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1 UNIVERSITA' DEGLI STUDI DI SASSARI Dipartimento di Chimica Mauro Rustici Dipartimento di chimica, Via Vienna 2, Sassari Elementi di Chimica Anno Accademico 2011/2012

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3 Indice 1 Materia ed Energia Materia ed Energia Elementi e composti Teoria atomica di Dalton Particelle fondamentali dell atomo Modelli atomici di Thomson e Rutherford Numero atomico, numero di massa. Isotopi Pesi atomici e unità di massa atomica Mole. Numero di Avogadro Teorie Atomiche Modello atomico di Bohr Dualismo onda particella Modello quantomeccanico dell atomo Atomi polielettronici Struttura elettronica e tavola periodica degli elementi Legame Chimico Legame Chimico Legame Ionico Teoria del legame di valenza Legami covalenti polari Geometria molecolare Geometria molecolare Strutture di Lewis a legame singolo Eccezioni alla regola dell ottetto Teoria VESPR e forma molecolare Forma molecolare e polarità Legame covalente Teoria del legame covalente Teoria del legame di valenza Legami singoli e doppi

4 4 INDICE Teoria dell Orbitale molecolare MO Legame metallico Numeri di ossidazioni, nomenclatura e reazioni chimiche Numero di ossidazione Nomenclatura tradizionale Nomenclatura IUPAC Reazioni di ossido riduzione Stati di aggregazione della materia Stati di aggregazione della materia Regola delle fasi Forze intermolecolari Stato gassoso Legge di Dalton Stato solido Stato liquido Viscosità Tensione superficiale La diffusione Termodinamica termodinamica cenni Principio zero lavoro e calore Entalpia La seconda legge della termodinamica Riflessioni sul significato dell entropia Soluzioni Soluzioni Proprietà colligative Abbassamento della tensione di vapore Innalzamento ebullioscopico e abbassamento crioscopico Pressione osmotica Distillazione Diagramma temperatura-composizione Gli azeotropi Equilibrio chimico Equilibrio chimico Equilibri eterogenei implicanti fasi gassose Equilibri di solubilità

5 INDICE Equilibri acido base Prodotto ionico dell acqua Acidi e basi deboli Acidi poliprotici Equilibri idrolitici Soluzioni tampone Capacità tamponante Processi elettrochimici e reazioni redox Processi elettrochimici e reazioni redox Serie dei potenziali normali Cinetica chimica Velocità di reazione Le leggi base della cinetica Cinetica del primo ordine Effetto della temperatura sulla velocità di reazione Reazioni catalizzate da enzimi Stechiometria esercizi tipici Mole Soluzioni Gas ph Solubilità libri consigliati Libri di testo consigliati

6 6 INDICE

7 Capitolo 1 Materia ed Energia 1.1 Materia ed Energia La materia costituisce la sostanza che ci circonda e che presenta una massa e un volume. In particolare la chimica è interessata alla composizione della materia e ai tipi e alle quantità di sostanze semplici che la costituiscono. Una sostanza è un tipo di materia con composizione definita e costante. Per conoscere la materia è necessario conoscere le sue proprietà che possiamo distinguere in proprietà fisiche e proprietà chimiche, le prime sono quelle proprietà che una sostanza ha di per sé come il colore, il punto di fusione, la densità la polarizzabilità e così via. Le proprietà che invece sono relative alla capacità che ha la materia di cambiare la propria composizione appartengono alla seconda categoria. La materia come è noto si trova in tre forme fisiche definite come stato gassoso, stato liquido e stato solido. Vedremo che questi tre stati della materia sono in relazione tra loro attraverso la temperatura e attraverso le forze di coesione che sussistono tra i vari elementi che la costituiscono. Cercheremo di capire le proprietà macroscopiche di una sostanza (osservabili) mediante le proprietà microscopiche che non sono direttamente osservabili. Le trasformazioni chimiche e fisiche sono accompagnate generalmente da variazione di energia cercheremo pertanto di capire in che modo l energia permette il verificarsi di questi processi fisici o chimici Elementi e composti La materia si presenta in stati di aggregazione diversi a seconda della temperatura e della pressione, è costituita da particelle elementari piccolissime, dette atomi che si differenziano per le loro proprietà. Gli atomi con le stesse proprietà costituiscono gli elementi. Attualmente si conoscono 118 elementi di cui solo 90 presenti in natura mentre tutti gli altri sono ottenuti artificialmente. I 90 elementi naurali si trovano in natura in percentuali diverse. Mentre gli elementi sono costituiti da atomi della stessa specie, i composti sono costituiti da due o più atomi di specie

8 8 Materia ed Energia diverse presenti in proporzioni definite e costanti. Un aggregato di pochi atomi costituisce una molecola. La concezione atomistica della materia è molto antica e risale alla scuola filosofica di Leucippo e del suo allievo Democrito (460 a. C.). Questi filosofi postulavano che l universo, nella sua totalità, fosse costituito da atomi (particelle indivisibili), con diverse dimensioni e forma, che si muovevano continuamente e che impartivano alla materia le proprietà caratteristiche. Il moto degli atomi non dipendeva da forze esterne, ma era una qualità intrinseca della materia. L atomismo di Leucippo e Democrito era puramente meccanico: il movimento, gli atomi e il vuoto erano i tre ingredienti necessari per spiegare l esistenza del cosmo, in una visione puramente materialistica. La concezione atomistica fu completamente oscurata dal pensiero di Aristotele il quale negando l esistenza del vuoto assumeva che la materia fosse continua (horror vacui). Secondo la fisica Aristotelica la velocità di un corpo varia con il peso e la resistenza del mezzo in cui si muove; nel vuoto, pertanto, il corpo raggiungerebbe una velocità infinita indipendemente dal suo peso in contrasto con l esperienza. L esistenza degli atomi avrebbe portato come conseguenza alla presenza del vuoto e pertanto la materia non avrebbe potuto avere una struttura atomica ma solo una struttura continua. La materia era quindi divisibile all infinito e proprio perché era impossibile arrivare a porzioni di materia indivisibili la divisione avrebbe portato le particelle di materia ad essere sempre più piccole, fino a quando, se ulteriormente divise, le proprietà della sostanza iniziale sarebbero state perdute. Da quel momento in poi la sostanza iniziale sarebbe diventata una sostanza nuova. La tesi aristotelica della divisibilità all infinito della materia portò ad accantonare completamente le teorie di Leucippo e Democrito che rimasero nell ombra per molti secoli. Il concetto di atomo come costituente fondamentale della materia fu ignorato per tutto il Medioevo e solo nel XVI secolo cominciò a ripresentarsi nella discussione filosofica. Due forme di atomismo, l una di tipo meccanico, ereditata dalla filosofia degli empiristi greci l altra derivata dall idea della divisibilità infinita nella teoria del continuo aristotelico si contrastarono per circa due secoli, convergendo alla fine nella teoria atomica moderna. La combinazione dei principi atomistici con i principi aristotelici condusse al concetto dei minima naturalia come le più piccole parti di materia che continuavano ad avere le proprietà della sostanza iniziale, ogni tipo di sostanza ha la sua specifica minima naturalia. Intorno al 1600 gli alchimisti dell epoca avevano imparato a diventare esperti nella metallurgia, a produrre metalli e nello stesso tempo avevano imparato ad usare la bilancia, come strumento di misura, nei loro esperimenti. Uno dei principali padri della moderna chimica è sicuramente Lavoiser, il quale effettuando accurate misure quantitative rivoluzionò i principali concetti relativi alla materia e alle sue trasformazioni. Nel 1768 Lavoiser dimostrò la falsità dell antica credenza che la terra potesse generarsi dall acqua. Lavoisier studiò la

9 Materia ed energia 9 combustione osservando che l aria fosse essenziale a tale processo. Dimostrò che il diamante poteva essere bruciato all aria liberando la stesso tipo di gas (anidride carbonica) che si produce bruciando carbone; così facendo mise in evidenza che anche il diamante è costituito da carbone. Attente misure sulla combustione dei metalli distrussero la teoria del flogisto. Fino ad allora si pensava che i metalli scaldati all aria perdessero il cosiddetto flogisto trasformandosi in calce. Fu Lavoiser che controllando, il peso della massa prima della reazione e dopo, si accorse che il peso aumentava dopo il riscaldamento e quindi il metallo reagiva con uno dei gas costituenti l aria (ossigeno). Si deve sempre a Lavoisier la scoperta che l aria privata di ossigeno conteneva un altro gas che non permetteva la combustione e al quale Lavoisier dette il nome di Azoto. Tutti questi esperimenti portarono alla conclusione che il peso totale delle sostanze che prendono parte alla reazione rimane invariato anche dopo la reazione. In una trasformazione chimica la massa dei reagenti è uguale a quella dei prodotti, in altre parole nulla si crea e nulla si distrugge ma tutto si trasforma. Questa legge rappresenta la legge empirica della conservazione della massa. Una diramazione degli studi sulla combustione portarono Lavoisier ad esplorare il processo della respirazione e assieme al fisico Laplace dimostrò che l energia degli animali dipenedeva dalla quantità di ossigeno inalata e che il processo della respirazione è un processo analogo alla combustione che porta a produrre anidride carbonica come prodotto della respirazione. Sfortunatamente il padre della chimica moderna, che ai fantasmi del flogisto aveva sostituito la legge della conservazione della massa e che aveva battezzato l ossigeno, l idrogeno, l azoto verrà ghigliottinato nella repubblica di Robespierre accusato da Jean-Paul Marat al quale Lavoisier aveva impedito di far parte dell Accademia delle Scienze. Marat era un medico e sosteneva la teoria del flogisto assieme ad altre astruse teorie e per tale motivo non fu accetato all Accademia. Marat divenuto uno dei protagonisti della rivoluzione francese e trovò il modo di vendicarsi accusando Lavoiser di aver diluito il tabacco e di aver bloccato l erogazione dell aria facendo costruire un muro difensivo intorno alla città. Il processo davanti al tribunale rivoluzionario durò meno di ventiquattor ore. Il pomeriggio dell 8 maggio 1794 Lavoisier salì i gradini del patibolo, offrendo la sua bella testa di cinquantenne alla lama della ghigliottina. Si racconta infatti, che nella Parigi del terrore, la replica di un giudice del tribunale rivoluzionario alla domanda dell imputato Antoine Lavoisier: il chimico più illustre del suo tempo, che aveva pregato i magistrati di rinviare la sua condanna a morte come ex ministro di Luigi XVI per dargli modo di perfezionare, dal carcere, le misure del nuovo sistema metrico decimale fu: La repubblica non ha bisogno di scienziati. Quando la testa di Lavoisier rotolò per terra tra le urla della plebaglia, il matematico Joseph Lagrange, che aveva assistito all esecuzione, guardò l orologio e disse: È bastato un secondo per staccargli la testa, ma non basterà un secolo

10 10 Materia ed Energia perche nasca un altro come lui. Non era retorica. Lo scopritore dell ossigeno e dell azoto, l uomo che rivoluzionò la chimica con la bilancia, fu davvero una personalità irripetibile Teoria atomica di Dalton La legge di Lavoiser e le altre che seguirono condussero John Dalton ad esprimere la prima teoria atomica basata sulla legge di conservazione della massa ( Lavoisier); dalla legge di Proust o legge delle proporzioni definite e dalla legge stessa individuata da Dalton legge delle proporzioni multiple. La legge di Proust asserisce che quando due o più elementi reagiscono, per formare un determinato composto, si combinano sempre secondo proporzioni in massa definite e costanti. La legge delle proporzioni multiple asserisce invece che quando due o più elementi formano un composto tra loro, allora il rapporto delle masse dei secondi elementi che si combinano con una massa fissa del primo elemento stanno tra loro in rapporti definiti da numeri interi piccoli.. Ad esempio il carbonio forma due composti diversi con l ossigeno, monossido di carbonio e biossido di carbonio. 100 grammi di carbonio reagiscono con 133 grammi di ossigeno per dare il monossido di carbonio e con 266 grammi di ossigeno per dare il biossido di carbonio. Il rapporto tra le masse di ossigeno che reagiscono con 100 grammi di carbonio è Queste leggi portarono Dalton a formulare la sua teoria atomistica che può essere così riassunta a La materia è costituita da particelle indivisibili dette atomi. b Gli atomi sono caratterizzati da una loro massa. Gli atomi di uno stesso elemento hanno la stessa massa e le stesse proprietà; elementi diversi hanno proprietà e masse diverse. c I composti sono formati dalla combinazione chimica di atomi di differenti elementi in un rapporto espresso da numeri piccoli e interi. d Nel corso di una reazione chimica gli atomi non si creano né si distruggono e mantengono la loro individualità. La teoria atomistica formulata da Dalton oltre ad interpretare in modo soddisfacente molte osservazioni sperimentali ha costituito un approccio euristico utile per condurre a nuove speculazioni come la la determinazione delle masse atomiche.

11 Materia ed energia 11 Dalton assunse che ogni atomo possedesse una sua specifica massa (peso atomico) la cui determinazione assoluta risultava ovviamente impossibile da determinare. Dalton provò a superare il problema determinando le masse atomiche relative ad un elemento convenientemente scelto. Per convenzione assunse che l atomo di idrogeno avesse peso atomico pari ad 1 e costruì nel 1803, sulla base di tale assunzione, la prima tabella dei pesi atomici. Il chimico e fisico francese Joseph Louis Gay-Lussac sula base di una serie di reazioni in fase gassosa enunciò la legge di combinazione dei volumi. Quando due sostanze gassose reagiscono tra loro per formare nuove sostanze, anche esse gassose, a temperatura e pressione costante i volumi dei gas reagenti e quelli dei prodotti stanno tra loro in rapporti espressi da numeri interi e semplici. Sulla base di queste osservazioni il chimico Avogadro nel 1811 sperimentali ipotizzò che le particelle ultime che costituiscono gli elementi allo stato gassoso siano costituiti da raggruppamenti atomici dette molecole. In particolare enunciò il seguente postulato volumi uguali di gas diversi nelle stesse condizioni di temperatura e pressione contengono lo stesso numero di molecole In questo modo si poteva comprendere dai dati sperimentali perchè 1 volume di cloro mescolato con un volume di idrogeno potesse dare 2 volumi di acido cloridrico e non solo 1 volume di acido cloridrico. infatti se la reazione fosse stata H + Cl = HCl i rapporti stechiometrici sarebbero stati 1:1:1 dato che sperimentalmente si ottenevano rapporti stechiometrici di 1:1:2 si doveva assumere che la reazione avesse luogo tra molecole H 2 + Cl 2 = 2HCl analogamente per la reazione di produzione dell ammoniaca a partire dai suoi elementi ci si sarebbe attesi 3H + N = NH 3 un rapporto stechiometrico del tipo 3:1:1. Viceversa sperimentalmente si ottenevano rapporti stechiometrici 3:1:2 Che potevano essere perfettamente spiegati attraverso l ipotesi di Avogadro, ipotizzando cioè l esistenza delle molecole quindi 3H 2 + N 2 = 2NH 3

12 12 Materia ed Energia Un immediata applicazione pratica dell ipotesi di Avogadro è data dalla determinazione delle masse molecolari ed atomiche relative delle varie sostanze allo stato gassoso. Supponiamo che w A e w B siano le masse di volumi uguali di gas contenenti un ugual numero di molecole. Il rapporto w A /w B costituisce il rapporto delle masse delle molecole dei due gas. Sia inoltre ρ r la densità relativa (cioè il rapporto tra la densità di una sostanza rispetto ad una sostanza di riferimento entrambe nelle stesse condizioni di temperatura e pressione), ρ A e ρ B le densità dei gas A e B e infine w A e w B i pesi dei due gas occupanti un uguale volume V nelle stesse condizioni di pressione e temperatura allora ρ A = w A V ρ B = w B V la densità relativa del gas A rispetto al gas B sarà (1.1) ρ r = ρ A ρ B = w A w B (1.2) poiché w A e w B contengono lo stesso numero di molecole il loro rapporto deve essere uguale al rapporto tra i rispettivi pesi molecolari M A e M B intesi come sommatoria dei rispettivi pesi atomici degli atomi costituenti le molecole. Quindi: ρ r = ρ A ρ B = M A M B (1.3) In questo modo, il chimico italiano, calcolò con buona approssimazione il peso atomico dell ossigeno valutandolo circa 15 volte quello dell idrogeno anziché 8 volte, come allora si riteneva. Se infatti si esegue il rapporto tra le masse di un litro di ossigeno e un litro di idrogeno, nelle stesse condizioni di temperatura e di pressione, si hanno i seguenti risultati: massa di un litro di ossigeno massa di un litro di idrogeno = = 16 Considerando valido il principio di Avogadro, il valore 16 rappresenta quante volte la massa di una molecola di ossigeno supera quella di una molecola di idrogeno. Ripetendo la stessa esperienza per altri gas, si possono pertanto determinare le masse molecolari relative di tutti gli elementi allo stato gassoso (per l azoto 14, per l elio 2 ecc). Ponendo, per convenzione, la massa molecolare dell idrogeno pari a 2 (perché la molecola di idrogeno è biatomica) e conoscendo il rapporto tra le masse di ossigeno ed idrogeno, si attribuisce alla molecola di ossigeno una massa pari a 32, a quella dell azoto 28, a quella dell elio 4 ecc).

13 Materia ed energia 13 L ipotesi di Avogadro, però, non venne accettata dai chimici più autorevoli del tempo. Il grande chimico Berzelius, ad esempio, non riusciva ad immaginare come due atomi simili potessero legarsi tra loro. Berzelius, infatti, immaginava che fossero le forze elettrostatiche a tenere uniti gli atomi e due atomi uguali avrebbero dovuto possedere le stesse caratterische elettriche e pertanto non c erano ragioni affinché i due atomi possano unirsi tra loro. Passerà quasi mezzo secolo prima che i chimici rivalutino l ipotesi di Avogadro. Fu grazie all opera di un altro chimico italiano, che l ipotesi di Avogadro venne rilanciata; Stanislao Cannizzaro comprese che proprio quelle idee costituivano la base per spiegare buona parte dei risultati di laboratorio conseguiti negli ultimi anni. Se B è rappresenta l atomo di idrogeno per il quale assumiamo, secondo Cannizzaro, peso atomico 1 e peso molecolare 2 per la molecola biatomica, allora la densità relativa della specie A ricavabile dalla 2.3 diventa ρ r = M A 2 M A = 2ρ r (1.4) Il calcolo della densità relativa rispetto all idrogeno permette quindi di valutare il peso atomico. I pesi molecolari ottenuti da misure di densità permisero a Cannizzaro di determinare, attraverso l analisi chimica, la quantità con cui un elemento era contenuto in una quantità di composto numericamente uguale al suo peso molecolare. Cannizzaro ritenne che il peso atomico di un elemento è dato dalla più piccola quantità in peso con cui l elemento si ritrova nei pesi molecolari dei suoi vari composti I pesi molecolari cosi determinati sono dei pesi relativi e pertanto adimensionali Particelle fondamentali dell atomo Gli atomi contrariamente a quanto indicato dall etimologia della parola non sono particelle indivisibili, ma sono costituiti a loro volte da particelle elementari; elettroni, protoni e neutroni. Le principali conoscenze sulla natura degli elettroni derivano dagli studi sulla carica dei gas. Tali studi venivano effettuati su tubi di vetro riempiti di gas rarefatti all interno dei quali veniva fatta avvenire una scarica elettrrica tra due elettrodi metallici. Si generavano così dei raggi che furono denominati raggi catodici poiché venivano emessi dal catodo (polo negativo) e si dirigevano verso l anodo (polo positivo). Questi fasci avevano la caratteristica di essere deviati in presenza di campi elettrici e magnetici e la loro deflessione poteva essere visualizzata su uno schermo fluorescente. In particolare applicando un campo elettrico i fasci venivano deviati verso il polo positivo ed erano indipendenti dalla natura del gas. Il fisico Thomson riuscì a determinare, attraverso

14 14 Materia ed Energia questi esperimenti, il rapporto carica/massa (e/m) di queste particelle, denominate elettroni, sottoponendole all azione contemporanea di un campo elettrico e di un campo magnetico. Se con H indichiamo il campo magnetico uniforme ed imponiamo ad esso di essere perpendicolare alla direzione dei raggi allora gli elettroni subiranno una forza pari a Hev dove v è la velocità dell elettrone. In particolare l elettrone percorrerà in tale situazione una traiettoria circolare con raggio di curvatura r che può essere misurato sperimentalmente, dalla deviazione del punto luminoso sullo schermo. Applicando la legge di Newton F = ma e sapendo che in questo caso l accelerazione è l accelerazione centrifuga v 2 /r possiamo scrivere che Hev = m v2 r e m = Se, a sua volta, applichiamo un campo elettrico, esso eserciterà sull elettrone una forza pari a Ee con E intensità del campo elettrico. In particolare se operiamo in modo tale che la forza che agisce sull elettrone operata dal campo elettrico sia uguale a quella operata dal campo magnetico possiamo scrivere v Hr e quindi Hev = Ee v = E H e m = E H 2 r tale valore risulta essere coulomb/kg. Millikan a sua volta misurò la carica dell elettrone che risultò essere pari a coulomb e pertanto la massa di un singolo elettrone poteva essere valutata pari a Kg. Essendo gli atomi elettricamente neutri l atomo doveva contenere a sua volta particelle cariche positivamente. Esperimenti ottenuti sulla ionizzazione dell idrogeno hanno mostrato che tali particelle positive denominate protoni sono effettivamente contenute negli atomi e hanno la stessa carica in valore assoluto dell eletrone ma con una massa molto più grande precisamente 1836 volte maggiore di quella dell elettrone ( ). La massa dell atomo di idrogeno risultò praticamente identica a quella del protone, tuttavia per gli altri atomi si trovarono masse molto più grandi a quelle calcolate con il contributo dei soli protoni. Questa differenza fu attribuita alla presenza nell atomo di una nuova particella detta neutrone Modelli atomici di Thomson e Rutherford Il primo modello atomico prevedeva che i protoni costituissero una sfera di cariche positive all interno della quale circolassero gli elettroni, modello che presto

15 Materia ed energia 15 Figura 1.1. Schema dell esperienza di Thomson fu superato da quello di Rutherford. Rutherford era figlio di contadini scozzesi emigrati in Nuova Zelanda. Aveva lavorato in Canada sulla radioattività e la sua scoperta dei raggi alfa (fasci di nucleo di elio), beta (fasci di elettroni) e della loro origine atomica, gli aveva valso il premio Nobel. Spostandosi a Manchester in Inghilterra, Rutherford studia gli atomi lanciando i suoi raggi alfa contro un sottilissimo foglio d oro (oro perchè, per la sua grande malleabilità, può essere reso molto sottile). La sorpresa fu che alcune delle particelle che formano i raggi alfa rimbalzano all indietro. È come se sparaste una fucilata contro un sottile foglio di carta, e ogni tanto una pallottola rimbalzasse è il commento di Rutherford. La sua interpretazione corretta, è che gli atomi d oro sono quasi completamente vuoti (per cui quasi tutte le particelle) passano senza problema) eccetto per un piccolissimo nucleo centrale denso e pesante, su cui qualche particella rimbalza o viene deviata. L immagine di Rutherford dell atomo come un piccolo sistema solare è intuitiva e convincente, ma presto le cose cominceranno a non tornare. L idea di un orbita classica, quasi quella di un pianeta intorno al sole, qui non può reggere, poiché l elettrone carico, irraggiando e perdendo energia, dovrebbe terminare il suo moto precipitando sul nucleo in un miliardesimo di secondo. Quello dell instabilità degli atomi fu uno dei misteri del mondo microscopico, risolto solo dalla rivoluzionaria teoria della meccanica quantistica Numero atomico, numero di massa. Isotopi Il numero dei protoni presenti in un nucleo atomico viene chiamato numero atomico e rappresentato con la lettera Z ed essendo l atomo elettricamente neutro il

16 16 Materia ed Energia Figura 1.2. Schema dell esperienza di Rutheford numero dei protoni è uguale al numero degli elettroni. La discrepanza osservata tra il numero atomico di un atomo e la sua massa atomica indusse Rutherford nel 1920 a postulare l esistenza di particelle neutre all interno del nucleo atomico alle quali fu dato il nome di neutroni. In seguito da parte di altri fisici fu dimostrato sperimentalmente l esistenza di tali particelle neutro. Il numero totale di nucleoni, vale a dire la somma di protoni e neutroni costituisce il numero di massa ed è rappresentato con il simbolo A. In altre parole A = Z + N N = A Z Dove N rappresenta il numero di neutroni. Il numero atomico e il numero di massa caratterizzano in maniera univoca non solo i nuclei degli elementi, ma qualsiasi particella atomica o subatomica, mediante la notazione A Z X X= simbolo della particella (1.5) ad esempio 12 6 C; 1 1p; 1 0n; dove abbiamo indicato il carbonio, il protone e il neutrone. Gli elementi sono sostanze costituite da atomi chimicamente identici e quindi con lo stesso numero atomico Z. Gli atomi di uno stesso elemento possono avere un diverso numero di neutroni, in altre parole un diverso numero di massa A e sono chiamati isotopi. Una ventina degli elementi stabili non presenta isotopi (come il sodio o il fluoro). La maggior parte degli elementi sono presenti sotto forma di una miscela

17 Materia ed energia 17 isotopica. Esistono inoltre numerosissimi isotopi instabili come quelli radioattivi che in un tempo più o meno breve si trasformano in altri nuclei. Le quantità in cui gli isotopi sono presenti nella miscela isotopica vengono espresse con abbondanza percentuale o come abbondanza relativa (frazione con la quale l isotopo si trova nella miscela) Pesi atomici e unità di massa atomica Come abbiamo visto il valore dei pesi atomici relativi dipendono dal valore arbitrario attribuito all elemento di riferimento. La prima scala dei pesi atomici è stata ottenuta scegliendo l idrogeno come atomo di riferimento, considerando la sua massa pari ad 1. Successivamente, fu scelto l ossigeno e tenendo presente che la sua massa è circa 16 volte quella dell idrogeno si convenne di assegnare a tale atomo il peso di 16, conseguentemente il peso atomico dell idrogeno risultò Nel 1961 si è scelto come unico riferimento la dodicesima parte dell atomo di carbonio 12 6 C. Così il peso atomico del carbonio-12 viene, per definizione, viene ad essere pari a 12 unità di massa atomica. Perciò l unità di massa atomica simbolo u è 1/12 della massa dell atomo di carbonio-12. In base a questo campione la massa dell atomo di 1 H è u, in altre parole la massa di 12 C ha una massa circa 12 volte quella di 1 H. L unità di massa atomica è chiamata anche dalton (simbolo Da. L unità di massa atomica, che è un unità di massa relativa, equivale ad una massa assoluta di g. Se ad esempio sperimentalmente si ottiene che il rapporto tra le masse del 28 Si e del 12 C (massa 28 Si/massa 12 C )è allora il peso atomico sarà massa 28 Si = massa 12 C = = La quantità indicata come massa atomica o peso atomi è rappresenta un nome improprio dato che in realtà rappresenta un numero puro. Potremmo a questo punto chiederci perché il peso atomico del 28 Si e non 28 come sarebbe intuitivo aspettarci? Analizzando le masse dei singoli isotopi si ricava che non sono numeri interi. Ad esempio se andiamo a misurare il peso atomico del 63 Cu non si trova il valore di 63 ma di Misure accurate hanno mostrato che nemmeno il protone e il neutrone hanno un peso atomico di 1, ma hanno rispettivamente il valore di e Osserviamo che la massa complessiva del nucleo è sempre minore alla somma delle masse dei singoli nucleoni. Ad esempio consideriamo gli isotopi 1 1H e il deuterio 1 2H che si forma per addizione di un neutrone all isotopo più abbondante dell idrogeno secondo lo schema di reazione 1 1H n 2 1 H (1.6)

18 18 Materia ed Energia si misura l esistenza di una variazione di massa m (cioè la differenza tra la massa dei nucleoni legati rispetto a quella della somma dei nucleoni liberi ) pari a Kg. Tale quantità è nota come difetto di massa. Che fine ha fatto il resto della massa? Applicando la relazione di Einstein E = mc 2 si calcola che a questa perdita di massa corrisponde un energia di J. Ricordando che 1 ev è l energia acquistata da un elettrone in quiete sottoposto ad una differenza di potenziale di 1 V è pari a J e che quindi un megaelettronvolt MeV corrisponde a J questo implica che l energia espressa in MeV nella formazione del deuterio da un protone e da un neutrone è: E = / = MeV L energia sviluppata è di un milione di volte superiore all energia che si sviluppa nella formazione della molecola di idrogeno. Se si divide l energia di legame per il numero di nucleoni in esso contenuti si ottiene l energia di legame per nucleone. che nel caso del deuterio è pari a MeV. L energia di legame per nucleone corrisponde alla perdita media di massa di ogni nucleone che entra a far parte di un nucleo e misura la forza con cui il nucleone è legato al nucleo e rappresenta una misura quantitativa della stabilità del nucleo stesso. I nuclei atomici sono più o meno stabili, questa stabilità viene rappresentata dall energia di stabilità nucleare e tanto maggiore è l energia di legame nucleare e tanto maggiore risulta la stabilità del nucleo. Dalla Figura 1 si evince che l energia di legame per nucleone dapprima aumenta rapidamente con l aumentare del numero di massa per poi raggiungere un massimo di circa 8.8 MeV in prossimità del ferro per poi diminuire. Questo implica che tutti gli elementi sono più instabili rispetto al ferro. I nuclei più leggeri tendono a formare elementi più pesanti attraverso un processo di fusione mentre quelli più pesanti del ferro tenderanno a formare elementi più leggeri attraverso un procedimento di fissione. Sia i processi di fusione che quelli di fissione avvengono con sviluppo di energia. Quando parliamo del peso atomico di un elemento in generale non ci riferiamo al peso atomico di un particolare isotopo ma al peso atomico medio della miscela isotopica che si trova in natura. Possiamo pesare il singolo contributo isotopico in base alla sua percentuale e attraverso una media pesata si determina il peso atomico medio che risulterà essere nel caso del silicio pari a Cerchiamo di vedere meglio il procedimento corretto per la costruzione dei pesi atomici medi che si osservano nella tavola periodica. Il Silicio si trova in natura sotto forma di 3 isotopi stabili 28 14Si, 29 14Si e 30 14Si rispettivamente nelle percentuali del 92.23% 4.67 % e 3.1%. Possiamo allora calcolare il contributo degli isotopi al peso atomico medio partendo ovviamente dai pesi atomici dei rispettivi isotopi

19 Materia ed energia 19 Figura 1.3. che sono nell ordine di u, u e u. allora il contributo relativo al 28 14Si sarà quello relativo al 29 14Si sarà di = u quello relativo al 30 14Si sarà di = u = u conseguentemente il peso atomico del silicio sarà = 28.09u Questo significa che nessun atomo di silicio avrà questo particolare valore del peso atomico, questo si tratta solo del peso atomico medio che tuttavia per la maggior parte dei problemi di laboratorio consideriamo che un campione di Silicio abbia questo valore di massa media.

20 20 Materia ed Energia Mole. Numero di Avogadro Un concetto fondamentale relativo all utilizzo pratico della chimica e in particolare necessario per quantificare i processi chimici, come ad esempio la resa di una reazione chimica, è il concetto di mole. La mole è definita come la quantità di sostanza di un sistema che contiene tante entità elementari quanti sono gli atomi contenuti in Kg di carbonio-12. Questo numero è detto Numero di Avogadro. Esattamente una mole contiene un numero di entità pari a La mole è una grandezza fondamentale del sistema internazionale (SI) il cui simbolo è n e la sua unità di misura è indicata con mol, analogamente alla grandezza fondamentale della lunghezza il cui simbolo è l e la cui unità di misura è m. La massa atomica di un elemento, espressa in unità di masse atomica (u) è numericamente uguale alla massa di una mole di atomi dell elemento espresso in grammi. In altre parole possiamo dire che se prendiamo una quantità in grammi di Ferro numericamente pari al suo peso atomico (55.85) e una quantità in grammi di zolfo nmericamente pari al suo peso atomico (32.07) possiamo affermare che queste due quantità contengono lo stesso numero di atomi cioè atomi Applichiamo i concetti qui esposti al seguente esercizio Supponiamo di voler calcolare quanti grammi di ossigeno sono necessari per ossidare completamente 10 grammi di polvere di ferro assumendo che la reazione di ossidazione sia la seguente 4Fe + 3O 2 2Fe 2 O 3 (1.7) La reazione chimica ci dice che 4 atomi di ferro reagiscono con 3 molecole di ossigeno per dare due molecole di ossido ferrico. Nello stesso modo possiamo dire che 4 moli di ferro reagiranno con 3 moli di ossigeno per dare 2 moli di ossido ferrico. Possiamo pertanto sulla base della definizione di mole andare a calcolare quante moli sono contenute in 10 grammi Fe. In base alla definizione di mole e al fatto che il peso atomico del Fe è possiamo scrivere che n = grammi peso atomico = = Tenendo allora presente che 4 moli di ferro vengono ossidate da 3 moli di ossigeno il numero di moli di ossigeno necessarie per un ossidazione completa sarà pari a 3/4 delle moli di ferro. In altre parole n O2 = = da cui i grammi di ossigeno necessario per la completa ossidazione saranno ottenibili moltiplicando il risultato ottenuto per il peso molecolare della ossigeno (32).

21 Materia ed energia 21 g O2 = = 4.288

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23 Capitolo 2 Teorie Atomiche 2.1 Modello atomico di Bohr Gli studi sull interazione tra la radiazione elettromagnetica della luce e la materia mostrano la completa inadeguatezza della teoria dell elettromagnetismo e della meccanica classica per la corretta interpretazione del mondo microsopico. L inizio del 900 si presenta ricco di problematiche che verranno brillantemente risolte dai grandi scenziati che hanno vissuto nel secolo precedente a questo. La prima grande rivoluzione del 900 si deve a Max Plank il quale riuscì a risolvere il problema della radiazione del corpo nero. Qualunque oggetto caldo emette radiazioni elettromagnetiche ed ognuno di noi ha sperimentato come, ad esempio, un metallo cambia la sua luminosità aumentando il riscaldamento del metallo stesso. Il ferro ad esempio emette una luce rossa quando viene riscaldato ma se aumentiamo la temperatura di riscaldamento la luce diventa bianca. La figura 2.1 mostra come varia la lunghezza d onda al variare della temperatura. Queste curve sono calclate sul modello di un emettitore ideale detto corpo nero che è un oggetto capace di emettere e assorbire radiazioni in modo uniforme. La figura 2.1 mostra come, innalzando la temperatura, il picco dell energia si sposti verso lunghezze d onda minori e la densità di energia totale aumenta con l aumentare della temperatura. L analisi dei dati condusse Wilhelm Wien a riassumere il risultato nella seguente legge sperimentale T λ max = e in seguito fu mostrato da Stefan nella famosa relazione di Stefan-Boltzmann M = σt 4 dove M è la potenza per unità di tempo, σ la costante di Stefan-Boltzmann e T la temperatura. Il fisico Lord Rayleigh cerco di interpretare la radiazione del

24 24 Teorie Atomiche Figura 2.1. corpo nero in modo classico interpretando l energia emessa come dovuta all emissione denergetica di un oscillatore elettromagnetico eccitato, il modello proposto portò ad un cmpleto insuccesso. Il fisico tedesco Max Plank risolse il problema introducendo un ipotesi nuova assumendo che l energia di ciascun oscillatore elettromagnetico fosse associata a valori discreti e non potesse variare in modo continio Nasce così con Plank la quantizzazione dell energia. Max Plank riuscì così ad interpretare perfettamente i dati introducendo una teoria completamente nuova e ipotizzando che un corpo riscaldato è in grado di emettere o di assorbire solo quantità discrete di energia definita dalla relazione E = nhν (2.1) dove h è una costante di proporzionalità detta costante di Plank, ν è la frequenza della radiazione emessa, E è l energia associata ed n un numero intero. In altre parole la quantità di energia emessa o assorbita poteva essere solo un multiplo della quantità minima di energia detta hν. Questo implicava che l energia associata alla radiazione emessa non poteva assumere qualunque valore. In

25 Teorie atomiche 25 Figura 2.2. altre parole l energia risultava quantizzata e il numero n vaniva chiamato numero quantico. Si poteva pertanto affermare che se un atomo poteva emettere solo quantità discrete di energia l energia stessa dell atomo doveva risultare quantizzata. Ogni pacchetto di energia è detto quanto e la sua energia è espressa da hν. In altri termini un atomo passa da uno stato energetico all altro assorbendo o emettendo uno o più quanti di energia. L energia della radiazione emessa o assorbita dall atomo sarà esprimibile come E = nhν (2.2) Nello stesso periodo l effetto fotoelettrico costituiva un altro problema da risolvere. In particolare tale effetto era associato alla capacità da parte di un metallo, sottoposto ad una differenza di potenziale, di emettere elettroni quando questo fosse soggetto ad una radiazione elettromagnetica. Secondo la teoria ondulatoria qualunque radiazione luminosa purchè sufficientemente intensa avrebbe dovuto essere capace di emettere un flusso di elettroni. Infatti l onda luminosa avrebbe dovuto far oscillare l elettrone fino a farlo strappare dall atomo stesso. Tuttavia l esperienza mostrava che solo oltre una frequenza di soglia era possibile l emissione di elettroni. Oltre questa frequenza il flusso di corrente emesso dal metallo era regolabile con l intensità luminosa. Nel 1905 Einstein prende il premio Nobel per aver interpretato l effetto fotoelettrico sulla base di una teoria corpuscolare della luce. In particolare Einstein propose che la luce fosse costituita da quanti luminosi (fotoni) privi di massa e solo quei fotoni che possedevano un energia superiore alla forza con la quale l elettrone risultava legato al nucleo potevano essere espulsi dal metallo e generare la corrente fotoelettrica. Un altro problema da risolvere concerneva l interpretazione degli spettri atomici, in altre parole l interpretazione dell energia elettromagnetica emessa da atomi vaporizzati ed eccitati. L osservazione sperimentale mostrava che la luce emessa, una volta analizzata, nelle sue componenti non formava uno spettro continuo ma uno spettro discreto, in particolare uno spettro a righe;

26 26 Teorie Atomiche dove le frequenze che si generano sono caratteristiche dell elemento chimico che si studia. Per motivi incomprensibili la luce riemessa dagli atomi ha sempre e solo particolari frequenze e non altre (è il motico per cui ogni materiale ha un suo caratteristico colore). É come se l elettrone potesse ruotare solo su particolari orbite e non altre. Le varie righe spettrali così generate potevano essere messe in relazione attraverso l equazione di Rydberg ( 1 1 λ = R 1 ) n 2 1 n 2 2 (2.3) dove R è la costante di Rydberg ( m 1, n 1 e n 2 sono numeri interi piccoli. Quest equazione era di tipo sperimentale e nessuno era in grado di derivarla dalla teoria corrente. Tutto questo era in contrasto stringente con la fisica newtoniana, che insegna che la che le orbite possano stare a qualunque altezza, e la luce emessa dovrebbe essere un misto di tutte le frequenze. Dobbiamo attendere Niels Bohr con la sua formulazione di un nuovo modello atomico per poter interpretare gli spettri atomici e per risolvere il problema della stabilità atomica. L atomo di idrogeno risulterà stabile perchè le sue orbite sono bloccate su livelli precisi di energia. Più precisamente Bohr introdusse al sua teoria mediante i seguenti postulati. 1. L atomo di idrogeno possiede solo livelli energetici permessi detti stazionari dove l elettrone ruota attorno al nucleo atomico seguendo orbite circolari. Ad ogni livello stazionario è associato un numero detto quantico che può assumere solo valori interi. 2. L elettrone durante il suo moto sull orbita stazionaria non emette né irradia energia. 3. Il momento angolare dell elettrone mvr è quantizzato e può assumere solo un numero definito di valori. 4. L atomo assorbe o irradia energia quando un elettrone passa da un orbita all altra assorbendo o cedendo un fotone la cui energia è uguale alla differenza di energia tra i due stati E = E A E B = hν. Le orbite permesse all elettrone di massa m e di velocità v in ogni stato stazionario sono quelle in cui il raggio r è tale che il prodotto mvr è un multiplo di h/2π. possiamo così scrivere che mvr = n h 2π n = 1, 2, 3 (2.4)

27 Teorie atomiche 27 e ponendo = h/2π possiamo scrivere mvr = n n = 1, 2, 3 (2.5) il numero n è detto numero quantico principale. In meccanica classica l energia può essere espressa come la somma tra l energia cinetica e l energia potenziale. Pertanto possiamo scrivere che l energia di un elettrone che si muove in un orbita circolare è E = 1 2 mv2 kze2 r (2.6) dove k è la costante di Coulumb, Ze la carica dell elettrone. Ricordando inoltre la seconda legge di Newton F = ma possiamo sostituire in questa equazione l accelerazione centripeta a = v 2 /r e la forza di attrazione coulumbiana. Otteniamo allora kze2 r 2 = m v2 r (2.7) Il primo termine è relativo alla forza di attrazione coulombiana dove abbiamo un segno negativo a causa del prodotto tra una carica negativa (elettrone) e una carica positiva (protone). Il secondo termine invece è quello relativo alla massa per l accelerazione centripeta. da cui si ricava che 1 2 mv2 = 1 kze 2 2 r cioè che l energia cinetica è esattamente la metà dell energia potenziale. Se inoltre ricaviamo dalla 3.7 l espressione della velocità otteniamo che (2.8) kze 2 v = mr sostituendo questa espressione nella 3.5 otteniamo (2.9) mkze2 r = n (2.10) elevando tutto al quadrato e risolvendo in r otteniamo r = n2 2 Ze 2 m = a 0n 2 (2.11)

28 28 Teorie Atomiche dove a 0 è il cosiddetto raggio di Bohr e vale m. L energia del livello n-esimo è regolata dal raggio di Bohr e sostituendo l espressione 3.8 nella 3.7 possiamo scrivere E = Zke2 2r = (Zke2 ) 2 m n 2 = 13.6eV n 2 (2.12) dove abbiamo inoltre sostituito al posto del raggio r la sua espressione (3.11). Così la formula di Rydberg, conosciuta empiricamente prima di quella di Bohr è ora contenuta nella teoria di Bohr capace di descrivere le energie di transizione o i cosiddetti salti quantici tra un livello energetico ed un altro. La formula di Bohr conduce al valore numerico empirico della costante di Rydberg in termini di costanti fondamentali includenti la carica dell elettrone e la costante di Plank. Quando un fotone si muove da un livello energetico all altro viene emesso un fotone e usando la formala di Bohr per i livelli dell atomo di idrogeno si può calcolare la lunghezza d onda. L energia del fotone emessa dall atomo di idrogeno è esprimibile come la differenza di energie tra i due livelli energetici ( 1 E = E i E f = R E n 2 f 1 n 2 i ) (2.13) Si noti come le energie dei livelli energetici siano sempre più vicine tra loro con il crescere del numero quantico n. Nonostante il grande successo nello spiegare le righe spettrali dell atomo di idrogeno, il modello di Bohr non era in grado di prevedere lo spettro di nessun altro atomo, neppure quello dell elio, l elemento successivo più semplice Dualismo onda particella Il passo successivo capace di superare i problemi associati all atomo di Bohr si deve al fisico francese De Broglie il quale nella sua tesi di dottorato propone che la materia possa avere una natura ondulatoria. Sulla base del postulato di Bohr, per il quale l elettrone può occupare solo orbite discrete di energia, De Broglie pensò quali siano gli altri sistemi noti che posseggono solo un certo tipo di moti permessi. Se noi ad esempio pensiamo alle onde che si trasmettono su una corda (vedi chitarra) fissata a due estremità osserviamo che sono possibili solo un certo tipo di frequenze di vibrazione. La figura 3.2 mostra un esempio di onde stazionarie che si possono stabilire quando la corda risulta fissata alle due estremità. In questo caso non tutte le frequenze sono possibili ma solo alcune saranno permesse e ciò dipenderà dalla lunghezza della corda. Le lunghezze d onda permesse sono dei multipli interi della lunghezza della corda secondo la relazione:

29 Teorie atomiche 29 Figura 2.3. nλ = 2L n = 1, 2, 3 (2.14) la figura 3.2 mostra inoltre i nodi che sono definiti come quei punti in cui la funzione d onda cambia di segno. La frequenza più bassa è detta fondamentale o prima armonica e non possiede nodi. la frequenza successiva è la seconda armonica e possiede un nodo ed è doppia della frequenza fondamentale. Sulla base di quanto detto De Broglie ipotizzò che gli elettroni, benché aventi massa, si muovessero di moto ondulatorio e fossero limitati ad orbite di raggi fissi. Quest ipotesi spiegherebbe allora perché gli elettroni possono avere solo certe frequenze e certe energie. Nasce così l idea che una particella sufficientemente piccola possa avere una natura sia corpuscolare che ondulatoria. Ricordando che la quantizzazione dell energia veniva descritta dall equazione E = hν e tenendo presente che la frequenza è esprimibile come il rapporto tra la velocità della luce rispetto alla lunghezza d onda possiamo allora scrivere che E = hν E = hc λ Applicando l equazione di Einstein E = mc 2 otteniamo che (2.15) λ = h mc (2.16) allora per una particella generica che si muove con velocità v possiamo scrivere che

30 30 Teorie Atomiche Figura 2.4. λ = h mv (2.17) Analogamente alla 3.14 possiamo scrivere, nel caso il vincolo sia espresso da una circonferenza, che 2πr = nλ n = 1, 2, 3 (2.18) Quest equazione significa che la circonferenza dell orbita circolare dell elettrone deve essere un multiplo intero della lunghezza d onda di de Broglie in altre parole le onde dell elettrone dovranno essere continue. Se la circonferenza dell orbita circolare non fosse un multiplo intero della lunghezza d onde, le onde non potrebbero essere continue. La figura 3.3 mostra il caso in cui l onda non si sovrappone con se stessa a causa del fatto che non è un multiplo intero della lunghezza d onda. Questa onda non rappresenta pertanto una corretta onda di de Broglie. Le onde di de Broglie giocano così un ruolo essenziale per la comprensione della teoria quantistica di Bohr. In particolare il postulato di Bohr relativo al momento angolare diventa deducibile dalla ipotesi primaria di considerare una particella subatomica, quale l elettrone, come un onda. Sostituendo allora a λ il valore espresso dalla 3.17 otterremmo il vecchio postulato di Bohr dell equazione 3.4. L interpretazione ondulatoria dell elettrone costituisce la base della così detta meccanica ondulatoria di Schrödinger o meccanica quantistica. Se le particelle si muovessero di moto ondulatorio, gli elettroni dovrebbero presentare diffrazione e interferenza e gli esperimenti sugli elettroni mostrano proprio le figure classiche di interferenza associate a i fenomeni ondulatori. Possiamo allora affermare che materia ed energia presentano sia il comportamento ondulatorio che particellare. In alcuni esperimenti osserviamo una faccia della medaglia e in altri l altra faccia. Questa caratteristica duale della materia e dell energia è noto come dualismo onda-particella.

31 Teorie atomiche 31 Nel mondo macroscopico una particella è ben localizzata nello spazio dalle sue coordinate, viceversa un onda non è localizzata ma sparpagliata nello spazio. Se l elettrone è un onda come possiamo localizzarlo all interno dell atomo? Nel 1927 il fisico tedesco Werner Heisemberg formulò il principio di indeterminazione, secondo cui è impossibile conoscere simultaneamente la posizione esatta di una particella. Nel caso di una particella con quantità di moto p, il principio di indeterminazione è espresso matematicamente dalla relazione x p h 2π (2.19) dove x è l incertezza nella posizione e p l incertezza nella quantità di moto. Non abbiamo pertanto la possibilità di assegnare, alle particelle in movimento, una traiettoria ben definita ma come vedremo possiamo solo conoscere la sua probabilità. L equazione 3.19 è solo una forma del principio di indeterminazione la cui formulazione assume una forma più generale, è utile comunque riportare che una analoga indeterminazione può essere associata all energia e al tempo, nel senso che una misurazione precisa dell una rende imprecisa quella dell altra e viceversa. Il principio di indeterminazione pone, pertanto, la necessità di dover descrivere lo stato di un sistema attraverso una nuova definizione dello stesso. In meccanica classica la conoscenza dello stato del sistema implica la specificazione della posizione e della velocità delle singole particelle costituenti il sistema in ogni istante di tempo. In accordo alla seconda legge di Newton, dato lo stato di un sistema in ogni tempo è possibile determinare esattamente lo stato futuro. Proprio questa concezione espressa dalla meccanica classica aveva condotto il filosofo e matematico Laplace ad ipotizzare il suo famoso demone. Laplace infatti sosteneva che se esistesse un demone capace di conoscere esattamente le velocità delle singole partecelle e le rispettive posizioni di tutte le particelle dell universo, sarebbe stato in grado di prevedere il futuro e retrodire il passato. Questa costituisce la metafora di un mondo regolato in modo assolutamente deterministico. Il principio di indeterminazione, se accettato nella sua interezza, fa cadere definitivamente questa metafora. In quantomeccanica viene postulata l esistenza di una funzione detta funzione d onda o funzione di stato Ψ che descrive lo stato di un sistema. Poiché lo stato varia nel tempo questa funzione dipenderà sia dalle coordinate spaziali che temporali. La funzione d onda contiene così tutte le possibili informazioni circa il sistema. Il concetto della funzione d onda e dell equazione che governa il cambiamento nel tempo fu introdotto dal fisico austriaco Erwin Schrödinger. La funzione d onda contiene tutte le informazioni che noi possiamo conoscere circa il sistema da essa descritto. Quali sono allora le informazioni che Ψ ci fornisce, ad esempio, circa il risultato di una misura sulla coordinata di una particella? Ovviamente noi non possiamo aspettarci che la funzione d onda Ψ implichi una specificazione definita della posizione. La risposta completa a questa domanda

32 32 Teorie Atomiche Figura 2.5. si deve a Max Born il qual postulò che Ψ 2 dà la probabilità di trovare la particella in una certa regione dello spazio. La funzione Ψ 2 rappresenta quindi la probabilità di trovare la particella in diverse zone dallo spazio. Conoscendo lo stato, allora, non possiamo predirre con certezza un risultato di una misura della posizione della particella possiamo solo fare una predizione di probabilità dei vari possibili risultati. La teoria di Bohr dell atomo di idrogeno specifica esattamente la traiettoria dell elettrone e quindi non rappresenta una esatta rappresentazione quantomeccanica. La quantomeccanica non ci dice che un elettrone è distribuito in una certa regione dello spazio come un onda piuttosto che la distribuzione della probabilità di comporta come un onda e soddisfa l equazione di onda. L equazione di Schrödinger è un postulato di una teoria i cui risultati vengono confrontati con i risultati sperimentali Modello quantomeccanico dell atomo Possiamo allora utilizzare l equazione di Schrödinger per descrivere l atomo di idrogeno in cui l unica assunzione sarà quella di immaginare l elettrone sottoposto ad un campo di forze centrali indotte dal nucleo atomico. Sulla base di ciò è possibile dedurre le caratteristiche dell atomo di idrogeno risolvendo l equazione differenziale. Qui cercheremo di fornire solo i risultati ottenuti dalla risoluzione dell equazione di Schrödinger a causa della complessità matematica del problema. Per l atomo di idrogeno la funzione Ψ prende anche il nome di orbitale atomico e nel suo stato fondamentale è rappresentato dalla figura 3.4. che prende il nome di orbitale 1s. Come possiamo vedere dalla figura si tratta di un orbitale a simmetria sferica. Nello stato fondamentale l elettrone è descritto dall orbitale detto 1 s e la densità elettronica è massima in corrispondenza del nucleo. Un orbitale atomico è specificato da tre numeri quantici, uno è in relazione alla distribuzione di probabilità radiale dell orbitale, un altro alla sua forma e il terzo al suo orientamento nello spazio. 1. Il numero quantico principale (n) è un intero positivo (1,2, 3... ). Tale nu-

33 Teorie atomiche 33 Figura 2.6. mero quantico specifica il livello energetico dell atomo di idrogeno e maggiore è il suo numero, maggiore è l energia posseduta dall elettrone. Quando n=1 l elettrone si trova nel suo stato fondamentale (orbitale 1s). Se n=2 l elettrone si troverà nel primo stato eccitato. 2. Il numero quantico angolare (l) è un numero intero compreso tra 0 e n-1. Esso è in relazione alla forma dell orbitale. Quando n=1 l può avere solo il valore 0, per n=2 l può avere i valori 0 e Il numero quantico magnetico (m) è un numero intero compreso tra l e + l passando per 0. esso impone l orientamento dell orbitale. Pertento per l=1 possiamo avere tre possibili orbitali. Abbiamo visto che l orbitale dell atomo di idrogeno nel caso più semplice ha una simmetria sferica e prende il nome di orbitale 1s. Nel momento in cui passiamo al livello eccitato n = 2 abbiamo che l può assumere i valori 0 e 1. Nel caso in cui n = 2 e l = 0 abbiamo ancora un orbitale a simmetria sferica più grande del precedente che prende il nome di orbitale 2s e che mostra una superfice nodale al suo interno, in altre parole una zona con densità di probabilità nulla. Il caso invece rappresentato da n = 2, l = 1 e m = 1, è rappresentato dalla figura 3.5 che mostra 3 orbitali noti come orbitali 2p x, 2p y e 2p z. Come si osserva dalla figura 3.5 l orbitali p sono caratterizzati da due lobi di alta probabilità situati in parti opposte rispetto al nucleo. Il nucleo giace sul piano nodale. A differenza dell orbitale s gli orbitali p hanno un orientamento specifico nello spazio. I tre orbitali hanno la stessa energia (sono degeneri) e sono identici in dimensione ma sono diversamente orientati. In particolare sono tra loro ortogonali e orientati nello spazio secondo gli assi ortogonali. Un orbitale con l = 2 è detto orbitale d per il quale sono possibili 5 valori di m (-2,-1,0,+1,+2) Per tale motivo ogni orbitale d può avere 5 diverse orientazioni. come mostrato in figura 3.6. Tre di questi giacciono nei piani mutualmente ortogonali xy, xz, yz con i lobi tra gli assi e sono denotati con i simboli d xy, d xz e d yz. Un quarto orbitale denotato d x 2 y 2 giace nel piano xy ma con i lobi orientati lungo gli assi. Il quinto orbitale è il d z 2 formato da due lobi orientati lungo l asse z e una regione a forma di ciambella circonda il centro. Gli orbitali con l = 3 sono gli orbitali f.

34 34 Teorie Atomiche Figura Atomi polielettronici L equazione di Shrödinger per gli atomi polielettronici non è risolubile esattamente a causa delle repulsioni elettroniche. In prima approssimazione, ignoriamo le repulsioni interelettroniche e la funzione d onda può essere immaginata come una funzione definita dal prodotto di funzioni monoelettroniche. Gli orbitali atomici sono utilizzati per descrivere approssimativamente gli orbitali polielettronici. Gli stessi orbitlai verranno a loro volta utilizzati per costruire le funzioni d onda molecolari. per gli atomi polielettronici l energia non dipende solo più dal numero quantico principale n ma anche dal numero quantico l a causa della repulsione elettronica. La disposizione degli elettroni nei singoli orbitali per quanto concerne lo stato fondamentale si basa su semplici principi ottenuti in modo rigoroso da considerazioni teoriche ed energetiche. Il meccanismo attraverso il quale si costruisce tale configurazione elettronica dello stato fondamentale è detto aufbau (dal tedesco costruire) e si basa sulle seguenti regole principio di minima energia per il quale l elettrone occuperà sempre solo stato disponibile ad energia più bassa principio di esclusione di Pauli per il quale in un atomo non possono esistere due elettroni con gli stessi numeri quantici. Tenendo presente che oltre ai numeri quantici introdotti precedentemente, dobbiamo anche tener conto del numero quantico di spin m s che può assumere i valori di +1/2 e - 1/2. Questo principo implica a sua volta che ogni orbitale può al massimo contenere due elettroni e questi devono essere tra loro antiparalleli regola di Hund: se due elettroni occupano orbitali degeneri si deve raggiungere al massima molteplicità di spin in altre parole gli spin devono essere paralleli. Per prima cosa prima di poter applicare le regole dell aufbau dobbiamo avere un idea della disposizione energetica degli orbitali. La figura 3.7 ci fornisce un idea

35 Teorie atomiche 35 Figura 2.8. della sequenza dei livelli energetici. Sulla base di quanto detto non è difficile iniziare a costruire le configurazioni elettroniche degli elementi dalla conoscenza del numero atomico. Per H (che ha Z=1), n=1, l=0, non c è molta scelta: dobbiamo usare l orbitale a più bassa energia, 1s; la configurazione elettronica potrà venire indicata con 1s oppure, sinteticamente, con 1s 1. Per He (Z=2), n = 1, l = 0, occorre applicare il principio di Pauli: poiché due numeri quantici sono eguali, occorre che almeno uno degli altri due sia diverso perchè il secondo elettrone possa stare col primo; poiché l = 0, anche m = 0; resta solo la possibilità di avere diverso m s : è necessario che se un elettrone ha ms = +1/2, l altro abbia m s = -1/2. Devono perciò essere antiparalleli: la configurazione verrà indicata con 1s 2. Continuiamo ora da Z=3 a Z=11, lo schema rappresentato in figura 3.8 mostra le configurazioni elettroniche associate ai primi elementi della tavola periodica a partire dall atomo di Li fino ad arrivare al gas nobile Ne. Nella prima colonna sono indicati i numeri atomici Z. Nella seconda, la configurazione elettronica secondo Lewis: sui quattro lati del simbolo sono evidenziati i doppietti e gli elettroni spaiati (del guscio esterno). Nella terza, una rappresentazione che dà il guscio (shell) già completato, come (He) o (Ne), seguito dal nome degli orbitali disponibili ed occupati; quando il guscio è completato (solo per s e p), cambia il simbolo del gas nobile corrispondente; sono evidenziati anche gli spin accoppiati nel caso di doppietti o, nel caso di elettroni spaiati, gli spin paralleli degli elettroni che occupano orbitali degeneri diversi, secondo la regola di Hund. In una analoga rappresentazione (He) è sostituito dal nome del guscio, K; (Ne) da KL (sono completi ambedue i gusci) etc. Nella quarta una rappresentazione completa della configurazione, che non evidenzia però se gli elettroni si trovano nello stesso orbitale o in orbitali degeneri diversi; ricordando però la regola di Hund, è ovvio, per esempio, che N ha tre elettroni 2p a spin paralleli e in tre orbitali degeneri diversi; l esponente dei vari tipi di orbitali degeneri indica il numero di elettroni che li occupa.

36 36 Teorie Atomiche Figura 2.9. Finora, nell aufbau, abbiamo esaminato solo gli orbitali fino al 3p. Infatti, nella tabella dell E degli orbitali, la sequenza è:1s, 2s, 3p, 3s, 3p. A questo punto, proseguendo il riempimento, poiché i 3d sono a energia leggermente superiore ai 4s, riempiremo prima i 4s e poi i 3d, anche se fanno parte del guscio inferiore. La figura 3.9 mostra le configurazioni elettroniche relative al riempimento degli orbitali d Si possono osservare delle piccole anomalie come nel caso del cromo per il quale invece della configurazione 3d 4 4s 2 si ha la configurazione 3d 5 4s 1. Questo avviene perchè la configurazione elettronica che comporta una serie completa di orbitali degeneri completamente piena o piena a metà (cioè con un elettrone in ogni orbitale) è energeticamente favorita, tanto da utilizzare uno degli elettroni 4s per completare il quintetto. La stessa cosa avviene con Cu, che si trova con tutti i 3d completi, utilizzando 1 elettrone 4s (configurazione 3d 10 4s 1 ). Avremo perciò due atomi con 5 elettroni 3d, Cr e Mn, e due atomi con 10 elettroni 3d, Cu e Zn. Cr e Cu, avendo un solo elettrone s, avranno perciò comportamento chimico diverso (diverse valenze) rispetto ad altri atomi con Z vicino al loro.

37 Teorie atomiche 37 Figura Struttura elettronica e tavola periodica degli elementi Eseguendo le operazioni dell aufbau si possono notare alcune caratteristiche comuni ad alcuni atomi ed evidenziare una periodicità nelle configurazioni elettroniche degli atomi. Per esempio, alcuni atomi hanno il guscio corrispondente completo e, dal punto di vista chimico-fisico, sono tutti gas monoatomici a temperatura e pressione ambiente; sono molto stabili chimicamente (questa mancanza di reattività ha reso molto difficile la loro scoperta), hanno energia di ionizzazione alta e affinità elettronica quasi nulla. (Il termine chimicamente, per la stabilità, è stato usato poiché, in effetti, Rn lo è dal punto di vista della reattività chimica, ma non lo è dal punto di vista nucleare: infatti è radioattivo). Sono stati perciò chiamati gas nobili. Gli atomi che seguono direttamente i gas nobili costituiscono il gruppo dei metalli alcalini (litio Li con 2s 1, sodio Na con 3s 1, potassio K con 4s 1, rubidio Rb con 5s 1, cesio Cs con 6s 1, francio Fr con 7s 1 ) hanno ognuno 1 elettrone nell orbitale s del guscio superiore, ed hanno anch essi caratteristiche molto simili tra loro:

38 38 Teorie Atomiche Figura analogo comportamento chimico, hanno energia di ionizzazione molto bassa e affinità elettroniche paragonabili tra loro. Gli elementi chimici, molto prima dell avvento della meccanica quantistica, furono raggruppati sotto forma di una tabella nota come tavola periodica degli elementi sulla base delle affinità chimiche riscontrate da il chimico russo Mendeleev. É interessante notare che la tavola periodica degli elementi organizzata alla fine dell 800 sulla base delle proprietà chimiche risulta a sua volta coincidente con quella che possiamo organizzare sulla base della configurazione elettronica. Possiamo allora individuare le famiglie o gruppi di atomi con proprietà chimiche simili hanno la stessa configurazione elettronica esterna. I metalli alcalino terrosi (berillio Be, magnesio Mg, calcio Ca, bario Ba, stronzio Sr, radio Ra) ad esempio hanno configurazione esterna ns 2. Il gruppo degli alogeni (fluoro F, cloro Cl, bromo Br, iodio I, astato At), ha configurazione esterna ns 2 np 5. Gli elementi che invece si trovano lungo un periodo sono gli elementi che chimicamente si differenziano gradatamente mano a mano che si allontanano lungo il periodo. La figura 3.10 mostra ad esempio come varia l energia di prima ionizzazione per i rispettivi atomi. Si può notare come i gas nobile che posseggono l ottetto completo mostrano la più forte stabilità nel senso che è più difficile rimuovere un elettrone da un gas nobile rispetto ad un altro elemento. I metalli alcalini invece hanno l energia di ionizzazione più bassa. Avendo questi elementi una configurazione elettronica ns 1 si trovano in una condizione di bassa stabilità e se consideriamo l esistenza di un ottetto completo come caratteristica della stabilità si capisce perché sia più semplice rimuovere un elettrone ad un metallo alcalino. In questo modo infatti raggiungiamo la configurazione elettronica del gas nobile che lo precede. La figura 3.11 mostra invece le proprietà periodiche associate al raggio atomico degli atomi in funzione del numero atomico. Si osserva che generalmente il raggio

39 Teorie atomiche 39 Figura Figura diminuisce lungo il periodo fino al gas nobile e poi aumenta bruscamante fino al metallo alcalino successivo. Un altra interessante proprietà periodica osservabile tra gli elementi è l affinità elettronica definita come l energia sviluppata da una mole di un atomo quando acquisisce una mole di elttroni per diventare un anione. La figura 3.12 mostra le proprietà di periodicità di questa grandezza. Possiamo vedere che l affinità elettronica diminuisce nell ambito dei gruppi mentre cresce lungo il periodo per raggiungere il suo massimo con gli alogeni. Nella tavola periodica inoltre si distinguono gli elementi tra metalli e non metalli. Resta ancora in uso una tradizionale classificazione degli elementi in metalli e non-metalli. In breve, sono chiamati: metalli gli elementi con un numero di elettroni esterni basso, minore o, talvolta, eguale a quello degli orbitali esterni s e p, e con energia di ionizzazione bassa. Perciò gli elementi di transizione,

40 40 Teorie Atomiche i lantanoidi e gli attinoidi, avendo 1 o 2 elettroni s, sono considerati metalli. Il carattere metallico aumenta scendendo lungo ogni gruppo (infatti diminuisce l energia di ionizzazione); non-metalli: gli elementi con numero di elettroni esterni maggiore del numero di orbitali esterni s e p e con energia di ionizzazione alta. semimetalli: elementi che possono comportarsi da metalli o da non-metalli in situazioni particolari; sono quelli di confine tra i due tipi.

41 Capitolo 3 Legame Chimico 3.1 Legame Chimico Il capitolo sul legame chimico è probabilmente l argomento centrale di tutto il corso di Chimica. Comprendere il legame e la sua natura è di fondamentale importanza per comprendere la differenza sostanziale fra composti ionici e covalenti. Da tale comprensione dipende anche la capacità di prevedere le proprietà chimico-fisiche dei composti e il loro comportamento chimico (reattività). È importante tener presente fin dall inizio che alla base della formazione del legame chimico vi è il tentativo di raggiungere una condizione di stabilità: un composto o una molecola sono sempre più stabili degli atomi isolati che li costituiscono. Il concetto di stabilità, in chimica come in fisica, è sempre associato ad un minor contenuto di energia potenziale. Sappiamo già che fra gli elementi vi è un gruppo (lo zero) i cui componenti, i gas nobili, sono caratterizzati da una configurazione elettronica eccezionalmente stabile: questa configurazione elettronica, in cui il guscio esterno contiene otto elettroni, può essere considerata la forma necessaria per raggiungere la stabilità. È proprio la ricerca del raggiungimento di tale configurazione elettronica che spinge gli atomi a formare il legame chimico. Quando due atomi sono a grandissima distanza tra loro le forze di interazione fra le nuvole elettroniche sono nulle e l energia potenziale del sistema E è pari a 0. Se i due atomi si avvicinano si possono avere due possibilità come evidenziato dalla figura 4.1. Se all avvicinarsi dei due atomi prevalgono le forze repulsive tra le nuvole elettroniche l energia del sistema aumenta. Le condizioni di energia minima si hanno quando gli atomi sono lontani tra loro, praticamente quando gli atomi sono isolati. Questo è il caso dei gas nobili che non manifestano nessuna tendenza a legarsi e rimangono nello stato monoatomico. Se all avvicinarsi dei due atomi si ha un interazione attrattiva fra le nuvole elettroniche e i nuclei, l energia E diminuisce finché la distanza non diventa così piccola che prevalgono le forze repulsive sulle attrattive con conseguente aumento dell energia potenziale. La distanza associata al minimo di energia è detta distanza di legame. In tal caso tra gli atomi si è formato un legame chimico. Nei vari tipi di legami sono coinvolti

42 42 Legame Chimico Figura 3.1. gli elettroni periferici, detti anche elettroni di valenza. Le interazioni attrattive responsabili del legame hanno origine diversa a seconda della natura degli atomi interessati al legame Legame Ionico Il legame ionico è un legame di natura elettrostatica ed è il tipico legame che si stabilisce tra elementi con basso potenziale di ionizzazione ed elementi con alta affinità elettronica. Ricordando l andamento di queste due proprietà periodiche, possiamo aspettarci che i più semplici composti ionici binari siano costituiti quasi esclusivamente dagli elementi dei primi tre gruppi e dei metalli di transizione (che posseggono basso potenziale di ionizzazione) e da elementi del VI e VII gruppo (caratterizzati da alta affinità elettronica). L elemento con bassa energia di ionizzazione trasferisce elettroni al guscio di valenza dell altro caricandosi positivamente e diventando un catione l elemento che invece acquista gli elettroni diventa un anione. Tra i due ioni aventi carica opposta si instaura un legame di natura elettrostatica. Ad esempio il comune sale da cucina con formula NaCl è costituito da cationi Na + e anioni Cl. Come vedremo meglio in seguito il sistema ione positivo e ione negativo non raggiunge la massima stabilità con la formazione di una singola coppia di ioni, ma nella formazione di un solido cristallino in cui ogni ione attrae il maggior numero possibile di ioni di segno opposto in modo da minimizzare la repulsione elettrostatica. Nel caso del cloruro di sodio la formula indica semplicemente che il rapporto tra gli ioni sodio e gli ioni cloruro è di 1:1 mentre ad esempio per il BaBr 2 il rapporto tra gli ioni bario e gli ioni bromuro è di 1:2.

43 Legame chimico 43 Figura 3.2. Nella formazione dei legami ionici, la maggior parte degli elementi dei blocchi s e p raggiunge, nel caso di ioni positivi, la configurazione del gas nobile che li precede e, nel caso degli ioni negativi, quella del gas nobile che li segue. Come evidenziato nel caso della formazione del cloruro di sodio dalla figura Teoria del legame di valenza Quando si incontrano due atomi uguali o con potenziale di ionizzazione e affinità elettronica simili, non vi può essere ovviamente un trasferimento completo di elettroni dall uno all altro, come avviene nella formazione del legame ionico. In questo caso i due atomi possono tuttavia raggiungere la configurazione elettronica stabile del gas nobile, mettendo in compartecipazione i propri elettroni spaiati. Questo è quanto avviene nella formazione del legame covalente. Il legame covalente è formato da una coppia di elettroni condivisa fra due atomi. È attraverso questo tipo di legame che si formano le molecole, aggregati atomici stabili, capaci di esistere come unità indipendenti in tutti gli stati di aggregazione della materia. L ipotesi del legame covalente come doppietto elettronico condiviso fra due atomi fu suggerita dal chimico americano Gilbert Newton Lewis ( ) nel 1916 che sviluppò, la teoria dell ottetto. Lewis propose anche di rappresentare le configurazioni elettroniche esterne degli elementi, ponendo dei punti attorno al simbolo elementare stesso, che di per sé aveva lo scopo di indicare il nocciolo, ovvero i gusci elettronici completi più interni. Similmente, il legame nelle formule si sarebbe rappresentato con i due punti ( : ). Attualmente, anziché i due punti, si preferisce usare un trattino; il trattino che si usa nelle formule di struttura non è quindi un semplice formalismo, ma ha il preciso significato di doppietto elettronico, sia esso di legame o solitario. In altre parole ogni trattino che compare in una formula di struttura rappresenta una coppia di elettroni: questa può essere una coppia di legame, quando è in compartecipazione tra due atomi, o un doppietto solitario. Il simbolismo di Lewis per indicare gli elettroni di valenza, unitamente alle sue due ipotesi centrali:

44 44 Legame Chimico Figura 3.3. Figura 3.4. legame covalente (doppietto condiviso) teoria dell ottetto Ad esempio nel caso dell idrogeno, in cui abbiamo due atomi con un elettrone spaiato, quando questi si avvicinano formeranno un legame covalente per compartecipazione elettronica. In altre parole la descrizione energetica offerta mediante la figura 4.1 si adatta perfettamente alla descrizione della formazione del legame covalente, che rappresentato mediante le formule di Lewis sarà H-H e simboleggato come H 2. Quello che avviene nella formazione della molecola di idrogeno può essere esteso, con le opportune precisazioni, a molte altre molecole biatomiche. Gli alogeni ad esempio, che hanno configurazione elettronica esterna ns 2 np 5, possono mettere in compartecipazione l elettrone spaiato di uno degli orbitali p e raggiungere la configurazione elettronica stabile del gas nobile successivo come mostrato in figura 4.3. Il legame covalente non è esclusivo di molecole formate da atomi uguali (omonucleari). Idrogeno e fluoro, ad esempio, possono mettere in compartecipazione una coppia di elettroni (1s dell H e 2p del F), raggiungendo entrambi la configurazione elettronica stabile dell He e del Ne, rispettivamente (Fig.4.4). In questo caso parleremo di legami eteronucleari. Il legame covalente nelle molecole di H 2, F 2 o HCl è un legame singolo, costituito cioè da una singola coppia di elettroni di legame. Si dice che un legame singolo ha ordine di legame 1 dove l ordine di legame indica il numero di coppie condivise tra due atomi legati. Molte molecole presentano doppi o tripli legami cioè legami multipli. un legame doppio è costituito da due coppie di legame, quattro elettroni condivisi tra due atomi e l ordine di legame è 2, un legame triplo è invece costituito da tre legami (Fig 4.5). La forza di legame dipende dalla mutua attrazione tra i nuclei legati e gli elettroni condivisi e definiamo l energia di legame l energia necessaria per vincere

45 Legame chimico 45 Figura 3.5. questa attrazione. Tale energia risulta a sua volta correlata con la lunghezza di un legame e dipende prima di tutto dalle dimensioni atomiche; tuttavia, a parità di dimensioni atomiche, la lunghezza di un legame è funzione dell ordine di legame: in particolare, come si può facilmente intuire, la lunghezza di legame diminuisce all aumentare dell ordine di legame. Quindi è ovvio che un legame triplo sia più forte del doppio che a sua volta è più forte del singolo. Un importante concetto nel legame chimico è quello di elettronegatività cioè la capacità di un singolo atomo legato di attrarre gli elettroni condivisi. Il chimico statunitense Linus Pauling propose una scala arbitraria, basata su calcoli di energia di legame, nella quale il fluoro è il primo, cioè l elemento più elettronegativo, seguito dall ossigeno. I metalli alcalini sono gli elementi meno elettronegativi. Sono state proposte anche scale di tipo diverso, basate su altre proprietà atomiche, ma, in ogni caso, l ordine relativo degli elementi rimane lo stesso. La differenza in elettronegatività fra due elementi determina il carattere ionico o covalente del legame che si può instaurare fra di loro. Come vedremo l elettronegatività trova un impiego importante per la determinazione del numero di ossidazione di una atomo che viene definito come la differenza tra il numero degli elettroni di valenza meno la somma tra il numero degli elettroni condivisi e non condivisi. Ad esempio nell HCl il cloro ha 7 elettroni di valenza al cloro, essendo l elemento più elettronegativo si assegnano 8 elettroni (2 condivisi e 6 non condivisi) quindi il suo numero di ossidazione è 7-8=-1 ovviamente all atomo di idrogeno non esssendo assegnato nessun elettrone ed avendo 1 elettrone di valenza risulta che il suoi numero di ossidazione sarà pari a +1. Abbiamo osservato come sia naturale concepire il legame chimico attraverso una coppia elettronica, cerchiamo comunque di capire il motivo per cui come il legame così concepito possa condurre ad un abbassamento locale dell energia della molecola rispetto agli atomi singoli. Consideriamo per prima cosa la descrizione di due atomi di H separati da una distanza infinita. La funzione d onda totale dei due elettroni è così rappresentata dal prodotto a(1)b(2) dove abbiamo idnicato con a l orbitale 1s dell atomo a e con b l orbitale 1s associato all atomo b. ovviamente l energia totale risulterà essere pari 2E 1 s dove con E 1 s indichiamo l energia associata allo stato fondamentale dell atomo di idrogeno. Quando gli atomi si trovano invece alla distanza di legame si potrebbe pensare che la funzione a(2)b(1) possa descrivere, altrettanto bene, il nostro stato legante data l indistinguibilità degli elettroni ne consegue che una buona funzione di partenza per la descrizione

46 46 Legame Chimico Figura 3.6. dello stato legante possa essere descritta da una funzione del tipo Ψ = a(1)b(2) ± a(2)b(1) Utilizzando una funzione di questo tipo è possibile valutare, con qualche sforzo, l energia associata allo stato fondamentale della molecola H 2 è esprimibile come 2E 1 s + E. Essendo queste quantità negative, l energia della molecola risulta più stabile di quella dei due atomi separati. Il successo della teroia sta inoltre nel fatto che il termine E corrisponde all energia di dissociazione che risulta confrontabile con il valore ottenuto sperimentalemnte. La teoria del legame di valenza costituisce pertanto un ottima descrizione del legame covalente Legami covalenti polari Quando atomi con diversa elettronegatività formano un legame, la coppia di legame viene condivisa in modo disuguale, pertanto il legame ha un polo parzialmente negativo e uno parzialmente positivo. Questo legame si ottiene a causa del fatto che il baricentro delle cariche negative non coincide con quello delle cariche positive e ciò implica la formazione di una polarità di legame(fig 4.6). Se ci chiediamo se il legame tra una molecola XY sia ionico o covalente la risposta è quasi sempre parzialmente ionico e parzialmente covalente. Per dipolo si intende un sistema costituito da due cariche elettriche dello stesso valore assoluto e di segno contrario, poste a distanza r fra di loro. Ogni dipolo è caratterizzato da un momento dipolare, definito da µ = qr, dove q indica l intensità della carica. Il momento dipolare è una grandezza vettoriale, il cui verso è per convenzione dalla carica negativa a quella positiva. Nel caso delle molecole poliatomiche, per valutarne la polarità occorre considerare la geometria molecolare.

47 Capitolo 4 Geometria molecolare 4.1 Geometria molecolare Prima di comprendere meglio le basi teoriche del legame chimico attraverso la teoria del legame di valenza e dell orbitale molecolare conviene affrontare il problema della geometria molecolare a tale scopo vedremo che possiamo sfruttare la teoria della repulsione elettronica che fornisce un utile metodo per la costruzione della geometria molecolare. La teoria VSEPR (Valence Shell Electron Pair Repulsion) proposta da Gillespie permette di spiegare in modo semplice la forma delle molecole. Tuttavia prima di passare alla vera e propria geometria molecolare è utile rappresentare la molecolare nella formula di Lewis corrispondente Strutture di Lewis a legame singolo Esaminiamo allora le varie tappe per il raggiungimento delle strutture di Lewis che possiamo schematizzare come segue. Collocare gli atomi uno rispetto all altro. Per molecole aventi formula AB n si colloca al centro l atomo avente il numero di gruppo più basso determinare il numero totale di elettroni di valenza disponibili disegnare un legame singolo da ciascun atomo circostante all atomo centrale e sottrarre due elettroni di valenza per ciascun legame distribuire gli elettroni restanti in coppie in modo che ogni atomo ottenga otto elettroni o due nel caso dell idrogeno. Le figura 5.1 mostra come si possono realizzare tali strutture per le molecole del metano CH 4, dell ammoniaca NH 3 e dell idruro di boro BH 3. Siamo spesso in grado di scrivere più di una formula di struttura di Lewis, ciascuna con la stessa posizione relativa degli atomi per molecole o ioni con legami doppi adiacenti ai legami singoli. La figura 5.2 mostra le due possibili strutture di Lwies associate alla

48 48 Geometria molecolare Figura 4.1. Figura 4.2. molecola dell ipoazotide NO 2. In realtà nessuna delle due strutture rappresenta accuratamente la molecola in questione. Le misure mostrano ad esempio che le lunghezze di legame sono identiche con proprietà intermedie ad un doppio legame e ad un singolo legame. La molecola è rappresentata più correttamente da quello che si chiama ibrido di risonanza e le due strutture si dicono in risonanza tra loro. Le strutture di risonanza non sono reali rappresentazioni del legame diciamo che il doppio legame è in questo caso delocalizzato su tutta la molecola. Un altro tipo esempio è rappresentato dallo ione carbonato. La figura 5.3 mostra le strutture di risonanza e l ibrido di risonanza ad esso associato Eccezioni alla regola dell ottetto La regola dell ottetto è un utile guida per la maggior parte di molecole con atomi centrali del periodo 2 ma non è sempre valida. A partire dai non metalli del III periodo (Si, P, S, Cl), la regola dell ottetto

49 Geometria molecolare 49 Figura 4.3. può essere superata. L espansione dell ottetto si giustifica supponendo che questi elementi, disponendo di orbitali d nello strato di valenza, possano sfruttare questi orbitali per disaccoppiare i loro elettroni, in modo da utilizzare ciascuno di essi per formare un legame covalente. Dobbiamo comunque sottolineare che la possibilità di espandere l ottetto si manifesta generalmente solo quando si formano legami con elementi molto elettronegativi, come gli alogeni o l ossigeno. In pratica, non incontreremo mai composti tipo PH 5 o analoghi. Per effetto della promozione degli elettroni negli orbitali d, gli elementi del III periodo potranno presentare covalenze diverse (vedi figura 5.4): Si deve fare attenzione a non confondere il concetto di covalenza (numero di coppie elettroniche, o numero di legami, che un atomo può condividere con altri atomi) con il numero di atomi che un elemento può legare. Ad esempio, in H 3 PO 4 (acido fosforico) il fosforo è pentacovalente, ma lega solo quattro atomi; in CO 2 il carbonio è tetracovalente, ma lega solo due atomi. Un atomo espande il suo guscio di covalenza per formare più legami e l unico modo in cui ciò è possibile è quello di usare orbitali d esterni Teoria VESPR e forma molecolare Tramite la teoria VSEPR (dall inglese Valence Shell Electron-Pair Repulsion cioè repulsione delle coppie di legame dello strato di valenza) è possibile spiegare la forma di un certo numero di molecole applicando il concetto che: gli elettroni di valenza di ogni singolo atomo, sia quelli utilizzati nei legami sia quelli non utilizzati, tendono a respingersi in quanto di carica uguale e a occupare le posizioni più distanti nello spazio.

50 50 Geometria molecolare Figura 4.4. Figura 4.5. Gli elettroni di valenza vengono considerati a coppie e siccome ogni atomo tende, di norma, a circondarsi di otto elettroni nel livello più esterno, saranno quattro le coppie di elettroni in gioco. Esaminiamo come primo esempio la molecola dell anidride carbonica CO 2 In questa molecola esistono due legami doppi (ogni legame doppio è costituito da quattro elettroni in comune) tra il carbonio e gli atomi di ossigeno; tutte quattro le coppie di elettroni di legame sono dunque impegnate in legami chimici. La posizione in cui questi due gruppi di elettroni sono il più distante possibile è quella mostrata in figura, con un angolo di legame tra gli atomi di ; in questo caso la repulsione è minima e la molecola acquista una disposizione lineare (vedi figura 5.5). Nella molecola BH 3 invece le tre coppie di elettroni di valenza del boro per

51 Geometria molecolare 51 Figura 4.6. Figura 4.7. stare alla maggior distanza reciproca possibile si collocano ai vertici di un triangolo equilatero. La molecola assume quindi una disposizione planare triangolare con angoli di legame di Osservate che in questa molecola gli elettroni di valenza sono soltanto sei e dunque la regole dell ottetto non è rispettata (vedi figura 5.7). Osserviamo invece come si dispongono gli atomi nella molecola del metano CH 4 (vedi figura 5.6). In questo caso la massima distanza possibile tra le coppie di elettroni è raggiunta con la disposizione di queste ai vertici di un tetraedro. Gli angoli di legame sono di e la molecola assume una disposizione tetraedrica. Anche nella molecola dell acqua H 2 O la situazione è analoga (vedi figura 5.8), ma mentre nel metano le coppie di elettroni sono tutte di legame, nell acqua due coppie sono libere e sono più vicine all atomo di ossigeno di quanto non lo siano le altre due impegnate nei legami con l idrogeno. Tutto questo fa sì che le coppie di legame siano spinte un po più vicine l una all altra e giustifica il minor angolo di legame (105 0 ) presente nell acqua rispetto al metano. La molecola dell acqua è dunque caratterizzata da una disposizione angolata degli atomi che ne determina

52 52 Geometria molecolare Figura 4.8. l elevata polarità. Quando abbiamo 5 gruppi di elettroni la disposizione geometrica è di tipo bipiramide trigonale. Un esempio di tale struttura è quella del pentacloruro di fosforo PCl 5. Se ci sono coppie solitarie a causa del fatto che le coppie solitarie danno luogo ad una maggiore repulsione si trova in generale che tali coppie si posizionano nella bipiramide trigonale nelle posizioni equatoriali come nel caso del tetrafloruro di zolfo SF 4 nel caso che le coppie solitarie siano due la tendenza a posizionarsi nelle posizioni equatoriali genera una forma a T come nel caso trifloruro di bromo BrF 3. Le molecole con tre coppie solitarie genarano invece una struttura lineare è il caso dello ione I 3. Le forme molecolari con sei gruppi di elettroni generano una disposizione ottaedrica questo è il caso dell esafloruro di fluoro SF 6. Quando compare una coppia solitaria come nel caso del pentafloruro di iodio (IF 5 ), dato che ogni posizione è equivalente, non esiste una posizione privilegiata per la coppia solitaria e si raggiunge così una struttura a forma di piramide a base quadrata. Nel caso in cui le coppie solitarie siano 2 esse giacciono sempre in vertici opposti per evitare le più forti repulsioni e questo genera struttura planare quadrata. Questo è il caso del tetrafloruro di xeno (XeF 4 ). In generale possiamo sfruttare lo schema rappresentato dalla Figura 5.9 per la determinazione delle geometrie molecolari Forma molecolare e polarità La conoscenza della struttura molecolare è essenziale per comprendere il suo comportamento chimico-fisico. Uno degli effetti più importanti è quello della polarità molecolare. Nelle molecole biatomiche, come l HF in cui c è soltanto un legame, la polarità di legame implica a sua volta una polarità molecolare. Nelle moleco-

53 Geometria molecolare 53 Figura 4.9. le con più atomi sia la forma che la polarità di legame determinano la polarità molecolare. Se prendiamo ad esempio la molecola del biossido di carbonio CO 2, il cui legame C-O è fortemente polare, essa risulta apolare a causa del fatto che la molecola è lineare e le identiche polarità si controbilanciano perfettamente e conferiscono alla molecola un momento dipolare nullo (µ = 0 D). Anche nella molecola dell acqua vi sono atomi identici legati all atomo centrale ma essa ha un rilevante momento dipolare (µ = 1.85 D). In questo caso infatti le polarità di legame non si controbilanciano perchè la molecola d acqua è angolata.

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55 Capitolo 5 Legame covalente 5.1 Teoria del legame covalente La teoria moderna del legame chimico viene spiegata attraverso due teorie quantomeccaniche entrambi capaci di spiegare le proprietà delle molecole a partire dale proprietà atomiche. Si tratta della teoria del legame di valenza e quella dell orbitale molecolare Teoria del legame di valenza Il principio fondamentale che sottende alla teoria del legame di valenza (VB) è relativo al fatto che un legame chimico si definisce tale quando gli orbitali dei due atomi si sovrappongono e sono occupati da una coppia di elettroni che hanno la massima probabilità di trovarsi tra i due nuclei. Da questo principio possiamo derivare tre temi centrali 1. la coppia di elettroni che formano il legame covalente deve essere costituita da elettroni antiparalleli per soddisfare il principio di esclusione di Pauli 2. Maggiore è la sovrapposizione degli orbitali e maggiore è la forza di legame. Ques ultima è infatti regolata dall attrazione esercitata dai nuclei sugli elettroni condivisi. 3. Gli orbitali atomici nella molecola sono diversi da quelli atomici a causa del fatto che gli orbitali atomici possono mescolarsi (ibridazione) generando nuovi orbitali diversamente orientati nello spazio. La teoria dell ibridazione spiega molto bene la geometria molecolare. Abbiamo visto nel capitolo precedente come sia possibile derivare la struttura di una semplice molecola attraverso la teoria delle repulsioni elettroniche. Vogliamo analizzare ora come la teoria dell ibridazione permette di fornire una semplice teoria quantomeccanica per la spiegazione della geometria molecolare. Una volta nota la geometria molecolare possiamo ipotizzare i tipi di orbitali ibridi. Ad ogni ibridazione corrisponde infatti una particolare geometria.

56 56 Legame covalente sp La teoria VB mostra che quando si ha un mescolamento tra un orbitale p e un orbitale s si ottengono due nuovi orbitali ibridi equivalenti separati da (Figura 6.1). Questa struttura corrisponde a quella quando l atomo centrale è circondato da due gruppi di elettroni, in tal caso si osserva una struttura lineare. Inoltre, la forma e l orientamento dei nuovi orbitali massimizzano la sovrapposizione degli orbitali. Questo implica a sua volta una minimizzazione dell energia della molecola. Come esempio molecolare possiamo pensare all HCl o al BeCl 2 gassoso. sp 2 Per spiegare la disposizione trigonale planare di coppie di elettroni si ricorre all ibridazione sp 2 in cui l atomo centrale mescola due orbitali p con un orbitale s generando a sua volta tre orbitali orientati a uno rispetto all altro (Figura 6.1). Ad esempio secondo tale teoria l atomo centrale del B nella molecola BF 3 è ibridato sp 2. Un altro caso è rappresentato dall ozono O 3 in cui l atomo centrale di O è ibridato sp 2 e una coppia solitaria riempie uno dei sui tre orbitali e quindi l ozono ha una forma molecolare piegata. sp 3 Il caso tipico di questa ibridazione è quello della molecola del metano CH 4 in cui gli atomi di idrogeno si trovano ai vertici di un ideale tetraedro. Quando infatti l atomo centrale mescola tre orbitali p con un orbitale s si ottengono 4 orbitali ibridi con geometria tetraedrica. Altri esempi tipici sono quelli della molecola dell ammoniaca NH 3 con struttura di tipo piramidale dove una orbitale ibrido è occupato da una coppia solitaria o analogamente nella molecola dell acqua H 2 O dove due orbitali ibridi sono occupati da due coppie solitarie generando una struttura piegata. sp 3 d Le forme molecolari con disposizione bipiramidali trigonali od ottaedriche si ottengono mediante ragionamenti simili. Ad esempio per spiegare la forma trigonale bipiramidale del PCl 5 si ipotizza che l orbitale 3s si mescoli con tre orbitali 3p e 1 orbitale 3d dell atomo di fosforo. Così si ottengono 5 orbitali equivalenti sp 3 d orientati secondo i vertici di una piramide trigonale. sp 3 d 2 Per spiegare la forma della molecola SF 6 il modello VB ipotizza che l orbitale 3s si mescoli con 3 orbitali 3p e con 2 orbitali 3d in questo modo si genererà un insieme di 6 orbitali ibridi con geometria corrispondente a quella di un ottaedro. Non sempre la teoria risulta necessaria per spiegare la geometria. Se prendiamo ad esempio la molecola dell acido solfidrico H 2 S si osserva che l angolo di legame tra gli atomi di idrogeno è dell ordine di 92 0 in questo caso l angolo di legame risulta più vicino a quello degli atomi non ibridati che rispetto a quelli ibridati.

57 Legame covalente 57 Figura Legami singoli e doppi Come abbiamo visto precedentemente le molecole possono formare legami semplici, doppi e tripli. Nel caso in cui la sovrapposizione tra orbitali ibridi generi una densità elettronica concentrata lungo l asse di legame parliamo di legami σ (Figura 6.2). Viceversa quando abbiamo una sovrapposizione di fianco si parla di legame π (figura 6.3). Per comprendere meglio questo legame possiamo riferirci alla molecola del dell etilene. I due atomi centrali di carbonio sono ibridati sp 2 e pertanto l angolo tipico di legame è di I due atomi di carbonio sono legati tra loro tramite un legame σ e ogni atomo di carbonio lega a sua volta sempre mediante legami σ 2 atomi di H. Tuttavia così facendo rimangono ancora su ogni atomo di carbonio due orbitali p puri contenenti un elettrone ciascuno. Il legame σ permette tuttavia una forte vicinanza tra i due atomi di carbonio che a sua volta permette una sovrapposizione dei due orbitali p. Così facendo si generano due regioni di densità elettronica una al di sopra l altra al di sotto dell asse formato dal legame σ. Un legame π contiene due elettroni che si muovono attraverso entrambe le regioni di legame. Un legame doppio è sempre costituito da un legame σ e un legame π. Un legame triplo quale quello che si forma nella molecola dell acetilene è costituito da un legame σ e da due legami π. Questo tipo di sovrapposizione genera una simmetria cilindrica della molecola.

58 58 Legame covalente Figura 5.2. L entità della sovrapposizione influenza la forza di legame. La sovrapposizione generata dal legame π è meno pronunciata di quella del legame σ per tale motivo il legame π è più debole del legame σ Teoria dell Orbitale molecolare MO La teoria del legame di valenza descrive in modo semplice i legami chimici e le strutture molecolari ma è del tutto insoddisfacente quando si tratta di giustificare l esistenza di molecole a numero dispari di elettroni, come ad esempio lo ione H + 2, e specialmente gli stati energetici delle molecole. la teoria assegna gli elettroni di una molecola ad una serie di orbitali, detti orbitali molecolari, che appartengono all intera molecola. Come gli orbitali atomici sono funzioni matematiche che descrivono il comportamento di un elettrone in un atomo analogamente gli orbitali molecolari sono funzioni matematiche che descrivono il comportamento di un elettrone in una molecola. Il quadrato di queste funzioni corrisponde alla probabilità di trovare un elettrone in una determinata regione della molecola. Nell approssimazione più semplice queste funzioni sono combinazioni lineari di orbitali atomici. Si ottiene in tal modo una serie di orbitali molecolari, che si estendono su tutti gli atomi della molecola, che vengono ordinati secondo energie crescenti; gli elettroni, in numero uguale al totale di elettroni vengono assegnati a questi orbitali seguendo il principio di Pauli e le regole di Hund.

59 Legame covalente 59 Figura 5.3. Nella molecola di H + 2 i due orbitali atomici 1s dei due atomi di idrogeno interagiscono all avvicinarsi dei due nuclei e generano due orbitali molecolari indicati con σ 1s orbitale di legame e σ1s orbitale di antilegame. All orbitale di legame corrisponde l energia più bassa e l elettrone in tal caso andrà ad occupare l orbitale di legame ad energia più bassa. I due orbitali sono di tipo σ perché la nuvola elettronica si concentra lungo l asse. internucleare. La formazione degli orbitali molecolari, il cui numero è uguale a quello degli orbitali atomici combinati, richiede che gli orbitali atomici soddisfino i seguenti requisiti: 1. gli orbitali atomici che si combinano devono avere energie simili; 2. le superfici limite devono sovrapporsi il più possibile: maggiore è la sovrapposizione minore è l energia dell orbitale molecolare risultante; 3. gli orbitali atomici che si combinano devono possedere un opportuna simmetria; La figura 6.4 mostra uno schema generico relativo alla combinazione di orbitali atomici per la generazione di orbitali molecolari per il numero quantico principale n=2. Gli orbitali atomici di tipo 2s si combinano nel modo analogo a quelle degli orbitali 1s come abbiamo precedentemente descritto. In questo caso genereranno gli orbitali 2σ 2s e 2σ 2s di legame e antilegame. La combinazione lineare degli orbitali p può essere ottenuta solo per le coppie p x p x, p y p y e p z p z. Nel primo caso si otterranno orbitali 2σ 2px e 2σ 2p x di legame e antilegame. Nel secondo ( combinazione p y p y ) e terzo caso (combinazione p z p z ) gli orbitali molecolari che si formano si dicono π, in particolare gli orbitali π 2py e π 2pz sono di legame mentre gli orbitali π 2p y e π 2pz sono di antilegame. Gli orbitali p erano degeneri mentre gli orbitali ottenuti per combinazione lineare non sono più tutti degeneri. Abbiamo due orbitali π degeneri.

60 60 Legame covalente Figura Legame metallico I metalli che costituiscono circa due terzi della tavola periodica hanno basse energie di ionizzazione e bassa elettronegatività come abbiamo già visto in precedenza. Ricordiamo inoltre che i metalli sono caratterizzati da un elevata conducibilità elettrica e termica da una buona malleabilità e duttilità da una struttura compatta opacità e lucentezza caratteristiche. Il legame metallico viene interpretato da un estensione della teoria dell orbitale molecolare che prende il nome di teoria delle bande. Quando la teoria dell orbitale molecolare viene impiegata per un numero elevato di orbitali atomici a seguito dell interazione degli orbitali di valenza si ottiene un numero di orbitali molecolari ad energia ravvicinata con infittimento dei livelli energetici tanto maggiore quanto aumenta il numero di orbitali atomci interagenti. Questa interazione genera tanti orbitali molecolari di energia così simile tra loro da dar luogo ad una banda praticamente continua di energia. 1. la distribuzione di elettroni in una banda avviene dapprima nei livelli infe-

61 Legame covalente 61 riori e via via in quelli superiori. Poiché in un livello della banda possono stare due elettroni una banda formata da N livelli può ospitare 2N elettroni. 2. quando sono interessati gli orbitali atomici di valenza si parla di banda di valenza. 3. se le energie degli orbitali atomici di partenza sono molto diverse le bande di energia rimangono distinte, altrimenti si sovrappongono. Per avere conduzione elettrica occorre che la banda di valenza oppure la banda che si sovrappone a quella di valenza satura sia vuota o parzialmente occupata in modo da costituire una banda di conduzione.

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63 Capitolo 6 Numeri di ossidazioni, nomenclatura e reazioni chimiche Per meglio conoscere la chimica è necessario saper utilizzare anche il suo linguaggio formale allo scopo di saper scrivere correttamente i composti chimici e rappresentare i processi di reazione che coinvolgono i singoli elementi, molecole o composti in genere. A tale scopo è necessario introdurre alcuni concetti elementari, quali il numero di ossidazione, la nomenclatura e le generalità delle reazioni chimiche. 6.1 Numero di ossidazione Per prima cosa definiamo il concetto di numero di ossidazione inteso come il numero di cariche reali o virtuali possedute da un elemento in composto. Questo concetto che, nella sua prima lettura, può apparire astratto risulta, invece molto utile per la descrizione delle formule chimiche ed in particolare per quelle reazioni che coinvolgono una variazione dei numeri di ossidazione nel corso della reazione. Dalla definizione che abbiamo fornito, è evidente che la carica posseduta dagli ioni metallici del tipo Na +, Fe 2+, Cr 3+ o anioni come Cl, coincide esattamente con la definizione di numero di ossidazione. Il numero di ossidazione non è fisso per gli atomi, essitono infatti elementi come il ferro che può trovarsi sia come Fe 2+ che come Fe 3+ ; i suoi numeri di ossidazione principali saranno allora +2 o +3. Che cosa intendiamo invece per cariche virtuali possedute da un elemento in un composto? Quando ci troviamo con composti covalenti il numero di ossidazione viene assegnato sulla base della diversa elettronegatività degli elementi che costituiscono la molecola. Per convenzione assegnamo il doppietto di un legame covalente all atomo più elettronegativo, così facendo l atomo che acquista un elettrone acquisisce una carica formale di -1 mentre quello che lo perde acquisisce una carica formale di +1. Supponiamo di prendere in considerazione la molecola dell acido cloridrico (HCl), l elettronegatività del cloro è superiore a quella dell idrogeno formalmente M. Rustici, Elementi di Chimica

64 64 Numeri di ossidazioni, nomenclatura e reazioni chimiche possiamo scomporre la molecola HCl in due ioni H + e Cl. Ovviamente in fase gassosa, esiste la molecola HCl, con un legame covalente di tipo σ, e non esistono gli ioni H + e Cl, tuttavia possiamo assegnare ai due atomi rispettivamente numero di ossidazione +1 e -1. Lo stesso ragionamento possiamo farlo per la molecola H 2 O in cui ogni atomo di H è legato mediante due legami σ all atomo di ossigeno. Possiamo, pertanto, assegnare i due doppietti di legame all atomo di ossigeno, in questo modo l ossigeno si troverà a possedere due elettroni in più acquistando una carica virtuale pari a -2 (O 2 ) viceversa ogni atomo di idrogeno acquisterà una carica virtuale pari a +1 (H + ). In altre parole l ossigeno, nella molecola dell acqua avrà, numero di ossidazione -2 e l idrogeno numero di ossidazione +1. Sulla base di quanto detto possiamo cercare di individuare delle regole generali che possiamo così schematizzare: Gli elementi allo stato elementare sia che si trovino in forma atomica o pluriatomica avranno necessariamente numero di ossidazione 0. Nel caso in cui siano in forma pluriatomica non esiste nessun modo per assegnare il doppietto di legame ad un atomo rispetto all altro e pertanto il numero di ossidazione sarà sempre 0 (es O 2, O 3, P 4, N 2, H 2 etc) Essendo il fluoro l elemento con la massima elettronegatività esso avrà sempre un numero di ossidazione pari a -1 salvo quando si trova allo stato elementare F 2 e in quel caso avrà numero di ossidazione 0. l ossigeno O essendo l atomo con la maggiore elettronegatività, dopo quella del fluoro F, avrà sempre numero di ossidazione pari a -2 a parte alcune eccezioni. La prima eccezione riguarda il composto OF 2, in questo caso l ossigeno avrà ovviamente numero di ossidazione +2. La seconda eccezione riguarda i composti, noti come perossidi, nei quali due atomi di ossigeno sono tra loro legati. Il capostipite di questi composti è l acqua ossigenata o perossido di idrogeno H 2 O 2 in cui il doppietto di legame O-O non contribiusce al numero di ossidazione perché, al solito, non è possibile assegnare il doppietto a nessuno dei due atomi di ossigeno, mentre per i doppietti di legame idrogeno ossigeno vengono assegnati rispettivamente ai due atomi di ossigeno. In altre parole sulla base di questa assegnazione si ottengono gli ioni virtuali H + e O 2 2, quest ultimo è noto come ione perossido. Ogni atomo di ossigeno avrà pertanto numero di ossidazione -1. L idrogeno H ha sempre numero ossidazione +1 eccetto il caso in cui non sia legato ad atomi più elettronegativi come negli idruri (es NaH, CaH 2, NaBH 4 ) in cui il numero diossidazione è sempre -1. il numero di ossidazione degli elementi del primo gruppo (Li, Na, K, Rb, Cs, Fr) è sempre +1 salvo quando si trovano allo stato elementare. M. Rustici, Elementi di Chimica

65 Numeri di ossidazioni, nomenclatura e reazioni chimiche 65 il numero di ossidazione degli elementi alcalino terrosi (Be, Mg, Ca, Sr, Ba, Ra) è sempre +2 salvo quando si trovano allo stato elementare. Sulla base delle regole spraesposte risulta particolarmente semplice calcolare i numeri di ossidazione degli elementi in un composto tenendo, tuttavia, ben presente che dovrà a sua volta valere la regola che la somma dei numeri di ossidazione in un composto sarà uguale a 0 se il composto è neutro e sarà uguale alla carica dello ione se il composto è uno ione. Supponiamo si voglia calcolare il numero di ossidazione dell azoto nella molecola dell acido nitrico HNO 3. Ricordando che l idrogeno ha sempre numero di ossidazione +1 (eccetto che quando si trova allo stato naturale e negli idruri) e l ossigeno ha sempre -2 (eccetto il caso in cui non sia allo stato elementare o sotto forma di perossido) allora se indichiamo con x il numero di ossidazione dell azoto e applicando la regola sopraesposta possiamo scrivere 1 + x + 3 ( 2) = 0 x = +5 il numero di ossidazione dell azoto nell acido nitrico sarà allora +5. Supponaimo invece che si voglia calcolare il numero di ossidazione dello S nello ione solfato (SO 2 4 ) allora x + 4 ( 2) = 2 x = +6 il numero di ossidazione dello S nello ione solfato sarà allora Nomenclatura tradizionale Ossidi e anidridi Gli ossidi sono composti binari che l ossigeno forma con quasi tutti gli elementi chimici. Le proprietà degli ossidi sono ovviamente molto diverse a secondo del gruppo di elementi con i quali l ossigeno forma il composto binario. Tradizionalmente questa differenza veniva, in passato, messa in evidenza, quando l ossigeno formava composti binari con i non metalli (es C, N, P, As, S, Cl, Br, I) chiamando questi composti anidridi. Oggi si tende a non usare molto questa dizione, tuttavia nel linguaggio usuale si continua ad utilizzare tale distinzione. Tutti gli altri composti binari, costituiti invece da metallo ed ossigeno si chiamano ossidi sia nella nomenclatura IUPAC che in quella tradizionale. Una delle caratteristica principale degli ossidi è quella di avere proprietà, come meglio vedremo in seguito, basiche o alcaline mentre quella delle anidridi di avere proprietà acide. Inoltre nelle anidridi il legame è covalente e negli ossdi ionico. M. Rustici, Elementi di Chimica

66 66 Numeri di ossidazioni, nomenclatura e reazioni chimiche Quando non sussiste ambiguità nei numeri di ossidazione, nel senso che il metallo possiede, oltre al numero di ossidazione 0, un solo numero di ossidazione, il composto binario si chiama semplicemente ossido. Ad esempio se vogliamo costruire il composto binario sodio-ossigeno, avendo il primo numero di ossidazione +1 e l ossigeno numero di ossidazione +2, la formula, affinché sia elettricamente neutra (in altre parole la somma dei numeri di ossidazione sia pari a zero) dovrà essere scritta come Na 2 O e prenderà semplicemente il nome di ossido di sodio. Analogamente il composto binario calcio-ossigeno potrà solo essere scritto come CaO e prenderà il nome di ossido di calcio. La situazione si complica leggermente, quando il numero di ossidazione del metallo può assumere, ad esempio, oltre allo 0, due numeri di ossidazione. Il ferro ad esempio possiede i numeri di ossidazione 0, +2 e + 3, di conseguenza per rispettare la regola per la quale la somma dei numeri di ossidazione dei rispettivi elementi nel composto sia nulla possiamo scrivere i due seguenti ossidi FeO e Fe 2 O 3. rispettivamente per il numero di ossidazione +2 e +3. In questo caso l ossido associato al numero di ossidazione più basso prende il suffisso oso mentre quello associato al suffisso più alto prende il suffisso ico. I due composti si chiameranno pertanto ossido ferroso e ossido ferrico. I due principali stati di ossidazione del rame sono +1 e +2 di conseguenza avremo l ossido rameoso Cu 2 O e l ossido rameico CuO. In modo del tutto analogo possiamo seguiremo le stesse regole, appena descritte, per rappresentare i composti binari non metallo-ossigeno che nella nomenclatura d uso prendono il nome di anidridi. Nei composti binari zolfo-ossigeno, lo zolfo presenta i numeri di ossidazione +4 e +6. Rispettivamente le formule SO 2 e SO 3 soddisfano il criterio per cui la somma dei numeri di ossidazione degli elementi costituenti la molecola è nulla, nomineremo,allora, le molecole anidride solforosa e anidride solforica. Nei composti binari cloro-ossigeno il cloro può assumere i numeri di ossidazione +1, +3, +5, + 7. In questo caso i composti associati allo stato +3 e +5 prenderanno rispettivamente il suffisso oso e ico, quelli associati ai numeri di ossidazione +1 e +7 prenderanno rispettivamente il prefisso ipo e per. Allora i rispettivi composti Cl 2 O, Cl 2 O 3, Cl 2 O 5, Cl 2 O 7 prenderanno rispettivamente il nome anidride ipoclorosa, anidride clorosa, anidride clorica, anidride perclorica. Il carbonio con l ossigeno mostra in genere i numeri di ossidazione +2 e +4. In questo caso la molecola CO 2 che corrisponde al carbonio con numero di ossidazione +4, si chiama semplicemente anidride carbonica o biossido di carbonio, mentre quello con +2 prende il nome di ossido di carbonio o monossido di carbonio. Idrossidi Gli idrossidi o basi, tradizionalmente, si fanno derivare dalla reazione di un ossido con acqua M. Rustici, Elementi di Chimica

67 Numeri di ossidazioni, nomenclatura e reazioni chimiche 67 Ossido + H 2 O Idrossido e sono caratterizzate dalla generica formula M(OH) m dove M è il metallo e m è il numero di ossidazione del metallo. Il gruppo OH è noto come gruppo idrossile o idrossido. In generale se l idrossido è solubile in acqua esso si trova dissociato, come vedremo meglio in seguito, in ione OH e ione M m+. Formalmente le reazioni per la formazione degli idrossidi possono essere descritte nel seguente modo Na 2 O + H 2 O 2NaOH CaO + H 2 O Ca(OH) 2 FeO + H 2 O Fe(OH) 2 Fe 2 O 3 + 3H 2 O 2Fe(OH) 3 formazione idrossido di sodio formazione idrossido di calcio formazione idrossido ferroso formazione idrossido ferrico Le reazioni indicate vengono utilizzate per la costruzione formale dell idrossido. La reazione di idrolisi può essere veloce, lentissima o non avvenire affatto. L idrossido può originarsi anche per una via diversa da quella indicata tuttavia noi possiamo derivarlo formalmente dallo schema sopra riportato. Le reazioni sono state bilanciate in modo da rispettare che le masse a destra siano identiche a quelle a sinistra. Per non commettere errori nel bilanciamento conviene bilanciare prima il metallo, poi l idrogeno o l ossigeno. Il nome dell idrossido deriva, come si evince dalla tavola direttamente dal nome dell anidride, dal quale formalmente deriva. Ossiacidi Un ossiacido può essere formalmente derivato dalla reazione di idrolisi di un anidride con acqua. Anche in questo caso, analogamente al caso degli idrossidi scriviamo una generica reazione dalla quale possiamo immaginare di derivare l acido indipendentemente dal fatto che la reazione possa o meno avvenire. Lo schema generale è riassumibile nella reazione Anidride + H 2 O Ossiacido La formula generale dell ossiacido è schematizzabile con la formula H n MO m, dove M è il non metallo n è il numero di atomi di idrogeno e m il numero di atomi di ossigeno presenti nella molecola. Anche in questo caso, come in quello relativo agli idrossidi, l idrogeno è sempre direttamente legato all atomo di ossigeno. La separazione degli atomi di idrogeno rispetto agli atomi di ossigeno indica che tali sostanze in acqua tendono, come vedremo più dettagliatamente in seguito, a dissociarsi generando ioni H + e, nel caso in M. Rustici, Elementi di Chimica

68 68 Numeri di ossidazioni, nomenclatura e reazioni chimiche cui n fosse uguale a 3, ioni MO n m, HMO (n 1) m, H 2 MO m (n 2) come ad esempio negli acidi triprotrici in cui l acido ortofosforico ne è un rappresentante H 3 PO 4. prendiamo allora come primo esempio la reazione di produzione dell acido a partire dall anidride solforica per trattamento con acqua SO 3 + H 2 O H 2 SO 4 tale acido proveniendo dall anidride solforica prende di conseguenza il nome di acido solforico, nel caso fossimo partiti dall anidride solforosa SO 2 + H 2 O H 2 SO 3 l acido derivato sarà l acido solforoso. In generale dato una generica anidride schematizzata come M x O y possiamo arrivare alla formula dell acido mediante uno schema del tipo M x O y + H 2 O H x+2 M y O y+1 e nel comune caso in cui tutto x+2, e y+1 fossero divisibili per y scriviamo direttamente M x O y + H 2 O 2H (x+2)/y MO (y+1)/y ovviamente questo è solo uno schema che può essere utilizzabile per memorizzare le formule comuni degli acidi. Ad esempio consideriamo l idrolisi dell anidride nitrosa e dell anidride nitrica. Avremo in questo caso N 2 O 3 + H 2 O [H 2 N 2 O 4 ] 2HNO 2 N 2 O 5 + H 2 O [H 2 N 2 O 6 ] 2HNO 3 le specie tra parentesi quadra non esistono e pertanto si devono omettere e scrivere correttamente N 2 O 3 + H 2 O 2HNO 2 N 2 O 5 + H 2 O 2HNO 3 M. Rustici, Elementi di Chimica

69 Numeri di ossidazioni, nomenclatura e reazioni chimiche 69 i composti ottenuti si chiameranno ovviamente acido nitroso e acido nitrico. In modo del tutto analogo possiamo ad esempio derivare gli ossiacidi che si originano dalle anidridi del gruppo degli alogeni. Nel caso del cloro, ad esempio, possiamo ottenere l acido ipocloroso HClO, l acido cloroso HClO 2, l acido clorico HClO 3 e infine l acido perclorico HClO 4. Non tutte le formule degli acidi sono derivabili da questo semplice schema mnemonico ad esempio le anidride fosforica (P 2 O 5 ) attraverso il meccanismo appena descritto genera l acido meta fosforico P 2 O 5 + H 2 O [H 2 P 2 O 6 ] 2HPO 3 Tuttavia l acido più comune è l acido ortofosforico che può essere derivato per idratazione dell anidride fosforica con 3 molecole di acqua P 2 O 5 + 3H 2 O [H 6 P 2 O 8 ] 2H 3 PO 4 mentre per idratazione se la stessa anidride si idrata con due molecole di acqua si ottiene l acido pirofosforico P 2 O 5 + 2H 2 O H 4 P 2 O 7 L anidride fosforica genera pertanto tre tipi diversi di acido in cui il fosforo mantiene lo stesso numero di ossidazione (+5). Questi composti prendono il nome rispettivamente di acido meta fosforico, acido pirofosforico e acido ortofosforico. Il prefisso orto viene utilizzato per i composti contenenti il maggior numero di gruppi OH per non metallo e il suffisso meta per i composti contenenti il minor numero di gruppi OH per non metallo. Ovviamente tutti e tre mantengono il suffisso ico in quanto sono associati allo stato di ossidazione maggiore (+5). Partendo dall anidride fosforosa (P 2 O 3 ), possiamo derivare in modo analogo l acido metafosforoso HPO 2 e l acido ortofosforoso H 3 PO 3. Lo stesso discorso vale per i derivati dell arsenico. É necessario precisare che le regole che indicate non indicano se la reazione realmente avviene o se il composto indicato esista nella realtà ma ci forniscono solo le regole per la costruzione di ipotetiche formule. Spesso può capitare, ad esempio, che l acido non esista ma possono invece esistere i suoi derivati. Ad esempio possiamo immaginare di applicare la stessa regola per quanto concerne l anidride carbonica CO 2 + H 2 O H 2 CO 3 M. Rustici, Elementi di Chimica

70 70 Numeri di ossidazioni, nomenclatura e reazioni chimiche l acido in questione prende il nome di acido carbonico, tuttavia quest acido non esiste ma esistono i suoi sali quali quelli derivati dagli ioni HCO 3 o CO 2 3. Idracidi Gli idracidi sono composti binari generati da un non metallo e dall idrogeno e come gli ossiacidini hanno la caratteristica principale di dissociarsi in acqua sotto forma di ione H + e anione corrispondente. Gli idracidi più comuni sono quelli derivati del VII gruppo HF, HCl, HBr e HI che prendono il nome, rispettivamente di acido fluoridrico, acido cloridrico, acido bromidrico e acido iodidrico. Gli idracidi derivanti dal VI gruppo H 2 S, H 2 Se e H 2 Te che prendono il nome di acido solfidrico, selenidrico e tellurico. Sali I sali sono composti cristallini derivati da un anione di un ossiacido o di un idracido con un catione. La formula deve essere scritta in modo da rispettare sempre la sua elettroneutralità e conseguentemente la somma dei numeri di ossidazione dei rispettivi atomi deve essere uguale a 0. Formalmente possono essere derivati dalla reazione di un acido con una base. Acido + Idrossido Sale + H 2 O I sali che derivano da un idracido prendono il suffisso uro. Consideriamo la reazione HCl + NaOH NaCl + H 2 O Il sale derivato costituito dagli ioni Na + e Cl prenderà il nome cloruro di sodio e lo ione Cl si chiamerà direttamente ione cloruro. Supponiamo ora di derivare il sale partendo sempre dall acido cloridrico e trattandolo rispettivamente con idrossido ferroso e successivamente con idrossido ferrico. Le reazioni saranno 2HCl + Fe(OH) 2 FeCl 2 + 2H 2 O 3HCl + Fe(OH) 3 FeCl 3 + 3H 2 O Chiameremo il composto FeCl 2 cloruro ferroso, mentre il composto FeCl 3 cloruro ferrico. Il primo sale è costituito dagli ioni cloruro Cl e dagli ioni ferroso Fe 2+, e il secondo sale è costituito dagli ioni cloruro Cl e dagli ioni ferrico Fe 3+. Nel caso in cui volessimo derivare i sali provenienti, ad esempio, da un acido diprotico come l acido solfidrico, dobbiamo tener presente che è possibile M. Rustici, Elementi di Chimica

71 Numeri di ossidazioni, nomenclatura e reazioni chimiche 71 generare due diversi tipi di sali uno derivante dallo ione S 2 e l altro derivante dallo ione HS. Il primo ione prende il nome di ione solfuro, mentre il secondo prende il nome di idrogeno solfuro o (ione bisolfuro). Nel caso volessimo derivare i due rispettivi sali sodici le reazioni saranno H 2 S + 2NaOH Na 2 S + 2H 2 O H 2 S + NaOH NaHS + H 2 O avremo così il sale solfuro di sodio (Na 2 S) e l idrogeno solfuro (o bisolfuro) di sodio (NaHS). I sali derivanti dagli ossiacidi seguono ovviamente gli stessi schemi. Dobbiamo comunque tener presente che in questo caso il nome del sale prende il suffisso ito quando deriva da acidi con il suffisso oso, mentre il suffisso ato quando deriva dagli acidi con suffisso ico. Partendo ad esempio dagli acidi nitroso e nitrico per l ottenimento del sale sodico possiamo scrivere HNO 2 + NaOH NaNO 2 + H 2 O HNO 3 + NaOH NaNO 3 + H 2 O I due sali si chiameranno rispettivamente nitrito di sodio (NaNO 2 ) e nitrato di sodio (NaNO 3 ). Nel caso volessimo formare, ad esempio sali dell acido nitrico con lo ione rameoso Cu + o con lo ione rameico Cu 2+ le reazioni possibili potrebbero essere HNO 3 + Cu(OH) CuNO 3 + H 2 O 2HNO 3 + Cu(OH) 2 Cu (NO 3 ) 2 + 2H 2 O i rispettivi sali si chiameranno nitrato rameoso (CuNO 3 ) e nitrato rameico (Cu (NO 3 ) 2 ) Per un acido biprotico come l acido carbonico i possibili sali che possiamo derivare sono quelli associati agli ioni HCO 3 e CO 2 3 che prendono rispettivamente il nome di ione idrogeno carbonato (o bicarbonato), carbonato. Per un acido triprotico come l acido ortofosforico sarà possibile costruire i sali con i seguenti anioni PO 3 4, HPO 2 4, H 2 PO 3 i cuoi nomi saranno ri- M. Rustici, Elementi di Chimica

72 72 Numeri di ossidazioni, nomenclatura e reazioni chimiche spettivamente ione ortofosfato, ione idrogeno ortofosfato, e ione diidrogeno ortofosfato. La seguente tabella mostra qualche esempio di sale Na 3 PO 4 Na 2 HPO 4 Fe 2 (HPO 4 ) 3 NaH 2 PO 4 Co (HCO 3 ) 3 K 2 Cr 2 O 7 K 2 CrO 4 KMnO 4 ortofosfato di sodio ortofosfato acido di sodio ortofosfato acido ferrico ortofosfato biacido di sodio Carbonato acido cobaltico bicromato di potassio cromato di potassio permanganato di potassio Idruri Gli Idruri sono composti binari formati da quasi tutti gli elementi con l idrogeno. Questi composti presentano caratteristiche molto differenti a seconda che l idrogeno sia legato ai metalli o non metalli. Quando l idrogeno è legato ai non metalli ci troviamo in realtà con i composti che abbiamo già analizzato e che abbiamo indicato come idracidi. Quando viceversa l idrogeno è legato con i metalli del I e II gruppo l idruro è un composto ionico in cui l idrogeno ha numero di ossidazione -1. Gli idruri propriamente detti anche secondo la nomenclatura IUPAC sono solo quelli in cui l idrogeno ha numero di ossidazione (-1). Il composto KH prende il nome di idruro di potassio invece il composto HCl, come abbiamo visto prende il nome di acido cloridrico o cloruro di idrogeno nella nomenclatura IUPAC. Gli idruri metallici in acqua sviluppano idrogeno ad esempio per l idruro di potassio abbiamo KH + H 2 O H 2 + KOH 6.3 Nomenclatura IUPAC Per razionalizzare la nomenclatura ed eliminare i tanti casi particolari associati alla nomenclatura tradizionale l International Union of Pure and Applied Chemistry (IUPAC) suggerisce di utilizzare delle regole per le quali sia possibile che una certa formula e un certo nome siano comprensibili in tutto il mondo. Tuttavia come abbiamo osservato i nomi tradizionali vengo tuttora utilizzati non solo nella pratica comune ma anche nei prodotti commerciali. Composti Binari Il composto binario formato da un non metallo e un metallo si scrive in modo che l elemento con minore elettronegatività sia scritto per primo (con qualche eccezione come i composti del carbonio e idrogeno e i composti dell azoto e idrogeno. La IUPAC analogamente alla nomenclatura M. Rustici, Elementi di Chimica

73 Numeri di ossidazioni, nomenclatura e reazioni chimiche 73 tradizionale suggerisce di mettere il suffisso uro alla radice del nome seguito dal nome del metallo inalterato. Ad esempio il composto KF si chiamerà floururo di Litio. Anche in questo caso analogamente alla nomenclatura tradizionale i composti binari tra metallo ed ossigeno quando quest ultimo ha numero di ossidazione -2 si chiamano ossidi e perossidi quelli in cui l ossigeno ha numero di ossidazione -1. Quando ci troviamo di fronte a metalli che possono avere più di un numero di ossidazione come ad esempio il Fe che può trovarsi negli stati di ossidazione +2 e +3 per evitare ambiguità la IUPAC suggerisce di adoperare i prefisssi mono, bi, tri, tetra ecc., a secondo del numero di atomi legati all elemento. Supponiamo, ad esempio, che si voglia definire il nome dei seguenti composti FeCl 3, Fe 2 O 3, P 4 O 10 allora sulla base della definizione data chiameremo questi composti rispettivamente tricloruro di ferro, triossido di diferro, decaossido di tetrafosforo. In alternativa si può usare la notazione di Stock che consiste nell indicare il numero di ossidazione tra parentesi in numeri romani. Secondo questa notazione i composti prima citati si chiameranno rispettivamente cloruro di ferro (III), ossido di Ferro (III) e ossido di fosforo (V). Formule IUPAC tradizionale NaCl cloruro di sodio NH 3 triidruro di azoto, idruro di azoto (III) ammoniaca PH 3 triidruro di fosforo, idruro di fosforo (III) fosfina HI bromuro di idrogeno, acido iodidrico CO 2 biossido di carbonio, anidride carbonica N 2 O ossido di diazoto protossido di azoto SO 3 triossido di zolfo anidride solforica N 2 O 3 triossido di diazoto anidride nitrosa Cl 2 O 3 triossido di dicloro, ossido di cloro (III) anidride clorosa Cu 2 O ossido di rame, ossido di cloro (I) ossido rameoso sali e ioni La IUPAC suggerisce di chiamare i cationi monoatomici come ad esempio Na + o ione Li + semplicemente come ione sodio o ione litio. Per ionio che posseggono più di uno stato di ossidazione viene consigliata la notazione Stock. Pertanto gli ioni Mn 2+, Cu +, Cr + si chiameranno ione manganese (II), ione rame (I) e ione Cromo (III). Per quanto riguarda i cationi poliatomici le regole IUPAC suggeriscono di utilizzare il suffisso onio. La seguente tabella indica i composti cationici poliatomici più comuni. M. Rustici, Elementi di Chimica

74 74 Numeri di ossidazioni, nomenclatura e reazioni chimiche Formule NH + 4 PH + 4 SH + 3 H 3 O + H 3 Se + IUPAC ammonio fosfonio solfonio ossonio o idroossonio selenonio per gli anioni monoatomici la nomenclatura è identica a quella tradizionale. Lo ione prende semplicemente il suffisso uro. Ad esempio ione cloruro, ione floururo, l unica eccezione riguarda lo ione O 2 che prende il nome di ione ossido. Per gli anioni poliatomici come NO 3, NO 2, SO 2 3, SO 2 4. La IUPAC raccomanda di mettere il suffisso ato alla radice del nome preceduto dal nome ione, indicando inoltre il numero di ossidazione secondo la nomenclatura Stock. Gli anioni descritti si chiameranno rispettivamente ione nitrato (III) o ione diossinitrato, ione solfato (III) o ione triossisolfato, ione solfato (VI) o ione tetrossisolfato. Le stesse regole appena espste riguardano anche i sali. La tabella rappresenta alcuni nomi nella nomenclatura IUPAC. Formule Na 3 PO 4 Na 2 HPO 4 Fe 2 (HPO 4 ) 3 NaH 2 PO 4 Co (HCO 3 ) 3 K 2 Cr 2 O 7 K 2 CrO 4 KMnO 4 IUPAC tetroossifosfato di sodio tetrossifosfato acido di sodio tetrossofosfato acido di ferro (III) tetrossifosfato biacido di sodio triossicarbonato acido di cobalto (III) eptaossidicromato di potassio tetraossicromato di potassio tetraossimanganato di potassio Acidi Gi acidi assumono lo stesso nome che assumono i sali a parte il fatto che al posto del catione metallico c è l idroveno. Ad esempio il comune acido solforico H 2 SO 4 si chiamerà tetraossisolfato di diidrogeno o analogamente solfato (IV) di diidrogeno.l acido solforoso H 2 SO 3 si chiamerà triossisolfato di diidrogeno o solfato (IV) di diidrogeno. 6.4 Reazioni di ossido riduzione Le reazioni di ossido riduzione sono quelle reazioni in cui alcuni degli elementi, nei rispettivi composti, che reagiscono cambiano il proprio numero o stato di ossidazione In particolare si dice che un elemento si riduce quando il suo numero di ossidazione diminuisce mentre un elemento si ossida quando il numero di ossidazione aumenta. In altre parole un elemento si riduce quando acquista elettroni M. Rustici, Elementi di Chimica

75 Numeri di ossidazioni, nomenclatura e reazioni chimiche 75 e si ossida se perde elettroni. Supponiamo si voglia prendere in considerazione la seguente reazione in cui lo ione permanganato (MnO 4 ) ossida lo ione ferroso (Fe 2+ ) a ione ferrico (Fe 3+ ) riducendosi a ione manganoso (Mn 2+ ). Possiamo scrivere la reazione, da bilanciare, nella forma seguente MnO 4 + Fe 2+ Mn 2+ + Fe 3+ (6.1) dove il manganese nello ione permanganato avrà numero di ossidazione -7, per gli altri ioni la carica formale coincide con quella reale e pertanto con il numero di ossidazione. Il bilanciamento della reazione le seguenti regole bilanciamento elettronico bilanciamento di carica bilanciamento di massa Si osserva che nella reazione il manganese passa da +7 a +2 in altre parole si riduce acquistando 5 elettroni. Il ferro viceversa si ossida cedendo un elettrone. Possiamo allora bilanciare gli elettroni moltiplecando ogni atomo di ferro per 5. Otteniamo così MnO 4 + 5Fe 2+ Mn Fe 3+ (6.2) Tenendo presente che la reazione avviene in ambiente acido possiamo usare i protoni (H + ) per bilanciare le cariche. Osserviamo che a sinistra ci sono 9 cariche positive mentre a destra ci sono 17 cariche positive allora sarà necessario aggiungere a sinistra 8 protoni. in altre parole avremo che MnO 4 + 5Fe H + Mn Fe 3+ (6.3) Possiamo a questo punto completare il bilanciamento delle masse, ciò può essere fatto aggiungendo a destra un numero di molecole di acqua sufficienti a bilanciare gli atomi di idrogeno e di ossigeno in eccesso alla sinistra della reazione. Aggiungendo così a destra 4 molecole di acqua otterremo la MnO 4 + 5Fe H + Mn Fe H 2 O Supponiamo ora di considerare l ossidazione in ambiente acido dell acqua ossigenata ad ossigeno da parte del bicromato di potassio come è deducibile dalla tabella M. Rustici, Elementi di Chimica

76 76 Numeri di ossidazioni, nomenclatura e reazioni chimiche Cr 2 O H 2 O 2 Cr 3+ + O 2 Nell acqua ossigenata ogni atomo di ossigeno (essendo tra loro legati) ha numero di ossidazione -1, Il Cr invece nello ione bicromato ha numero di ossidazione + 6 siamo infatti in presenza di due atomi di cromo. Ogni atomo di cromo passa pertanto da + 6 a + 3 acquistando (cioè riducendosi) in totale 6 elettroni. Dovremmo pertanto moltiplicare l acqua ossigenata e l ossigeno molecolare per 6. Ogni atomi di ossigeno, nell acqua ossigenata, perde un elettrone ossidandosi si dovrebbe allora moltiplicare gli ioni contenenti il Cr per 2. Essendo però 6 divisibile per 2 è sufficiente moltiplicare gli ioni contenenti Cr per 1 e quelli contenenti O per 3 fermo restando che lo ione Cr 3+ deve essere il doppio dello ione bicromato. Allora avremo Cr 2 O H 2 O 2 2Cr O 2 dato che siamo in ambiente acido possiamo usare i protoni per il bilanciamento di carica. Essendo le cariche a sinistra della reazione -2 e quelle a destra +6 dobbiamo aggiungere a sinistra della reazione 8 protoni, cioè Cr 2 O H 2 O 2 + 8H + 2Cr O 2 basterà allora aggiungere a destra della reazione 7 molecole di acqua per bilanciare le masse Cr 2 O H 2 O 2 + 8H + 2Cr O 2 + 7H 2 O Nel caso che le reazioni dovessero avvenire in ambiente alcalino il bilancio di carica viene effettuato mediante l aggiunta di ioni ossidrili a destra o a sinistra della reazione. M. Rustici, Elementi di Chimica

77 Capitolo 7 Stati di aggregazione della materia 7.1 Stati di aggregazione della materia Gli stati di aggregazione della materia sono lo stato gassoso, liquido e solido. Uno stato di aggregazione è caratterizzato da un unica fase cioè da una regione omogenea in cui le proprietà chimico fisiche del sistema sono costanti. Lo stato di aggregazione o la fase della materia è definito dalla somma di due forze che agiscono in modo opposto. Queste due forze hanno origine nelle forze intermolecolari e nell energia cinetica delle molecole o atomi. Come è noto è possibile passare da uno stato della materia all altro fornendo calore al sistema. Essendo il calore un flusso di energia che esiste in virtù di un gradiente termico tale flusso provoca la variazione della temperatura del sistema e pertanto aumenta (quando la temperatura aumenta) l energia cinetica delle molecole. È ovvio che se l energia cinetica prevale sull attrazione molecolare avremo lo stato solido se vale il viceversa avremo lo stato gassoso. La situazione intermedia possiamo classificarla come stato liquido. Ovviamente si tratta di una rozza spiegazione ma nonostante tutto dà una prima indicazione dell esistenza degli stati della materia. Un fenomeno importante che possiamo osservare è che durante una transizione di fase la temperatura del sistema rimane costante. Durante tale periodo siamo in presenza di due fasi in equilibrio tra loro e l energia fornita al sistema serve, non per aumentare l energia cinetica delle molecole, ma per assorbire il calore latente associato alla transizione di fase. La temperatura inizierà nuovamente a salire quando sarà scomparsa una delle due fasi. Consideriamo ad esempio il diagramma di stato dell acqua (figura 7.1). Possiamo vedere che lo stato di aggregazione dell acqua dipende dalla pressione e della temperatura e al variare di questi due parametri si può passare da uno stato all altro. Le linee di separazione tra le fasi indicano gli stati in cui due fasi sono in equilibrio tra di loro. Ogni punto lungo la curva rappresenta la temperatura e la

78 78 Stati di aggregazione della materia Figura 7.1. pressione in cui le due fasi coesistono in equilibrio. Il punto di intersezione delle tre curve si chiama punto critico e indica quella particolare situazione in cui le tre fasi sono in equilibrio tra di loro Regola delle fasi Un importante regola che aiuta a comprendere meglio gli equilibri di fase è la regola delle fasi f = c p + 2 dove c è il numero dei componenti indipendenti p è il numero della fasi presenti nel sistema e f rappresenta il numero dei gradi di libertà del sistema. f esprime il numero delle variabili (volume, pressione e concentrazione) che possono essere variate indipendentemente senza variare il numero delle fasi in equilibrio Forze intermolecolari Come abbiamo detto la natura delle fasi della materia è principalmente dovuta alle forze che si esercitano tra le molecole (forze intermolecolari). Queste forze sono molto più deboli delle forze intermolecolari ma a sua volta sono abbastanza

79 Stati di aggregazione della materia 79 Figura 7.2. forti da spiegare le fasi di aggregazione della materia. Queste forze possono essere suddivise in base alla loro forza ione-dipolo Quando uno ione e una molecola polare vicina si attraggono mutuamente, si origina una forza ione-dipolo. Un importante esempio si manifesta ad esempio quando un sale si scioglie in acqua. Gli ioni si separano perché le attrazioni tra gli ioni e i poli opposti delle molecole vincono le attrazioni tra gli ioni stessi. dipolo-dipolo Quando le molecole polari sono vicine l una all altra, come nei liquidi e nei solidi le loro cariche parziali agisono da minuscoli campi elettrici e danno origine a forze dipolo-dipolo. legame ad idrogeno Le forze dipolo-dipolo non sono sufficienti a spiegare il comportamento di certo liquidi. Ad esempio se confrontiamo i punti di ebollizione di sostanze analoghe si possono trovare delle anomalie. In generale si osserva che il punto di ebollizione aumenta con l aumentare del peso molecolare, tuttavia se noi proviamo a confrontare i punti di ebollizioni di sostanze come H 2 O, H 2 S, H 2 Se, H 2 Te dovremmo aspettarci, dato che i pesi atomici degli elementi del VI gruppo sono in ordine crescente Te>Se>S>O, che il punto di ebollizione cresca scendendo nella tavola periodica (figura 7.2). Questo non accade, anzi, il punto di ebollizione dell acqua come è noto è

80 80 Stati di aggregazione della materia Figura 7.3. di C e quello dell acido solfidrico è intorno a C. In questo caso e in tutti gli altri casi si parla allora del legame ad idrogeno. Questo particolare tipo di legame si origina tra molecole che hanno un atomo di H legato ad un atomo di piccole dimensioni, fortemente elettronegativo, con coppie di elettroni solitarie. La figura 7.3 mette in evidenza il legame a idrogeno nel caso di due molecole di acqua. carica-dipolo indotto Le nuvole elettroniche di legame o di non legame non sono fisse ma sono sempre in continuo movimento. Questo implica che si possano originare dei dipoli istantanei che a sua volta possono indurre la formazione di dipoli. La facilità con cui una nuvola elettronica può essere distorta è detta polarizzabilità. Questa proprietà aumenta con le dimensioni atomiche o molecolari. forze di London Nel caso di molecole apolari possiamo chiederci in che modo queste sostanze possono liquefarsi o solidificare. Nel caso di sostanze apolari la principale forza che è responsabile dei fenomeni di condensazione è nota come forza di dispersione o forza di London. Le forze di dispersione sono causate da oscillazioni momentanea della carica elettronica. In ogni istante la carica può non essere distribuita uniformemente e così si vengono a generare dei dipoli istantanei, capace a sua volta di influenzare gli atomi vicini inducendo negli atomi vicini un dipolo indotto. Le forze di dispersione sono allora forze istantanee dipolo-dipolo indotto. Queste forze sono deboli ma si esercitano in qualsiasi tipo di particella.

81 Stati di aggregazione della materia Stato gassoso Il concetto di gas ideale acquisterà un significato sempre più chiaro a mano a mano che si procederà nel corso del libro. Vogliamo comunque introdurre inizialmente il concetto del gas ideale per mezzo di una definizione microscopica. 1. Un gas è costituito da un numero enorme di molecole o atomi che saranno dell ordine del numero di Avogadro. 2. Le molecole di un gas ideale vengono considerate come particelle puntiformi rigide, impenetrabili, indeformabili, e che si muovono seguendo traiettorie casuali. 3. Le molecole di un gas ideale non esercitano né forze attrattive né forze repulsive sulle altre molecole. 4. Gli urti che tali particelle effettuano contro le pareti del recipiente sono perfettamente elastici. 5. In assenza di forze esterne le molecole sono uniformemente distribuite e la densità molecolare è costante. 6. La velocità di una molecola non ha direzioni privilegiate e il suo modulo sarà distribuito su un intervallo di velocità. Da un punto di vista macroscopico è necessario invece, per poter definire lo stato e le sue proprietà di un gas, definire due concetti fondamentali che stanno alla base di tutta la termodinamica: temperatura e pressione. La temperatura può essere definita macroscopicamente facendo uso del concetto di equilibrio termico. Consideriamo un sistema descritto dalle coordinate macroscopiche X e Y. Si chiama equilibrio quello stato in cui X e Y assumono determinati valori e non cambiano nel tempo. Supponiamo di avere un sistema A ed un sistema B in equilibrio caratterizzati rispettivamente dalle coordinate X, Y e X, Y, separati da una parete adiabatica. Sostituiamo la parete adiabatica con una parete conduttrice; osserveremo allora che i valori X, Y, X, Y, cambieranno spontaneamente fino a che non si raggiungerà uno stato di equilibrio del sistema. Si dice allora che i due corpi sono in equilibrio termico. In particolare se due sistemi sono entrambi in equilibrio termico con un terzo allora sono in equilibrio termico tra loro. Questo costituisce il principio zero della termodinamica. Chiameremo temperatura la proprietà che determina se un sistema sia o non sia in equilibrio termico con altri sistemi. Come è noto la pressione viene definita come la forza normale alla superficie sulla quale si esercita divisa per l area della superficie medesima. Per un fluido vale il principio dell isotropia delle pressioni, per il quale la pressione che si esercita su un punto di un fluido non varia al variare della superficie sulla quale si esercita.

82 82 Stati di aggregazione della materia Gli esperimenti di Boyle, Gay-Lussac e quelli dei loro successori effettuati sui gas hanno permesso di inferire una legge, nota oggi come legge dei gas ideali, che assume la forma P V = nrt (7.1) dove R è una costante universale indipendente dal tipo di gas considerato e P, V, n e T sono rispettivamente la pressione, il volume, il numero di moli, e la temperatura. Questa equazione è una legge limite per i gas reali Legge di Dalton Per un sistema conentenente 2 o più gas la pressione totale è esprimibile come somma delle pressioni parziali P = p 1 + p p c = i P i (7.2) dove P i sono le pressioni parziali dei singoli componenti della miscela gassosa. L equazione 7.2 è nota come legge di Dalton dal chimico e matematico inglese John Dalton. Consideriamo un sitema a due componenti (1 e 2) a T e V costanti la pressioni dei duie gas rispettivamente potranno essere scrittre come P 1 V = n 1 RT P 1 = n 1RT V P 2 V = n 2 RT P 2 = n 2RT V applicando la legge di Dalton possiamo scrivere P = P 1 + P 2 = n 1RT V + n 2RT V = (n 1 + n 2 ) RT V dividendo le pressioni parzili per la pressione totale così ottenuta avremo P 1 = n 1 n 1 + n 2 P = x 1 P P 2 = n 2 n 1 + n 2 P = x 2 P dove x 1 e x 2 sono le frazioni molari dei gas 1 e 2. La frazione molare definita come il rapporto tra le moli di un gas e le moli complessive di tutti i gas presenti, è una grandezza adimensionale. Inoltre, per definizione, la somma di tutte le frazioni molari è uguale all unità xi = 1

83 Stati di aggregazione della materia 83 Figura Gas reali Il comportamento dei gas reali può facilmente essere evidenziato per mezzo del fattore di compressibilità Z definito come il rapporto tra la pressione esercitata da un gas reale e quella esercitata dallo stesso gas nelle medesime condizioni di temperatura e pressione. Per un gas ideale evidentemente Z è costante ed è uguale ad 1, mentre per un gas reale si ha uno scostamento più o meno pronunciato da tale valore. A basse pressioni i gas hanno un fattore di compressibilità vicino ad 1 e sono così più vicini ad un gas perfetto. Ad alte pressioni tutti i gas hanno Z > 1, questo significa che i gas reali sono meno comprimibili degli ideali. A basse pressioni e a temperature non elevate Z può essere negativo. Le proprietà dei gas reali, alla luce di questi dati sperimentali, possono essere spiegate per mezzo dell effetto contrastante di due fattori: il covolume e le forze di interazione. Il covolume rappresenta il volume proprio delle molecole - pertanto un gas occupa in realtà un volume inferiore rispetto a quello del gas ideale. Quando il fattore predominante è quest ultimo Z risulterà maggiore di 1, viceversa quando dominano le forze di interazione Z risulterà minore dell unità. Un utile equazione per la descrizione dei gas reali è l equazione di van der Waals. L esistenza di un volume proprio delle molecole fa sì che le particelle si muovano effettivamente in un volume inferiore V nb rispetto al volume V del recipiente, dove nb è approssimativamente il volume totale occupato dalle molecole. Questo suggerisce che la legge dei gas perfetti dovrebbe essere modificata

84 84 Stati di aggregazione della materia Figura 7.5. nella seguente P (v nb) = nrt (7.3) Le interazioni attrattive, viceversa, dovrebbero ridurre la pressione da loro esercitata e, introducendo un termine di riduzione per la pressione a(n/v ) 2, l equazione assumerà la forma P = nrt ( n ) 2 V nb a (7.4) V dove a/v 2 è chiamata pressione interna. Le isoterme di Andrews rappresentate in Fig. 7.5 mettono bene in evidenza le deviazioni dal comportamento ideale. Ad alte pressioni il gas segue l isoterma di Boyle mentre a temperature più basse si osserva l esistenza di una regione in cui al diminuire del volume non si registra nessuna variazione della pressione. In questa regione il gas in realtà non è più definibile come tale e per questo motivo viene chiamato vapore. Esiste, infatti, una temperatura detta critica, T C, sotto la quale un gas per compressione si trasforma nella fase liquida: definiamo tale gas vapore. Un aeriforme che si trova ad una temperatura inferiore alla temperatura critica, e perciò liquefa per solo compressione, viene chiamato vapore. La pressione corrispondente viene detta pressione di vapor saturo.

85 Stati di aggregazione della materia 85 Figura Stato solido Possiamo suddividere i solidi in due categorie generali sulla base del grado di ordine delle loro forme, che a sua volta si basa sul grado di ordine delle particelle che lo costituiscono. I solidi cristallini hanno generalmente una forma ben definita in quanto le particella esistono in una disposizione ordinata. I solidi amorfi hanno forme mal definite perché sono privi di un vasto ordine delle loro particelle a livello molecolare. Comunque in genere la parola solido si riferisce allo stato cristallino. Lo stato cristallino è caratterizzato dalla distribuzione ordinata e periodica della materia costituente. Tale ordine, come abbiamo detto, è riconducibile ad un ordine a lungo raggio delle molecole o atomi che lo costituiscono. In particolare gli atomi o molecole si distribuiscono, almeno in una configurazione ideale, in un reticolo cristallino. Ovviamente questo reticolo non è identico per tutti i cristalli ma dipende dalla dimensioni atomiche e molecolari. In natura si osservano 7 sistemi cristallini e 14 tipi di cella elementare, quest ultima rappresenta la più piccola parte del cristallo che se ripetuta genera tutto il cristallo. La struttura cristallina dei metalli è la più semplice, perché gli atomi di un dato metallo hanno tutti le stesse dimensioni e sono privi di carica. Il legame metallico non è direzionale; perciò in molti cristalli, gli atomi sono disposti in modo da raggiungere l impacchettamento più efficiente secondo tre tipi di celle elementari. In alcuni cristalli, il numero di coordinazione è 8 e la struttura è cubica a corpo centrato (Li, Na, K); più frequentemente il numero di coordinazione è 12 e si possono avere due tipi di impacchettamento: cubico compatto (a facce centrate) ed esagonale compatto (figura 7.6). Per meglio comprendere questi due tipi di organizzazione, immaginiamo di disporre delle sfere su un piano nella maniera più compatta possibile. Si ottiene uno strato in cui ogni sfera è circondata da 6 sfere. A questo si può sovrapporre un secondo strato, in modo da disporre le sfere nelle cavità del primo strato. Un terzo strato può, a questo punto, essere sovrapposto solo in due modi diversi: o in modo da ricalcare il primo strato si ottiene l impacchettamento esagonale compatto o

86 86 Stati di aggregazione della materia Figura 7.7. Figura 7.8. in modo da non ricalcare il primo strato si ottiene l impacchettamento cubico compatto (figura 7.7). Nei solidi ionici le particelle sono costituite da ioni di carica opposta che si attraggono per azione elettrostatica. L impacchettamento dei cristalli ionici dipende dalle dimensioni del catione e dell anione. Nel caso del cloruro di cesio CsCl (figura 7.8) la cui cella elementare contiene gli ioni clorurio ai vertici e lo ione cesio al centro abbiamo una cella elementare con un impacchettamento cubico semplice. Nel caso invece del cloruro di sodio in cui lo ione sodio è molto più piccolo dello ione cesio il cristallo assumerà una struttura diversa. In particolare possiamo immaginare la struttura cristallina che si origina quando due disposizioni di ioni si compenetrano in modo tale che gli ioni Na + più piccoli finiscano nei buchi tra gli ioni Cl più grandi. Ogni ione Na + è circondato da 6 ioni Cl e viceversa, dove gli ioni cloruro e gli ioni sodio sono organizzati in una disposizione cubica a facce centrate (figura 7.9). I solidi covalenti invece sono organizzati secondo una struttura reticolare di tipo covalente. Le due forme comuni del carbonio elementare sono esempi di solidi covalenti reticolari, diamante e grafite. Come è noto le proprietà chimico fisiche dei due solidi sono completamente diverse e questo è direttamente legato proprio a causa della diversa struttura elementare. La grafite si presenta sotto forma di strati piani impilati da anelli esagonali di atomi di carbonio con legami σ e π. Gli strati piani interagiscono tra loro mediante forze di dispersione. La presenza di elettroni π delocalizzati su tutto il cristallo fanno sì che il cristallo sia un buon conduttore di elettricità. Nel diamante invece ogni atomo di carbonio è ibridato sp 3 e ogni atomo di carbonio è legato ad un altro mediante legami σ secondo una struttura tetraedrica. Il diamante cristallizza in un sistema cubico a facce

87 Stati di aggregazione della materia 87 Figura 7.9. centrate, in cui ciascun atomo è circondato tetraedricamente da altri quattro atomi ci carbonio in una disposizione pressoché illimitata. Legami singoli forti in tutto il cristallo fanno del diamante la sostanza più dura che si conosca. Quando elementi esistono in forme differenti a causa del modo in cui gli atomi si legano tra loro si parla di allotropia. Quando invece una stessa specie chimica, o allo stato elementare o allo stato composto, si presenta in più forme cristalline che differiscano per il tipo di impacchettamento, si parla di polimorfismo. Ad esempio il carbonato di calcio cristallizza come aragonite(sistema rombico) o calcite (sistema romboedrico). Intendiamo invece per isomorfismo il fenomeno per cui sostanze chimicamente diverse danno luogo a cristalli simili. 7.4 Stato liquido Lo stato liquido è uno stato con caratteristiche intermedie tra lo stato solido e lo stato gassoso. Questa caratteristica rende difficile la spiegazione accurata delle interazioni intermolecolari. Le principali proprietà sono enunciate qui di seguito. hanno un volume proprio grazie alle forze coesive ma non hanno forma propria presentano ordine a corto raggio. Le molecole si raccolgono in grappoli, l impacchettametno non è regolare. Hanno densità minore rispetto a quella dei solidi l acqua è un eccezione. non sono comprimibili si espandono all aumentare della temperatura a causa dell aumento del disordine molecolare causato dall aumento dell energia cinetica. diffondono in genere l uno nell altro sono isotropi

88 88 Stati di aggregazione della materia la loro viscosità è legata alla dimensione molecolare e dalla forma delle molecole costituenti. Tendono ad avere la minore area superficiale possibile. Questo fenomeno è dovuto al fatto che le molecole al centro del liquido sono esposte a forze simmetriche quelle alla superficie a forze asimmetriche. Questo genera sulla superficie del liquido la cosiddetta tensione superficiale. bagnano la superficie in cui sono messi a contatto Viscosità la viscosità di un fluido, come un gas, un liquido o una soluzione è un indice della sua resistenza allo scorrimento. La viscosità viene determinata, in genere, facendo scorrere un fluido all interno di un capillare allo scopo di misurare la resistenza allo scorrimento. La viscosità di una soluzione è, in genere, più elevata di quella del solvente puro. La presenza del soluto altera il normale andamento del flusso, provocando un aumento della viscosità. Questo aumento è notevole specie quando il soluto è costituito da macromolecole. La viscosità solitamente diminuisce all aumentare della temperatura Tensione superficiale L asimmetria che si genera tra le molecole presenti nella fase massiva rispetto a quelle superficiali, a contatto con la fase gassosa dell aria o del recipiente che lo contiene, rende le proprietà superficiali del liquido diverse da quella massive. Questa interazione non bilanciata subita dalle molecole nello strato superficiale ha come conseguenza che il liquido tende a minimizzare la sua area superficiale (fig. 7.10). Per questo motivo una goccia di liquido adotta la forma sferica. Questa forza prende il nome di tensione superficiale del liquido che può essere definita come l energia superficiale per unità di superficie. L innalzamento capillare è un modo per misurare la tensione superficiale dei liquidi. Sebbene si osservi abitualmente l innalzamento dei liquidi in un tubo capillare, questo fenomeno non ha carattere universale. Per esempio quando si immerge un tubo capillare nel mercurio liquido, il livello superiore del liquido nel tubo è in realtà più basso della superficie del liquido libero (fig.7.11). Questi due diversi comportamenti sono comprensibili considerando l attrazione intermolecolare tra molecole simili nel liquido, detta coesione e l attrazione tra il liquido e la parete di vetro, detta em adesione. Se l adesione è più forte della coesione le pareti diventano bagnabili e il liquido sale lungo le pareti. Poiché l interfaccia vapore liquido resiste allo stiramento, anche il liquido al centro della colonna si innalza. Al contrario, se la coesione è più forte dell adesione, il liquido del capillare forma una depressione.

89 Stati di aggregazione della materia 89 Figura Forze intermolecolari che agiscono su una molecola dello strato superficiale e su una molecola nella fase massiva del liquido La tensione superficiale delle soluzioni saline è in genere vicina a quella dell acqua pura, la tensione superficiale invece può diminuire nettamente quando la sostanza disciolta è ad esempio un acido grasso. In questo caso le molecole si accumulano sulla superficie disponendosi in modo da lasciare la testa idrofilica a contatto con l acqua e la coda idrofobica a contatto con l aria. Come conseguenza la tensione superficiale dell acqua diminuisce notevolmente. Tutte le sostanze che provocano una diminuzione della tensione superficiale sono tensioattivi. Tra i tensioattivi più efficiaci ci sono i saponi e le proteine denaturate. L azione dei tensioattivi gioca un ruolo importante anche nel processo della respirazione. La superficie dei polmoni è la superficie più estesa del corpo umano in contatto con l ambiente. Durante la normale ispirazione, la pressione negli alveoli è inferiore a quella della pressione atmosferica di circa 3 mmhg cosa che permette all aria di fluire attraverso i vasi bronchiali. Gli alveoli sono tappezzati da un fluido che ha una tensione superficale di 0.05 N/m. Durante l ispirazione gli alveoli si espandono, ma affinché si verifichi l espansione la pressione deve essere almeno di circa 15 mmhg, tuttavia la pressione effettiva è solo 1/15 della pressione necessaria per l espansione dell alveolo. Per superare questo problema le cellule secernono la dipalmitil leucina che è un particolare tensioattivo che riducendo fortemente la tensione superficiale permette all alveolo di espandersi senza difficoltà. Quando il tensioattivo non è presente si ha il disturbo noto come sindrome da insufficienza respiratoria del neonato, che colpisce frequentemente i neonati immaturi in cui le cellule che secernono il tensioattivo non funzionano ancora in modo adeguato. Anche nei neonati in buona salute gli alveoli sono talmente collassati alla nascita che è necessria una differenza di pressione di circa mmhg per espanderli la prima volta.

90 90 Stati di aggregazione della materia Figura Fenomeno dell azione capillare dell acqua rispetto a quella del mercurio 7.5 La diffusione La diffusione è un flusso di materia che si verifica in presenza di un gradiente di concentrazione. Attraverso questo processo i gradienti di concentrazione vengono eliminati fino a che il sistema non diventa omogeneo. Ogni qual volta si manifesta una disomogeneità nella concetrazione in un liquido il sistema cerca di raggiungere l equilibrio annullando i gradienti di concentrazione presenti nella soluzione. Il flusso di materia si arresta non appena il sistema diventa omogeneo. Il flusso risulta direttamente proporzioale al gradiente come è stato osservato per la prima volta dal fisiologo tedesco Adolf Eugen Fick. Il coefficiente di porporzionalità è noto come coefficiente di diffusione D e varia da sostanza a sostanza. Possiamo riassumere la proporzianalità attraverso la relazione J = D C x (7.5) il segno meno indica che il flusso si muove dalla concentrazione più alta verso quella più bassa e la quantità C/ x è l gradiente di concentrazione. L equazione 7.5 è nota come prima legge di Fick.

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