TOO MUCH CIRO LA MAGNIFICA OSSESSIONE DAVIDE CALÌ SQUAZ VENT ANNI DI BRIT POP LOMAX A MONTEMARANO CONTINUA A PAGINA 2

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1 TOO MUCH CIRO LA MAGNIFICA OSSESSIONE DAVIDE CALÌ SQUAZ VENT ANNI DI BRIT POP LOMAX A MONTEMARANO LA 56/MA MOSTRA DI VENEZIA SI APRE ALL INSEGNA DEL «CAPITALE» DI MARX, TRASFORMATO IN UNA PERFORMANCEVOCALE. CRISI, MIGRAZIONI E NUOVI MONDI POSSIBILI SONO I CARDINI DEL PENSIERO DEL CURATORE NIGERIANO OKWUI ENWEZOR di ARIANNA DI GENOVA Dimenticare le stelle, la via Lattea, la morbidezza giocosa delle nuvole e la luna. Lasciare le galassie al loro posto per tornare prepotentemente sulla terra. Se la scorsa Biennale si tuffava nella notte (anche della ragione) e nel sogno, la mostra di Okwui Enwezor che aprirà al pubblico il 9 maggio per proseguire fino al 22 novembre, volta pagina in maniera drastica, fustiga le aspettative mondane dello spettatore in Laguna e ha un solo elemento (invisibile) da sfoggiare: la coscienza critica, «filtro» con cui lanciare All the World s Futures. «È l abilità della forma nel costruire nuove visioni del mondo: definisce così il titolo della Mostra questo rigorosissimo studioso della contemporaneità. Anche se, al posto delle immagini intese in senso classico - pittura, scultura, fotografia, installazioni -, lungo il percorso dell esposizione che si snoda tra Corderie Arsenale Giardini, e soprattutto nel Padiglione centrale, inseguiremo qualcosa di impalpabile eppure di grande potenza evocativa: la voce. È una Biennale che ritrova l oralità questa di Okwui Enwezor (nato nel 1963 in Nigeria, dal 2011 dirige l Haus der Kunst di Monaco di Baviera) e trasforma la parola in un contrappunto visionario. Cornice quasi brutale di consapevolezza per ogni accadimento (una mostra scandita da interventi, un corpo vivente) sarà Il Capitale di Marx divenuto un oratorio, ripreso alla lettera come un testo drammaturgico declamato e declinato in performance, recital, reading, filmati, seminari, con la regia di Isaac Julien. L idea è suggestiva, perché in quell Arena che il curatore immagina come cuore della «passeggiata artistica» (una agorà profondamente politica, legata all idea di cittadinanza), si leveranno molte voci, alcune cantilenanti, altre più impostate, tutte impegnate a scandire il ritmo della Storia. CONTINUA A PAGINA 2

2 (2) ALIAS PASSEGGIATE SULL ACQUA SU SENTIERI ALTERNATIVI BIENNALE 56 Okwui Enwezor guida la visione di «All the World s Futures», tenendo la barra del timone dritta, senza cedere a tentazioni estetiche. E così, in Laguna, insieme agli artisti, si studiano le teorie marxiste «ANIMITAS» DI CHRISTIAN BOLTANSKI CONTINUA DALLA COPERTINA di ARIANNA DI GENOVA Non è una Esposizione «facile» l edizione 2015: al desiderio di fuga, alle tentazioni di tuffi esoterici oppone una progettualità di reazione che mira a coinvolgere tutti, braccando con perseveranza gli ignavi. «Le fratture che oggi abbondano in ogni angolo del mondo - spiega Enwezor - rievocano le macerie evanescenti di precedenti catastrofi accumulatesi ai piedi dell angelo della storia, nell Angelus Novus di Benjamin. Come fare per afferrare appieno l inquietudine del nostro tempo, renderla comprensibile, esaminarla e articolarla? I cambiamenti radicali verificatisi nel corso degli ultimi due secoli - dalla modernità industriale a quella post-industriale, dalla modernità tecnologica a quella digitale, dalla migrazione di massa alla mobilità di massa, i disastri ambientali e le guerre genocide, dalla modernità alla post-modernità, il caos e la promessa - hanno prodotto nuovi e affascinanti spunti per artisti, scrittori, cineasti, performer, compositori, musicisti...». Per il curatore, l intellettuale organico di gramsciana memoria ha subìto una necessaria evoluzione, spostandosi verso l attivismo. L ispirazione viene dal 1974, quando la Mostra internazionale di Venezia diede l avvio a un programma intenso di documentazione e informazione sul Cile, in segno di solidarietà. La Biennale diviene allora un meeting articolato che affronta diverse questioni lasciate aperte dalla Storia. Oggi si può dire che quel testimone è raccolto e simbolizzato da un film (sei ore su dieci per la Mostra) come Das Kapital di Alexander Kluge, realizzazione di un progetto concepito alla fine degli anni 20 da Eisenstein (che non riuscì ad avviarlo). Riprese originali, montaggio di materiali di archivio, interviste a intellettuali come Sloterdijk cercano di filmare Marx, riattualizzandolo. Il Capitale, qui in Laguna, è sfogliato a cipolla, mentre aleggia ancora il pericolo della riduzione a «corpi-merce», l alienazione da sé. La vera notte si sprigiona quando l anima è asservita. Per combattere i fantasmi, Enwezor ha scelto alcuni numi tutelari; soprattutto, ha dato un valore fondativo - inedito per una Biennale visiva - alla parola. Nel percorso, troviamo dunque la voce di Pasolini che declama la poesia Guinea dove ci si sincammina verso un altra bellezza, una via alternativa alla degradazione industriale del paesaggio naturale e intimo. L artista Olaf Nicolai, invece, sceglie In una Biennale così profondamente radicata dentro la Storia contemporanea, molti artisti hanno presentato proposte dove l urgenza della memoria diventa una metafora da interpretare ed elaborare. E siccome non sono sociologi né economisti, lo hanno fatto con istanze poetiche, anche di grande impatto. Tra i meriti di Enwezor c è sicuramente quello di aver portato a Venezia la bellissima installazione di Christian Boltanski. Il progetto «Animitas» si trova nella comunità di Talabre, a 60 chilometri da San Pedro de Atacama, ed è composto da 300 campane giapponesi, il cui suono è un omaggio ai «cari estinti». La posizione delle campane in ghisa, bronzo e rame, che appartengono alla tradizione scintoista della cultura nipponica, rimandano a una costellazione della notte in cui l artista nacque e riflettono il ciclo della vita e della morte. Simboleggiano in qualche modo la sua tomba, schematizzando la mappatura celeste delle stelle del 6 settembre Boltanski arrivò in Cile, nel deserto di Atacama, in cerca di uno spazio che potesse somigliare alla solitudine umana, «battuta» dal vento e percorsa da ritmi misteriosi. Una volta scelta la località di Talabre, la comunità ha sostenuto il suo progetto. Per Boltanski questo lavoro è particolarmente significativo perché oltre a essere il suo primo intervento in Cile, rappresenterà sarà il suo terzo Monumento all'umanità (il primo, «Gli archivi del cuore» si trova sull'isola Teshima del Giappone e il secondo in Tasmania). «Tutto il mio lavoro è legato al culto degli antenati, che praticano anche gli abitanti di questo luogo magico, nella città sulle cime di Atacama, dove oggi centinaia di campane ricreano la musica dei morti, il suono del cielo». (a. di ge.) di lavorare sul dittico Non consumiamo Marx di Luigi Nono: da una parte, omaggio per voci e nastro magnetico a Cesare Pavese (Un volto, del mare), dall altra, la registrazione della contestazione nelle strade del Maggio francese e durante la Biennale stessa, nel Il compositore e pianista americano Jason Moran farà ascoltare la sua raccolta di canti di detenuti, operai e contadini nei campi. C è pure una campionatura di «songs» dei condannati ai lavori forzati che arriva dal penitenziario di Louisiana, detto Angola (o Alcatraz del sud). Jeremy Deller (nel 2013 rappresentò la Gran Bretagna) non è da meno: porta a Venezia Factory Songs, canzoni folk che cercavano di ammansire la rudezza delle condizioni nelle fabbriche, fin dai tempi della Rivoluzione Industriale del XIX secolo. L indiano Madhusudhanan torna alla tradizione del disegno a carboncino, continuando il suo A Marx Archive - The logic of Disappearance con il capitolo nuovo della Penal Colony. È una serie - ispirata al racconto di Kafka - che prende spunto dalla tragedia Wagon del 1921, dove morirono di asfissia 67 prigionieri chiusi in un carro merci. Com è sua consuetudine, Enwezor prevede un itinerario con lunghe pause riflessive, ci vorrebbero mesi per elaborare e digerire questo mastodontico «piatto di offerte» (fu così anche per la sua Documenta 11). L esposizione veneziana è disseminata di piccole antologiche dedicate ad artisti come Fabio Mauri, il cineasta sperimentale Chris Marker, Harun Farocki (un atlante delle sue opere, 87 film distillati ogni giorno), ma anche all artista tedesco Hans Haacke (Anthology of Polls, ), alla pittrice Marlene Dumas e al fotografo Walker Evans: Enwezor accoglie l edizione originale di Let Us Now Praise Famous Men del 1941: una impressionante galleria di ritratti di famiglie che vivevano poveramente a mezzadria in Alabama, atroce reportage sulla caduta dell American Dream. La voce scandisce il ritmo della Storia ALLORA&CALZADILLA La «Creazione» di Haydn, opera sonora che esplora i riti collettivi di FABIO FRANCIONE Jennifer Allora e Guillermo Calzadilla, più noti come Allora&Calzadilla, coppia d artisti cubano-americana, di stanza a Portorico, sono conosciuti in Italia per le polemiche suscitate nel 2011 quando, ospitati nel Padiglione Usa della 54/ma Biennale, proposero Gloria, progetto in sei «pannelli» contenente anche l installazione Track and Field, il tank rovesciato e usato come tapis-roulant per il fitness. Nel bel mezzo delle prove della loro performance In the Midst of Things all Arsenale, riusciamo a raggiungerli per e a porre loro alcune domande. Nelle recenti mostre avete incluso film, suoni, performance, sculture: come sarà «In the Midst of Things»? È un opera corale realizzata con il compositore Gene Coleman e l ensemble vocale d avanguardia Voxnova. Dura circa minuti e comprende 8 voci, 4 uomini e 4 donne, che coprono lo spettro vocale maschile e femminile, dal basso al soprani. Per la performance alla Biennale, ci siamo intromessi nella struttura di The Creation, l oratorio di Haydn composto su testi della Genesi e del Paradiso Perduto di Milton, modificandone il libretto e cambiando l ordine e separando alcune linee, frasi e parole. La nuova partitura di Coleman riduce ulteriormente il linguaggio del libretto ai suoi elementi fondamentali di tono (vocali) e rumori (consonanti), ed è poi ricostruito usando tecniche come l overtone e il canto multi-fonico cari anche a Demetrio Stratos. Inoltre, questi strumenti compositivi e narrativi sono ulteriormente enfatizzati attraverso movimenti di palco paralleli. Abbiamo creato un legame essenziale tra il canto e il movimento che lo accompagna:

3 FOTOGRAFIA TOUR FRA CORDERIE, ARSENALE E CALLI ALIAS (3) Quell identità sul filo del rasoio In copertina di Alias, Argelia Bravo, con «La Virgen de la leche»; sotto, Wu Tien-Chang, «Our Hearts Beat as One»; al centro, Madhusudhanan, «Penal Colony», 2015 di MANUELA DE LEONARDIS cantando parole al rovescio, gli interpreti si muovono fisicamente all indietro. Come avete lavorato intorno alla Creazione di Haydn? Abbiamo iniziato a pensarci durante la lavorazione d Apotome, un video realizzato nel 2013 per Festival d Automne di Parigi. Apotome si contestualizza nella Rivoluzione Francese; lì un uomo cerca di comunicare e creare nuove relazioni con animali in cattività: i due elefanti portati al Museo di storia naturale di Parigi nel marzo del 1798 come trofei di guerra. Al Jardin de Plantes ebbe luogo il concerto per gli elefanti. Questo esperimento fu organizzato da musicisti per vedere se la musica umana potesse sollecitare una reazione in una forma non-umana di vita. Durante la ricerca dei materiali abbiamo trovato un documento di quell epoca che ci ha fornito ulteriori dettagli su quel concerto. Vi erano elencate musiche come Iphigenie en Tauride (1779) di C.W. Gluck; O ma tendre musette di P. A. Monsigny; e l inno rivoluzionario Ça ira, suonato però in diverse chiavi. Haydn era presente con una partitura anonima. Così abbiamo iniziato a documentarci sulle opere di Haydn composte in quegli anni e una di loro era The Creation. Abbiamo deciso di realizzare una nuova opera collegata al celebre oratorio di Haydn, conservando però inalterata l impostazione di opera vocale. Ci sembrava che l oratorio fosse il soggetto perfetto per il nostro esperimento ed eravamo coscienti che avremmo dovuto lavorare con persone che condividevano il nostro desiderio di creare nuove forme di musica e testare i limiti della voce umana. Il nostro lavoro interloquisce con l Angelo della Storia di Benjamin, che Okwui richiama nel suo progetto, i cui angeli raffigurano perfettamente in The L immagine come ultimo baluardo della coscienza. Dalla scoperta della bellezza invisibile alla lotta tenace contro la censura Da sinistra, Fatou Kande Senghor, «Giving Birth», 2014; il curatore Okwui Enwezor; particolare dell installazione «Animitas» di Christian Boltanski. Creation Raffaele, Gabriele e Uriel e, ovviamente, anche Satana. Qual è il vostro rapporto con Marx e «Il capitale»? L avete letto? L abbiamo letto in alcune sue parti. È un testo essenziale. Non è escluso che torneremo a lavorarci sopra ancora. Il capitolo Tomorrow del progetto di Enwezor, di cui fate parte, è spostato alle Corderie, quasi luogo a sé della Biennale, metafisico, originale, misterioso, piazza di progetto e d arme... Troviamo interessante presentare In the midst of things nelle Corderie: la forma rettangolare della sua architettura è il risultato della sua funzione originaria, ovvero la creazione di nodi per le corde delle barche. Il tema cosmologico della Creazione e l ordine dell Universo nell oratorio di Haydn è raccontato in modo lineare, e richiama le linee dritte che una volta si allungavano attraverso gli ampi spazi della Corderie. Potremmo affermare che il nostro lavoro raccoglie questi nodi e li lega l uno all altro. (si ringrazia Laura Facco) Okwui Enwezor, direttore della 56/ma Biennale di Venezia, parla di filtri, costellazioni, apparenza delle cose, durata epica, disordine e inquietudine, nell innescare con All the World s Futures una serie di riflessioni sulla crisi del nostro tempo. In uno scenario del genere, ci stimola a ragionare anche sul ruolo della fotografia, non solo strumento di conoscenza ma di assunzione di responsabilità. Il primo esempio è Walker Evans, insuperabile interprete della fotografia documentaria, a cui il direttore rende omaggio con l esposizione delle foto dell edizione originale di Let Us Now Praise Famous Men (1941), scritto da James Agee e illustrato da Evans. In queste immagini scattate nel 36 in Alabama, dove si raccontano le condizioni di vita di alcune famiglie di mezzadri, il rigore compositivo corrisponde alla loro determinazione nel rendere visibile sofferenza e disagio, tanto che il governo statunitense non poté chiudere gli occhi di fronte alla loro forza che lo costrinsero ad adottare specifici provvedimenti sociali ed economici. Sul filone di una fotografia distante dalla mera ricerca estetica, ma che coniuga il suo ruolo di testimone del presente con il dialogo con le altre arti visive, si delineano alcune tappe significative all interno di questa Biennale, partendo da Arena - spazio nel Padiglione Centrale dei Giardini - dedicato a una programmazione interdisciplinare incentrata sulla lettura de Il Capitale di Karl Marx. Tra i numerosi appuntamenti, affidata a Joana Hadjithomas e Khalil Joreige (Beirut 1969), la performance quotidiana del loro libro d artista Latent Images: Diary of a Photographer (2009), terza parte del progetto Wonder Beirut, che contiene una parte testuale e 38 stampe a contatto selezionate tra le centinaia di foto scattate, e mai sviluppate, dal libanese Abdallah Farah tra il 1997 e il Detenuti e rifugiati È significativo che Enwezor nel costruire la sua visione di un futuro che non può prescindere dal passato citi anche la presa di posizione della Biennale di Venezia contro il sanguinoso colpo di stato di Pinochet dell 11 settembre 1973: pur posticipando l apertura di due anni, la kermesse veneziana realizzò e promosse numerose manifestazioni artistiche sotto il titolo «Libertà per il Cile», per denunciare il fascismo e manifestare solidarietà con il popolo cileno. Ricordare questo momento storico rimanda all esperienza di Paz Errázuriz (Santiago del Cile 1944), importante fotografa cilena che, con Lotty Rosenfeld, rappresenta il paese sudamericano con il progetto Poetics of dissent, curato da Nelly Richard. I suoi ritratti in bianco e nero analizzano situazioni e personaggi ai margini della società cilena, spesso definiti surreali. Di Errázuriz viene esposta per la prima volta nella sua totalità la serie El Infarto del Alma, un lavoro graffiante sui detenuti psichiatrici. Attento fin dagli anni 80 alle evoluzioni del linguaggio fotografico il padiglione tedesco, curato da Florian Ebner, affronta ora i temi di migrazione, identità, lavoro e rivolta attraverso l interpretazione di un gruppo di artisti che include il fotografo e filmmaker Zielony (Wüppertal 1973), conosciuto per il suo approccio critico verso la documentazione sociale: in questa occasione, affronta - su un doppio binario- il racconto del presente dei rifugiati africani a Berlino e Amburgo in relazione a quanto avviene nei loro rispettivi paesi d origine. Tematiche che appartengono anche alla ricerca di molti fotografi africani, tra cui Mikhael Subotzky (Cape Town 1981), presente nella collettiva All the World s Futures e George Osodi (Lagos 1974), tra gli artisti del padiglione della Nigeria, curato da Chika Okeke-Agulu. Nel grande calderone di The Great Game, padiglione dell Iran curato da Mazdak Faiznia e Marco Meneguzzo, ci sono anche artisti provenienti da altri paesi asiatici nonché parecchi fotografi. Tra loro, si distingue Newsha Tavakolian (Teheran 1981), che usa la fotografia come strumento critico di appartenenza sociale e anche conoscenza personale e, analogamente Shadi Ghadirian (Teheran 1974), che mette in scena i paradossi di una quotidianità in cui essere donna richiede grandi strategie di sopravvivenza. Invisible Beauty, curato da Philippe Van Cauteren, è il titolo del padiglione con cui l Iraq torna in Laguna (commissioner, Ruya Foundation): tracce di bellezza celata sono concentrate nell impegno di un gruppo di artisti iracheni che combattono per la libertà d espressione in un paese messo a dura prova dalla guerra con l Iran, dalla dittatura di Saddam e dalla difficile fase di democratizzazione destabilizzata dall interferenza dell Isis. In questo panorama, si colloca il lavoro di Latif Al Ani (Karbala 1932), che ha documentato il paese tra la fine degli anni 50 e i 70, accanto alle immagini di Akam Shex Hadi (1985) che procede con una chiave di lettura più simbolica. La perdita risarcita Sempre modulato dall uso di un bianco e nero fortemente contrastato, Antonio Biasiucci (Dragoni, Caserta 1961) esplora gli estremi vita/morte e origine/catastrofe, dando vita al grande polittico Corpo unico nel Padiglione Italia, curato da Vincenzo Trione. «Sono immagini che si relazionano tra loro per vicinanze e dissonanze - spiega il fotografo - creando una sorta di atlante delle vicende umane con l intento di sottolineare l impossibilità di chiudere in una forma definitiva la storia dell uomo». Memoria e identità sono anche il tema del padiglione della Repubblica di Armenia, curato da Adelina Cüberyan von Fürstenberg: Armenity. Nel centenario del genocidio, questa mostra mira a sottolineare la tenacia del popolo armeno nel mantenere viva la propria cultura, superando il dramma di massacri e deportazioni. Tra i 18 artisti della diaspora ci sono anche lo statunitense Aram Jibilian che, nel racconto che costruisce intorno alla figura del pittore Arshile Gorky ( ) e della sua identità reinventata, associa fotografia e azione performativa per ridefinire psicologicamente il concetto di perdita. Il tema della maschera, in particolare, segna un ulteriore collegamento con l interprete dell Espressionismo Astratto: lo stesso Jibilian (memore forse della fotografia visionaria di Ralph Eugene Meatyard), i suoi familiari e gli amici indossano, infatti, maschere con i volti tratti dalla serie di Gorky The Artist and His Mother. Celata anche l «armenità» ritrovata in Unexposed (2012), il lavoro in cui Hrair Sarkissian (Damasco 1973) punta l attenzione sui discendenti degli armeni che si convertirono all Islam per scampare al genocidio del 1915 e che oggi, avendo riscoperto le loro radici si sono riconvertiti al Cristianesimo, ma risultano invisibili sia per la società turca che per quella armena. Cambiare identità è un tema che appartiene anche al taiwanese Wu Tien-Chang (Changhua 1956) che, in occasione di Never say Goodbye - evento collaterale della Biennale - svela le contraddizioni del mezzo fotografico. La fotografia digitale, in particolare, è lo strumento più adatto per manipolare le immagini e descrivere una realtà che, al di là dell apparenza, è quasi sempre falsa. Questa certezza, per l artista, nasce da considerazioni di natura politica legate al suo paese, dove fino al 1987 vigevano censura e legge marziale. Ma dietro quei suoi personaggi dal sorriso stampato ci sono anche le suggestioni della sua infanzia: i genitori di Tien-Chang lavoravano in un cinema, dove il padre dipingeva manifesti e la madre vendeva biglietti. GERENZA Il manifesto direttore responsabile: Norma Rangeri a cura di Silvana Silvestri (ultravista) Francesco Adinolfi (ultrasuoni) in redazione Roberto Peciola redazione: via A. Bargoni, Roma Info: ULTRAVISTA e ULTRASUONI fax tel e redazione@ilmanifesto.it impaginazione: il manifesto ricerca iconografica: il manifesto concessionaria di pubblicitá: Poster Pubblicità s.r.l. sede legale: via A. 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4 (4) ALIAS POSTCOLONIALISMO E MEMORABILIA In occasione della 56. Esposizione Internazionale d Arte della Biennale di Venezia, il Teatro La Fenice ha affidato all artista african-americana Kara Walker la regia, i costumi e le scene della «Norma» di Vincenzo Bellini (prima, il 20 maggio). L opera che ha come protagonista una donna, sarà rielaborata secondo l artista che, nella sua ricerca, ha sempre contrapposto la forza psicologica femminile con la fragilità e le prove cui le donne sono state sottoposte dalla Storia. Nella sua produzione rappresenta donne con un carattere volitivo e una forte sessualità come Norma, la sacerdotessa gallica protagonista di una drammatica storia d amore che culmina con la scelta coraggiosa di sacrificare la sua vita per l amore di un uomo e della patria. Tre le repliche in maggio (domenica 24 alle 15.30, mercoledì 27 alle e sabato 30 alle 15.30, e due repliche in giugno, mercoledì 3 e sabato 6 alle 19). «Norma» è la terzultima opera di Vincenzo Bellini, una tragedia lirica in due atti su libretto di Felice Romani. Un intervista con Vincent Meessen, artista che cura la collettiva belga «Personnes et les autres». Un indagine sull eredità dell Internazionale Situazionista in Congo di GIOVANNA ZAPPERI L artista Vincent Meessen presenta il suo nuovo lavoro nell ambito di una mostra collettiva curata insieme a Katerina Gregos per il Padiglione del Belgio. Vincent Meessen è uno degli artisti che più si sono interessati al rimosso della modernità coloniale, attraverso una serie di lavori spesso basati sulla ricerca documentaria e sull attualizzazione critica del passato. Il suo nuovo progetto mette al centro la stagione delle lotte anticoloniali e dell internazionalismo attraverso la vicenda dell Internazionale Situazionista in Congo. Per Personne et les autres - questo il titolo della mostra veneziana - Meessen ha invitato otto artisti che riflettono sull eredità coloniale focalizzandosi sulla ricerca delle connessioni tra passato e presente. I lavori di Mathieu K. Abonnenc, Sammy Baloji, James Beckett, Elisabetta Benassi, Patrick Bernier e Olive Martin, Tamar Guimaraes e Kasper Akhøj, Myriam Jafri, Adam Pendelton compongono una mostra che indaga alcuni dei temi cari a Vicent Meessen attraverso l idea della «possessione reciproca», che rimanda al modo in cui le relazioni prodotte dal colonialismo continuano ad abitare il nostro presente. La mostra che stai preparando per il padiglione del Belgio insieme alla curatrice Katerina Gregos si intitola «Personne et les autres» (nessuno e gli altri)... Il titolo proviene da un testo di André Frankin, una figura totalmente dimenticata in Belgio, che ha partecipato all Internazionale Situazionista scrivendo soprattutto di teatro. Frankin mi interessa anche perché nella sua corrispondenza con Debord si trovano molti riferimenti al Congo. Il titolo ha una sua forza poetica, un po alla Beckett, ma si presta anche ad una lettura politica, così ho pensato che fosse adatto sia al progetto a cui stavo lavorando sull eredità situazionista in Congo, che all idea di invitare altri artisti che si interessano alla modernità coloniale. I lavori riuniti nel padiglione tentano infatti di fare vivere aspetti diversi di quella storia e di rimettere in circolazione una serie di idee legate alla stagione delle lotte per l indipendenza. L intervento di Patrick Bernier e Olive Martin riassume il senso dell operazione: un gioco di scacchi in cui ogni pedina catturata cambia colore e può essere giocata di nuovo. Questo dispositivo si riallaccia alla mia idea della «possessione reciproca», secondo cui la modernità coloniale ha prodotto degli incontri, delle relazioni e delle forme che sono ancora in divenire. Mi sembra che questo riferimento a «gli altri» descriva anche la tua posizione nei confronti della struttura della Biennale, con i suoi padiglioni nazionali. La polisemia del titolo riflette la decisione di atomizzare la logica della rappresentanza nazionale mutualizzando il padiglione con artisti che provengono da paesi e continenti diversi. Questo mi permette di mettere in questione il contesto della mostra connettendolo con le mie ricerche sulla modernità coloniale. Quello del Belgio è stato il primo padiglione straniero ad essere La rumba ribelle risuona a Kinshasa costruito nei Giardini e va collocato nel quadro della «sequenza imperialista» legata a Leopoldo II, che tra il 1894 e il 1930 ha promosso una serie di esposizioni universali e coloniali. La Biennale è imparentata con quel tipo di eventi, è una sorta di figlia illegittima delle esposizioni coloniali. Il titolo è diventato un invito a pensare che, poiché mi stavo interessando all Internazionale situazionista in Congo, stavo anche riaprendo la questione della fine dell internazionalismo in senso lato, dei suoi discorsi, retorica, semantica: a un certo punto, è tutto sparito dal vocabolario della sinistra radicale. Realizzare questo progetto a Venezia, dove si è svolto l ultimo convegno situazionista nel 1969, significa riaprire quel discorso a partire da una triangolazione inedita tra tre città: Bruxelles, Venezia stessa e Kinshasa. Nel padiglione ci sarà il tuo ultimo lavoro, «One.Two.Three», filmato a Kinshasa... Il lavoro prende spunto dall internazionalismo di quegli anni, in particolare da un canzone insurrezionale scritta nel 1968 da M Belolo Ya M Piku nella sua lingua madre, il kikongo. M Belolo Ya M Piku è stato un situazionista congolese ed è la figura principale del mio film, incentrato sulla ricomposizione tra il presente e la canzone, che viene rielaborata da una band di rumba. Il film si svolge a Kinshasa, all interno di un edificio incredibile che è un po il tempio della rumba. Nel film ci sono due momenti: il primo riguarda la memoria di un opera che non era mai stata registrata e che il suo stesso autore aveva dimenticato. Il secondo riguarda la possibilità di rimettere in circolo la componente africana dell Internazionale Situazionista e di farlo oggi, a Kinshasa. Il mio lavoro si pone controcorrente rispetto alla mitologia situazionista, così eurocentrica e focalizzata sulla figura di Guy Debord, perché si interessa ad una pagina rimossa di quella storia cercando di problematizzarla nell ambito di un lavoro artistico. Tutto questo poi si è intrecciato in modi anche drammatici con l attualità degli ultimi mesi, visto che mentre giravano il film c è stata un insurrezione popolare proprio a Kinshasa e che quell esperienza per così dire «in diretta» ha orientato alcune delle mie scelte. Molte tue opere sono incentrate sulla ricerca dei nessi che connettono la produzione intellettuale e artistica europea con il colonialismo, o meglio con gli anni dei movimenti di liberazione anti-coloniale. Il punto di partenza di One.Two.Three può ricordare quello di Vita Nova (2009) in cui la fotografia del bambino soldato descritta da Barthes era l indizio da cui partiva la mia ricerca. La differenza però è che qui c è un testimone che racconta la sua storia, un intellettuale che è il personaggio principale del film. La sua testimonianza è intrecciata sia con il lavoro delle musiciste della band di rumba, che con gli spazi dell edificio in cui ho realizzato il film: le musiciste sono collegate tra di loro da una serie di cavi e tentano di accordarsi musicalmente in una sorta di deriva situazionista negli ambienti del palazzo. Il film produce così la collisione di due storie: quella PADIGLIONE KOSOVO Se la frontiera è smaterializzata. La «generazione parallela» di un intero paese nell autobiografia di Flaka Haliti della rumba e quella dell internazionalismo. La rumba è la forma artistica più diffusa in Congo, è una musica ibrida arrivata da Cuba negli anni 40, ma è legata alla tradizione locale perché contiene elementi riconducibili alla tradizione bantu. Soltanto due generazioni separano gli ultimi schiavi mandati a Cuba dal momento in cui la musica è tornata sul continente, e alcuni elementi sono tornati in Africa con poche differenze. Il mio lavoro consiste nel fare incontrare una canzone di tipo tradizionale, scritta da un musicista congolese, con una rumba degli anni 60. Questo lavoro musicale e cinematografico riflette un piano epistemologico che riguarda gli incontri e le collisioni che si producono quando degli aspetti della modernità occidentale vengono messi alla prova di uno spaesamento o di una traduzione in contesto coloniale. Come definiresti il tuo interesse per la storia? Il Kosovo è un paese giovane, uscito solo nel 2008 con la dichiarazione d'indipendenza dagli strascichi della peggior guerra etnica degli anni novanta che polverizzò la Jugoslavia e quella parte dei Balcani. Per comprendere gli artisti cresciuti in quel periodo si prendono a prestito le parole del drammaturgo di Pristina, Jeton Neziraj: «Io appartengo alla generazione che si è formata negli anni Novanta. Ci chiamano la generazione parallela, perché abbiamo vissuto all'interno di una società parallela a quella «ufficiale» e ci siamo formati all interno di un sistema educativo parallelo a quello ufficiale». Flaka Haliti, anche lei nata a Pristina, è del 1982, ha vissuto le medesime sensazioni di Neziraj. Tutti e due vivono e lavorano fuori del Kosovo; Neziraj perlopiù a Parigi, Haliti a Monaco. Da qui è stata chiamata, dal direttore della Kunsthalle Wien Nicolaus Schafhausen e curatore del Padiglione del Kosovo, committente il Ministero della Gioventù, a rappresentare il suo paese nella Biennale di Enwezor. L'artista, dunque, ha scelto di trasformare il padiglione in un site-specific dal titolo Speculating on the Blue. Il progetto nella sua complessità propone argomenti a lei cari, trasferendovi, in una riflessione a più ampio raggio e in prospettiva quotidiana globale, la propria autobiografia di donna e di artista. Sfilano temi filosofici, politici, sociali che coprono significati alti, oggi anche in Europa messi sotto pressione dalla crisi, come libertà, democrazia, movimento, più naturalmente - e non ultimo - il concetto di frontiera. Il «confine» mai come ora messo in discussione, nell immagine di Haliti sembra smaterializzarsi per ricomporsi metaforicamente in un'ottica «ottimistica» e «alternativa». fabio francione

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