Il crepuscolo di un mondo

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1 Capitolo 2 Il crepuscolo di un mondo Il tempo infatti trasforma la natura del mondo, ed è legge che una nuova condizione si avvicendi sempre alla precedente e impronti di sé l universo: nulla rimane uguale a se stesso, tutto si trasforma, la natura costringe ogni cosa a modificarsi e a mutare. (Tito Lucrezio Caro, De rerum natura, Libro V, ) 2.1 Sul concetto di estinzione I rapporti uomo-ambiente e in particolare uomo-fauna sono complessi. Dipanarne la matassa, come ha scritto Fedele (1992), richiede condizioni di studio in cui la maggior parte delle variabili possa essere controllata incluso, per il passato, il fattore tempo. Nel tentativo di affrontare la complessità di questi rapporti è necessario introdurre il concetto di estinzione, al fine di valutare l entità e l intensità dell impatto antropico prodotto nei confronti degli equilibri naturali. Vengono generalmente riconosciuti tre tipi d estinzione: 1. Estinzione locale o regionale. Si tratta di un estinzione apparente, che è indotta da variazioni ecologiche e non in tempi geologici, ed è una estinzione per riduzione dell areale di diffusione. Alcune specie animali, pur estinguendosi in areali limitati geograficamente, continuano a sopravvivere in altri territori, ritirandosi da quelli precedentemente occupati. Con il ripristinarsi delle antiche condizioni ecologiche, questi organismi possono rioccupare le aree geografiche dove erano distribuiti originariamente, ed è quindi possibile assistere a ripetute estinzioni locali. 2. Estinzione globale. Riguarda la scomparsa, intesa come morte, di un gruppo di organismi biologici: la scomparsa totale di una comunità animale, in seguito al verificarsi di normali processi di competizione e/o di predazione, o anche a causa di fattori ambientali, di stress climatici particolari cui il corredo genetico di un gruppo tassonomico non riesce a fare fronte. 3. Estinzione in massa. È il tipo d estinzione che ad esempio caratterizza il passaggio fra i periodi geologici dal Permiano ( milioni d anni fa) al Trias ( milioni d anni fa), oppure dal Cretaceo ( milioni d anni fa) al Terziario (65-2 milioni d anni fa). È un estinzione di gruppi tassonomici in espansione, di gruppi vincenti che, in termini evoluzionistici, non dovrebbero scomparire. Esistono dei fattori che evidentemente portano alla distruzione in massa di più gruppi nello stesso momento. A differenza degli altri due tipi d estinzione, si tratta di un fenomeno non prevedibile, mentre gli altri due tipi d estinzione lo sono invece per lo più. L ultima delle estinzioni che abbiamo portato ad esempio è di gran lunga la più famosa perché concluse l età dei dinosauri, conferendo l egemonia ai mammiferi e in definitiva, nel bene e nel male, rese possibile la comparsa dell uomo. Ma la crisi del Cretaceo fu di poca entità in confronto al disastro avvenuto nel Permiano, che portò all estinzione di una percentuale valutata fra il 77 e il 96 per cento di tutte le specie animali marine. Si stima che siano occor- Marco Masseti, Uomini e (non solo) topi : gli animali domestici e la fauna antropocora, ISBN X, 2002 Firenze University Press

2 22 Capitolo 2 33 NEARTICA PALEARTICA 13 ETIOPICA 7 ORIENTALE NEOTROPICA 46 AUSTRALIANA 19 Figura 2.1: Nel Pleistocene superiore sono scomparsi 46 generi di mammiferi in Sud America (Regione Neotropica), 33 nel Nord America (Regione Neartica), 19 in Australia (Regione Australiana), 7 nell Africa sub-sahariana (Regione Etiopica) e 13 nell Eurasia settentrionale (Regione Paleartica). Figura 2.2: I confini biogeografici del Paleartico occidentale.

3 Il crepuscolo di un mondo 23 si cinque milioni di anni, ben oltre l inizio del Mesozoico, perché si assistesse ad una significativa ripresa della diversità biologica. Interrogandosi sul significato di queste ecatombi, Wilson (1992) osserva che la ripresa biologica è a volte possibile, dato un periodo di tempo sufficiente. È anche vero che in certi casi nuove specie sono potute emergere rapidamente. La speciazione geografica, ad esempio, che avviene quando due popolazioni divergono geneticamente dopo essere state separate dalla formazione di una barriera fisica quale un braccio di mare o un deserto o ecologica, può in casi estremi condurre all evoluzione di nuove specie in un tempo relativamente breve, da 10 a 100 generazioni. Si potrebbe dunque sostenere che, quando avviene un estinzione di massa, la perdita può essere riparata abbastanza velocemente. Ma in circostanze simili, il numero di specie in sé è poco importante. Quello che conta, dal punto di vista della diffusione dei genotipi e della molteplicità dei modi di vita che essi comportano, è la diversità ai livelli tassonomici più elevati: il numero di generi, di famiglie e così via. La comparsa del genere Homo ha avuto luogo nel momento in cui la diversità biologica del pianeta era al culmine. Mano a mano che la popolazione umana è andata accrescendosi, alterando l ambiente naturale, il numero delle specie viventi si è progressivamente ridotto fino a raggiungere attualmente i livelli più bassi dalla fine del Mesozoico (65 milioni d anni fa). Le conseguenze ultime di questo conflitto biologico vanno oltre ogni possibile previsione e sicuramente saranno disastrose: ci troviamo di fronte a una vera e propria crisi della diversità biologica (Wilson, 1992). Nel corso degli ultimi anni circa, in particolare, è iniziata un era totalmente nuova nella turbolenta storia della vita sulla terra). L attività umana ha avuto tali effetti distruttivi sulla diversità delle specie viventi che le estinzioni addebitabili all opera dell uomo sia diretta che indiretta sono andate crescendo esponenzialmente. Nel tardo Pleistocene, ad esempio, tutte le masse continentali emerse sono state interessate dall estinzione della megafauna. Sono infatti scomparsi 46 generi nel Sud America (Regione Neotropica), 33 nel Nord America (Regione Neartica), 19 in Australia (Regione Australiana), 7 nell Africa sub-sahariana (Regione Etiopica) e 13 nell Eurasia settentrionale (Regione Paleartica) (Stuart, 1991) (Figura 2.1). Ogni tentativo teorico di spiegare il verificarsi fenomenico di queste estinzioni deve essere valutato caso per caso e, così facendo, deve soddisfare alcuni interrogativi generali. Mentre infatti, in alcuni areali sono scomparsi i mammiferi di grandi dimensioni, non è stato registrato lo stesso fenomeno fra i micromammiferi e gli uccelli. Le estinzioni sono state diacroniche, anche se improvvise, e sono sempre avvenute senza rimpiazzo da parte di specie ecologicamente affini. In Africa, si sono estinti pochi generi. Solo in alcuni casi è stato possibile documentare la contemporaneità dell arrivo dell uomo con la scomparsa della megafauna pleistocenica. Vanno infine considerate le problematiche inerenti la cosiddetta archeologia delle estinzioni oscure : in generale, laddove le estinzioni sono state più massicce ed estese, sono assai scarsi i siti archeologici che documentano la coesistenza delle specie scomparse con la presenza umana; laddove, invece, le estinzioni sono state ridotte, lente e diacroniche, sono più frequenti i siti di coesistenza tra uomo e forme estinte. 2.2 L estinzione della megafauna tardopleistocenica Delle sei grandi regioni zoogeografiche in cui è stata convenzionalmente ripartita la superficie del nostro pianeta, la Regione Paleartica è quella che ha attratto maggiormente gli interessi degli archeozoologi in ragione dell antica e continuata interazione che vi ha avuto luogo fra i gruppi umani che l hanno popolata e la fauna caratteristica. In questo senso, la testimonianza archeologica, paleontologica e archeozoologica è molto ricca. Nell ultimo scorcio del Pleistocene, fra i circa ed i anni fa, l estinzione in massa di alcune specie della

4 24 Capitolo 2 megafauna a mammiferi ha caratterizzato in particolar modo la porzione occidentale di questa grande regione zoogeografica, il cosiddetto Paleartico occidentale, come è inteso nella definizione data di esso da Cramp (1977) (Figura 2.2). Benché, come tutte le altre regioni zoogeografiche, anche il Paleartico occidentale non sia suscettibile di una precisa definizione, è stato suggerito di escludere dai suoi confini occidentali la Groenlandia, ma di includervi tutte le isole dell Atlantico orientale fino a Capo Verde, individuando gli estremi settentrionali della regione nell Oceano Atlantico nord-orientale e nel Mare Artico. A meridione il Paleartico occidentale sarebbe limitato dal Sahara settentrionale, comprendendo anche il massiccio montuoso del Tibesti e parte della penisola arabica settentrionale, mentre più ad oriente, il confine correrebbe lungo quello orientale della Russia europea e del Mar Caspio fino a comprendere l Iran. La diffusione attuale di alcuni taxa ancora francamente paleartici, come il leone asiatico, Panthera leo persica (Meyer, 1826), il khur, Equus hemionus khur Lesson, 1827, ed il genere Gazella Blainville, 1816, nelle estreme province nord-occidentali del sub-continente indiano (Gujarat e Rajastan) farebbe propendere anche per l inclusione di quest ultime nei confini del Paleartico occidentale, mentre a sud del Sahara, i rilievi montuosi dell Africa orientale ospiterebbero gli areali relitti di Capra ibex L., 1758, e del cane del Semien, Canis simensis (Rueppel, 1835). A partire dalla fine del Pleistocene superiore e per tutto l Olocene, i quadri faunistici di questa area zoogeografica sono stati profondamente influenzati dalle attività dell uomo che dalla condizione di cacciatore-raccoglitore e sfruttatore delle risorse naturali, si è trasformato in agricoltore e allevatore, divenendo sedentario manipolatore della natura. Molte specie di mammiferi sono scomparse del tutto oppure hanno subito una drastica rarefazione. Alcune sono sopravvissute solo in areali relitti. Nel Pleistocene superiore, infatti, i moderni quadri a mammiferi del Paleartico occidentale si erano ormai definiti. Essi comprenderebbero ancora oggi tutte le specie che li componevano se alcune di esse non si fossero estinte. Per la megafauna a mammiferi è stato calcolato che, nel Pleistocene superiore, il Paleartico occidentale abbia perso ben 9 dei generi faunistici che vi erano diffusi (Stuart, 1991; Martin & Steadman, 1999) (Figura 2.3). Fra questi taxa, solo la iena macchiata, Crocuta Sopravvivenze Media di nel Postglaciale Specie peso stimata al di fuori del in kg Paleartico occidentale Orso delle caverne, Ursus spelaeus Rosenmuller & Heinroth, Iena macchiata, Crocuta crocuta (Erxleben, 1777) 85 Elefante lanoso, Mammuthus primigenius Blumenbach, Elefante delle foreste, Elephas antiquus Falconer & Cautley, Rinoceronte delle steppe, Stephanorinus hemitoechus (Falconer, 1868) 1600 Rinoceronte lanoso, Coelodonta antiquitatis Blumenbach, Ippopotamo, Hippopotamus amphibius L., Megalocero gigante, Megaloceros giganteus Berckhemer, Bisonte prisco, Bison priscus Bojanus, Figura 2.3: Mammiferi >40 kg di peso estinti nel Paleartico occidentale nel Pleistocene superiore (da Stuart, 1991, rielaborato).

5 Il crepuscolo di un mondo 25 Figura 2.4: La iena macchiata, Crocuta crocuta (Erxleben, 1777), è fra i pochi rappresentanti della megafauna a mammiferi europea del Pleistocene superiore ad essere sopravvissuta nell Africa sub-sahariana, al di fuori dei confini del Paleartico occidentale. Altopiano di Serengeti, Tanzania (foto di Marco Masseti). Figura 2.5: Diffuso nel Pleistocene superiore in gran parte del Paleartico occidentale, l ippopotamo, Hippopotamus amphibius L., 1758, sopravvive attualmente solo nell Africa sub-sahariana. Altopiano di Serengeti, Tanzania (foto di Marco Masseti). crocuta (Erxleben, 1777) (Figura 2.4), e l ippopotamo, Hippopotamus amphibius L., 1758, sopravvivono attualmente, oltre i confini del Paleartico occidentale, nell Africa sub-sahariana (Stuart, 1991) (Figura 2.5). In particolare, alcune evidenze archeologiche sembrerebbero indicare la sopravvivenza di quest ultima specie nell Asia sud-occidentale fino in età protostorica. Infatti, resti subfossili d ippopotamo sono stati recuperati in siti dell Età del Bronzo e del Ferro nel meridione d Israele (Haas 1952; Uerpmann 1981, 1987). Non si può tuttavia escludere che questi ritrovamenti possano documentare un importazione di materiali esotici dai vicini territori dell Africa nord-orientale, come ad esempio la valle ed il delta del Nilo, dove la presenza dell ippopotamo è attestata per lo meno fino al XVII secolo d.c. (Alpin, ; Zerenghi da Narni, 1603; Osborn & Helmy 1980; Masseti, in stampa) (Figura 2.6). L orso delle caverne, Ursus spelaeus Rosenmuller & Heinroth, 1794, si è estinto in Europa occidentale intorno ai anni fa (Stuart, 1991), mentre sembra essere sopravvissuto nel Caucaso fino, forse, all inizio dell Olocene (Verestchaguine, 1959; Mazza & Rustioni, 1994) (Figura 2.7). L elefante lanoso o mammuth, Mammuthus primigenius Blumenbach, 1803, ha resistito ancora dopo la fine del Pleistocene nel Paleartico nord-orientale, con una forma di dimensioni ridotte che sembra essere sopravvissuta nell isola siberiana di Wrangler fino a circa anni fa (Lister, 1993; Vartanyan et al., 1993; Long et al., 1994). Tutte le altre estinzioni sono state definitive, nel senso che non si è assistito ad una sostituzione da parte di specie biologicamente e/o ecologicamente affini. In Europa, il tardo Pleistocene superiore non è un momento di estinzione di massa: la scomparsa della megafauna a mammiferi è infatti un fenomeno diacronico e graduale. Tra le possibili cause che hanno determinato queste estinzioni, sono principalmente due le ipotesi che si contendono il primato: la prima riferibile all azione diretta dell uomo, la seconda di tipo climatico. Quest ultima ipotesi, però, non può spiegare da sola come perdite analoghe non abbiano potuto verificarsi anche in cronologie precedenti, durante transizioni più antiche fra episodi glaciali ed interglaciali. La predazione umana potrebbe essere riconosciuta quindi come la causa principale delle estinzioni che si sarebbero verificate contemporaneamente all instaurasi di cambiamenti cli-

6 26 Capitolo 2 Figura 2.6: Scena di caccia all ippopotamo. Dettaglio della decorazione parietale del mastaba di Ty (V Dinastia, intorno alla metà del III millennio a.c.), dalla necropoli egiziana di Saqqara, Il Cairo (foto di Marco Masseti). Figura 2.7: L orso delle caverne, Ursus spelaeus Rosenmuller & Heinroth, 1794, si è estinto in Europa occidentale intorno ai anni fa (disegno di Silvia Cantagalli Masseti).

7 Il crepuscolo di un mondo 27 matico-ambientali anche di notevole portata (Martin, 1967, 1984; Azzaroli, 1971; Stuart, 1991; Fedele, 1992; Martin & Steadman, 1999). Fino dal 1967 Paul S. Martin ha formalizzato quest idea, spingendosi ad ipotizzare la cosiddetta teoria dell overkill, secondo la quale il tasso di uccisione a opera dei predatori umani avrebbe superato la capacità riproduttiva delle specie-preda. Il termine inglese significa sovruccisione, strage e sta ad indicare un uccisione incontrollata che le comunità faunistiche non riescono a fronteggiare e che porta inevitabilmente alla loro scomparsa. La teoria dell overkill non è stata però accettata concordemente nell ambiente scientifico internazionale e molti studiosi, fra cui Geist (1989) e Guthrie (1990), preferiscono una spiegazione più articolata, ecosistematica o ecologica, che tenga conto delle risorse, del bilancio energetico specie per specie, del tasso riproduttivo e della predazione fra taxa diversi. L accettazione della teoria presenta infatti due difficoltà principali. La prima riguarda il fatto che in molti casi non si assiste alla scomparsa contemporanea sia della megafauna che dei micromammiferi e che questi ultimi vengono generalmente considerati poco o per niente vulnerabili all azione umana. La seconda contempla invece la possibilità dell instaurarsi di condizioni tale da precludere gli effetti dell azione antropica. Nel caso ad esempio che in un determinato territorio non ci sia coincidenza fra l arrivo dell uomo e la scomparsa della fauna, è logico supporre che l uomo non ne sia stato coinvolto. La teoria dell overkill è stata formulata da Martin (1967) nei confronti dell estinzione tardo-pleistocenica della megafauna americana, e non di quella eurasiatica ed africana. Mentre infatti, come abbiamo già notato, i quadri a mammiferi di grandi dimensioni del Nuovo Mondo subirono la perdita di circa il 73% dei fitofagi ed il 62% dei carnivori (Stuart, 1991), molti di quelli eurasiatici e africani continuarono a vivere a contatto con i nostri antenati, avendo gradualmente imparato a interagire con essi, mano a mano che l abilità dei cacciatori paleolitici migliorava (Diamond, 1998). Le date dei più antichi siti preistorici americani hanno suggerito una progressiva e rapidissima onda di avanzamento della colonizzazione umana. Martin (1973) ha simulato al calcolatore ciò che sarebbe avvenuto durante la colonizzazione umana delle Americhe. Secondo un modello messo a punto da questo studioso, 100 paleoindiani, partiti dalla regione di Edmonton (Canada occidentale) nel a.c. e dediti all uccisione di chilogrammi di biomassa animale all anno per cacciatore attivo, sarebbero potuti giungere ai confini del Messico 293 anni più tardi, aumentati di numero a circa persone, dopo avere ammazzato niente meno che 100 milioni di capi di megafauna (Figura 2.8). Non c è da stupirsi che Martin abbia introdotto al riguardo l ipotesi di overkill by blitzkrieg, coniugando il concetto di strage con quello di guerra-lampo. Conviene in ogni caso non escludere che alla definitiva e repentina scomparsa della megafauna americana abbia contribuito anche l importazione di elementi patogeni devastanti, che si sarebbero diffusi nel Nuovo Mondo in seguito alla colonizzazione da parte dell uomo (cfr. Stuart, 1991). 2.3 Morfologie anatomiche e culturali del Paleolitico superiore Il declino della grossa selvaggina del Paleartico occidentale si verificò, molto verosimilmente, fra i circa ed i anni fa (Azzaroli, 1971; Stuart, 1991), in concomitanza del climax delle tecnologie venatorie dei gruppi umani del Paleolitico superiore. È durante questo periodo che le morfologie del cosiddetto uomo anatomicamente moderno si affermano prima nel Vicino Oriente e poi in Europa. Queste sono caratterizzabili come sostanzialmente identiche, a livello cranio-scheletrico, a quelle delle popolazioni attuali: volta cranica alta ed arrotondata con riduzione delle sovrastrutture ossee (arcate sopraorbitali, super-

8 28 Capitolo 2 Figura 2.8: Secondo una simulazione al computer, è stato ipotizzato che 100 paleoindiani, partiti dalla regione di Edmonton (Canada occidentale) nel a.c. e dediti all uccisione di 5850 chilogrammi di biomassa animale all anno per cacciatore attivo, sarebbero potuti giungere ai confini del Messico 293 anni più tardi, aumentati di numero a circa persone, dopo avere ammazzato nientemeno che 100 milioni di capi di megafauna (da Martin, 1973, ridisegnato).

9 Il crepuscolo di un mondo 29 ficie del piano nucale), faccia ridotta, mento prominente, denti di dimensioni ridotte, scheletro costituzionalmente longilineo e leggero. In generale si può osservare una tendenza alla gracilizzazione rispetto alle cosiddette forme anatomicamente non moderne, quali ad esempio i neandertaliani (cfr. D Amore, 1996). Del tutto simile all uomo attuale, dunque, conoscitore dell arte, praticante riti magici propiziatori della caccia e portatore di raffinate morfologie culturali, organizzato in tribù relativamente numerose e formidabile cacciatore, l uomo del Paleolitico superiore riuscì ad adattarsi anche agli ambienti periglaciali. Durante questo periodo si registra infatti la massima espansione dell ultimo episodio glaciale würmiano. Il Paleolitico superiore si distingue normalmente dai più antichi periodi del Paleolitico inferiore e medio per la comparsa di nuove tecniche di lavorazione della pietra e dell osso, e per la maggiore specializzazione degli utensili (Ucko & Rosenfeld, 1967). Le morfologie culturali del Paleolitico superiore sono caratterizzate essenzialmente dalla lavorazione fortemente standardizzata di strumenti eleganti e sempre più raffinati, di lame lunghe e sottili e dall industria dell osso levigato, che si articolano nella successione di diverse culture individuabili attraverso particolari elementi diagnostici (Vianello, 1992; Masseti, 1996b). Rispetto alle morfologie culturali precedenti, sono infatti documentabili un incremento significativo della varietà delle tipologie litiche, che accompagna evidenti progressi nelle strategie di sussistenza, oltre alla testimonianza di sepolture complesse che implicano la consuetudine di cerimoniali rituali (Klein, 1989). Il mondo spirituale del Paleolitico superiore trova, forse, la più alta forma d espressione nelle produzioni artistiche. Nell Europa occidentale, la sequenza cronologica dell arte del Paleolitico superiore viene generalmente collocata fra i circa ed i anni a.c. (Leroi-Gourhan, 1967). I maggiori centri dell arte parietale si trovano nella Francia sud-occidentale, nei Pirenei e nella Cordigliera Cantabrica (Ucko & Rosenfeld, 1967). La maggior parte di queste produzioni è stata realizzata all interno di caverne, spesso in passaggi stretti ed inaccessibili anche a molti metri di distanza dagli ingressi. I contenuti dell arte rupestre sono fondamentalmente costituiti da rappresentazioni faunistiche, non semplicemente zoomorfiche ma caratterizzate da un attenta descrizione morfologica che consente spesso il riconoscimento tassonomico delle specie ritratte. Esse comprendono sia i principali taxa su cui i cacciatori del Paleolitico superiore basavano la propria sussistenza (cavalli, renne, cervi, bisonti, uri, stambecchi, ecc.) che alcuni temibili predatori, quali l orso, il leone, il leopardo. Più o meno invariabilmente, le figure di animali sono presentate di profilo. Secondo Morris (1994), se si guardano con attenzione le immagini in un ottica zoologica, si nota che gli animali raffigurati sono in posizione di morte. Infatti la posizione degli zoccoli rivela che il peso degli animali non esercita alcuna pressione su di essi. Le figure assumono così il significato di prede appena uccise, raffigurate a scopo commemorativo, in una forma di rispetto per lo spirito dell animale ucciso. Erano spiriti che andavano placati custodendone gelosamente le immagini nei luoghi più nascosti e sicuri. Spingendosi oltre quest interpretazione, e considerando che gran parte delle specie della megafauna raffigurata nelle caverne paleolitiche stava subendo un ineluttabile processo di rarefazione se non d estinzione si potrebbe supporre che gli artisti abbiano voluto conferire un significato apotropaico a queste raffigurazioni, quasi a scongiurare il pericolo della scomparsa faunistica imminente. L industria litica degli ultimi momenti del Paleolitico superiore si caratterizza per la produzione di minuscoli oggetti di forma geometrica, come semilune, triangoli e trapezi, utilizzati probabilmente come armature mobili di armi da getto, che trova la sua massima espressione durante il periodo successivo, noto in Europa come Mesolitico, e che nel Vicino Oriente corrisponderebbe all affermazione dei complessi culturali del Kebariano e Natufiano. Nel

10 30 Capitolo 2 corso di queste cronologie culturali si assiste ad un significativo aumento demografico della specie umana che sembra accompagnarsi ad una forte spinta verso il processo di sedentarizzazione. Questo aumento demografico favorisce un allargamento dello spettro alimentare con l intensificazione della raccolta di vegetali, molluschi marini e terrestri, mentre la caccia sembra orientarsi verso specie animali diverse, spesso anche di dimensioni più ridotte, rispetto a quelle che avevano maggiormente interessato la predazione dei gruppi umani delle cronologie immediatamente precedenti (Marrazza & Vianello, 1991; Masseti, 1996b). 2.4 Decadenza faunistica alla transizione fra Pleistocene superiore ed Olocene Nel Paleartico occidentale, la cronologia tardiglaciale ( anni fa) è scandita dalla successione di episodi climatici, corrispondenti alle zone polliniche di Dryas I, Bölling, Dryas II ed Alleröd (Huntley, 1990). Intorno ai anni fa (Yalden, 1999), il Tardiglaciale würmiano termina con un ultimo picco di freddo che è stato indicato col termine di Dryas III a causa dell ampia diffusione che ebbe il camedrio alpino, Dryas octopetala L., 1753, una pianta tipica attualmente degli ambienti periglaciali. Con la fine dell ultimo episodio glaciale si assiste all instaurarsi di un clima temperato secco, durante il quale è stato collocato convenzionalmente l inizio dell Olocene, l epoca geologica nella quale stiamo vivendo. Nel Paleartico occidentale, infatti, intorno ai anni fa (8.300 anni a.c.), finisce con l ultimo episodio glaciale il Pleistocene e inizia il periodo geologico più moderno, chiamato anche Postglaciale. Da questo momento una serie di brevi oscillazioni avrebbe contraddistinto la situazione climatica fino a farle raggiungere le condizioni attuali. Nel corso dell Olocene si sono complessivamente alternate cinque oscillazioni climatiche, evolvendo da condizioni temperate e secche fino a quelle fresche ed umide della fase attuale. Le principali suddivisioni del Postglaciale sono state individuate nella successione del Preboreale (da a anni fa), Boreale (da a anni fa), Atlantico (da a anni fa), Sub-boreale (da a anni fa), per finire col Sub-atlantico (da anni fa fino ai nostri giorni) (Roberts, 1989) (Figura 2.9). La cronologia dell Olocene antico coincide all incirca con l estensione degli episodi climatici del Preboreale-Boreale ( anni fa) (Agnesi et al., 1997). Fra l ultimo scorcio del Tardiglaciale e l Olocene antico, altre specie di ungulati di grandi dimensioni ridussero drasticamente i propri areali di diffusione, molto verosimilmente con conseguenze significative anche sulla distribuzione dei grandi carnivori. Alcuni areali meridionali del Paleartico occidentale possono avere rappresentato, per un certo periodo, gli ultimi rifugi postglaciali di alcune specie (cfr. Huntley & Birks, 1983), come il cavallo selvatico, Equus przewalskij Poliakov, 1881, l uro, Bos primigenius Bojanus, 1827, e forse anche il daino comune, Dama dama dama (L., 1758) (Stuart, 1991; Masseti et al., 1995; Masseti, 1996a). Nel Mediterraneo nord-occidentale, altri taxa, come l asino delle steppe europeo, l alce, Alces alces (L., 1758), ed il leone, Panthera leo (L., 1758), sembrano invece estinguersi alla tran- Pre-Boreale da oggi Boreale Atlantico Sub-Boreale Sub-Atlantico presente Figura 2.9: Cronologia del tardiglaciale.

11 Il crepuscolo di un mondo 31 Figura 2.10: Ricostruzione ideale della morfologia esterna dell asino d Otranto o asino delle steppe europeo (disegno di Angela Nocentini). sizione Pleistocene-Olocene o nel corso di cronologie ormai francamente postglaciali. La posizione tassonomica del già ricordato Equus hydruntinus è ancora discussa dal momento che la sua determinazione paleontologica è resa possibile quasi esclusivamente dall analisi di denti ed elementi dello scheletro postcraniale e non sono note parti craniali che potrebbero contribuire a chiarirne la collocazione sistematica (Figura 2.10). La specie compare negli orizzonti faunistici europei nel corso dell ultima parte del Pleistocene medio, derivando probabilmente dal ceppo di Equus stenonis Cocchi, 1867 (cfr. Davis, 1980; Rustioni, 1998a, 1998b). Sembra che quest asino sia sopravvissuto nell Anatolia meridionale fino in epoca piuttosto recente, come sarebbe attestato dal ritrovamento di resti osteologici ad esso attribuiti nel sito di Can Hasan (VII millennio a.c.) (Uerpmann, 1987). Anche alcune porzioni della Sicilia e della penisola italiana sud-orientale potrebbero avere rappresentato gli ultimi areali di diffusione olocenica dell equide. In ambiente italiano, infatti, l idruntino compare ancora nella fauna restituita dalla Grotta delle Mura (Monopoli, Bari), per le medesime cronologie che vi documentano la persistenza del cavallo selvatico (VI millennio a.c.) (Bon & Boscato, 1993, 1995). La specie è stata inoltre segnalata nel Neolitico antico dell insediamento di Rendina, in Basilicata, datato fra la metà del VI ed il V millennio a.c. (Bökönyi, 1977). Anche la Sicilia può avere rappresentato un areale di rifugio post-pleistocenico per E. hydruntinus che deve avere raggiunto l isola solo in corrispondenza della diffusione delle culture paleolitiche (cfr. Burgio, 1997). Resti olocenici della specie sono stati infatti restituiti dall esplorazione dei siti mesolitici della Grotta Corruggi di Pachino (Siracusa) (Cardini, 1950; Villari, 1995, 1997a) e del Riparo di Sperlinga di San Basilio (Messina), mentre un equide attribuito dubitativamen-

12 32 Capitolo 2 Figura 2.11: Maschi adulti di leone, Panthera leo (L., 1758), nell altopiano di Serengeti, in Tanzania (Africa orientale). Nell Europa occidentale, la specie sembra essere sopravvissuta fino alla fine dell ultimo episodio glaciale, oltre i anni fa. Lo studio delle raffigurazioni dell arte del Paleolitico superiore ha fatto supporre che la forma P. leo spelaea (Goldfuss, 1810), diffusa nell Europa occidentale, fosse caratterizzata dall assenza della criniera (cfr. Friant, 1940; Graziosi, 1973; Chauvet et al., 1996) (foto di Marco Masseti). te a E. hydruntinus è stato segnalato nel Neolitico medio della Sicilia sudorientale (Villari, 1995, 1997a). Sulla base della documentazione disponibile, non si può escludere dunque che l equide si sia estinto in pieno Olocene, non prima probabilmente delle cronologie riferite al tardo Neolitico, sulla base della tipologia dell industria litica (Radmilli, 1974; Masseti & Rustioni, 1990; Masseti et al., 1995). Originario della regione paleartica, l alce è il cervide vivente di maggiori dimensioni. Si tratta di un taxon caratterizzato dalla struttura telemetacarpale del piede e che, quindi, non appartiene alla linea filetica di M. giganteus. Il moderno A. alces viene segnalato in Europa fino dall inizio dell ultimo episodio glaciale ( anni fa) (Geist, 1999). In ambiente mediterraneo, la specie si trovava diffusa nelle valli e nelle pianure prospicienti le zone pedemontane ma si ritiene che non si sia spinta più a sud della pianura padana (Malatesta, 1985). Nel Mediterraneo nord-occidentale, anche il leone sembra sopravvivere fino alla fine dell ultimo episodio glaciale, oltre i anni fa (Stuart, 1991; cfr. Castelletti et al., 1994) (Figura 2.11). La persistenza della specie in epoche così recenti, posteriori a quella dell estinzione di altri rappresentanti della megafauna erbivora, ha fatto supporre che la scomparsa dei grandi carnivori europei possa essere posta in qualche modo in relazione alla progressiva rarefazione ed in alcuni casi anche all estinzione dei fitofagi di grandi dimensioni (Azzaroli, 1971; Stuart, 1991). Per la sopravvivenza del leopardo, Panthera pardus (L., 1758), nell Europa meridionale, sarebbero invece disponibili evidenze non posteriori all Olocene antico (Spassov & Raychev, 1997). Fra i carnivori di grandi dimensioni, il lupo, Canis lupus L., 1758, è l unica specie che sembra non mostrare una riduzione particolarmente sensibile dei propri areali di diffusione. Vari elementi indicherebbero infatti che fino alla comparsa dell agricoltura e dell allevamento delle specie domestiche, lupo e uomo abbiano condiviso gli orizzonti naturali della regione oloartica, disponendo della ricca fauna per la propria attività predatoria.