Un oppositore totale. Immagini di Antonio Giuriolo nell opera di Luigi Meneghello

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1 Un oppositore totale. Immagini di Antonio Giuriolo nell opera di Luigi Meneghello di Ernestina Pellegrini «Una presenza elusiva» Per questa occasione mi sono limitata a schedare i brani in cui Meneghello parla di Antonio Giuriolo, aggiungendo solo qualche sutura critica, piccole note quasi superflue di commento 1. Ne è venuto fuori un breve lavoro di compilazione. Avrei potuto servirmi per questa versione scritta che ripercorre solo alcuni punti del mio intervento orale in sede di convegno di una conferenza che Luigi Meneghello ha tenuto al Liceo Pigafetta alcune settimane dopo, un discorso leggero e alto che ho avuto la fortuna di poter gustare quasi clandestinamente grazie ad un video che mi è stato mandato da Pio Serafin. Ma non ho voluto utilizzare quelle riflessioni straordinarie dello scrittore, perché preferisco che le sue parole commosse e intense rimangano incapsulate e protette nelle menti degli studenti che quel giorno riempivano le stesse aule dove erano stati tanti decenni prima sia Toni che Gigi. Non potevano essere pronunciate altro che lì, come per uno strano rito, fuori da qualsiasi commemorazione ufficiale. Nel centro del romanzo resistenziale si legge: «Senza di lui non avevamo veramente senso, eravamo solo un gruppo di studenti alla macchia, scrupolosi e malcontenti; con lui diventavamo tutta un altra cosa [ ] Sospiravamo di soddisfazione perché era arrivato Toni, e anche nelle rocce, nel bosco, pareva che se ne vedesse un segnale» 2. 1 Per un esame de I piccoli maestri e delle altre opere di Luigi Meneghello citate nel testo, mi sia permesso rimandare al mio recente studio Luigi Meneghello, Fiesole, Cadmo, L. Meneghello, I piccoli maestri, Milano 1964, p. 44. D ora in avanti le citazioni nel testo verranno fatte dall edizione Mondadori del 1999, con la sigla PM, seguita dal numero delle pagine.

2 66 Ernestina Pellegrini Conosco il ritratto commosso e agiografico di Trentin 3 e quello morale e culturale di Norberto Bobbio, di cui anche Meneghello ha riconosciuto, in Quanto sale?, la «linea purissima e indimenticabile» 4. Conosco naturalmente l interessante e informatissimo saggio di Emilio Franzina che si intitola Storia di giovani, uscito insieme all intervento di Meneghello che prima ricordavo all interno del volume degli atti del convegno di Bergamo del 7 giugno 1986 su I piccoli maestri, un convegno che era stato chiamato efficacemente Anti-eroi. Un saggio, quello di Franzina sulla Resistenza nel Veneto, sul Partito d Azione e su alcuni articoli poco conosciuti di Meneghello usciti sul «Lunedì» nell immediato dopoguerra che vorrei venisse considerato da tutti come un necessario prologo a quel poco che riuscirò a dire in un ambito esclusivamente letterario. Perché quello che mi interessa mettere in luce qui è la strategia rappresentativa, è il sistema coerente, fatto di meccanismi volontari e involontari, di trasfigurazione letteraria di una persona che ha acquisito sempre più, col passare del tempo, connotazioni mitiche all interno della calotta cranica dello scrittore maladense e nel contempo non sembri una contraddizione ha acquistato spessore realistico, ha perso l aura della lontananza. È una rappresentazione in tre tempi: in I piccoli maestri (1964), in Fiori italiani (1976) e in Bau-sète! (1988). Del resto, Meneghello in Quanto sale? ha confessato che Giuriolo, chiamato nei momenti di maggior investimento affettivo nei suoi testi semplicemente Toni (anche per non confonderlo con il poeta Barolini), «resta uno sconosciuto maestro, la cui singolarità possiamo soltanto attestare». Giuriolo rimane, dunque, un maestro «sconosciuto», la cui figura viene avvolta, direi inevitabilmente, da un aura di mistero e di sacralità: un «uomo santo», un «oppositore totale». Quindi, della sua presenza fulminante e passeggera, assolutamente «singolare», Meneghello si sente di dare soltanto una «attestazione» laconica. Reticenza, pudore, rispetto, non detto. Franco Marenco, dopo aver fatto l ipotesi che la sproporzione sia la cifra compositiva dei Piccoli maestri, (sproporzione fra modelli culturali e vissuto, fra aspirazioni della lotta partigiana e risultati pratici, fra educazione letteraria e nuova realtà), osserva come ci sia anche una 3 A. Trentin, Antonio Giuriolo un maestro sconosciuto, Vicenza L. Meneghello, Quanto sale?, in Anti-Eroi. Prospettive e retrospettive sui Piccoli Maestri di Luigi Meneghello, Bergamo 1986, p. 39. D ora in avanti nel testo con la sigla QS, seguita dal numero delle pagine.

3 Un oppositore totale 67 sproporzione «fra il rispetto con cui viene ricordato Antonio Giuriolo e la sua virtuale assenza dalla scena narrativa, la sua effettiva elusività» 5. In fondo continua Marenco «le sue virtù ci restano in gran parte segrete» 6. Anche Mario Isnenghi ha sottolineato la «solo parziale riproducibilità, in sede memorialistica e narrativa» di Toni Giuriolo, mentre Renzo Zorzi lo ha definito «il quasi invisibile maestro, che dà senso da solo a tutta la storia» 7. Mengaldo ha scritto che la sua figura è delineata in una luce «etico-affettiva» che in qualche modo ne accresce l autorità, situando il capo partigiano su un piano che non può in nessun modo essere messo in discussione 8. In una tesi di laurea di Chiara Rossi su Dialoghi della Resistenza. Pavese, Calvino, Meneghello, discussa all Università di Siena con Giacomo Magrini nell anno accademico , si legge che per quel che riguarda I piccoli maestri più che di presenza fisica si potrebbe parlare di un «effetto Antonio», di una strategia narrativa che fa perno soprattutto sulle parole del capo partigiano e sulle sue fugaci apparizioni che lascerebbero sulla pagina una specie di alone magico-religioso. L intento dello scrittore non è quello di fare un ritratto agiografico di Antonio, anzi le sue presentazioni avvengono quasi sempre in chiave antiretorica: «Antonio era vestito alla buona, con la sua aria dimessa e riservata; pareva un escursionista» (PM, 68). E ancora, quando compare quasi cento pagine dopo: «Antonio ci venne incontro, e pareva un alpinista campeggiatore più che un capo militare» (PM, 138). Non voleva sbandati, ma partigiani convinti: una o due volte, nei momenti più critici, fece anche un discorso, sforzandosi di parlare in italiano anziché in dialetto, per aggiungere gravità a ciò che diceva. Sono tra le cose più belle che ricordiamo di lui [ ] «Chi sente che vuol fare il partigiano, cioè resistere con le armi, perché è giusto così, non si spaventerà di quello che trova qui, il disagio, e i rischi, e le fatiche; chi non sente così, è bene che vada via, non è vergogna, se uno non sente così; ma non deve illudersi di fare il partigiano; il suo posto non è qua». [ ] Dopo che Antonio aveva parlato, quelli che restavano con noi si sapeva che erano partigiani. Ora si capiva che presso il 5 F. Marenco, Il mitra e il veleno, in Anti-Eroi, cit., p Ibidem. 7 Le citazioni sono dai saggi del volume collettivo Anti-Eroi, cit., rispettivamente alle pp. 54, 89, P.V. Mengaldo, Meneghello civile e pedagogico, in Luigi Meneghello, Opere, vol. 2, Milano 1997, p. XIII.

4 68 Ernestina Pellegrini Castagna, e tra le nuove reclute, i partigiani e gli sbandati erano mescolati insieme; e fin che stavano lì, non c era veramente nessuno capace di sceverarli. La politica nella guerra civile significava questo; non c entravano i partiti, era questione di avere o di non avere interesse per l aspetto politico (cioè antifascista, e quindi rinnovatore) della guerra (PM, 110). Giuriolo di cui, nel romanzo del 1964, si dice soltanto che ha gli occhi chiari e il volto arrossato dal sole (PM, 112) è «l invisibile maestro», «una presenza elusiva»: non compare spesso, eppure resta immanente all intera vicenda del filone civile, quella che viene sviluppata in ben tre libri: in Piccoli maestri, in Fiori italiani e in Bau-séte! 9. Meneghello stesso, in Quanto sale, scrive: Ho scritto più volte di lui, ma ho sempre il senso di non aver reso del tutto giustizia alla sua figura, almeno all immagine che si è impressa in me. A questo non c è rimedio, ho fatto del mio meglio, più di così non potrei (QS, 38-9). Non credo sia da sottovalutare il fatto che in tutte le rievocazioni dell esperienza partigiana, rievocazioni narrative o di autocommento saggistico, Meneghello abbia voluto, in un modo o nell altro, sottolineare la distinzione tra il gruppo in senso lato culturale, di studenti e intellettuali, che si sono stretti attorno alla figura di Antonio Giuriolo e che vennero influenzati e governati, letteralmente sfatti e rifatti, dalla «tempra eccezionale» e dal carisma di questo maestro fuori dal comune, e il reparto militare, la «squadretta partigiana» che ne è uscita (distinguendo poi, ulteriormente, tra «il reparto in montagna, cioè sopra Belluno in marzo-aprile e sopra Asiago in maggio-giugno, e il reparto sulle colline dal luglio al novembre», stabilendo così una curiosa e letterariamente efficace correlazione tra «l altitudine e l importanza emotiva di queste fasi», QS, 37). Non solo, perché quasi contraddicendo tutto ciò che lo scrittore-testimone ha affermato nella Nota al romanzo nella riedizione del 1976, cioè la sua volontà di tenere fede a ogni singolo fatto e a ogni singolo sparo, in Quanto sale? lo scrittore-professore, intento in un vibrante autocommento, confessa al lettore che parecchie caratteristiche che sono state attribuite ai compagni dell esperienza re- 9 L. Meneghello, Fiori italiani, Milano, Rizzoli, 1976 (le citazioni nel testo dall edizione Milano 1988, con la sigla FI); Bau-séte!, Milano 1988, nel testo con la sigla BS.

5 Un oppositore totale 69 sistenziale sono in realtà soprattutto proiezioni d autore, cioè prestiti in controluce di idee, impressioni e pensieri tutti personali: «in questo senso si potrebbe perfino dire che i piccoli maestri li ho inventati io» (QS, 38) si legge con la precisazione immediata, però, che si è trattata di una invenzione sul campo, nel 1944, e non in sede letteraria, nel Una storia a parte subiecti. Avremmo così davanti quel paesaggio miniaturizzato che si potrebbe vedere suggerisce Meneghello andando a spiare (verso l interno) per il buco delle sue pupille (BS, 75). Credo sia superfluo sottolineare che, pur nella sua indubbia importanza come fonte storica nell ambito della memorialistica resistenziale, I piccoli maestri restano soprattutto un opera letteraria, un impasto dove entrano molteplici filtri culturali, fonti e vernici letterarie, e pure forti dosi di pungente emozione morale e di indubbia intensificazione onirica. Voglio dire che al di là della fedeltà alla verità storica e al rigore puntualmente e sapientemente storiografico del resoconto resistenziale, a imporsi, nei testi, sono le immagini. Da un lato c è la verità storica, che permette di guardare a I piccoli maestri come a una fonte storica e dall altra ci sono le immagini a parlare, a riaffiorare dentro il soggetto che scrive e a depositarsi per sempre in indubbi capolavori narrativi. Ne escono delle opere letterarie che non sono un sogno, ma che si formano attraverso i meccanismi tipici del sogno, vale a dire i meccanismi della condensazione e dello spostamento. Giuriolo finirebbe con l essere, oltre alla persona autentica in carne e ossa che è stata, vale a dire quasi la quintessenza dell autenticità umana e qui anticipo la conclusione un po il sogno di un sogno, l incarnazione di un mito umano, e un po lo spostamento e la condensazione di ciò che qualunque investigatore della psiche umana definirebbe l io ideale del protagonista (almeno del protagonista dei tre romanzi che appartengono, come ha detto Pier Vincenzo Mengaldo, alla «linea dell impegno civile» dello scrittore veneto). Rimando, per questo rilievo della commistione e confusione fra realtà e sogno nelle opere letterarie, alla splendida Lectio Doctoralis su L Uso Moderno, che Meneghello ha tenuto a Perugia in occasione della sua laurea honoris causa in Lingue e Culture Straniere, il 27 maggio 2003, una lezione fra l altro molto divertente ed estrosa nella quale si rimandava all esempio illustre di una cronaca autobiografica scritta da un giornalista del «Times» di Londra, Henry Wickham Steed, corrispondente in vari paesi europei tra la fine dell Ottocento e i primi decenni del Novecento. Si tratta di un volume intitolato Trent anni di storia europea, , tradotto da Meneghello nel 1962 per le Edizioni di Comunità, un anno prima che si mettesse a scrivere libri in proprio.

6 70 Ernestina Pellegrini Un testo determinante, questo, per capire alcune pieghe stilistiche del libro del 1964, insieme agli influssi di The Catcher in the Rye di Salinger, così come sono determinanti alcuni dialoghi di Uomini e no di Vittorini, o gli echi di certi «giovani graziosissimi» dei Miserabili di Victor Hugo o la presenza di qualche scheggia del Doctor Zhivago di Pasternak, e quindi la presenza, prima di tutto, direi, dei grandi classici dell epica, con l Iliade in primo piano. E poi c è tutta la catena dei libri atroci, ma importantissimi, per la formazione adolescenziale dell autore, come la tradizione dei piccoli martiri, del piccolo vetraio, del piccolo Lord, del piccolo alpino, del piccolo parigino, e così via. Ma c entra naturalmente anche, per la questione fondamentale delle scritture dell ironia (e per il pattern profondo dei banditi di strada), l influsso dei saggisti inglesi del Settecento, Walpole in particolare coi suoi highwaymen. Ma da tutto questo, la figura di Toni è tagliata fuori, anche se il maestro supremo dell azionismo e della democrazia intransigente, colui che è stato definito il portavoce di un antipartito, funziona come il centro d imputazione dell esperienza resistenziale nel suo complesso e della necessità del suo resoconto. Giuriolo rimane fuori dalla piega stilistica dell ironia, dell understatement e dell antieroismo: «Non era solo un uomo più autorevole, dieci anni più vecchio di noi: era un anello della catena apostolica, quasi un uomo santo» (PM, 93). E ancora: «Era un italiano calmo: sdrammatizzava le cose che noi eravamo inclini a drammatizzare» (PM, 112). Giuriolo è un eroe, e la sua morte in battaglia, come quella di Giaime Pintor, lo conferma. Non è un caso che la morte del capo partigiano avvenga fuori scena, sia una specie di sparizione o, come voleva Luigi Russo per Ntoni Malavoglia, quasi il passaggio da un emisfero a un altro. La sua fine diventa, insomma, irrapresentabile. Antonio con un paio di squadre si avviò direttamente a nord. Forse ci dicemmo ciao con Antonio, ma non mi ricordo. Finiva la notte. Questo è il punto che lui se ne va, per le sue strade, col braccio al collo, fuori della mia vita [ ]. Il resto che è accaduto su quello spalto davanti alla Valsugana, dove restarono uccisi Nello e il Moretto, e tanti altri nostri compagni, non lo abbiamo mai voluto ricostruire. Alcune cose si sanno, e sono altamente onorevoli e perfino leggendarie. Ma io non ne parlerò. Antonio non morì qui, ma lontano, fuori della nostra vita, non rastrellato ma in combattimento aperto, com era più giusto (PM, 143-5). Il racconto della scoperta della morte di Toni sarebbe stato fatto al-

7 Un oppositore totale 71 cune decine di anni dopo, in Bau-sète!, in una chiave che definirei conforme a ciò che Girard ha chiamato un paradigma vittimario: Nel gruppo dei miei compagni vicentini quando fu finita la Liberazione e i futuri capi del governo e del sottogoverno, usciti dai nascondigli, ebbero marciato festanti sull asse est-ovest della città, fu deciso che uno di noi andasse a Bologna a cercare notizie di Antonio Giuriolo, e che quest uno fossi io. Presi la Ganna e mi avviai in direzione sud, sulle strade piene di buche e crateri, sui ponti di barche e traghetti, per tutto un giorno, senza mangiare: non sentivo ansia, piuttosto un senso di vuoto, ero sicuro che il nostro amico era morto, morto e stramorto. [ ] Antonio era morto, in forma esemplare si dà il caso, quattro o cinque mesi prima, in un piccolo combattimento vero. Ripresi la Ganna e tornai per buche e ponti di barche, credo di nuovo senza mangiare (cosa diavolo c entrava, voglio dire c entra, il mangiare?), a Vicenza a riferire ai miei compagni. Confusamente per me, più nettamente per Franco, non si trattava solo di una perdita personale. Avevamo veduto in Antonio un futuro punto di forza del radicalismo laico, una figura emblematica di quel partito moderno, colto, spregiudicato a cui volevamo affidare il rinnovamento dell Italia (BS, 33-4). La figura di Giuriolo è avvolta da un aria eroica e cristologica, come il depositario di una «Italia vera» rinchiusa nell animo degli «oppositori totali», un uomo «abituato a dover far parte per se stesso, e vedere e le cose e i fatti andare per conto loro, vedere, per dir così, la storia sbagliare» (PM, 46-7); e i suoi allievi sono definiti più volte come «discepoli», «apostoli», «neofiti», «asceti», «catecumeni», che si ritrovano riuniti in metaforiche «nicchie» o «catacombe» o perduti in una dimensione magica del bosco, in un «inframondo verdastro» (PM, 222), dove si compie un rito espiatorio e di purificazione che viene rivelato anche dalla presenza ossessiva della pioggia: «L Italia vera», dicevo a Lelio nelle secche del nostro esilio militare, «è rinchiusa nell animo degli oppositori totali, come Antonio Giuriolo. È uno di Vicenza, avrà trent anni; è professore, ma non fa scuola perché non ha voluto prendere la tessera». «Credevo che non ce ne fossero più», diceva Lelio. «C è lui», dicevo io. «E si può dire che noi siamo i suoi discepoli». «Cosa vuoi discepolare?», diceva Lelio; ma io gli spiegavo che chi frequentava Toni Giuriolo diventava fatalmente suo discepolo, e in fondo anche chi

8 72 Ernestina Pellegrini frequentava i suoi discepoli. «Ormai sei un discepolo anche tu», gli dicevo. «Quanti ce n è di questi discepoli?». «Saremo una dozzina». «Come quelli di G. Cristo». «Quelli erano gli apostoli» [ ] (PM, 31). A questo brano dei Piccoli maestri si può far corrispondere quasi simmetricamente il seguente brano di Fiori italiani, dove si precisa e in un certo senso si trasforma la qualità evangelica in controcanto laico: Il suo rapporto [di Giuriolo] con noi era certamente di tipo evangelico, benché mancassero del tutto i lati espliciti, esagitati, della predicazione. C era proselitismo, ma in un aura di sobrietà, di riserbo, di pudore. Forse nel Veneto è impossibile essere spudorati in modo serio, come invece dev essere naturale, quasi inevitabile, nella Galilea meridionale (basta affacciarsi alla conca del lago Kennereth per capire in un colpo solo, con gli occhi, questo aspetto della predicazione di Gesù). C era un indiscutibile somiglianza in una questione di fondo: l influenza di Antonio, pur avendo per oggetto la mente dei suoi discepoli, investiva tutta la loro personalità e la cambiava. [ ] Non c era la formula del «lasciate tutto e seguite me», parole che a Vicenza farebbero ridere, ma la sostanza c era. Senza sovvertire le forme esteriori della propria vita, con uno schema spontaneo di visite e di incontri nelle ore libere, si trattava proprio di lasciare il resto e seguire lui. Spesso letteralmente (FI, 176). La lezione di Antonio Giuriolo Credo che sia illuminante percepire, al di là o sotto le irresistibili vibrazioni comiche, ironiche e antiretoriche del libro sulla Resistenza, l atmosfera purgatoriale che a tratti investe certe pagine tenute su un registro più alto, pagine che mettono in risalto, soprattutto in quei punti, lo scontro di due forme antitetiche dell antifascismo: quella dell antifascismo organizzato (dei politici di professione, dei comunisti, dei processati, dei confinati, dei carcerati e degli esuli) e quella che Quazza ha definito la forma di un antifascismo «spontaneo» o «esistenziale», in questo caso la forma un tantino volontaristica e idealizzata dell antifascismo di alcuni giovani studenti delle classi medie, viziati d astrattezza, di idealismo crociano e di pose letterarie, di giovani che erano stati colpiti

9 Un oppositore totale 73 da «un accesso di follia da guerra civile acuta», piccoli robespierrini «efferati nei concetti» che riuscivano a fucilare con l inchiostro, i quali hanno sperimentato di colpo una crisi radicale non solo politica ma «quasi metafisica» (PM, ), per i quali quella guerra per bande è stata un vera e propria metamorfosi, «un processo esaltante e lacerante insieme: un po come venire in vita, e nello stesso tempo morire» (FI, 185): L incontro con lui ci è sempre parso la cosa più importante che ci sia capitata nella vita: fu la svolta decisiva della nostra storia personale, e inoltre (con un drammatico effetto di rovesciamento) la conclusione della nostra educazione. [ ] L impronta che ha lasciato in noi è dello stesso stampo di quella che lasciano le esperienze che condizionano per sempre il nostro modo di pensare, di vivere e se scriviamo, di scrivere (FI, 169). La nuova cultura scrive Meneghello «aveva dentro una tagliente lama politica» (FI, 185). Stare a contatto con quell uomo schivo e magnetizzante faceva cambiare gli uomini «quasi a vista d occhio» (FI, 177): Essa veniva a toccare la cultura scolastica e la struttura della mente di S. in tutta una serie di punti critici, e in ciascuno di questi l effetto era esplosivo. Per la prima volta gli pareva di pensare. Se in principio gli avrebbe fatto spavento e ribrezzo l idea di poter diventare antifascista, ora quel sentimento s invertiva, e alla fine sarebbe inorridito di essere ancora quel fascista. Fu un processo esaltante e lacerante insieme: un po come venire in vita, e nello stesso tempo morire (FI, 185). E non si può parlare come ha fatto Renzo Zorzi in Quale ethos? di «snobismo di riduzione» 10. Si descrive spietatamente e insieme con pieghe umoristiche (si sa, del resto, che, come diceva Saba, l umorismo è forse la forma suprema della bontà) una metamorfosi che si compie prima di tutto sul piano della coscienza, una mutazione profonda e comportamentale che ha significato per quei ragazzi affetti da eroici furori e da vita sognata, abbandonare i fumi dell astrattezza concettuale, attraverso la lezione di alto pragmatismo e di concretezza impartita dal magistero di Antonio Giuriolo una lezione di non-conformismo, si potrebbe sintetizzare, per arrivare a fare emergere il lato vitale, vispo, generoso, un po casinista di quella gioventù italiana deformata dal fascismo e diventata autoironicamente «l ala troskista dei badoglia- 10 R. Zorzi, Quale ethos?, in Anti-Eroi, cit., p. 111.

10 74 Ernestina Pellegrini ni» o anche, con una formula ugualmente buffa e calzante, un gruppo di «deviazionisti crociani di sinistra». Non credo che sia un caso che il resoconto memorialistico si concluda, anzi si apra con un ammissione di carattere penitenziale, con uno sfogo di fierezza indiretta e insieme di vergogna («non siamo stati all altezza. Siamo un po venuti a mancare a quel disgraziato del popolo italiano», PM, 7-8). Cito un lungo brano che esplicita la vena espiatoria del romanzo del 1964: Fin da principio intendevamo bensì tentare di fare gli attivisti, reagire con la guerra e l azione; ma anche ritirarci dalla comunità, andare in disparte. C erano insomma due aspetti contraddittori nel nostro implicito concerto della banda: uno era che volevamo combattere il mondo, agguerrirci in qualche modo contro di esso; l altro che volevamo sfuggirlo, ritirarci da esso come in preghiera. Oggi si vede bene che volevamo soprattutto punirci. La parte ascetica, selvaggia, della nostra esperienza significa questo. Ci pareva confusamente che per ciò che era accaduto in Italia qualcuno dovesse almeno soffrire; e in certi momenti sembrava un esercizio personale di mortificazione, in altri un copito civico. Era come se dovessimo portare noi il peso dell Italia e dei suoi guai [ ]. C era inoltre la sensazione di essere coinvolti in una crisi veramente radicale, non solo politica, ma quasi metafisica [ ] Sentivamo la guerra come la crisi ultima, la prova che avrebbe gettato una luce cruda non solo sul fenomeno del fascismo, ma sulla mente umana, e dunque su tutto il resto, l educazione, la natura, la società. (PM, 114-5). Andare sull Altopiano, essere i discepoli di Antonio Giuriolo, ha significato, dunque, dare voce e corpo alla parte ascetica e selvaggia della propria personalità. E aggiungo che il confronto e il contrasto fra i due antifascismi, quello organizzato e quello spontaneo-esistenziale, viene reso e sintetizzato da Meneghello in una immagine lampo, che rievoca il saluto sbrigativo fra il comandante comunista, che dice: «Morte al fascismo», e Toni, che gli risponde, con educato imbarazzo: «Piacere Giuriolo» (PM, 110). Ma parlavo prima di aria da Purgatorio dantesco. Meneghello ricorda: «Avevo un dantino, e leggevamo dei pezzi, specie il Purgatorio Ce n erano di ottimi: la situazione generale somigliava alla nostra Sì effettivamente un po di passìa lievitava tutto intorno, come in Purgatorio, ci contagiava» (PM, 11-12). Ecco, uno stralcio di coincidenza: «E così fu adunata la scuola di Toni Giuriolo in Altopiano, la nostra bella scuola» (PM, 96), che ricorda «Così vid adunar la bella scola / di

11 Un oppositore totale 75 quel segnor de l altissimo canto / che sovra li altri com aquila vola» (Inferno, IV, 94-96). Molti anni fa, Zygmunt Baranski ha messo in luce i numerosi riferimenti alla Divina Commedia dantesca, e in particolare ha sottolineato la natura purgatoriale de I piccoli maestri 11. Così come Mario Isnenghi, indicando la cifra del disincanto, ha aggiunto una ramificazione del libro nella tradizione inaugurata dallo sguardo critico di Ippolito Nievo, lo scrittore-soldato delle Confessioni di un italiano, e suggeriva l ipotesi che la figura rigeneratrice di Antonio Giuriolo comparisse nell opera di Meneghello come l incarnazione di un «antifascista credente» da contrapporre simmetricamente al cinismo di un «fascista non credente» come Carlo Barbieri 12. Sempre sul piano delle rilevazioni delle fonti letterarie, Rocco Mario Morano ha bene indicato alcune influenze dall epica classica, influenze recuperate in una prospettiva apertamente comica, con concretizzazioni dell immagine dell eroe guerriero dall Iliade prima di tutto, ma anche dalla Tebaide di Stazio: «le fraternae acies», le battaglie fra fratelli nel moderno conio della guerra civile («Questa faccenda della Tebaide c è per me in ogni altra fase della guerra, è una componente fissa», PM, 197), fino all epica cavalleresca, con rimandi all Orlando furioso e alla Gerusalemme liberata, in cui si iscrivono molti brani incentrati per l appunto sulla euforia del combattere, del baruffare, della sfida valorosa, del vivere da eroi (così, si legge in un punto del libro sulla Resistenza, che il Finco «ha il pallore degli eroi, ricorda Diomede», PM, 78). Ma, questo, non è che un esempio tra i tanti, già individuati e commentati da Gabrio Vitali in una bella relazione tenuta al convegno organizzato alcuni anni fa a Verona da Luisa Muraro col titolo Del terzo muraro nulla 13. Che ruolo ha Giuriolo in tutto questo? Direi che è l agente quasi invisibile della trasmutazione in sapienza pragmatica di tutta quella cultura libresca e retorica dell educazione fascista; è il maestro di quel potente empirismo che ha finito col rivoluzionare, in virtù di prove coraggiose, di atti-di-valore e di fughe, di letture nuove e di rastrellamenti, di antidoti filosofici e di sbagli concreti, la coscienza di un gruppo di universitari veneti che andavano alle lezioni di Concetto Marchesi anche solo per sentirlo pronunciare la parola tirannide. Toni ha ri- 11 Z. Baranski, Alle origini della narrativa di Meneghello: l esempio dei dantismi, in Su/ Per Meneghello, a cura di G. Lepschy, Milano 1983, pp M. Isnenghi, L ala troskista dei badogliani, in Anti-Eroi, cit., pp «Del terzo muraro, nulla!» Luigi Meneghello tra ricerca linguistica ed esperienza politica, a cura di S. Basso e A. De Vita, Verona 1999.

12 76 Ernestina Pellegrini voluzionato quelle malleabili ed elastiche coscienze civili presentando loro ed è questo il nodo concettuale attraverso il quale è presentata la sua figura in Fiori italiani una cultura viva, vibrante, una cultura non libresca ed esemplificata però attraverso la citazione e il commento punto per punto, testi alla mano, di brani scelti e tutti segnati sulla pagina della propria biblioteca personale, una biblioteca di due o trecento volumi che non era certo «quella di uno studioso e meno che mai quella di un esteta» (FI, 180). Uno dei testi centrali di questa biblioteca era il saggio di Nello Rosselli su Carlo Pisacane nel Risorgimento italiano, uscito per le edizioni dei fratelli Bocca nel 1932, che costituiva un anello di congiunzione fra l Italia risorgimentale di tendenza liberaldemocratica e mazziniana e l Italia contemporanea dell antifascismo attivistico, che punta sul ruolo delle minoranze, che combatte il regime anche attraverso un atto simbolico, un gesto significativo, i colpi di mano, la cospirazione, come la chiamava Mazzini: una splendida stagione morale, coi suoi meriti e i suoi limiti, una sorta di etica del sacrificio borghese. Una biblioteca di cui Meneghello ha sperato di poter ricostruire un giorno «il catalogo ragionato» (FI, 181), come se si potesse in questo modo documentare gli strumenti omeopatici di una disintossicazione intellettuale, in cui campeggia «il discorso lucido della ragione»: L ambito in cui Antonio si muoveva era sempre quello del discoso lucido della ragione: ed è significativo che proprio a Henri Becque dedicasse il solo saggio organico che ebbe il tempo di scrivere. Becque, che dei suoi francesi era quello in cui appariva più chiaro il costrutto razionale. Tuttavia la limpidezza della sua mente non si specchiava in un piccolo mondo di cristallo, anzi sembrava condurre a una prospettiva di trasparenze lontane. Il suo stesso candore aveva questa qualità suggestiva. Era un uomo tutto candido e tutto misterioso. In fondo resta un mistero che gli piacesse a tal segno Bateau ivre. Così era anche la sua vita, con quelle fughe improvvise, il senso di irrequietudine sotteso a quell esistenza sobria, frugale, laboriosa. Qualcosa di autobiografico c era senz altro nel suo amore per Dostoevskij, un affinità pudica, sentirsi diverso, quasi avere un epilettico in casa Non era però un anima inquieta, anzi comunicava un senso di suprema pacatezza (come è stato detto), e di calma sovrana. Ogni aspetto del suo carattere che possiamo rievocare presenta nessi inaspettati. Aveva un senso schietto e cordiale dell amicizia, stava volentieri con gli amici, gli piaceva ridere con loro. Tutti i suoi coetanei parlano di questo: qualcuno rammenta le allegre risate in sua compagnia come il tratto caratterizzante dei propri

13 Un oppositore totale 77 rapporti con lui. Negli anni in cui S: lo conobbe questo si notava assai meno: non era più un tratto caratterizzante, beneché ne affiorassero ogni tanto i vestigi. Si distingueva invece assai bene, e assai più in profondo, un ombra di segno opposto. Non veniva espressa in parole, ma si vedeva. L uomo era trasparente, e il colore ultimo dei suoi pensieri era malinconico. Una malinconia remota, che non contrastava con la sua fede attiva ed energica, anzi le dava una qualità struggente (FI, 182). Un altro brano importante di Fiori italiani riguarda il commento di un frammento di diario intimo, datato settembre 1936 di Antonio Giuriolo, maestro di una cultura viva, basata su una critica effettiva che faceva piazza pulita delle logoche sottese a littoriali e «logomachie», un uomo buono dallo «sguardo severo e innocente» che si era rifiutato di insegnare nelle scuole pubbliche per non iscriversi al fascio, e che «parlava delle cose a cui si stava interessando senza proporsi di dimostrare qualcosa» o di convincere i propri interlocutori. Una lezione di metodo, ma prima di tutto una lezione morale: Spiccavano certi tratti di metodo. Anzitutto la concretezza. Antonio si rivolgeva sempre a una cosa precisa: questo libro, questo passo, questo concetto. Additava, citava (non a memoria come un retore, ma aprendo e cercando); brani segnati a matita, sottolineati. Ogni volta che dava un giudizio d insieme gli veniva spontaneo di richiamarsi ai punti dove ciò che stava dicendo si vedesse esprersso ed esemplificato. [ ] C era inoltre la perfetta corrispondenza tra interesse soggettivo del lettore e interesse intrinseco dell argomento. [ ] Si doveva poi trovare qualcosa di simile in un altro antifascista italiano, Gramsci, che aveva anche lui questo dono di rivelare l interesse intrinseco delle cose: al limite l interesse nella percezione chiara che una certa cosa è sbagliata o meschina [ ] Il punto di partenza era spesso un nucleo di commozione della fantasia: dei versi, un personaggio in un libro, un dettaglio illuminante in un racconto, una concezione espressa in un detto esaltante o conturbante. Antonio non pareva certo un raffinato del gusto, pure nelle sue interpretazioni c era una sorprendente funezza, che arminizzava col suo modo di sentire energico e virile. Il punto d arrivo non era però estetico, ma morale. [ ] Smontava il nostro dannunzianesimo abbassandolo a una forma del comico (FI, ). Detto tutto questo, non ci si deve stupire, allora, se Giuriolo c è e non c è nell opera di Meneghello, e se quando c è, in tutta la faccenda del resoconto resistenziale che ha a che fare a detta dell autore con

14 78 Ernestina Pellegrini i veleni di un adulto e addirittura con gli esorcismi, se quando c è, dicevo, egli venga protetto da un aria rispettosa di reticenza. Un pudore inevitabile, che è quello dovuto alle cose semisacre (che sono ancora più sacre se sono quelle di un laico), tanto che in un punto di Quanto sale? Meneghello prova a immaginare cosa sarebbe accaduto se Giuriolo avesse incontrato Beppe Fenoglio, uno scrittore della Resistenza in cui è possibile trovare una qualità eroica della rievocazione, perché Fenoglio, come lo sono molti giovani di tutte le epoche, «era eroico nella mente». Cito: «succhiava forza eroica dalle cose, non so bene in quali fasi del percepire e del pensare, e la riciclava in frammenti e schegge penetranti, che non sono né discorso né immagini, e non veramente italiano né inglese ma una specie di ispirato diversiloquio» (QS, 18). Antonio Giuriolo potrebbe essere stato un personaggio dell epica resistenziale di Beppe Fenoglio. Un personaggio prestato alla memoria di un altro. C è un brano intitolato Il vento delle pallottole, uscito nel 2004 nel volume Quaggiù nella biosfera, dedicato ancora una volta a Fenoglio, una specie di postilla chiarificatoria al discorso tenuto a Bergamo nel 1986, nella quale lo scrittore afferma che il partigiano Johnny è per il suo autore «una singolare sublimazione di se stesso», quasi ad istituire fra i due personaggi (Toni e Johnny) una curiosa equivalenza in chiave di proiezione superegoica. Voglio dire che ciò che lo scrittore maladense dice per il personaggio dello scrittore piemontese potrebbe valere, anzi vale, come dichiarazione sotterranea di poetica: C è però nel mio omaggio (la mia effusione dovrei dire) una curiosa ambiguità di fondo. Ciò di cui parlo [un partigiano che era eroico nella mente, succhiava forza eroica dalle cose] non è in verità, o non solo, o non principalmente la persona dello scrittore di Alba, ma quella del suo compaesano Johnny, della cui guerra partigiana lo scrittore ci ha dato la storia, in una singolare sublimazione dis e stesso. Non è una distinzione capziosa. Il coetaneo piemontese che mi sono figurato di incontrare in Altopiano, dalle nostre parti, è certamente il partigiano Johnny, uscito dal suo e nostro antico tempo di alalora, e venuto brevemente dentro al mio presente come in breve licenza dal proprio destino 14. Toni Giuriolo, allora c è e non c è nell opera di Meneghello. Perché il capo partigiano non poteva venire rappresentato né dai discorsi ufficia- 14 L. Meneghello, Quaggiù nella biosfera, Milano 2004, p. 46.

15 Un oppositore totale 79 li e nemmeno dalle immagini letterarie, semmai poteva venire fuori da un «ispirato diversiloquio» (che io, a dire il vero, non so bene che cosa sia), di sicuro fatto oralmente in una lingua che non è né l italiano né l inglese, e neppure, mi viene da credere, il dialetto vicentino, ma tutte queste lingue passate dal filtro della lingua dell esperienza, un filtro attraverso il quale si discerne il vero dal falso. Il cortocircuito fra vero e falso a proposito dei propri resoconti letterari dell esperienze resistenziale sono stati ripresi in un frammento del primo volume delle Carte: Ripenso alle parole di quel critico che ha detto a Gigi Gh. che i personaggi del mio libro, cioè i miei compagni chiamati con i loro nomi veri, sono falsi. Gigi che è stato con noi allora gli spiegava che invece eravamo letteralmente così: persone, eventi, conati, parole. Il critico ( un cialtrone mi aveva detto tempo fa Linder) ha trovato una risposta fuminante: cioè che lui intendeva letterariamente falsi. È un curioso rapporto tra il senso del vero e del falso. «Ah, eravate proprio così? Bene: eravate falsi» 15. Forse quello che aveva veramente da dire Meneghello sul suo maestro appartiene alle regioni dell aria ed è, come è giusto, mezzo svanito. L aveva detto nel giorno della commemorazione di Giuriolo, quando venne intitolato al suo nome il rifugio di Campogrosso, in montagna. Il ricordo più vivido di quella cerimonia è rimasto legato per lui alla «lunghezza extraterrestre delle cicche che buttava via l ufficiale americano venuto in rappresentanza degli Alleati», cicche che l oratore ufficiale, il giovane Gigi, raccoglieva di terra, senza farsi vedere. E con questa citazione da Bau-sète! finisco: Di ciò che ho detto quel giorno su Toni è restata una buona impressione a quelli che erano lì a sentire: per me era una materia semi-sacra ed è possibile che i miei rapporti più profondi con essa li abbia espressi lassù quel ragazzo vestito da soldato inglese, beneducato, nervoso, pieno di dolore, di salute e di gioventù. Purtroppo il contenuto è scomparso, restano dei riflessi instabili in qualche frase dei giornali e giornaletti di allora. Tutto si è bevuto il cielo della Storia Patria (BS, 35-6). 15 L. Meneghello, Le Carte, Vol. 1, Milano 1999, pp

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