Intervento Elisabetta Granello
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- Marcello Valle
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2 Intervento Elisabetta Granello Il mio intervento ha per tema il Piano di assistenza individuale, i molti modi in cui esso può essere inteso, le possibilità che esso apre. L'esperienza che abbiamo scelto di condividere ha luogo in una realtà relativamente piccola (68 posti), la RSA Cardinal Colombo di Morosolo (provincia di Varese), dove da alcuni anni si svolge un'attività di gruppo con gli anziani, condotta da Cristina Mannucci (esperta di Metodo Validation) e da me. Entrambe facciamo parte del gruppo Cultura e pratica dell'assistere di Centro Coscienza a Milano e dell'associazione Al Confine. Con un gruppo di operatori ASA coinvolti in questa attività siamo divenuti sempre più consapevoli di come la conoscenza del vissuto dell'anziano e il suo riconoscimento come persona con una storia ed una identità possa modificare il modo con cui lo si guarda e quindi la relazione che si stabilisce. Da qui è partita la richiesta di lavoro sul PAI, visto come un passaggio importante per esprimere e sostenere questo riconoscimento. Abbiamo scelto di cominciare ascoltando i protagonisti della cura e, in accordo con la direzione della RSA, sono stati realizzati 6 gruppi di discussione, due con anziani residenti, tre con familiari e uno con operatori ASA. Sono state coinvolte complessivamente circa 40 persone. Un piccolo numero, in una piccola realtà periferica. Tuttavia una realtà, come tale significativa. Prima di dare conto dei contenuti di questa riflessioni vi proponiamo un breve video, per portare qui in modo più diretto e vivo volti e parole che per noi sono stati importanti e per i quali ringraziamo tutti coloro che hanno aderito agli incontri. Video: Vorrei un fiore Pur nella sintesi che è stata imposta dai tempi molto stretti del workshop, si intuisce che i temi toccati nei gruppi sono stati molti, anche oltre il PAI. In definitiva è stata sviluppata una riflessione sulla cura, sui modi in cui si realizza nell'istituzione, sulle relazioni che la sostengono. La voce dei protagonisti ci racconta l'importanza della RSA nel dare risposta al bisogno crescente di accudimento e di cura degli anziani e ci fa riflettere sia sulle potenzialità positive che sulle difficoltà della vita in comune. Quali linee di tendenza, quali idee di fondo possiamo ricavarne? Quali proposte operative? Un primo elemento è la centralità del quotidiano. Aspettative, insoddisfazioni, desideri irrisolti hanno come oggetto la vita quotidiana; le cure mediche, le prestazioni sanitarie, le attività riabilitative sono date per acquisite e sono sentite come risorse certe ed adeguate. I vuoti nella cura sembrano riguardare altro: i ritmi della vita, le relazioni, gli oggetti personali, il contatto con il mondo di fuori, il potersi ancora sentire utili. Il titolo del video Vorrei un fiore riprende una frase detta da un'anziana intervento.granello 1
3 e ci ricorda che mentre noi ci affanniamo per molte cose il desiderio può essere semplicemente un fiore... Tra le relazioni, fondamentale quella con gli operatori di assistenza (quelli che ci vestono e ci svestono, secondo l'espressione di un altro dei nostri interlocutori anziani) Questa aspirazione ad una quotidianità migliore si esprime dentro una cultura diffusa, trasversale a tutti i gruppi, di cui segnalo in particolare tre aspetti: anche dove emerge un disagio o una sofferenza si stenta ad immaginare il cambiamento: la situazione esistente rappresenta un equilibrio che sembra difficile e forse pericoloso rompere. C'è una frase ricorrente nei gruppi: Bisogna accontentarsi... l'idea che in presenza di deficit cognitivi non resti altro da fare che accudire un corpo è profondamente introiettata. Fare un progetto viene sentito come inutile. In particolare i familiari lo dicono esplicitamente: la persona con demenza non c'è più, può solo sopravvivere. sicurezza, funzionalità, efficienza: sono esigenze istituzionali, ma ampiamente condivise, in nome delle quali si accetta facilmente la riduzione dell'autonomia o del senso di identità dell'anziano. Questi elementi non appartengono ad una specifica situazione e non sono riferibili a responsabilità di singole persone, ma sono parte dello scenario sociale e culturale in cui tutti siamo immersi e con il quale si confronta la volontà di miglioramento che ha reso possibili e che ha animato i gruppi di discussione. Un secondo gruppo di osservazioni riguarda direttamente il tema in discussione, cioè il progetto di vita e il piano di assistenza. Ancora una volta quanto è emerso nei gruppi non è da interpretare come proprio della singola struttura; a nostro avviso si tratta di considerazioni in qualche misura significative per l'intero sistema delle cure per la vecchiaia, nelle RSA come al domicilio. Sappiamo che il PAI è assunto, anche nella normativa, come un affidabile indicatore di un processo assistenziale corretto: in questo modo, un insieme di decisioni assunte dai professionisti della cura, ciascuno in riferimento ad una specifica area di competenza, sembra esaurire ogni progettualità di vita. Dentro questa cornice non stupisce la prevalenza delle figure dell'area sanitaria e la sottorappresentazione delle figure professionali dell'assistenza di base nell'ambito delle riunioni di definizione del PAI, dato che è evidente nella nostra esperienza, ma crediamo comune anche ad altre strutture. Ad un livello più profondo e significativo le testimonianze che abbiamo raccolto parlano di anziani curati e accuditi, in modo professionale e spesso anche amorevole, ma a cui non viene riconosciuta alcuna significativa competenza sulla propria vita. Quasi tutto è deciso da altri: che siano le regole dell'istituzione, il intervento.granello 2
4 parere di medici e infermieri, il buon senso o talvolta l'arbitrio di singoli operatori, le esigenze dei parenti, in ogni modo il grande assente è proprio l'anziano per il cui bene si vuole operare. A questo si deve aggiungere che questi altri che decidono, competenti nella valutazione dei bisogni e delle perdite, conoscono o ascoltano spesso assai poco il vissuto della persona. Del resto, la stessa valutazione multidimensionale che dovrebbe essere alla base del PAI riserva all'esplorazione della storia e dell'identità dell'anziano uno spazio piuttosto circoscritto, spesso ridotto a pochi dati anagrafici e biografici, con una valutazione sociale più orientata a censire le reti sociali di supporto che a conoscere e valorizzare le esperienze sociali della persona. La partecipazione dell'anziano al PAI non è solo questione di presenza, che pure sarebbe un passo avanti importante, ma di capacità di ascolto e di riequilibrio di potere. Gli anziani chiedono di essere presi sul serio. Un PAI continuerà ad essere un progetto su, se non cambia la relazione con l'anziano. Ultimo, ma essenziale punto, posto con chiarezza da molti dei nostri interlocutori: la capacità di ascolto e la restituzione all'anziano (anche se cognitivamente compromesso) di potere e di progettualità non può essere demandata solo ai singoli operatori. Occorre che sia l'istituzione, nella sua dirigenza e con la sua organizzazione, che assume come importante questo compito e modifica la propria cultura. (passaggio da istituzione a comunità) Infine la famiglia: quale posto occupa (deve, può occupare) nella cura di un anziano residente in una RSA (affidato a una RSA?) Stando al racconto dei nostri gruppi, i familiari non partecipano alle riunioni per il PAI, la firma sul documento - anche se richiesta - non riceve particolare attenzione, alcuni non ricordano o non sanno. Il PAI resta una sigla, e forse non se ne sente il bisogno; per sapere come vanno le cose bastano i contatti con medici e caposala. Non si tratta di mancanza di disponibilità, che anzi c'è desiderio e volontà di partecipazione, se mai forse c'è poca fiducia nell'efficacia dello specifico strumento. Su questo sfondo segnalo qualche nota più specifica. nei gruppi è stato usato moltissimo il pronome loro. Loro sono gli operatori per i parenti e viceversa, loro può essere la direzione: entità indistinte, impersonali, unicamente connotate in quanto diverse da sé, potenzialmente ostili. Affiorano giudizi reciprocamente svalutativi. ci possono essere buone collaborazioni personali tra ASA e familiari, ma resta il fatto che si sentono parte di mondi distanti, che stentano a riconoscere in modo reciproco le competenze gli uni degli altri. molti familiari sono presenti con regolarità in RSA e la loro presenza non ha solo un valore affettivo. Direttamente (o attraverso assistenti private) intervento.granello 3
5 assumono anche compiti di assistenza, con i quali affiancano in diversi modi il lavoro degli operatori: si stabiliscono così consuetudini ed intese, il più delle volte efficaci, ma quasi sempre implicite; il confine tra compiti dell'istituzione e azioni dei familiari resta spesso incerto e mal definito, con possibili fraintendimenti o conflitti. i familiari lamentano il turnover del personale: se gli operatori fossero più stabili, si potrebbe costruire una relazione, comunicare meglio, gli anziani sarebbero meno disorientati. emerge anche una sofferenza più intima: vedo mio marito ridotto così, dall'uomo che era...; vorrei che sapessero com'era... frasi come queste alludono ad un'esperienza personale di impotenza e di perdita, a passaggi dolorosi della propria vita. Come è noto, la normativa richiede la condivisione del PAI con l'anziano o con i familiari. Questa espressione sembra attribuire al familiare un ruolo di rappresentanza o di supplenza dell'anziano, qualora questo sia giudicato non in grado di esprimersi. Senza discutere gli aspetti giuridici di questo tema (peraltro importanti) ci sembra pertinente l'osservazione di un partecipante: anche i parenti fanno un progetto su. Se è vero che le famiglie sono gli ambiti di vita più immediati e costitutivi della soggettività (cfr. Costellazione RSA, prefazione di Franca Olivetti Manoukian, ed. Maggioli, pag. 16) e che quindi la relazione con esse è fondamentale per comprendere, rispettare e sostenere l'identità dell'anziano è anche vero che nulla garantisce automaticamente che il familiare sappia che cosa è bene per l'anziano. Nessuno in realtà lo sa, a priori, neppure l'anziano stesso. Non può essere altro che un percorso, una ricerca, in cui tutti sono presenti e partecipi, con possibili conflitti e continui aggiustamenti. In concreto, che azioni stiamo provando ad immaginare a seguito di questa riflessione? allargare la progettualità in modo che includa azioni relative alla vita quotidiana e alla costruzione/sostegno delle relazioni; fondare questo progetto su una conoscenza ampia della persona, che utilizzi canali comunicativi diversi: ad esempio tecniche narrative, immagini, elementi sensoriali (odori, cibi, profumi, musica); garantire la presenza alle riunioni di stesura e verifica del progetto individuale di tutte le figure professionali, offrendo a tutte pari opportunità di informazione ed espressione; intervento.granello 4
6 prevedere sempre la partecipazione dell'anziano agli incontri di definizione e verifica, e se questo non è possibile individuare in quale altro modo può avvenire l'ascolto e l'acquisizione degli elementi di conoscenza necessari; considerare i familiari una fonte preziosa di conoscenza e predisporre momenti e strumenti di ascolto, orientati al benessere dell'anziano e allo sviluppo di relazioni positive; considerare i familiari come parte importante della comunità di vita dell'anziano e porsi l'obiettivo di integrare la loro presenza nella struttura e nell'insieme della cura attraverso accordi espliciti. In questo lavoro ci pare possa trovare posto anche la partecipazione ai momenti di elaborazione del progetto individuale, da costruire in accordo con l'anziano e tenendo conto dei vincoli giuridici eventualmente esistenti (es. amministratore di sostegno); per quanto il PAI sia per definizione individuale, molti temi sono comuni. L'attivazione di gruppi stabili, che svolgano cioè un lavoro regolare e continuativo, con la partecipazione dei diversi soggetti in gioco, sembra essere una modalità adatta per far crescere relazioni, far sorgere nuove idee o possibilità, riconoscere le emozioni. Questi gruppi, su base volontaria, potrebbero essere aggregati intorno alla realtà di un nucleo abitativo o in funzione di situazioni ed esigenze simili, ed essere orientati alla ricerca di forme di organizzazione del quotidiano produttive di benessere. In queste indicazioni non c'è evidentemente nulla di realmente nuovo, ma se la progettazione della cura e - in essa - il dialogo con le famiglie divenissero pratica reale e diffusa, potrebbero essere uno dei possibili strumenti per rompere la struttura istituzionale delle RSA, favorendo lo sviluppo delle relazioni in senso comunitario e contribuendo così a migliorare la qualità di vita degli ospiti e anche il benessere degli operatori e dei familiari. intervento.granello 5
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