ALIMENTARE LA CRESCITA
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- Sibilla Gentile
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1 ALIMENTARE LA CRESCITA Rapporto 2013 sull agroindustria e l agricoltura del Nord Est a cura di Silvia Oliva e Gianluca Toschi SINTESI Marsilio
2 INDICE DEL VOLUME Premessa Antonio Scardaccio Nuove relazioni lungo le filiere agroindustriali di Silvia Oliva, Gianluca Toschi Parte prima. Il settore agroindustriale nel Nord Est di Silvia Oliva, Gianluca Toschi 1. Una ricognizione attraverso i dati istituzionali 1.1 L'agroindustria: alimentari, bevande e tabacco 1.2 Il commercio estero del settore agroindustriale ( ) 1.3 I bilanci dell'agroindustria 2. La congiuntura: Consuntivo I primi sei mesi del Previsioni 2013: investimenti e mercati 3. Le strategie delle imprese 3.1 Le strategie del passaggio generazionale 3.2 La distribuzione 4. Le imprese agroindustriali e la burocrazia Nota metodologica Parte seconda. Tra filiere alimentari e prodotti tradizionali del Nord Est di Antonella Dell Angela, Silvia Oliva, Sergio Simeoni, Stefania Toffolon 1. I produttori nelle filiere agroalimentari di Silvia Oliva 2. Il programma per valorizzare i prodotti agroalimentari tradizionali: il caso del Friuli Venezia Giulia di Antonella Dell Angela, Sergio Simeoni, Stefania Toffolon 2
3 PREMESSA La partnership con Fondazione Nord Est finalizzata alla promozione di studi e ricerche sul settore agroindustriale rappresenta una delle iniziative strategiche più significative attuate negli ultimi anni da FriulAdria. Da quando, infatti, nel 2007 siamo entrati a far parte del Gruppo Cariparma Crédit Agricole, la nostra tradizionale attenzione nei confronti dell agricoltura e della trasformazione alimentare è ulteriormente cresciuta. Oggi, in virtù della riconosciuta esperienza di banca locale e della possibilità di trasferire sul territorio i servizi e il know how di un player bancario internazionale, FriulAdria sta consolidando a livello triveneto un ruolo di riferimento per gli operatori del comparto. La scelta di investire a favore della crescita dell agroindustria muove dalla consapevolezza delle grandi potenzialità di questo settore, attualmente uno dei più brillanti dell economia italiana e anche uno di quelli più attrezzati per affrontare la crisi. A fronte delle sofferenze palesate dal manifatturiero, che pure resta la colonna portante del nostro tessuto produttivo, l agroindustria come dimostrano le ricerche fin qui realizzate dalla Fondazione ha in sé le qualità e la visione per diventare un asset chiave. Soprattutto le aziende di media dimensione, capaci di dotarsi di una solida struttura patrimoniale, organizzativa e commerciale, attualmente costituiscono la cavalleria del Made in Italy enogastronomico. Compito delle istituzioni, delle associazioni di categoria e del mondo del credito è ora quello di assistere questi imprenditori e aiutarli a diventare cittadini del mondo, alleggerendo così il peso relativo del mercato domestico a favore di una maggiore internazionalizzazione. Perché ciò avvenga non è sufficiente la buona volontà che sottende molte iniziative individuali. Occorrono la forza del sistema paese, la compattezza del mondo della produzione e l autorevolezza della rappresentanza politica e istituzionale chiamata a preparare il terreno e a creare le condizioni affinché l agroindustria possa competere al massimo delle sue possibilità. Per questo motivo, oltre ad operare con la leva del credito, FriulAdria ha voluto dar vita all Osservatorio sul sistema agroindustriale realizzato da Fondazione Nord Est, coerentemente con l ottica progettuale che caratterizza gli interventi della Banca sul territorio. Antonio Scardaccio Banca Popolare FriulAdria (Gruppo Cariparma Crédit Agricole) 3
4 SILVIA OLIVA, GIANLUCA TOSCHI NUOVE RELAZIONI LUNGO LE FILIERE AGROINDUSTRIALI Il primo rapporto sull agroindustria e l agricoltura del Nord Est 1 è stato dedicato all analisi dei cambiamenti che stanno avvenendo lungo le filiere dell agroalimentare. In quell occasione una particolare attenzione è stata posta ai processi che riguardano la fase della produzione di cui gli attori principali sono le imprese agricole. In questo secondo rapporto si è deciso di focalizzare l'attenzione sulle relazioni che si instaurano tra i diversi attori della filiera e quindi tra produttori, trasformatori e distributori con particolare attenzione al ruolo dei trasformatori e, quindi, delle imprese agroindustriali. Tale scelta è dovuta alla necessità di analizzare il processo di crescente proiezione internazionale delle filiere, un fenomeno che, pur coinvolgendo tutto il settore, vede proprio le aziende agroalimentari in prima fila. Il lavoro di ricerca condotto nell'ambito dell'osservatorio sull'agroindustria e l'agricoltura del Nord Est è stato progettato tenendo in considerazione una serie di elementi che stanno caratterizzando l'evoluzione delle filiere agroalimentari che possono essere così riassunti: - le filiere agroalimentari stanno vivendo importanti processi di internazionalizzazione. Tra il 2002 e il 2012 le esportazioni di prodotti dell agroindustria dalle regioni del Nord Est hanno conosciuto una crescita dell 87,6%, a fronte di una variazione per il complesso dei prodotti del manifatturiero pari al 30,1%. Una crescita che è continuata anche negli ultimi anni, quando il settore manifatturiero in generale ha conosciuto una fase di rallentamento: la variazione registrata nel 2012 rispetto all anno precedente segnala un dato positivo pari all 8% per il settore agroindustriale a fronte di una variazione negativa del manifatturiero (-0,3%). Osservando l andamento dell export negli ultimi cinque anni, si osserva come durante tutta la fase della crisi il settore dell industria alimentare e delle bevande abbia registrato una minore criticità rispetto al complesso dei settori manifatturieri, evidenziando variazioni sempre migliori. - la capacità di presidiare i mercati all'estero appare uno, forse il più importante fattore per il successo delle imprese in questi anni di crisi. I risultati dell'analisi congiunturale evidenziano che la vera cifra del successo delle performance aziendali sembra risiedere, infatti, nell intensità delle relazioni che le imprese riescono a instaurare con i mercati non domestici. Se nel complesso dell agroindustria nel 2012 solo il 29,6% delle aziende ha chiuso l anno con una crescita del fatturato, tra le imprese che realizzano un fatturato estero tra il 30 e il 50% tale quota sale al 70,8%. - per competere sui mercati internazionali le imprese hanno dovuto intraprendere importanti percorsi di revisione, anche radicali delle proprie strategie, in primo luogo delle politiche distributive. L apertura ai mercati esteri, così come raccontato nella precedente edizione del presente rapporto, ha definito e richiesto una profonda trasformazione delle aziende 1 D. Marini, S. Oliva (a cura di), Coltivando la crescita. Rapporto 2012 sull'agroindustria e l'agricoltura del Nord Est, Venezia, Marsilio,
5 agroindustriali del Nord Est in termini di organizzazione, innovazione, governance, rapporti con il mondo della distribuzione che, pur nel solco della tradizione familiare e della relazione con il territorio, ha restituito un settore radicalmente mutato e maggiormente competitivo. Di conseguenza i risultati registrati nel corso del 2012 e nella prima parte del 2013 misurano in maniera rilevante le differenze tra chi ha intrapreso l apertura ai mercati internazionali e il riadattamento delle proprie strategie e chi, viceversa, non ha ancora affrontato questi cambiamenti e rimane fortemente legato al contesto del mercato interno. Partendo da queste considerazioni nel rapporto, dopo una ricognizione delle principali dinamiche che interessano il settore, effettuata utilizzando i dati istituzionali, si cerca di fare il punto sulla crisi e sui suoi effetti sul settore utilizzando due strumenti: l'analisi dei bilanci delle imprese agroindustriali nel quadriennio e l'analisi congiunturale per i periodi Il tema del mutamento delle strategie è stato affrontato secondo due prospettive. La prima riguarda la questione del passaggio generazionale, un tema molto rilevante per un settore come quello agroindustriale e per un territorio come quello nordestino, che evidenziano ancora un'ampia diffusione del modello di impresa familiare. La seconda questione riguarda il tema della distribuzione e più precisamente le relazioni che si instaurano tra imprese dell'agroindustria nordestine e la distribuzione. La caduta della domanda interna ha reso ancora più urgente la necessità, da parte delle imprese, di rivedere le politiche commerciali, una revisione che riguarda sia la dimensione "proiezione internazionale della distribuzione" sia le strategie distributive per il mercato interno. Infine, per definire in maniera più precisa le relazioni lungo le filiere si è affrontato il tema della produzione con gli stessi operatori agricoli per definire attraverso le loro riflessioni la necessità di cambiamento nei rapporti con il territorio, il settore della trasformazione e le istituzioni. Agroindustria: occasioni di crescita nei mercati internazionali L'analisi dei bilanci delle imprese nel quadriennio permette di rilevare come il settore agroindustriale stia affrontando la crisi e se esistano differenze tra le dinamiche dei diversi comparti e tra i risultati delle imprese del Nord Est e quelle del resto d'italia. Se si considera il settore nel suo insieme, le imprese del Nord Est hanno mostrato, dopo la caduta dei ricavi registrata nel 2009, una capacità di recupero maggiore rispetto al dato medio nazionale. Fatto 100 i ricavi del 2008, quelli del 2011 si attestano a 111,5 a Nord Est e a 104,6 a livello nazionale. Se si passa a considerare la dinamica dei ricavi a livello di singola impresa e non di comparto, emergono le difficoltà generate dalla crisi. Nel 2011 poco più della metà (53,5%) delle imprese dell'agroindustria italiana aveva ricavi superiori a quelli del 2008, una percentuale che scende a 48,2% tra le imprese di dimensione minore (quelle con ricavi inferiori al milione di euro). Se i ricavi appaiono generalmente in ripresa, pur con le differenze sottolineate sia a livello settoriale che di dimensione di impresa, la redditività, in tutto il periodo in analisi, diminuisce. La redditività prodotta dalla gestione caratteristica 5
6 dopo il recupero avvenuto nel 2009 (da 6,4% a 6,8%) ha subito una progressiva riduzione. I valori delle imprese del Nord Est si attestano al di sopra della media del settore in tutto il quadriennio. L'indice che misura la redditività delle vendite (ROS, Return On Sales), evidenzia una progressiva riduzione e l andamento negativo accomuna tutti i settori. Se si passa a considerare la redditività globale, misurata attraverso il ROE (Return On Equity) il 2011 vede un peggioramento generale per le imprese di tutti i settori. Nel 2011 il 68,2% delle imprese agroindustriali italiane, comprese nel campione selezionato, ha chiuso il bilancio in utile, una percentuale inferiore a quella registrata nel biennio precedente (71,6% nel 2010 e 70,4% nel 2009). Il Nord Est evidenzia dati migliori rispetto a quelli generali. La crisi si manifesta anche attraverso il peggioramento del rapporto tra debiti finanziari e capitale netto. Nel 2011, dopo due anni di sostanziale stabilità, il numero di imprese con debiti finanziari oltre il doppio del capitale netto è tornata a crescere di quasi 3 punti percentuali, da 24,8% a 27,7%. Per quanto riguarda l andamento congiunturale del settore, l indice della produzione industriale raggiunge il suo valore massimo, degli ultimi vent anni, proprio nella fase della crisi: nel 2010, infatti, il valore raggiunto è pari a 103, mentre negli anni successivi si registra un leggero arretramento. Da sottolineare come, diversamente dal manifatturiero complessivamente considerato, l agroindustriale italiano non subisce nel 2009 un brusco rallentamento dell attività produttiva. L arretramento a livello italiano del biennio , trova solo in parte corrispondenza nei dati raccolti tra le imprese agroindustriali del Nord Est. In quest area, infatti, il 2011 si è caratterizzato ancora come un anno di crescita, mentre il rallentamento si è fatto registrare a partire dal 2012 e si conferma nei primi mesi del Il fattore che segna la differenza all interno del comparto agroindustriale è la capacità di vendita sui mercati esteri, a fronte di una riduzione rilevante della domanda e dei consumi interni. Come anticipato, le dinamiche di crescita del fatturato risentono in misura rilevante dell'intensità delle relazioni con i mercati internazionali. Quanto più queste si fanno intense, tanto più le imprese registrano una chiusura d'anno positiva. In generale, tuttavia, il settore agroindustriale nordestino è ancora prevalentemente legato al mercato domestico: mediamente, le imprese vendono l 88,4% dei propri prodotti in Italia, il 7,7% ai paesi dell UE e il 3,9% fuori dai confini europei. La performance di vendita è stata negativa nel mercato domestico, mentre è stata positiva nel contesto europeo e particolarmente in quello extra europeo, dove il 90% delle imprese esportatrici ha registrato un aumento dei ricavi (52,2%) o una stabilità (37,5%). Ad avere maggiore capacità di esportazione risultano le imprese più strutturate e questo conferma come la dimensione di impresa rimanga una variabile importante nel definire i risultati registrati nel corso del 2012 dall agroindustria. Sotto i 20 addetti, infatti, si registrano andamenti negativi per fatturato, occupazione e vendite, mentre sopra tale soglia la quota di imprese in crescita supera costantemente quella delle imprese in flessione. Le previsioni per il 2013 sono di un leggero rallentamento di tutti gli indici considerati con le medesime differenze in base all apertura internazionale, alla quota di fatturato estero e alla dimensione. La situazione incerta e le previsioni non positive rispetto agli ordini che le imprese riusciranno a raccogliere nei prossimi mesi si riflette sulle politiche di investimento, con il 30,8% di imprese che prevedono di diminuire gli impieghi nel corso del
7 Tuttavia, per l anno in corso le imprese dell agroindustria del Nord Est esprimono la necessità e la volontà di modificare la geografia delle proprie vendite: infatti, se da un lato il riferimento principale per il settore rimarrà il mercato regionale e nazionale, in particolare per il comparto zootecnico e quello del lattiero-caseario, dall altro sia le imprese già internazionalizzate confermano l interesse a esplorare nuovi mercati (soprattutto Asia, Nord America ed Europa dell Est), sia quelle non internazionalizzate dichiarano di voler aprirsi all estero (in particolare, Unione Europea ed Europa dell Est). L'importanza di ripensare le relazioni con la distribuzione Il primo elemento che emerge dall'analisi delle politiche distributive è che la scelta delle imprese del Nord Est appare orientata a favorire prevalentemente canali distributivi lunghi. Esse prevedono una relazione con il grossista che media la domanda dei dettaglianti. Il 71,2% delle imprese del settore agroindustriale del Nord Est utilizza, infatti, il canale del commercio all ingrosso per far arrivare i propri prodotti al consumatore finale. Il 54% si rivolge al dettaglio tradizionale, il 39,5% direttamente ai consumatori finali e il 38,6% utilizza la grande distribuzione organizzata (GDO). Se si considera l intensità, in termini di quota sul fatturato totale, con cui le imprese si rivolgono ai diversi canali distributivi, emerge che la quota media di ricavi realizzata attraverso il canale del commercio all ingrosso è pari al 32,1% del totale, con la metà delle imprese che consegue almeno il 20% del fatturato attraverso relazioni commerciali con grossisti e intermediari. Il dettaglio tradizionale pesa il 18,6% dei ricavi (dato medio) e la metà delle imprese realizza più del 5% dei ricavi utilizzando tale canale. La grande distribuzione assicura, mediamente, il 17% dei ricavi, la vendita diretta al consumatore finale pesa, mediamente, per il 16,3% dei ricavi. La distribuzione per canale non sembra destinata a cambiare dato che nel futuro prossimo il 24,4% delle imprese dichiara di voler aumentare il peso dell'ingrosso mentre il 24,1% potenzierà il rapporto con il consumatore finale. Se si considera il rapporto tra GDO e agroindustria gli aspetti più problematici riguardano l'area dei prezzi e dei margini. Il 65,2% delle imprese che serve la GDO mette al primo posto tra le criticità le crescenti richieste di sconti avanzate dai propri clienti, il 58,4% la remunerazione non adeguata del prodotto e i bassi margini di guadagno e il 55,6% l'aumento della frequenza delle azioni promozionali. Se si guarda al futuro più del 60% delle imprese agroindustriali dichiara di voler modificare, nei prossimi tre anni, le proprie strategie commerciali. Il 62,3% di queste intende andare alla ricerca di nuovi mercati attraverso un ampliamento della copertura distributiva territoriale e il 44,4% andrà alla ricerca di nuovi canali distributivi. Più della metà delle imprese (50,7%) intende aumentare la gamma dei propri prodotti, mentre il 43,5% riorganizzerà la propria struttura commerciale. Considerando l'importanza della proiezione internazionale delle imprese va sottolineato che il 54,5% delle aziende nordestine non esporta. Tra queste imprese più di due su cinque (42,6%) dichiara di voler estendere, in un futuro prossimo, il proprio raggio d'azione ai mercati internazionali. Quelle che invece non intendono esplorare questa possibilità motivano la propria strategia dichiarando, nel 54,4% dei casi, che non sono in possesso della struttura organizzativa 7
8 per affrontare i mercati esteri. Il principale problema che le imprese nordestine affrontano fuori dai confini nazionali è riconducibile alla mancanza di un "sistema paese" capace di accompagnare il made in Italy (38,9%). Altro tema legato alla distribuzione è la strategia su marchi e private label. Solamente il 10% delle imprese dell'agroalimentare non produce almeno una parte della propria produzione con marchio proprio, il 32,7% produce anche per marchi di terzi, il 17,3% per private label. Le diverse strategie commerciali delle imprese, definite attraverso la propensione all'esportazione, la scelta dei canali di vendita e le politiche di marchio restituiscono cinque profili strategici. Analizzando i dati di bilancio delle singole imprese, dopo averne riconosciuto il profilo strategico, è possibile fare alcune considerazioni sia sulla redditività che sulle capacità di espansione garantita dalla diverse scelte. Le opzioni che garantiscono le performance migliori sono quelle delle imprese che evidenziano la maggior propensione alle esportazioni, si rivolgono principalmente a grossisti e ad altre imprese di trasformazione utilizzando, prevalentemente, marchi di terzi. In un periodo di forte arretramento della domanda interna la possibilità di trovare sbocchi su altri mercati sembra aver garantito, quindi, una buona capacità di espansione dei ricavi accompagnata da una buona redditività. I risultati meno soddisfacenti sono quelli riconducibili alle imprese che vendono i propri prodotti esclusivamente sul mercato nazionale, prediligono il rapporto diretto con il consumatore finale, utilizzando un marchio proprio. La ricerca di nuove strategie lungo le filiere e all'interno delle imprese avviene in un contesto radicalmente mutato con aziende familiari che non rinunciano ai legami con la tradizione. Anche il passaggio generazionale, sebbene considerato un'importante opportunità di cambiamento per modificare il modello di impresa, è finora avvenuto nel solco della continuità. Tra chi ha già affrontato il passaggio generazionale (43,8%) la maggioranza delle imprese ha deciso di mantenere la proprietà e la gestione nell'ambito della famiglia. Questa scelta viene, infatti, considerata la strategia più opportuna dal 55,9% del campione cui si affianca un 26,1% che invece ritiene come la sola gestione debba essere affidata a un management esterno. La rilevanza della famiglia si evidenzia anche nella contemporanea presenza all'interno dell'impresa di più generazioni di imprenditori (46,7%) a conferma che il rinnovamento avviene pur nel legame con la tradizione. Obiettivo qualità L altro anello della filiera agroindustriale è costituito dal mondo dell'agricoltura che negli ultimi anni ha rappresentato un luogo di innovazione in termini di modelli imprenditoriali, di tecnologia e di imprenditori e che ha creato nuove occasioni occupazionali, anche sapendo aprirsi a relazioni diverse con il mondo della trasformazione, con la distribuzione e con il mercato, oltre che affiancando alle attività tradizionali nuove occasioni di reddito. Si sono così introdotte attività legate al turismo, alla produzione di energia o, ancora, alla vendita diretta e alla trasformazione, soprattutto nel settore vitivinicolo. Queste nuove esperienze di business, tuttavia, non hanno sostituito la centralità dell attività principale che si è confermata quella della realizzazione di prodotti, siano essi uva, carne, latte e i loro derivati. La maggiore attenzione al mercato, che ha attraversato il settore agricolo alla pari di quello industriale, ha 8
9 reso indispensabile investire sulla valorizzazione dei prodotti realizzati, puntando sull esigenza di renderli unici e riconoscibili rispetto ad altre produzioni simili. Per questo si è investito da un lato nel controllo delle fasi di produzione perché rispondessero a criteri di sicurezza, qualità e legame con il territorio; dall altro nella creazione di marchi e di certificazioni che permettessero di ricevere il giusto riconoscimento commerciale rispetto ai costi sostenuti. Queste strategie hanno certamente contribuito a creare un offerta di produzioni tipiche e certificate che hanno ottenuto un buon successo da parte della clientela locale e internazionale. Tuttavia, la crisi con i suoi pesanti effetti sulla domanda e sui consumi interni sta mettendo in luce la necessità di ampliare ulteriormente le relazioni con i mercati esteri e di ripensare le relazioni di filiera. Sui mercati la sfida per le filiere agroindustriali è molteplice e si traduce nella necessità di saper cogliere le occasioni provenienti dai paesi emergenti dove le veloci trasformazioni economiche e sociali stanno definendo la nascita di nuovi possibili consumatori interessati a prodotti di qualità e legati al made in Italy, di saper diversificare i prodotti finiti per cogliere una potenziale domanda latente (vedi, ad esempio, la necessità di latte in polvere per i neonati in Asia), di sapersi difendere dalle imitazioni e di saper risolvere le specifiche difficoltà nell esportazione di alcuni prodotti freschi. Per rispondere a queste sfide i produttori della filiera vitivinicola, zootenica e lattiero-casearia avanzano alcune proposte che coinvolgono insieme le imprese e il sistema paese chiamato a valorizzare e difendere le produzioni tipiche e a sostenere gli imprenditori che con i propri investimenti hanno creato un sistema agricolo fortemente qualificato, certificato e in grado di portare un ritorno importante in termini di sviluppo e occupazione al territorio. Particolarmente interessante appare l obiettivo di cambiare il focus della promozione spostandola dai singoli prodotti, all insieme dei prodotti realizzati nelle diverse filiere e da questi alla promozione del territorio nordestino. L idea è quella di proporre ai clienti esteri l acquisto di un esperienza", alla pari di quanto avviene nel turismo, che offra l emozione del cibo, del vino, della cultura, della storia, delle bellezze naturali e artistiche di questi luoghi. Questo favorirebbe non solo la capacità di vendita nei mercati esteri, ma anche la possibilità di conquistare e fidelizzare clienti esteri direttamente sul territorio nordestino in concomitanza con la loro presenza in loco per turismo o lavoro. Perché questo avvenga i produttori sentono la necessità che la promozione, anche con risorse private, avvenga sotto un logo Italia che tenga insieme i diversi marchi, ma che impegni le istituzioni ad assumersi specifiche responsabilità, ad esempio nel velocizzare le pratiche burocratiche per le esportazioni (certificati di esportazione) o a riconoscere e far riconoscere al mercato locale ed estero la sicurezza delle produzioni (tracciabilità, ecc.). Altra attesa espressa nei confronti della politica è quella che l Italia sia in grado di influenzare le scelte della Politica Agricola Comunitaria non tanto nell ottenimento di maggiori risorse, quanto nella capacità di far sì che tali risorse siano disponibili per potenziare il modello agricolo fin qui realizzato, e voluto anche dallo Stato, e che sta dimostrando benefici importanti non solo per le imprese, ma anche per la conservazione del territorio. In altre parole, le attese sono affinché la PAC sappia rispondere alle specificità dei singoli paesi, 9
10 affidando la scelta di come spendere le risorse in base alle caratteristiche proprie di ciascun territorio e modello agricolo. Anche le relazioni tra gli operatori della filiera sono state sottoposte a causa della crisi a profonde tensioni che vedono i produttori oggetto di richieste particolarmente rilevanti da parte del mondo della trasformazione che ricerca sia prodotti che garantiscano una resa produttiva elevata sia la possibilità di ottenere dilazioni di pagamento. Da parte loro i produttori vivono una situazione particolarmente gravosa perché la realizzazione di prodotti di qualità in questi anni è divenuta più onerosa sia per la crescita dei costi di produzione sia per il rilevante peso dei controlli e della burocrazia cui sono sottoposti. Nuove filiere: relazioni, qualità e apertura ai mercati esteri Le filiere agroalimentari stanno vivendo importanti processi di internazionalizzazione. In questi anni di crisi, la capacità di presidiare i mercati all'estero appare il fattore più importante per il successo. Per riuscire a competere più efficacemente aumentando l'intensità e i luoghi di esportazione è necessario che il processo di innovazione e revisione delle strategie che sta attraversano il comparto e che ha permesso, nonostante la crisi, performance positive si arricchisca di nuovi elementi. In futuro il successo sui mercati, non solo esteri, passerà per la capacità di tradurre l'offerta al mercato dal "consumare un prodotto" al "vivere un'esperienza" che offra l emozione del cibo, del vino, della cultura, della storia, delle bellezze naturali e artistiche che contraddistinguono i territori di produzione. Per far questo diventano centrali alcuni elementi tra loro fortemente interconnessi: la qualità e specificità e le relazioni tra gli attori nelle filiere. La qualità nella produzione e nella trasformazione rappresenta un prerequisito per politiche di upgrading del made in Italy, finalizzate al riposizionamento dei prodotti nelle fasce alte di consumo e diventa anche la chiave di lettura per ricostruire il rapporto tra produttori e agroindustria. L esigenza è che si sostituisca una relazione tipicamente di mercato, basata su prezzo e dilazioni di pagamento, con relazioni più articolate in cui produttori e trasformatori agiscano in modo sinergico. Una relazione più ricca tra i primi due anelli della catena, con lo scopo di valorizzare il prodotto finale, li renderebbe anche più forti rispetto alla distribuzione. A quest'ultima, che è tramite tra produttore e consumatore, viene chiesto di saper veicolare e comunicare prodotti più complessi, che uniscono sicurezza, qualità ed esperienza garantendo la soddisfazione a tutti gli attori della filiera. 10
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