Il tampax in fabbrica

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1 Il tampax in fabbrica Sono donne la maggioranza degli Rcl, gli operai cui viene riconosciuta l impossibilità di fare il lavoro che l azienda ha assegnato loro senza conseguenze sulla salute. Sono donne la maggioranza di coloro la cui salute viene ritenuta gravemente danneggiata dai sofisticati sistemi adottati per definire i movimenti, per determinare i ritmi, per decidere le pause. I corpi femminili si sa sono forti, ma oggi nella Fiat di Marchionne sono sottoposti ad una usura che spesso li piega. Spiega Gianna, operaia di Pomigliano: «Il lavoro della metalmeccanica è diverso da quello dell infermiera o della telefonista ed è diverso anche da quello dell operaia tessile». Lei parla di «fatica», parola che spesso, le donne che lavorano alla Fiat sostituiscono a «lavoro». E se ne capisce il motivo. Si riferiscono al confronto aspro, duro fra il loro corpo e le grandi macchine, le strutture, gli strumenti di produzione che devono affrontare secondo la logica aziendale ogni giorno in assoluta «parità» col corpo maschile, con gli stessi ritmi, la stessa pressione. In un ordine che non ammette flessibilità e differenze di alcun tipo. «Perché alla Fiat dice con qualche ironia Maria, operaia da dodici anni dello stabi- 125

2 limento di Pratola Serra se sei operaia sei uguale a un uomo, devi fare tutto esattamente come lui. Diventi di nuovo una donna, ti ricordano che sei diversa, se vuoi fare carriera». Maria ricorda la pubblicità di un celebre modello di auto in cui si vede una scocca che lentamente, morbidamente va verso l operaio che esegue il suo lavoro con calma, con un mezzo sorriso. «Certo, è vero prosegue Maria, la scocca va verso l operaio, questo rimane fermo sulla sua postazione, ma in quella pubblicità non si vede l effettiva velocità, non si vede che quella macchina quasi ci piomba addosso e noi dobbiamo fare il nostro lavoro in un minuto perché subito dopo ce n è un altra e così via. Tutto di seguito per sette ore e mezzo al giorno, per sei giorni la settimana, più gli straordinari». Il corpo femminile si ammala. Tendiniti, tunnel carpali, mal di schiena, dolori muscoloscheletrici di ogni tipo riguardano soprattutto loro. Interviene il medico, dice che cosa possono e che cosa non possono fare, indica per molte di loro mansioni diverse. Così almeno è avvenuto fino a qualche tempo fa. «Ora racconta Caterina la situazione è cambiata, i capi dicono con chiarezza se non fai quello che devi fare non servi all azienda. E ti fanno capire che potresti pagarla cara. E allora si continua a lavorare ignorando, finché è possibile, le prescrizioni del medico». «Perché con i capi non c è ragionevolezza aggiunge Giovanna, quando fai notare che sei una Rcl, che certe mansioni proprio non potresti svolgerle ti fanno sentire una nullità, si comportano come se tu non volessi lavorare». 126

3 Per il corpo di una donna i disagi sono tanti. Mariella li racconta alternando rabbia e sorriso: «Hai le mestruazioni, devi cambiarti, almeno il primo o il secondo giorno del ciclo devi farlo ogni due o tre ore. Aspetti la pausa, perché sai che non è il caso di chiedere al capo, non capirebbe. La pausa è di dieci minuti, non più di dieci minuti. Devi correre ai bagni e c è un bel po di strada, la fabbrica è grande, poi trovi la fila, combatti col minuto. Se fai tardi sei richiamata, ma devi cambiarti...». Anche le mestruazioni diventano un problema. Un problema talmente irrisolvibile che spesso il primo giorno di ciclo una donna è costretta ad assentarsi, ma certo non può farlo sempre: la cosa non passerebbe inosservata e il nuovo contratto rende difficile anche mettersi in malattia. L azienda si riserva di non riconoscere i primi giorni di assenza, cioè di non pagarli. E dopo qualche mese l operaia potrebbe anche essere considerata assenteista, un giudizio dal quale prima o poi la direzione aziendale trae le sue conseguenze. Niente assenze quindi, meglio cercare di resistere e di andare avanti. Incontro Carla, che lavora alle Carrozzerie, durante la manifestazione Fiom del 9 marzo Che cosa è cambiato con Marchionne? le chiedo. Davvero la vostra situazione è tanto peggiorata? «Quando Marchionne è arrivato mi risponde mi sono detta ecco la persona giusta. Lui aveva subito riconosciuto che a noi operai non si poteva chiedere di più, per questo aveva avuto la nostra fiducia. Dopo due anni è cambiato tutto. Sono aumentati i carichi di lavoro, è aumentata la fatica. Prima ha tolto gli aiuti, i lavoratori che abitualmente si aggiungevano quando i motori erano più complessi. Poi il lavoro è diventato più 127

4 veloce, i ritmi più intensi». «Sulla linea aggiunge Caterina evitiamo anche di bere. Stiamo anche cinque o sei ore senza toccare un goccio d acqua perché sappiamo che i bagni sono lontani e non facciamo in tempo a raggiungerli senza che i capi ci rimproverino per il ritardo». Carla dice che non ce la farà ad arrivare alla pensione, la fatica è troppa. Lei fino a qualche mese fa faceva il conto alla rovescia. Le mancavano pochi anni e poi avrebbe potuto riposarsi. Ancora non riesce a credere che dovrà continuare a lavorare fino a 65 anni, che i suoi progetti siano stati cancellati. «Non ce la facciamo, non ce la facciamo» continua a ripetere, quasi stupita che nessuno se ne renda conto. A Mirafiori, dove l età media delle operaie (come del resto degli operai) è più alta della media della Fiat, la notizia che avrebbero dovuto lavorare anni di più è arrivata come una mazzata. Insieme allo sconcerto. Le donne dovranno lavorare più a lungo, ma la produzione in quasi tutti gli stabilimenti Fiat è rallentata, la cassa integrazione dilaga. Che senso ha? Uguali agli operai, hanno detto. Anche per questo l età della pensione è stata aumentata. Perché è stato ripetuto uomini e donne anche sul luogo di lavoro sono uguali. E chi può opporsi ad un principio tanto politicamente corretto? Ma quando si parla con le donne che alla Fiat hanno già passato venti o trenta anni, si guardano i loro visi, si indaga nelle loro vite non si può fare a meno di pensare che un altra grande ingiustizia è stata commessa. Che non c è alcuna retorica quando dicono «noi non ce la facciamo più». La fatica è stata tanta e i loro volti e i loro corpi la mostrano tutta. 128

5 No, le donne non sono uguali agli uomini. Alla Fiat sono adibite a lavori definiti «più leggeri» nel senso che non spostano pesi, ma le mansioni sono più brevi, intense, ripetitive e occorre maggiore precisione. Sono quelli i movimenti che, in genere, provocano tunnel carpali e per i quali occorre ricorrere agli antidolorifici. E poi per la direzione aziendale non sono uguali se c è la possibilità di guadagnare quel centinaio di euro in più all anno. L accordo voluto da Marchionne ha concesso come premio di produttività seicento euro lordi all anno per chi avrà effettuato «nel periodo gennaio-giugno 2012 un numero di ore di effettiva prestazione lavorativa non inferiore a 870». 870 ore sia chiaro, lo ripetiamo di prestazione continuativa. Per realizzarle davvero non si deve mancare dal lavoro mai o quasi (in sei mesi è stato calcolato al massimo tre giorni). E questo vuol dire che qualunque assenza dovuta a maternità, compreso il periodo di congedo obbligatorio o quello sotto ispettorato, le ore di riposo per allattamento, i congedi parentali, le assenze per malattie del figlio, i permessi che la legge 104 consente a chi si occupa di un disabile, fanno perdere il diritto a percepire il premio. Va da sé che le donne non lo percepiscono quasi mai, o forse mai. Una ulteriore discriminazione, hanno detto le operaie Fiat in una lettera inviata alla ministra Elsa Fornero, in contrasto col Codice delle pari opportunità uomo-donna, secondo cui è considerato discriminatorio «ogni trattamento meno favorevole in ragione dello stato di gravidanza, nonché di maternità o paternità anche adottive, ovvero in ragione della titolarità e dell esercizio dei relativi diritti». Finora 129

6 non c è stato alcun intervento. La discriminazione è rimasta. Del resto è sempre in agguato. Occorre essere vigili, protestare per far ritirare decisioni che sembrano venire prese in automatico. Racconta Carla, operaia di Termoli, quel che è successo circa un anno e mezzo fa nel mezzo della battaglia di Pomigliano. «Alle donne che avevano il permesso di allattamento per due ore e che quindi stavano in fabbrica sei ore era impedito l accesso alla mensa. Quelle sei ore dovevano lavorare di fila e poi andare a casa». I problemi erano due. Il primo: l orario di lavoro di fatto veniva prolungato di mezzora (per gli operai Fiat la mezzora di mensa è compresa nelle otto ore giornaliere). Il secondo: la salute delle donne in allattamento costrette a stare sei ore alla catena senza mangiare. C è voluto l intervento del ministero sollecitato dalle lavoratrici perché l accesso alla mensa fosse concesso anche alle donne che allattavano, racconta Barbara Pettine, per anni responsabile delle metalmeccaniche della Fiom. E in quel caso un diritto, sia pure a fatica, è stato salvaguardato, le donne ci sono riuscite. Ma le più giovani, quelle che lavorano negli stabilimenti del Sud, non nascondono un altra paura. Ne parlano a mezza voce, solo fra loro, qualche volta con qualche sindacalista. Lo sussurrano appena perché non ci sono prove, non ci sono inchieste: oggi per molte di loro è più difficile diventare madri. Quelle che ci provano non ci riescono. Per molte la menopausa arriva in anticipo. Ad altre il ciclo scompare per mesi. Nasce il sospetto che siano i ritmi, lo stress, la paura di non farcela a colpire la salute riprodutti- 130

7 va. Loro lo sentono anche se non possono dirlo forte. Ci vorrebbe qualcuno che di questo si occupasse, ma sollevare il problema sembra un lusso che né le donne né il sindacato possono permettersi. Così non resta che parlarne sottovoce con preoccupazione e malinconia. C è una verità tanto ovvia quanto ignorata nella vita delle donne alla Fiat nell era Marchionne. Quando i diritti vengono messi in discussione, quando non si osa più pretenderli, quando la situazione è dominata dalla paura, sono loro prima degli altri e più degli altri a subirne le conseguenze. Sono le donne che ricorrono ai permessi per la maternità, che hanno bisogno di assentarsi in caso di malattia di un figlio. Sono loro che usufruiscono in genere dei giorni liberi concessi dalla legge 104 per la cura dei disabili o degli anziani. E che spesso hanno necessità di ricorrere ad orari particolari o a congedi temporanei. Finché tutto questo è affidato a leggi o accordi la vita è difficile, ma non impossibile. Quando si ha paura di pretendere i propri diritti tutto viene affidato ai rapporti personali, alla condiscendenza dei capi, e lo stress si aggiunge alla fatica e alla paura. Non stupisce che per alcune di loro in un primo momento l annuncio della cassa integrazione sia un sollievo. Racconta Grazia, che lavora alle presse di Mirafiori, che quando le hanno detto che per alcuni giorni non sarebbe tornata in fabbrica ha quasi avuto una sensazione di gioia. Grazia ha due bambini e tornava a casa talmente stanca dice «che non riuscivo a prenderli in braccio. Loro ovviamente se lo aspettavano, ma io non ce la facevo». Certo qualche giorno di riposo le faceva comodo, in un primo mo- 131

8 mento non ha quasi pensato che quel riposo le sarebbe costato una bella fetta di salario. Qualche giorno dopo però ha fatto i conti. Anche il marito era in cassa integrazione, il loro reddito sarebbe stato decurtato complessivamente del 40 per cento. «Allora conclude Grazia ho sperato che la cassa integrazione finisse al più presto. Altrimenti come avremmo fatto a sostenere tutte le spese?». 132