di bambini. Era mattina, e l ordine era di partire entro la notte. Recuperavamo un vecchio camion scalcinato. Ma non ci saremmo stati insieme, tutti quanti, a bordo. Qualcuno avremmo dovuto lasciarlo lì. Il vecchio padre del sogno era immobile in un letto: lui stesso ci chiedeva di lasciarlo morire in casa sua. Poi c era un fratello in carrozzella, e la carrozzella proprio sul camion non ci stava. Anche lui, sarebbe rimasto. Il cielo sopra di noi si faceva sempre più basso e più livido. All ora della partenza uno dei bambini piccoli non si trovava: sparito era forse andato a cercare il suo gatto? e l ora dell ultimatum stava per scattare. Infine eravamo sul camion, che ansimando si metteva in moto. Ma io avevo il cuore tagliato a metà, per quelli che avremmo dovuto lasciare. Degli uomini armati, minacciosi, gridando ci facevano fretta. Partivamo. Il camion sulle buche della strada sobbalzava, e a un urto più forte mi sono svegliata. Un incubo, naturalmente. E però quanto vero. Come se avessi visto con i miei occhi un giorno di questi, in una casa cristiana, a Mosul. Marina Corradi 20 agosto

4 settimanale diretto da luigi amicone numero agosto ,00 SOMMARIO 08 PRIMALINEA LA FUGA DEI CRISTIANI IN KURDISTAN CASADEI NUMERO 31/32/33 Poste italiane spa - spedizione in a. p. d.l. 353/03 (conv. l. 46/04) art. 1 comma 1, ne/vr numero agosto ,00 L odissea di due milioni di profughi iracheni. Con loro gli ultimi cristiani vittime della persecuzione jihadista E l Occidente dov è? LA SETTIMANA 14 ESTERI ISRAELE E PALESTINA. UN CONFLITTO INFINITO 20 CULTURA L INDOMABILE PREVOST SCHIRLE Minuti Marina Corradi...3 Foglietto Alfredo Mantovano...7 Mamma Oca Annalena Valenti...39 Ricorrenze Carla Vites...42 Sport über alles Fred Perri...44 Cartolina dal Paradiso Pippo Corigliano...45 Lettere dalla fine del mondo Aldo Trento...45 Mischia ordinata Annalisa Teggi...50 RUBRICHE 26 SOCIETà PERIFERIE. CRISTO IN SIBERIA TURNAEv 48 TESTIMONI LA LETTERA DI LIDIA MACCHI L Italia che lavora...34 Stili di vita...38 Motorpedia...40 Lettere al direttore...44 Foto: Getty; Sintesi/Photoshot Reg. del Trib. di Milano n. 332 dell 11/6/1994 settimanale di cronaca, giudizio, libera circolazione di idee Anno 20 N. 31/32/33 dal 31 luglio al 20 agosto 2014 DIRETTORE RESPONSABILE: LUIGI AMICONE REDAZIONE: Laura Borselli, Rodolfo Casadei (inviato speciale), Caterina Giojelli, Daniele Guarneri, Pietro Piccinini IN COPERTINA: Foto Getty Images PROGETTO GRAFICO: Enrico Bagnoli, Francesco Camagna UFFICIO GRAFICO: Matteo Cattaneo (Art Director), Davide Viganò FOTOLITO E STAMPA: Elcograf Via Mondadori Verona DISTRIBUZIONE a cura della Press Di Srl SEDE REDAZIONE: Corso Sempione 4, Milano, tel. 02/ , fax 02/ , redazione@tempi.it, EDITORE: Tempi Società Cooperativa, Corso Sempione 4, Milano La testata fruisce dei contributi statali diretti di cui alla legge 7 agosto 1990, n. 250 CONCESSIONARIA PER LA PUBBLICITà: Editoriale Tempi Duri Srl tel. 02/ , fax 02/ GESTIONE ABBONAMENTI: Tempi, Corso Sempione Milano, dal lunedì al venerdì dalle 9 alle 13 tel. 02/ , fax 02/ abbonamenti@tempi.it Abbonamento annuale cartaceo + digitale 60 euro. Abbonamento annuale digitale 42,99 euro. Per abbonarti: GARANZIA DI RISERVATEZZA PER GLI ABBONATI: L Editore garantisce la massima riservatezza dei dati forniti dagli abbonati e la possibilità di richiederne gratuitamente la rettifica o la cancellazione scrivendo a: Tempi Società Cooperativa, Corso Sempione, Milano. Le informazioni custodite nell archivio elettronico di Tempi Società Cooperativa verranno utilizzate al solo scopo di inviare agli abbonati la testata e gli allegati, anche pubblicitari, di interesse pubblico (D.LEG. 196/2003 tutela dati personali).

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7 FOGLIETTO L INSEGNAMENTO DEL PROFETA GIONA Il terrore islamista è un segno. Non possiamo voltarci dall altra parte DI ALFREDO MANTOVANO In IRAN, LibANO E SOMALIA i TERRORISTI avevano saggiato il nemico E TESTATO LA SUA REAZIONE. COSì l 11 settembre lo hanno colpito A CASA SUA, a coronamento DI UNA STRATEGIA generazione perversa e adultera pretende un segno! Ma «Una nessun segno le sarà dato, se non il segno di Giona profeta» (Mt. 12, 39). Le parole di Gesù rivolte ai farisei e agli scribi vengono in mente, con un significato tragicamente attuale, davanti al video della distruzione di uno dei simboli dell islam sciita, la moschea di Giona, sulla collina di Al Tauba, a Mosul, costruita attorno a quella che secondo la tradizione era la tomba del profeta. Ricordando la storia di Giona, Gesù racconta la grandezza della misericordia di Dio a chi non ha alcuna voglia di sentirlo: Ninive aveva ascoltato, si era convertita e non era stata distrutta grazie alla predicazione del profeta, inizialmente riottoso ad adempiere il mandato ricevuto; i farisei e gli scribi sono comparati ai pagani di Ninive e ne escono male, dal momento che rifiutano la predicazione del più grande dei profeti, e pretendono da lui dimostrazioni tangibili di potenza terrena. Duemila anni dopo, al profeta Giona è associato un segno altrettanto esplicito e terribile. Ancora una volta è un segno di distruzione non evitata, come a Ninive, ma realizzata, che colpisce un simbolo della fede cristiana, ricordato al tempo stesso dal Corano. Un segno che ha conosciuto uno spazio mediatico e di riflessione pari a qualche ora sui tg e a qualche colonna per ogni testata giornalistica il giorno successivo l esplosione; poi più nulla. Come poco più di nulla sono l informazione e la sensibilità relative all esodo forzato e sanguinoso dei cristiani da Mosul, dai territori liberati dall Isil, in Iraq come in Siria, e poi dall Egitto e dalla Nigeria. In uno studio del settembre 2004 pubblicato sulla rivista americana Commentary tradotto e comparso sul Foglio Norman Podhoretz, esponente di punta dei neocon dopo esserlo stato della sinistra newyorkese, elencava puntigliosamente a partire dal 1979, da quei 52 diplomatici presi in ostaggio nell ambasciata americana di Teheran da alcuni studenti iraniani la serie incredibile di attentanti contro cittadini americani, rimasti senza alcun tipo di reazione da parte del governo federale. E ha ricordato, in particolare, che la convinzione di Osama Bin Laden di poter aggredire in modo devastante il territorio Giovedì 24 luglio lo Stato islamico ha raso al suolo uno dei simboli di Mosul, la grandiosa moschea del profeta Giona sulla collina di Al Tauba americano l 11 settembre 2001 è maturata avendo osservato l atteggiamento che le varie amministrazioni di Washington avevano tenuto dopo le aggressioni subite da militari o civili statunitensi all estero: in Libano, nel 1983, quando centinaia di marine perirono sotto le macerie di una caserma per mano degli hezbollah; in Somalia, nel 1993, dopo l uccisione di alcuni ranger in missione di pace. In Iran, in Libano, in Somalia, il terrorismo islamico aveva saggiato il nemico ; l 11 settembre 2001 lo ha colpito, convinto di poterlo fare, a coronamento di una strategia che ha una sua logica, pur se criminale. Cambiando ciò che va cambiato, discorso identico vale per le comunità cristiane oggi violentate e messe in fuga dalle loro terre. Disinteressarsene, da parte dell Europa e dell Occidente, equivale a moltiplicare gli attacchi nei loro confronti. È una indifferenza che provoca morte: anche per questo la generazione di un secolo aperto dall abbattimento delle Twin Towers merita la qualifica di perversa e adultera. Ancora una volta il segno di Giona in questo caso le rovine della sua tomba ammonisce che girarsi dall altra parte equivale a radere al suolo le radici di fedi, popoli e civiltà; mentre l esperienza di chi ha ascoltato, anche all ultimo momento utile, rassicura che cogliere quel segno non è mai vano. 20 agosto

8 Nella foto, uno dei cristiani iracheni rifugiati in Kurdistan. «Mi sono venuti in mente i giorni delle rappresaglie di Saddam Hussein, quando vennero confiscate le dimore dei curdi che si opponevano al suo regime, e io dovetti abbandonare casa insieme alla mia famiglia sotto lo sguardo di uomini armati. In ogni profugo noi curdi rivediamo la nostra stessa storia, per questo li ospitiamo»

9 COPERTINA DI rodolfo CasaDEI Protetti solo dal Cielo Foto: Getty Due milioni di profughi che lasciano l Iraq. Ecco cosa ha provocato la pulizia etno-religiosa della follia jihadista. Gli ultimi cristiani di Mosul hanno trovato riparo nella regione musulmana del Kurdistan. «Ma perché i paesi europei non aiutano queste persone? Cosa aspettano?» 20 agosto

10 «Mi sono comm o s s a quando ho visto sulle nostre tv le immagini degli sfollati cristiani che arrivavano nei centri di raccolta del Kurdistan spogliati di tutto, derubati fino all ultimo orecchino delle loro bambine. Mi sono venuti in mente i giorni delle rappresaglie di Saddam Hussein e successivamente dell operazione Anfal, quando vennero confiscate le dimore dei curdi che si opponevano al suo regime, e io dovetti abbandonare casa mia insieme alla mia famiglia sotto lo sguardo di uomini armati. In ogni profugo noi curdi rivediamo la nostra stessa storia, per questo ospitiamo i cristiani di Mosul e Qaraqosh e i fuggitivi di tutte le etnie e religioni sul nostro territorio. Ma perché i paesi europei, di tradizione cristiana, non corrono in aiuto di queste persone? Perché non si impegnano massicciamente sul fronte umanitario? Questo mi scandalizza. Mi sento di fare un appello all umanità, a tutti i paesi di tradizione cristiana e non solo, affinché le famiglie di Mosul, Ninawa e Qaraqosh non vengano sradicate dalla loro terra e non siano costrette a fuggire dalle loro case, come successe in passato al popolo curdo». A parlare è la signora Rezan Kader, Alto rappresentante del Governo regionale del Kurdistan iracheno (Krg) in Italia. E sarebbe bello che i suoi interrogativi aiutassero a concentrare i riflettori su quest ultima infornata di vittime del fanatismo: i cristiani iracheni del nord del paese spogliati di tutti i loro beni, dalle case agli effetti personali, con modalità che, come ha ricordato il patriarca caldeo Louis Sako, nemmeno Gengis Khan arrivò a concepire e praticare quando otto secoli fa invase i territori che corrispondono all Iraq di oggi; le altre minoranze etniche e religiose che l Isil ha deciso di cacciare dai territori che ora controlla con un operazione di pulizia etno-religiosa che non risparmia gli edifici sacri dei vari culti: sciiti, yazidi, shabak. Il Kurdistan che ospita profughi di etnia e/o religione diverse da quelle della sua maggioranza merita gli applausi, ma avrebbe bisogno anche di tanto aiuto perché da solo non ce la può fare. Si calcola che l avanzata dell Isil fra giugno e oggi abbia causato 500 mila sfollati, 300 mila dei quali si sono diretti nel Kurdistan, dove nella prima metà di quest anno sono arrivati anche 250 mila profughi dalla Siria. In totale, calcolando sfollati interni iracheni e profughi, nell attuale Kurdistan iracheno si stima la presenza di 1,2 milioni di persone fuggite da situazioni di pericolo, molte delle quali sono installate in campi profughi e centri di accoglienza che sono stati nel corso del tempo attrezzati. Tutte le altre si sono ricongiunte a parenti o altri affini già insediati da molto tempo in territorio curdo. In tutto l Iraq, profughi e sfollati sono arrivati a 2 milioni. A parte gli ovvi problemi logistici creati da un esodo di massa in piena stagione estiva (con temperature diurne normalmente superiori ai 40 gradi), c è un grosso problema politico che incombe come un macigno pericolante sulle teste dei profughi e non solo sulle loro: dall inizio di agosto 2014

11 LA LETTERA COPERTINA PRIMALINEA Foto: AP/LaPresse li cariche istituzionali nazionali, da rinnovare dopo le elezioni politiche dell aprile scorso: la presidenza del Parlamento, andata al sunnita Salim al Juburi e la presidenza della repubblica dell Iraq, per la quale è stato scelto il curdo Fuad Masum. Ma il nodo dei mancati trasferimenti finanziari resta immutato e grave, al punto che da mesi il Krg ha grosse difficoltà a pagare gli stipendi della funzione pubblica e le pensioni di guerra, che da sole portano via il 70 per cento del suo bilancio. Il Kurdistan iracheno è una regione abitata da 5 milioni di persone (sfollati e profughi rappresentano più di un quinto dei residenti) senza sbocchi sul mare, che importa l 80 per cento delle merci di cui ha bisogno dalla Turchia. Lo sforzo che il suo governo e i suoi abitanti, in particolare le sue minoranze religiose, stanno facendo per aiutare gli sfollati è eroico, ma difficilmente potrà protrarsi ancora a lungo. In una dichiarazione ad Afp del 4 luglio scorso il vice capo del dipartimento per le relazioni con l Estero del Krg Dindar Zebari aveva detto: «Tante organizzazioni parquest anno il governo centrale di Baghdad non versa più al Krg quel 17 per cento del bilancio dello Stato che a norma di costituzione gli toccherebbe. A causa di una controversia che riguarda l estrazione e la vendita del petrolio dai nuovi pozzi petroliferi della regione. Per colmare il buco nei conti, il Krg ha cominciato a vendere direttamente all estero il petrolio estratto dai suoi pozzi, sfruttando l oleodotto che collega il suo territorio al porto turco di Ceyhan (i rapporti fra la Turchia di Erdogan e il governo del Kurdistan iracheno sono molto buoni da tempo), e questo ha acuito la tensione fra le due parti, perché Baghdad considera illegali tali vendite. Gesti di rottura e riavvicinamenti si susseguono da settimane: il premier uscente al Maliki è arrivato ad accusare i curdi di dare ospitalità ai leader dell Isil sul loro territorio, mentre il presidente del Kurdistan Massoud Barzani ha dichiarato che un referendum di autodeterminazione per la secessione della regione dall Iraq è imminente; nello stesso tempo le due parti hanno concorso all elezione di due delle tre principa- NAZARA «Anche io sono seguace del Nazareno» La pittrice Letizia Fornasieri ha scritto una lettera ad Avvenire che riportiamo qui di seguito. «Gentile direttore, ho letto il suo editoriale ed altri articoli sui cristiani di Mosul. Le loro case segnate dalla lettera N in arabo, che significa nazara cioè seguaci del Nazareno. Qualcosa per loro si deve fare! Anche un segno visibile della nostra vicinanza! Mi sono messa una fascia bianca al braccio su cui ho riprodotto la lettera N in arabo. Per essere segnata anch io, perché anch io sono seguace di Cristo. Spero che altri ci pensino». L intervento degli Emirati Arabi Due settimane dopo il primo ministro del Krg Nechirvan Barzani, in una dichiarazione diffusa dall agenzia di stampa del suo governo che è un appello perché sia fornita assistenza ai cristiani sfollati in territorio curdo ma anche un atto di accusa contro Baghdad, ha fatto il punto sulle difficoltà finanziarie: «Il governo regionale del Kurdistan, in coordinamento con l ufficio dell Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr), ha fornito assistenza a centinaia di migliaia di profughi e sfollati che hanno trovato rifugio nella regione del Kurdistan. Tuttavia il numero di rifugiati e sfollati aumenta di giorno in giorno. Il governo iracheno, che ha sospeso i trasferimenti dal bilancio nazionale a quello del Krg, ha nello stesso tempo rifiutato di assumersi qualunque responsabilità per gli sfollati interni che attualmente hanno trovato rifugio nella nostra regione. A causa di tali circostanze e della difficile situazione economica che il governo iracheno ha causato in Kurdistan, facciamo appello a tutti i paesi, alle organizzazioni caritative e alla comunità internazionale perché forniscano assistenza ai profughi e agli sfollati nella nostra regione». Il Barzani primo ministro ha ricevuto e ringraziato il console degli Emirati Arabi Uniti a Erbil, unico paese che ha messo mano al portafoglio per questi profughi. Antonio Guterres, l Alto commissario Onu per i Rifugiati che ha visitato il Kurdistan, ha annunciato il suo sollievo per l immi- tecipano agli aiuti, ma la situazione per il governo regionale è difficile e i consigli provinciali non hanno abbastanza denaro per assistere gli sfollati». Aveva aggiunto che il governo centrale di Baghdad normalmente fornisce un aiuto una tantum equivalente a 250 dollari per famiglia agli sfollati, ma era necessario registrarsi per riceverlo, cosa non facile per molti nuclei familiari nella situazione attuale. 20 agosto

12 PRIMALINEA COPERTINA nente versamento di 500 milioni di dollari da parte dell Arabia Saudita destinati a questa nuova crisi umanitaria, e ha lodato esplicitamente il governo e la popolazione della regione: «Sono edificato dalla generosità e dalla solidarietà del governo e del popolo del Kurdistan in questo difficile momento. Va apprezzata questa politica di mantenere le porte e i confini aperti alle persone in cerca di aiuto a prescindere dall etnia o dalla religione. Questo atteggiamento di tolleranza e apertura ha un importante significato simbolico in un momento in cui dobbiamo evitare a tutti i costi una guerra di religione in Iraq». Come s è detto all inizio, l Isil si è accanito su tutte le minoranze religiose, non solo sui cristiani. Anche molti musulmani sunniti si sono sentiti in pericolo al punto di fuggire. Quasi solo ai cristiani, però, è capitato di essere completamente spogliati dei loro beni, dopo essersi illusi che niente di male sarebbe loro capitato. Per tre settimane, infatti, la vita si è svolta serenamente dopo la presa di Mosul da parte dell Isil, a parte le croci sulle chiese sostituite dalla bandiera nera dei jihadisti e una statua della Vergine Maria distrutta. L unica accortezza consisteva nell adozione da parte delle donne cristiane dell abbigliamento femminile islamico di stretta osservanza. Poi nel giro di tre giorni sono arrivate le n di nazareni dipinte sulle pareti esterne delle case dei cristiani, la scritta proprietà dello Stato islamico apposta il giorno successivo e infine l editto che imponeva ai cristiani di scegliere fra quattro possibilità: convertirsi all islam; pagare la tassa speciale di sottomissione (la jizya); andarsene per sempre dalla città; essere uccisi. Pochissimi hanno scelto l opzione numero uno, nessuno la numero due per il semplice motivo che già da anni i cristiani di Mosul erano taglieggiati dall Isil e da altre bande islamiste che riscuotevano il pizzo sulle loro attività commerciali. Fra l altro l importo dell imposta fissata dallo Stato islamico è di 550 mila dinari, una cifra insostenibile per la maggior parte degli iracheni: equivale a 450 dollari americani, che è l ammontare del salario mensile di un insegnante di prima nomina. Nel Vaticano dei caldei Quel che è successo ai cristiani in fuga da Mosul il 19 luglio (data di scadenza dell ultimatum) è stato raccontato da molti testimoni. «Abbiamo ficcato tutte le nostre CENTINAIA DI CRISTIANI HANNO CAMMINATO PER OLTRE 70 CHILOMETRI PORTANDO I BIMBI IN SPALLE. L ISIL AVEVA TOLTO LORO TUTTO. ANCHE L ACQUA E IL LATTE PER I NEONATI cose dentro a due auto. Sono partita con mio marito e due figli», ha raccontato una donna. «Contrariamente a quanto accaduto ad altri che sono passati dopo di noi, non ci hanno preso la macchina, ma hanno rubato tutto il denaro e i bagagli. Hanno perfino voluto il biberon del mio bambino più piccolo», ha raccontato una donna cristiana profuga a Erbil all inviato di Le Monde. La Aina, Assyrian International News Agency, chiarisce che il fato dei cristiani di Mosul è stato condiviso anche dai cristiani di altre località della zona: «L Isil ha creato due posti di blocco all uscita da Mosul nei quartieri di al Sada e Biawaizah e ha derubato e spogliato tutti i cristiani che abbandonavano la città. È stato sottratto loro denaro, automobili, cellulari, alimenti, oro e bigiotteria indistintamente, apparecchiature elettroniche e perfino medicinali. Più di 85 famiglie che hanno abbandonato Qaraqosh hanno comunicato di essere state derubate di tutte le loro proprietà. Centinaia di cristiani sono sati costretti a camminare di notte per 70 chilometri, fino a Tal Afar, dopo che l Isil aveva confiscato le loro automobili. Trasportavano i loro bambini sulle spalle e sono arrivati esausti e disidratati». Un altra cristiana fuggitiva ha raccontato a Radio Free Europe: «Hanno aperto il barattolo del latte in polvere del neonato e hanno versato il contenuto sulla strada. Li abbiamo implorati di lasciarci le bottiglie con l acqua, per tenere buoni i bambini durante il viaggio, ma le hanno aperte tutte e versato l acqua di fronte a noi». A Erbil i cristiani profughi che non hanno parenti in grado di accoglierli nel quartiere a maggioranza cristiana di Ankawa trovano ospitalità in palestre, parrocchie e cortili di strutture imprenditoriali. Per esempio il cortile della Babylon Media Company, che gestisce una radio e una tv locali, fin da giugno ha ospitato una grande tenda suddivisa in spazi più piccoli con alcune decine di famiglie. Finché non c è stato più spazio per nessuno: «Ho respinto la sesta auto oggi. Piangevano tutti», ha raccontato il manager della compagnia Noor Matti. «Siamo pieni, non possiamo accettare più nessuno. Non abbiamo aiuti da nessuno. Abbiamo bisogno che arrivino le Ong!». Non si creda però che i cristiani pensino solo ad aiutarsi fra di loro. Nella cittadina di Alqosh, il Vaticano dei caldei (sede del monastero dove fu decisa la ricongiunzione con la Chiesa di Roma), migliaia di musulmani, sciiti e sunniti, hanno trovato rifugio sin dai giorni della caduta di Mosul. «Abbiamo accolto 2 mila fuggitivi, e di questi solo 40 famiglie sono cristiane, tutti gli altri sono musulmani sciiti o sunniti, turcomanni o arabi», dice padre Gabriel Waheed, superiore del convento dei monaci antoniani di Alqosh. È evidente che l Isil vuol mandare in pezzi l irripetibile mosaico iracheno, così come si dice abbia distrutto i mosaici e la maioliche del monastero di san Giorgio a Mosul. n agosto 2014

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14 ESTERI SULLA STRISCIA DI GAZA La vendetta porta solo la morte «La sofferenza non dà diritto alla vittima di diventare carnefice. Il male trionfa quando le persone buone non fanno nulla». Parla Abuelaish, il medico palestinese che nel 2009 perse tre figlie. Uccise da una bomba israeliana DI RODOLFO CASADEI

15 Foto: Sintesi/Photoshot Ezzeldin Abuelaish è il medico palestinese di Gaza trapiantato in Canada che a commento di quello che sta avvenendo nella sua terra natale ha scritto sul Guardian: «La follia, come diceva Einstein, è continuare a rifare la stessa cosa aspettandosi un risultato diverso». Ma soprattutto è l autore del libro Io non odierò, dedicato alle sue tre figlie Bessan, Mayar e Aya e alla nipote Noor uccise da una bomba israeliana durante l Operazione Piombo Fuso nel Per onorare la loro memoria ha creato un opera di pace: la fondazione Daughters for Life che finanzia gli studi di ragazze arabe in tutto il mondo. Da Toronto, al telefono, spiega a Temp il suo punto di vista su quello che sta succedendo. Dottor Abuelaish, cosa prova quando vede in tv le immagini dei combattimenti a Gaza oggi, cinque anni dopo l Operazione Piombo Fuso nella quale perse tre delle sue figlie? Provo rabbia, frustrazione e avvilimento. Al conflitto israelo-palestinese non si metterà fine con azioni militari e facendo morire più gente. Con la forza non si arriverà mai alla pace e alla sicurezza a lungo termine, ma solo nel breve termine. Dopo sessant anni di guerre, il problema palestinese è ancora lì. Voglio dire alla leadership israeliana che questa guerra servirà solo ad aumentare l animosità e l odio, ad allargare il fossato fra israeliani e palestinesi, a distruggere le nostre anime e i nostri cuori. Io condanno le violenze da ogni parte, ma l alternativa a tutto questo è riconoscere i diritti degli uni e degli altri a vivere liberi e senza paura, è porre fine alla coazione del rapporto occupanti-occupati. Per fare questo abbiamo bisogno di gesti coraggiosi da parte della leadership israeliana. Lei è un uomo che ha saputo strappare l odio dal proprio cuore. Dopo la morte violenta delle sue figlie, non ha cercato la vendetta, ma di fare il bene. Però molti protagonisti del conflitto israelo-palestinese sembrano vivere l odio come un sentimento naturale, conseguenza di ingiustizie e ferite subìte. L odio non è un sentimento naturale. È una malattia che colpisce il cuore, l anima e la mente dell uomo, estremamente distruttiva per il soggetto portatore. Per prenderla bisogna essere stati esposti ad agenti patogeni. Quali? L intimidazione, l umiliazione, la sofferenza. Bisogna evitare l esposizione. Per questo dico che i bombardamenti su Gaza e gli scontri militari fra le due parti non portano a nient altro che alla crescita dell odio. Come si vede dai discorsi di certi espo- 20 agosto

16 ESTERI SULLA STRISCIA DI GAZA nenti israeliani. Il rabbino vice ministro per gli Affari religiosi Eli Ben Dahan ha detto: «I palestinesi non sono esseri umani, non meritano di vivere, non sono altro che animali». E la deputata della Knesset Ayelet Shaked ha detto: «Dobbiamo uccidere tutte le madri palestinesi, perché mettono al mondo quelli che ci combattono». Se vogliamo convivere, dobbiamo rinunciare a questo linguaggio, le parole possono fare molto male. Dobbiamo imparare a comprendere quello che provano le vittime dell altra parte: nessuno può celebrare la morte di altri esseri umani. Ogni vita umana è preziosa allo stesso modo. Quando sanguiniamo, il sangue ha lo stesso colore per tutti. Nessun fine, per quanto elevato, giustifica l uccisione di esseri umani. Non si possono uccidere donne e bambini per ragioni di autodifesa. C è un altro modo di difendersi: mettere fine all occupazione e permettere ai palestinesi di essere liberi. L occupazione è la questione nevralgica di tutte le violenze e le ingiustizie del conflitto? Sì. Entrambi i popoli soffrono a causa del conflitto, ma i palestinesi soffrono più degli israeliani. I palestinesi sono gli occupati e oppressi, e gli israeliani sono gli occupanti e oppressori. Se si distrugge l autostima e il rispetto di sé di qualcuno, ne risulterà per reazione un conflitto. Capisco perfettamente che questa situazione è anche una conseguenza della storia delle sofferenze del popolo ebraico, è una conseguenza dell Olocausto. Ma i palestinesi non sono parte di quella storia, non sono stati loro a infliggere agli ebrei quel male. Gli ebrei sono stati vittime e provo compassione per la loro sofferenza, ma la sofferenza non dà diritto alla vittima di diventare carnefice. Noi palestinesi siamo diventati vittime di vittime diventate carnefici. Vittime che hanno lottato strenuamente e giustamente per la loro libertà. Ma anche noi palestinesi vogliamo la stessa libertà. È tempo che gli israeliani riconoscano che c è un occupazione e un oppressione che riguarda i palestinesi, e dicano: «Non accettiamo più questo, perché amiamo la libertà e ci sta a cuore ogni vita umana». È tempo che riconoscano queste realtà e non si nascondano più dietro alle loro paure. La logica di Hamas, tuttavia, non è quella di chi abbia a cuore la vita umana. Il conflitto non è fra Hamas e gli israeliani, ma fra i palestinesi e gli israeliani. Hamas è solo una fazione, conseguenza delle dinamiche del conflitto. Il giorno che l occupazione sarà consegnata alla storia, finiranno anche le fazioni palestinesi, il popolo palestinese vorrà vivere una vita pacifica e libera. I tentativi di fare avanzare i negoziati fra palestinesi e israeliani continuano a fallire, ultimo in ordine di tempo quello del segretario di Stato americano John Kerry. È possibile un nuovo inizio per i negoziati? Il negoziato ha senso quando è mirato a un obiettivo. Non si negozia per il gusto di negoziare, per passare il tempo. I palestinesi hanno negoziato per anni, e cosa hanno ottenuto? Niente. Anzi, un peggioramento della situazione: un numero crescente di insediamenti ebraici nei loro territori e nuove sofferenze. Perciò i palestinesi sono stanchi di negoziati che non concludono nulla e sono solo una perdita di tempo. Sì, i negoziati sono indispensabili, ma devono avere per obiettivo la fine dell occupazione e tradursi in attività concrete sul terreno. Lei ha perso tre figlie innocenti cinque anni fa a causa della guerra. Che cosa significano, oggi, loro per lei? Cosa deve sapere e capire di loro il mondo? Oggi nelle mie figlie vedo tutti i bambini innocenti di Gaza che perdono la vita a causa di questo intervento armato. Questa cosa mi riempie di rabbia, perché è come versare sale su di una ferita. Ma mi rende più determinato nel mio proposito: non rinuncio, non mi arrendo; lavorerò sempre di più per fare sì che le mie figlie continuino a vivere attraverso le buone opere, attraverso azioni coraggiose, e non accetterò mai che ad altri figli accada ciò che è successo a loro. Nel libro Io non odierò ho scritto che se avessi saputo che quello delle mie figlie era l ultimo sacrificio sulla strada per raggiungere la pace fra palestinesi e israeliani, avrei accettato la loro perdita. Purtroppo non è stato così, e la cosa mi riempie di rabbia, ma soprattutto sono deciso a fare di più perché la morte delle mie figlie e di mia nipote non sia stata vana. La settimana scorsa mia figlia Rafah, che ha da poco compiuto 15 anni, veden- «Dopo SESSAnt anni DI guerre, IL problema palestinese è ancora lì. Quando SAnguinIAmo IL SAngue HA lo stesso colore per tutti. nulla GIUSTIFICA L UCCISIonE DI ALtrE PERSonE» Dopo tre settimane dall inizio del conflitto militare, la sanguinosa guerra a Gaza non sembra rallentare e le vittime da una parte e dall altra continuano a crescere. Sotto, il medico palestinese Ezzeldin Abuelaish con le tre figlie uccise da una bomba israeliana nel 2009 do quello che sta succedendo ha detto: «Ho 15 anni, la stessa età che avevano le mie sorelle Mayar e Aya quando sono state uccise; io invece sono viva e mi sento colpevole di questo nei loro confronti». Cosa posso rispondere a mia figlia? Altri bambini vengono uccisi, altri ancora lottano per sopravvivere e alla fine si sentiranno colpevoli per quelli che sono morti. Allora dico alla gente: «Cosa possiamo fare per salvare le loro vite?». Voglio che il mondo agisca. Ciò che permette al male di trionfare è il fatto che le persone buone non facciano nulla. Dobbiamo alzare la voce: il mondo è il nostro mondo, è il mondo di tutti, nessuno ci è estraneo, nessuno è troppo lontano. È tempo di parlare a una sola voce e di agire come un solo uomo, e di affermare il valore di ogni vita indipendentemente dalla religione, dall origine e dalla collocazione geografica di ciascuno. Quelli che stanno soffrendo sono esseri umani e appartengono alla famiglia umana, e tutti noi dobbiamo essere avvocati irriducibili dei nostri fratelli in umanità. n agosto 2014

17 Foto: AP/LaPresse FIAMMA NIRENSTEIN, CORRISPONDENTE DEL GIORNALE Hamas è il vero nemico della pace «Mettetevi in testa che il problema non è Abu Mazen ma il Movimento islamico di resistenza. Occorre disarmarli prima di intavolare qualsiasi trattativa» non sono i palestinesi, il problema è Hamas. Loro non vogliono due popoli in due stati, vogliono la distruzione di Israele: c è scritto nel loro statuto. Finché non verranno smilitarizzati, non ci potrà essere nessuna pace. Vogliono il califfato universale, sono degli estremisti, non c entrano nulla con le ambizioni nazionaliste palestinesi». Fiamma Nirenstein, corrispondente de Il Giornale da Gerusalem- «Il problema me, si stupisce che molti in Europa non afferrino questo basilare concetto. Che in Israele, dice, tutti condividono, a destra e a sinistra. «Gaza è stata evacuata dagli israeliani nel 2005, non ci sono territori occupati da restituire. Mettere a tema adesso l occupazione, i Territori occupati, è fuorviante rispetto ai motivi del conflitto presente». Prima di scrivere il suo pezzo per il quotidiano milanese risponde ad alcune domande di Tempi. Qual è il sentimento predominante fra gli israeliani, se ce n è uno, riguardo a questo conflitto di Gaza? Il sentimento di non avere avuto neanche stavolta altra scelta che quella di fare una guerra. Un paese che nelle ultime due settimane è stato bersaglio di lanci di razzi, che hanno paralizzato la vita in due terzi del territorio, non può non combattere. Il governo sta facendo solo il suo dovere, che è quello di proteggere la popolazione: cerca di bloccare i lanci dei razzi. Non è una guerra di conquista, né per fare delle vittime a Gaza, è una guerra per difendere il popolo israeliano. Le vittime fra i civili israeliani sono state poche perché Israele considera sacra la loro vita e fa di tutto per proteggerla: il sistema di difesa antimissilistico è costosissimo, come pure i rifugi antibomba, ma sono efficaci. Ricordate che per salvare la vita del soldato Shalit, Israele ha accettato di liberare migliaia di terroristi incarcerati. Invece i cittadini di Gaza sono usati come scudi umani da Hamas, che sistema i lanciarazzi dentro alle loro case, i depositi di armi den- 20 agosto

18 ESTERI SULLA STRISCIA DI GAZA «I cittadini di Gaza sono usati come scudi umani da Hamas», racconta Fiamma Nirenstein. Il Movimento islamico di resistenza sistema i lanciarazzi dentro le case dei civili e «Israele per difendersi deve colpirle» tro alle infrastrutture civili o nei pressi. Per proteggere le case dei civili israeliani, Israele deve colpire le case di civili di Gaza che ospitano le armi di Hamas, purtroppo. Dal 2009 i conflitti di Gaza ricorrono ogni due-tre anni. Perché il tempo fra una guerra e l altra non è mai sufficiente a portare avanti un negoziato di pace efficace e costruttivo? Perché Hamas non è assimilabile al negoziato. Con Abu Mazen la trattativa sussiste, perché il suo partito Fatah e il suo governo hanno l obiettivo di due stati con due popoli. Con Hamas non c è nulla da discutere: gli israeliani hanno evacuato il territorio dove adesso governano loro. Molto tempo fa 10 mila coloni hanno abbandonato le loro fattorie e le serre che avevano costruito, rimossi a forza da Sharon. Hamas ha distrutto le infrastrutture lasciate dai coloni e oggi la gente nella Striscia fa la fame. Cosa pensano gli israeliani del loro premier Netanyahu? Su Haaretz ho letto commenti favorevoli e commenti molto critici. Yossi Sarid ha scritto che Netanyahu preferisce la guerra alla pace, perché se arrivasse la pace il suo governo cadrebbe. La grande maggioranza approva la linea del primo ministro, e non è vero che sia bellicista: non ha mai fatto una guerra, è un primo ministro di un equilibrio straordinario, disponibile alla tregua quando erano gli altri a rifiutarla. È vittima di pregiudizi perché non è di sinistra. Sarid parla a quel modo di Netanyahu perché lui è un esponente politico della sinistra, ex ministro, ma la moderazione dell attuale primo ministro israeliano è evidente a tutti. L attacco di terra a Gaza è stato ordinato solo quando Hamas ha cercato di usare i suoi tunnel per entrare in territorio israeliano e rapire i civili dei kibbutz. Hamas è un pericolo per tutta la regione, basta vedere la degenerazione dei suoi rapporti con l Egitto. Hamas non c entra nulla con gli insediamenti in Cisgiordania, coi coloni e tutto il resto per cui Israele viene criticato. Hamas governa un territorio abitato da 1,6 milioni di persone utilizzando tutte le risorse che arrivano, compresi gli aiuti internazionali, non per migliorare la vita della gente, ma per fare la guerra a Israele. La guerra di Gaza ha fatto dimenticare i due fatti atroci del mese scorso: i tre ragazzi israeliani rapiti e trucidati, il ragazzo arabo rapito e bruciato vivo. Cosa pensano gli israeliani dell accaduto? Hanno vissuto tutto questo come una tragedia. Hanno sofferto per due settimane per il rapimento dei tre ragazzi, poi sono rimasti stravolti e stupefatti dalla notizia del ragazzo arabo ucciso. Gli assas- sini israeliani del palestinese sono rigettati dalla società israeliana, fanno schifo a tutti. Saranno processati e condannati all ergastolo. Provengono dagli ultras di una squadra di calcio, appartengono a gruppi marginali della società. Nessuno nel paese ha espresso apertamente approvazione per quello che hanno fatto. Invece i responsabili del rapimento e della morte dei tre ragazzi israeliani sono celebrati come eroi nazionali in molti ambienti palestinesi e nei social network. Sono stati apprezzati come combattenti per la libertà. La tragedia delle madri che hanno avuto i figli uccisi è la stessa, il dolore per le sofferenze il medesimo, ma la reazione dei referenti politici palestinesi è stata totalmente diversa da quella israeliana. Abu Mazen è visto come un partner per la pace o come un nemico paludato con cui non si può trattare seriamente? Come un partner. Israele vorrebbe che Abu Mazen diventasse, insieme eventualmente agli americani e all Onu, il garante del disarmo di Hamas nel contesto di un accordo per la fine delle operazioni militari. Per Israele la premessa a qualunque accordo coi palestinesi è il disarmo di Hamas: non per ragioni teoriche, ma per un motivo pratico. Se Hamas non viene disarmata e i suoi tunnel distrutti, il conflitto può ricominciare in qualunque momento e allora gli accordi non hanno più significato. Naturalmente il discorso presuppone che Abu Mazen regga politicamente, e questa cosa non è affatto sicura: proprio ora stanno cominciando grandi manifestazioni in Cisgiordania contro la sua linea politica. La solidarietà dell opinione pubblica palestinese della West Bank nei confronti di Hamas sta crescendo, e questo potrebbe mettere in crisi il presidente palestinese. E ricordatevi che Hamas significa Fratelli Musulmani e significa califfato islamico. A loro non interessa nessuna soluzione condivisa, interessa solo una soluzione islamista. [rc] Foto: AP/LaPresse agosto 2014

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