Fondazione Forense Bolognese 23 novembre 2010 Avv.Carla Nassetti *** I PATTI DI FAMIGLIA E GLI ALTRI STRUMENTI PER GESTIRE LA SUCCESSIONE D IMPRESA

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1 Fondazione Forense Bolognese 23 novembre 2010 Avv.Carla Nassetti *** I PATTI DI FAMIGLIA E GLI ALTRI STRUMENTI PER GESTIRE LA SUCCESSIONE D IMPRESA La legge n.55 del 14 febbraio 2006 ha previsto la possibilità di stipulare particolari accordi, i cosiddetti patti di famiglia, diretti a disciplinare l avvicendamento generazionale nell azienda di famiglia, con ciò agevolando le strategie operative di quelle aziende e di quei gruppi di società a matrice familiare impegnati nel difficile passaggio del ricambio generazionale. 1 Prima dell avvento della normativa suddetta, il nostro ordinamento non forniva strumento civilistico alcuno, capace di soddisfare direttamente il fine della programmazione e/o pianificazione aziendale, fortemente desiderata dall imprenditore che si accingesse a passare il testimone. Non è infrequente, per esempio, l ipotesi in cui l imprenditore ravveda la necessità di saltare la generazione dei figli, che ritenga privi di vocazione imprenditoriale, preferendo loro i nipoti. Nella realtà economica Italiana, fatta per una parte considerevole, di aziende di stampo familiare, l insorgere di problematiche di natura analoga è indubbiamente frequente, tal che l esigenza di strumenti idonei a disciplinare l avvicendamento generazionale dell azienda di famiglia, si è nel tempo rivelata con grande evidenza. Si pensi, per esempio, alla piccola impresa di stampo familiare che, a causa del continuo allargamento della base partecipativa, rischi di perdere l unitarietà che la caratterizza; od ancora alla più complessa realtà delle cd. holdings di famiglia in cui la titolarità del pacchetto azionario di controllo è attribuita al fondatore originario, ed alla cui morte, necessariamente, corrisponde un allargamento della partecipazione societaria determinando la dispersione del centro decisionale cui si riferiscono le scelte di strategia aziendale. 2 1 Stefania Biscione, Affido Condiviso, Patti di Famiglia e nuove norme in tema di separazione e divorzio, Simone, p.4 2 Stefania Biscione, Affido Condiviso, Patti di Famiglia e nuove norme in tema di separazione e divorzio, Simone, p.58 1

2 Tali circostanze inevitabilmente, assurgono a causa, di grave crisi, che a volte purtroppo, si rileva irreversibile, determinando la cessazione dell azienda. Gli strumenti civilistici a disposizione dell operatore erano, tuttavia, di scarsa valenza, in quanto potevano dirsi affatto risolutivi. Ad esempio, una donazione a favore di colui che veniva individuato quale soggetto capace dal punto di vista imprenditoriale tale da essere prescelto rispetto agli altri eredi, poneva da un lato, evidenti problematiche con riferimento al necessario rispetto della quota riservata agli eventuali altri legittimari, e dall altro non consentiva al fondatore di mantenere il controllo sull azienda; altri strumenti utilizzati erano, l affitto d azienda cui conseguiva solitamente la cessione dell azienda stessa (era una sorta di prova generale della capacità imprenditoriale del prescelto), o diversamente la costituzione di una società tra genitori e figli con contestuale conferimento da parte del genitore fondatore, dell azienda, cui conseguiva il successivo trasferimento delle quote a coloro che si dimostrano effettivamente interessati alla vita dell impresa. 3 Tali ipotesi si sono quindi rivelate inidonee a soddisfare in modo sinergico tutte le esigenze esposte dall imprenditore uscente, nonché fondatore dell azienda. I percorsi civilistici, infatti, se consentivano il riscontro di una di tali esigenze, escludevano il soddisfacimento dell altra, ponendo peraltro, non pochi problemi relativi all evidente potenziale contrasto degli assetti ottenuti, con la normativa in materia di successione necessaria e con il divieto dei patti successori di cui all art.458 c.c. Questo sostanzialmente è l ambito in cui interviene la normativa del 2006 che, quantomeno da un punto di vista ideologico, ribadisce la forte tendenza dell ordinamento a dare forza e rilevanza giuridica al concetto della solidarietà familiare e dell autonomia privata del nucleo familiare. E indubbio che negli ultimi decenni, si sia assistito al progressivo riconoscimento, sia in dottrina, sia in giurisprudenza, dell autonomia privata dei coniugi quale strumento per risolvere la crisi coniugale. Ormai da tempo l orientamento giurisprudenziale uniforme assegna ai coniugi un ambito di autonomia privata che consente loro di regolare i loro rapporti patrimoniali con l unico limite del controllo pubblico sulla non illiceità dell accordo, in particolare nell interesse della prole minore. La tendenza è quindi quella di consegnare alla famiglia intesa in senso ristretto (nel caso del patto 3 Lorenzo Salvatore, Rivista del Notariato, anno LX, fasc.1, 2006, p.127 2

3 di famiglia i legittimari e quindi il coniuge i figli ed eventualmente i nipoti) strumenti idonei a regolare i loro rapporti patrimoniali, anche futuri, riportandosi alla disciplina contrattuale, la cui causa precipua e determinante è la solidarietà familiare. Il patto di famiglia testimonia il descritto orientamento che tende ad elevare il nucleo familiare ad un livello privilegiato in quanto dotato dall ordinamento di strumenti tanto riservati quanto esclusivi. Ma scendiamo, ora, nel dettaglio andando ad analizzare sistematicamente le norme introdotte dalla L.55/2006, alla luce degli interessi tipici sottesi alla decisione dell imprenditore uscente di concludere con i propri familiari, un patto di famiglia. Le esigenze solitamente manifestate dall imprenditore, allorché costui si ponga il problema dell avvicendamento nella direzione aziendale, sono, in linea generale: - la tutela dell integrità del patrimonio aziendale qualora vi sia molteplicità di eredi; - tutela del patrimonio aziendale nei confronti di soggetti o anche componenti della famiglia, tuttavia indesiderati; - individuazione nel novero dei possibili eredi, di chi dovrà essere il vero continuatore dell azienda di famiglia; - mantenimento del controllo dell azienda da parte del fondatore fino alla sua morte, o diversamente fino a quando quest ultimo vorrà. La normativa di cui all art.768 bis e segg. c.c., rappresenta certamente una risposta alle esigenze sopra evidenziate introducendo uno strumento civilistico che opera nell ambito suddetto in sinergia con il divieto posto dall art.458 c.c.; tuttavia, come si vedrà, non si tratta di una risposta efficace. In buona sostanza, il patto di famiglia dovrebbe consentire all imprenditore uscente di valutare le caratteristiche, le capacità e le attitudini dei figli e conseguentemente di decidere a quale e/o quali di loro affidare l impresa, tutto ciò nel rispetto dei diritti dei legittimari nonché del divieto dei patti successori. L art.768 bis c.c., infatti, recita: E patto di famiglia il contratto con cui l imprenditore trasferisce, in tutto o in parte, l azienda e il titolare di partecipazioni societarie trasferisce, in tutto o in parte, le proprie quote, ad uno o più discendenti. E evidente l apparente contrasto della norma suddetta con il vecchio testo dell art.458 c.c. che stabiliva la nullità assoluta di qualsiasi convenzione con cui taluno disponesse della propria 3

4 successione o con cui taluno disponesse dei diritti spettatigli su una futura successione, o vi rinunciasse. Il legislatore, tuttavia, è intervenuto a modificare la predetta norma, mantenendo inalterato il divieto ivi contenuto, ma introducendo la salvezza relativa ai patti di famiglia. In realtà il patto di famiglia rappresenta una deroga rispetto al meccanismo della collazione e al divieto posto dall art.557, 2 co. c.c. (irrinunciabilità dell azione di riduzione da parte dei legittimari fino a che il donante è in vita), ma non deroga certamente all art.458 c.c. dal quale differisce in modo evidente. A tal proposito si sottolinea la diversa natura giuridica dei negozi di cui all art.458 c.c. e 768 bis; è pacifico che il patto di famiglia faccia parte della categoria dei negozi inter vivos ad efficacia reale con effetto traslativo, ed è altrettanto pacifico che al contrario, le convenzioni con cui taluno dovesse disporre della propria successione e/o di diritti ereditari vietate ex art.458 c.c., non possono che annoverasi nella categoria dei negozi mortis causa. Pertanto potrebbe dirsi che già tale precipuo carattere distintivo, superi l apparente contrasto delle norme sopra richiamate. E pur vero che il patto di famiglia va ad incidere sulla successione dell imprenditore disponente, che nella ratio della normativa, si determina a trasferire l azienda e/o le proprie quote, ad una particolare categoria di soggetti, indicati dalla norma, e non solo individuati nell ambito della famiglia, ma nel più ristretto novero degli eredi legittimari. E evidente, quindi, che il legislatore ha voluto fornire all imprenditore uscente, uno strumento per dare anticipatamente un definitivo e sistematico assetto all impresa in un ottica futura ed in particolare, allo scopo di consentire la continuità dell azienda mantenendo così l unitarietà degli assetti proprietari, con riferimento e nel rispetto dei molteplici interessi di tutti componenti della famiglia ed ai noti meccanismi normativi che entrano in gioco nel momento in cui i predetti familiari acquistano la qualità di eredi. La ratio, sopra evidenziata, viene peraltro confermata dalle successive disposizioni con cui il legislatore prevede la partecipazione al contratto del coniuge e di tutti coloro che sarebbero legittimari ove in quel momento si aprisse la successione nel patrimonio dell imprenditore, partecipazione che non deve intendersi nel senso proprio del termine, essendo i medesimi, veri e propri contraenti.(art.768 quater c.c.) I partecipanti, infatti possono ricevere liquidazioni corrispondenti al valore delle quote di cui 4

5 all art.536 c.c., o beni imputabili alla propria quota di legittima o rinunciare al proprio diritto in tal senso, ciò da cui deriva che essi non svolgono in questo ambito un ruolo passivo, bensì fortemente attivo, tant è che la norma stessa conclude stabilendo che quanto ricevuto dai contraenti non è soggetto a collazione o a riduzione. Dunque, la conclusione del negozio suddetto, va al di là della sola realizzazione della pianificazione del passaggio generazionale, producendo un definitivo assetto degli interessi degli eredi legittimari al quale viene conferita efficacia vincolante, quantomeno tra i contraenti? Per i partecipanti, il patto è vincolante ma fino alla morte dell'imprenditore disponente (art.768 septies) l ipotesi dello scioglimento del patto incombe su coloro che l hanno concluso fino al momento della morte dell imprenditore. Il contratto, infatti, recita la norma, può essere sciolto o modificato seppure "...dalle medesime persone che hanno concluso il patto di famiglia...". L'intento del legislatore sembra essere quindi quello di offrire all'imprenditore uno strumento in divenire, e comunque idoneo a diversificare le rigide regole della successione quando oggetto della stessa sono beni legati all'esercizio dell'impresa. In quest ottica si tratta di un'operazione di carattere materialmente divisorio, ciò che è confermato dal meccanismo previsto per la liquidazione dei legittimari partecipanti al patto, che è analogo a quello previsto per la divisione di immobili non comodamente divisibili in cui si impone il litisconsorzio necessario di tutti gli eredi. Se da un lato per i motivi sopradetti non può attribuirsi al patto un carattere definitivo in assoluto, ciò che lo rende ancora più precario, è il rapporto con i terzi. L art.768 sexies, stabilisce che all apertura della successione, qualora vi siano legittimari che non abbiano partecipato al contratto, possono chiedere ai beneficiari del contratto stesso, il pagamento della somma prevista dal secondo comma dell art 768 quater, aumentata degli interessi legali. La mancata partecipazione al contratto da parte di coloro che devono parteciparvi per legge, quindi, non produce la sua nullità/annullabilità, rimanendo il patto valido ed efficace tra i contraenti, bensì solo il diritto dei partecipanti legittimari esclusi o sopravvenuti di pretendere la liquidazione in danaro o in natura della quota di loro spettanza ex art.536 c.c., in ragione dell assegnazione. Solo in caso di mancato riscontro, è riservato a colui che non vi ha partecipato, il diritto di impugnare il patto di famiglia, per richiederne l annullamento, contenendo la norma di cui 5

6 all art.768 sexies un espresso richiamo all art.768 quinquies, che prevede la facoltà di impugnare il patto di famiglia nelle ipotesi di cui all art.1427 c.c. e cioè per vizi del consenso, con abbreviazione dei termini per l impugnazione ad un anno, il cui dies a quo può verosimilmente individuarsi nel giorno in cui è cessata la violenza o è stato scoperto l errore o il dolo. Tuttavia, non è stato previsto dalla norma alcun meccanismo di rivalutazione automatica allo scopo di rendere attuale la situazione effettivamente esistente al momento dell apertura della successione, con l'evidente rischio di pagare diritti che non sarebbero mai sorti, o ridurre la valutazione di altri. 4 La norma non prevede un rimedio a questa problematica, che spesso si verifica nel caso in cui oggetto del patto di famiglia sia la nuda proprietà dell'azienda mantenendo l'imprenditore il diritto di usufrutto e quindi la gestione dell'azienda. Unico rimedio per i partecipanti al patto rispetto a tale problematica, consiste nella possibilità di avvalersi della facoltà di recesso se previsto nel contratto, ciò che sottrae al patto di famiglia il carattere definitivo che esso sembrava avere ad una prima lettura della norma. E' evidente inoltre, la disparità di trattamento fra partecipanti e legittimari pretermessi o sopravvenuti che fino al momento dell'apertura della successione non sono legittimati a pretendere ciò che gli altri eredi hanno già ottenuto, ed anzi sono costretti ad assistere impotenti all'eventuale disgregazione dell'azienda, mentre la facoltà di revisione prevista dall'art.768 septies è rimessa esclusivamente a coloro che hanno concluso il patto. La previsione di revisione o scioglimento del patto, del resto, può dirsi fisiologica nel senso che diversamente sarebbe stato inevitabile il contrasto dell istituto con il dettato di cui agli artt. 589 e 679 c.c., che sanciscono il principio della revocabilità in ogni tempo delle disposizioni testamentarie, certamente annoverabile fra i fondamentali principi del nostro ordinamento in materia successoria. E evidente, tuttavia, che tali caratteristiche contribuiscono a fare del patto di famiglia uno strumento privo di meccanismi idonei a rendere il patto convertibile a seconda delle circostanze in divenire, al contrario consegnando uno strumento rigido e scarsamente affidabile per i contraenti in capo ai quali fino all apertura della successione rimane pendente l ipotesi di revisione, recesso o scioglimento del patto nonché di pretese da parte dei terzi. 4 Paola Manes, relatore al Convegno Il Trust e i Patti di Famiglia: strumenti di pianificazione patrimoniale, Banca Esperia, Milano,

7 L'impianto normativo, infatti, nell'offrire uno strumento che il legislatore propone come idoneo a predisporre un avvicendamento generazionale nell'azienda di famiglia ponderato ed in qualche modo esplorativo, non tiene conto delle problematiche evidenziate che inevitabilmente sacrificano gli interessi di tutti i contraenti per i diversi motivi sopra detti. Il legislatore chiude la disciplina in materia di patti di famiglia, introducendo con l art.768 octies, una sorta di tentativo obbligatorio di conciliazione da effettuarsi avanti agli organismi di conciliazione previsti dall art.38 del D.Lgs.n.55/2003, precisando che le controversie derivanti dalle disposizioni di cui al presente capo, sono devolute a tali organismi in via preliminare. A mio parere, resta escluso che: la lettera della legge voglia introdurre un vero e proprio obbligo in capo al soggetto interessato di adire preventivamente l organismo di conciliazione, in quanto, in questa ipotesi, la norma conterebbe una espressa deroga all A.G. ordinaria, che tuttavia non troverebbe adeguato riscontro in un meccanismo sanzionatorio di natura processuale. Il mancato tentativo di conciliazione in via preventiva all instaurarsi di un giudizio avanti al Giudice Ordinario, deve quindi, intendersi come facoltà, e non quale obbligo, di colui che si predispone ad esercitare un azione per la tutela dei propri diritti, e dunque quale ulteriore ed alternativo strumento proposto dalla legge, allo scopo di risolvere in tempi brevi le insorgende controversie. In ultimo, a completamento dell esame sistematico della normativa sul patto di famiglia, si aggiunga che l art.768 ter c.c., stabilisce la forma solenne a pena di nullità, assurgendo, quindi la circostanza della redazione del patto di famiglia, avanti al notaio, ad elemento essenziale del negozio di cui all art.768 bis c.c., al quale è stata certamente conferita natura contrattuale. Si vede dunque come numerosi problemi siano lasciati irrisolti dal patto di famiglia: ad essi sembra che il trust sia idoneo a rispondere in modo più efficiente. E principio generale che il trust trovi una corretta collocazione nel nostro ordinamento quale strumento residuale, ovverosia nei casi in cui la fattispecie concreta non trovi alcuna soluzione in ambito civilistico. Il ricorso al Trust, quindi, è certamente opportuno per l imprenditore privo di discendenti legittimari ma che comunque voglia assicurare continuità alla propria azienda trasferendola ad un parente non legittimario o a persona che si dimostri capace nel corso del tempo, per esempio un fratello o una sorella o ancora i figli di questi ultimi; per l'imprenditore legato da un rapporto di mera convivenza che intenda passare il testimone al proprio compagno o compagna; 7

8 inoltre il Trust, per i motivi che vedremo, rappresenta la soluzione al problema della disciplina puntuale dei profili non attributivi e non meramente patrimoniali della pianificazione del trasferimento della ricchezza familiare, essenziali per dettare le regole di governo che riflettono anche assetti di governance familiare (la ripartizione degli incarichi gestori, l esercizio del controllo) e che garantiscono il passaggio efficace del testimone, problematiche alle quali il patto di famiglia non offre alcuna effettiva soluzione. La terzietà del soggetto, il trustee, al quale è affidata la "regia" del processo di avvicendamento generazionale nell'azienda di famiglia, è certamente il motivo precipuo della maggior efficacia di tale strumento rispetto al patto di famiglia; il trustee, è estraneo al nucleo familiare e, recependo le volontà dell imprenditore finché in vita e successivamente adeguandole a quelle dei suoi familiari, le può adattare al mutare delle circostanze, secondo la sua valutazione discrezionale, il suo oggettivo discernimento o secondo le indicazioni dettate dal disponente (nelle lettere di desiderio), da un soggetto indicato dal disponente (il guardiano) o dalla collettività organizzata dei beneficiari (collegio dei beneficiari), senza che questo debba ogni volta coinvolgere la unanime decisione di tutti gli aderenti al patto, la cui stessa identificazione nel tempo può essere assai difficoltosa. Questi meccanismi che rendono effettivo e spedito il passaggio della dirigenza dell'azienda da una generazione all'altra rivelano la maggiore duttilità del trust, in quanto strumento capace di adattarsi attraverso meccanismi attuativi relativamente semplici, al mutare delle circostanze. L ipotesi della sopravvenienza di ulteriori legittimari (pretermessi o venuti ad esistenza successivamente alla istituzione del Trust) potrà essere prevista preventivamente e affidata al Trustee unitamente alle indicazioni per soddisfare gli interessi di questi ultimi senza ribaltare l assetto aziendale, o pianificare eventuali sostituzioni laddove il soggetto designato alla conduzione dell azienda di famiglia si riveli inidoneo nel tempo. Da un lato, quindi, il trust previene il rischio di vanificare gli intenti del disponente e garantisce la stabilità delle previsioni relative alla pianificazione generazionale non già incidendo, come scelto dal patto di famiglia, sul regime di validità dell atto che può essere impugnato in base alle norme sui vizi del consenso in caso di mancato rispetto delle previsioni relative al pagamento delle quote spettanti dei legittimari non partecipanti, ma prevedendo che il beneficiario che agisca contro il trustee, e quindi alteri l esecuzione a questi affidata delle disposizioni del trust, perda la sua 8

9 posizione di beneficiario. 5 Sul piano fattuale poi, un motivo su tutti determina la netta preferenza del trust allo strumento civilistico: fa parte della comune esperienza, il fatto che ostacolo alla soluzione pacifica di una pianificazione successoria sia la consegna della stessa alle determinazione dei soggetti portatori degli interessi in conflitto; l intervento di un terzo estraneo dotato dal disponente del potere decisionale secondo principi e regole predeterminati, riduce il rischio, assai frequente, di inesecuzione degli obblighi che fanno carico ai familiari e garantisce che i beni segregati in trust siano esclusivamente destinati al soddisfacimento dei diritti dei legittimari presenti o sopravvenuti, che, al contrario, di fronte ad un patto di famiglia dal quale sono esclusi, sono costretti ad attendere l apertura della successione con l evidente rischio di non trovare più alcuna soddisfazione. Altra necessità fortemente avvertita dall imprenditore uscente è quella di conservare una forma di controllo sull azienda, finalità perseguibile con il patto di famiglia solo attraverso il trasferimento della nuda proprietà delle quote, con riserva del diritto di usufrutto, con tutte le problematiche che tale assetto produce sui rapporti fra l imprenditore medesimo ed i soggetti designati alla continuazione dell azienda. Ciò che nel patto di famiglia è conseguito con difficoltà è invece del tutto coerente con la struttura dei trust imprenditoriali-familiari nei quali il disponente può continuare a far parte dell organo esecutivo e dove i trustees-azionisti in presenza di un amministratore efficiente, devono addurre giustificati motivi per revocarlo. Accanto alla finalità di assicurare un passaggio efficace delle competenze gestorie dell impresa, è inoltre avvertita la necessità che al disponente sia assicurata una forma di mantenimento, esigenza soddisfatta dal contratto ereditario e dai trust imprenditoriali-familiari e invece disattesa dal patto di famiglia. In particolare, in questa ultima ipotesi il disponente è beneficiario del solo reddito finché in vita e per quanto necessario alle sue esigenze: al termine del trust la capitalizzazione del reddito non distribuito va ai soli beneficiari finali, i discendenti, destinatari dei beni in trust. Il punto è che il trasferimento dell impresa al trustee consente di realizzare la divisata attribuzione del patrimonio 5 Paola Manes, relatore al Convegno Il Trust e i Patti di Famiglia: strumenti di pianificazione patrimoniale, Banca Esperia, Milano,

10 affidata ad un soggetto dotato di competenza gestoria e professionalità ma soprattutto terzo rispetto ai soggetti familiari e quindi capace di attuare le indicazioni del disponente con neutralità e in assenza di conflitto di interessi. In più, il trustee, persona fisica o giuridica, è in grado di adeguare le disposizioni al mutare delle circostanze e di darne attuazione nel lungo periodo in quanto titolare di un ufficio per il quale sono previsti meccanismi di successione e cooptazione che assicurano la continuità per le future generazioni. 6 Anche, la crisi coniugale influisce sensibilmente sulla pianificazione dell imprenditore: molto spesso l esigenza del disponente è quella di trasferire ai soli discendenti e non ai loro coniugi la titolarità nelle partecipazioni dell azienda di famiglia dato che queste sono oggetto delle pretese del coniuge in caso di separazione o divorzio ed alterano la linea di devoluzione interna alla famiglia. Inoltre il coniuge al quale sia addebitata la separazione, perde inevitabilmente la sua qualità di erede legittimario; ciò significa che, laddove il patto di famiglia intervenga preventivamente alla separazione o meglio alla pronuncia sull addebito, o diversamente preventivamente al divorzio, si verificherebbe il paradosso per cui il coniuge separato o divorziato avrebbe ricevuto una liquidazione che si rivelerebbe senza titolo, con l unico rimedio di cui all art.809 c.c. Ulteriori e complesse problematiche si pongono poi in caso di secondo matrimonio in cui sono tipici i contrasti tra i membri delle diverse famiglie. Può accadere infine, per motivi legati ad incapacità, interdizione o inabilitazione della prima generazione, il disponente voglia o debba saltare la generazione dei figli e trasmettere l azienda ai nipoti, ma intenda garantire il mantenimento ai figli con le rendite che l azienda di famiglia produce: qui è necessario l intervento di un soggetto terzo che traghetti la gestione dell azienda fino al momento in cui i nipoti del disponente siano in grado di gestirla. Il valore aggiunto che il trust presenta rispetto al patto di famiglia è quindi rappresentato dalla possibilità di lasciare l esercizio del controllo dell azienda di famiglia all imprenditore, dalla possibilità di adeguare costantemente al mutare delle circostanze le determinazioni assunte al tempo della redazione dell atto istitutivo e senza modifica dell atto che regola la pianificazione patrimoniale, la garanzia di esecuzione della volontà del disponente che viene affidata non ai singoli 6 Paola Manes, relatore al Convegno Il Trust e i Patti di Famiglia: strumenti di pianificazione patrimoniale, Banca Esperia, Milano,

11 interessati ma ad un soggetto terzo e neutrale, al di sopra degli interessi dei quali i familiari sono portatori, la garanzia di poter pianificare anche oltre la vita del disponente e per varie generazioni la devoluzione della ricchezza familiare perché affidata non a persone fisiche ma ad un soggetto, il trustee persona fisica o giuridica, titolare di un ufficio dotato di meccanismi di cooptazione e successione che garantiscono la continuità della gestione e della realizzazione degli interessi per il l intero arco di tempo divisato dal disponente e non per la sola vita fisica dei partecipanti al patto. La proprietà dell azienda o delle partecipazioni è a tutti gli effetti trasferita al trustee, o meglio ai trustees, dato che spesso in questi trust l ufficio è ricoperto da più persone o da una trust company e trustees-persone fisiche: ma l atto istitutivo contiene precise disposizioni che permettono al disponente di vedere realizzate le proprie intenzioni manifestate nell atto istitutivo o nelle lettere di desiderio. Se previsto nell atto istitutivo, per esempio, il trustee potrebbe alienare parte delle azioni investendo il ricavato secondo le indicazioni ricevute e comunque conformemente al meccanismo di surrogazione reale tipica del trust in forza del quale quanto ricavato dalla vendita subisce il medesimo vincolo di destinazione cui erano sottoposte le azioni cedute. Al termine del Trust, il Trustee presiederà le operazioni divisorie fra i vari beneficiari che potranno essere distinti in categorie, ovverosia quelli che riceveranno il capitale da un lato e quelli che riceveranno le partecipazioni dall altro. Questo meccanismo consente al disponente di saltare una generazione e quindi liquidare i figli in denaro (beneficiari del reddito) e trasferire il pacchetto azionario di controllo ai nipoti (beneficiari finali). In altri casi, il trustee ha il potere di formare particolari categorie di azioni che vengono attribuite ai discendenti del disponente a seconda delle loro diverse inclinazioni. A volte, quando la decisione di istitutire il trust è comune a tutti i membri della famiglia, il trust assume le vesti di un patto di famiglia, nel quale il ruolo di disponente è assunto collettivamente da imprenditore, coniuge e figli tutti titolari delle partecipazioni. Le partecipazioni trasferite formano una sorta di proprietà familiare destinata a vantaggio dei discendenti e l atto istitutivo ha carattere associativo. La soluzione ha il pregio di limitare i rischi di una possibile azione di riduzione dei discendenti legittimari non destinatari dell azienda e sembra particolarmente idonea a risolvere il caso in cui vi siano come disponenti i genitori (imprenditore e coniuge) e due figli non sposati, tutti titolari di partecipazioni della società di famiglia, dove i beneficiari finali devono essere i soli nipoti ad esclusione dei coniugi. In caso solo un figlio abbia discendenti, le partecipazioni andranno a loro e 11

12 non al coniuge del figlio privo di discendenti. Peraltro, il trust consente di evitare il rischio che delle azioni diventino titolari figli minori, ciò che comporterebbe l usufrutto del soggetto esercente la potestà genitoriale che potrebbe non essere un discendente dell imprenditore, ma il suo coniuge: è infatti possibile prevedere, compatibilmente con il termine massimo di durata del trust previsto dalla legge regolatrice, come termine finale del trust il raggiungimento di una certa età da parte di tutti i beneficiari piuttosto che una data determinata. Ma accanto alle partecipazioni, altri beni, dei quali ciascun disponente è titolare, possono essere trasferiti in trust: beni immobili, titoli, altre partecipazioni sociali che nulla hanno a che vedere con la società di famiglia, sempre al fine di assicurare una unitaria, efficiente gestione da parte di soggetti qualificati. Ecco anche il perché della scelta di un collegio di trustees: alcuni di essi si occuperanno della gestione degli immobili, altri potranno avere ruoli gestori nella società, accanto, oltre o in sostituzione (dopo la sua morte) del disponente. 7 Avv.Carla Nassetti. 7 Paola Manes, relatore al Convegno Il Trust e i Patti di Famiglia: strumenti di pianificazione patrimoniale, Banca Esperia, Milano,

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