Gianvito Martino La scatola magica 1

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1 Gianvito Martino La scatola magica 1 Per moltissimi anni si è ritenuto che il sistema nervoso centrale (il cervello e il midollo spinale) dei mammiferi, a differenza del sistema nervoso periferico (i cosiddetti nervi periferici), fosse refrattario alla rigenerazione. Si credeva, appunto, che gli assoni definibili come i prolungamenti delle cellule nervose, cioè i bracci operativi dei neuroni all interno dei nervi periferici potessero rigenerare facilmente, e che quelli del sistema nervoso centrale fossero invece incapaci di ricostruirsi. Oggi sappiamo che alcuni pesci sono in grado di rigenerare sia il cervello che il midollo, e che gli anfibi allo stadio di larva, sia urodeli che anurani, dopo l amputazione della coda riescono a rigenerare il midollo spinale. Ci sono evidenze di rigenerazione all interno del midollo spinale sia nell opossum americano, fino a otto giorni dopo la nascita, che negli embrioni di pollo, fino a tredici giorni dopo la nascita. Sappiamo che nell uomo alcuni neuroni continuano a rigenerarsi. Ma tutte queste conoscenze sarebbero poca cosa senza gli studi pionieristici iniziati fin dai tempi di Himhotep ( a.c.), il fondatore della scienza medica egizia divinizzato come dio della medicina, e di Ippocrate di Coo, o Kos ( a.c.), il medico greco considerato il padre della medicina; studi proseguiti nel corso dei secoli, fino a giungere a una vera e propria esplosione conoscitiva nel corso del Novecento. La storia del cervello La parola cervello comparve per la prima volta su un antico papiro medico egizio reso noto al mondo solo nel 1862, quando l archeologo inglese Edwin Smith lo comprò a Tebe in Egitto (città situata presso le attuali Karnak e Luxor) 1 Estratto dal libro La Medicina che rigenera: non siamo nati per invecchiare, Editrice San Raffaele, Milano, giugno 2009, pag

2 da un venditore di tappeti di nome Mustafà Aga. In questo papiro destinato a divenire famoso con il nome di papiro chirurgico di Edwin Smith, redatto in ieratico probabilmente in tre momenti storici diversi, il primo dei quali si fa risalire addirittura ai tempi di Imhotep e il terzo al 1650 a.c., e tradotto interamente solo nel 1930 da James Breasted la parola cervello si riferiva a una sostanza molliccia, definita marrow of the skull, cioè midollo del cranio, fuoriuscita dalle ferite profonde alla testa di tredici persone (su ventisette citate) che avevano subito la frattura del cranio. Nel 460 a.c., Ippocrate, il padre della medicina occidentale, affermò che il cervello, e non il cuore, fosse la sede dell intelligenza o, per meglio dire, della mente ; poté procedere su questo percorso basandosi sulle affermazioni della scuola pitagorica che, per prima, aveva introdotto l idea encefalocentrista. Aristotele, nel 335 a.c., pensava invece che il cuore, e non il cervello, fosse la sede dell intelligenza. La diatriba tra visione encefalocentrista e non encefalocentrista, tra cuore o cervello come sede dell anima e/o dell intelligenza, proseguì per molti anni, e furono in molti a schierarsi a favore o contro l una o l altra teoria. Si trattava, per quei tempi, di argomenti di confine, dove la visione scientifica era indissolubilmente legata a visioni più filosofiche e religiose. Per gli studiosi di allora che avevano una formazione più filosofica e religiosa che non scientifica, per come si intende oggi la scienza accettare che una sostanza fisicamente definibile come il cervello potesse contenere l anima, sostanza eterea per definizione, fu molto difficile. Nel 130 d.c., Galeno mise d accordo tutti, anche se solo temporaneamente, sostenendo che le funzioni superiori avessero sede nei ventricoli laterali secondo una concezione religiosa che vedeva nella vacuità dei ventricoli una sede più consona all immaterialità dell anima e in particolare nella rete mirabilis, una struttura vascolare cui veniva attribuita una funzione essenziale per la raffinazione degli spiriti vitali e per la formazione del neuma, lo spirito che anima l uomo. Questa visione resistette molti anni, finché Vesalio, nel 1543, con il De humani corporis fabrica, ruppe in modo deciso con la tradizione galenica. Quante, spesso assured cose sono state accettate in nome di Galeno, scrive Vesalio. Tra queste quel mirabile plesso reticolare, la cui esistenza viene costantemente sostenuta nei suoi scritti e di cui i medici parlano continuamente. Essi non lo hanno mai visto, ma tuttavia continuano a descriverlo sulla scorta dell insegnamento di Galeno. Io stesso sono ora realmente meravigliato per la mia (precedente) stupidità [ ]. Causa la mia devozione a Galeno non intrapresi mai una pubblica dissezione di una testa umana senza contemporaneamente servirmi di quella di un agnello o di un bove per mostrare che non riuscivo a riscontrare in alcun modo nell uomo [ ] e per evitare che gli astanti mi rimproverassero di 40

3 essere incapace di trovare quell plesso a tutti loro così ben noto per nome. Ma le arterie carotidi non formano affatto il plesso reticolare descritto da Galeno. E poi continua: Non nego che i ventricoli elaborino lo spirito animale, ma sostengo che questo non spiega nulla sulla sede cerebrale delle facoltà più elevate dello spirito [ ]. Non sono in grado di comprendere come il cervello possa esercitare le sue funzioni. Convinzione ferma e imprescindibile di Vesalio era l importanza delle sezioni anatomiche al fine di poter comprendere la struttura e la fisiologia del corpo umano; teoria questa in netto contrasto con le convinzioni galeniche, basate su un idea organicistica del corpo umano, secondo cui non vi possono essere lesioni funzionali del corpo, se queste non sono associate a lesioni effettive degli organi interni. Un altro colpo fondamentale alle teorie galeniche giunse nella prima metà dell Ottocento, quando Franz Joseph Gall, medico austriaco nato in Germania, con il suo allievo Johann Caspar Spurzheim, elaborò la teoria frenologica, secondo la quale il cervello è diviso in una moltitudine di sistemi particolari deputati alle varie funzioni. Venivano localizzate, tra le altre, le aree dell amore fisico e dell amore parentale, dell idealismo, della speranza, del senso musicale e dell individualismo. La possibilità di dimostrare che le funzioni superiori risiedano in zone ben definite del cervello giunse nella seconda metà dell Ottocento quando, nel 1848, l Accademia di medicina francese bandì un premio di cinquecento franchi (somma notevole, per quei tempi) destinati a chi fosse stato in grado di portare una chiara dimostrazione che una lesione nel lobo frontale non poteva produrre una perdita della funzione del linguaggio. Il fisico e anatomista Paul Broca, grazie all analisi patologica del cervello di un paziente di nome Leborgne conosciuto come Tan-Tan a causa dell unica sillaba che era in grado, ripetutamente, di esprimere dimostrò l infondatezza della tesi dell Accademia: Tan- Tan presentava infatti una lesione limitata al lobo frontale. Pochi anni più tardi, Carl Wernicke dimostrò che, in seguito a lesione di una parte ben definita del lobo temporale, si può perdere selettivamente la capacità di capire le parole ascoltate. Da qui in avanti, grazie anche agli studi di Gustav Fritsch ed Eduard Hitzig, la teoria delle localizzazioni cerebrali si sviluppò e prese sempre più forma, pur continuando ad avere dei detrattori tra gli istologi più affermati del tempo, tra cui l italiano Camillo Golgi. La presenza di aree ben definite del cervello deputate a precise funzioni (come il linguaggio parlato e ascoltato, la visione e l udito) non permise però di capire come il cervello sia intimamente formato, quante e quali cellule lo rendano l organo funzionante che è, e come tali cellule si interconnettono tra loro. Camillo Golgi, istologo italiano modesto e riservato, alla fine del XIX 41

4 secolo, sostenne la teoria della rete diffusa, la cosiddetta teoria reticolare, secondo la quale il cervello sarebbe costituito da un rete continua di cellule. Questa teoria, Golgi l aveva appresa dagli studi condotti dal medico tedesco Joseph Gerlach, il quale aveva sposato l idea delle reti sinciziali diffuse (per sincizio si intende la fusione di due o più cellule, con la formazione di una sola cellula multinucleata), che rappresentavano, appunto, la base della teoria reticolare. Per Golgi, la rete fibrillare era alla base della distribuzione funzionale dell impulso nervoso. A questa visione si contrappose quella dell istologo spagnolo Santiago Ramón y Cajal, 2 aperto ed espansivo (e a tratti aggressivo ed egocentrico), fautore della teoria del neurone, o teoria neuronale, in quegli anni sostenuta da vari scienziati tra cui il medico francese Auguste Forel e il medico svizzero Wilhelm His. Tale teoria recitava che i neuroni sono entità cellulari singole, e con fuse tra dloro, deputate alla ricezione, alla conduzione e all emissione dell impulso nervoso. Tra un neurone e l altro esistono punti di passaggio, in seguito definiti sinapsi, che determinano il formarsi di una rete cellulare contigua e non continua di cellule. Anche se non saranno mai d accordo sulla struttura intima del sistema nervoso, Golgi e Cajal condivideranno, proprio malgrado, il premio Nobel per la medicina del 1906, assegnato loro precisamente per questi studi. Sebbene la maggior parte degli studi sulla struttura del sistema nervoso svolti in epoche successive a quella che aveva visto Golgi e Cajal assoluti protagonisti marchino sempre di più la distanza tra teoria della continuità e della contiguità, tra reticularisti e cellularisti, si può dire che oggi tale distanza si stia sempre più riducendo. Come vedremo più in dettaglio successivamente, si sta, infatti, sempre di più affermando il concetto di plasticità sinaptica, che prevede l esistenza di un sistema di trasmissione dell impulso nervoso che coinvolge non solo il classico sistema neuronale di trasporto ed elaborazione degli impulsi unidirezionale profetizzato da Cajal, ma anche un sistema costituito da cellule diverse dai neuroni (cellule gliali), in grado di modulare la trasmissione degli impulsi al di fuori della sinapsi classica. La nascita e la modulazione degli impulsi nervosi appare quindi sempre più complessa, risultato di interazioni elaborate anche al di fuori del sistema cellulare neuronale, come se effettivamente ci fosse una rete fibrillare complessa, di reminiscenza golgiana, che determina l esito finale della trasmissione nervosa e che contempla non solo la mera attività dei neuroni. Golgi e Cajal sono quindi molto più vicini oggi di quanto lo fossero all inizio del secolo scorso

5 Le cellule nervose: assoni, dendriti e sinapsi Gli ultimi decenni del XIX secolo e i primi del XX ci hanno, quindi, permesso di definire la cellula nervosa, il neurone, come l unità anatomica costitutiva e funzionale del cervello, e più in generale del sistema nervoso. Addentriamoci ora nella struttura e nella funzione dei neuroni e delle altre cellule che compongono il sistema nervoso, così da capire meglio quella rete tanto determinante nello svolgere le funzioni che ci permettono di essere ciò che siamo e di fare ciò che facciamo. Il neurone è formato da un corpo (o soma) cellulare circondato da tanti piccoli prolungamenti chiamati neuriti, dendriti e assoni, che rappresentano i mezzi di comunicazione tra una cellula nervosa e l altra. L assone trasmette l impulso nervoso, i dendriti lo ricevono. La parte finale dell assone è detta bottone terminale, perché prende contatto con i dendriti o il corpo cellulare di altri neuroni affinché l impulso nervoso si propaghi. Gli assoni sono rivestiti da mielina, una sostanza gelatinosa che velocizza la trasmissione del segnale tra un neurone e l altro: la trasmissione in cellule non avvolte da mielina è lenta (0,5 metri al secondo, paragonabile al passo di una persona che cammina) mentre in cellule avvolte da mielina è molto rapida (120 metri al secondo, ovvero 430 chilometri all ora, all incirca la velocità media di un aereo). Il cervello contiene 100 miliardi di neuroni: se si contassero i neuroni di in un cervello umano al ritmo di uno al secondo, si impiegherebbero 3171 anni; mettendoli in fila, potrebbero comporre un tracciato di 1000 chilometri, all incirca la distanza che separa Milano da Reggio Calabria. La dimensione media del corpo del neurone è di circa 50 micrometri e il diametro dell assone va da 0,2 a 20 micrometri. I neuroni possono essere di diverso tipo e possono essere classificati in base alla forma del soma e alla distribuzione dell albero dendritico e del prolungamento assonale. Ci sono neuroni unipolari che presentano solo l assone (il dendrite è stato inglobato nella struttura dell assone); ci sono neuroni bipolari che presentano un assone e un solo dendrite; ci sono neuroni multipolari che presentano un assone e molteplici dendriti; ci sono, infine, neuroni pseudounipolari che presentano un unico prolungamento che si divide in due, funzionando sia come assone che come dendrite. I neuroni possono anche essere divisi in: (1) neuroni sensoriali, che partecipano all acquisizione di stimoli, trasportando le informazioni dagli organi sensoriali al sistema nervoso centrale, composti da assoni chiamati afferenti; (2) interneuroni, ovvero neuroni che collegano due neuroni tra di loro all interno del sistema centrale, integrando i dati forniti dai neuroni sensoriali e trasmettendoli ai neuroni motori o motoneuroni; (3) neuroni motori, distinti in somatomotori o visceroeffettori e composti da assoni chiamati efferenti. 43

6 Una volta definito il cervello dal punto di vista strutturale, dobbiamo introdurre il concetto di rete neurale per spiegarne il funzionamento. I neuroni si parlano tra loro e convogliano informazioni attraverso i bottoni terminali di un assone (dilatazioni terminali dell assone che permettono all assone stesso di trasmettere gli impulsi all apparato ricevente dei neuroni costituito dai dendriti), che rilasciano particolari sostanze chimiche (neurotrasmettitori o neuromodulatori) in grado di modificare il segnale elettrico delle cellule più prossime. Queste sostanze vengono catturate dai neuroni vicini, attraverso i dendriti, o per meglio dire le spine dendritiche (dilazioni presenti sui dendriti che permettono loro di ricevere gli impulsi dagli assoni), che a loro volta decidono, in base alle rispettive competenze, se eseguire l ordine (per esempio muovere la mano destra) oppure ridirigere il comando ad altri neuroni. Gli interruttori molecolari che permettono la trasmissione dell informazione tra neuroni prende il nome di sinapsi, dal greco synaptein connettere insieme. Il meccanismo che permette a un segnale chimico di modificare un potenziale elettrico fino alla sua traduzione nel gesto concreto di muovere la mano è semplicemente affascinante, se consideriamo che le sinapsi nel cervello umano sono (cioè tra centomila e un milione di miliardi), il che corrisponde a un miliardo di sinapsi per millimetro cubo. Da ciò si deduce che, nel cervello umano, ogni neurone può avere da a sinapsi. 3 Non è, quindi, il singolo neurone a essere responsabile di una specifica azione, ma è l azione congiunta di un insieme di neuroni che collettivamente formano reti neurali, che determina un azione, una sensazione, in definitiva un comportamento. Per spiegare la funzione e la complessità delle reti, prenderemo a esempio le cosiddette funzioni cognitive, cioè quelle funzioni superiori che ci permettono di conoscere attraverso l elaborazione da parte del cervello delle sensazioni che ci giungono dal mondo esterno, e che sono il risultato dell attività contemporanea di gruppi di neuroni collegati tra di loro in rete. Le reti neurali sono organizzate e contengono gruppi di neuroni che collaborano tra di loro ma che non sono intercambiabili: ciascuno infatti ha una propria specializzazione. La rete di neuroni che ci dà la possibilità di cogliere stimoli presenti nello spazio che ci circonda e che viene definita rete frontoparietale spaziale attentiva 4 contempla due centri, reciprocamente interconnessi, situati l uno nel lobo parietale (specializzato nel mappare le coordinate spaziali salienti) e uno nel lobo frontale (implicato nella programmazione sensorimotoria). Questi due centri sono a loro volta connessi con il giro del cingolo (una zona del cervello 3 Alonso-Nanclares et al., Mesulam,

7 implicata nell attenzione preferenziale per gli eventi considerati rilevanti) e con numerose altre regioni corticali. L architettura che ne risulta rende bene l idea della rete. Oltre a questa rete, nell uomo esistono almeno alter quattro reti maggiori: la rete del linguaggio, situata nell emisfero cerebrale sinistro; 5 la rete implicata nella memoria esplicita e nella motivazione, situata nel cosiddetto lobo limbico; la rete implicata nel riconoscimento degli oggetti, situata nel lobo temporale; e, infine, la rete delle funzioni esecutive, situata nella corteccia prefrontale. 6 Queste reti sono per lo più rappresentate nel cervello, che pesa mediamente un chilo e mezzo e che, pur costituendo solo il 2% del peso corporeo, usa il 20% dell ossigeno che abbiamo a disposizione, permettendoci di far funzionare le reti di cui sopra in modo efficiente e di immagazzinare una quantità di dati pari a cinque volte il contenuto dell Enciclopedia Britannica, con una capacità di stoccaggio che, tradotta in termini elettronici, oscilla fra i 3 e i 1000 terabyte. Oltre ai neuroni, si stima che nel cervello vi siamo più di 100 miliardi di cellule di diverso tipo, dette gliali, che formano la struttura di sostegno su cui si innestano i neuroni. Le cellule gliali sono di due tipi: microglia e macroglia, quest ultima a sua volta costituita da astrociti e oligodendrociti. La microglia, deputata a difendere il cervello dagli invasori, origina dal sangue e colonizza il cervello durante la vita embrionale e fetale. Gli astrociti, a forma di stella, sono le cellule che formano l impalcatura (microambiente) all interno della quale i neuroni risiedono e svolgono la propria funzione; controllano, infatti, l ingresso nel tessuto nervoso delle sostanze (come i nutrienti, o le sotanze nocive) provenienti dal sangue, essendo elementi costitutivi delle barriere emato-encefalica ed emato-cerebrospinale (strati di cellule specializzate e fortemente coese che rivestono come un isolante il tessuto cerebrale), e sono coinvolti nella trasmissione tra neuroni poiché contribuiscono a regolare la secrezione dei neurotrasmettitori. 7 Negli ultimi anni si è andata affermando la teoria che le cellule staminali del cervello sono una sottopopolazione di astrociti. Gli oligodendrociti, infine, sono le cellule che nel cervello producono la mielina, la guaina formata da proteine e lipidi che avvolge i prolungamenti dei neuroni, ovvero i nervi, che, come già detto, velocizza la capacità di trasmissione degli impulsi elettrici. 5 Catani et al., Mesulam, Edwards, 2009; Yang et al.,

8 Meccanismi di autoriparazione del cervello Ieri: rigenerazione e cervello Il prevalere nel tempo dell idea che né il cervello né il midollo spinale in una parola il sistema nervoso centrale potessero rigenerarsi, è dipeso soprattutto dall evidenza sperimentale che gli assoni tagliati diventano rapidamente distrofici e si estendono solo per brevissime distanze, prima che la crescita si blocchi bruscamente. Grazie agli studi compiuti dall inizio degli anni Sessanta (ovvero da quando sono state individuate le cellule staminali del cervello), oggi cominciamo a intuire che questo paradigma non è assoluto, e che le cellule nervose danneggiate possono ricrescere e riconnettersi al tessuto circostante. A onor del vero, già nel 1907 un collaboratore di Cajal, Francisco Tello, suggerì questa ipotesi, dimostrando che un nervo ottico tipico nervo che appartiene al sistema nervoso centrale può ricrescere quando amputato se al suo moncone si contrappone un moncone di nervo sciatico, tipico nervo appartenente al sistema nervoso periferico. Questo dato confermava una volta di più che, in presenza di un microambiente permissivo (il nervo sciatico appartiene al sistema nervoso periferico, ed è quindi in grado di rigenerarsi), è possibile che anche nel sistema nervoso centrale avvengano fenomeni rigenerativi. Cajal, seppur scettico, alcuni anni dopo fu costretto a ricredersi circa l irreversibilità dei danni al sistema nervoso centrale e, convinto dagli studi di Tello, dichiarò che l impotenza rigenerativa degli assoni appartenenti al sistema nervoso centrale non è né irreversibile né fatale. Malgrado gli studi di Tello, solo verso la metà degli anni Sessanta si iniziò a comprendere realmente come il potenziale rigenerativo del sistema nervoso centrale dei mammiferi fosse maggiore di quanto la comunità scientifica avesse fino a quel momento immaginato. Anche se fino alla fine degli anni Settanta il pensiero più diffuso rimase comunque quello di un impossibilità rigenerativa, la scoperta di cellule staminali neurali nel cervello adulto, da un lato, e i primi esperimenti atti a diminuire la cicatrice nel sito della lesione in modo da stimolare la rigenerazione degli assoni centrali dall altro, diedero di sicuro un impulso sostanziale all ipotesi rigenerativa. Si dovettero però aspettare gli anni Ottanta perché Albert Aguayo, tra gli altri, stabilisse un notevole progresso nel campo della rigenerazione assonale del sistema nervoso centrale. Inizialmente piccoli segmenti di nervo periferico vennero innestati nel midollo spinale ferito 8 e gli assoni vennero tracciati in modo retroattivo per seguirne il cammino; si osservò 8 David et al., 1981; Richardson et al.,

9 così una sostanziale crescita assonale nel sito del trapianto e si notarono i corpi delle cellule neuronali all interno del midollo spinale, segno che gli assoni che si vedevano erano derivati dal sistema nervoso centrale. Questi dati erano di importanza tale da sancire l inizio di una nuova era riguardo alle capacità rigenerative del sistema nervoso, riprendendo ancora una volta l intuizione della scuola spagnola, secondo cui la rigenerazione viene inibita da fattori presenti nell ambiente. A poco a poco si sarebbe cercato, prendendo le mosse da questo punto fermo, di scoprire quali elementi ostacolano la rigenerazione, così da rimuoverli e dare finalmente spazio ai processi rigenerativi. Oggi: i meccanismi di autoriparazione La rigenerazione assonale sostenuta da Tello agli inizi del Novecento è oggi considerata uno dei meccanismi di autoriparazione più solidi ed efficienti che avvengono sia nel sistema nervoso centrale che in quello periferico. Oltre al dato empirico, sia sperimentale che clinico, relativo alla ricrescita assonale, gli esperimenti condotti in quest area negli ultimi decenni ci hanno permesso un elaborazione dal punto di vista teorico. Oggi la ricrescita assonale viene inquadrata in quel fenomeno più ampio cui viene dato il nome di plasticità cerebrale, che grazie a vari scienziati in primis Cajal e Levi-Montalcini può essere a buon titolo considerata tra i principali meccanismi di autoriparazione del cervello. La plasticità cerebrale non è altro che la capacità di gruppi di neuroni, sia nel sistema nervoso centrale che periferico, di promuovere subitaneamente ed efficacemente la ricrescita di nuove ramificazioni assonali (il cosiddetto axonal sprouting) e di aumentare il numero e la forza delle sinapsi disponibili (processo definito come sinaptogenesi). Questa ricrescita serve a promuovere la formazione di nuove vie neuronali funzionanti che prima erano disattivate o non utilizzate in grado di bypassare le aree danneggiate e provvedere al fabbisogno funzionale dell area danneggiata. 9 Forse la leggenda che usiamo solo parte del cervello non è poi così falsa; usiamo tutte le parti del nostro cervello, ma molte di queste sono riserve funzionali normalmente inattive, che si attivano solo per rispondere in modo appropriato ai danni che il cervello subisce senza soluzione di continuità e che ne metterebbero in gioco l incolumità. 10 La plasticità cerebrale è finalizzata non solo a rafforzare e mantenere efficienti i circuiti nervosi necessari allo svolgimento delle varie funzioni cerebrali, ma anche a ridimensionarli, se necessario; o a modificarli quando, per esempio, 9 Martino, Seeley et al.,

10 non svolgono più la loro funzione efficientemente, o non vengono più utilizzati, come accade a seguito di danni strutturali. Tutto questo determina un mutamento dinamico delle reti neurali, ovvero delle interconnessioni tra gruppi di neuroni della corteccia cerebrale deputati a una funzione specifica. Tale fenomeno è stato molto bene esemplificato, per esempio, per quanto riguarda le mappe cerebrali che regolano il movimento delle dita dei suonatori di violino, o dei lettori dell alfabeto Braille. Il cervello, che prima degli anni Settanta era visto come relativamente statico, con cambiamenti che si pensavano limitati alla funzionalità delle sinapsi esistenti, in realtà presenta cambi strutturali, con la formazione e l eliminazione di sinapsi cui conseguono modificazioni delle connessioni tra sinapsi durante tutta la vita. Questi cambiamenti sono a carico di tutte le strutture che formano la sinapsi; sia quelle presinaptiche (per esempio i bottoni presinaptici) che quelle postsinaptiche (per esempio le spine dendritiche). Il tasso di formazione ed eliminazione di queste strutture sinaptiche dipende dal tipo di neurone che fornisce la connessione; alcuni tipi di connessione hanno un tasso di cambiamento sinaptico che supera il 60% in sei settimane. 11 Ancora, il tasso di cambiamento sinaptico nella corteccia visiva della scimmia e nell area somatosensoriale della corteccia di ratto è di circa il 10% alla settimana. In tutti i casi, la formazione di apparati di ricezione-trasmissione, cioè di nuovi bottoni sinaptici e spine dendritiche, è bilanciata dalla contemporanea eliminazione di strutture preesistenti. Anche se i calcoli numerici sono sempre difficili da fare, e di certo possibili solo con stratagemmi sperimentali in animali di laboratorio, oggi si pensa che vi siano (se non altro nel topo) almeno tre tipi diversi di neuroni. Abbiamo neuroni con assoni stabili nel tempo (definiti nel topo di tipo A1); solo nel 4% dei casi si è osservata una minima aggiunta o eliminazione di ramificazioni corte, e il cambio totale in lunghezza in ventiquattro giorni è stato calcolato essere meno dello 0,1%. Abbiamo neuroni dinamici (definiti A2 nel topo), in cui circa la metà delle sinapsi originali non viene più ritrovata dopo un mese, e meno del 30% delle sinapsi totali rimane dopo sei settimane, suggerendo che intere popolazioni di bottoni sinaptici cambiano più volte durante la vita dell animale. Infine abbiamo i neuroni definiti, sempre nel topo, di tipo A3, che con molta probabilità comprendono i neuroni della corteccia cerebrale considerati prototipici, i quali mostrano cambiamenti della struttura dei bottoni sinaptici di circa il 10% alla settimana e di circa il 20% in un mese. 11 De Paola et al.,

11 Il passaggio dal topo all uomo non è immediato: la diversa durata della vita non aiuta a fare inferenze numeriche per scoprire se simili cambiamenti avvengano a questi ritmi anche nel nostro cervello. Si possono ipotizzare velocità diverse non solo fra topo e uomo, ma anche tra diversi tipi di cellule all interno del cervello umano. In un lavoro di Dan D. Stettler del 2006 si sostiene che, a seconda dell omogeneità della popolazione, il cambiamento dei bottoni sinaptici nella corteccia visiva primaria di un macaco è del 7% alla settimana. Questa osservazione ha implicazioni differenti per la stabilità della rete di connessioni sinaptiche. Infatti, se tutti i bottoni avessero la stessa probabilità di essere sostituiti, la connettività sinaptica verrebbe completamente rimodellata in circa quattordici settimane. In alternativa, ci potrebbe essere una popolazione di connessioni che è altamente dinamica, mentre il resto rimane tendenzialmente stabile. Ma come è possibile un cambiamento così rapido di porzioni del neurone soprattutto a livello sinaptico considerando che negli esseri umani, così come negli altri animali che vivono a lungo (per esempio le tartarughe e le aragoste), i neuroni sopravvivono e funzionano bene per decenni? Dipende dal fatto che le proteine strutturali, inserite nella membrana cellulare, che costituiscono i componenti essenziali che permettono al segnale elettrico di essere trasmesso (come canali ionici, recettori sinaptici) sono sottoposti a un turn over continuo e vengono rimpiazzati senza soluzione di continuità, avendo vite medie di minuti, ore, giorni o, al massimo, settimane. Questi continui cambiamenti, pur rendendo plastico il sistema, pongono il problema di come venga mantenuta la stabilità funzionale dei neuroni, nonostante questi sostituiscano continuamente le proteine che ne determinano la funzione elettrica. 12 Sembra che diversi meccanismi contribuiscano affinché questo accada. Lo scaling sinaptico, ovvero quel processo attraverso cui i neuroni regolano la forza elettrica di tutte le loro sinapsi, occupa un ruolo di primo piano. Inoltre sembra che anche modifiche nella densità delle correnti ioniche possano fungere da meccanismo di compenso. 13 Tutto questo fa sì che il singolo neurone possa mantenere lo stesso grado di attività utilizzando differenti combinazioni delle correnti di membrana. Astrid A. Prinz e colleghi nel 2004 hanno costruito più di venti milioni di modelli in grado di mantenere il ritmo del piloro delle aragoste: ritmo determinato da correnti elettriche generate da tre cellule nervose accoppiate elettrotonicamente che permette all aragosta di selezionare particelle di cibo durante il pasto 12 LeMasson et al., Aizenman et al., 2003; Marder et al., 2006; Wilhelm et al.,

12 Oltre alla plasticità sinaptica legata a doppio filo con la rigenerazione assonale (meta privilegiata della medicina rigenerativa, come vedremo in seguito), si deve la scoperta di nuovi meccanismi cerebrali di automantenimento per lo più agli studi di quella branca della scienza, denominata neuroimmunologia, che si occupa di capire come il cervello si difende dalle aggressioni che provengono dall ambiente esterno. Questi studi presero il via negli anni Quaranta, quando Peter Medawar mostrò nei roditori che la pelle autologa (ovvero proveniente dallo stesso ricevente del trapianto) trapiantata nel cervello non viene rigettata. 14 Questo ha fatto sì che per molti anni si ritenesse che il sistema nervoso non fosse immunosorvegliato, cioè protetto dal quel sistema immunitario che permette all organismo di difendersi dagli attacchi esterni di agenti estranei producendo un esercito di cellule killer e di anticorpi agguerriti. Si pensò che questo immuno-privilegio fosse il risultato della presenza di barriere impermeabili tra sangue e sistema nervoso (le barriere emato-encefalica ed emato-cerebrospinale), della virtuale assenza di un sistema linfatico proprio del sistema nervoso, e della scarsa capacità delle cellule del sistema nervoso di reagire a stimoli causati da agenti nocivi. Tale convinzione è stata oggi superata da una serie infinita di evidenze che indicano che il cervello si difende non solo utilizzando barriere fisiche e passive, ma soprattutto utilizzando complessi meccanismi immunologici attivi che fanno parte del suo programma di automantenimento, denominato Brain Repair System 15. Il cervello non è quindi un organo statico, che si difende dagli insulti proteggendosi esclusivamente con barriere anatomiche, ma è straordinariamente attivo e continuamente impegnato in una battaglia contro tutto ciò che lo minaccia. Dal punto di vista teleologico, il cervello è l organo più importante del corpo umano, ed è quello che ne garantisce la specificità biologica. Proprio per questo, durante l evoluzione si è dotato di un sistema di autoriparazione intrinseco all organo che opera in modo estremamente efficiente, rendendolo capace di proteggersi dalle lesioni. Non bisogna dimenticare che questo programma di automantenimento è attivo non solo quando è presente un agente nocivo e dannoso, ma anche in assenza di qualsiasi malattia o disturbo, ventiquattro ore su ventiquattro. Questo meccanismo autoriparativo fisiologico è importante a tal punto che si sta consolidando la convinzione che molte malattie del cervello possano essere causate da meccanismi di riparazione difettosi, piuttosto che da eventi patogenetici incontrollabili. 14 Medawar, Martino,

13 La maggior parte dei disturbi di carattere neurologico è incurabile, e questo è terribilmente vero sia per le infiammazioni croniche che per i disordini degenerativi del sistema nervoso centrale, come la sclerosi multipla, il morbo di Parkinson, il morbo di Alzheimer, l ictus cerebrale, la sclerosi laterale amiotrofica. Capire gli eventi molecolari e cellulari che sostengono i meccanismi intrinseci di autoriparazione, così come una migliore comprensione del motivo del loro fallimento nei disturbi cronici, potrebbe suggerire nuovi spunti per lo sviluppo di terapie atte a sconfiggere queste malattie neurologiche. Tra i vari meccanismi di autoriparazione identificati, ve ne sono alcuni di estremo interesse perché possibili sorgenti di nuovi terapie nel futuro prossimo. Si è scoperto, per esempio, che proteine che fino a pochi anni fa si pensava funzionassero esclusivamente nel cervello embrionale e fetale durante il suo sviluppo (come gli inibitori della mielinizzazione e della crescita assonale) sono riespresse nel cervello adulto danneggiato. Tale riespressione che ab origine è finalizzata a ricreare le condizioni primigenie di un cervello in fase di sviluppo, per permettere al tessuto cerebrale danneggiato di ricrescere potrebbe essere adeguatamente coordinata da manipolazioni ex vivo specifiche (per esempio utilizzando anticorpi), così da favorire la riparazione. È come se al cervello venisse insegnato nuovamente a riutilizzare le sue proprie istruzioni di montaggio. Ci sono poi molecole, come le citochine e le chemiochine, che vengono prodotte nel cervello adulto in risposta a uno stimolo infiammatorio, in grado dapprima di distruggere il patogeno anche a costo di lasciare morti sul campo, cioè di danneggiare il tessuto che ospitava il patogeno e successivamente di cambiare senso di marcia e di svolgere naturalmente una funzione riparativa, che determina la cosiddetta restitutio ad integrum dell organo infiammato. Ultimamente si è cercato di capire quali siano le caratteristiche molecolari e genetiche che possono determinare in vivo questo cambio di marcia, per poter sviluppare strategie terapeutiche soprattutto nelle malattie infiammatorie demielinizzanti croniche, come la sclerosi multipla che sfruttino la capacità riparativa, e non distruttiva, delle molecole di cui sopra. Ci sono studi che, per esempio, dimostrano come l interferone gamma, citochina per definizione proinfiammatoria, se somministrato direttamente nel cervello, esprima solo le sue potenzialità riparative, riuscendo a spegnere un processo infiammatorio cronico cerebrale. 16 Anche in questo caso siamo in fase sperimentale preclinica, ma dal punto di vista biologico è assolutamente affascinante pensare di poter usare il potere distruttivo di una molecola per stimolare la riparazione, visto che la storia della scienza ci ha, finora, insegnato il contrario. 16 Furlan et al.,

14 Tra i meccanismi di autoriparazione cerebrale, inoltre, ci sono quelli basati sull attività indefessa delle cellule staminali neurali, anche se tale attività, come vedremo in seguito, è fortemente intersecata con quella di tutti gli altri meccanismi di automantenimento che abbiamo già avuto occasione di citare. L attività rigenerativa e riparativa delle cellule staminali non sarebbe compresa appieno se non all interno di un paradigma più complesso, come quello dell automantenimento cerebrale. Domani: le cellule staminali neurali adulte, guardiane del cervello Fino agli studi di Joseph Altman e Gopal Das, nel 1965, si pensava che la nascita di cellule neurali, sia di tipo gliale che neurale, fosse limitata al periodo embrionale e fetale, ma i due scienziati statunitensi hanno fornito evidenze circa lo sviluppo di neuroni maturi anche nell età adulta: da quel punto in avanti, la capacità di produrre nuove cellule nervose (la cosiddetta neurogenesi) nel cervello adulto ha smesso di essere una chimera per divenire una solida realtà. Oggi sappiamo (o, per meglio dire, lo deduciamo da esperimenti condotti in roditori) che il nostro cervello produce neuroni al giorno, 500 ogni ora. Questa produzione suggerisce e sostiene la convinzione che, se riuscissimo a carpire le regole sottese a tale fenomeno, forse ci avvicineremmo in modo consistente a terapie rigenerative a base di staminali per quelle malattie del cervello che oggi rappresentano una vera piaga globale. Secondo i dati dell Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), circa una persona su cinque nel mondo è affetta da una malattia che colpisce il sistema nervoso. Ricostruiamo ora i passi fondamentali delle tappe che hanno portato alla scoperta delle cellule staminali nel cervello adulto dei mammiferi, uomo compreso. Come già detto, nel 1965 Altman e Das trovano nell ippocampo di ratto delle cellule capaci di proliferare, di duplicarsi e di dividersi. Tali cellule vengono considerate bona fide cellule staminali neurali. Fernando Nottebohm, nel 1983, conferma tale ipotesi, perché arriva alla dimostrazione di neurogenesi, ovvero di produzione di nuove cellule neuronali, finalizzata all acquisizione e al mantenimento del canto, nella zona ventricolare cerebrale di un canarino femmina adulto. Dieci anni più tardi, nel 1992, Brent Reynolds e Samuel Weiss riescono a coltivare in vitro cellule staminali neurali adulte dal cervello di topo. Alla fine degli anni Novanta, Elizabeth Gould e Fred Gage dimostrano che la neurogenesi avviene anche nel cervello adulto delle scimmie e degli uomini. Ciò che accade dopo, è storia dei nostri giorni Cattaneo et al., 1990; Stemple et al., 1992; Kilpatrick et al., 1993; Kirschenbaum et al., 1994; Mckay, 1997; Rao 1999; Vescovi et al., 1999; Gage, 2000; Temple,

15 Grazie a queste scoperte e a quelle che le hanno seguite, oggi sappiamo che, in diverse specie di mammiferi, le cellule staminali sono presenti anche nel cervello adulto, soprattutto in due aree ben precise: il giro dentato dell ippocampo e la zona subventricolare dei ventricoli cerebrali laterali. In queste due aree, le cellule staminali neurali risiedono in zone denominate nicchie germinali, microambienti specializzati che regolano l autorinnovamento e la differenziazione delle cellule. In queste nicchie, le cellule staminali risiedono come staminali vere e proprie. 18 Il mantenimento e la differenziazione delle cellule staminali neurali nelle nicchie sembra dipendere dal loro contatto fisico con la lamina basale, che agisce come scaffold, modulando citochine e fattori di crescita derivati dalle cellule locali, come astrociti, oligodendrociti, cellule microgliali e neuroni. Quando ricevono segnali microambientali che indicano loro la necessità di fuoriuscire dalle nicchie per andare, per esempio, a sostituire cellule che sono invecchiate, logorate o danneggiate si trasformano in situ in precursori (o progenitori), e solo in questa forma più matura possono iniziare a migrare. In base alle richieste, le staminali possono differenziarsi sia in precursori di cellule gliali sia in precursori neuronali. Nei roditori, per esempio, dopo la divisione cellulare delle staminali e la loro trasformazione in precursori, le cellule migrano in modo tangenziale, dirigendosi dalla zona subventricolare del ventricolo laterale attraverso il torrente di migrazione rostrale (Rostral Migratory Stream) fino al bulbo olfattivo, dove sostituiscono le cellule che invecchiano a causa dell uso elevato, giacché nei roditori il sistema olfattivo è indispensabile per il mantenimento della vita stessa. Mentre è più facile indagare il ruolo funzionale delle cellule staminali neurali nei roditori, è ancora poco chiaro il ruolo fisiologico delle cellule staminali neurali adulte nell uomo. Se si pensa che la presenza di attività staminale nell ippocampo umano è responsabile della creazione di mappe spaziali e della memoria episodica, 19 si comprende come siano necessarie evidenze conclusive a sostegno dell attività staminale a livello della zona subventricolare del ventricolo laterale. Il numero di neuroni che prende vita nelle aree neurogeniche dell adulto non è fisso, ma varia in relazione a esigenze fisiologiche e patologiche e in base all età. Come già accennato, diversi sono i fattori che, all interno della nicchia cerebrale, determinano il destino della staminale neurale adulta: tra questi gli ormoni e i fattori di crescita (per esempio, Vascular Endothelial Growth Factor) svolgono un ruolo predominante, perché capaci di innescare la cascata di segna- 18 Lois et al., Eriksson et al.,

16 li che controllano la neurogenesi. Molti di questi fattori si continuano a scoprire giorno dopo giorno, e il mantenimento, così come la mobilizzazione delle cellule staminali dalle nicchie germinative, dipende dall interazione di questi molteplici fattori. Oltre ai fattori di cui sopra, è utile ricordare che è stato dimostrato, in alcuni animali, che anche i comportamenti individuali regolano la produzione di neuroni da parte delle staminali. Un ambiente stimolante e un attività fisica aumentano il numero di nuovi neuroni, mentre lo stress e l esposizione a radiazioni ionizzanti ne sono i killer, perché ne riducono sensibilmente il numero. 20 Scoperta affascinante degli ultimi anni, è che le cellule staminali neurali partecipano in maniera importante anche ai processi di difesa e di automantenimento che avvengono all interno del sistema nervoso centrale; sono, cioè, elementi chiave del Brain Repair System. Si è arrivati a questa scoperta perché si è potuto dimostrare che le cellule staminali neurali esprimono fisiologicamente, sulla loro superficie, delle molecole in grado di leggere e di rispondere a invasioni inaspettate del sistema nervoso da parte di soggetti alieni pericolosi per l incolumità del sistema nervoso stesso e in grado di causare fenomeni infiammatori. Tali molecole, quando stimolate, controllano le proprietà proliferative e differenziative delle cellule staminali neurali. 21 Questo suggerisce che, in un contesto di danno da invasore esterno, le cellule staminali non solo possono comportarsi come sentinelle e scatenare reazioni d allarme atte a informare il restante territorio del pericolo imminente, ma possono anche trasformarsi in cellule differenziate di origine neurale, più capaci di fronteggiare il danno. Un esempio su tutti: quando un agente nocivo danneggia neuroni essenziali per la sopravvivenza di un organismo, le cellule staminali del cervello possono decidere di trasformarsi non in neuroni (che poi andrebbero a sostituire quelli persi, come si pensava fino a pochi anni fa) ma, per esempio, in astrociti, cellule capaci di formare più rapidamente un vallo cicatriziale reattivo attorno alla zona di danno, nell intento di limitarne sia la portata che le conseguenze in termini di perdita di tessuto. Non è che una delle tante funzioni di protezione che le cellule staminali neurali possono svolgere. Sta diventando sempre più evidente che il dialogo tra le cellule del sistema immunitario, deputate alla difesa del nostro organismo, e le cellule staminali neurali, avviene quotidianamente e può avere conseguenze notevoli non solo per la protezione dell integrità e l induzione della riparazione del tessuto cerebrale, ma anche per mantenere un adeguata omeostasi del siste- 20 Abrous et al., Martino and Pluchino,

17 ma nervoso centrale. Questi meccanismi sono cruciali per la promozione della guarigione tissutale che segue al danno infiammatorio e/o degenerativo. La prima evidenza che supporta in modo deciso il concetto secondo il quale le cellule staminali neurali interagiscono con le cellule immuni arriva dagli esperimenti di trapianto, in cui le staminali neurali venivano usate come armi terapeutiche contro l infiammazione del sistema nervoso centrale. 22 Questi studi hanno dimostrato che le cellule staminali neurali esprimono molecole immunorilevanti, come le molecole di adesione cellulare, le integrine e i recettori delle chemochine. Si tratta di sostanze che le mettono in grado di interagire a livello funzionale con il microambiente infiammato. È stato poi identificato un nuovo meccanismo molecolare attraverso il quale le staminali neurali possono reagire ai patogeni infiammatori, 23 che si basa sull espressione costitutiva su queste cellule dei recettori dogana, i cosiddetti Toll Like Receptors. Alla luce del fatto che i recettori Toll Like non solo sono coinvolti nel riconoscimento di una vasta gamma di agenti invasori (per esempio prodotti microbici da batteri, da fungo e patogeni virali) ma sono anche ingaggiati per scoprire le ferite e iniziare la riparazione tissutale, 24 sembra corposa l ipotesi che le cellule staminali neurali si siano sviluppate anche per prevenire il danno, e non solo ripararlo una volta accaduto, in quanto in grado di difendere il cervello dai segnali di pericolo. D ora in avanti, le cellule staminali neurali possono essere considerate bona fide tra le cellule immuno-rilevanti del cervello, e quindi attori principali nei processi di automantenimento. 25 Rimane, tra le tante, una domanda particolarmente significativa: tutto questo complesso è un lascito del meccanismo iniziale di sviluppo che regola la formazione dei tessuti e la rigenerazione nell embrione, o è soltanto una questione di cellule che, in modo estremamente occasionale, esprimono molecole con una funzione immuno-rilevante? Se pure, a prima vista, il sistema immunitario e quello delle cellule staminali neurali sembrano essere distanti e separati sia per scopi che per operazioni, una riflessione più profonda lascia intravedere un interazione tra questi due sistemi, sia in chiave protettiva 26 che dannosa. Infine, capire le capacità proliferative e di differenziazione delle cellule staminali neurali in risposta ai segnali infiammatori può essere utile anche per il trattamento medico di malattie infiammatorie acute e croniche del sistema nervoso centrale, attraverso il trapianto delle cellule stesse. 22 Pluchino et al., 2003; Pluchino et al., Rolls et al., Zuany-Amorim et al., Martino and Pluchino Ziv et al.,

18 Il trapianto di cellule staminali neurali: dalla sostituzione della cellula guasta all effetto bystander Ricapitoliamo brevemente quanto detto finora circa le proprietà delle cellule staminali del cervello. Sappiamo che le cellule staminali neurali sono un elemento chiave dei meccanismi di (auto)riparazione cerebrale, rappresentando lo strumento precipuo di manutenzione dell efficienza dell organismo adulto. Sappiamo che queste cellule contribuiscono, minuto dopo minuto, a sostituire le cellule cerebrali che vengono perse per i più disparati motivi. Anche se non ce ne accorgiamo, infatti, il cervello umano è attaccato senza sosta da agenti nocivi come fattori ambientali, tossici o infettivi e questa battaglia lascia continuamente sul campo delle cellule che è necessario rimpiazzare; così come devono essere rimpiazzate quelle cellule cerebrali che, seppure con lentezza, invecchiano e muoiono per un turn over fisiologico. Quando però i danni sono estesi, questo meccanismo di autoriparazione non funziona più. Sembra quindi plausibile proporre, in simili situazioni, il trapianto di cellule staminali del cervello, poiché aumentare la disponibilità in zone danneggiate del cervello di cellule capaci di ripararlo naturalmente potrebbe rappresentare una valida alternativa terapeutica nelle malattie cerebrali croniche e debilitanti. Una prospettiva possibile grazie al fatto che, poco dopo l identificazione in vivo di queste staminali, sono state sviluppate diverse procedure in grado di ottenere in vitro un gran numero di cellule staminali neurali pronte per l uso, cioè per il trapianto. Contestualmente, si è anche pensato di sviluppare terapie che non prevedessero il trapianto ma la riattivazione in loco delle cellule staminali presenti e sopravvissute nella zona di danno, non capaci di riparare solo perché inibite dagli agenti dannosi presenti. Per esempio, si è pensato di utilizzare fattori neurotrofici capaci di mobilizzare le cellule staminali neurali endogene dalla zona subventricolare e indirizzarle verso la zona danneggiata. Le due strategie terapeutiche a base di staminali sono diventate nel tempo strategie plausibili e sono entrate in fase di sperimentazione, anche se, per ora, solo a livello preclinico, ovvero in animali di laboratorio. Queste prime sperimentazioni ci hanno consegnato risultati promettenti ma non di univoca interpretazione, facendoci così capire che, per il trasferimento dal modello animale alle terapie umane, restano ancora da risolvere alcuni punti critici. Per quanto riguarda i trapianti, 27 non sappiamo ancora se usare cellule staminali embrionali o adulte, o se la via di somministrazione migliore sia locale o sistemica. Inoltre, non sono chiari i meccanismi che sottostanno alle capacità di riparazione e all in- 27 Martino and Pluchino,

19 tegrazione funzionale a lungo termine delle staminali neurali, una volta trapiantate. Anche se ci sono indicazioni per cui le cellule staminali possono raggiungere l organo bersaglio e differenziare nel tipo cellulare più appropriato (glia versus neuroni), sono ancora scarse le evidenze riguardo la possibilità che queste cellule hanno di ricostruire funzionalmente l architettura cerebrale in tre dimensioni. Per quanto invece riguarda la mobilizzazione delle cellule staminali, ci stiamo ancora chiedendo con che cosa possiamo adeguatamente mobilizzare e rendere di nuovo efficienti le staminali del cervello. Quando usiamo i fattori trofici (scelta prima e obbligata, se pensiamo a quanto appena detto sulle loro proprietà) per ricreare il microambiente adatto a far funzionare le staminali, spesso incorriamo in pericolosi effetti collaterali e/o tossici causati dalla sostanza mobilizzante stessa. Inoltre, in alcune malattie del cervello sono proprio le cellule staminali neurali a essere bersaglio privilegiato della malattia, il che rende poco sensato mobilizzare cellule già danneggiate irreversibilmente. 28 Trapianto versus mobilizzazione Benché vi siano evidenze che sostengono che la neurogenesi endogena e la gliogenesi si verificano come parte di un processo di autoriparazione intrinseco nel corso dei disordini cronici infiammatori del sistema nervoso centrale, non vi sono spiegazioni convincenti riguardo l incapacità globale del compartimento delle staminali endogene di promuovere una riparazione piena e duratura. Dati recenti suggeriscono che alcuni componenti infiammatori sempre presenti che si tratti di un danno ab origine infiammatorio o che si tratti di una reazione infiammatoria a un danno neurodegenerativo come le cellule reattive residenti nel sistema nervoso centrale (astrociti, cellule dell endotelio cerebrale e microglia) e mediatori umorali (come citochine e chemochine) possono essere responsabili di tale fallimento. Essi sarebbero, infatti, in grado di inibire la proliferazione e la differenziazione delle cellule staminali neurali inducendo un aberrante e scoordinata riespressione del programma di sviluppo genetico che regola il comportamento delle cellule staminali. La riespressione scoordinata è una sorta di replica scialba dello spettacolo originale cui si assiste durante lo sviluppo embrionale. Stabilito che infiammazioni acute e croniche, primarie o reattive (secondarie), possono perturbare a livello anatomico e funzionale le relazioni tra le componenti cellulari delle nicchie germinali, danneggiando la capacità riparativa del distretto delle staminali endogene, si capisce che i protocolli sviluppati con l o- 28 Pluchino et al.,

20 biettivo di mobilizzare i precursori endogeni dalle nicchie germinali in vivo potrebbero essere terapeuticamente inefficaci nelle malattie infiammatorie del sistema nervoso centrale. 29 Quindi il trapianto di cellule neurali staminali potrebbe rappresentare un approccio terapeutico alternativo e possibilmente più efficace sia nei disordini infiammatori acuti (lesioni traumatiche del midollo spinale, infarto e trauma cerebrale) che cronici (sclerosi multipla, corea di Huntington, epilessia, sclerosi laterale amiotrofica, morbo di Parkinson, morbo di Alzheimer) del sistema nervoso centrale. 30 Quale cellula usare per il trapianto e come somministrarla La sorgente cellulare migliore per le strategie di trapianto deve essere plastica, cioè capace di adattarsi alle necessità trapiantologiche senza soffrire, e poter essere coltivata in vitro in grandi quantità. Sia le cellule staminali embrionali neuralizzate (cioè indotte in vitro a seguire un destino di differenziazione di tipo neurale) che le cellule neurali staminali adulte, rispondono a questo criterio. Al di là delle considerazioni etiche, l utilizzo terapeutico delle cellule staminali embrionali è ancora limitato da alcuni concetti chiave, tra cui alcuni aspetti legati ai protocolli di espansione in vitro e alla formazione di tumori (teratocarcinomi) in vivo. Alcuni nuovi tipi di cellule embrionali, come le cellule staminali indotte pluripotenti (ipsc), potrebbero risolvere, almeno in parte, questi problemi e ridare corpo alle speranze terapeutiche legate alle cellule staminali embrionali, ma i tempi sono ancora lunghi, come detto precedentemente. Le cellule neurali staminali adulte, invece, potrebbero rappresentare una sorgente di cellule pronte all uso, perché possono essere ottenute da tessuti differenti, come quello fetale, e possono essere usate in modo esteso in vivo, senza apparentemente causare la formazione di tumori o altri effetti collaterali. 31 D altro canto, le cellule neurali staminali adulte crescono a fatica in laboratorio e non possono per ora essere autologhe, cioè non possono essere ottenute dallo stesso paziente che subirà il trapianto. Nella pratica clinica, questo vuol dire che le cellule trapiantate sono passibili di rigetto. Per evitare il rigetto, si deve somministrare cronicamente terapie di tipo immunosoppressivo, che non sempre sono tollerate dal paziente a causa dei gravi effetti collaterali e/o tossici. La via della somministrazione cellulare, che rappresenta un altro limite per il trapianto delle cellule neurali staminali, dipende molto dal sito della lesione nel 29 Arlotta et al., 2003; Goldman, Emsley et al., 2005; Linvall and Kokaia, 2006; Martino and Pluchino, Galli et al.,

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