Ristoro delle spese legali del dipendente coinvolto in procedimento penale
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- Emilio Moretti
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1 Ristoro delle spese legali del dipendente coinvolto in procedimento penale di Fabio Petracci, Piergiuseppe Parisi Da Guida al Lavoro del n. 8 Nel caso vagliato e deciso dal giudice pordenonese, un gruppo di dipendenti di Poste Italiane Spa, evocava in giudizio l'ente di appartenenza, onde vedersi corrispondere il ristoro delle spese legali sostenute nel corso di un procedimento penale promosso dal medesimo ente per tentata truffa aggravata e falso ideologico ai danni di Poste Italiane Spa stessa e Cassa Depositi e Prestiti, all'esito del quale gli stessi erano stati assolti, con formula dubitativa, per insussistenza dei fatti. Il Tribunale di Pordenone riteneva di non poter accordare la tutela legale offerta dall'articolo 45 del Ccnl Poste Italiane nonché dall'art. 20 D.P.R. n. 335/1990, in quanto il fatto che il giudizio fosse stato promosso a seguito di un'indagine interna da Poste Italiane, che si era successivamente costituita parte civile nel corso del procedimento, congiuntamente alla formula assolutoria dubitativa, emessa all'esito del giudizio penale, implica la sussistenza di un conflitto di interessi tra i dipendenti e l'ente di appartenenza, ostativo al riconoscimento del ristoro delle spese sostenute. Nella pronuncia in esame, viene in rilievo l'art. 45 del Ccnl Poste Italiane che dispone, al suo comma 3, che "il lavoratore oggetto di un procedimento giudiziario per fatti o atti direttamente connessi all'espletamento del servizio o all'adempimento dei compiti d'ufficio informa tempestivamente la società la quale, a condizione che non sussista conflitto di interesse, assume a proprio carico ogni onere di difesa, fin dall'apertura del procedimento e per tutti i gradi del giudizio, indicando al dipendente un legale di propria fiducia". Di tenore sostanzialmente uguale risulta essere l'art. 20, D.P.R. n. 335/1990, in tema di "patrocinio legale del dipendente" di aziende o amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo. Il Tribunale pordenonese, nel rigettare le domande dei ricorrenti, si rifaceva innanzitutto ad un consolidato orientamento giurisprudenziale secondo il quale, a prescindere da qualsiasi valutazione circa il provvedimento assolutorio o di condanna, deve riconoscersi la sussistenza di un conflitto di interesse tra il dipendente e l'ente di appartenenza, ove quest'ultimo si sia costituito parte civile nel procedimento penale riguardante il lavoratore o abbia nei confronti di questo intrapreso iniziative di carattere disciplinare (Cass., sez. lav., n /2010 e n /2002). Inoltre, richiamando peraltro le memorie conclusive delle parti del giudizio, il Tribunale si adeguava 1
2 all'indicazione giurisprudenziale secondo la quale: "ai fini del rimborso da parte della pubblica amministrazione delle spese di difesa sostenute dal proprio dipendente, la sussistenza di un conflitto di interessi deve essere verificata in base ad una valutazione complessiva della situazione determinatasi, che deve fondarsi sulla statuizione definitiva che conclude il procedimento, in quanto idonea ad escludere ogni profilo di responsabilità del dipendente; tali circostanze, tuttavia, non esimono dalla preliminare valutazione della riconducibilità degli atti o fatti imputati al dipendente all'espletamento del servizio ed all'adempimento dei compiti di ufficio" (Cass., sez. lav., n /2011). In altre parole, il giudicante, conformemente alla lettera di tale pronuncia, dovrà innanzitutto verificare l'attinenza dei fatti o atti per i quali il dipendente è sottoposto a procedimento penale agli interessi e diritti dell'ente di appartenenza. In caso contrario, il rimborso delle spese legali andrà automaticamente escluso. Il nesso di strumentalità che la norma richiede ai fini della sua operatività rivela la ratio legis, che si concretizza nell'esigenza di tutelare il dipendente dalle eventuali conseguenze in sede giurisdizionale delle attività compiute in nome e per conto, o comunque nell'interesse, dell'amministrazione pubblica o ente di appartenenza. In sostanza, come autorevole dottrina ha inteso sottolineare, il nesso strumentale tra adempimento del dovere istituzionale e compimento dell'atto per il quale si incorre nel procedimento giurisdizionale, ai fini della configurazione del conflitto di interesse, deve atteggiarsi in maniera tale per cui senza il compimento di quell'atto, il dipendente non avrebbe compiutamente adempiuto ai suoi doveri istituzionali (vedi nota giurisprudenziale a Cass., sez. lav., n / 2011, in Giust. Civ. 2012, 11, 12, 1PG2). E, d'altro canto, come osservano gli ermellini, il requisito della comunanza di interesse è richiesto indistintamente, tanto in caso di condanna, quanto in caso di proscioglimento (Cass., sez. lav., n /2008). Certo è che tale ricostruzione dell'istituto pone un problema in termini logici. Infatti, se, conformemente all'orientamento giurisprudenziale della Cassazione n /2011 summenzionato, bisogna procedere, preliminarmente ad ogni ulteriore valutazione, all'accertamento della sussistenza di una comunanza di interessi tra dipendente ed ente di appartenenza, quid iuris quando, successivamente ad un esito preliminare negativo circa tale circostanza, si addivenga ad una pronuncia in sede penale di assoluzione con formula piena del dipendente? Infatti, stando a quanto il giudicante afferma nella sentenza in oggetto a questa nota, richiamandosi ad una precedente 2
3 pronuncia del medesimo giudice (Tribunale di Pordenone n. 192/2009), una formula assolutoria piena consentirebbe il riconoscimento del diritto al ristoro delle spese legali. Anche laddove, in via preliminare, il Tribunale avesse riconosciuto la sussistenza di un conflitto di interesse, in virtù della costituzione di parte civile dell'ente di appartenenza del dipendente. O almeno così sembra doversi leggere dalle motivazioni della sentenza. Si giungerebbe in tal modo ad affermare un paradosso logico, dato che si riconoscerebbe il diritto al ristoro delle spese legali anche in presenza di un conflitto di interesse, peraltro constatabile prima facie. Non sarebbe, pertanto, più opportuno affermare che il conflitto di interesse debba sussistere ex ante rispetto alla pronuncia in sede penale, sia questa di assoluzione o di condanna? Peraltro, quest'ultima interpretazione sarebbe sicuramente più conforme e speculare rispetto alla pronuncia della Cassazione n /2008, summenzionata, che richiede, indipendentemente dall'esito del giudizio penale, la sussistenza di una comunanza di interessi, ai fini del ristoro delle spese legali. --- Rassegna del merito - Tribunale di Pordenone di Fabio Petracci, Piergiuseppe Parisi Ristoro delle spese legali del dipendente coinvolto in procedimento penale Tribunale di Pordenone 10 giugno 2013 Giud. Riccio Cobucci; Ric. RMG et al.; Res. P.I. Spa Art. 45, Ccnl Poste Italiane - Ristoro spese legali sostenute dal dipendente coinvolto in procedimento penale - Conflitto di interessi - Assoluzione con formula dubitativa Non può accordarsi la tutela legale prevista dall'articolo 45 del Ccnl Poste Italiane al dipendente che, coinvolto in un procedimento penale per fatti ed atti connessi all'attività lavorativa, promosso dall'amministrazione datrice di lavoro che si sia altresì costituita parte civile nel procedimento penale, nell'ipotesi in cui questi sia stato prosciolto con formula dubitativa, sussistendo in tale ipotesi un conflitto di interessi. Nota - Nel caso vagliato e deciso dal giudice pordenonese, un gruppo di dipendenti di Poste Italiane Spa, evocava in giudizio l'ente di appartenenza, onde vedersi corrispondere il ristoro delle spese legali sostenute nel corso di un procedimento penale promosso dal medesimo ente per tentata truffa aggravata e falso ideologico ai danni di Poste Italiane 3
4 Spa stessa e Cassa Depositi e Prestiti, all'esito del quale gli stessi erano stati assolti, con formula dubitativa, per insussistenza dei fatti. Il Tribunale di Pordenone riteneva di non poter accordare la tutela legale offerta dall'articolo 45 del Ccnl Poste Italiane nonché dall'art. 20 D.P.R. n. 335/1990, in quanto il fatto che il giudizio fosse stato promosso a seguito di un'indagine interna da Poste Italiane, che si era successivamente costituita parte civile nel corso del procedimento, congiuntamente alla formula assolutoria dubitativa, emessa all'esito del giudizio penale, implica la sussistenza di un conflitto di interessi tra i dipendenti e l'ente di appartenenza, ostativo al riconoscimento del ristoro delle spese sostenute. Nella pronuncia in esame, viene in rilievo l'art. 45 del Ccnl Poste Italiane che dispone, al suo comma 3, che "il lavoratore oggetto di un procedimento giudiziario per fatti o atti direttamente connessi all'espletamento del servizio o all'adempimento dei compiti d'ufficio informa tempestivamente la società la quale, a condizione che non sussista conflitto di interesse, assume a proprio carico ogni onere di difesa, fin dall'apertura del procedimento e per tutti i gradi del giudizio, indicando al dipendente un legale di propria fiducia". Di tenore sostanzialmente uguale risulta essere l'art. 20, D.P.R. n. 335/1990, in tema di "patrocinio legale del dipendente" di aziende o amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo. Il Tribunale pordenonese, nel rigettare le domande dei ricorrenti, si rifaceva innanzitutto ad un consolidato orientamento giurisprudenziale secondo il quale, a prescindere da qualsiasi valutazione circa il provvedimento assolutorio o di condanna, deve riconoscersi la sussistenza di un conflitto di interesse tra il dipendente e l'ente di appartenenza, ove quest'ultimo si sia costituito parte civile nel procedimento penale riguardante il lavoratore o abbia nei confronti di questo intrapreso iniziative di carattere disciplinare (Cass., sez. lav., n /2010 e n /2002). Inoltre, richiamando peraltro le memorie conclusive delle parti del giudizio, il Tribunale si adeguava all'indicazione giurisprudenziale secondo la quale: "ai fini del rimborso da parte della pubblica amministrazione delle spese di difesa sostenute dal proprio dipendente, la sussistenza di un conflitto di interessi deve essere verificata in base ad una valutazione complessiva della situazione determinatasi, che deve fondarsi sulla statuizione definitiva che conclude il procedimento, in quanto idonea ad escludere ogni profilo di responsabilità del dipendente; tali circostanze, tuttavia, non esimono dalla preliminare valutazione della riconducibilità degli atti o fatti imputati al dipendente all'espletamento del servizio ed all'adempimento dei compiti di ufficio" (Cass., sez. lav., n /2011). In altre parole, il giudicante, conformemente alla lettera di tale pronuncia, dovrà innanzitutto verificare 4
5 l'attinenza dei fatti o atti per i quali il dipendente è sottoposto a procedimento penale agli interessi e diritti dell'ente di appartenenza. In caso contrario, il rimborso delle spese legali andrà automaticamente escluso. Il nesso di strumentalità che la norma richiede ai fini della sua operatività rivela la ratio legis, che si concretizza nell'esigenza di tutelare il dipendente dalle eventuali conseguenze in sede giurisdizionale delle attività compiute in nome e per conto, o comunque nell'interesse, dell'amministrazione pubblica o ente di appartenenza. In sostanza, come autorevole dottrina ha inteso sottolineare, il nesso strumentale tra adempimento del dovere istituzionale e compimento dell'atto per il quale si incorre nel procedimento giurisdizionale, ai fini della configurazione del conflitto di interesse, deve atteggiarsi in maniera tale per cui senza il compimento di quell'atto, il dipendente non avrebbe compiutamente adempiuto ai suoi doveri istituzionali (vedi nota giurisprudenziale a Cass., sez. lav., n / 2011, in Giust. Civ. 2012, 11, 12, 1PG2). E, d'altro canto, come osservano gli ermellini, il requisito della comunanza di interesse è richiesto indistintamente, tanto in caso di condanna, quanto in caso di proscioglimento (Cass., sez. lav., n /2008). Certo è che tale ricostruzione dell'istituto pone un problema in termini logici. Infatti, se, conformemente all'orientamento giurisprudenziale della Cassazione n /2011 summenzionato, bisogna procedere, preliminarmente ad ogni ulteriore valutazione, all'accertamento della sussistenza di una comunanza di interessi tra dipendente ed ente di appartenenza, quid iuris quando, successivamente ad un esito preliminare negativo circa tale circostanza, si addivenga ad una pronuncia in sede penale di assoluzione con formula piena del dipendente? Infatti, stando a quanto il giudicante afferma nella sentenza in oggetto a questa nota, richiamandosi ad una precedente pronuncia del medesimo giudice (Tribunale di Pordenone n. 192/2009), una formula assolutoria piena consentirebbe il riconoscimento del diritto al ristoro delle spese legali. Anche laddove, in via preliminare, il Tribunale avesse riconosciuto la sussistenza di un conflitto di interesse, in virtù della costituzione di parte civile dell'ente di appartenenza del dipendente. O almeno così sembra doversi leggere dalle motivazioni della sentenza. Si giungerebbe in tal modo ad affermare un paradosso logico, dato che si riconoscerebbe il diritto al ristoro delle spese legali anche in presenza di un conflitto di interesse, peraltro constatabile prima facie. Non sarebbe, pertanto, più opportuno affermare che il conflitto di interesse debba sussistere ex ante rispetto alla pronuncia in sede penale, sia questa di 5
6 assoluzione o di condanna? Peraltro, quest'ultima interpretazione sarebbe sicuramente più conforme e speculare rispetto alla pronuncia della Cassazione n /2008, summenzionata, che richiede, indipendentemente dall'esito del giudizio penale, la sussistenza di una comunanza di interessi, ai fini del ristoro delle spese legali. 6
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