L'ASSONIME COMMENTA LE PECULIARITA' DELLA DISCIPLINA ORDINARIA DELL'ACE

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1 L'ASSONIME COMMENTA LE PECULIARITA' DELLA DISCIPLINA ORDINARIA DELL'ACE Corriere Tributario, 36 / 2012, p Redditi d''impresa L'ASSONIME COMMENTA LE PECULIARITA' DELLA DISCIPLINA ORDINARIA DELL'ACE Dragone Paolo ;Valacca Rodolfo Riferimenti Decreto legge 6 dicembre 2011 n. 201 Art. 1 Sommario: L'agevolazione ACE - L'agevolazione ACE per le società di comodo - Gli incrementi rilevanti: i conferimenti in denaro - Gli incrementi rilevanti: gli utili a riserva - I decrementi rilevanti Con la circolare n. 17 del 2012, l'assonime è intervenuta a commentare l'agevolazione alla crescita economica, nota come agevolazione «ACE», introdotta dall'art. 1 del D.L. 6 dicembre 2011, n. 201 [1], e le relative norme di attuazione, dettate dal D.M. 14 marzo 2012 (d'ora in poi decreto). L'agevolazione ACE L'ACE è stata introdotta al fine di incentivare il rafforzamento della struttura patrimoniale delle imprese e del sistema produttivo italiano riequilibrando il trattamento fiscale tra imprese che si finanziano con debito e imprese che si finanziano con capitale proprio [2]. La norma introduce una riduzione del prelievo delle imposte sui redditi commisurata al nuovo capitale immesso nell'impresa rispetto a quello esistente alla chiusura dell'esercizio in corso al 31 dicembre 2010 sotto forma di conferimenti in denaro da parte dei soci, comprese la rinuncia e la compensazione ai loro crediti, e la destinazione degli utili a riserva. La misura esclude dalla base imponibile del reddito d'impresa il rendimento nozionale riferibile al nuovo capitale immesso nell'impresa, fissato al 3% per il primo triennio di entrata in vigore della misura agevolativa. Dal quarto periodo d'imposta il rendimento nozionale sarà determinato con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, da emanare entro il 31 gennaio di ogni anno, tenendo conto dei rendimenti finanziari medi dei titoli obbligazionari pubblici, aumentabili di ulteriori tre punti percentuali a titolo di compensazione del maggior rischio. L'ACE ricalca, per quanto riguarda le finalità e gli aspetti applicativi, la DIT introdotta dal D.Lgs. n. 446/1997 dalla quale si differenzia, però, poiché si sostanzia in una riduzione del reddito imponibile, mentre la DIT comportava l'assoggettamento di una porzione del reddito imponibile ad un'aliquota d'imposta ridotta. L'ACE non assume rilievo ai fini IRAP in quanto, come detto, si sostanzia in una riduzione del reddito imponibile complessivo netto. Per quanto riguarda l'ambito soggettivo di applicazione di tale regime agevolativo, hanno accesso a tale istituto le società di capitali e gli enti commerciali indicati nell'art. 73, comma 1, lett. a) e b), del T.U.I.R., le persone fisiche operanti nell'ambito del reddito di impresa e le società in nome collettivo e in accomandita semplice in regime di contabilità ordinaria. Per le società e gli enti commerciali non residenti, di cui all'art. 73, comma 1, lett. d), del T.U.I.R., l'agevolazione ACE si applica relativamente alle stabili organizzazioni nel territorio dello Stato. La norma primaria ha demandato ad un apposito decreto il compito di definire alcuni aspetti della disciplina applicativa dell'agevolazione ACE; il decreto è stato emanato il 14 marzo 2012 e fornisce numerosi chiarimenti (alcuni contenuti nella relazione che lo accompagna) definendo, in dipendenza di una specifica delega, il perimetro applicativo delle norme antielusive. L'agevolazione ACE per le società di comodo L'art. 30 della legge n. 724/1994 reca la disciplina delle società di comodo, le quali devono dichiarare un reddito imponibile «minimo», determinato moltiplicando alcuni parametri previsti dalla norma ai beni posseduti, al netto di alcune agevolazioni espressamente

2 previste [3], quali: - i proventi esenti, soggetti alla ritenuta alla fonte a titolo di imposta o ad imposta sostitutiva; - il reddito esente ai fini IRES, anche per effetto di plusvalenze realizzate ai sensi dell'art. 87 del T.U.I.R.; - i dividendi che fruiscono della detassazione di cui all'art. 89 del T.U.I.R.; - l'importo escluso per effetto dell'agevolazione fiscale di cui: 1) all'art. 5, comma 3-ter, del D.L. n. 78/2009 (cd. bonus capitalizzazione); 2) all'art. 42 del D.L. 31 maggio 2010, n. 78 [4] (ccdd. reti d'impresa). Esempio Se un soggetto è considerato non operativo con un reddito imponibile minimo presunto pari a 100 e ha percepito nel periodo d'imposta in cui è di comodo, per esempio, dividendi per 50, detassati al 95% (la detassazione è pari, quindi, a 47,5), il reddito imponibile minimo della società «di comodo» deve essere determinato sottraendo dal reddito imponibile presunto il 95% dell'importo dei dividendi percepiti. Pertanto il reddito imponibile minimo sarebbe pari a ,5 = 52,5. Tale meccanismo permette di non vanificare gli effetti benefici di alcune norme agevolative, nella determinazione del reddito imponibile minimo delle società di comodo. Ciò premesso, il problema interpretativo che si pone è se la disciplina ACE possa incidere sul reddito imponibile minimo (riducendolo), così come accade per altre discipline agevolative sopra menzionate. Secondo l'assonime vi sarebbero considerazioni che militerebbero a favore dell'applicazione dell'agevolazione ACE al reddito minimo e considerazioni che militerebbero a sfavore. A favore depone la circostanza per cui è stata riconosciuta la valenza, ai fini della determinazione del reddito imponibile minimo delle società di comodo, dell'incentivo alla capitalizzazione (di cui all'art. 5 del D.L. n. 78/2009, noto anche come «bonus capitalizzazione») che risponde ad una ratio analoga a quella dell'ace. Inoltre, l'assonime osserva che l'agenzia delle entrate aveva considerato possibile lo scomputo dal reddito minimo anche dell'agevolazione «Tremonti-ter», di cui all'art. 5 del D.L. n. 78/2009, che si configurava anch'essa come una deduzione dal reddito imponibile. Tuttavia, secondo l'associazione di categoria, un argomento a sfavore potrebbe desumersi dalle istruzioni al modello UNICO 2012-SC che, nell'ambito delle regole applicative per la determinazione del reddito imponibile minimo delle società di comodo, non contengono alcun esplicito riferimento all'agevolazione ACE. Riferimento che, invece, era richiamato nelle bozze delle istruzioni circolate qualche tempo addietro. Tale circostanza potrebbe far intendere - avverte l'associazione - che «con riferimento all'ace l'amministrazione finanziaria sia pervenuta ad una conclusione opposta e, cioè, a ritenere che le società di comodo non possano avvalersi dell'agevolazione per ridurre l'imponibile». Anche se - prosegue l'assonime - «nell'attuale versione del modello di dichiarazione UNICO 2012-SP, relativo alle società di persone, sembrerebbe invece essere prevista la deduzione dal reddito minimo dell'ace in quanto si chiede di indicare in un'apposita colonna del rigo RS19 l'ammontare... dell'agevolazione ACE» [5]. Data la rilevanza del tema, l'associazione auspica un intervento chiarificatore da parte dell'agenzia delle entrate [6]. Gli incrementi rilevanti: i conferimenti in denaro Fra gli incrementi rilevanti ai fini dell'agevolazione ACE rientrano i conferimenti in denaro versati dai soci e dai partecipanti nonché quelli versati per acquisire tale qualifica. Sono considerati tali sia la rinuncia incondizionata dei soci al diritto alla restituzione dei loro crediti, sia la compensazione dei crediti dei soci effettuata in sede di sottoscrizione degli aumenti di capitale [7]. Poiché i conferimenti in denaro rilevanti ai fini ACE sono quelli effettuati dai soci o quelli che consentono ad un soggetto di acquisire la qualifica di socio di una società, la relazione al decreto sottolinea l'irrilevanza degli «apporti a fronte dei quali non si può acquisire

3 la qualità di socio; è il caso, ad esempio, degli strumenti finanziari partecipativi di cui all'art. 2346, sesto comma, c.c.». E - aggiunge l'assonime - sono altresì irrilevanti anche gli apporti in denaro effettuati nell'ambito di contratti di cointeressenza e di associazione in partecipazione di cui, rispettivamente, all'art e all'art c.c. In entrambi i casi, infatti, l'associato non assume la veste di socio. Parimenti non sarebbero agevolabili gli strumenti ibridi di finanziamento di cui all'art. 2411, terzo comma, c.c., in quanto, secondo l'assonime «si collocano nella zona grigia tra capitale e debito nel senso che si contraddistinguono per l'assunzione di rischi in relazione alla restituzione o alla remunerazione del capitale apportato che sono tipici del rapporto partecipativo e per l'assenza, tuttavia, dei diritti amministrativi propri del socio». Per quanto riguarda, poi, le operazioni riconducibili nell'ambito dei conferimenti in denaro rilevanti ai fini dell'agevolazione ACE, il decreto ha espressamente indicato due particolari fattispecie (prima citate): la compensazione dei crediti del socio in occasione dell'aumento del capitale sociale e la rinuncia incondizionata del socio al credito verso la società. Con riferimento a tali fattispecie, si è posta la questione se gli atti dispositivi del credito riguardassero tutti i crediti o solo quelli relativi a crediti di natura finanziaria. Pur in assenza, nella norma, di alcuna specificazione al riguardo, la relazione al decreto ha precisato che «la rinuncia ai crediti o la loro compensazione non può che riguardare esclusivamente i crediti aventi natura finanziaria, cioè derivanti da precedenti finanziamenti». A tal proposito l'assonime osserva che sulla base di alcune considerazioni si poteva giungere a conclusioni diverse. Infatti, quanto alle compensazioni, «a stretto rigore, ciò che viene compensato è il diritto di credito, a prescindere dalla sua origine, sicché sul piano sistematico si poteva ritenere che anche la compensazione di crediti commerciali o diversi potesse considerarsi alla stregua di un apporto in denaro». Peraltro, la posizione restrittiva indicata dalla relazione al decreto potrebbe giustificarsi nella particolare ipotesi di compensazione dei crediti dei soci in occasione dell'aumento del capitale sociale, dall'intento di evitare facili aggiramenti del principio dell'irrilevanza ai fini ACE dei conferimenti in natura [8]. Probabilmente il legislatore dell'ace si rifà ad una certa dottrina commercialistica che considera conferimenti in denaro le compensazioni con crediti finanziari [9]. Considerazioni diverse vengono proposte dall'assonime in ipotesi di rinuncia da parte del socio a crediti commerciali. Infatti, osserva l'associazione che «in questo caso, l'esclusione dal novero degli apporti in denaro delle rinunce in questione non sembra possa implicare la loro totale irrilevanza ai fini della agevolazione, dal momento che esse possono comportare l'emersione di componenti positivi di reddito che assumono autonoma ed indefettibile rilevanza ai fini dell'ace. Le rinunce ai crediti commerciali e diversi, infatti, vengono normalmente rilevate tra le sopravvenienze attive del conto economico [10] e, quindi, sono già destinate a confluire nell'utile di esercizio che, se realizzato e accantonato a riserva (alias non distribuito), concorre alla formazione della base di riferimento dell'agevolazione» [11]. Pertanto, secondo l'assonime, la posizione espressa dalla relazione non dovrebbe interessare le rinunce dei soci transitate in conto economico giacché l'utile che ne consegue entra autonomamente nel computo dell'ace. Infatti, «l'utile di esercizio che, se accantonato o comunque non distribuito concorre anch'esso - come i conferimenti - a formare la base ACE, è assunto ai fini della disciplina in esame nella sua dimensione civilistica, con la conseguenza che è difficile ritenere che una sopravvenienza attiva correttamente imputata a conto economico a seguito della rinuncia del socio ad un suo credito commerciale possa essere estrapolata da tale grandezza per essere esclusa dal beneficio ACE» [12] [13]. Gli incrementi rilevanti: gli utili a riserva Per quanto riguarda gli utili accantonati a riserva, l'art. 1, comma 5, del D.L. n. 201/2011 ha stabilito che non rilevano ai fini ACE gli utili accantonati a riserve non disponibili. Il decreto ha chiarito (all'art. 5, comma 5) che si considerano riserve di utili non disponibili le riserve «formate con utili diversi da quelli realmente conseguiti ai sensi dell'articolo 2433 del codice civile in quanto derivanti da processi di valutazione nonché quelle formate con utili realmente conseguiti che, per disposizioni di legge, sono o divengono non distribuibili né utilizzabili ad aumento del capitale sociale né a copertura di perdite». Si tratta, come evidenziato dalla relazione al decreto, delle riserve «formate con utili non effettivamente realizzati in quanto derivanti da operazioni di valutazione. Ne sono un esempio:

4 - la riserva determinata a fronte di maggiori valori conseguenti alla valutazione effettuata a norma dell'art. 2426, primo comma, n. 4, c.c. (equity method); - la riserva di cui all'art. 2426, n. 8-bis), c.c. derivante da attività e passività in valuta; - la riserva per rivalutazioni volontarie; - le riserve di cui all'art. 6 del D.Lgs. n. 38/2005 (per i soggetti IAS adopter)». Sono, inoltre, escluse le riserve indisponibili in modo assoluto, rappresentate, come citato dalla predetta relazione, dalla riserva per azioni proprie di cui all'art ter c.c. e dalla riserva costituita per l'acquisto delle azioni della controllante da parte della controllata di cui all'art bis c.c. Così circoscritto l'ambito delle esclusioni, l'assonime evidenzia che «sono invece ammessi all'agevolazione tutti gli utili che esprimono una consistenza patrimoniale effettiva e, cioè, sia quelli che sono distribuibili, sia quelli che, pur non essendo distribuibili per previsione legislativa, sono suscettibili di essere imputati ad incremento del capitale sociale o per la copertura delle perdite». Pertanto, sono agevolabili gli accantonamenti alla riserva legale e gli utili accantonati alle riserve indivisibili da parte delle società cooperative e dei loro consorzi, poiché si tratta di «riserve che anch'esse, come la riserva legale, esprimono patrimonio effettivo e possono essere destinate a copertura delle perdite o imputate ad incremento del capitale sociale (art. 12 della legge n. 904/1977)» [14]. Per quanto riguarda, poi, la tematica della rilevanza o meno ai fini ACE degli utili accantonati a riserva per godere di benefici fiscali, secondo l'associazione, questi sono agevolabili in considerazione del fatto che, «in questi casi, non vi è alcun divieto civilistico che ne impedisce la distribuzione ai soci. Una conferma in tal senso si rinviene nella relazione illustrativa al decreto che menziona tra le riserve rilevanti ai fini ACE anche quelle costituite per godere dell'agevolazione di cui all'art. 42, comma 2-quater, del D.L. n. 78/2010 (reti d'impresa)». Ne consegue, pertanto, che tutte le riserve in sospensione di imposta, sempre che non derivanti da una operazione valutativa, sono rilevanti ai fini dell'agevolazione ACE [15]. Può accadere che le riserve mutino nel corso del tempo la loro qualità da disponibili a indisponibili o viceversa. Ciò pone una serie di problematiche relative alla determinazione degli effetti ai fini ACE di tale transizione e alcune altre legate alla coesistenza di riserve di diversa qualità. Il decreto a tal fine dispone (all'art. 5, comma 5) che, «nell'esercizio in cui viene meno la condizione dell'indisponibilità, assumono rilevanza anche le riserve non disponibili formate successivamente all'esercizio in corso al 31 dicembre 2010». Per quanto riguarda le regole da applicare in caso di transizione delle riserve da disponibili a indisponibili la relazione al decreto chiarisce che «non rilevano le riserve disponibili che hanno fruito dell'ace dal momento in cui vengono "riclassificate" riserve indisponibili; ad esempio, per le imprese che redigono il bilancio in base ai principi contabili nazionali, la costituzione della riserva acquisto azioni proprie di cui all'art ter, c.c. può comunque determinare l'insorgenza di un elemento negativo della variazione del capitale proprio in misura corrispondente agli utili di esercizio accantonati o riclassificati a tale riserva, a partire dall'esercizio in cui avviene la costituzione, trattandosi di utili accantonati a riserva non disponibile né ai fini della distribuzione, né per aumenti di capitale o copertura perdite. Più precisamente la costituzione della riserva indisponibile ex art ter, c.c. riduce la variazione del capitale proprio fino a concorrenza degli utili che in precedenza abbiano concorso ad aumentarla». In ipotesi di coesistenza di riserve disponibili rilevanti (perché formate dal 2011) e irrilevanti (perché formate prima del 2011), secondo l'assonime «sembra doversi prescindere dall'impostazione di bilancio, e cioè dal fatto che essa sia avvenuta attingendo a talune riserve presenti in bilancio piuttosto che ad altre, e che si debbano comunque assumere come prioritariamente consumate le riserve di utili che abbiano eventualmente partecipato alla formazione della base di riferimento ACE» [16]. Se questa impostazione fosse confermata dall'agenzia delle entrate si attiverebbe una presunzione che imporrebbe ai soggetti IRES la ricostruzione extra-contabile della movimentazione delle riserve e della loro rilevanza ai fini dell'agevolazione ACE. I decrementi rilevanti Ai sensi del comma 3 dell'art. 5 del decreto costituiscono decrementi della base ACE le riduzioni del patrimonio netto con attribuzione, a qualsiasi titolo, ai soci o partecipanti. Come evidenziato dal Consorzio Studi e Ricerche Fiscali del Gruppo Intesa SanPaolo [17] «si tratta, quindi, di atti volontari con i quali la società o l'ente decide di attribuire elementi del patrimonio ai soci o partecipanti. In tale prospettiva, rilevano sia la distribuzione di riserve di utili (distribuzione di dividendi) sia quella di riserve di capitale (riserva sovrapprezzo azioni, riserva per versamenti a fondo perduto o in conto capitale, riserva per interessi di conguaglio) nonché la riduzione del capitale o fondo di dotazione».

5 In tale prospettiva rileva, quindi, ogni ipotesi di distribuzione a prescindere, come sottolineato dall'assonime, «dall'epoca di formazione delle voci del netto poste in distribuzione» [18]. Inoltre, rilevano come elementi negativi della base ACE non solo le attribuzioni in denaro, ma anche quelle in natura effettuate mediante assegnazioni di beni [19]. Come chiarito dalla relazione al decreto non rilevano le riduzioni patrimoniali derivanti da perdite di esercizio, poiché per esse non si è in presenza di un atto volontario di devoluzione del patrimonio ai soci. Non costituiscono, altresì, elementi negativi le distribuzioni dell'utile d'esercizio, posto che quest'ultimo rileva come variazione in aumento del capitale proprio solo a partire dall'esercizio successivo a quello di conseguimento se e nella misura in cui viene accantonato a riserva [20]. Un ulteriore aspetto chiarito dall'assonime è quello relativo alla irrilevanza delle delibere di distribuzione delle riserve assunte in data anteriore all'entrata in vigore dell'agevolazione ACE ma eseguite successivamente. In tal caso, per simmetria con il principio di irrilevanza delle delibere di aumento di capitale assunte in data anteriore all'entrata in vigore dell'agevolazione ACE ed eseguite successivamente (statuito dall'art. 5, comma 2, lett. a, del decreto), secondo l'associazione «si dovrebbe ritenere che i decrementi intervenuti nel 2011, ma a seguito di delibere già assunte in precedenza, debbano essere esclusi dal computo della base ACE. Si pensi, ad esempio, a delibere di riduzione del capitale o di distribuzione di riserve di utili deliberate nel 2010 ed eseguite nel corso del In tal senso depone il fatto che in queste ipotesi la decisione di ridurre il patrimonio è stata assunta prima dell'entrata in vigore dell'ace e, quindi, senza alcuna consapevolezza delle eventuali ricadute sulla possibilità di godere dell'agevolazione». Note: [1] Convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n [2] In tal senso la relazione all'art. 1 del D.L. n. 201/2011. [3] Cfr. Istruzioni al Modello UNICO 2012-SC, quadro RF. [4] Convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n [5] Secondo l'irdcec, circolare 29 marzo 2012, n. 28/IR, in Banca Dati BIG Suite, IPSOA, il disallineamento non sarebbe rilevante in quanto si ritiene che «anche per le società di capitali valga la medesima conclusione» indicata per le società di persone dalle istruzioni al modello UNICO 2012-SP. [6] Anche se, in assenza di un divieto normativo in tal senso, sembra sostenibile il riconoscimento dell'agevolazione ACE anche alle società di comodo. [7] Cfr. art. 1, comma 5, del D.L. n. 201/2011 e art. 5, comma 2, lett. a), del D.M. 14 marzo [8] Un'apertura anche alla valenza dei crediti di natura commerciale, osserva l'assonime, avrebbe consentito di effettuare conferimenti rilevanti ai fini ACE semplicemente cedendo un bene alla partecipata, deliberando al contempo un aumento di capitale e compensando il credito del socio per la cessione del bene con il debito dello stesso per l'aumento del capitale deliberato dalla partecipata. [9] Cfr. Consiglio Notarile dei Distretti Riuniti di Firenze, Pistoia, Prato, Orientamenti dell'osservatorio sul diritto societario, Milano, 2012, pag Cfr. Comitato Interregionale dei Consigli Notarili delle Tre Venezie, Orientamenti del Comitato Triveneto dei Notai in materia di atti societari, 2010, massima n. H.A.4, che recita «Non è necessaria la relazione di stima nel caso di aumento di capitale mediante imputazione allo stesso di somme da prestiti effettuati da soci o da terzi alla società, sempre che detti prestiti siano avvenuti in denaro...». In dottrina, si veda G. Iaccarino, «Aumento del capitale mediante compensazione del debito nascente dalla sottoscrizione con il credito per la restituzione del prestito vantato dal socio verso la società», in Le Società n. 8/2011, pag [10] Perché, a differenza delle rinunce a crediti finanziari, costituiscono riduzioni di elementi negativi di reddito (i costi d'acquisto). [11] Si rammenta che, secondo l'oic 6, Ristrutturazione del debito e informativa di bilancio, «Se la ristrutturazione del debito prevede la rinuncia del socio/creditore ai versamenti effettuati a titolo di finanziamento (iscritti nel passivo dello stato patrimoniale, alla voce D 3), il debitore trasferisce il valore del debito a cui il creditore rinuncia, direttamente a riserva senza transito nel conto economico, fornendo adeguata informativa nella nota integrativa del bilancio. In linea con quanto previsto dall'oic 28 Patrimonio netto, la rinuncia da parte del socio/creditore è assimilata a un versamento in conto capitale». [12] Tuttavia, a differenza della rinuncia a crediti finanziari, l'incremento della base ACE non sussiste nella misura in cui la sopravvenienza attiva riduca in tutto o in parte una perdita d'esercizio.

6 [13] Anche in vigenza della DIT la questione era trattata nei medesimi termini dalla dottrina la quale aveva osservato che, in ipotesi di rinunce a crediti commerciali, la rilevazione della sopravvenienza attiva aveva un effetto indiretto sull'utile di periodo e quindi alla base DIT (cfr. G. Berardo e V. Dulcamare, «La disciplina della dual income tax», Le Monografie del Corriere Tributario n. 1/1999, pag. 27, nota 7). [14] Assonime, circolare in commento. [15] Circolare IRDCEC n. 28/IR del 2012, cit. Cfr. anche relazione al decreto. [16] Tale conclusione potrebbe desumersi - secondo l'assonime - dalla relazione al decreto laddove questa specifica che la costituzione della riserva indisponibile ex art ter c.c. riduce la variazione della base ACE fino a concorrenza degli utili che hanno concorso ad aumentarla. [17] Circolare informativa 26 aprile 2012, n. 3/2012. [18] Per l'assonime il medesimo principio valeva ai fini DIT. Cfr. circolare n. 42 del [19] Circolare Assonime in commento, circolare informativa cit. [20] Circolare informativa cit. e circolare IRDCEC n. 28/IR del 2012, cit. Copyright 2011 Wolters Kluwer Italia Srl - Tutti i diritti riservati UTET Giuridica è un marchio registrato e concesso in licenza da UTET S.p.A. a Wolters Kluwer Italia S.r.l.

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