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1 Osservatorio sulla giurisprudenza civile al 29 febbraio 2012 a cura di Diana Selvaggi 1. Corte di Cassazione, Sez. VI Civile, ordinanza n. 407 del 13 gennaio 2012: sospensione del processo, pregiudizialità logica e stato della persona. Con l ordinanza in commento la VI Sezione Civile della Suprema Corte di Cassazione dispone la rimessione degli atti alle Sezioni Unite per la definizione della questione di massima che a questo collegio sembra di particolare importanza in quanto attinente, in via generale, ai rapporti intercorrenti tra l art. 295 c.p.c. e l art. 337 comma II c.p.c. e, in particolare, alla sussistenza o meno delle condizioni per fare luogo alla sospensione obbligatoria ex art. 295 c.p.c. quando la causa pregiudicante pendente in appello attenga alla materia dello stato delle persone, il cui accertamento debba essere compiuto con sentenza munita dell efficacia del giudicato. Il caso giunge in Cassazione a seguito dell impugnazione dell ordinanza con cui una Corte d appello aveva sospeso ex art. 295 c.p.c. il giudizio, innanzi ad essa pendente, sulla domanda di petizione ereditaria avanzata dalla odierna ricorrente, in attesa della definizione con sentenza passata in giudicato della causa di primo grado avente ad oggetto l accertamento giudiziale del proprio stato di figlia naturale. Pur sinteticamente, giova ricostruire i rilievi di cui al ricorso in Cassazione al fine di comprendere la qualificazione di questione di massima di particolare importanza fornita dalla Sezione rimettente: la ricorrente rileva, in proposito, che la Corte territoriale non avrebbe dovuto applicare l art. 295 c.p.c. ma il 337 comma II c.p.c., ben potendo sospendere in via facoltativa e a titolo di mera opportunità ove avesse ritenuto sussistente l influenza effettiva della prima sentenza sulla questione sottopostale, deducendo che la dipendenza tra la sentenza dichiarativa dello stato di figlia naturale e quella avente ad oggetto i diritti di coerede derivanti dall avvenuto riconoscimento giudiziale di paternità, era solo logica e non anche giuridica. Due gli orientamenti della dottrina sull interpretazione dell art. 337 comma II c.p.c.: un primo orientamento muove dalla forza di giudicato acquisita o meno dalla prima 1

2 sentenza, di talchè l art. 337 in questione non si applica quando tra le due cause pendenti tra le stesse parti esista un rapporto di dipendenza tale che la decisione dell una influisca su quella dell altra, per cui il giudice è tenuto ad applicare l art. 295 c.p.c. quindi a dar luogo alla sospensione necessaria - fino al passaggio in giudicato della sentenza resa sulla causa pregiudicante; al contrario tutte le volte in cui la sentenza invocata nel diverso giudizio abbia già autorità di cosa giudicata e sia oggetto di revocazione straordinaria ex art. 395 nn. 1,2,3 e 6 c.p.c. o opposizione di terzo ex art. 404 c.p.c., in cui si applica la sospensione facoltativa. Il secondo orientamento, invece, attribuisce peculiare rilievo alla prima sentenza per cui, ancor prima ed indipendentemente dal suo passaggio in giudicato, essa esplica comunque una funzione di accertamento al di fuori del processo ed il giudice ben può, conseguentemente, o tener conto di tale sentenza o decidere stante il suo potere discrezionale sul punto di sospendere il giudizio. Anche in giurisprudenza, tuttavia, si sono storicamente contesi il campo due distinti orientamenti: secondo quello più risalente, qualora titolo del diritto dedotto in giudizio sia una sentenza esecutiva resa in altra causa fra le stesse parti, il giudice ha l obbligo di sospendere ex art. 295 c.p.c., mentre se la sentenza è oggetto di impugnazione non preclusiva del giudicato, la sospensione è solo facoltativa ex art. 337 comma II; le Sezioni Unite 2004/14060 hanno tracciato il percorso seguito successivamente dall altro orientamento secondo cui, quando tra due giudizi sussiste pregiudizialità e quello pregiudicante sia stato definito con sentenza non passata in giudicato, è possibile sospendere il secondo giudizio solo in via facoltativa ex art. 337 comma II c.p.c. di talchè, in casi del genere, va dichiarato illegittimo il provvedimento di sospensione necessaria ex art. 295 c.p.c. indipendentemente dall avvenuto accertamento della pregiudizialità. Questo lo stato dell arte in materia, cui la S.C. prima di ordinare la rimessione degli atti al Primo Presidente, aggiunge le proprie considerazioni, in parte difformi de quelle definite dalle Sezioni Unite sopra citate al fine di circoscrivere in ipotesi di pendenza di giudizi in gradi diversi la tesi dell applicabilità del solo art. 337 comma II c.p.c.. Sotto un profilo sistematico non appare, infatti, alla Corte, congruo far discendere dalla pendenza in gradi diversi l inapplicabilità della norma di cui all art. 295 c.p.c. altresì in casi come quello di specie, in cui sembra indubbia la sussistenza di una 2

3 pregiudizialità logico-giuridica, come imposta dalla norma da ultimo indicata, tra la causa di petizione ereditaria e quella di accertamento dello stato di figlia naturale implicante la necessità del giudicato, dal momento che l incontrovertibilità della sentenza relativa a quest ultimo accertamento costituisce l imprescindibile presupposto per l esercizio dei diritti ereditari sul patrimonio del genitore dichiarato giudizialmente tale in via definitiva, dovendosi attribuire alla sentenza dichiarativa di tale status il valore di elemento costitutivo necessario della complessa fattispecie acquisitiva dell eredità e non già di semplice presupposto di fatto del diritto potestativo di accettazione e petizione ereditaria. 2. Corte di Cassazione, Sez. II Civile, sentenza n del 2 febbraio 2012: dolo contrattuale e annullamento del contratto. Nella sentenza in commento la Suprema Corte si sofferma sull annullamento del contratto per vizi della volontà, con particolare riferimento al dolo contrattuale, commissivo ed omissivo, di cui all art c.c. Nella specie, mentre in primo grado era stato annullato un contratto di compravendita di un automobile per dolo del venditore (manomissione del contachilometri della vettura usata), la Corte d appello, in integrale riforma della sentenza, aveva escluso l esistenza del raggiro sulla base del concreto svolgimento dei fatti e delle risultanze probatorie (anche testimoniali) acquisite durante il processo. Per la cassazione della sentenza d appello viene proposto ricorso e la Suprema Corte, ritenendo fondati i (connessi) motivi di ricorso, accoglie quest ultimo facendo applicazione dei principi - consolidati anche in giurisprudenza in tema di dolo contrattuale ex art c.c. Con una minuziosa disamina delle motivazioni della sentenza impugnata, la S. C. riconosce che la Corte territoriale, pur avendo accertato che il contachilometri era stato manomesso, aveva escluso sia l eventuale responsabilità del venditore sia che tale manomissione potesse integrare gli estremi di un raggiro tale da viziare la volontà dell acquirente: la Corte d Appello avrebbe dovuto, e non lo ha fatto, verificare se il venditore, pur non essendo l autore della manomissione, di questa fosse o meno a conoscenza, data l esistenza di una serie di indicatori idonei ad ingenerare per di più in un soggetto esperto come il venditore (titolare di un autofficina) ragionevoli dubbi sull effettiva manutenzione della vettura in vendita. 3

4 Nel ribadire i principi in tema di dolo contrattuale, commissivo ed omissivo, la Suprema Corte qualifica come omissivo il dolo occorso nella specie ed accoglie il ricorso alla luce del principio secondo cui il dolo quale causa di annullamento del contratto ai sensi dell art c.c. può consistere tanto nell ingannare con notizie false, con parole o fatti la parte interessata (dolo commissivo) quanto nel nascondere alla conoscenza altri, col silenzio o con la reticenza, fatti o circostanze decisive (dolo omissivo). Pertanto, se il venditore fosse a conoscenza della manomissione del contachilometri dell autovettura e non l avesse reso noto all acquirente, ha posto in essere un dolo omissivo, inducendo in errore l acquirente. 3. Corte di Cassazione, Sezione II Civile, sentenza n del 27 gennaio 2012: contratto di compravendita, proprietà e possesso e profili di tutela. Nella sentenza in epigrafe la Suprema Corte si sofferma sui tratti caratterizzanti e differenziali della proprietà e del possesso e sui profili di tutela previsti e concessi dal legislatore. In primo grado, il nudo proprietario di un appartamento - divenuto successivamente, alla morte dell usufruttuario, pieno proprietario dell immobile agisce in reintegrazione ex art c.c. per riottenerne il possesso contro l erede del de cuius: il Tribunale accoglie il ricorso reintegrando il ricorrente nel possesso, mentre in secondo grado la tutela possessoria gli viene negata per carenza dei presupposti dell azione, concessa dall ordinamento a Chi è stato violentemente od occultamente spogliato del possesso può, entro l'anno dal sofferto spoglio, chiedere contro l'autore di esso la reintegrazione del possesso medesimo. L'azione è concessa altresì a chi ha la detenzione della cosa (1140), tranne il caso che l'abbia per ragioni di servizio o di ospitalità. In Cassazione si lamenta che la Corte d Appello non abbia valutato come, all acquisto della proprietà dell appartamento per consolidamento della nuda proprietà con l usufrutto a seguito della morte dell usufruttuario, erano seguite tutte le facoltà ad essa connesse, compreso il possesso. Tale essendo la questione, la S.C. ritiene infondato il ricorso e lo rigetta, non prima di avere ricostruito sotto il profilo sistematico l istituto e la tutela del possesso che, a 4

5 norma dell art c.c., è il potere di fatto sulla cosa che si manifesta in un attività corrispondente all esercizio della proprietà o altro diritto reale accompagnata dall animus rem sibi habendi, e presuppone il cd. impossessamento, che si realizza anzitutto mediante apprensione materiale unilaterale. Tra i modi di perdita del possesso la Corte rammenta la rinunzia per comportamenti concludenti, subìto spoglio o volontaria consegna, abbandono o perimento o restituzione della cosa e, sotto il profilo centrale della tutela e della legittimazione attiva, non manca di ricordare come legittimato alla tutela possessoria che, dal punto di vista sostanziale è assoluta ed incondizionata erga omnes contro gli atti di spoglio e molestia e, dal punto di vista processuale, è improntata ad estrema urgenza, è soltanto il possessore o il detentore del bene. Da ciò la S.C. fa discendere la conseguenza che alla vendita della nuda proprietà consegue la libertà dell acquirente da diritti di terzi ma non anche il trasferimento del possesso del bene e ribadisce il principio di diritto per cui Può aversi trasferimento della proprietà disgiunto da quello del possesso, l uno non implicando necessariamente l altro, anche se esso costituisce effetto naturale del contratto di compravendita, ma può non verificarsi, ove risulti dimostrato che il venditore non abbia trasferito il possesso del bene ceduto, mantenendo il diritto ad esercitare il diritto di ius possessionis. La compravendita, infatti, non è un contratto immediatamente traslativo della disponibilità concreta della cosa: in essa il consenso non produce effetti reali sulla disponibilità stessa, poiché l art c.c. considera la consegna della cosa venduta come oggetto di una specifica obbligazione del venditore derivante dalla conclusione del contratto. Bene ha operato, pertanto, la Corte d Appello quando ha affermato che il venditore non ha cessato di possedere l appartamento per il solo fatto di averne trasferito la nuda proprietà. Concludendo per il rigetto alla luce dell enunciato principio, la Corte precisa inoltre che il ricorrente, avendo agito in via interdittale e non in revindica, aveva l onere di provare lo ius possessionis, inteso quale esercizio del potere di fatto sulla cosa corrispondente all esercizio del diritto di proprietà, per il che non è sufficiente l esibizione del titolo di acquisto, idoneo soltanto a rafforzare detta prova ad 5

6 colorandam possessionem, ossia a deliberare la qualità del possesso già accertato, e non già a dimostrare il diritto di esercitare siffatto potere. 4. Corte di Cassazione, Sezione II Civile, sentenza n del 3 febbraio 2012: patto commissorio, collegamento negoziale e nullità del contratto. Con la sentenza in epigrafe la Corte di Cassazione si sofferma sul patto commissorio, figura disciplinata solo in negativo dal Codice Civile, che ne prescrive espressamente il divieto agli articoli 1963 e 2744, con riferimento alle garanzie reali a tutela dei crediti. Nella specie, sia in primo che in secondo grado l odierno ricorrente è soccombente rispetto alla richiesta di dichiararsi la nullità di una serie di contratti stipulati nella stessa data con la propria controparte dopo avere accertato il collegamento negoziale esistente tra dette pattuizioni (una compravendita, una locazione ed un patto di opzione) e che l'effetto di detti contratti non era stabilire un prezzo come corrispettivo di una compravendita, bensì mutuare una somma costituendo al contempo una garanzia reale in favore del mutuante, rappresentata dal trasferimento dell'immobile. Anche la Corte di Cassazione respinge il ricorso, infondato, adeguandosi alle conclusioni dei Giudici di secondo grado, secondo cui la domanda di nullità di una compravendita finalizzata alla configurabilità di un patto commissorio non può prescindere dalla dimostrazione dell'esistenza tra le parti di un accordo preventivo, in virtù del quale, da un lato, il debitore consenta che il trasferimento del bene sia la conseguenza della mancata estinzione del debito e, dall'altro lato, il creditore realizzi un arricchimento ingiustificato in danno della controparte. Il divieto del patto commissorio tutela la libertà del debitore laddove sancisce la nullità della convenzione mediante la quale le parti abbiano costituito in un bene la garanzia reale rispetto ad un mutuo, creando tra questo e la vendita un nesso teleologico o strumentale in funzione di un risultato finale, consistente nel trasferimento della proprietà del bene al creditore-acquirente nel caso di mancato adempimento dell'obbligazione di restituzione del debitore-venditore. Preliminarmente la Suprema Corte, aderendo all orientamento costante della giurisprudenza di legittimità, enuncia il principio di diritto secondo cui l'art c.c. 6

7 costituisce una norma materiale, destinata a trovare applicazione non soltanto in relazione alle alienazioni a scopo di garanzia sospensivamente condizionate all inadempimento del debitore, ma anche a quelle immediatamente traslative risolutivamente condizionate all'adempimento del debitore. Detta norma esprime un divieto di risultato, mirando a difendere il debitore da illecite coercizioni del creditore, assicurando nel contempo la garanzia della par condicio creditorum. È tale risultato che giustifica il divieto di legge, non i mezzi impiegati: con la conseguenza che, ove, sulla base della corretta qualificazione della fattispecie, il versamento del denaro non costituisca il pagamento del prezzo, ma l'esecuzione di un mutuo e il trasferimento del bene non integri l'attribuzione al compratore, bensì l'atto costitutivo di una posizione di garanzia innegabilmente provvisoria, manca la funzione di scambio tipica del contratto di compravendita e si realizza proprio il negozio vietato dalla legge. Così delineate in misura sistematica natura e funzioni del divieto di patto commissorio, divengono agevolmente condivisibili le valutazioni della Corte d Appello, la cui pronuncia va immune da censure per avere escluso il patto commissorio e, nella specie, avere escluso che il trasferimento immobiliare fosse destinato a sovrapporsi all inadempimento di un obbligazione: l appellante avrebbe dovuto, a tal fine, fornire la prova dell esistenza - coeva o precedente - di un obbligazione dell alienante nei confronti dell acquirente, e detta prova qui è mancata. Adeguata, in tal senso, la qualificazione della compravendita di cui al caso di specie operata dalla Corte d Appello, secondo cui si è trattato di una vendita isolata con patto d opzione, dettata da esigenze di finanziamento, nella quale manca qualsiasi sproporzione tra il valore del bene ed il corrispettivo versato, essendo il prezzo pagato dall acquirente congruo rispetto ai valori indicati nella perizia.[ ] I rilievi della Corte d appello appaiono alla Suprema Corte derivanti da logici e motivati apprezzamenti delle risultanze di causa, avendo essa compiuto una valutazione penetrante e d insieme, apprezzato ogni circostanza di fatto relativa alle pattuizioni intervenute e al risultato concreto che l operazione negoziale nel suo complesso era idonea a produrre: sulla base di tali considerazioni correttamente, pertanto, la Corte territoriale ha escluso tanto la sproporzione tra entità del prezzo e valore del bene alienato e, più in generale, tra le reciproche obbligazioni nascenti dal rapporto, quanto l'approfittamento da parte dell'acquirente della situazione dell'alienante. 7

8 È alla luce di tali considerazioni, in conclusione, che la Corte rigetta il ricorso. 8