IL JOBS ACT UN OCCASIONE DA NON PERDERE

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1 N 37 - Novembre 2014 In questo numero Mancato accordo transattivo: il successivo licenziamento non è ritorsivo Commento al decreto del Tribunale di Roma depositato il nel procedimento ex art. 28 dello Statuto dei Lavoratori Trasferimento di ramo d azienda: crisi aziendale e frode alla legge. L'alterazione della lettera di assunzione da parte del responsabile del personale legittima il licenziamento per giusta causa L irrilevanza degli indici della subordinazione Sentenza Corte di Cassazione n del 24 ottobre 2014 Le assenze per malattia possono configurare scarso rendimento e portare al legittimo licenziamento 1 UN PASSO ALLA VOLTA SI PUÒ ANDARE LONTANO Lentamente, faticosamente, il sistema sembra muoversi. Già i cambiamenti normativi hanno smontato passo dopo passo buona parte del vecchio e bizantino quadro normativo. Ora, arrivate al massimo grado di giurisdizione le prime vertenze, sembra prendere forma anche l orientamento della giurisprudenza, delineando un primo quadro di riferimento. Non ci resta che attendere quanto (speriamo) discenderà in tema di semplificazione dal Jobs act e dai provvedimenti ad esso correlati. Enrico Cazzulani, Past President - AIDP Gruppo Regionale Lombardia IL JOBS ACT UN OCCASIONE DA NON PERDERE di Franco Toffoletto Presidente e Managing Partner, Toffoletto De Luca Tamajo e Soci È un momento importante per il diritto del lavoro italiano. Un momento forse storico che, probabilmente, porterà al totale superamento degli stessi presupposti della legislazione in materia di lavoro degli anni '60 e 70: dal divieto di appalto di mano d'opera (L. 1369/1960), alla prima legge sul contratto a termine (L. 230/1962), alla disciplina dei licenziamenti (L. 604/1966 e 108/1990), allo Statuto dei Lavoratori (L. 300/1970). In realtà di tutto quell'impianto normativo resta ben poco, in quanto quasi interamente superato dagli interventi normativi degli ultimi 10 anni: quello che allora era vietato, ora è permesso e disciplinato. Così la somministrazione di lavoro ha portato al superamento del generale divieto di interposizione nelle prestazioni di lavoro; l'intermediazione e la selezione dei lavoratori non sono più vietati e monopolio statale (sembra incredibile oggi che lo Statuto dei Lavoratori imponesse la chiamata numerica...); il contratto a termine è, oramai, sostanzialmente libero; l'art. 18 ha cominciato ad essere modificato per abbandonare l'esclusività del rimedio reintegratorio a favore di rimedi economici (come era prima dell introduzione dello Statuto)come è nella maggior parte dei paesi europei. Del vecchio impianto sopravvivono solo alcune norme, come ad esempio gli artt. 4 e 8 dello Statuto e gli artt e 2113 del codice civile, che costituiscono ostacoli importanti alle modifiche organizzative che il cambiamento del mondo impone a tutte le aziende. L'idea che circola in questo momento, infatti, è di riscrivere tutto il diritto del lavoro in 64 articoli. Ed abrogare tutto il resto. Tali articoli verrebbero correttamente inseriti nel codice civile, per ribadire l'appartenenza del diritto del lavoro al diritto civile. Si tratta, certamente, di una operazione delicata ed impegnativa, contrastwerkstatt - Fotolia.com

2 ma non impossibile. È questo il contenuto del Jobs act? Non lo sappiamo, ma c'è chi dice sia così. Speriamo. Oggi un codice del lavoro, una raccolta cioè della sola normativa vigente, consta di centinaia di leggi che nel complesso superano facilmente il migliaio di pagine. Come se ciò non bastasse, a volte, non si sa neppure se alcune norme siano ancora in vigore. E' immaginabile sostituire tutto questo con 64 articoli del codice civile? La risposta è certamente si. E forse sarebbe anche un'operazione che ci consentirebbe di riacquistare un po' di prestigio internazionale: alla fine - si potrà dire, ancora una volta - quando gli italiani si impegnano, le cose le fanno bene. Uno degli elementi per rimontare le classifiche che ci penalizzano non poco e per ridare al mondo economico una maggiore fiducia (elementi essenziali per favorire gli investimenti) è offrire regole certe. Nella recente classifica pubblicata dall Economist l Italia è al quarto posto nei paesi dove non investire dopo Grecia, Slovacchia e Slovenia: non ce lo meritiamo. Sembra che il nostro attuale Governo sia seriamente intenzionato a cambiare. Ma non basta. Occorre anche che il progetto sia tecnicamente perfetto. Il nostro codice civile è una meraviglia della conoscenza giuridica. Non possiamo permetterci interventi approssimativi e imprecisi. È una grande occasione: cerchiamo, come spesso è avvenuto in passato, di non sprecarla. MANCATO ACCORDO TRANSATTIVO IL SUCCESSIVO LICENZIAMENTO NON È RITORSIVO Commento a ordinanza del Tribunale di Roma del 18 settembre 2014 di Simonetta Candela Partner, Studio Legale Associato in associazione con Clifford Chance del motivo oggettivo di licenziamento L'ingiustificatezza non comporta automaticamente il carattere ritorsivo del provvedimento, anche se intimato a seguito del rifiuto di sottoscrivere una proposta transattiva. Il principio è stato affermato dalla recente ordinanza di rigetto del Tribunale di Roma, in relazione ad una circostanza di fatto alquanto comune nell'esperienza pratica delle aziende: talvolta, infatti, pur in presenza di fondati motivi di licenziamento, le aziende possono ritenere opportuno sondare un'eventuale disponibilità transattiva del dipendente, allo scopo di evitare non solo l'alea del giudizio, ma anche i tempi e i costi di un processo. Nella prima parte dell'ordinanza il Tribunale si pronuncia sul requisito dimensionale del datore di lavoro, dichiarando l'inammissibilità della domanda della lavoratrice volta ad individuare nelle società resistenti un unico centro unico di imputazione di interessi. Il Tribunale motiva la decisione ritenendo che la titolarità effettiva del rapporto, in contrasto con la situazione apparente, non possa rientrare tra le questioni attinenti la "qualificazione del rapporto" (art. 1, comma 41), data la sommarietà che contraddistingue il cd. "rito Fornero". Nella seconda parte, in relazio- apops - Fotolia.com ne al carattere ritorsivo del licenziamento intimato, il Tribunale ribadisce come non sia sufficiente, per potersi affermare la ritorsività e quindi la nullità del provvedimento, che la motivazione addotta dal datore di lavoro risulti ingiustificata. Occorre in ogni caso dimostrare, con onere a carico del lavoratore, non solo che la ritorsione abbia attinenza diretta con le circostanza addotte, ma che abbia anche avuto efficacia determinante in via esclusiva della volontà del datore di lavoro. Il rapporto di causalità tra il licenziamento ed il carattere ritorsivo dello stesso non può dunque desumersi dalla "mera circostanza che una transazione sia stata proposta alla lavoratrice e dalla stessa rifiutata". In assenza di allegazione e prova di ulteriori elementi, il licenziamento per GMO, sebbene nella fattispecie ingiustificato, non è stato ritenuto causalmente riconducibile al rifiuto di sottoscrivere una transazione, né 2

3 a maggior ragione idoneo a provare l'univocità ed esclusività dell'intento ritorsivo. Un simile ragionamento, infatti, porterebbe all'elusione del requisito dimensionale di cui all'art. 18 St. Lav., non richiesto nel caso di licenziamento ritorsivo. Le motivazioni alla base dell'ordinanza sono peraltro conformi alla ratio di una nota sentenza della Corte di Cassazione (n. 7046/2011) che, in un caso opposto il licenziamento per GMO era stato ritenuto giustificato - accertata l'obiettiva esistenza dei fatti necessari per radicare il potere di recesso, ha ritenuto irrilevanti eventuali profili di arbitrarietà e irrazionalità dei motivi dell'atto, così come l'esistenza di ipotesi di discriminazione diverse da quelle tipizzate dalla legge, sempre che non sia configurabile un motivo determinante contrario a norme imperative, all'ordine pubblico o al buon costume. COMMENTO AL DECRETO DEL TRIBUNALE DI ROMA DEPOSITATO IL NEL PROCEDIMENTO EX ART. 28 DELLO STATUTO DEI LAVORATORI di Luca Failla Founding Partner, LABLAW mankale - Fotolia.com Davvero interessante il decreto del Tribunale di Roma che offre una interpretazione dell art. 19 St. Lav., su cui recentemente è intervenuta la Corte Costituzionale. La vicenda traeva origine dal disconoscimento da parte di una cooperativa delle RSA costituite da una sigla sindacale minoritaria, poiché non firmataria di alcun contratto collettivo applicato nell unità produttiva, con conseguente negazione delle prerogative riconosciute ai componenti delle RSA (diritto di indire assemblee, di partecipare ai tavoli di contrattazione aziendale ecc.). Il sindacato aveva agito con ricorso ex art. 28 St. Lav., ritenendo antisindacale la condotta della Società, che non aveva consentito ai propri rappresentanti di partecipare alle trattative sindacali e successivamente non aveva riconosciuto le RSA costituite, in contrasto con l art. 19 dello St. Lav. Come è noto, con la sentenza n. 231/2013, la Consulta ha dichiarato l illegittimità costituzionale del I comma, lett. b) dell art. 19 St. Lav. nella parte in cui non prevede la possibilità di costituire una RSA nell ambito di associazioni sindacali che, pur non firmatarie di contratti collettivi applicati nell'unità produttiva, abbiano comunque partecipato alla negoziazione. Secondo il sindacato tale pronuncia evidenzierebbe l importanza del criterio dell effettività della rappresentatività del sindacato nella realtà aziendale a prescindere dalla formale sottoscrizione del contratto e quindi anche dell ammissione del sindacato al tavolo delle trattative. Raccogliendo il 30% delle adesioni fra i lavoratori dell unità produttiva, tale sindacato avrebbe dovuto essere ritenuto come organizzazione dotata di rappresentatività: da qui la condotta antisindacale della Società, che non consentendo la partecipazione del medesimo alle trattative negoziali, impediva di soddisfare l unico requisito che, secondo la Consulta, consentirebbe la costituzione di RSA. Il Tribunale ha respinto il ricorso, motivando che, a seguito dell intervento della Consulta, presupposto ad oggi essenziale per costituire RSA è quanto meno la partecipazione ai tavoli di trattative, chiarendo che tale partecipazione non è azionabile quale diritto positivo del sindacato, non sussistendo nel nostro ordinamento un obbligo a trattare per il datore di lavoro con un sindacato richiedente e ciò in applicazione del principio di libertà sindacale sancito dall art. 39 Cost.. Secondo il Tribunale, non più necessaria la sottoscrizione di un accordo collettivo, è comunque indispensabile che la rappresentatività venga valutata sul campo in base alla riconosciuta forza del sindacato di porsi come necessario interlocutore per partecipare alla stipula di un contratto collettivo. 3

4 Il Giudice chiarisce come sia la partecipazione alle trattative lo strumento di misurazione della forza di un sindacato e, di riflesso, della sua rappresentatività : l adozione di ulteriori parametri alternativi (richiamati dalla Consulta) sarebbe concessa unicamente per l ipotesi di mancanza di un contratto collettivo applicato nell unità produttiva per carenza negoziale ovvero per impossibilità di pervenire ad un accordo negoziale. In buona sostanza, in base a tale pronuncia, che tenta di fornire una interpretazione equilibrata dell art. 19 St. Lav. salvaguardando i principi di libertà sindacale e di iniziativa economica, qualora il sindacato non sia riuscito ad imporre la presenza ai tavoli negoziali, non potrà ricorrere a criteri ulteriori per desumerne la rappresentatività. TRASFERIMENTO DI RAMO D AZIENDA CRISI AZIENDALE E FRODE ALLA LEGGE Commento a sentenza Cassazione 24 ottobre 2014 n di Giacinto Favalli Partner, Trifirò & Partners Avvocati Con la sentenza in commento la Cassazione affronta nuovamente il tema del trasferimento di ramo di azienda. La disamina della Corte interessa principalmente due profili: vengono analizzati i requisiti necessari per la qualificazione del ramo e le ipotesi che possono inficiare la legittimità del negozio traslativo. Con riferimento alla prima questione, la Corte, prendendo le mosse dal consolidato orientamento alla stregua del quale il ramo di azienda deve consistere in un entità organizzata in maniera stabile funzionale all esercizio di un attività economica che conservi nel trasferimento la propria entità, pone l accento sul noto criterio della autonomia funzionale del ramo ceduto. Tale criterio, precisa il Collegio, è essenziale, in quanto idoneo a scongiurare ipotesi in cui le operazioni di trasferimento si traducano in forme incontrollate di espulsione di personale. La Corte, poi, si sofferma sul requisito della preesistenza del ramo, anche alla luce del principio recentemente enunciato dalla Corte di Giustizia, secondo cui la preesistenza del ramo deve essere interpretata nel senso che nulla impedisce agli Stati membri di legittimare la cessione anche in quelle ipotesi in cui la parte dell impresa oggetto del trasferimento non costituisca un entità economica preesistente. Con la seconda questione la Corte affronta il meno comune tema del trasferimento di ramo in frode alla legge. Infatti, nel caso sottoposto al vaglio della Cassazione, i ricorrenti denunciavano un altro profilo di erroneità della sentenza di appello, in quanto, a loro dire, i giudici di secondo grado non avrebbero valutato l intento datoriale, asseritamente fraudolento, di espellere, in tal modo, dal contesto produttivo personale in esubero senza rispettare gli obblighi imposti dalla normativa sui licenziamenti collettivi. Il Collegio ha ribadito il proprio indirizzo interpretativo, richiamando alcuni precedenti (nella specie, Cass. sentenze nn. 1085/12; 6969/13; 9090/14) e precisando che il risultato perseguito dalla cessione di azienda di dismettere la veste di datore di lavoro non può considerarsi vietato dalle norme poste a salvaguardia dei diritti dei lavoratori dalla L. n. 223/1991. Secondo i giudici di legittimità, infatti, il sistema di garanzie predisposto dalla citata legge non consente di enucleare un precetto che vieti, ove siano in atto situazioni di crisi, di cedere il ramo, quando la cessione costituisca una possibile misura alternativa ai licenziamenti per fronteggiare la crisi dell impresa attraverso il tentativo di rilanciare l attività presso la cessionaria (cfr. anche Cass. n del 20/3/ 2013). peshkova - Fotolia.com 4

5 by.it In collaborazione con I Legalcommunity Labour Awards, giunti alla loro terza edizione, si propongono l'obiettivo di far emergere, in modo inclusivo, le eccellenze del mercato legale nel settore dei giuslavoristi e del mondo della direzione del personale. Sono un riconoscimento che viene dato sulla base di una serie di elementi di valutazione oggettivi, da esperti ed operatori del settore alla scopo di spingere gli attori di questo mondo a migliorarsi ogni giorno. Labour Toffoletto De Luca Tamajo e Soci Elio Cherubini, Stefano de Santis, Franco Toffoletto e Emanuela Nespoli (Toffoletto De Luca Tamajo e Soci) Labour Angelo Zambelli Grimaldi Studio Legale Angelo Zambelli (Grimaldi Studio Legale) ed Enrico Cazzulani (AIDP) Relazioni Industriali / Sindacali Giacinto Favalli Trifirò & Partners Franco Carugo (Knoll) e Giacinto Favalli (Trifirò & Partners) Relazioni Industriali / Sindacali Legance Contenzioso Claudio Morpurgo Morpurgo e Associati Giuseppe Piacentini (Fastweb), Serena Commisso, Silvia Tozzoli ed Elena Ryolo (Legance) Stefano Conti (Trenord) e Claudio Morpurgo (Morpurgo e Associati) Contenzioso Quorum Stefano Conti (Trenord), Alessandro Buonanno, Francesco D Amora e Alessandro Sassone (Quorum) 5

6 Milano - 16 ottobre 2014 In collaborazione con by.it by.it Assistenza Top Management Marcello Giustiniani Bonelli Erede Pappalardo Consulenza DLA Piper Stefano Conti (Trenord) e Giampiero Falasca (DLA Piper) Consulenza Paola Tradati Gianni Origoni Grippo Cappelli & Partners Francesca Ferretti (Rentokil Initial) e Paola Tradati (Gianni Origoni Grippo Cappelli & Partners) Premio speciale legalcommunity.it HR Team dell anno Amplifon Fabrizio Mazzoli (Amplifon) Contratti di agenzia Toffoletto De Luca Tamajo e Soci Donatella Cungi, Franco Toffoleto e Aldo Palumbo (Toffoletto De Luca Tamajo e Soci) Contratti di agenzia Alessandro Limatola Limatola Avvocati 6 Elena Mauri (Belstaff) e Alessandro Limatola (Limatola Avvocati)

7 Milano - 16 ottobre 2014 In collaborazione con by Rising Star Salonia e Associati Gianluca Veronesi, Annalisa Barbera, Cristina Petrucci, Rosario Salonia (Salonia e Associati) e Gianluca Grondona (Salini Impregilo).it by.it Premio speciale della redazione di legalcommunity.it Pietro Ichino Ichino Brugnatelli Rising Star Simonetta Candela Clifford Chance Simonetta Candela (Clifford Chance) e Fabio Comba (NH Hotel Group) Emergente Ferrario Provenzali & Partners Roberto Ferrario e Paolo Provenzali (Ferrario Provenzali & Partners) Premio speciale della redazione di legalcommunity.it Francesco Rotondi LabLaw Emergente Mario Scofferi Giglio & Scofferi 7

8 L'ALTERAZIONE DELLA LETTERA DI ASSUNZIONE DA PARTE DEL RESPONSABILE DEL PERSONALE LEGITTIMA IL LICENZIAMENTO PER GIUSTA CAUSA Corte di Cassazione, Sez. lavoro, sentenza n del 7 ottobre 2014 di Antonella Negri Socio, Studio Legale Bonelli Erede Pappalardo Il comportamento del responsabile del personale che altera (eliminando il patto di prova e modificando le mansioni) il contratto di lavoro già concluso, è idoneo a ledere il vincolo fiduciario e integra, dunque, una giusta causa di licenziamento. Lo ha stabilito la Suprema Corte con sentenza n pubblicata il 7 ottobre Al dipendente era stata contestata l arbitraria modifica di una originaria lettera di assunzione già sottoscritta dal Presidente della società. Il dipendente negava che si trattasse di comportamento arbitrario adducendo, come giustificazione, l esistenza di una autorizzazione. La modifica della lettera di assunzione era, oltre che documentale, stata ammessa dal dipendente licenziato in sede di interrogatorio libero. I Giudici di merito avevano, dunque, ritenuto sussistere la giusta causa di licenziamento e rigettato il ricorso del lavoratore. Davanti alla Suprema Corte il lavoratore lamenta l erroneità della decisione: l onere di provare la giusta causa di licenziamento incombe sul datore di lavoro che, dunque, avrebbe dovuto dimostrare anche l arbitrarietà del suo comportamento (e dunque l assenza di autorizzazione). La sentenza in esame fa estrema chiarezza in tema di onere della prova: l onere di provare tutte le circostanze del caso concreto da cui è scaturita l'irrogazione della sanzione massima del licenziamento grava senza dubbio sul datore di lavoro, ma l esistenza di eventuali cause giustificative della condotta del lavoratore deve essere provata da quest ultimo, rientrando queste ultime nella sua sfera soggettiva ed avendo egli la disponibilità delle relative prove. Il principio, pur riscontrabile in diverse pronunce di legittimità piuttosto risalenti (Cass /2008; Cass /1997; Cass. 5843/1994; Cass /1991), è stato espresso qui in maniera cristallina. La conclusione è del resto ineccepibile, in quanto coerente coi principi in tema di inadempimento contrattuale ex art c.c., nonché coi principi in tema di onere della prova, posto che i fatti giustificativi addotti dal lavoratore si atteggiano come eccezioni ai sensi del 2 comma dell'art c.c. Altrettanto ineccepibile la conclusione che il Giudice può fondare la decisione sulle dichiarazione rilasciate durante l interrogatorio libero della parte (tanto più, precisa la Suprema Corte, nelle controversie di lavoro nelle quali è un atto istruttorio obbligatorio) che costituiscono dunque prova. Da un punto di vista sostanziale, la pronuncia sposa l'orientamento pacifico che identifica la giusta causa nella compromissione dell'elemento fiduciario necessario alla permanenza del rapporto di lavoro, secondo una valutazione oggettiva (la materiale alterazione del contratto) e soggettiva (la posizione di responsabile del personale), certamente ravvisabile nel caso di specie. Photographee.eu - Fotolia.com 8

9 L IRRILEVANZA DEGLI INDICI DELLA SUBORDINAZIONE Sentenza Corte di Cassazione n del 24 ottobre 2014 di Franco Toffoletto Presidente e Managing Partner, Toffoletto De Luca Tamajo e Soci Per riconoscere la natura subordinata di un rapporto di lavoro autonomo non è sufficiente la prova di elementi indiziari quali, ad esempio, la previsione di un compenso fisso, l osservanza di un orario di lavoro, ovvero l inserimento del lavoratore nel piano ferie. Allo stesso modo, è irrilevante il fatto che un lavoratore autonomo sia «inserito» nell organizzazione aziendale, che non abbia altri committenti, che nello svolgimento della propria attività si avvalga della collaborazione di dipendenti del committente ovvero che il rapporto perduri anche per un lungo periodo di tempo. Ai fini della qualificazione di un rapporto di lavoro come subordinato è infatti necessario che il lavoratore dimostri, in concreto, di essere assoggettato al potere direttivo, organizzativo e disciplinare del datore di lavoro. Vale a dire ciò che viene indicato con il termine eterodirezione. Tale elemento, per giurisprudenza costante, deve estrinsecarsi nell emanazione di ordini specifici che siano inerenti alle concrete modalità di svolgimento della prestazione lavorativa nonché in una assidua attività di controllo, da parte del datore di lavoro, sull esecuzione del lavoro richiesto. Questi sono i principî recentemente ribaditi dalla Corte di Cassazione nella sentenza n del 24 ottobre Altre pronunce, sia di merito sia di legittimità (come Cass. n del 9 settembre 2013), avevano già chiarito che elementi quali la continuità della prestazione lavorativa, la rispondenza ai fini propri dell impresa, le modalità di erogazione della retribuzione, l assenza di rischio e l osservanza di un orario fossero compatibili tanto con rapporti di lavoro subordinato quanto con rapporti di lavoro autonomo. Altrettanto pacifico è il principio secondo cui ogni attività umana, economicamente rilevante, possa essere oggetto sia di rapporti di lavoro autonomo sia di rapporti di lavoro subordinato. La sentenza in commento, che si riferisce ad un progettista che collaborava con una società di engineering, è particolarmente interessante in quanto sottolinea l irrilevanza, ai fini della qualificazione di un rapporto di lavoro, del fatto che un lavoratore autonomo abbia un proprio staff composto da dipendenti del committente, nei confronti dei quali proponga assunzioni, promozioni, aumenti di stipendio e ferie. Tale potere di indicazione, infatti, si risolve nell esercizio di un potere direttivo verso il basso, mentre l eterodirezione sussiste solo quando tale potere sia esercitato dall alto nei confronti del lavoratore. Tale principio era già stato affermato in una importante decisione del 2000, la n , nella quale la Suprema Corte aveva correttamente ritenuto che l'assoggettamento del lavoratore al potere direttivo del datore di lavoro deve costituire l'adempimento di un obbligo e che, simmetricamente, l esercizio di tale potere da parte del datore di lavoro deve configurarsi come esercizio di un diritto. Secondo tale tesi, poi ripresa dalla stessa Corte in diverse altre pronunce (n del 16 dicembre 2013, n del 7 febbraio 2013 e n del 30 gennaio 2007), l eterodirezione deve quindi tradursi, dall angolazione del lavoratore, nel sottostare al potere direttivo in osservanza di un obbligo dallo stesso assunto e, dall angolazione del datore di lavoro, nell esercizio di un specifico diritto. Photographee.eu - Fotolia.com 9

10 Una delle ipotesi più frequenti di sospensione della obbligazione lavoro è la malattia che, come sottolineato dalla giurisprudenza di legittimità, nell ambito del sinallagma contrattuale coincide con una «condizione impeditiva delle normali prestazioni lavorative», seppure con un importante precisazione: «nei confronti del lavoratore assente per malattia continuano a operare i doveri di correttezza, buona fede e diligenza di cui agli art. 1175, 1375 e 2104 c.c., salva l esistenza di una patologia tale da rendere inesigibile l osservanza di tali obblighi ( )» (Cass. 20 novembre 2006, n ). Nella fattispecie analizzata dalla sentenza della Corte Suprema n /2014, infatti, entrano in gioco il rispetto e l adempimento di siffatti obblighi. Come è dato comprendere dalla narrativa, il lavoratore è stato licenziato poiché, come provato in giudizio dalle deposizioni dei colleghi: era risultato assente per malattia ripetutamente, per brevissimi periodi, a macchia di leopardo ; era solito comunicare le assenze senza alcun preavviso; di norma, cadeva malato «quando doveva affrontare il turno di fine settimana o il turno notturno» con conseguente «difficoltà proprio per i tempi particolarmente ristretti, di trovare un sostituto». Il primo profilo di interesse per il quale la pronunzia in questione si segnala attiene all esclusione della illegittimità del recesso per omesso superamento del periodo di comporto, come dedotto dal lavoratore nei due gradi di merito. La Corte, infatti, ha valutato le «assenze del lavoratore, dovute a malattia ( ) sotto un diverso profilo», poiché «per le modalità con cui ( ) si verificavano ( ) le stesse davano luogo ad una prestazione lavorativa non sufficientemente e proficuamente utilizzabile dalla società, rivelandosi la stessa inadeguata sotto il profilo produttivo e pregiudizievole per l organizzazione aziendale così da giustificare il provvedimento risolutorio». L attenzione dei giudici di legittimità si è così rivolta e concentrata sul concetto di «scarso rendimento» che, come noto, si configura quando il lavoratore, violando le regole della diligenza nell'esecuzione della prestazione, non adempia esattamente l'obbligazione lavorativa. La Corte, infatti, in virtù del principio esposto nel 2006 e sopra ricordato sebbene, nel caso in esame, la violazione dell art c.c. sia stata, per dir così, indiretta e non coincidente con le ipotesi classiche esaminate dalla giurisprudenza ha ravveduto nelle modalità di attuazione e comunicazione delle assenze per malattia una condotta quantomeno negligente, con conseguenti riflessi negativi per tutta l organizzazione del lavoro. Il riferimento allo scarso rendimento, forse, è atecnico ma ben venga un possibile ampliamento di questo concetto se contribuirà ad arginare condotte inaccettabili nell ambito del rapporto di lavoro come l abuso delle assenze per (pretesa) malattia. 10 apops - Fotolia.com LE ASSENZE PER MALATTIA POSSONO CONFIGURARE SCARSO RENDIMENTO E PORTARE AL LEGITTIMO LICENZIAMENTO Sentenza della Corte Suprema n del 4 settembre 2014 di Angelo Zambelli Partner, Grimaldi Studio Legale Informazioni utili Andrea Orlandini Presidente AIDP Gruppo Regionale Lombardia Enrico Cazzulani Past President AIDP Gruppo Regionale Lombardia Domenico Butera Vicepresidente AIDP Gruppo Regionale Lombardia Paolo Iacci Vicepresidente AIDP e Responsabile Editoria Contatti: Via Cornalia, Milano Tel Fax aidplombardia@aidp.it Autori del numero Simonetta Candela Studio Legale Associato in associazione con Clifford Chance Luca Failla LabLaw Studio Legale Giacinto Favalli Trifirò & Partners Avvocati Antonella Negri Studio Legale Bonelli Erede Pappalardo Franco Toffoletto Toffoletto De Luca Tamajo e Soci Angelo Zambelli Grimaldi Studio Legale Newsletter A cura di Paola De Gori Coordinamento redazionale Daniela Tronconi Per iscrizioni newsletter.aidplombardia@aidp.it Grafica e Impaginazione HHD - Kreita.com

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