Unità 1 La crisi della fisica classica e la quantizzazione dell energia

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1 TOMO V LE ONDE convenzione: i simboli in grassetto vanno frecciati Modulo 2 La Fisica quantistica Unità 1 La crisi della fisica classica e la quantizzazione dell energia Nubi del diciannovesimo secolo sulla teoria dinamica del calore e della luce (Nineteenth-Century Clouds over the Dynamical Theory of Heat and Light) è il titolo di una conferenza tenuta nell anno 1900 da Lord Kelvin, nella quale il fisico inglese pose in evidenza come la fisica di quel tempo, che noi oggi chiamiamo fisica classica, fosse del tutto insufficiente a spiegare le osservazioni sperimentali di determinati fenomeni. In particolare: la radiazione di corpo nero, di cui ci occupiamo in questa Unità, e i risultati dell esperimento di Michelson e Morley ( pag. xxx). Al volgere del secolo era dunque chiara l insufficienza della fisica classica e la conseguente necessità di trovare nuove strade. Figura 0. Immagine da trovare 1.1 Successi e contraddizioni fra la fine dell Ottocento e l inizio del nuovo secolo. La fine dell Ottocento segna per la Fisica il raggiungimento di una fase dominata dalle certezze del pieno successo raggiunto nella comprensione dei fenomeni macroscopici. In un quadro complessivo che appariva maturo e addirittura quasi definitivo, come se tutto quello che vi era da scoprire fosse stato in qualche modo raggiunto dall uomo. La teoria dell elettromagnetismo forniva infatti un inquadramento teorico rigoroso, e ben verificato sperimentalmente, per tutti i fenomeni elettrici, magnetici e luminosi; il calore e la temperatura trovavano eccellente interpretazione nelle teorie statistiche; la meccanica, ormai da tempo, appariva Le leggi fondamentali e i fatti più importanti della fisica sono stati tutti scoperti, e sono così ben stabiliti che è assolutamente remota la possibilità che vengano soppiantati a seguito di nuove scoperte. Albert Michelson, 1899 pienamente sistemata, mentre la gravitazione rendeva pieno conto dei fenomeni astronomici. La fiducia nella validità universale di ciò che oggi chiamiamo fisica classica trovava del resto pieno riscontro nei grandi successi delle sue applicazioni tecnologiche, che segnavano una svolta della Rivoluzione industriale: con la diffusione degli impieghi dell elettricità, in particolare nel telegrafo, nel telefono e nell illuminazione, con l avvio delle comunicazioni radio a distanza e con molto altro ancora. Cosa restava da investigare? Certamente occorreva una miglior comprensione dei fenomeni a livello microscopico, che si ritenevano governati dalle stesse leggi dei fenomeni macroscopici, così come del resto la stessa meccanica regola il moto dei corpi alla scala dell uomo come quello degli astri. E proprio questa è infatti la direzione in cui si muovono le ricerche in quegli anni. A incrinare queste sicurezze, tuttavia, non mancavano alcuni sottili elementi di contraddizione, riguardanti fatti che la fisica classica non era in grado di interpretare in alcun modo. Fatti che erano destinati ad accrescersi negli anni, man mano che si sviluppava il programma di ricerca riguardante la costituzione intima della materia e le interazioni fra energia e materia, e che avrebbero poi condotto, come vedremo nel corso di questo Modulo, a una svolta senza precedenti nella nostra comprensione della realtà fisica. Perché gli spettri di emissione degli elementi nello stato di gas sono costituiti da righe discrete, cioè da radiazioni con lunghezze d onda ben determinate, caratteristiche dei diversi elementi chimici ( Tomo 3, pag. xxx)? Come mai gli atomi sono stabili? cioè perché gli elettroni in orbita attorno a un nucleo non irraggiano energia ( Tomo 4, pag. xxx), come è invece previsto dalle leggi dell elettromagnetismo? Altri problemi ancora, di alcuni dei quali ci occuperemo nei paragrafi che seguono, riguardavano la distribuzione spettrale dell energia irradiata da un corpo in ragione della sua temperatura ( 2) e i fenomeni relativi all effetto fotoelettrico ( 3): tutti, come si è accennato, senza interpretazione nel quadro della fisica classica. Tutta questa problematica è in realtà collegata da un sottile filo rosso, che in seguito si rivelerà tanto decisivo quanto essenziale: la quantizzazione delle grandezze fisiche, rompendo così la secolare tradizione per cui natura non facit saltus. Si era già trovato, prima con la scoperta 1

2 dell elettrone e poi con l esperienza di Millikan ( Tomo 3, pag. xxx), che la carica elettrica è quantizzata, cioè può esistere solo in quantità multiple di una carica elementare. Ma si troverà poi che ipotesi di quantizzazione di altre grandezze, in particolare dell energia, erano assolutamente necessarie per sanare l insieme di contraddizioni accennato sopra. 1.2 Planck e la catastrofe ultravioletta. Abbiamo più volte menzionato il fenomeno dell emissione termica, cioè l irraggiamento di energia elettromagnetica da parte dei corpi solidi e liquidi in ragione della temperatura a cui essi si trovano, che determina lo stato di agitazione termica dei loro costituenti elementari. Nella seconda metà dell Ottocento la ricerca sperimentale su questo fenomeno aveva condotto a stabilire le due leggi di Stefan-Boltzmann e di Wien, che ora richiamiamo. La prima di esse stabilisce che la potenza totale irraggiata dall unità di superficie di un corpo che si trova alla temperatura assoluta T è: (1) P = e T 4 dove = 5, W/(m 2 K 4 ) è la costante di Stefan-Boltzmann ed e rappresenta il potere emissivo o emissività della superficie del corpo: Perché l emissività e di un corpo deve essere esattamente uguale al suo coefficiente di assorbimento a? Diamone una spiegazione per assurdo. Se così non fosse, un corpo con e>a perderebbe continuamente energia, raffreddandosi fino a T = 0; uno con e<a acquisterebbe continuamente energia, riscaldandosi fino a T =. un numero compreso fra 0 e 1. Si era anche trovato che, a ciascuna lunghezza d onda, l emissività di un corpo è esattamente uguale al suo coefficiente di assorbimento a. Al corpo emettitore ideale (e = 1), dunque anche assorbitore ideale (a = 1), si era dato il nome di corpo nero ( figura 1), dato che i corpi che assorbono tutti i colori della luce ci appaiono appunto neri. Si era anche stabilito sperimentalmente come l energia emessa fosse distribuita fra le diverse lunghezze d onda, o le diverse frequenze. Costruendo quindi dei grafici come quello rappresentato in figura 2 e ricavando così la seconda legge, la legge di Wien, quella che stabilisce che il massimo dell emissione si trova a una lunghezza d onda max inversamente proporzionale alla temperatura assoluta: (2) max = A / T dove la costante vale A = 2, m K. Ma tutti i tentativi di dare una interpretazione teorica a questi risultati sperimentali, ricorrendo alle leggi dell elettromagnetismo e della termodinamica, erano caduti nel nulla. I fisici inglesi J.W. Rayleigh e J. Jeans, in particolare, avevano ipotizzato che le pareti della cavità di un corpo nero si comportassero come un insieme di cariche elettriche oscillanti, cioè come minuscole antenne, ciascuna dotata di una frequenza caratteristica, che assorbissero ed emettessero onde elettromagnetiche di frequenza corrispondente. Così procedendo, essi ottennero per la distribuzione spettrale dell emissione termica una legge teorica che però si accordava con i dati sperimentali soltanto per le lunghezze d onda più grandi ( figura A a pagina seguente), per il resto conducendo all assurdo per cui la potenza emessa sarebbe dovuta crescere indefinitamente al diminuire della lunghezza d onda, cioè all aumentare della frequenza. Questa incongrua conclusione, cui fu dato il nome di catastrofe ultravioletta perché la divergenza riguardava le lunghezze d onda più piccole, rappresentò il primo scricchiolio dell edificio della fisica classica. Il problema fu risolto nel 1900 dal fisico tedesco Max Planck ( ), che per ciò ricevette il premio Nobel nel Anche Planck, nella sua analisi, aveva preso l avvio dai principi della termodinamica e dal modello a cavità del corpo nero, ammettendo anch egli che gli atomi delle pareti della cavità si comportassero come minuscoli oscillatori. Per evitare la divergenza, Planck ricorse però a una ipotesi che lui stesso considerò alquanto sgradevole, in quanto priva di qualsiasi giustificazione nell ambito della fisica del tempo. Cioè che l energia di ciascuno di questi oscillatori non potesse variare con continuità, ma potesse assumere soltanto valori discreti, multipli di una quantità elementare che egli chiamò quanto di energia. Ammettendo quindi, come 2

3 inevitabile conseguenza, che fossero quantizzati allo stesso modo anche gli scambi di energia fra questi oscillatori microscopici. Nell ipotesi di Planck, l energia E 0 del quanto non era però una grandezza fissa, come il quanto di elettricità (cioè la carica dell elettrone). Questa energia elementare era invece direttamente proporzionale alla frequenza della radiazione, quindi inversamente proporzionale alla sua lunghezza d onda, secondo la legge: (3) E 0 = hf = hc/ dove h è ciò che oggi noi chiamiamo costante di Planck, una delle costanti fondamentali della fisica, il cui valore nelle unità del sistema SI è: (4) h = 6, J s La legge di distribuzione spettrale dell emissione termica di un corpo nero ottenuta da Planck grazie all ipotesi dei quanti di energia è la seguente: (5) 8 f F( f, T) c 2 hf 3 hf / kt e 1 Planck trovò che questa legge (legge di Planck) era in perfetto accordo con i dati sperimentali, sia con la distribuzioni spettrali, sia con le leggi di Stefan-Boltzmann e di Wien, per un particolare valore della costante h, che è appunto quello dato sopra. L Esempio 1 che segue mostra che a questo valore di h corrispondono valori piccolissimi dell energia del quanto sulla scala delle energie ordinarie, ma non così su quella dei fenomeni microscopici, almeno per quanto riguarda le radiazioni luminose e quelle di lunghezza d onda ancora minore, come si conclude esprimendo E 0 in unità di elettrovolt. L Esempio 2 mostra poi che in condizioni ordinarie siamo ben lontani da poterci accorgere che l energia è quantizzata. Esempio 1. Calcoliamo l energia E 0 di un quanto. Vogliamo calcolare in joule e in elettronvolt l energia di un quanto alla frequenza delle onde radio (1 MHz), a quella della luce arancione ( = 600 nm) e a quella della radiazione X con = 0,12 nm. Utilizzando la formula (3) e ricordando che 1 ev = 1, J, si ha nei tre casi: E 0 (1 MHz) = 6, = 6, J = 6, /1, ev = 4, ev E 0 (600 nm) = 6, / = 3, J = 3, /1, ev = 2,07 ev E 0 (0,12 nm) = 6, /0, = 1, J = 1, /1, ev = 10,4 kev Esempio 2. Possiamo accorgerci che l energia di un pendolo è quantizzata? Consideriamo un pendolo con periodo T = 1s, costituito da una massa di 10 g che oscilla con velocità massima v = 1 cm/s. L energia di un quanto alla frequenza del pendolo è E 0 = hf = 6, = 6, J. L energia del pendolo è E = ½ mv 2 = 0,5 0,01 (0,01) 2 = J, cioè pari a n = E/E 0 = /6, = 7, quanti. Questi sono talmente tanti, che nessuno si accorgerà mai se ne manca qualcuno. In altre parole, l energia del pendolo non ci appare affatto quantizzata. Approfondimento 1. Quando la legge di Planck coincide con la legge di Rayleigh-Jeans. La formula dello spettro del corpo nero ricavata da Rayleigh e Jeans applicando le leggi della fisica classica è la seguente: (A) 2 8 f FRJ ( f, T) kt 3 c 3

4 Essa conduce evidentemente alla cosidetta catastrofe ultravioletta, dato che la potenza irraggiata a ciascuna frequenza è direttamente proporzionale al quadrato della frequenza, cioè inversamente proporzionale al quadrato della lunghezza d onda. E quindi l energia emessa assume valori sempre crescenti al diminuire di, tendendo all infinito. A sua volta risulta infinita anche l energia totale, che è la somma di tutti i contributi alle diverse frequenze fra 0 e (cioè l area al di sotto della curva), in palese contrasto con legge sperimentale di Stefan Boltzmann oltre che con il buon senso. Il fenomeno della divergenza al crescere della frequenza si osserva esaminando il grafico di questa funzione, tracciato nella figura A assieme al grafico della funzione di Planck (5) per uno stesso valore della temperatura. Si nota anche che le due funzioni coincidono in corrispondenza dei valori più bassi della frequenza (ciò si dimostra analiticamente, come esposto nel Problema 3). E se l energia non fosse quantizzata? In tal caso il valore di h sarebbe piccolo a piacere e allora la funzione di Planck (5) coinciderebbe esattamente con la funzione di Rayleigh-Jeans (A). Se infatti calcoliamo il limite di e hf 1 hf / kt per h che tende a zero otteniamo kt, sicchè la (5), in queste condizioni, si trasforma nella (A). ERJ( f 1000) Figura A. Distribuzione dell intensità della radiazione dell emissione termica al variare della frequenza: a) secondo la legge Rayleigh-Jeans (curva rossa), (b) secondo la legge di Plank (curva nera) che è in perfetto accordo con i dati sperimentali. 0 (aggiungere sull asse verticale la scritta: Distribuzione spettrale dell intensità) Figura 1. Un modello concettuale assai intuitivo del corpo nero è quello di un forellino in una cavità assorbente. Il forellino è nero perché qualsiasi radiazione vi penetri sarà inevitabilmente assorbita dalla cavità dopo un certo numero di riflessioni sulle sue pareti interne. Queste, se la cavità è ben isolata dall esterno, si porteranno all equilibrio assumendo quindi una temperatura uniforme e irraggiando perfettamente verso l esterno. 7 T = 1200 K Figura 2. I grafici rappresentano come è distribuita l intensità della radiazione E( f 1000) dell emissione termica a tre diverse temperature al variare della E( f 1200) frequenza. L intensità complessiva aumenta assai rapidamente al E( f 800) crescere della temperatura del corpo che irraggia; la frequenza a cui si ha il massimo è direttamente proporzionale alla temperatura. (aggiungere sull asse verticale la scritta: Distribuzione spettrale dell intensità) L effetto fotoelettrico 0 f Un altro fenomeno che la fisica classica non riusciva a interpretare con le sue leggi è l effetto fotoelettrico. Cioè l emissione di elettroni da parte di un metallo investito da radiazione elettromagnetica. La prima osservazione del fenomeno, da parte di Heinrich Hertz, risale al 1887; si trovò in seguito che una lastrina di zinco assumeva una carica positiva quando veniva colpita da luce ultravioletta. Dopo la scoperta dell elettrone da parte di Thompson nel 1897, il fenomeno venne attribuito all emissione di elettroni, estratti dal metallo grazie all energia fornita dalla radiazione elettromagnetica; e fin qui nessun problema. Le difficoltà sorgevano invece dalle particolari modalità con cui il fenomeno si verificava; come risultò dalle misure eseguite nel 1900 dal fisico tedesco Philipp von Lenard e in seguito da altri 1000 K sperimentatori, fra cui Millikan, utilizzando l apparato sperimentale rappresentato schematicamente nella figura 3. Il cuore dell apparato è un tubo a vuoto, all interno del quale si trova una lastrina di E( f 1000) K spettro classico di Rayleigh-Jeans spettro di Planck frequenza f frequenza L effetto fotoelettrico può verificarsi anche in corpi non metallici, come nel caso delle polveri lunari. Costituite da particelle minerali caricate positivamente dalla radiazione ultravioletta solare, queste vincono la debole gravità lunare formando delle tenue nubi appena al di sopra della superficie del nostro satellite. 4

5 metallo emettitore (E), che viene colpita da un flusso di radiazione ultravioletta, e un elettrodo collettore (C) che rispetto al primo viene posto a una differenza di potenziale V di cui si può variare sia il valore che il segno. La funzione dell elettrodo collettore è quella di raccogliere gli elettroni emessi dal metallo irraggiato, i quali scorrono nel tubo creando una corrente la cui intensità viene misurata dall amperometro A. I grafici nella figura 4 mostrano come varia l intensità della corrente al variare della differenza di potenziale fra i due elettrodi, per un dato metallo emettitore e per una data frequenza della radiazione incidente (che viene resa approssimativamente monocromatica grazie a un apposito filtro). Quando il potenziale del collettore è positivo rispetto all emettitore, nel circuito scorre una corrente la cui intensità cresce gradualmente con la tensione fino a raggiungere un valore costante di saturazione, che è direttamente proporzionale all intensità della radiazione incidente. Invertendo il segno della tensione, la corrente si riduce fino ad annullarsi in corrispondenza di un valore fisso, caratteristico del metallo emettitore, chiamato potenziale d arresto. La fisica classica spiega bene la proporzionalità fra la corrente di saturazione e l intensità della radiazione: a una maggiore quantità di energia incidente, quindi assorbita dal metallo emettitore, corrisponderebbe infatti un maggior numero di elettroni liberati dal metallo emettitore e poi raccolti dal collettore, che li attrae trovandosi a una tensione positiva rispetto all emettitore. E spiega anche il fatto che una frazione degli elettroni emessi venga raccolta dal collettore anche quando il suo potenziale è debolmente negativo. Se infatti l energia ceduta dalla radiazione al metallo è sovrabbondante rispetto a quella necessaria per liberare elettroni, questi verrebbero emessi con una energia cinetica pari all eccesso e quindi potrebbero raggiungere il collettore anche quando questo, trovandosi a un potenziale negativo, li respinge. La fisica classica, invece, non riesce affatto a spiegare perché il valore del potenziale d arresto ( figura 4) non dipenda dall intensità della radiazione, aumentando la quale dovrebbe aumentare anche l energia cinetica degli elettroni emessi e quindi anche la loro capacità di raggiungere il collettore, sebbene a tensione negativa, risalendo il campo elettrico fra i due elettrodi. E riesce ancor meno a spiegare l altro importantissimo risultato sperimentale, rappresentato nella figura 5, che costituisce la sintesi di misure eseguite su metalli emettitori diversi illuminati con radiazioni di frequenza diversa. I fatti essenziali rappresentati dal grafico sono due: 1) per ciascun metallo esiste una frequenza di soglia per la radiazione, al di sotto della quale l effetto fotoelettrico si estingue, cioè non vengono emessi elettroni, ciò che avviene, si noti, indipendentemente dall intensità della radiazione incidente; 2) per ciascun metallo emettitore, il valore del potenziale d arresto, e quindi l energia massima degli elettroni emessi, dipende linearmente dalla frequenza della radiazione. Nell ambito della fisica classica, la presenza di una frequenza di soglia è del tutto inesplicabile, dato che l energia trasportata da qualsiasi radiazione elettromagnetica è direttamente prioporzionale alla sua intensità. Sicchè si sarebbe dovuta casomai trovare una intensità di soglia per il verificarsi dell effetto fotoelettrico, al di sotto della quale l energia ceduta dalla radiazione al metallo fosse insufficiente a liberarne gli elettroni. E si sarebbe anche dovuto trovare che, a bassi livelli di intensità della radiazione incidente, dovesse trascorrere un certo tempo prima dell emissione di elettroni, cioè quello necessario ad accumulare l energia necessaria a liberarli, vincendo le forze di legame. Mentre l emissione fotoelettrica, quando avviene, non presenta ritardi apprezzabili rispetto all illuminazione del metallo. In conclusione, l elemento determinante dell effetto fotoelettrico non sembrava essere l intensità della radiazione elettromagnetica incidente, ma piuttosto la sua frequenza; se si vuole, non la quantità di energia, ma invece la sua qualità. Figura 3. Schema semplificato dell apparato sperimentale usato per studiare l effetto fotoelettrico. Il potenziometro P permette di variare il valore e il segno della tensione applicata fra gli elettrodi C ed E, che è misurata dal voltmetro V. L amperometro A misura l intensità i della corrente nel tubo a vuoto in funzione della tensione. Questa corrente è costituita dagli elettroni che sono emessi dal metallo che costituisce l elettrodo emettitore E quando viene colpito da 5

6 radiazione elettromagnetica (luce ultravioletta o di altra lunghezza d onda) e poi raccolti dal collettore C. (Adattare da Amaldi, La Fisica, vol. 3, pag. 308, disponendo il tubo verticalmente a sinistra e verticalmente a destra le pile e il potenziometro, aggiungendo le scritte + e agli estremi delle due pile, sostituendo la scritta S con P, disegnando più piccoli gli elettroni e indicandoli con la scritta elettroni) Figura 4. Intensità i della corrente misurata al variare della tensione fra il collettore C e l emettitore E nell apparato in figura 3 in presenza di radiazione monocromatica. Raddoppiando l intensità della radiazione, la corrente raddoppia. Notate che la corrente si annulla, qualunque sia l intensità della radiazione, quando il potenziale V CE fra i due elettrodi assume il valore negativo V A, chiamato potenziale d arresto. Figura 5. Il grafico rappresenta il valore del potenziale d arresto in funzione della frequenza della radiazione che provoca l effetto fotoelettrico in tre metalli diversi A, B, C. Si nota che il potenziale d arresto aumenta linearmente con la frequenza, con lo stesso coefficiente nei tre casi. L effetto fotoelettrico si annulla invece quando la frequenza della radiazione è inferiore a un valore minimo di soglia, caratteristico di ciascun metallo. 1.4 Einstein, i fotoni e l interpretazione dell effetto fotoelettrico Per spiegare l effetto fotoelettrico fu necessario il genio di Albert Einstein ( ), il quale nel 1905 ne propose l interpretazione oggi universalmente accettata, che nel 1921 gli valse il premio Nobel. La teoria di Einstein è basata sull ipotesi della quantizzazione dell energia elettromagnetica, che egli sostenne con piena convizione, cioè dando pieno senso fisico ai quanti di energia, a differenza di Planck che si era trovato costretto ad escogitarli per sanare un problema altrimenti irresolubile. Secondo Einstein infatti, la luce, e con essa qualsiasi radiazione elettromagnetica, è costituita da pacchetti di energia proporzionale alla frequenza secondo la legge (3): E 0 = hf. Questi pacchetti, in seguito denominati fotoni, hanno massa a riposo nulla, viaggiano alla velocità della luce e trasportano quantità di moto non nulla, anch essa quantizzata e proporzionale alla frequenza: (6) p = E 0 /c = hf/c = h/ In condizioni ordinarie questo modello non è in contrasto con la teoria classica dell elettromagnetismo. Le radiazioni che costituiscono un onda radio o un fascio di luce sono infatti formate da un numero straordinariamente grande di fotoni, che si comportano collettivamente come onde, la cui energia a tutti i fini pratici ci appare continua e non discreta. Esempio 3. I fotoni emessi da un telefonino Vogliamo calcolare il numero di fotoni che un telefonino emette ogni secondo, se la potenza irraggiata dalla sua antenna è P = 1 W alla frequenza di 1,8 GHz. Dato che la potenza rappresenta l energia irraggiata in 1 secondo, concludiamo dalla formula (3) che il numero di fotoni dall antenna del telefonino è: n = P/hf = 1/(6, , ) = 8, fotoni/secondo. Si tratta di un numero talmente grande da rendere impossibile accorgersi che l energia emessa è quantizzata. Alla luce del modello di Einstein, l interpretazione dell effetto fotoelettrico diventa immediata. Se le radiazioni elettromagnetiche sono costituite da quanti elementari, allora l interazione fra la radiazione e la materia non è collettiva, ma individuale, nel senso che la cessione di energia avviene da parte di singoli fotoni nei confronti di singoli atomi, per esempio liberandone elettroni quando l energia dei fotoni è a ciò sufficiente. 6

7 Chiamando allora lavoro di estrazione l energia E estr che è necessaria per liberare da un metallo un elettrone di conduzione, vincendo le forze elettrostatiche che lo legano agli ioni del reticolo cristallino, si capisce che soltanto i fotoni dotati di energia E 0 E estr, cioè di frequenza: (7) f E estr /h sono in grado di liberare elettroni. Ciò spiega l esistenza di una frequenza minima di soglia ( figura 5), diversa per ciascun metallo, perché l effetto fotoelettrico possa verificarsi: (8) f min = E estr /h Tabella 1. Lavoro di estrazione E estr di alcuni metalli Cesio 2,1 ev Calcio 2,9 ev Zinco 3,6 ev Alluminio 4,1 ev Ferro 4,5 ev Oro 5,1 ev a cui corrisponde una lunghezza d onda massima di soglia max = c/f min = hc/e estr. L eccesso di energia posseduto da un fotone rispetto a quanto occorre per liberare l elettrone viene ceduto all elettrone stesso, che assume l energia cinetica corrispondente, cioè, in assenza di urti o di altri fenomeni dissipativi: (9) E cmax = E 0 E estr = h(f f min ) cioè un valore fisso ben definito per un dato metallo investito da radiazione di frequenza f data. L energia cinetica E c posseduta dall elettrone gli permette di raggiungere l elettrodo collettore nell apparato di figura 3 anche quando questo lo respinge perché si trova a un potenziale negativo V rispetto al metallo emettitore. Il lavoro necessario a questo scopo è q e V, sicchè il potenziale negativo massimo, in valore assoluto, del collettore per cui gli elettroni possono ancora raggiungerlo è: (10) V A = E cmax /q e = (E 0 E estr )/q e Che è appunto il potenziale d arresto osservato sperimentalmente, anch esso con valore fisso ben definito per un dato metallo investito da radiazione di frequenza data. Il quale non dipende in alcun modo dall intensità della radiazione, come invece prevedeva la teoria classica. La fisica intorno a noi 1. Le cellule fotoelettriche e il cinema sonoro. L effetto fotoelettrico venne presto usato per realizzare cellule fotoelettriche, cioè dispositivi sensibili alla luce con uscita elettrica, usando una versione semplificata del tubo a vuoto in figura 3. Si capisce che gli impieghi di questi oggetti sono innumerevoli, sia nell industria sia nelle vita civile: comandare l accensione delle lampade stradali dopo il tramonto, permettere l apertura automatica delle porte quando qualcuno si avvicina, aprire il flusso dell acqua quando si pongono le mani sotto al rubinetto di un lavandino, e via dicendo. L impiego delle cellule fotoelettriche segna in particolare il passaggio, attorno al 1930, dai film muti ai film sonori che conosciamo oggi. Il funzionamento di un film sonoro, con perfetta sincronizzazione fra suoni e immagini, è basato sulla registrazione della colonna sonora su un apposito spazio della pellicola che contiene i fotogrammi, come è mostrato nella figura A. La colonna sonora è una striscia continua di larghezza (o di densità) variabile in relazione all intensità del suono. Durante la proiezione del film, la luce che passa attraverso la colonna sonora raggiunge una cellula fotoelettrica, il cui segnale elettrico viene amplificato e inviato agli altoparlanti del cinema, accompagnando così le immagini sullo schermo. Figura A. La traccia continua nella destra della pellicola rappresentano la colonna sonora. (immagine da trovare, spezzone di tre o quattro fotogrammi disposti in verticale) 7

8 Nota storica , l annus mirabilis della fisica. L anno 1905 è segnato dalla pubblicazione, sulla rivista Annalen der Physik, di quattro lavori fondamentali di Albert Einstein, che affrontano i più delicati problemi della fisica del tempo, proponendo idee che rivoluzionavano la visione dell energia, della materia e del tempo, costituendo un fondamento essenziale per le ricerche svolte in seguito. Per questo il 1905 è considerato l anno meraviglioso (annus mirabilis) della fisica, il cui centenario è stato ampiamente celebrato nel Nel primo lavoro (Su un punto di vista euristico riguardante la generazione e la trasformazione della luce) Einstein espone la sua teoria sulla natura corpuscolare della luce, utilizzandola poi per interpretare l effetto fotoelettrico. A proposito della luce egli scrive: L energia, nella propagazione di un raggio di luce, non si distribuisce con continuità su spazi sempre più estesi, ma consiste di un numero finito di quanti di energia localizzati in punti dello spazio, che si muovono senza suddividersi e che possono essere assorbiti o generati soltanto come singole entità. E poi spiega così l effetto fotoelettrico: Secondo il punto di vista per cui la luce incidente consiste di quanti di energia, la produzione di raggi catodici (cioè elettroni) da parte della luce può essere concepita nella maniera seguente. Lo strato superficiale dei corpi viene penetrato da quanti di energia, la cui energia viene convertita almeno in parte nell energia cinetica degli elettroni. Il concetto più semplice è che un quanto di luce trasferisce tutta la sua energia a un singolo elettrone. Nel secondo lavoro (Sul moto di piccole particelle nei liquidi in quiete che è richiesto dalla teoria cinetico-molecolare del calore) Einstein affronta e risolve il problema del moto Browniano ( Tomo, pag. zzz), scrivendo: In questo lavoro sarà mostrato che, in base alla teoria molecolare cinetica del calore, corpi di dimensioni microscopiche visibili sospesi in un liquido, a causa dei moti termici molecolari, possono compiere moti di grandezze tali da poter essere facilmente osservati con un microscopio. E possibile che i moti discussi qui siano identici con il cosidetto moto Browniano molecolare; tuttavia, i dati a me disponibili su quest ultimo sono così imprecisi che non ho potuto farmi una opinione sulla questione. Si noti lo stile, nel quale si alternano sicurezza e problematicità. Il terzo lavoro (Sull elettrodinamica dei corpi in moto) è dedicato all esposizione della teoria della relatività ristretta ( Modulo 1, Unità 2), stabilendo in particolare i due postulati che ne sono alla base: le leggi dell elettrodinamica e dell ottica sono valide in tutti i sistemi di riferimento nei quali valgono le equazioni della meccanica. Noi solleveremo questa congettura (Principio di relatività, allo stato di postulato, e introdurremo anche un altro postulato, solo apparentemente non riconciliabile con il precedente, cioè che la luce si propaga nel vuoto con una velocità definita c, che è indipendente dallo stato di moto del corpo emittente. Nell ultimo lavoro (L inerzia di un corpo dipende dal suo contenuto di energia?) Einstein introduce la nozione di energia di riposo e la famosa relazione di equivalenza fra massa ed energia, E = m c 2 : Se un corpo cede l energia L nella forma di radiazione, la sua massa diminuisce di L/c 2. Il fatto che l energia persa dal corpo diventi energia di radiazione evidentemente non fa differenza, sicchè siamo condotti alla conclusione più generale che la massa di un corpo è una misura del suo contenuto di energia; se l energia cambia di L, la massa cambia nello stesso senso di L/( ), con l energia misurata in erg (1 erg = 10-7 joule) e la massa in grammi. Figura. Nel 1905, quando pubblicò quattro lavori, tutti di portata eccezionale, Albert Einstein aveva appena ventisei anni ed era un oscuro funzionario dell ufficio brevetti di Berna, in Svizzera. (Immagine di Einstein) 1.5 L effetto Compton evidenzia l esistenza dei fotoni Sebbene l ipotesi dei quanti di energia avesse consentito di spiegare prima lo spettro del corpo nero e poi l effetto foelettrico, la maggior parte degli scienziati rimase a lungo scettica sull esistenza reale dei fotoni come componenti elementari della radiazione elettromagnetica. Ancora nel 1922, per esempio, Niels Bohr affermava che l ipotesi dei quanti di luce non permette di far luce sulla 8

9 natura della radiazione. Perchè questa idea venisse pienamente accettata furono decisivi i risultati degli esperimenti sull interazione fra i raggi X e la materia svolti dall americano Arthur Holly Compton ( ), che egli pubblicò nel 1923 e per cui ottenne il premio Nobel nel L esperimento di Compton mostrava infatti che i raggi X, dopo aver colpito la materia, subiscono un aumento della loro lunghezza d onda, e quindi una diminuzione della loro frequenza, e che questa variazione, inoltre, dipende dalla direzione dei raggi diffusi dopo l interazione. Questo fenomeno, chiamato effetto Compton, non trovava spiegazione nell ambito della fisica classica, per cui le onde elettromagnetiche, interagendo con la materia, non subiscono variazioni di frequenza, che ne costituisce il carattere distintivo. E ben noto infatti che un fascio di luce colorata, quando viene diffuso da un corpo, mantiene il suo colore, che ne rappresenta appunto la frequenza. Chiamando 0 la lunghezza d onda del fascetto X incidente e quella dei raggi diffusi con angolo rispetto alla direzione iniziale, osservati con un rivelatore orientabile come mostrato nella figura 6, Compton trovò sperimentalmente la legge: (11) A cos dove A è una costante, a cui in seguito egli diede pieno significato fisico. Il fenomeno venne interpretato da Compton ammettendo che la radiazione X fosse costituita da fotoni, ciascuno dei quali interagisce singolarmente con uno degli elettroni della materia; più precisamente con gli elettroni liberi degli atomi del materiale irraggiato (grafite, nell esperimento originale), i quali sono legati solo debolmente ai nuclei, con energie di legame (dell ordine dell elettronvolt) assai inferiori a quelle dei fotoni X. Si trattava quindi di urti fra fotoni ed elettroni praticamente in quiete. E se si trattava di urti elastici, allora si sarebbe dovuta conservare sia l energia che la quantità di moto. La conservazione dell energia impone che l energia hf 0 del fotone incidente si ripartisca fra quella del fotone diffuso (hf 1 ) e l energia cinetica E e acquistata dall elettrone, supposto inizialmente in quiete: (12) hf 0 = hf 1 + E e = hf 1 + ½ m e v e 2 dove m e è la massa dell elettrone e v e il modulo della sua velocità dopo l urto. Notiamo subito che in effetti la frequenza, e quindi l energia, dei fotoni diffusi risulta sperimentalmente inferiore a quella dei fotoni incidenti, in accordo qualitativo con la (12). Per applicare la conservazione della quantità di moto ricordiamo che la quantità di moto di un fotone, particella priva di massa in moto alla velocità della luce, ha modulo dato dalla (6), p = E/c = hf/c, con la direzione e il verso del moto della particella. Chiamando p 0 il modulo della quantità di moto del fotone incidente, p 1 quello del fotone diffuso e p e = m e v e quello dell elettrone dopo l urto, l angolo fra la direzione del fotone diffuso e quella d incidenza, l angolo fra la direzione dell elettrone dopo l urto e quella del fotone incidente, la conservazione della quantità di moto richiede che siano verificate le due seguenti condizioni scalari, riguardanti le due componenti di tale grandezza. Considerando la geometria rappresentata nella figura 6, per le componenti secondo l asse x si ha: (13) hf 0 /c = hf 0 cos /c + p e cos e per le componenti secondo l asse y si ha, essendo nulla la quantità di moto del fotone incidente secondo tale direzione: (14) 0 = hf 0 sen /c + p e sen 9

10 Risolvendo il sistema costituito dalle tre equazioni (12), (13) e (14) si possono ricavare le grandezze incognite f 1, v e e in funzione di f 0 e di. Si ottiene così il seguente risultato per la variazione di lunghezza d onda dei fotoni diffusi in funzione della loro direzione : h cos mc (15) e cioè si ritrova la legge sperimentale (11) e si determina il valore della costante A che vi figura. Notate che la variazione di lunghezza d onda, e quindi di energia, del fotone è nulla quando = 0, cioè il fotone diffuso ha la stessa direzione di quello incidente, è massima quando =, cioè il fotone rimbalza esattamente all indietro. Facendo un paragone con un urto classico fra una massa in moto e una in quiete, il caso = 0 rappresenta l assenza di urto per cui la massa in moto prosegue imperturbata, il caso = rappresenta un urto centrale, che appunto provoca la massima variazione di energia cinetica per la massa incidente. La conclusione? Nell effetto Compton si manifesta pienamente la natura corpuscolare del fotone, come particella dotata di energia e di quantità di moto. Figura 6. a) L esperimento di Compton consisteva nell invio di un fascetto ben collimato di raggi X monocromatici, cioè di lunghezza d onda ben determinata, contro un sottile strato di grafite, dove ciascun fotone interagisce con un elettrone libero degli atomi del materiale, supposto inizialmente in quiete. Un rivelatore orientabile misurava poi la lunghezza d onda dei raggi X diffusi al variare dell angolo che essi formano rispetto alla direzione del fascio. b) Un fotone X colpisce un elettrone, che si trova in quiete; c) Da ogni urto emergono, con direzioni diverse, un fotone con lunghezza d onda maggiore di quella iniziale e l elettrone in moto. (Adattare da Hecht, vol. 2, pag. 1031, modificata come segue: in a) la parte c) con le scritte: raggi X, 0, grafite, fotone diffuso,, rivelatore; in b) la parte a) con le scritte fotone X, p 0 = h/ 0, E 0, elettrone libero; in c) la parte b) con le scritte: p 1 = h/ 1,,, 1.6 L esperimento di Franck e Hertz e gli spettri atomici I risultati di Planck e di Einstein avevano certamente dimostrato che l energia delle onde elettromagnetiche è quantizzata, ma poteva darsi che la quantizzazione fosse una caratteristica peculiare della radiazione elettromagnetica e non riguardasse altre forme di energia. In realtà l ipotesi della quantizzazione dell energia degli elettroni di un atomo era anche alla base del modello atomico postulato da Bohr nel 1913 per interpretare i risultati sperimentali ottenuti da Rutherford sull atomo nucleare ( Tomo III, Modulo 1, Unità 3). Ma si trattava di un modello interpretativo e non di risultati sperimentali. Questi furono ottenuti nel 1914 dai fisici tedeschi Jakob Franck e Gustav Hertz (nipote di Heinrich Hertz). L esperimento consisteva nello sparare elettroni di energia cinetica nota in una camera a vuoto contenente vapori di mercurio e nel misurare l energia degli elettroni dopo che avevano l avevano attraversata. Quando l energia iniziale E 0 degli elettroni era inferiore a una certa soglia, che indichiamo con E Hg, essa restava invariata dopo l attraversamento. Quando invece era maggiore della soglia, essa subiva una diminuzione pari all energia di soglia; cioè, chiamando E 1 l energia dell elettrone dopo l urto, si aveva: (16) E 1 = E 0 E Hg e contemporaneamente si osservava l emissione di radiazione elettromagnetica. Ciò dimostrava che gli atomi di mercurio possono assorbire per urto soltanto una quantità fissa di energia (in effetti non una soltanto ma più quantità fisse, come si trovava quando gli elettroni possiedevano energia cinetica ancora più elevata). Il risultato s interpreta ammettendo che l urto, fra l elettrone incidente e uno degli elettroni più esterni di un atomo, conduca a portare l elettrone atomico da un livello di energia a uno di energia maggiore, entrambi quantizzati come previsto dal modello di Bohr. E che dunque l energia E Hg persa dall elettrone incidente corrisponda a questo salto di energia dell elettrone atomico. Il quale poi decade rapidamente, ritornando al suo livello energetico iniziale, con l emissione di un fotone di energia corrispondente al salto di 10

11 energia. E infatti: misurando l energia persa dall elettrone incidente si trova E Hg = 4,9 ev; misurando la lunghezza d onda della radiazione emessa nel processo si trova = 254 nm, a cui corrispondono fotoni di energia pari a quella sottratta all elettrone incidente e poi riemessa dall elettrone atomico eccitato; cioè di energia: E = hc/ = h = 6, / = 7, J = 7, /1, = 4,89 ev. La fisica intorno a noi 2. Lampade al mercurio fluorescenti e abbronzanti. L emissione di radiazioni elettromagnetiche di lunghezza d onda ben determinata da parte di atomi eccitati mediante una scarica elettrica è alla base del funzionamento delle lampade a scarica ( Tomo 3, pag. xxx). Nel caso della lampade contenenti vapori di mercurio l emissione avviene soprattutto alla lunghezza d onda di 254 nm, nella regione dell ultravioletto. Questa radiazione viene resa visibile nelle lampade fluorescenti, grazie all impiego di sostanze, chiamate appunto fluorescenti. Queste, quando sono colpite da fotoni di una data energia, li assorbono riemettendo fotoni di energia più bassa, in particolare con lunghezze d onda nel visibile. Lampade a scarica al mercurio sono usate anche come lampade abbronzanti, grazie al loro effetto sulla pelle, analogo a quello dell ultravioletto contenuto nella radiazione solare. Ma in tal caso la radiazione a 254 nm, fortemente abbronzante ma anche pericolosa per la salute, viene in larga misura soppressa a vantaggio di radiazioni ultraviolette meno energetiche e assai meno pericolose, anch esse tuttavia in qualche misura abbronzanti (maggiori informazioni sul sito dell Istituto Superiore di Sanità: Le radiazioni emesse dalle lampade al mercurio trovano anche impiego nella sterilizzazione di ambienti, oggetti, cibi e bevande, grazie alle proprietà germicide dell ultravioletto. Gli spettri atomici e l atomo di Bohr La forma particolare degli spettri delle radiazioni emesse dagli atomi di elementi allo stato di vapore, che sono costituiti da un insieme di righe discrete, cioè comprendono soltanto determinate lunghezze d onda, aveva costituito a lungo un mistero per i fisici impegnati in questi studi (gli spettroscopisti ). Dovrebbe essere chiara ora quale sia l interpretazione degli spettri atomici. Queste radiazioni sono rappresentate dai fotoni aventi energie ben determinate, che vengono emessi da parte di atomi eccitati: per urto come nell esperimento di Franck e Hertz, grazie a una scarica elettrica, oppure ad alta temperatura. L eccitazione consiste nel portare un elettrone da un livello di discreto di energia a un altro di energia maggiore, a cui segue poi, quando l elettrone ritorna al livello precedente, l emissione di un fotone di energia corrispondente al salto fra i due livelli. E qui ricordiamo che il modello di Bohr prevede una molteplicità di livelli energetici per gli elettroni di un atomo, a cui corrisponde una molteplicità di salti possibili e quindi di lunghezze d onda delle radiazioni emesse. E siccome questi livelli di energia sono diversi negli atomi di elementi diversi, gli spettri degli atomi di ciascun elemento contengono particolari insiemi di righe. Nel caso dell atomo di idrogeno, per esempio, il modello di Bohr postula che l elettrone possa trovarsi nei livelli energetici di energia E n = -13,6/n 2 ev (il segno negativo indica che si tratta dell energia necessaria a liberare l elettrone dall atomo), dove il primo livello, quello corrispondente a n = 1, rappresenta lo stato energetico normale, cioè quando l atomo non è eccitato. La figura 7 rappresenta i primi quattro livelli, indicando i salti possibili fra questi livelli, da cui si possono ricavare le energie dei fotoni emessi in questi processi di decadimento e le lunghezze d onda delle radiazioni corrispondenti. In effetti, considerando anche i livelli energetici superiori e quindi tutti i salti di energia si ritrovano tutte le righe che costituiscono lo spettro atomico dell idrogeno. Figura 7. I primi quattro livelli energetici dell elettrone di un atomo di idrogeno. Il livello inferiore rappresenta lo stato fondamentale (atomo non eccitato). Le frecce indicano le transizioni che avvengono, quando l atomo si trova in uno stato eccitato, fra i livelli superiori e quelli inferiori, con emissione di fotoni di lunghezza d onda corrispondente al salto di energia. 11

12 Test di verifica 1) Parlando di catastrofe ultravioletta s intende Ο la pericolosità per l uomo delle radiazioni ultraviolette Ο la rapida crescita dell intensità dell emissione termica con la temperatura nella regione dell ultravioletto Ο il paradosso per cui secondo la fisica classica l intensità dell emissione termica dovrebbe aumentare senza limite al crescere della frequenza 2) Possiamo dire che un corpo è un corpo nero soltanto se esso è O un emettitore ideale O un assorbitore ideale O un emettitore e un assorbitore ideale 3) Sottolineate gli errori che individuate nelle frasi seguenti. Per poter interpretare gli spettri di assorbimento di radiazione elettromagnetica da parte dei corpi, Einstein dovette ammettere che gli scambi di energia fossero quantizzati, cioè avvenissero attraverso quanti di energia con energia direttamente proporzionale alla lunghezza d onda. Questa ipotesi non era in contrasto con la fisica classica. 4) L energia di un quanto è O inversamente proporzionale alla O indipendente dalla O direttamente proporzionale alla frequenza 5) La prima introduzione della nozione di quanto di energia si deve a Ο Planck Ο Einstein Ο Lord Kelvin 6) Vero o falso? V F La bocca di un forno per cuocere la pizza è un ragionevole esempio di corpo nero O O L ipotesi dei quanti di energia trovò immediata accettazione da parte degli scienziati O O La lunghezza d onda di un quanto è direttamente proporzionale alla sua energia O O Le dimensioni fisiche dalla costante di Planck sono le stesse dell energia O O L energia di un fascio di luce può essere suddivisa in parti piccole a piacere O O 7) Un quanto di energia E 0 = 3 ev corrisponde a radiazione O infrarossa O visibile O ultravioletta 8) Il valore della costante di Planck, espresso in unità SI, è un numero O straordinariamente grande O dell ordine dell unità O straordinariamente piccolo 9) L energia di un quanto di radiazione X è O molto maggiore di O all incirca uguale a O molto minore di quella di un quanto di radiazione infrarossa 10) L energia dei singoli quanti che costituiscono un fascio di luce rossa, con = 700 nm è O 17,8 ev O 1,78 ev O 0,178 ev 11) Due stazioni radio trasmettono con la stessa potenza (P = 10 kw) rispettivamente alle frequenze di 89,7 e 103,2 MHz. Il numero dei fotoni emessi ogni secondo dall antenna della prima stazione trasmittente è O maggiore di O uguale a O minore di quello dei fotoni emessi dalla seconda 12) Nell effetto fotoelettrico la natura dell interazione fra energia e materia è 12

13 Ο individuale O collettiva O elastica 13) Esaminando la figura 5 si conclude che il lavoro di estrazione di un elettrone dal metallo C è O maggiore di O uguale a O minore di quello del metallo A 14) L energia cinetica massima dei quanti emessi da un metallo per effetto fotoelettrico dipende O sia dalla natura del metallo che dall intensità della radiazione O sia dalla natura del metallo che dalla frequenza della radiazione O sia dall intensità che dalla frequenza della radiazione 15) Vero o falso? V F L effetto fotoelettrico si manifesta diversamente nei diversi metalli O O L ipotesi dei quanti di energia trovò immediata accettazione da parte degli scienziati O O La lunghezza d onda di un quanto è direttamente proporzionale alla sua energia O O La fisica classica non spiega perché, nell apparato sperimentale di figura 3, l intensità della corrente sia direttamente proporzionale all intensità della radiazione incidente O O 16) L equazione fotoelettrica, che rappresenta l energia cinetica E c degli elettroni emessi per effetto fotoelettrico, fu scritta da Einstein nella forma: E c = E E, dove E ed E rappresentavano rispettivamente Ο l energia del fotone e il lavoro di estrazione Ο l energia del fotone e l intensità della radiazione luminosa Ο il lavoro di estrazione e l energia del fotone 17) I quanti che costituiscono un fascio di luce monocromatica hanno energie O tutte uguali O diverse, ma con valori discreti O distribuite nello spettro del visibile 18) Un fascio di luce di determinata intensità e lunghezza d onda colpisce un metallo senza produrre effetto fotoelettrico. Per ottenere l emissione di elettroni dal metallo è necessario O aumentare l intensità del fascio O diminuire la lunghezza d onda della luce O aumentare la lunghezza d onda della luce 19) La quantità di moto di un fotone è O direttamente proporzionale alla O inversamente proporzionale alla O direttamente proporzionale al quadrato della sua energia 20) I fotoni diffusi dalla materia per effetto Compton hanno generalmente energia O maggiore di O uguale a O minore di quella dei fotoni incidenti 21) Correggete gli errori che individuate nelle frasi seguenti. L esperimento di Franck e Hertz mostra che gli atomi di mercurio possono assorbire per urto quantità di energia variabili con continuità. Ciò si accompagna all emissione di elettroni con valori discreti di energia. 22) Nell effetto Compton si conserva 13

14 Ο soltanto l energia Ο soltanto la quantità di moto Ο sia l energia che la quantità di moto 23) Nell effetto Compton, l angolo di diffusione, fra la direzione del fotone diffuso e quella del fotone incidente, per cui l elettrone bersaglio acquista la massima energia cinetica è: Ο 0 Ο Ο 24) La dimostrazione sperimentale della quantizzazione dell energia degli elettroni di un atomo si deve a Ο Compton Ο Franck e Hertz O Bohr 25) Vero o falso? V F La natura discreta degli spettri atomici fu dimostrata sperimentalmente da Bohr O O Un elettrone, interagendo con la materia, può subire una perdita di energia di qualsiasi valore O O Gli atomi di mercurio eccitati emettono tipicamente radiazione ultravioletta O O L effetto Compton dimostra sperimentalmente che i fotoni possiedono quantità di moto O O L esperimento di Franck e Hertz è in accordo con il modello atomico di Bohr O O 26) Un fascetto di raggi X subisce l effetto Compton producendo fotoni diffusi in varie direzioni caratterizzate dall angolo che esse formano rispetto alla direzione d incidenza. Osservando i fotoni diffusi con angoli crescenti si trova che la loro lunghezza d onda O aumenta O resta costante O diminuisce 27) Le energie degli elettroni di un atomo eccitato O possono assumere soltanto determinati valori, cioè sono quantizzate O possono assumere qualsiasi valore in un intervallo ben definito O sono direttamente proporzionali all energia dei fotoni che hanno eccitato l atomo 28) Le lunghezze d onda dei fotoni emessi da un atomo eccitato O corrispondono all energia liberata passando da un livello a uno meno energetico O sono le stesse per gli atomi di tutti gli elementi O una lente divergente 29) Nell effetto Compton la variazione di lunghezza d onda che subisce un fotone quando viene diffuso da un elettrone libero di un metallo O dipende fortemente O dipende apprezzabilmente O non dipende dalla natura del metallo 30) Un fotone X con energia di 18 kev subisce un urto elastico contro un elettrone libero di un metallo assumendo l energia di 12 kev. L energia cinetica dell elettrone, dopo l urto, O resta invariata O è 6 kev O è 30 kev 31) La figura a fianco rappresenta tre livelli di energia di un atomo. La radiazione emessa nel salto dal livello 2 al livello 1 corrisponde a O luce rossa O luce violetta O luce ultravioletta 32) La luce laser rossa usata nella lettura dei CD, con lunghezza d onda di 680 nm, proviene dall emissione di fotoni da parte di atomi che si diseccitano con un salto di energia di circa O 200 ev O 20 ev O 2 ev 14

15 Problemi e quesiti 1. Spiegate brevemente in cosa consiste il problema della catastrofe ultravioletta. Risoluzione. I calcoli eseguiti dagli scienziati applicando le teorie classiche dell elettromagnetismo e della termodinamica, indicavano che la distribuzione spettrale dell emissione termica doveva crescere senza limite all aumentare della frequenza, cioè per lunghezze d onda decrescenti, in palese contrasto con i dati sperimentali oltre che con il senso comume. Il termine ultravioletto indica genericamente le lunghezze d onda più piccole. 2. Nella legge di distribuzione spettrale di Planck, data dalla formula (5), figura la frequenza elevata al cubo a numeratore. Spiegate brevemente perché, nonostante ciò, la funzione di Planck tende a zero al crescere della frequenza. hf / kt Risoluzione. La frequenza figura anche al denominatore della funzione di Planck nel termine e. Questo termine, esponenziale nella frequenza, tende all infinito assai più rapidamente di f 3, sicchè al crescere di f la funzione tende complessivamente a zero. 3. Dimostrate analiticamente che la legge di distribuzione spettrale di Rayleigh e Jeans, data dalla formula (A) a pag.xxx coincide con la legge di Planck (5) per piccoli valori della frequenza, cioè quando la frequenza tende a zero. Risoluzione. Per piccoli valori della frequenza, tali da rendere piccolo rispetto all unità l argomento del termine esponenziale al denominatore della (5), questo può essere sviluppato in serie come segue: hf / kt hf e 1 In tal caso kt nella (5) si ha hf kt, sicchè essa viene a coincidere con la formula (A). hf / kt e 1 4. Calcolate la lunghezza d onda alla quale la vostra emissione elettromagnetica presenta il massimo e stabilite in quale banda si trova (radio, infrarosso, visibile, ). Risoluzione. Ammettendo che la temperatura della pelle del corpo sia 37 C (in realtà sarà poco inferiore), si ha T = = 310 K. Applicando la legge di Wien, data dalla formula (2), si ottiene: max = A/T = 2, /310 = 9,35 m, che cade nella banda dell infrarosso. 5. Calcolate il numero dei fotoni solari che investono 1 cm 2 della vostra pelle, esposta perpendicolarmente ai raggi del Sole, sapendo che l intensità della radiazione solare è I = 1000 W/m 2 e ammettendo che la lunghezza d onda media dei fotoni sia = 550 nm. Risoluzione. L energia che investe ogni secondo 1 cm 2 di superficie disposta perpendicolarmente al Sole è E S = = 0,1 J. L energia media dei fotoni solari, data dalla formula (4), è: E 0 = hc/ = 6, / J = 3, J. Sicchè il numero di fotoni che ogni secondo investono la superficie anzidetta è n = E S /E 0 = 0,1/3, = 2, Una buona lettura richiede all incirca un flusso di fotoni/(cm 2 s). Calcolate la corrispondente intensità luminosa in W/m 2 per un fascio di luce con lunghezza d onda = 600 nm. Risoluzione. L energia dei singoli fotoni del fascio, in base alla formula (3), è: E 0 = hc/ = 6, / = 3, J. Al flusso di fotoni/(cm 2 s) = fotoni/(m 2 s), corrisponde pertanto l intensità luminosa: I = 3, = 0,0664 W/m 2. Calcolate il numero di fotoni necessario per liquefare 1 mg di ghiaccio a 0 C quando è illuminato da luce rossa ( = 700 nm) e da luce violetta ( = 350 nm) ricordando che il calore latente dell acqua nel passaggio di stato fra liquido e solido a 0 C è di 80 kcal/kg. Supponete che in entrambi i casi solo il 10% dei fotoni incidenti vengano assorbiti dal ghiaccio. Risoluzione. L energia necessaria a liquefare 1 mg di ghiaccio a 0 C è E = kcal = J = 0,335 J. L energia di un fotone rosso, data dalla formula (3), è E rosso = hc/ = 6, / = 2, J. Il numero dei fotoni rossi necessari, tenendo conto che solo il 10% viene assorbito, è: n rossi = 10 E/E rosso = 0,335/2, = 1, Dato che l energia di un fotone violetto è il doppio di quella di un fotone rosso, di questi ne occorre la metà dei precedenti: n violetti = 1, /2 = 5,

16 8. Dimostrate che la formula (10) può essere posta nella forma caratteristica di una retta (y = ax + b), dove y è il potenziale di arresto e x la frequenza della radiazione, in modo da rappresentare i grafici nella figura 5. Esprimete analiticamente le costanti a e b. Risoluzione. Esprimendo nella formula (10) l energia dei fotoni in termini della frequenza, si ha: V A = hf/q e E estr /q e. Questa corrisponde all equazione della retta y = ax + b, con y = V A, x = f, a = h/q e, b = - E estr /q e. 9. Utilizzate la legge di Planck, data dalla formula (5), per calcolare il rapporto fra l emissione termica nel violetto ( v = 350 nm) e quella nel rosso ( r = 700 nm) da parte di una lampadina a incandescenza e del Sole, schematizzandoli per semplicità come due corpi neri alle temperature di T 1 = 3000 K e T 2 = 6000 K. Risoluzione. Le frequenze corrispondenti alle due lunghezze d onda sono rispettivamente f r = c/ r = / = 4, Hz, f v = 2f r = 2 4, = 8, Hz. Il rapporto R fra le emissioni alle due frequenze è: hfr / kt 6,6310 4,29 10 /1,3810 T 2,06 10 / T F( fv, T) fv e 1 e 1 e 1 RT ( ) 8 3 / hf 4 v kt F( f, ) 6,6310 8,58 10 /1,3810 T 4,1210 / T r T f r e 1 e 1 e 1 Si ha pertanto: R(3000) = 8, e R(6000) = 0,25, indicando che l emissione nel violetto relativa a quella nel rosso è debolissima nella luce della lampadina, assai consistente in quella del Sole. 10. Alla distanza d = 2 metri da una antenna trasmittente per telefonia mobile, che irraggia uniformemente la potenza di 10 watt alla frequenza di 1,8 GHz e che per comodità supponiamo puntiforme, si trova una lastrina d oro disposta perpendicolarmente alla direzione dell antenna. Ammettendo per assurdo che l effetto fotoelettrico sia spiegato dall elettromagnetismo classico, calcolate il tempo necessario perché un atomo del metallo, di raggio r = 144 pm, riceva dall antenna l energia necessaria a liberarne un elettrone. Risoluzione. L intensità della radiazione che incide sulla lastrina è I = P/(4 d = 0,199 W/m 2. La sezione utile alla cattura di energia da parte di un atomo di oro è S = r 2 = 3,14 ( ) 2 = 6, m 2. Dato che il lavoro di estrazione di un elettrone dall oro è ( tabella 1) è E estr = 5,1 ev = 5,1 1, J = 8, J, l intervallo di tempo necessario per accumulare l energia E estr sarebbe: t = E estr /(IS) = 8, /(0,199 6, ) = 63 s. 11. Spiegate brevemente perché il calcolo proposto nel Quesito 10 è assurdo e con esso il risultato del calcolo stesso. Risoluzione. L assurdità è almeno duplice, prima di tutto perché nessuno ha mai visto onde radio, o microonde, produrre effetto fotoelettrico e poi perché l effetto fotoelettrico, quando avviene, ha luogo in tempi brevissimi, certamente assai inferiori ai 63 secondi calcolati nella risoluzione del quesito. 12. In molte sostanze, quando vengono esposte alla luce possono svilupparsi reazioni fotochimiche, che sono attivate dall assorbimento di fotoni (e questo è il motivo per cui il vino viene riposto in bottiglie di colore scuro). Per ciascuna reazione esiste una soglia E a, chiamata energia di attivazione. Assumendo che una determinata molecola possa subire una reazione di decomposizione quando assorbe un fotone di energia maggiore dell energia di attivazione, dimostrate che in queste reazioni, come per l effetto fotoelettrico, esiste una corrispondente frequenza di soglia per la radiazione luminosa. Risoluzione. La dimostrazione è immediata: sostituendo nella formula (8) l energia di attivazione della reazione fotochimica all energia di estrazione di un elettrone, si ottiene f min = E a /h. 13. La fotosintesi clorofilliana è costituita da una serie di reazioni fotochimiche e chimiche che complessivamente conducono alla sottrazione di anidride carbonica dall aria e alla sua decomposizione in ossigeno, che si libera, e in carbonio, che va a costituire molecole organiche necessarie alla vita delle piante. La decomposizione di una molecola di CO 2 richiede l assorbimento di 8 fotoni di luce visibile, mediamente con lunghezza d onda di 600 nm. Valutate approssimativamente la massa del carbonio sottratto all atmosfera ogni secondo da 1 m 2 di vegetazione, ammettendo che tutta la luce solare incidente (P = 1000 W/m 2 ), supposta monocromatica con = 600 nm, venga effettivamente utilizzata nella 16

17 fotosintesi. Ricordate che il numero di Avogadro è n A = 6, mol -1 e che la massa atomica del carbonio è 12 u. Risoluzione. Supponendo per semplicità monocromatica la radiazione solare, il numero dei fotoni al metro quadro al secondo corrispondenti a 1000 W/m 2 è n = P/E 0 = P /(hc) = /(6, ) = 3, m -2 s -1. Pertanto, nelle ipotesi dell enunciato, 1 m 2 di vegetazione cattura ogni secondo n =3, /8 = 3, molecole di CO 2. Ciò corrisponde a n/n A = 3, /6, = 6, grammoatomi e quindi a 12 6, = 0,0748 grammi di carbonio. 14. Calcolate la frequenza di soglia per l effetto fotoelettrico nel ferro e la frequenza della radiazione per la quale il potenziale di arresto risulta di 2,5 volt. Risoluzione. La frequenza di soglia per il ferro, con lavoro di estrazione ( Tabella 1) E estr = 4,5 ev = 4,5 1, J = 7, J, si ottiene applicando la formula (8): f min = E estr /h = 7, /6, = 1, Hz. Al potenziale d arresto V A corrisponde l energia massima q e V A degli elettroni liberati nell emissione fotoelettrica grazie a fotoni di energia E 0 maggiore di quella di soglia. Dalla formula (9) si ha ricava E 0 = E estr + q e V A = 7, , ,5 = 1, J. La frequenza corrispondente è f = E 0 /h = 1, /6, = 1, Hz, ovviamente maggiore di quella di soglia. 15. Eseguendo misure sull emissione fotoelettrica da parte di un metallo si trova che alla radiazione con lunghezza d onda 1 = 400 nm corrisponde il potenziale d arresto V A1 = 1,05 volt, a quella con lunghezza d onda 2 = 300 nm corrisponde V A2 = 2,02 volt. Utilizzando questi dati, calcolate il lavoro di estrazione del metallo e individuatelo nella Tabella 1. Risoluzione. Il lavoro di estrazione dal metallo si determina sottraendo l energia necessaria a risalire il campo (q e V A ) da quella (E 0 ) posseduta dai fotoni incidenti. Dalla formula (10) si ricava: E estr = E 0 - q e V A, ottenendo nei due casi: E estr1 = hc/ 1 - q e V A1 = 6, / , ,05 = 3, J = 3, /1, ev= 2,06 ev; E estr2 = hc/ 2 - q e V A2 = 6, / , ,02= 3, J = 3, /1, ev= 2,12 ev. Prendendo il valor medio delle due stime, si ha: E estr = 2,09 ev. Esaminando la tabella 1, si conclude che assai probabilmente il metallo in questione è il cesio. 16. Una pallina nera di massa m = 1g, sospesa a un filo, viene colpita per 1 ms da un fascetto orizzontale di luce blu ( = 450 nm) di potenza P = 1 mw, che essa assorbe completamente. Calcolate la velocità della pallina al termine dell impulso di luce. Risoluzione. Il numero totale di fotoni che colpisce la pallina è n = P t/e 0, con t = 10-3 s e E 0 = hc/ = 6, / = 4, Si ha pertanto n = /4, = 2, La quantità di modo di un fotone, data dalla formula (6), è p = E 0 /c = 4, / = 1, m kg/s. La quantità di moto totale ceduta dall impulso luminoso alla pallina che ne assorbe i fotoni è quindi: p tot = np = 2, , = 3, m kg/s. Per la conservazione della quantità di moto si conclude che la pallina al termine dell impulso si muoverà con la velocità v = p tot /m = 3, /0,001 = 3, m/s, che è del tutto trascurabile. 17. Un elettrone che colpisce un bersaglio materiale, dove si arresta a seguito di una rapida decelerazione, irraggia radiazione elettromagnetica nella forma di uno o più fotoni. Questo processo, una sorta di effetto fotoelettrico inverso, fu studiato da Einstein, che stabilì un limite per l energia dei fotoni. Calcolate l energia massima, e la corrispondente lunghezza d onda minima, dei fotoni emessi quando gli elettroni colpiscono lo schermo di un televisore, sapendo che la tensione di accelerazione usata nell apparecchio è V = 15 kv. Risoluzione. Ammettendo che tutta l energia q e V di un elettrone si trasformi in quella di un fotone, si ha: E 0 = q e V = 1, = 2, J. La lunghezza d onda corrispondente si ottiene dalla formula (3): = hc/e 0 = 6, /2, = 82,9 pm. Si tratta dunque di radiazione X. 18. Un fascetto di fotoni X con lunghezza d onda 0 = 10 pm colpisce un bersaglio interagendo con gli elettroni liberi dei suoi atomi. Calcolate la lunghezza d onda e l energia dei fotoni diffusi quando si osserva la radiazione diffusa a 90 rispetto alla direzione d incidenza, ricordando che la massa dell elettrone è m e = 9, kg. Risoluzione. La lunghezza d onda l dei fotoni diffusi si ricava applicando la formula (15): 34 h 12 6, cos (1 cos( / 2)) 12, 4 pm, e quindi la loro energia è: hc/ = 31 8 mc 9, e 17

18 6, /12, = 1, J = 1, /1, ev = 100 kev. 19. Calcolate il modulo della quantità di moto che un elettrone, inizialmente in quiete, viene a possedere dopo l urto con un fotone X con lunghezza d onda iniziale 0 = 10 pm che viene diffuso a 90 ( Quesito 18). Nel riquadro a fianco rappresentate le quantità di moto considerate nel problema, determinando graficamente la direzione e il verso della quantità di moto acquistata dall elettrone. Risoluzione. Se il fotone è diretto inizialmente secondo l asse x e viene diffuso nella direzione dell asse y, si ha dalla formula (6): p 0x = h/ = 6, / = 6, kg m/s e p 0y = 0. La quantità di moto finale p 1 del fotone ha invece componente nulla secondo la direzione d incidenza (p 1x = 0), e non nulla nella direzione perpendicolare a quella d incidenza: p 1y = h/ = 6, /12, = 5, kg m/s. Per la conservazione della quantità di moto, la quantità di moto dell elettrone dopo l urto ha modulo: e x y p p0 p1 6, , ,52 10 kg m/ s 20. Esaminate la formula (15), che rappresenta la variazione per effetto Compton della lunghezza d onda di un fotone che subisce un urto elastico con un elettrone, individuandovi una lunghezza d onda caratteristica del fenomeno di diffusione. Calcolate il valore di questa grandezza in unità di pm. Risoluzione. Dato che il termine (1-cos ) è evidentemente privo di dimensioni fisiche, è immediato concludere che il fattore h/(m e c) ha le dimensioni di una lunghezza e che gioca il ruolo di lunghezza d onda caratteristica del fenomeno di diffusione. Il valore numerico di questa grandezza, chiamata lunghezza d onda Compton per l elettrone è: 6, /(9, ) = 2, m = 2,43 pm. Il suo valore esatto, noto con grandissima accuratezza, è 2, m con incertezza di appena 0, m. 21. Un fotone X di lunghezza d onda 0 = 30 pm viene diffuso per effetto Compton subendo una variazione relativa della lunghezza d onda ( 1-0 )/ 0 = 5%. Calcolate l angolo fra la direzione di diffusione e quella d incidenza, ricordando che la massa dell elettrone è m e = 9, kg. Risoluzione. La variazione assoluta delle lunghezza d onda del fotone è = 0,05 0 = 0,05 30 pm = 1,5 pm. Dalla formula (15) si ricava: cos = 1 - m e c/h = 1-1, , /6, = 0,382. Da cui si ha: = 67, Un fascio di radiazione X con lunghezza d onda = 50 pm colpisce un bersaglio contenente elettroni liberi. Calcolate la lunghezza d onda dei fotoni X diffusi nella direzione che forma l angolo = 45 con quella del fascio incidente, ricordando che la massa dell elettrone è m e = 9, kg. Risoluzione. Applicando la formula (15) si ha = h(1 cos )/(m e c) = 6, (1 cos(45 ))/(9, ) = 7, m. Pertanto la lunghezza d onda dei fotoni diffusi è 1 + = ,71 pm = 50,7 pm. 23. Calcolate l energia e la lunghezza d onda dei fotoni emessi in occasione dei salti di energia di un atomo di idrogeno rappresentati nella figura 7, stabilendo la banda (infrarosso, visibile, ultravioletto) a cui appartengono. Risoluzione. Le energie dei fotoni emessi nei salti indicati nella figura sono rispettivamente, da destra verso sinistra: E 2,1 = 13,6 3,39 = 10,2 ev, E 3,1 = 13,6 1,51 = 12,1 ev, E 4,1 = 13,6 0,85 = 12,8 ev, E 3,2 = 3,39 1,51 = 1,88 ev, E 4,2 = 1,51 0,85 = 0,66 ev. Le lunghezze d onda corrispondenti, calcolate ricavando dalla formula (3) la lunghezza d onda = hc/e = 6, /(1, E) = 1, /E, dove l energia E è espressa in elettronvolt, sono rispettivamente: 2,1 = 1, /10,2 = 122 nm, 3,1 = 1, /12,1 = 102 nm, 4,1 = 1, /12,8 = 96,9 nm, 3,2 = 1, /1,88 = 660 nm, E 4,2 = 1, /0,66 = 1879 nm. Le prime tre cadono nell ultravioletto, la quarta nel visibile, l ultima nell infrarosso. p e p 1y p 0x 18